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L’arresto dello sviluppo

La crisi demografica
In Europa si conobbe un periodo in cui la crescita demografica fu molto forte e toccò il culmine nel 1300.
Toccato il culmine però, la crescita demografica si stabilizzò, tendendo alla diminuzione. Con gli 80/85 milioni di
abitanti l’Europa raggiunse il massimo della popolazione in rapporto con la tecnologia agricola e con gli
strumenti di produzione e distribuzione in quel momento disponibili. La pressione demografica però era
differente in tutte le regioni europee: si registrano densità che variano dai 40 ab/km2 ai 5 ab/km2. Quindi si
passava da regioni sovrappopolate a regini sottopopolate. Le migrazioni che ci furono, per un breve periodo,
servirono da valvola di sfogo.

La competizione tra: Arativo - Bosco - Pascolo


Tutte le innovazioni tecniche e agronomiche, e i rendimenti della terra avevano ormai raggiunto il loro massimo
sviluppo. Ulteriori aumenti della produzione potevano avvenire solo con l’aumento dei campi da coltivare. Il
rapporto tra uomo e ambiente era affidato ad un delicato equilibrio tra arativo, bosco e pascolo. L’espansione
dell’arativo si basava sulla presenza di nuovi campi da coltivare e dalla presenza di fertilizzanti animali, e quindi
dipendeva dal diboscamento, e dai pascoli naturali e dal dissodamento. Forte era la domanda di legname per
l’edilizia, il riscaldamento, l’energia ecc, così si
arrestò il diboscamento; si fu costretti ad
importare il legname dalla Germania, che era
ricca di foreste; procedere con il diboscamento
non era quindi cosa facile. Inoltre, l’espansione
dell’arativo era direttamente proporzionale alla
diminuzione dei pascoli naturali, che
indebolirono l’allevamento e di conseguenza la
disponibilità di fertilizzanti animali, che
ponevano limiti allo stesso settore agrario. E
poiché procedere al dissodamento non era
semplice, l’espansione dell’arativo avvenne in
zone più facili da conquistare ma meno fertili.

La crisi agricola
La crisi agricola, che cominciò ad avvenire con i problemi legati al diboscamento, alla diminuzione obbligatoria
dei pascoli e al dissodamento delle terre, coincise con un periodo di peggioramento climatico che portarono a
due cicli di carestia (Vedi PG 2 “Le conseguenze economiche e sociali”) che colpirono l’intera Europa: uno dal
1315 al 1318, e l’altro dal 1339 al 1346. Questo portò naturalmente ad un aumento della mortalità e ad una
diminuzione demografica.

La crisi economica generale


I proprietari terrieri pretesero dai contadini 1/3 o a volte addirittura la metà del raccolto. Una misura
insostenibile per i contadini. Così sia i contadini che i ceti più abbienti ridussero la propria domanda di beni
manifatturieri e di articoli di lusso. Le grandi carestie furono perciò all’origine di una crisi generale che colpì le
compagnie mercantili e bancarie. Tra il 1342-46 a Firenze fallirono i più grandi mercanti e banchieri d’Europa,
Bardi e Peruzzi: questi dopo aver prestato in totale 1 milione e mezzo di fiorini d’oro al re d’Inghilterra e 200
mila al re di Sicilia. Ma il re d’Inghilterra intraprese una guerra con la Francia che durò per decenni, guerra dei
cent’anni, questo fece sì che non potesse più restituire la somma ai Bardi e Peruzzi. Così la voce si sparse, tutti
andarono a ritirare i loro soldi depositati, ed essi fallirono.

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La peste colpisce l’Europa
La peste
La peste, sebbene fosse già entrata in Europa attorno al VII secolo, apparve come qualcosa di totalmente
sconosciuto. La peste nera si presentò in due forme differenti: “bubbonica” e “polmonare”. Il primo è causato
dalla trasmissione del bacillo, che può avvenire al semplice contatto e sull’uomo prolifera rapidamente,
provocando i cosiddetti bubboni ascellari e inguinali, seguiti da febbre, allucinazioni e la morte nel 60% dei casi.
La peste polmonare è una complicazione della peste e attacca l’apparato respiratorio, è trasmissibile come un
semplice raffreddore e porta alla morte quasi nella totalità dei casi. Inoltre se solo una persona si ammalava di
peste polmonare subito scattava un’epidemia di grandi dimensioni. Gli effetti della peste sul calo demografico
furono devastanti. Fino al 1300 circa, come già detto, venne registrata una crescita notevole della popolazione
che da 40 milioni passo a 85 milioni, ma che con la peste nel giro di tre anni tornò a 50 milioni circa. La peste
cominciò ad espandersi da Oriente attorno al 1338. Arrivò in Italia nel 1347 quando sbarcò in Sicilia e a
Costantinopoli una nave genovese partita da Caffa: da qui la peste si diffuse ovunque con una decimazione della
popolazione pari al 15/50% in tutte le regioni. Dal 1347, in cui si manifestò la peste nera, continuò una lunga
serie di epidemie, durate fino al XV secolo.

Il terrore della peste nera


Tra il 1347-50 colpì l’Europa la peste nera, a cui seguì il terrore collettivo. Allora la vita media non era alta,
arrivare a 70 anni era già un grandissimo traguardo, e tante erano le malattie di cui non si conosceva la cura,
ma la peste rappresentava proprio qualcosa di oscuro e di temibile. Essendo incontrastabile venne quindi vista
come una punizione Divina, e quindi oltre a processioni, esposizione di reliquie ecc per chiedere misericordia,
vennero cercati dei capri espiatori: tra cui gli ebrei. C’era anche chi, per chiedere perdono, si auto-flagellava (i
flagellanti) pubblicamente con fruste munite di punte metalliche. Molti andavano a vedere queste autopunizioni
che venivano eseguite per 33 giorni e mezzo.

Le conseguenze economiche e sociali


Le carestie non possono essere considerate la causa della peste, anzi semmai il contrario: infatti fu la peste che
causando una sovramortalità e il panico, ostacolò i lavori agricoli. Così i contadini si videro costretti ad andare a
cercare gli alimenti in città, che, gravate da questo sovraffollamento, diventarono luoghi ancor più esposti al
contagio. Appena una regione veniva colpita dalla peste, l’economia si bloccava di colpo. I prezzi dei prodotti
agricoli quindi aumentavano a dismisura, per poi tornare normali: il prezzo dei cereali, a causa della diminuzione
della domanda, calò di colpo. La diminuzione della popolazione porto alla mancanza di forza-lavoro per le
attività agricole e manifatturiere: i lavoratori superstiti, per guadagnar di più, imposero l’aumento dei salari.
Così si posero, sia in campagna che in città, le premesse per lo sviluppo dei conflitti sociali, che caratterizzarono
la seconda metà del secolo.

L’Europa dei villaggi abbandonati

Ristrutturazione agricola e trasformazioni sociali (XIV secolo)


- Alla crisi del settore agrario, i proprietari terrieri scelsero di allevare bovini e produrre carne, latte e formaggi
(il cui prezzo era diminuito moltissimo), una scelta che portò ottimi risultati. Inoltre scelsero di coltivare piante
destinate ad un uso industriale: luppolo, fibre tessili ecc..
- Sul piano sociale invece cominciò ad estinguersi la relazione servile tra i signori e i contadini, lasciando posto
allo sviluppo del lavoro salariato. L’aumento dei salari era accompagnato da una maggiore redditività delle
produzioni. Però non tutti i proprietari terrieri riuscirono ad adattarsi a questa nuova situazione, andando
incontro a una lunga fase di ristrettezze economiche: da un lato le terre e i prodotti perdevano lavoro, dall’altro i
contadini cercavano rapporti a loro vantaggiosi. Così i signori risposero con la violenza e i contadini, poiché la
manodopera era fortemente richiesta, fuggivano da altri signori: questo portò alla coalizzazione dei signori per
impedire queste fughe, ma il risultato fu lo stesso: Rivolte contadine in tutte le parti d’Europa portarono al
declassamento della nobiltà terriera e alla scomparsa dei rapporti di dipendenza nelle campagne. Fine servitù!
Questo accadde nell’Europa occidentale, mentre in quella orientale accadde l’opposto: dal lavoro libero del
Trecento, si passò a corvées pesantissime nel Quattrocento.
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La soluzione alla crisi: allevamento brado e agricoltura irrigua
Fu fatta la scelta dell’allevamento brado, che si differenziava totalmente da quella precedente, perché riduceva il
bisogno di manodopera e poteva essere realizzata in territori spopolati e abbandonati, al contrario, appunto, di
quella precedente. Ciò avvenne principalmente in Spagna ed in Inghilterra, nella prima l’allevamento ovino era
già diffuso nel XIII secolo. Ma lo sviluppo non si limitò solo a Spagna ed Inghilterra, ma pian piano cominciò ad
espandersi, anche in Italia. Alla crisi agricola reagì in modo notevole la Lombardia. In Lombardia infatti vennero
creati prati artificiali irrigui nella pianura padana, così si risolse il problema dell’equilibrio tra l’estensione dei
campi e quella dei pascoli. L’allevamento non era più il risultato di un degradamento del suolo, ma di massicci e
costosi investimenti.

La crisi della produzione laniera


La crisi economica si estese anche nel settore manifatturiero, determinando una diminuzione del volume di
produzione in poco più di un secolo. Gli inglesi, maggiori esportatori di lane, cominciarono a vedere alti e bassi
nelle loro esportazioni, a causa delle varie carestie e dalle varie epidemie. Le maggiori esportazioni erano
attorno al 1300 mentre quelle minime attorno al 1450.

Industria rurale e produzione urbana di lusso


Nel XV secolo la produzione di panni di buona qualità si estese anche ai piccoli centri urbani e ai villaggi agricoli.
Si passò quindi da una produzione su vasta scala ad una di lusso. In seguito alle crisi di mortalità dovute alla
peste, le ricchezze vennero “accumulate” nelle mani di possidenti sopravvissuti. Quindi, da una parte, una
massa numerosa ma non ricca, richiedeva merci di qualità ordinaria, dall’altra una ristretta cerchia di persone
costituiva il mercato delle merci di lusso.

Autore: Diego Deplano, III F, Liceo Scientifico Brotzu, A.S. 2008/09

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