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In quest’ultimo capitolo cercheremo di analizzare Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

Anche in questo capitolo cercheremo di mostrare come anche in questo romanzo la decadenza dei Salina sia
dovuta all’incapacità di adattarsi ad un contesto sociale e politico mutato
Molti elementi del Gattopardo sono riconducibili ai Viceré. Innanzitutto le vicende storiche.
Entrambi i romanzi sono ambientati negli anni dell’unità d’Italia, anche se Lampedusa scrive Il
romanzo circa un secolo dopo degli avvenimenti. Un altro elemento in comune tra i due romanzi è
che la classe sociale al centro del romanzo è la nobiltà. Ma anche in questo caso c’è una differenza
molto evidente tra De Roberto e Lampedusa, infatti mentre quest’ultimo è un aristocratico che
analizza e critica la sua stessa classe sociale, De Roberto è un borghese che guarda e analizza i
nobili dallo spioncino della serratura. Il personaggio centrale del Gattopardo è il principe Salina,
ultimo dei Gattopardo, la decadenza della famiglia e dell’intera classe sociale è vista proprio dalla
prospettiva di questo personaggio. Abbiamo visto come in altri due romanzi che abbiamo trattato
fosse forte la caratteristica del conflitto generazionale: nei Malavoglia il conflitto era tra padron
‘Ntoni e ‘Ntoni, nei Viceré, invece, il conflitto era tra Giacomo e Consalvo. Anche nel Gattopardo
c’è un rapporto molto forte tra due personaggi di due generazioni diverse: Don Fabrizio e Tancredi.
Nei primi due paragrafi cercheremo di sviluppare proprio questi due elementi: nel primo proveremo
a vedere le caratteristiche principali di Don Fabrizio, mentre nel secondo analizzeremo il suo
rapporto con Tancredi Un terzo elemento interessante è vedere come nel Gattopardo, cosi come nei
Viceré è presente la classe sociale borghese emergente, la borghesia. Ma mentre nel romanzo di De
Roberto i Giulente erano rimasti sempre dietro agli Uzeda e non erano riusciti a sfruttare il
cambiamento dovuto all’unità d’Italia, in questo, con i Sedara, il passaggio di consegne dalla
aristocrazia alla borghesia è completa. Il terzo paragrafo sarà dedicato proprio ai Sedara, la famiglia
che prenderà l’eredità lasciata dai Salina.

Don Fabrizio Salina

Fabrizio è sicuramente il personaggio su cui ruota tutto il romanzo, è il personaggio principale,


Lampedusa ci mostra la sua decadenza fisica e psicologica, decadenza che può essere ricondotta a
quella dell’intera aristocrazia. Un primo elemento che vorremmo sottolineare di Don Fabrizio è
quello della consapevolezza. Consapevolezza non solo della crisi dell’aristocrazia, ma anche del
fatto che il potere di questa stessa classe sociale sia al termine e che nuovi personaggi si stanno
facendo strada. Tutti questi elementi sono ravvisabili, per esempio, nel colloquio tra Fabrizio e il Re
Ferdinando. In questo colloquio è evidente la decadenza nobiliare. La prima forma di degrado è di
tipo linguistico “[N]é Salina, beate quest’oucchie che te vedono”,1il dialetto, sicuramente, non è la
lingua che ci si aspetterebbe in una corte. In secondo luogo lo stesso ritratto che Lampedusa fa del
Re Ferdinando non è un ritratto di una persona all’auge della sua potenza. Anzi l’elemento che più
risalta dalla sua descrizione è la stanchezza. Questo è un elemento che accomuna Re Ferdinando e
Don Fabrizio “[D]ietro a queste scartoffie , il Re. Già in piedi per non essere costretto a mostrare
che si alzava; Il Re col faccione smorto fra le fedine biondiccie, con quella giubba militare di ruvido
panno da sotto la quale scaturiva la cateratta violacea dei pantaloni cascanti.”2 A tutto questo va
aggiunta la descrizione della corte, una descrizione di un luogo degradato “ si percorrevano
interminabili sale di architettura magnifica e di mobilio stomachevole(proprio come la monarchia
borbonica), ci s’infilava su anditi sudicetti e scalette mal tenute e si sbucava in un’anticamera” 3 .
Quindi la monarchia è l’esempio di come la classe aristocratica sia ormai alla deriva e sia in piena
crisi, e anche il narratore ha questa consapevolezza “ [E] mentre palleggiava pettegolezzi con
l’impeccabile ciambellano andava chiedendosi chi fosse desinato a succedere a questa monarchia
che aveva i segni della morte sul volto.”4
Un secondo elemento che vorremmo mostrare di Don Fabrizio è il suo profondo legame con la
terra siciliana. La sua immobilità, il fatto di estraniarsi dai fatti politici che avvengono e di
concentrarsi su cose lontane (come per esempio l’astronomia), è influenzata soprattutto dalla sua
sicilianità. Da questo punto di vista appare inevitabile analizzare il dialogo tra lo stesso Fabrizio e il
notabile piemontese Aimone Chevalley di Monterzuolo, giunto da Torino in Sicilia per chiedere a
Don Fabrizio di candidarsi alle elezioni per il senato del nuovo regno d’Italia. Questi due
personaggi rappresentano due concezioni diverse: il pragmatismo piemontese e il fatalismo
disingannato siciliano che l’unificazione italiana stenta a conciliare. Dal dialogo emergono molti
elementi di immobilismo: innanzitutto agli occhi di don Fabrizio c’è una differenza sostanziale tra
adesione e partecipazione. Mentre con il termine adesione Salina intende l’appoggio al regno
d’Italia senza una partecipazione attiva, con il termine partecipazione invece si intende il pieno
appoggio, quindi anche dal punto di vista dell’azione, al neonato regno d’Italia. Quello che emerge
dal discorso con Chevalley è la stanchezza: non solo la stanchezza di un personaggio che si accinge
a finire i suoi giorni, non solo la stanchezza di una classe sociale che ha compreso come il suo
potere è ormai finito, ma è la stanchezza di un intero popolo, quello siciliano “ [S]iamo vecchi
Chevalley, vBecchissimi. Sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di
magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori già complete e perfezionate, nessuna
germogliata da noi stessi, nessuna a cui abbiamo dato il là […]ll sonno, caro Chevalley, il sonno è
1
T. di Lampedusa, Il Gattopardo, Feltrinelli, Milano, 1963 p. 38
2
Ibidem
3
Ivi, p 37
4
Ivi p. 39
ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i
più bei regali; e, sia detto fra noi, ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi
nel bagagliaio. Tutte le manifestazioni siciliane sono manifestazioni oniriche, anche le più violente:
la nostra sensualità è desiderio di oblio, le schioppettate e le coltellate nostre, desiderio di morte;
desiderio di immobilità voluttuosa, cioè ancora di morte”. Questo è il clima in cui vive la Sicilia,
un clima che impone l’immobilismo. Non possiamo non notare tra l’altro il riferimento di Don
Fabrizio alla situazione politica dell’Italia e la sua profezia sull’incapacità del regno d’Italia di
riuscire a far sviluppare proprio la sua terra. L’immobilismo è dovuto anche al clima siciliano un
clima che paralizza l’azione “questo clima che c'infligge sei mesi di febbre a quaranta gradi; li
conti, Chevalley, li conti: Maggio, Giugno, Luglio, Agosto, Settembre, Ottobre; sei volte trenta
giorni di sole a strapiombo sulle teste; questa nostra estate lunga e tetra quanto l'inverno russo e
contro la quale si lotta della Bibbia; in ognuno di quei mesi se un Siciliano lavorasse sul serio
spenderebbe l'energia che dovrebbe essere sufficiente per tre; e poi l'acqua che non c'è o che
bisogna trasportare da tanto lontano che ogni sua goccia è pagata da una goccia di sudore; e dopo
ancora, le pioggie, sempre tempestose che fanno impazzire i torrenti asciutti, che annegano bestie e
uomini proprio li dove una settimana prima le une e gli altri crepavano di setecon minor successo;
Lei non lo sa ancora, ma da noi si può dire che nevica fuoco, come sulle città maledette”. Così come
era successo nei Buddenbrook, anche nel Gattopardo si ha un’incapacità a seguire il mutato contesto
sociale e politico, e il personaggio principale (in questo caso Don Fabrizio, nel caso dei Buddenbrook
Thomas) non possono fare altro che attendere la morte come elemento di salvazione dalle sofferenze della
vita.

Tancredi e don Fabrizio

La figura di Tancredi è stata definita come quella del deuteragonista5. Abbiamo detto come anche
nel Gattopardo così come nei Viceré e nei Malavoglia ci sia un forte rapporto tra due personaggi di
generazione diversa. Anche se in questo caso il rapporto è meno conflittuale, anzi Tancredi diventa
per Don Fabrizio una speranza per il futuro. Un’ altra differenza sostanziale con gli altri romanzi è
il fatto che mentre nei Viceré e nei Malavoglia si trattava di rapporti tra padre e figlio, qui il
rapporto è tra nipote e zio. In realtà don Fabrizio ha un figlio maschio, Francesco Paolo, considerato
però non all’altezza. Tancredi diventa il pupillo del Gattopardo. Tancredi è l’altra medaglia di Don
Fabrizio, se quest’ultimo è disingannato rispetto al futuro, non ha più voglia di agire, Tancredi è

5
V. Spinazzola, Il romanzo antistorico, Editori Riuniti, Roma, 1990
colui che vuole agire, colui che vuole essere protagonista della storia. Le scelte liberali di Tancredi
sono fatte per cavalcare i tempi e avvantaggiarsi dai suoi cambiamenti. Anche il matrimonio tra
Tancredi e Angelica segue questa stessa logica. Tancredi ha ancora quell’ambizione, persa ormai da
Fabrizio “quell'ambizione che ancora sorregge Tancredi Falconeri, che degli eventi si serve a fondo,
sposa la causa del vincitore Garibaldi, accetta il matrimonio con Angelica, la figlia dell'uomo nuovo
Calogero Sedàra, il borghese che sorge dalla rovina della nobiltà feudale, per averne il denaro
necessario alla carriera politica; anch'egli uomo senza illusioni, ironico, scettico come lo zio intorno
al futuro dell'Italia unificata, eppure inteso, a differenza del principe Fabrizio, a profittare della
situazione, fingendo fedi che non ha, entusiasmi in cui non crede, non meno disilluso nel fondo, non
meno chiaroveggente, ma deciso a usare della propria intelligenza per ottenere vantaggi dal nuovo
ordine politico, pur senza lasciarsi mai compromettere in esso, restandone anzi distaccato con la sua
segreta e desolata ironia.”6 Un esempio di ciò è ravvisabile nella lettera che Tancredi manda a Don
Fabrizio per pregare lo zio di chiedere a suo nome la mano della bella Angelica. Le motivazioni che
Tancredi trova per questa unione vanno proprio nella direzione appena indicata “Tancredi si
abbandonava a lunghe considerazioni sulla opportunità, anzi sulla necessità che unioni tra famiglie
come quella dei Falconeri e quella dei Sedàra  (una volta si spingeva fino a scrivere arditamente
"casa Sedàra") venissero incoraggiate per l'apporto di sangue nuovo che, esse recavano ai vecchi
casati, e per l'azione di livellamento, dei ceti che era uno degli scopi dell'attuale movimento
politico, in Italia.”7 Lo stesso Fabrizio nel giustificare l’amore del nipote nei confronti della giovane
Sedara non farà altro che ribadire questo concetto “segue i tempi, ecco tutto, in politica come nella
vita privata”. È chiaro dunque l’amore di Fabrizio nei confronti di Tancredi, amore superiore a
quello nei confronti dei suoi stessi figli. Questo è evidente non solo nel confronto con Francesco
Paolo, ma anche con la figlia Concetta. Questa differenza di affetto è ravvisabile nel momento in
cui la giovane, attraverso Padre Pirrone, chiede lumi al padre sulla risposta da dare ad un’eventuale
richiesta di matrimonio da parte di Tancredi. Lampedusa si esprime cosi nei confronti dei
sentimenti di Don Fabrizio “ Egli amava molto Concetta […] ma amava ancor più Tancredi.”
Questo amore per Tancredi è dato dal fatto che il nipote costituisce per lo zio una speranza,
speranza non solo per il futuro della famiglia, ma speranza per tutta la nobiltà di poter far sentire
ancora la propria voce anche se attraverso una mutazione dovuta al cambiamento dei tempi.
Tancredi è il vero erede della nobiltà, nobiltà che però deve riuscire a convivere con quella che è la
borghesia, il ceto emergente. Per questo motivo il matrimonio tra Tancredi e Concetta non è
sicuramente funzionale a questo progetto di rilancio. Le difficoltà derivano in primo luogo di tipo
economico. Tancredi, infatti, aveva bisogno di una sicurezza economia che Concetta non sarebbe
6
G. Barberi Squarotti, Poesia e Narrativa del secondo novecento, Mursia, Milano, 1961 p. 279
7
Ivi p.110
riuscita a soddisfare ” Soldi? Concetta avrebbe avuto una dote, certo. Ma la fortuna di casa Salina
doveva essere divisa in otto parti, in parti non eguali, delle quali quella delle ragazze sarebbe stata
la minima. Ed allora? Tancredi aveva bisogno di ben altro: di Maria Santa Pau, per esempio, con i
quattro feudi già suoi e tutti quegli zii preti e risparmiatori; di una delle ragazze Sutèra, tanto
bruttine ma tanto ricche.” In secondo luogo la stessa Concetta non appare allo stesso Fabrizio in
grado di sostenere Tancredi nel suo roseo futuro “Concetta con tutte le sue virtù passive sarebbe
stata capace di aiutare un marito ambizioso e brillante a salire le sdrucciolevoli scale della nuova
società? Timida, riservata, ritrosa come era? Sarebbe rimasta sempre la bella educanda che era
adesso, cioè una palla di piombo al piede del marito.” Ma l’impossibilità più grande deriva dal fatto
che in quel determinato periodo storico il matrimonio tra due aristocratici non è funzionle "La
ragazza deve avere un sentimentuccio per quel briccone. Sarebbe una bella coppia, ma temo che
Tancredi debba mirare più in alto, intendo dire più in basso."

I Sedara

Come abbiamo già detto, cosi come nei Viceré anche nel Gattopardo è presente la figura della
nuova borghesia emergente, dei nuovi ricchi. E mentre nei Viceré il passaggio di consegna tra
aristocrazia e borghesia non avverrà mai, nel Gattopardo questo passaggio dalla nobiltà alla
borghesia è molto evidente. La famiglia Sedara infatti è la famiglia che prenderà il posto dei Salina.
Due sono i personaggi della famiglia Sedara su cui noi porremo la nostra attenzione: il primo è Don
Calogero, sindaco di Donnafugata , il secondo è sua figlia Angelica. Il passaggio dai Salina ai
Sedara è visto agli occhi di Don Fabrizio da un lato come inevitabile dall’altro come un tratto della
decadenza dei tempi “[N]oi fummo i Gattopardi, i Leoni: quelli che ci sostituiranno saranno gli
sciacalletti, le iene”8. Se nei Viceré i Giulente erano sempre osteggiati dalla famiglia Uzeda ed
erano vittime delle angherie della famiglia siciliana, nel Gattopardo è molto evidente la distanza
che intercorre tra Fabrizio e don Calogero, distanza che il narratore non cessa di sottolineare. In
primo luogo è molto singolare la rappresentazione della moglie di don Calogero che viene definita
così da Tomasi: “ era questa una specie di contadina, bellissima, ma giudicata dal marito stesso, per
più d’un verso, impresentabile”9 . Questa distanza tra la vecchia nobiltà e la nuova borghesia è
evidente soprattutto durante la cena tra la famiglia Sedara e i Salina. Differenza che è innanzitutto
nei vestiti: “Il suo sconforto fu grande e durava ancora, mentre meccanicamente si avanzava verso
la porta per ricevere l'ospite. Quando lo vide, però, le sue pene furono alquanto alleviate.
Perfettamente adeguato quale manifestazione politica, si poteva però affermare che, come riuscita
sartoriale, il frac di don Calogero era una catastrofe. Il panno era finissimo, il modello recente, ma il
8
Ivi p. 185
9
Ivi p.79
taglio era semplicemente mostruoso. Il Verbo londinese si era assai malamente incarnato in un
artigiano girgentano cui la tenace avarizia di don Calogero si era rivolta. Le punte delle due falde si
ergevano verso il cielo in muta supplica, il vasto colletto era informe, e, per quanto sia doloroso è
pur necessario dirlo, i piedi del sindaco erano calzati da stivaletti abbottonati.”10 In realtà anche la
figlia di don Calogero, Angelica non si presenta in grande stile, però i difetti di quest’ultima sono
abbondantemente compensati dalla sua bellezza .“ La prima impressione fu di abbagliata sorpresa. I
Salina rimasero col fiato in gola; Tancredi sentì addirittura come gli pulsassero le vene nelle tempie.
Sotto l’urto che ricevettero allora dall’impeto della sua bellezza, gli uomini rimasero incapaci di
notare, analizzandola, i non pochi difetti che quella bellezza aveva”.11 Angelica sarà la donna amata
da Tancredi, il suo tratto distintivo è sicuramente la bellezza, quella bellezza che risveglia i desideri
carnali di don Fabrizio “mentre inzuccherava la tazza di tè tesagli da Angelica, si accorse che stava
invidiando le possibilità di quei tali Fabrizi Corbèra e Tancredi Falconeri di tre secoli prima che si sarebbero
cavati la voglia di andare a letto con le Angeliche dei loro tempi senza dover passare davanti al parroco,
noncuranti delle doti delle villane (che del resto non esistevano) e scaricati della necessità di costringere i
loro rispettabili zii a danzar fra le nova per dire o tacere le cose appropriate. L'impulso di lussuria atavica
(che poi non era del tutto lussuria ma anche atteggiamento sensuale della pigrizia) fu brutale al punto da
fare arrossire il civilizzatissimo gentiluomo cinquantenne, e l'animo di lui che, pur attraverso numerosi filtri,
aveva finito con tingersi di rousseauiani scrupoli, si vergognò profondamente; dal che venne dedotto un
ancor più acuto ribrezzo verso la congiuntura sociale nella quale era incappato.” 12

10
Ivi p. 90
11
Ivi p. 91
12
Ivi p 109

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