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Leonardo Sciascia

Sciascia fu un maestro elementare che proveniva da un paese della Sicilia, Racalmuto (provincia di
Agrigento). Muore nel 1989 a Palermo. Sciascia è già un intellettuale nuovo: a differenza degli
intellettuali del dopoguerra, tende a non avere rapporti organici con i partiti. La forza della sua
attualità sta nella lucidità del suo pessimismo, nella denuncia della corruzione e dei complotti
del potere.

Opere
Sciascia scrisse molte opere. La sua prima opera, Le parrocchie di Regalpetra, è fatta di storie, spesso
raccontate da un maestro ambientati in questo paesino (Regalpetra), che richiama in qualche modo
dal nome stesso il suo paese natale. Il filo rosso che unisce questa raccolta con un’altra opera Gli zii
di Sicilia è un filo politico. Quest’opera è una raccolta di racconti; tra più importanti ricordiamo: La
morte di Stalin e L’antimonio, nome che deriva da una sostanza esplosiva → la storia è quella di
un minatore che lavora in una zolfara che per povertà decide di arruolarsi nella guerra spagnola e di
partire combattendo con i fascisti, convinto che il fascismo aiutasse i poveri e che si schierasse a
fianco delle masse. Quando il protagonista arriva in Spagna si rende conto che è totalmente diverso di
come gli avevano raccontato: che i fascisti aiutavano i ricchi e, si accorge anche che la guerra è
terribile. Quando torna vorrebbe comunicare agli altri quello che ha scoperto, che non era vero che il
fascismo era dalla parte delle masse popolari come si sosteneva, però in realtà nessuno è disposto
realmente ad ascoltarlo. Si sente un richiamo a Levi, per cui tutte le tragedie non possono essere
dimenticate ma si imprimono nella coscienza.

Il giorno della civetta: è un romanzo breve; il titolo è tratto da un passo dell’Enrico VI di


Shakespeare: «come la civetta / quando di giorno compare». Spiega Sciascia che il riferimento è al
fatto che la mafia una volta agiva in segreto, era un animale notturno come la civetta,
mentre oggi ha raggiunto ormai un potere talmente grande da poter agire alla luce del giorno: da qui
il titolo del romanzo. Il romanzo è costruito su un doppio binario e i capitoli sono tutti molto
brevi: il protagonista è il Capitano Bellodi, che viene da Parma ma che vive in Sicilia che comincia ad
indagare su un delitto, Colasberna, un piccolo imprenditore locale, fu ucciso una mattina all’alba in
una piazza circondato da gente e presto si rese conto che questo omicidio è riconducibile ad una
questione di mafia. Tra l’altro il romanzo è ambientato in un paese, probabilmente Sciacca, perché
ciò che ispirò l’autore è stata la morte del sindacalista Accursio Miraglia proprio a Sciacca nel 47.
Nel frattempo, al commissariato si presenta anche una donna, che denuncia la scomparsa del marito,
Paolo Nicolosi, e riferisce a Bellodi il nome del probabile assassino del marito: Diego Marchica detto
Zicchinetta. Nicolosi sarebbe stato ucciso da Zicchinetta perché aveva visto lo stesso Zicchinetta
sparare a Colasberna. Viene infatti negato il carattere mafioso degli omicidi, dal momento
che per l’assassinio di Nicolosi è accusato l’amante della moglie.
Attraverso una serie di incontri, avvenimenti e interrogatori Bellodi giunge alla verità, anche se in
questo cammino verso la verità fu costretto a imbattersi in cose terribili, fino a che tutto lo riporta alla
figura di Don Mariano Arena che era veramente il mafioso della zona e, con cui ha un dialogo
molto forte da uomo a uomo. Nel romanzo si fronteggiano due personaggi ideologici: il
protagonista, portatore dei valori riformistici e democratici dell’Italia post-resistenziale, e il
capomafia, che espone una visione del mondo con radici profonde nella realtà siciliana e fondato
sull’immobilità della storia e sul valore della singola individualità. I capitoli che narrano la storia del
capitano e la indagine che sta svolgendo si frammentano in capitoli in cui invece i protagonisti sono
anonimi e sono per lo più dei politici o pezzi grossi, e dai loro dialoghi si evince che vi è in qualche
modo esiste un potere politico che sta proteggendo qualcosa e in un certo senso cerca di far chiudere
l’inchiesta poiché troppo pericolosa e perché potrebbe far emergere che in realtà la mafia è un vero
e proprio sistema, quindi in questi capitoli si capisce che il sistema di protezione di don Mariano
Arena è molto più di vasto di quello che si pensi e anche la politica così come lo Stato di Roma sono
coinvolti ognuno con differenti interessi. E alla fine sapremo che, anche se il protagonista ha
raggiunto la verità, Bellodi fu rispedito a Parma, ma esprime la volontà di ritornare in Sicilia per
combattere la mafia. Quindi la verità viene si scoperta ma il colpevole non è assicurato alla giustizia
→ elemento tipico dei romanzi di Sciascia.

Incipit del Giorno della civetta

• Il romanzo si apre con l’omicidio di Colasberna.


• Subito si crea un atmosfera dove tutto sembra essersi fermato: il bigliettaio era diventato
pallido e tremava; il panellaio cominciò ad allontanarsi; nell’autobus nessuno si mosse e l’autista
era come impietrito. Le persone sembrano aver perso la vista, vengono definite “facce di ciechi, e
anche la parola, poiché quando il bigliettaio chiede chi era il morto, nessuno risponde.
• Al finale appaiono delle donne siciliane, che di solito parlavano ma ora sono avvolte dal silenzio.
Ciò è importante nell’opera perché quando inizierà l’inchiesta della polizia nessuno
parlerà, il silenzio che ci viene descritto è il silenzio dell’omertà → per Sciascia la mafia si nutre
dell’omertà, si nutre del silenzio, che ostacola quindi le indagini e “protegge” la mafia.

Sono particolarmente importanti della produzione di Sciascia duo opere: La scomparsa di


Maiorana e L’affaire Moro → sono particolarmente significative perché Sciascia inventa un
genere nuovo il cosiddetto ‘pamphlet’, un genere che mescola narrazione e cronaca.
Nell’affaire Moro, Sciascia interviene su un tema importantissimo: il rapimento di Moro.
Successivamente al suo rapimento Sciascia fa una sua propria ricostruzione dei fatti attraverso lettere
e documenti. Secondo l’autore, che poi è la versione in cui tutti hanno sempre creduto, i brigatisti non
vollero uccidere Moro ma furono quasi costretti perché la democrazia cristiana non fece nulla per
liberarlo poiché Moro in quel momento stava stringendo un patto con il PC, che dalla democrazia era
visto come destabilizzante.
Nell’opera La scomparsa di Maiorana si dedica ad un altro forte tema: il rapporto tra scienza
e politica, tra scienza e potere raccontando la storia di Maiorana, un grande scienziato siciliano, di
Erice. Era considerato uno dei più bravi del suo gruppo che diedero via a Roma agli studi che
portarono alla bomba atomica. Sciascia immagina che Maiorana prima degli altri si accorga che
la direzione verso cui sta studiando (ovvero la fusione dell’idrogeno) porterà alla creazione della
bomba atomica e alla dsitruzione dell’umanità e, nel momento in cui se ne accorge, decide di
scomparire. Secondo la teoria di Sciascia, Maiorana abbia voluto far perdere volontariamente le sue
tracce rifugiandosi in Sudamerica fino a che non morì lì in un convento.

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