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Antigone e lalba della legge

Gustavo Zagrebelsky
Lintera vicenda storico-spirituale e concettuale della legge nel corso dei
venticinque secoli di cui siamo figli altro non che il mutevole rapporto con il
diritto: lex e ius. Una duplice definizione sarebbe necessaria. Ma, forse, quel che
segue la render superflua.
Poll ta dein d inizio al celeberrimo primo stasimo di Antigone, nel quale Martin
Heidegger vedeva la sintesi profetica e premonitrice del sorgere e declinare della
civilt occidentale. Molte cose mirabili e, al tempo stesso, orribili sono gli esseri
umani e le loro opere, quando si prefiggono di dominare con artifici la natura
delle cose - per esempio, solcando il mare in tempesta - o di affaticare la terra,
piagandola con laratro e spossandola della sua energia. Ogni trasformazione
comporta divisioni e separazioni e queste, a loro volta, violenza e dolore.
LAngelus novus di Paul Klee, che Walter Benjamin portava nel suo bagaglio,
sospinto nelle ali spiegate dal vento incessante e irresistibile del progresso, della
modernizzazione e del nuovo e si volge indietro restando impietrito per le cose che
vede, tutte in una volta: cos restituita limmagine del deins sofocleo e, al
tempo stesso, se ne d la traduzione fedele in un linguaggio universale.
Il testo fondativo della nostra civilt giuridica - Antigone, appunto - una
riflessione sulla legge come deins (l"Ungeheuer" - il meraviglioso e orrifico della
traduzione di Friedrich Hlderlin). Solo cos inteso, si comprende il significato del
canto corale sulluomo e le sue conquiste, collocato allinizio dellazione tragica e
destinato a gettare sulla legge stessa una luce spaventosa di ambiguit.
Conosciamo abbastanza dellAtene del V secolo per comprendere che dietro il
contrasto tra il diritto di Antigone e la legge di Creonte stava un conflitto tra
resistenze arcaicizzanti e tensioni modernizzanti nel governo della citt. La
piccola fanciulla dallincontaminata fede nella santit dei vincoli di sangue, che
vola il bando di Creonte, il re, per rendere gli onori funebri al fratello, pur caduto
da traditore portando le armi contro la propria patria, non propriamente leroina
della giustizia, della coerenza morale assoluta e della ribellione al sopruso, come
tutti noi labbiamo vista, nel tempo, alieno da compromessi, della nostra
giovinezza.
Non astratta contesa tra norma morale e legge del potere. La lotta mortale di
Antigone e Creonte metteva i cittadini di Atene, riuniti nella rappresentazione
teatrale, di fronte al non risolto contrasto politico che, a quel tempo, divideva gli
animi e le fazioni. Da una parte, le radici tradizionali della citt, lo ius "non
scritto e non mutabile, che non di ieri n di oggi, ma da sempre, di cui ignota
la rivelazione"; lo ius che vale per le cerchie umane vincolate da comunanza di
sangue con al centro la famiglia, che si richiama perci alla struttura gentilizia
originaria della polis, radicato nei legami vitali e quindi nel culto dei morti ed
cementato dal senso dellonore e della fedelt particolare, di cui depositario
lelemento femminile della societ.
Dallaltra parte, la forza innovatrice di una societ-stato proiettata a divenire
potenza egemone del mondo greco, fondata su leggi proclamate vittoriosamente
alla luce del sole ("raggio di sole, luce, la pi bella che apparve a questa Tebe

dalle sette porte") per valere universalmente; leggi che esigono ubbidienza
uniforme e incondizionata, spezzano lunit dei legami interpersonali e familiari,
travolgono eros, amore coniugale, sentimento paterno, fraterno e filiale, ignorano
la contiguit del sangue e sono garantite dallelemento maschile della societ, il
re, unico e supremo legislatore.
Questa tragedia della realt divisa - nel giudizio di Hegel, "una delle opere darte
pi eccelse e a ogni riguardo pi perfette di tutti i tempi" - assurge cos a simbolo
dellesito funesto generato dal reciproco disconoscimento di ius e lex, del diritto
profondo e stabile dei legami sociali, impersonato da Antigone, e della artificiale e
mutevole legge pubblica dello Stato, impersonata da Creonte: esito radicale di
morte fisica per Antigone e di morte spirituale - noi diremmo: totale
"delegittimazione" - per Creonte, rigettato dai suoi concittadini e ripudiato perfino
in casa propria, del quale alla fine "resta un nulla".
Antigone rappresenta un inizio. La legge affacciava appena la sua pretesa e la sua
legittimit era fortemente contestata. Il poeta tragico, nei passi affidati al coro
degli anziani, parla per la citt in uno dei suoi luoghi sacri - il teatro -. Egli insiste
sulla follia e lassurdit della santa intransigenza di Antigone, ribelle alla legge, e
la sfiora perfino con un motto di disincantato dileggio per linanit della sua
ribellione. Per, manifestamente, parteggia per lei e cos - si pu supporre - anche
i suoi concittadini, partecipi dellazione tragica, parteggiavano per lei.
Oggi, la parabola sembra conclusa con il totale rovesciamento dei punti di
partenza. Conosciamo solo pi leggi scritte e mutevoli, che sono di ieri, di oggi e
certamente non pi di domani; sappiamo chi e quando le ha proclamate, in quali
circostanze, per quali interessi e con quali propositi. La silenziosa sacralit del
diritto stata soppiantata dalla verbosa esteriorit della legge. Lo Stato da
tempo una machina legislatoria. Solo da questa fucina ci si aspetta che esca il
diritto, senza sapere quale potr essere, poich ci dipende da chi, di volta in
volta, riuscir a impadronirsi dei comandi di quella macchina.
La legislazione ha invaso tutti gli ambiti dellesistenza umana, perfino i pi privati
e per lungo tempo refrattari a norme esteriori, come quelli delle relazioni affettive
tra le persone: la famiglia, la convivenza, i rapporti tra genitori e figli. Lo
straordinario e incessante sviluppo delle applicazioni della tecnologia a
manifestazioni della vita, un tempo lasciate alle regole della natura e delle scienze
naturali, concorre alla moltiplicazione delle leggi: la procreazione, la lotta contro
le malattie, luso dei tessuti e degli organi umani, il contrasto delle forze
dellinvecchiamento, la morte - apre nuovi sterminati campi allintervento
necessario della legge; cos, ugualmente, le nuove tecniche della comunicazione a
distanza, della raccolta e dellelaborazione dei dati pongono problemi di
protezione dei diritti personali che richiedono leggi sempre nuove. La stessa
madre terra, fino a non molti decenni fa considerata creatura autosufficiente,
base sicura della vita degli esseri animati, necessita ora di reti giuridiche di
protezione dei suoi equilibri, seriamente minacciati dallo sviluppo distruttivo delle
attivit dei suoi figli. Onde pu dirsi che non c dimensione dellesistenza che
non sia oggetto di cura da parte del diritto, nella forma della legge positiva. E
perfino per soddisfare lesigenza, oggi particolarmente sentita, di restituire
allautonomia delle scelte e delle responsabilit individuali e sociali, settori
dellesperienza umana, come quelli delliniziativa economica, occorre

paradossalmente moltiplicare, non ridurre il numero delle leggi. Leconomia


aperta di mercato unistituzione non meno artificiale di una qualunque forma di
economia guidata e, per essere costruita e difesa, anche contro quel diritto
privato che costituito dai patti daffari stipulati negli studi legali delle grandi
imprese commerciali e delle finanziarie internazionali, necessita anchessa di un
castello di norme imponente. La non da oggi invocata e mai attuata, in Italia
come altrove, politica della riduzione e semplificazione legislativa contraddetta
da sviluppi della legislazione esattamente opposti.
Se mai occorresse una conferma concreta di che cosa significa la metafora della
macchina legislativa, basterebbe gettare uno sguardo a Le leggi dItalia, di cui si
celebra oggi il quarantennale della pubblicazione. La prima edizione del 1963 (che
la Biblioteca della Corte costituzionale ha da tempo distrutto e sostituito, per
consunzione dovuta alla nostra quotidiana, indispensabile consultazione) era
costituita da trentatr poderosi volumi; ora cresciuta a settantotto volumi.
Aggiornamenti mensili, contenuti in fogli opportunamente definiti "mobili", danno
corpo allimmagine di una bufera legislativa che mai non resta: leggi nuove;
modifiche alla vecchie, pro futuro e retroattive; leggi temporanee, transitorie, di
sanatoria, sperimentali, di interpretazione autentica ed errata corrige; testi unici
della pi varia natura; sentenze costituzionali con portata normativa: tutto ci,
moltiplicato per le molte autorit normative, centrali, regionali, locali e
sopranazionali, che operano con lintento che nulla sfugga alla pi minuta
regolazione giuridica.
Il mondo del diritto saturo di leggi. La legalit, quale corrispondenza alla legge,
rimasta sola unit di misura giuridica e ha scalzato la legittimit, quale
rispondenza al diritto. Anzi, si impadronita di essa, come allinizio del secolo
scorso Max Weber aveva antiveduto, quando aveva parlato di legalit come
esclusiva forma di legittimit dellepoca moderna, unepoca di comportamenti
politici, economici e sociali tendenti alla razionalizzazione, alla standardizzazione,
alla pianificazione, allomologazione, rispetto ai quali lo Stato, a sua volta, sempre
pi assume i caratteri di unimpresa tecnicizzata, funzionalizzata, funzionarizzata
e burocratizzata, per la quale la legge lequivalente del flusso vitale in un
organismo vivente. Il linguaggio comune, anche qui sintomo infallibile di una
condizione spirituale, ha registrato questa traiettoria. Per dire che ho ragione
secondo legge, definir legittima, non legale la mia pretesa, tradendo tuttavia con
ci la nostalgia per una dimensione giuridica perduta - la legittimit del diritto,
appunto - e rendendole inconsciamente omaggio. E ci accade anche per il
linguaggio specialistico: con lespressione Stato di diritto, dallOttocento in poi, si
designa in realt uno stato di leggi, uno stato meramente legale.
Questa nostra condizione di individui legalizzati ci appare perfettamente naturale
e non pensiamo neppure che sia stata possibile unaltra condizione; preferiamo
ignorare che la condizione originaria non affatto questa e non ci sfiora il dubbio
che, forse, neanche ora, a ben pensarci, sia esattamente cos.
I secoli che separano noi da Antigone sono stati un confronto a fasi alterne tra il
diritto e la legge. Il dominio della legge sul diritto, anzi la fagocitazione
monopolistica del secondo a opera della prima, sono il prodotto di poteri politici
astratti, di grandi dimensioni anche spaziali, sviluppatisi prima accanto e poi
contro le strutture sociali tradizionali concrete di piccole dimensioni, tramite

unamministrazione burocratica del diritto. Il diritto romano repubblicano, per


esempio, non ancora fu questo. Anche se comprendeva leggi, cio decisioni del
popolo riunito in assemblea rivolte a tutti cittadini, non era un diritto legislativo.
Era un insieme, fuso in unit da responsa di giuristi non inquadrati in
burocrazia, di mores arcaici, di interpretazioni sacrali delle XII tavole, di
programmi giurisprudenziali fissati nelleditto pretorio. Onde si parlato di
latente dualismo - ancor oggi percepibile attraverso le fonti pervenuteci nella
forma della codificazione giustinianea - tra ius civile, custodito e sviluppato da
esperti giuristi circondati di prestigio sociale, e lex regolatrice di ci che diremmo
la dimensione pubblica della vita; un dualismo non teorizzato dai romani e
tuttavia vissuto come dato caratterizzante la propria esperienza giuridica e
politica. E anche quando poi i giuristi furono chiamati a cooperare con la potestas
imperiale, divenendone funzionari, i pi consapevoli di loro rappresentarono non
semplicemente il dominio del principe in forma legale (le constitutiones imperiali)
ma, nella continuit della tradizione, la legittimit del potere.
Che cosa sia stata lesperienza giuridica dellet di mezzo non si presta a essere
colto in una formula semplificatrice. Dal crollo dellautorit politica centrale, la
societ frammentata espresse il suo diritto dal quale il particolarismo legato alle
situazioni e alle tradizioni locali e i privilegi di status potevano trarre vigore. Nello
ius commune confluiva il diritto canonico, con la sua inimitabile flessibilit
adatto ad accogliere nel suo seno questa realt complessa, e il Corpus iuris
romano, riscoperto sul finire dellXI secolo e reso vitale nella nuova situazione a
opera delle scuole dei glossatori. Questa stilizzata rappresentazione non rende
giustizia dellesistenza di altre e affatto pluralistiche dimensioni del diritto: il
diritto naturale cristiano che teorizzava il primato politico della Chiesa, nel nome
del quale lEuropa si accese dei roghi della Santa Inquisizione; lopera dei legisti
che lavoravano sul diritto romano imperiale, fautori della ragion di Stato. In ogni
caso, lincidenza della legge, fosse essa ecclesiastica o civile, restava rara,
marginale, disorganica.
La situazione spirituale, che accompagnava quella politica, inizi a cambiare a
tutto favore della legge tra il Cinque e il Seicento, quando apparvero le prime
teorie esclusivistiche del diritto, legate allassolutismo politico. Oggi siamo portati
a dare peso decisivo, nella formazione dello spirito giuridico del tempo, alle
dottrine dello stato assoluto, prime fra tutte alla Repubblica di Jean Bodin e al
Leviatano di Thomas Hobbes. Per il diritto, pi importanti furono per le visioni
naturalistiche, come quelle tratte dalla matematica o dalla geometria. Esse non
esistono pi, come tali, ma la loro influenza sulla formazione della mentalit
"scientifica" della nostra giurisprudenza ancora oggi decisiva. Ad esempio,
secondo Gottfried W. Leibniz, il diritto dovrebbe consistere in definizioni
razionalmente stabilite, che si sviluppano le une dalle altre, come nel
ragionamento matematico, producendo proposizioni valide e vere in se stesse
come lobbiettiva legge dei numeri che stanno al di sopra di tutti (Dio compreso)
e valgono, in una sfera superiore, indipendentemente dal fatto concreto che ci sia
qualcuno che fa di conto e che ci sia qualcosa da contare.
Lassolutismo monarchico del Seicento-Settecento si aliment di queste e altre
consimili teorie esclusivistiche. Ma ancora al tempo della rivoluzione del 1789, la
lotta del sovrano per imporre il dominio della sua legge in tutto il regno era lungi
dallessere conclusa. Il contrasto che fino allultimo oppose il re ai Parlamenti era
il residuo della vecchia e tenace opposizione tra leggi nuove del re e le antiche

strutture feudali francesi. I Parlamenti di Antico Regime, organi politicogiudiziari, erano una sorta di giustizia costituzionale di controllo sugli atti
generali del re in nome della tradizione. Per il loro tramite, la nobilt di roba in
varie circostanze cerc di imporre una sorta di dispotismo nobiliare, volto
allindietro, contro il dispotismo legale del re, volto al futuro. La loro politica,
spesso corrotta, di miope chiusura allinnovazione e di bigotta difesa dei privilegi,
fu oggetto di critica feroce da parte dei philosophes (il Trattato sulla tolleranza di
Voltaire trae spunto dalla condanna capitale del mercante ugonotto Jean Calas,
pronunciata dal Parlamento di Tolosa) e fu uno dei non ultimi motivi scatenanti
degli avvenimenti del 1789. Trois sont les flaux de la Provence: le Mistral, le
Parlement et la Durance, diceva una filastrocca, popolare a Aix-en-Provence.
La rivoluzione in Francia chiude il ciclo aperto con loriginaria sconfitta di
Antigone. Il diritto divenuto sola legge e la legge solo potere. Di fronte a esso, ci
sono solo sudditi. Creonte, e con lui lassolutismo nel diritto, hanno vinto la loro
battaglia. La rivoluzione ha effettivamente portato a compimento il progetto
monarchico che in due secoli non era riuscito a imporsi completamente. quanto
Mirabeau scriveva segretamente a Luigi XVI, un anno dopo i primi fatti
rivoluzionari, per incoraggiarlo a non porre ostacoli: Confrontate il nuovo stato di
cose con lantico regime; da questo confronto nascono il conforto e la speranza.
Una parte degli atti dellassemblea nazionale, ed la parte maggiore,
palesemente favorevole a un governo monarchico. Non vi sembra nulla essere
senza Parlamenti, senza corpi separati, senza ordini del clero, della nobilt, dei
privilegiati? Lidea di formare una sola classe di cittadini sarebbe piaciuta a
Richelieu: questa superficie tutta uguale facilita lesercizio del potere. Parecchi
periodi di governo assoluto non avrebbero fatto per lautorit regia quanto questo
solo anno di rivoluzione. La storia prese una piega diversa, a favore non del re ma
del popolo. Ma, quanto alla legge, lintuizione di Mirabeau fu esatta: la rivoluzione
non aveva rotto con lassolutismo regio, ma lo aveva portato a compimento.
Da allora, la legge lo strumento per tutte le avventure del potere, quale che esso
sia, democratico o antidemocratico, liberale o totalitario. La forza di legge stata
al servizio, di volta in volta, della ragione rivoluzionaria dei giacobini; del
compromesso moderato tra il monarca e la borghesia liberale, contro il
socialismo; dellautoritarismo liberale della fine dellOttocento; delle riforme
democratiche dellinizio del Novecento e delle dittature di destra e di sinistra che
ne sono seguite. La legge era la legge, benefica o malefica, moderata o crudele che
fosse e nessun diverso diritto le si poteva contrapporre. Lo stato che operava
secondo leggi era, per ci solo, legale e legittimo.
Il fascismo e il nazismo si fregiarono perfino del titolo "scientifico" di stati di
diritto, e lo poterono fare perch la forza di legge, di per s, non distingue diritto
da delitto. Avventurieri del potere e perfino movimenti criminali, organizzati con
tecniche efficaci per la conquista spregiudicata del potere, hanno preteso
legittimit per le loro azioni alla stregua di leggi fatte da loro stessi per mezzo del
controllo totale, da essi acquisito, delle condizioni della produzione legislativa:
consenso sociale, opinione pubblica, fattori tecnici parlamentari e governativi.
Con la conseguenza che i poteri chessi venivano attribuendosi potevano certo
dirsi legittimi, nel senso di legali, essendo al contempo scientificamente
qualificabili come poteri auto-proclamati e auto-conferiti. Con il che si giunse al
colmo: la legalit divenuta modo dessere di gangsters, secondo la vibrante
denuncia di Bertolt Brecht e perfino secondo lammissione di uno che se ne
intendeva per esperienza diretta, Carl Schmitt.

Il deins insito nella legge si era manifestato a sufficienza. La memoria di quelle


brucianti esperienze ha reso le generazioni che sono seguite diffidenti, perfino nei
confronti della legge regolarmente votata in Parlamento o deliberata direttamente
dal popolo in referendum. Ma, per porre limiti e organizzare cautele, ogni altro
strumento diverso dalla legge era andato perduto da un secolo e mezzo. Lo ius
antico era stato distrutto. La societ era irrimediabilmente mutata. Essa non
produceva legittimit se non, per lappunto, attraverso le procedure della
legislazione. Lunico strumento a disposizione per limitare il legislatore era,
ancora, soltanto una legge, ma dotata di una "forza" maggiore di quella ordinaria,
la forza di legge costituzionale. Alle Costituzioni ci si affid, scrivendovi cataloghi
di diritti inviolabili e principi di giustizia inderogabili e prevedendo in essa
meccanismi e organi di garanzia: procedure speciali per cambiarle, capi di Stato
"garanti della Costituzione", come quello previsto dalla nostra Costituzione, e
Tribunali costituzionali, come la Corte costituzionale.
Non cera evidentemente altro da fare. Il positivismo giuridico, cio la riduzione
del diritto a sola legge positiva, precludeva ogni soluzione diversa da quella di
porre unaltra legge, la legge pi alta. Ma sarebbe stata davvero la soluzione? Il
seme del dubbio stava gi in una piccola, profetica frase detta da Joseph De
Maistre, il critico dell89: Come pu dirsi che la Costituzione vincola tutti, se
qualcuno lha fatta?. Come pu impedirsi che quel qualcuno - individuo o popolo
opportunamente evocato - come ha posto la Costituzione, cos la sospenda, la
eluda, la violi o la modifichi, al di fuori delle garanzie che la Costituzione stessa
ha posto per difendersi da tutto questo? una contraddizione, unaporia, un
circolo vizioso che ricorda lo stallo in cui era caduto il barone di Mnchhausen.
Come si pu contare sul potere per difendersi dal potere? Le Carte costituzionali
sono s una garanzia, ma non ultima, solo penultima.
Questo il paradosso del costituzionalismo del nostro tempo. Le leggi, e tra
queste la Costituzione, possono molto ma non tutto. Esse formano come una
grandissima costruzione, ma non pi solida di un castello di carte, in quanto il
loro fondamento sia posto solo in se stesse: cio, in ultima analisi, nel potere.
Antigone ci ammonisce ancora: senza ius, la lex diventa debole e, al tempo stesso,
tirannica. La scommessa del costituzionalismo sta tutta qui: nella capacit della
Costituzione, posta come lex, di diventare ius; fuori dalle formule, nella capacit
di uscire dallarea del potere e delle fredde parole di un testo scritto per farsi
attrarre nella sfera vitale delle convinzioni e delle idee care, senza le quali non si
pu vivere e alle quali si aderisce con calore. Per usare ancora le nostre categorie,
la Costituzione, nel suo senso profondo, pu dirsi il tentativo di restaurare una
legittimit nel diritto, accanto alla sua legalit. Sar pur vero, come stato detto,
che la legittimit restaurata non che un paradiso artificiale; ma il primo compito
di chi agisce per la Costituzione per lappunto di trascendere lartificio per
trasformarlo in forza culturale, vivente nella natura della societ; di trasferire
progressivamente la Costituzione dallarea della decisione politica che divide, crea
inimicizie e conflitti a quella consensuale della cultura politica diffusa. Sotto
questo aspetto, noi, come giuristi e particolarmente come costituzionalisti,
dobbiamo, per la parte che ci compete, umilmente riconoscere la nostra colpa, per
non avere adempiuto fino in fondo il nostro dovere. Sia pure mossi dalle migliori
intenzioni - farla vivere nella meccanica dellordinamento giuridico - labbiamo
isolata nel mondo del puro diritto positivo trascurando il compito, altrettanto, se
non pi essenziale, di farla valere come forza costitutiva di un idem sentire

politico, diffuso in tutti gli strati sociali. Cos, alla fine, abbiamo trascurato
proprio la difesa pi importante e labbiamo esposta inerme ai rischi che possano
provenire da una volont politica, quale che essa mai sia, che volesse
procedere contro di essa in forma di legge.
Mercoled, 11 maggio 2005
Antigone e lalba della legge
di Gustavo Zagrebelsky (La Repubblica, 25.06.2003)
Il Dialogo - Periodico di Monteforte Irpino
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Direttore Responsabile: Giovanni Sarubbi
Registrazione Tribunale di Avellino n.337 del 5.3.1996

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