Sei sulla pagina 1di 9

Storia della Musica

Dall’antichità al Medioevo
La scrittura musicale nell’antichità

 La creazione e la fruizione della musica posero fin dall’antichità


un grosso problema: la riproduzione e la trasmissione dei suoni. Nell’Introduzione alla musica di Alipio
La tradizione orale non poteva, infatti, assicurare che il modello sono contenute le tavole illustrative dei
iniziale fosse tramandato nella sua forma originale. due sistemi:
 Nella civiltà occidentale, la prima forma di notazione risale alla
Grecia antica. Il primo esempio scritto di cui siamo in possesso è
un frammento di un coro dell’Oreste di Euripide del V sec. a. C.
Sappiamo, dunque, che i Greci avevano due sistemi di notazione
musicale: la KRUSIS (usata per la musica strumentale, si serviva
delle lettere dell’alfabeto fenicio diversamene inclinate) e la
LEXIS (usata per annotare la musica corale adottava le lettere
dell’alfabeto ionico, in gruppi di tre, con l‘aggiunta di segni
sussidiari per i suoni oltre l‘ottava che poteva essere compresa
nelle ventiquattro lettere).
 In età romana i caratteri greci vennero sostituiti con quelli latini e
il sistema sopravvisse fino al Medioevo.
Per avere un esempio di trasposizione sul pentagramma di un documento di musica greca si prenda in
considerazione il cosiddetto Epitaffio di Sicilo, il cui testo ci è pervenuto integro, compresa la notazione musicale
posta sopra le parole.
Si tratta di un breve testo, databile II-I secolo a. C., iscritto su una pietra tombale con notazione vocale.

Ecco il testo così come ci è pervenuto:

I quattro versi possono essere resi in italiano in questo


modo:

Finché vivi, risplendi


E non addolorarti affatto,
per un breve momento è il vivere,
il tempo reclama il suo compimento.
 Si tratta di un brano di genere diatonico al modo frigio. L’intervallo di quarta del tetracordo, cioè, si ottiene qui con
distanza rispettivamente di tono, semitono, tono. I due tetracordi disgiunti formano l’ottava completa. Utilizzando
come valore assoluto della prima nota il mi, avremo la seguente scala discendente:

mi - re - do diesis - si // la - sol - fa diesis - mi.


 Il valore delle lettere dell’alfabeto ionico, secondo il sistema di notazione vocale, risulta essere il seguente (tenendo
conto che in questo caso l’alterazione è indicata dalla prima lettera del gruppo triadico, la nota senza alterazioni dalla
terza e con l‘aggiunta di un segno sussidiario per il mi grave):

 Per quanto concerne la durata, essa può essere determinata con esattezza grazie ai segni di superallungamento, dal
momento che essa non corrisponde più alla quantità breve e lunga di ciascuna sillaba. Nel caso di questo documento si
arriva fino a valori di tre tempi. Il tempo che si ottiene è di sei ottavi. Si noti anche come su una sola sillaba potevano
essere collocate più note (in questo caso fino a tre).
 Al di sopra delle lettere dell’alfabeto ionico troviamo, infatti, i segni di durata: a partire dal IV secolo circa era
divenuta sempre più frequente la dissociazione della durata della nota dal sistema metrico dei versi. Fu così necessaria
un’ulteriore simbologia per indicare una lunga di due tempi (makrà dìchronos), = ; di tre tempi (makrà trìchronos)
=  ; di quattro tempi (makrà tetràchronos) =  ; di cinque tempi (makrà pentàchronos) =  .
La notazione neumatica
 Fra il VI e VII secolo, quando Gregorio Magno riordinò il canto liturgico, la notazione alfabetica fu
sostituita con quella neumatica, che utilizzava dei segni particolari detti, appunto, neumi.
 I principali neumi usati erano: il punctum, la virga, il pes o podatus, la clivis, lo scandicus, il climacus, il
torculus, il porrectus. Erano piccole linee derivate dagli accenti e volte in su e in giù venivano disposte
sopra o sotto il rigo e collocate sopra le sillabe delle parole del testo da cantare. Erano dei segni tutt’altro
che precisi, si limitavano ad indicare il movimento ascendente o discendente della voce per richiamare
alle orecchie quelle melodie liturgiche che gli allievi della Schola Cantorum erano costretti ad imparare a
memoria.
 Le note musicali partivano dal LA in quanto era considerato il suono più grave del sistema perfetto greco.
 Nella notazione per musica vocale si fece, col tempo, sentire l’esigenza di riprodurre in maniera più
precisa i movimenti della voce così si iniziarono a tracciare delle linee in rosso sopra le parole che
rappresentavano la voce ferma. La prima linea indicava il DO, la seconda (aggiunta in un secondo
momento) indicava il FA; tuttavia, non era ancora ben chiaro il concetto di chiave per stabilire il
significato della linea.
Guido d’Arezzo e i modi ritmici
 Col tempo i neumi assunsero una forma distinta e furono collegati da una linea in
cui dei segni particolari indicavano le chiavi di DO e FA. Fu grazie a Guido
d'Arezzo (995-1050) monaco benedettino nel monastero di Pomposa (Ferrara) che
ebbe inizio la notazione moderna. Egli infatti elaborò il tetragramma (un rigo
musicale di quattro linee) e denominò le note con le prime sillabe della prima
strofa dell'Inno a San Giovanni. La prima nota "UT" fu successivamente chiamata
"DO". Le sillabe e le note, così staccate dal contesto, venivano a creare una scala
di sei suoni detta esacordo.
 Egli conservò i segni alfabetici usati come chiave di lettura della notazione, gli
stessi in uso ancora oggi, la cui trasformazione è frutto di una lenta evoluzione
dovuta alle interpretazioni dei vari copisti.
 Lo sviluppo del  contrappunto portò anche ad una maggiore precisione nello
stabilire la durata delle note, nacque così la  notazione mensurale. Il primo
tentativo, quello dei modi ritmici si rifaceva a quello della metrica dell'antica
Grecia che alternava la combinazione di due valori: la longa e la brevis. La loro
diversa combinazione dava origine a sei modi ritmici.
 Nel XIII sec. Francone da Colonia aggiunge due nuovi valori: la maxima o duplex
longa e la semibrevis. All'inizio del XIV sec., in Francia venne introdotto un
nuovo valore: la semibrevis minima. Seguirono poi la semiminima, la fusa e la
semifusa.
UT queant laxis
REsonare fibris «Affinché possano cantare
con voci libere
MIra gestorum
le meraviglie delle tue gesta
FAmuli tuorum i servi Tuoi,
SOLve polluti cancella il peccato
LAbii reatum dal loro labbro impuro,
Sancte Johannes o San Giovanni»
 Si ebbero anche le prime pausa, un trattino verticale più o meno lungo in base alla
durata.
 Le note non avevano sempre la stessa durata, ma variavano a seconda del modus (che
regola i rapporti tra longa e brevis), del tempus (che regola i rapporti tra brevi e
semibrevi) e della prolatio (che regola i rapporti tra semibrevi e minime).
 Il tempus era distinto in perfetto e imperfetto.
 La prolatio era maggiore o minore.
 Nel XVII secolo apparve la stanghetta spezzabattuta e pian piano le note iniziarono ad
abbandonare la forma quadrata per diventare rotonde.
 Tuttavia, ancora oggi si assiste ad una continua ricerca di nuovi sistemi di scrittura in
quanto le nuove produzioni sonore, come quella elettronica, richiedono tecniche di
composizione diverse da quelle del passato per tradurre graficamente i nuovi mondi
sonori.

Potrebbero piacerti anche