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Alternativa news
In collaborazione con: Megachip
IN QUESTO NUMERO
1 Lera Monti e il pareggio di bilancio. Prima vittima la scuola? Di: Fabio Bentivoglio e Michele Maggino [ pag. 1/2 ] 2 Grecia: nuova ondata di scioperi. Arrestati alcuni sindacalisti Di: Redazione di Contropiano [ pag. 2/3 ] 3 Monti, la chiamata alle armi dellalta finanza Di: Paolo Ciofi [ pag. 3/4 ] 4 I debiti vanno pagati? No, se sono illegittimi Di: Debora Billi [ pag. 5 ] 5 Unofferta che non si pu rifiutare Di: Tmas Nnzi [ pag. 5 ] 6 Se il capitalismo divorzia dalla democrazia Di: Giorgio Cremaschi [ pag. 6 ] 7 Guerra alla Siria. E iniziato il conto alla rovescia Di: Marco Santopadre [ pag. 6/7 ] 8 Corsa verso la guerra finale? Di: Simone Santini [ pag. 7/8 ]
LEra Monti e il pareggio di bilancio. Prima vittima la scuola? - di Fabio Bentivoglio e Michele Maggino Megachip.
he cosa mai c'azzeccano le prove INVALSI con l'obiettivo di raggiungere il pareggio di bilancio dei conti italiani entro il 2013? Ce lo spiega Olli Rehn. Non sapete chi ? un signore finlandese dall'aria ragionevole e bonaria che ispira fiducia e che ci indica la strada per un futuro migliore dal suo nordico osservatorio distaccato. Olli Rehn il Commissario dell'Unione Europea agli Affari Economici e Monetari. Il 4 novembre 2011 ha inviato una lettera al nostro Ministro del Tesoro, chiedendo informazioni dettagliate sui provvedimenti annunciati dallallora Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi nella famosa lettera di promesse all'UE di fine ottobre. Ebbene, questa lettera (quella di Olli Rehn) per certi versi ancora pi agghiacciante di quella famigerata di agosto di Draghi e Trichet. Il nostro Olli ci fa capire in concreto che cosa vuol dire il commissariamento del nostro Governo da parte dell'UE e la riduzione di sovranit per il nostro Paese. Olli dice che non sufficiente quello che ha promesso il Governo italiano: servono misure aggiuntive per poter conseguire l'obiettivo di raggiungere il pareggio di bilancio. E allora ecco predisposto un prontuario sotto forma di domande, tanto per far vedere che non si tratta di ordini (che finirebbero tutti con dei bei punti esclamativi). Il questionario diviso in 11 capitoli per complessive 39 domande (qui si pu scaricare il testo completo tradotto in italiano). Il questionario in generale vuole sapere con quali strumenti legislativi e con quali tempi parlamentari il Governo italiano ha intenzione di procedere alla realizzazione delle promesse fatte e addirittura pone pure una scadenza immediata per avere le risposte precise. I vari capitoli affrontano argomenti di varia natura: si va dall'aggiustamento dei conti, alla riforma delle pensioni, alla riforma fiscale, al mercato del lavoro, all'uso dei fondi UE, alle liberalizzazioni, alle privatizzazioni dei beni pubblici. Il commissario dell'UE chiede tra l'altro esplicitamente quali provvedimenti di riforma si pensa di varare nel settore delle acque, malgrado i risultati del recente referendum?. Tra gli altri quesiti posti al governo italiano, quattro riguardano direttamente scuola e universit, anzi, per dirla con il linguaggio usato nella lettera da questi tecnocrati, riguardano il capitale umano . Ecco il testo letterale: 13. Quali caratteristiche avr il programma di ristrutturazione delle singole scuole che hanno ottenuto risultati insoddisfacenti ai test INVALSI? 14. Come intende il governo valorizzare il ruolo degli insegnanti nelle singole scuole? Quale tipo di incentivo il governo intende varare? 15. Il governo potrebbe fornirci ulteriori dettagli su come intende migliorare ed espandere lautonomia e la competitivit tra le universit? In pratica, che cosa implica la frase maggior spazio di manovra nello stabilire le tasse di iscrizione? 16. Per quanto riguarda la riforma delluniversit, quali misure e quali provvedimenti devono essere ancora adottati? Prima di proseguire bene chiarire, per chi non fosse dentro le faccende strettamente scolastiche, che cosa sono le prove INVALSI. L'INVALSI (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e Formazione) predispone annualmente delle prove scritte che hanno lo scopo di valutare
competitivit.
Tutti gli interventi dei grandi organismi internazionali (dal FMI, al WTO, alla Banca Mondiale) negli ultimi decenni, hanno mirato a creare un mercato mondiale omogeneo funzionale agli interessi della circolazione delle merci e dei capitali cancellando ogni differenza: le differenze in qualsiasi ambito della vita produttiva e culturale di una societ sono viste come impedimenti e rallentamenti alla libera circolazione delle merci e al loro consumo. Tutti dobbiamo avere le medesime competenze funzionali a questa ideologia. Traduciamo in chiaro: dopo la perdita della sovranit politica (v. programma di governo scritto dalla BCE), dopo la perdita della sovranit nazionale (v. guerra di Libia), dopo la perdita della sovranit monetaria, ora si esige anche la perdita definitiva della sovranit culturale. Si prendano dunque provvedimenti per quelle singole scuole che hanno ottenuto risultati insoddisfacenti alle prove INVALSI. I lumi della concorrenza e della competitivit globale non possono permettere che le singole scuole rimangano indietro rispetto al passo dei tempi del neo-neo-liberismo. E dunque, come penser il Governo italiano di intervenire sulle singole scuole e di alimentare merito e concorrenza? Quali provvedimenti saranno presi per incrementare la competitivit tra le universit? Non si tratta quindi di pareggio di bilancio ma di colpire al cuore l'essenza della cultura che consiste nel coltivare diversit di linguaggi, di visioni del mondo e nel promuovere il ventaglio delle tante possibilit esistenziali percorribili nel corso della nostra vita. Ci troviamo, oggi, novembre 2011, anni luce distanti dalla scuola cos come pensata e delineata dalla nostra Costituzione pi di 60 anni fa: come possibile che sia accaduto tutto ci? Come possibile che una parte degli insegnanti (si spera minoritaria) partecipi attivamente a questo processo di svuotamento culturale e professionale senza rendersi conto che per questa via il docente ridotto a semplice intermediario privo di ruolo e identit?
sindacale, (Olme) ha indetto per oggi un'astensione dal lavoro dalle 12.00 alle 14.00 - dalle 14.00 alle 16.00 per coloro che insegnano durante il pomeriggio - per dare la possibilit agli aderenti di partecipare alla manifestazione di protesta, davanti al Ministero della Pubblica Amministrazione, organizzata dall' Adedy, uno dei due sindacati maggiori della Grecia che raggruppa i dipendenti del settore pubblico. Alla fine della protesta i manifestanti andranno all'Ambasciata del Portogallo ad Atene per consegnare un messaggio di solidariet ai loro colleghi in sciopero. Ieri a protestare erano stati i lavoratori dell'azienda municipale per la raccolta dei rifiuti urbani, che hanno manifestato davanti al Ministero degli Interni ad Atene dopo che l'altro ieri avevano occupato l'ufficio del sottosegretario agli Interni. I lavoratori del settore denunciano la decisione del governo di mettere in mobilit migliaia di loro e di ridurre i loro stipendi. La situazione sociale ed economica nel paese balcanico si fa sempre pi difficile: secondo la Banca Centrale Ellenica ben mezzo milione di greci - su neanche 11 milioni di abitanti - vive in famiglie che non hanno alcuna fonte di reddito perch i suoi componenti sono tutti disoccupati. Proprio oggi i media greci sono concentrati sulla notizia che 'finalmente' il leader della ex opposizione di centrodestra, il segretario di Nuova Democrazia Antonis Samaras, ha deciso di sostenere i diktat previsti nei cosiddetti accordi tra Papandreou prima e Papademos ora con la Commissione Europea e i leader dei principali paesi dell'UE. Il finora recalcitrante leader del centrodestra ha inviato in tal senso una lettera al Presidente della Commissione europea, Jose Barroso, a quello dell' Eurogroup, Jean-Claude Juncker e al Direttore Generale del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde. Adesso bisogner vedere se l'assenso di principio di Samaras baster per concedere la sesta tranche di 'aiuti' ad Atene o se le istituzioni europee pretenderanno la firma, da parte di Samaras, di un impegno formale come gi richiesto nelle ultime settimane.
A Berlusconi, che gli chiedeva di fare il leader di un governo di centro-destra, il prof. Monti avrebbe risposto cos: i mercati vogliono le larghe intese (Corriere della sera del 12 novembre). Poche parole che in modo folgorante chiariscono il senso della fase che stiamo vivendo: innanzitutto, perch il Cavaliere alla fine sia stato costretto a scendere da cavallo, e perch al suo posto sia asceso l'austero supertecnico eurobocconiano. Gi da tempo i "mercati", come ha scritto pi volte l'Economist, non si sentivano garantiti da un personaggio giudicato impresentabile, troppo permeabile alle spinte populiste del leghismo, del tutto inabile come uomo di Stato e di governo. E al momento della resa dei conti hanno preteso che il governo Monti raccogliesse in Parlamento il consenso bipartisan di berlusconiani e antiberlusconiani. Come a dire che quando il gioco si fa duro, l'alternanza di governo nei sistemi politici attuali, praticata dentro il perimetro dell'alta finanza che dispone di uomini e cose, comporta una comune chiamata alle armi. E' la democrazia del Senato virtuale da tempo descritta da Noam Chomsky, altrimenti denominata dittatura del capitale, su cui nel Vecchio continente non si riflette a sufficienza. Ed la lampante controprova che oggi nel nostro sdrucito stivale come in Grecia, in Europa e nel mondo, i cosiddetti mercati, vale a dire una cerchia assai ristretta di proprietari universali, in prevalenza banchieri e finanzieri, sono in grado di imporre le loro scelte a intere nazioni e a milioni di esseri umani. Sebbene gli effetti delle loro azioni siano distruttive, possono farlo perch
entrano direttamente in politica, perch dispongono della forza politica adatta allo scopo. E' un processo in atto gi da decenni, che si imposto con la globalizzazione capitalistica. Per converso, coloro che subiscono la crisi oggi non hanno forza politica, e perci non sono in grado di prospettare concretamente un diverso ordine economico e sociale che incida sulle cause di fondo della crisi medesima, pur nel diffondersi della protesta e dell'indignazione. Questo il punto dirimente su cui dovremmo concentrare l'attenzione. Il governo Monti non affatto un governo tecnico. E' il governo politico delle banche e dei "mercati", ossia dei proprietari universali nell'et della globalizzazione del capitale. Composto da esperti di notevole valore, stato costruito in modo intelligente e colto, con aperture significative verso il mondo cattolico, sotto la regia di una persona proveniente da una scuola di alta politica, come era quella del comunismo italiano. Non un'operazione banale, ma il tentativo di recuperare una funzione egemonica da parte delle classi dirigenti del capitalismo in crisi, destinata comunque a lasciare il segno negli assetti economici e politici. L'assenza dei rappresentanti dei partiti nel governo non ne cancella il chiarissimo significato politico. Al contrario, nella fase del massimo discredito delle forze politiche, ne sottolinea massimamente la politicit, anche nel senso - esplicitamente dichiarato dal nuovo presidente del Consiglio - di riconciliare il Paese con la politica dopo le sconce esibizioni del Pulcinella milanese: ovviamente, con la politica dei detentori del potere economico. Di fronte al rischio Paese, Monti non propone un compromesso tra diverse classi sociali, che possono essere travolte dalla comune rovina. Non mira alla definizione
di un patto tra capitale e lavoro sul piano della pari dignit, tanto meno con il lavoro in posizione preminente come la Costituzione prevede. La sua missione volta alla costruzione di un equilibrio meno rissoso, pi avanzato e dinamico tra diverse componenti della nuova borghesia del XXI secolo, che con tutta probabilit porter a una scomposizione-ricomposizione degli schieramenti politici. E' un problema che riguarda tutti: il Pdl, il Pd, il Terzo polo, come pure la sinistra dispersa fuori dal Parlamento, i sindacati, le diverse espressioni dei movimenti sociali. Si aperta una fase nuova, e nelle intenzioni di chi la guida, dopo il fallimento dell'illusione berlusconiana e l'impraticabilit di una reale alternativa, si tratta di un tentativo di proiettare il sistema italiano all'altezza delle nuove configurazioni del capitalismo globale finanziarizzato, ricollocandolo in una posizione meno subalterna tra le potenze europee. Ma cosa vuol dire oggi, nel pieno della crisi, governo delle banche e dei "mercati"? In sintesi, vuol dire usare le risorse degli Stati nazionali, di tutti gli Stati nazionali, redistribuite attraverso i bilanci pubblici, per garantire una rendita stabile e sicura ai detentori del debito, oggi detto sovrano, che ormai non sono le famiglie ma appunto banche e "mercati", i proprietari universali. La priorit non pi quella di elevare la condizione sociale e culturale del Paese - e quindi di destinare risorse a finanziare la salute, la sanit e la previdenza, la scuola, la cultura e la ricerca pubbliche -, ma di stabilizzare la ricchezza finanziaria del sistema. L'orientamento dei "mercati" chiarissimo: o ad essi si assicura una grassa rendita nel tempo, oppure si ritirano e ti condannano all'insolvenza. E' gi successo negli anni Novanta al Messico, alle "Tigri asiatiche", alla Russia, all Argentina PAGINA 3 Alternativa news n53
Intere nazioni sono state depredate e distrutte, e adesso il turno dell'Europa. Uno stato delle cose che il prof. Monti si ostina a chiamare economia sociale di mercato. Per conseguire l'obiettivo di garantire ai detentori del debito una rendita grassa, sicura e stabile nel tempo, necessario mettere in efficienza tre pilastri (dicesi "efficientare", nel gergo orribile degli "strategisti" del business). Il rigore, perch senza il taglio della spesa pubblica non si liberano risorse e spazi d'intervento a vantaggio del capitale privato. La crescita, perch se non cresce l'economia reale i debiti alla fine non si possono pagare. E l'equit. Ma non nel senso costituzionale dell'uguaglianza nel rapporto di produzione, oltre che davanti alla legge. Bens nel senso che, eliminata ogni distorsione, tutti devono essere ugualmente disponibili a sottostare alla regola del "libero mercato", e quindi a farsi liberamente sfruttare dal capitale globale, magari in forme meno grevi e selvagge di quelle adottate dal liberismo della prima ora. E anche nel senso di attenuare sia pure simbolicamente le enormi disparit sociali, in modo che le misure di rigore non generino rivolte diffuse alimentando il disfacimento del sistema. Alla fine per non si va tanto per il sottile. Per intenderci, il moderno modello Marchionne, secondo il quale viene eliminato il contratto nazionale e cronometrato anche il tempo dei bisogni corporali, sembra del tutto soddisfacente. Se sei italiano, brasiliano o polacco non fa differenza: siamo tutti uguali, nella misurazione dei costi al ribasso. L'equit massima, ed vero che il capitale finanziario globale non guarda in faccia nessuno. L'operaio "garantito" perch ha conquistato un diritto, il precario che non sa cosa sia il diritto, lo scienziato, il prete, il poeta: tutti devono sentirsi ugualmente abili e arruolati alle sue dipendenze. Come ha detto Eugenio Scalfari alla Gruber senza ombra d'ironia, ormai siamo tutti liberali. Il dilemma : liberaldemocratici progressisti, o liberali conservatori? In ogni caso, un bel passo avanti verso il passato. Una materia nella quale il professore che adesso ci governa un vero specialista, avendo dimostrato da commissario europeo che, fissate le regole nell'interesse superiore del sistema, nessuno deve fare il furbo, compreso un potente come Bill Gates. L'importante non andare fuori strada. Perci i piromani che hanno appiccato il fuoco della crisi oggi a pieno titolo possono travestirsi da pompieri. Non risulta che il capo del governo, nelle sue dichiarazioni programmatiche, abbia proposto misure per mettere sotto controllo i "mercati", colpire la
. speculazione, abolire i paradisi fiscali che prosperano in Europa. N che abbia indicato programmi che cambino la qualit dello sviluppo a livello nazionale ed europeo, mettendo al centro la tutela del territorio, il risparmio energetico, il benessere sociale e innalzando il potere d'acquisto di salari e pensioni. Neanche sulla struttura tecno-burocratica della costruzione europea, che soffre di un evidente deficit di democrazia, come pure sull'anomala configurazione della Bce, il professore ha detto una parola. Pensa davvero che si possa uscire dalla crisi tagliando la spesa pubblica, dando una nuova spinta alle privatizzazioni, liberalizzando ulteriormente il mercato del lavoro e penalizzando le gi magre pensioni della stragrande maggioranza degli italiani? Vale a dire adottando a vele spiegate seppure senza dichiararlo - il modello dei "liberi mercati" americani? Lo stesso modello che ha spalancato la porta alla crisi globale, mentre sul fronte della vera equit fiscale, che riguarda le enormi rendite parassitarie e i grandi patrimoni, manca il coraggio per un effettivo cambiamento. Su questa strada si potr forse nel breve periodo, grazie soprattutto a uno stile diverso, ripulire il paesaggio dalle scorie pi tossiche del berlusconismo, ma di certo non si andr lontano. Siamo noi l'Europa, ha detto il professore. Ed vero: con la nostra storia, con la nostra cultura, con la nostra Costituzione e la civilt del lavoro, noi siamo l'Europa. Ma quale Europa? Oggi il Vecchio continente, dopo il crollo di Wall Street nel 2008, diventato l'epicentro della crisi e dunque un campo di battaglia, in cui ci si fronteggia non con le bocche da fuoco ma con le invisibili armi letali della finanza. L'assalto agli Stati nazionali da parte dei fondi speculativi prevalentemente titolati in dollari punta all'euro, e l'abbattimento dell'euro produrrebbe un effetto domino sconvolgente con il ritorno del dollaro come unica moneta di riserva su scala globale. Per la Germania, secondo Paese esportatore del mondo dopo la Cina, sarebbe un enorme svantaggio competitivo. Sulla nostra pelle si sta combattendo una vera guerra per il signoraggio delle monete. La cancelliera Merkel difende l'euro, ma nello stesso tempo, imponendo agli altri Stati l'obbligo del pareggio del bilancio per via costituzionale, mira a conformare l'assetto europeo sugli interessi della potenza leader. L'egoismo nazionalistico di Germania e Francia governate dalle destre non un buon viatico per uscire dall'emergenza. Anche perch la scelta strategica dei tedeschi, che hanno puntato tutto sulle esportazioni comprimendo salari
e spesa pubblica e quindi affossando la domanda interna, non sta dando risultati. L'effetto depressivo inevitabile e genera minori entrate spingendo all'indebitamento: per conseguenza si riaccende la miccia della speculazione in una spirale senza fine. Non pu essere questa la strada dell'Europa e dell'Italia, e sarebbe assai grave se il binomio MerkelSarkozy diventasse un terzetto con l'aggiunta di Monti. La via d'uscita dall'emergenza consiste nel rilancio della civilt del lavoro, ridimensionando la finanza e ponendola al servizio dell'economia reale. E' un strada che passa attraverso la riforma della Bce, l'impianto di una politica economica e fiscale europea, la determinazione di comuni standard sociali e salariali, nonch di livelli di welfare e di tutela dei diritti comunemente accettati. In una parola, si tratta di rovesciare le tendenze e le pratiche oggi in atto. Ma questo implica una lotta sociale e politica di vasta portata e con chiari obiettivi, in Italia e in Europa, che abbia continuit e forza organizzata. Chi la promuove? I movimenti, nella loro generosit e discontinuit carsica, sono necessari ma non sufficienti. Si dice: ci vuole una Costituzione europea. Benissimo, ma - bocciato il vecchio progetto - chi la scrive? Inevitabilmente la scriveranno i "mercati", se tutti quelli che subiscono le conseguenze pesanti della crisi, a cominciare dai lavoratori dipendenti e precari, giovani e donne, non si organizzano politicamente in una vasta coalizione. La subalternit al capitale e ai "mercati" diventa inevitabile non perch una legge di natura, ma perch non in campo una forza politica in grado di contrastarla offrendo un'alternativa. Perci, piuttosto che alimentare poco significative discussioni sulla morte della politica, necessario praticare un'altra politica. Vale a dire utilizzare in Italia la fase di transizione del governo Monti con l'obiettivo di contribuire a far convergere sul terreno programmatico le forze sociali oppresse e le diverse espressioni dei movimenti in una nuova dislocazione politicamente rilevante, in grado di pesare nella societ e nelle istituzioni. E' un'esigenza ineludibile: anche per far s che dal prossimo appuntamento elettorale, al quale si perverr sicuramente con gli schieramenti politici terremotati da questa fase di "decantazione", possa emergere ed essere vincente una alternativa democratico-costituzionale forte, stabile e avanzata.
I debiti vanno pagati? No, se sono illegittimi - di Debora Billi. Non sempre i debiti vanno pagati. Lo hanno
dimostrato Ecuador e Islanda, ma anche il Consiglio di Stato e la Provincia di Pisa che blocca i pagamenti alle banche. Ad un debito illegittimo, si pu dire di no. E' uno dei tanti mantra che i cittadini ripetono senza capire davvero che le implicazioni sono anzitutto psicologiche. "I debiti vanno pagati", un po' come "Equitalia punisce solo gli evasori" e "Mario Monti promette equit". Ma vero che "i debiti vanno pagati"? Oppure solo un meccanismo di autoconsolazione, che ci aiuta a rassegnarci alla spremitura generale che ci attende? Ripetendo questo mantra, ci siamo messi in fila ordinatamente come le mucche al macello in attesa dell'inevitabile fine. Eppure, c' chi ha voluto andare fino in fondo alla questione del debito del proprio Paese. Come Rafael Correa, Presidente dell'Ecuador, che ha istituito una commissione apposita che lo esaminasse fin nei dettagli. Ne avevamo parlato qui, e qui trovate l'intera relazione della commissione. Il responsabile della commissione ha dichiarato: oltre l'80% del debito corresponde a re-finanziamento e solo il 20% destinato a progetti di sviluppo. E' una violazione alla sovranit e alla dignit. Questo percorso di 30 anni di indebitamento non servito agli interessi dell'Ecuador ma solo alle necessit dei paesi creditori; ci sono notevoli indizi di un'attivit fraudulenta che ha convertito il debito in un mostro impagabile. Oltre all'Ecuador abbiamo l'esempio dell'Islanda, che ha istituito un'analoga commissione, non ha pagato nessuno e per giunta ha fatto arrestare i banchieri responsabili del disastro. Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di esempi estremi, esotici, da palme tropicali o paesaggi artici, impraticabili qui da noi. E invece, qualcosa si gi mosso: la provincia di Pisa ha riscontrato che il proprio debito in derivati, contratto con alcune istituzioni bancarie, ha tutte le caratteristiche dell'illegalit ed ha annullato unilateralmente tutte le operazioni in derivati. E il Consiglio di Stato gli ha dato ragione. Tra le motivazioni, che trovate qui nei dettagli, vediamo che le banche pretendevano di far valere qui la giurisdizione inglese, e che nei contratti esistevano "costi impliciti" di cui l'ente non era a conoscenza e di cui avrebbe subito l'aggravio per anni. Insomma, i debiti si pagano, ma non quando sono stati creati con l'imbroglio. E questo vale sicuramente per moltissimi enti locali italiani, che stanno affogando in debiti su operazioni incomprensibili e talvolta fraudolente. D'altronde, nessuno tenuto ad essere esperto in questioni finanziarie e per questo ci si fida dei consulenti. Se il medico d una cura sbagliata, la colpa non del paziente che "non si informato prima". Forse il nostro ultragoverno magico dovrebbe istituire una commissione di esperti, super partes (che non hanno lavorato per Goldman Sachs, per intenderci), allo scopo di dissezionare il debito italiano. Probabilmente ne scoprirebbero delle belle.
Dopo
Mi
capitato di partecipare a uno di quei talk show televisivi ove la confusione programmata per fare audience. L ho sentito Massimo Cacciari affermare con fastidio che, di fronte al fallimento della democrazia degli stati, persino ovvio accettare le necessit imposte dalleconomia globale. Tale terribile affermazione scivolata via e questo mi ha convinto che, dopo il postmoderno ed il postfordismo, il momento della postdemocrazia. Tanti intellettuali di sinistra hanno cos accettato lo stato di necessit alla base della costituzione del governo Monti. Tutte le munizioni della critica si sono esaurite nella lotta contro Berlusconi? La devastazione sociale e culturale di questi 20 anni stata terribile, cos come lo stato il logoramento della democrazia, ridotta sempre pi al pronunciamento popolare su un capo a cui affidare tutto. Mentre azienda e politica, mercato e potere si intrecciavano sempre di pi. Berlusconi, che oggi lamenta una democrazia sospesa, vittima dei meccanismi che ha costruito: il degrado del paese alla fine si concentrato sulla figura del suo capo. Pochi mesi fa Alberto Asor Rosa auspic una deposizione dallalto di Berlusconi. E questa alla fine c stata per opera di quella superiore autorit che oggi il mercato finanziario internazionale. Non illudiamoci, non siamo stati noi che abbiamo tanto lottato alla fine a far cadere il governo, ma lo spread. Come toccato alla Grecia, anche lItalia stata commissariata. Il ruolo del Presidente della Repubblica, la pacificazione nazionale vengono dopo questa presa di potere da parte mercati internazionali. I partiti si erano gi arresi da tempo. Lo si era capito gi un anno e mezzo fa quando Sergio Marchionne impose agli operai di Pomigliano di rinunciare a tutti i diritti pur di lavorare. Marchionne, come Monti, si presentato in veste austera e con la fama di borghese illuminato, e ha imposto le scelte pi feroci come stato di necessit di fronte alla globalizzazione. E il 95% del Parlamento lo ha sostenuto. Allora Marco Revelli si scagli con passione e intelligenza contro la FIAT e chi lappoggiava. Oggi si schiera a favore dellinevitabile necessit del governo Monti, che pure Marchionne ha sostenuto e difeso. Certo il governo non un amministratore delegato, anche se questo governo tecnico ci che ci somiglia di pi. Il punto che il programma di questo
governo esattamente la lettera della BCE, che a sua volta il programma unificato che viene imposto a tutti i governi europei dal capitalismo internazionale. Si sono utilizzati molti paragoni storici in questi giorni. Per me lunico davvero calzante quello con il 1914, quando lEuropa e la sinistra si suicidarono per fare la guerra. Oggi la guerra la schiavit del debito, che impone lo stesso stato di necessit, lo stesso appello allunit di patria, la stessa ricerca di un consenso unanime. Se guardiamo in questi giorni il telegiornale a reti unificate che viene trasmesso dalle principali reti italiane, sembra gi di essere in una informazione di guerra. Basta la caduta di Berlusconi a far accettare tutto questo? Per me no. Il governo Monti, con intellettuali di valore, espressione diretta di quella ideologia neoliberale che ha guidato la politica economica degli ultimi trentanni. La crisi economica attuale, la crisi della globalizzazione sono proprio il frutto di quelle politiche, eppure il programma economico e sociale del governo propone un rilancio di esse, giustificato da dichiarazioni di equit e da qualche taglio alla casta politica. Il programma del governo Monti un classico programma di destra economica liberale e per questo fallir. Non eviter il massacro sociale per la semplice ragione che il massacro gi in atto e le politiche liberali non lo fermeranno, quando non lo agevoleranno. E il sistema che e andato in crisi e non lo si salva certo con l unita nazionale attorno alle politiche di sempre. La guerra del debito va fermata e non invece combattuta fino al disastro. Occorre una radicale svolta nelle politiche economiche in italia e in europa,a favore del pubblico del sociale, ci vuole una drastica redistribuzione della ricchezza, altro che equit dei sacrifici per rassicurare i mercati. Il governo Monti fallir nel suo obiettivo di fondo, rilanciare la crescita, e la crisi si aggraver. A quel punto cosa succeder della nostra democrazia gi posta sotto il vincolo della necessit? Michele Salvati sul Corriere della Sera paragona Monti a un dictator romano, ma afferma che il suo compito pi difficile perch camera e senato dovranno approvare ogni sua iniziativa Quali poteri speciali verranno reclamati allora per il governo, se le cose dovessero peggiorare e se la logica politica rester la stessa? Dove ci fermeremo se ci fermeremo? Il capitalismo occidentale sta divorziando dalla democrazia, se si vuole salvare la seconda bisogna mettere in discussione il primo. Superato Berlusconi resta in piedi tutto il meccanismo ideologico e di potere che lha portato al governo in questi
anni. Credo che questo sottovalutino alcuni amici intellettuali profondamente impegnati. Io penso essi non abbiano colto la dimensione della crisi e anche quella delle forze in campo. Essi sperano che il governo Monti ci dia una tregua nella quale riorganizzare le forze per una alternativa reale al berlusconismo. Ma si sbagliano, la tregua non ci sar, ci sar invece lattacco allarticolo 18 e alle pensioni, ai bene comuni e alla scuola pubblica e non perch i nuovi governanti siano cattivi o prepotenti, ma perch questo il loro mandato. No, questa tregua non ci sar e per difendere la democrazia e cambiare davvero si dovr partire dallopposizione a questo governo e non dal consenso, seppure per necessit, ad esso.
alla il
Siria: conto
alla
di Marco Santopadre opo la Libia, pare che toccher alla Siria. Nonostante le rassicurazioni di diplomatici, analisti e militari negli ultimi giorni un coro di un intervento militare contro Damasco non allordine del giorno i segnali delle ultime ore sono inequivocabili. I governi di Stati Uniti e Turchia hanno invitato esplicitamente i propri cittadini a lasciare il paese o a non transitarvi. L'ambasciata Usa a Damasco ha esortato i cittadini statunitensi che si trovano in Siria a lasciare immediatamente il paese, finch ci sono voli disponibili. Il ministero degli Esteri della Turchia, invece, ha invitato i pellegrini di ritorno dalla Mecca a non passare per la Siria: nei giorni scorsi due pullman di pellegrini turchi che avevano sbagliato strada a Homs (epicentro della rivolta) sono stati presi a mitragliate, e tre sono rimasti feriti. I media di tutto il mondo, naturalmente, avevano accusato dellattacco i militari di Damasco. Per ovvio che il coinvolgimento di civili turchi nel conflitto interno alla Siria in questo momento fa gioco esclusivamente agli oppositori di Assad. Proprio la Turchia sembra rappresentare in queste ore il pi probabile terreno di partenza per eventuali attacchi militari contro la vicina Siria. Ieri il giornale satirico francese Le Canard Enchain aveva rivelato, citando fonti anonime del ministero della difesa di Parigi, l'esistenza di un piano per un'azione armata limitata preparato dalla Nato e da compiere a partire da basi turche, con la partecipazione di militari francesi, britannici e di Ankara. Il ministro
degli Esteri francese Alain Jupp per ora non ha smentito n confermato, per ha affermato che il suo paese sta lavorando allapertura di corridoi umanitari allinterno del territorio di Damasco. Per aiutare i civili siriani, la giustificazione ufficiale che riecheggia quelle gi ampiamente utilizzate per sostenere la necessit di un intervento militare contro la ex Jugoslavia prima e la Libia recentemente. Un ulteriore passo la Francia lo ha compiuto sempre ieri, quando il governo francese ha incontrato a Parigi un rappresentante del cosiddetto Consiglio Nazionale Siriano un CNT libico in versione siriana affermando di riconoscere questo organismo, nato sotto lala di Francia e Turchia, come il legittimo interlocutore del Quay DOrsay. Circola insistentemente voce a Parigi che militari e agenti dei servizi segreti francesi, e di altri paesi probabilmente turchi siano gi in territorio da settimane, attivi nelladdestramento alle arti della guerriglia di migliaia di disertori dellesercito libico e di miliziani inquadrati in quello che stato ribattezzato lEsercito Libero Siriano. Le fonti citate dal Canard Enchain parlano di Turchia base di un intervento limitato, prudente e umanitario della Nato, senza azione offensiva. Il settimanale interpreta tutto ci come un'operazione simile a quella condotta in Libia ma con differenze di forma legate al ruolo chiave della Siria nellesplosivo contesto mediorientale. La Nato difficilmente potrebbe intervenire direttamente contro la Siria senza scatenare la rabbia dei paesi e delle popolazioni dellarea che si sentono legate alle sorti del governo di Damasco. Un attacco diretto di potenze straniere contro la Siria potrebbe scatenare una reazione a catena e destabilizzare lintero quadrante: in Libano la guerriglia che fa capo a Hezbollah non potrebbe tollerarlo, cos come molte centinaia di migliaia di cittadini siriani che tuttora vivono nel piccolo paese. Per non parlare di un Iran gi accerchiato. Anche lo stesso governo di Ankara non potrebbe accettare una guerra su vasta scala guidata da Londra o Washington. Quindi lo scenario delineato dal settimanale francese sembra allo stato il pi probabile: permetterebbe alle potenze occidentali di essere della partita ma concedendo la leadership delloperazione alla Turchia. Intanto a Damasco si stanno facendo alcune mosse per evitare il conflitto aperto. Dalla stampa di Damasco vicina al governo si apprende che il regime starebbe approntando una nuova costituzione basata sul modello francese (!). Il testo, che dovrebbe sostituire quello in vigore dal 1973, in fase di preparazione da
settimane da parte di una commissione creata ad hoc. La nuova costituzione, che entrer in vigore solo dopo esser stata approvata da un referendum popolare, si baser sulla creazione di uno Stato democratico non dominato da un unico partito. La supremazia politica sar determinata solo dai risultati elettorali, si legge. Mentre per quanto riguarda l'elezione del presidente della Repubblica avverr in forma diretta, non pi tramite un referendum confermativo di quanto gi deciso dai vertici del Baath. La nuova costituzione sancir la divisione dei poteri e la protezione dei diritti umani e delle libert generali in base agli accordi internazionali firmati dalla Repubblica siriana. Secondo una fonte della commissione citata dal quotidiano al Watan, i lavori preliminari della squadra di giuristi potrebbero essere presentati in una conferenza stampa gi dopodomani. Ma secondo alcuni analisti sarebbe gi troppo tardi.
iraniane sulla controversa questione nucleare. Bench le cancellerie occidentali accusino da anni Teheran di volersi dotare del nucleare militare, prove in tal senso non sono mai giunte e l'organo predisposto, appunto l'AIEA, non ha finora mai potuto certificare, tramite i suoi continui controlli e ispezioni, scorrettezze nel dossier nucleare civile iraniano che infrangessero i protocolli del Trattato di Non Proliferazione sottoscritto dall'Iran. Durante la settimana si sono rincorse notizie che descrivono un clima internazionale di grave allarme. Da giorni il tema del nucleare iraniano campeggia sulle prime pagine della stampa di Israele con indiscrezioni secondo cui il primo ministro Netanyahu e il ministro della difesa Barak starebbero svolgendo la massima azione politica per convincere la maggioranza del consiglio dei ministri sulla necessit di un attacco preventivo contro l'Iran da compiersi quanto prima, al pi tardi la prossima primavera. A darne notizia per primo stato, il 28 ottobre scorso, Nahum Barnea, il giornalista di punta del maggior quotidiano israeliano, Yedioth Ahronot. Secondo Barnea a Tel Aviv si starebbero delineando quattro fazioni: la prima comprende i fautori delle sanzioni a oltranza e che escludono l'opzione armata per il timore di una massiccia rappresaglia missilistica dall'Iran e dal Libano; la seconda su posizioni attendiste e spinge per favorire un cambiamento di regime a Teheran sull'onda della primavera araba; la terza, che comprende comandi militari e dei servizi di sicurezza, sarebbe con varia intensit contraria all'attacco preventivo soprattutto per le difficolt tecniche e il dubbio che possa risultare davvero efficace; infine la quarta, guidata appunto da Netanyahu e Barak, rappresenta i partigiani della guerra secondo cui la finestra di opportunit per attaccare il nemico strategico starebbe per chiudersi e dunque giunto il momento dell'azione. Anche il paese sembra diviso sulla possibilit di una guerra. Il quotidiano Haaretz ha pubblicato un sondaggio d'opinione secondo cui il 41% del campione, rappresentativo della popolazione di Israele, sarebbe favorevole ad attaccare gli impianti nucleari iraniani, il 39% contrario e il 20% non ha risposto. Tuttavia la maggioranza, il 52%, si fida della valutazione e delle decisioni che vorranno prendere Netanyahu e Barak. Intanto, in ogni caso, Israele si prepara per l'eventualit pi grave. Il 3 novembre unesercitazione ha mobilitato il paese per quattro ore durante le quali si sono simulate le risposte dei sistemi di sicurezza e difensivi contro attacchi missilistici dall'esterno. Le forze armate hanno testato con successo un nuovo missile balistico capace di raggiungere l'Iran. E la scorsa settimana l'aviazione israeliana ha portato a termine una imponente esercitazione in Sardegna, utilizzando la base Nato di Decimomannu, con sei squadroni di cacciabombardieri impegnati a simulare azioni d'attacco su lunghe distanze con rifornimenti in volo e monitoraggio di eventuali difese radar nemiche. Bench le autorit ebraiche si affrettino a definire tutte quelle svolte come "esercitazioni di routine", esse, combinate con le indiscrezioni su Netanyahu e Barak, non fanno che aggravare la percezione di un clima prebellico. Netanyahu, come riportato
da tutta la stampa ebraica, citando come fonte il quotidiano kuwaitiano al-Arida, avrebbe ordinato un'inchiesta sulla fuga di notizie che si sospetta provenire da due ex massimi funzionari dei servizi segreti, Meir Dagan e Yuval Diskin, motivati da ragioni di risentimento personale. Il primo, in particolare, si sempre dichiarato contrario, anche pubblicamente, ad un attacco preventivo contro l'Iran, bollando in un'occasione l'ipotesi come la cosa pi stupida che abbia sentito in vita mia. Ma le fughe di notizie non provengono solo da Israele, con una convergenza temporale tale da far sospettare che ci sia davvero fuoco sotto la cenere. Il 2 novembre il britannico Guardian ha pubblicato un reportage secondo cui le forze armate del Regno Unito starebbero intensificando i preparativi in vista di attacchi missilistici degli Stati Uniti contro siti iraniani. In tale eventualit, Londra fornir senza esitazione all'alleato americano tutto il supporto militare che venisse richiesto bench nella coalizione di governo vi siano profonde riserve verso uno scenario di attacco preventivo. Gli strateghi della Royal Navy starebbero esaminando la migliore dislocazione possibile nell'area mediorientale delle unit navali, tra cui i sottomarini, dotate di missili di crociera Tomahawk e sarebbero pronti a concedere agli americani l'utilizzo dell'isola di Diego Garcia, nell'Oceano Indiano, gi usata come fondamentale base d'appoggio in precedenti conflitti nella regione. Secondo quanto riferito dal Guardian, numerosi alti funzionari inglesi di governo e delle forze armate sostengono che l'Iran tornato ad essere al centro delle preoccupazioni diplomatiche dopo la rivoluzione in Libia. Anche se Barack Obama non avrebbe intenzione di imbarcarsi in un nuovo conflitto, potrebbe esservi costretto proprio da un mutamento di scenario derivante dal prossimo rapporto della AIEA e da un atteggiamento pi aggressivo da parte iraniana, dimostrato anche dal complotto che prevedeva di uccidere l'ambasciatore saudita negli Usa, derivante anche da una capacit "sorprendentemente resistente" verso le sanzioni e gli attacchi cibernetici contro le installazioni nucleari che hanno avuto meno successo di quanto si pensasse. L'Iran starebbe implementando nuove e pi efficienti centrifughe per l'arricchimento dell'uranio spostandole in istallazioni sotterranee e fortificate nei pressi della citt di Qom. Per questo, secondo un alto funzionario governativo britannico, rimasto anonimo, oltre i 12 mesi non potremmo essere sicuri che i nostri missili possano essere efficaci. La
finestra si sta chiudendo, e il Regno Unito deve procedere con una pianificazione razionale. Gli Stati Uniti potrebbero farlo da soli [l'attacco], ma non lo faranno. Per cui abbiamo necessit di anticipare le loro richieste. Ritenevamo di avere tempo almeno fino a dopo le elezioni americane del prossimo anno, ma ora non siamo pi cos sicuri. Anche gli americani stanno riposizionando le proprie forze nella regione. A fine ottobre il New York Times annunciava l'intenzione del generale Karl Horst, capo di stato maggiore del Central Command (ovvero il Medio Oriente allargato, che va dall'Asia centrale fino al Corno d'Africa e l'Egitto), di lanciare l'operazione "ritorno al futuro". L'idea di compensare il ritiro delle forze combattenti dall'Iraq ampliando la presenza militare sulla penisola arabica, come ai tempi della prima guerra del Golfo, con nuovi stanziamenti in Kuwait, soprattutto, ma anche in Arabia Saudita ed Emirati, nonch inviando ulteriori contingenti navali in quello stretto braccio di mare che divide le monarchie arabe dall'Iran. Nonostante i tagli alle spese militari previste dal budget, gli Stati Uniti non smobilitano da questa regione nevralgica, al contrario, rilanciano. L'obiettivo strategico creare un'alleanza militare sempre pi strutturata con i paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Bahrein, Qatar, Oman, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Arabia Saudita), rendendo permanente quella prova generale di collaborazione gi vista con l'intervento in Libia. Quasi una Nato del Golfo persico. evidente come tale ristrutturazione miri ad accerchiare sempre pi la Repubblica islamica. Gli scenari fin qui illustrati puntano dritto verso un confronto militare o, come pensano alcuni analisti, fughe di notizie e pianificazioni militari servono per aumentare la pressione su Teheran, lanciando moniti credibili, per ottenere maggiori successi diplomatici? La risposta, in un senso o nell'altro, non tarder, probabilmente, ad arrivare. Nel frattempo, a fronte di un possibile conflitto con esiti devastanti, il movimento pacifista pare del tutto inerme ed impreparato. Torner ad agitarsi, forse, quando sar ormai troppo tardi. Ammesso che non lo sia gi ora. P.S. Mentre chiudevo l'articolo giunta questa Ansa, ore 20:37 del 4 novembre 2011: L'opzione militare nei confronti dell'Iran, da parte di Israele e di altri Paesi, sembra avvicinarsi: lo ha affermato stasera il capo dello stato israeliano Shimon Peres, in una intervista alla televisione commerciale Canale 2. I servizi di sicurezza di tutti i
Paesi comprendono che il tempo stringe e di conseguenza avvertono i rispettivi dirigenti ha aggiunto. A quanto pare - ha detto Peres - l'Iran si avvicina alle armi nucleari. Nel tempo che resta dobbiamo esigere dai Paesi del mondo di agire, e dire loro che devono rispettare gli impegni che hanno assunto, e far fronte alle loro responsabilit: sia che si tratti di sanzioni severe sia che si tratti di una operazione militare.