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LUGLIO 2022
Illustrazione di Chad Hagen
Fino a non molto tempo fa, tutte le volte che volevano assumere un CEO o un altro
membro del gruppo dirigente, le aziende sapevano cosa cercare: qualcuno che
avesse expertise tecnica, competenze amministrative superiori ed esperienze di
successo nella gestione di risorse finanziarie. Quando corteggiavano dei candidati
esterni, preferivano spesso dirigenti di aziende come GE, IBM e P&G, e di colossi dei
servizi professionali come McKinsey e Deloitte, che godevano di una buona
reputazione per lo sviluppo di quelle competenze nei loro manager.
Oggi questa pratica sembra appartenere alla preistoria. Negli ultimi due decenni è
cambiato così tanto che le imprese non possono più dare per scontato che dei
leader con il pedigree manageriale "giusto" avranno successo nella stanza dei
bottoni. Devono assumere executive in grado di motivare una forza lavoro
eterogenea, tecnologicamente avanzata e globale; di agire da “statisti” aziendali,
interagendo produttivamente con interlocutori che vanno da governi sovrani a ONG
influenti; e di applicare rapidamente ed efficacemente le loro skill in una nuova realtà,
non di rado in un settore che non conoscono e spesso con colleghi di cui fino a poco
tempo prima non sospettavano neppure l'esistenza.
Questi cambiamenti rappresentano una sfida enorme per il reclutamento degli
executive, perché le capacità richieste ai top leader includono competenze nuove e
spesso "più soft" che non vengono quasi mai riconosciute o promosse
esplicitamente nel mondo delle imprese. In poche parole, sta diventando più difficile
e meno prudente affidarsi a indicatori tradizionali del potenziale manageriale.
Cosa dovrebbero fare le organizzazioni per rispondere a questa sfida? Un primo
passo, decisivo, è mettere meglio in chiaro cosa occorre attualmente ai massimi
dirigenti per avere successo. Sì, la gamma delle competenze necessarie sembra
essersi allargata - ma esattamente come? Per esempio, cosa significa realmente
l'espressione "competenze soft"? E quanto varia l'esigenza di assumere executive
dalle competenze allargate?
Curiosamente, anche se negli ultimi anni sono stati esaminati a fondo quasi tutti gli
aspetti della leadership, mancano evidenze rigorose su questi aspetti cruciali. Per
scoprire di più - sulle capacità attualmente richieste, su come si sono modificate nel
tempo e su quali aggiustamenti stanno apportando le imprese al loro processo di
selezione dei candidati - abbiamo analizzato recentemente i dati forniti da Russell
Reynolds Associates, una delle società di executive search più importanti del mondo.
Russell Reynolds e i suoi concorrenti hanno un ruolo di primo piano nei mercati della
"manodopera" manageriale: tra l'80% e il 90% delle aziende che figurano nelle
classifiche Fortune 250 e FTSE 100 usano i servizi di queste società quando devono
prendere una decisione in tema di successione che comporta una scelta tra
candidati. (Avvertenza: Russell Reynolds ha effettuato recentemente ricerche di
manager per Harvard Business Publishing, la casa editrice della Harvard Business
Review).
Per questa ricerca, Russell Reynolds ci ha fornito quasi 5.000 job description che
aveva sviluppato in collaborazione con i suoi clienti tra il 2000 e 2017. Erano dati
sufficienti a studiare le aspettative in atto non solo per il CEO ma anche per altri
leader aziendali: il chief financial officer, il chief information officer, il responsabile
risorse umane e il chief marketing officer. A quanto ci consta, i ricercatori non
avevano mai analizzato prima d'ora una raccolta così esauriente di job description
per questi profili di vertice. (Per maggiori dettagli su come abbiamo elaborato i dati, si
veda il box "La ricerca").
Il nostro studio ha prodotto numerose indicazioni. La principale è questa: negli ultimi
due decenni le aziende hanno ridefinito significativamente i ruoli di vertice. Le
capacità tradizionali citate in precedenza - in primis la gestione di risorse finanziarie
e operative - rimangono preziose. Ma quando cercano dei top manager, in
particolare nuovi CEO, oggi le imprese attribuiscono meno importanza di prima a
quelle capacità, e danno invece la priorità assoluta a un altro requisito: un forte
orientamento alle abilità sociali. (Si veda il box: "Cercansi CEO che sappiano trattare
con le persone").
Quando parliamo di "abilità sociali" facciamo riferimento a certe abilità specifiche, tra
cui un elevato livello di autoconsapevolezza, la capacità di ascoltare e di comunicare
bene, la disponibilità a lavorare con diversi tipi di persone e di gruppi, e quella che gli
psicologi chiamano "teoria della mente" - ossia la capacità di intuire ciò che pensano
e provano gli altri. L'ampiezza del cambiamento intervenuto in questi ultimi anni in
direzione delle predette capacità è particolarmente significativa per i CEO, ma molto
pronunciata anche per gli altri quattro ruoli di vertice che abbiamo studiato.
La nostra analisi ha rivelato che le abilità sociali sono particolarmente importanti
dove la produttività dipende da una comunicazione efficace, come avviene
invariabilmente nelle grandi imprese complesse e ad alta intensità di competenze
che impiegano abitualmente società di executive search. In queste organizzazioni, i
CEO e gli altri senior leader non possono limitarsi a svolgere compiti operativi di
routine. Devono anche dedicare una quantità significativa di tempo a interagire con
altri e a promuovere il coordinamento - comunicando informazioni, facilitando lo
scambio di idee, costruendo un team di supervisione, e identificando e risolvendo
problemi.
Curiosamente, l'evoluzione del fabbisogno di competenze nella stanza dei bottoni
rispecchia gli sviluppi intervenuti complessivamente nella forza lavoro. Oggi, a tutti i
livelli della struttura organizzativa, sempre più mansioni richiedono abilità sociali
sofisticate. David Deming di Harvard, tra gli altri, ha dimostrato che queste posizioni
sono cresciute più rapidamente del mercato del lavoro nel suo complesso - e che
vengono pagate più della media.
Come si spiega questo cambiamento in direzione delle abilità sociali? E quali
implicazioni ha per lo sviluppo dei dirigenti, per il succession planning dei CEO, e per
l'organizzazione della C-Suite? In questo articolo offriamo delle considerazioni
preliminari.
ALTRI FATTORI
La nostra ricerca indica che il sempre maggior interesse per le competenze sociali
viene stimolato da altri due driver, che sono più difficili da quantificare ma possono
avere anch'essi un ruolo importante nel cambiamento in atto.
Social media e tecnologie di networking. In passato, i CEO non erano oggetto di
una particolare attenzione e non cercavano la luce dei riflettori. Mentre altri manager,
investitori e giornalisti si occupavano di loro, il grande pubblico li ignorava quasi
sempre, tranne nei casi di "celebrità" come Jack Welch di GE, Akio Morita di Sony e
Lee Iacocca di Chrysler.
Quell'era è finita. Poiché le aziende stanno abbandonando il vecchio primato degli
azionisti per focalizzarsi più ampiamente sul capitalismo degli stakeholder, i CEO e
altri senior leader sono destinati a finire sempre più nel mirino dell'opinione pubblica.
Sono obbligati non solo a interagire con una gamma sempre più vasta di referenti
interni ed esterni, ma anche a farlo personalmente, in modo trasparente e
responsabile. Non possono più affidarsi a funzioni di supporto - il team della
comunicazione, l'ufficio relazioni pubbliche e così via - per gestire tutti quei contatti.
Per giunta, i top manager devono gestire le interazioni in tempo reale, grazie alla
sempre maggiore prevalenza sia dei social media (che sono in grado di cogliere e
pubblicizzare passi falsi pressoché istantaneamente) sia di network come Slack e
Glassdoor (che permettono ai dipendenti di diffondere ampiamente informazioni e
opinioni sui loro colleghi e sui loro capi).
In passato, inoltre, gli executive dovevano essere in grado di spiegare e difendere
tutto quanto, dalle loro strategie di business alle loro pratiche di gestione delle
risorse umane. Ma lo facevano in un ambiente controllato, quando e dove faceva
comodo a loro. Oggi devono sapere costantemente come le loro decisioni vengono
percepite dai pubblici di riferimento. La mancata realizzazione delle loro finalità,
anche solo con un gruppo ristretto di dipendenti o di altri stakeholder, può essere
dannosa.
Dunque, le abilità sociali contano moltissimo. Gli inquilini della stanza dei bottoni
devono saper comunicare spontaneamente e prevedere quale sarà l'impatto delle
loro parole e delle loro azioni al di là del contesto immediato.
Diversity e inclusione. Un'altra nuova sfida che si pone ai CEO e ad altri senior
leader è la necessità di confrontarsi con i temi della diversity e dell'inclusione -
pubblicamente, empaticamente e proattivamente. Occorrono anche qui competenze
sociali elevate, in particolare la teoria della mente. Gli executive che possiedono
questa capacità di percepire la condizione psicologica degli altri possono muoversi
più agevolmente tra vari gruppi di dipendenti, farli sentire ascoltati e rappresentare i
loro interessi all'interno dell'organizzazione, in consiglio di amministrazione e con dei
referenti esterni. Ma soprattutto, possono promuovere un ambiente in cui
prosperano talenti eterogenei.
LA VIA DA INTRAPRENDERE
Come abbiamo visto, le aziende valutano ancora i senior leader sulla base di
competenze amministrative e operative tradizionali. Ma sono sempre più alla ricerca
di persone in possesso di competenze sociali sofisticate - specie se si tratta di
organizzazioni grandi, complesse e ad alta intensità di tecnologia.
Ma riusciranno davvero a cambiare le loro politiche di selezione? È una domanda
ancora aperta. La risposta dipenderà almeno in parte dalla capacità di imparare a
valutare efficacemente le abilità sociali dei candidati e dalla decisione di fare dello
sviluppo di queste competenze una componente essenziale delle loro strategie di
talent-management.
A nostro avviso, le imprese dovranno fare entrambe le cose per restare competitive.
A questo scopo, dovrebbero invitare business school e altre istituzioni educative a
mettere più enfasi sulle abilità sociali nei corsi MBA e nei programmi di executive
development, e dovrebbero chiedere alle società di executive search e ad altri
intermediari di mettere a punto meccanismi innovativi per l'identificazione e la
valutazione dei candidati. Ma dovranno agire diversamente anche loro. Nella
selezione e nella valutazione dei candidati esterni, dovranno dare la priorità alle
abilità sociali. Lo stesso discorso vale per la misurazione della performance dei
dirigenti in essere e per la fissazione dei loro pacchetti retributivi. Dovrebbero anche
fare delle abilità sociali un criterio decisivo per gli avanzamenti di carriera, e invitare i
capi a promuoverle nei collaboratori ad alto potenziale.
Negli anni a venire, alcune aziende potrebbero concentrarsi sul tentativo di
identificare e assumere leader "con le carte in regola"; altre potrebbero dedicare più
attenzione alla formazione e alla retention dei senior manager. Ma quale che sia
l'approccio che adotteranno, è chiaro che per avere successo in un ambiente di
business sempre più complesso, dovranno ripensare profondamente le loro pratiche
attuali.
Raffaella Sadun insegna Business Administration nella Strategy Unit della Harvard
Business School. Joseph Fuller è professore di Management Practice alla Harvard
Business-School e condirettore del suo progetto Managing the Future of Work.
Stephen Hansen è Professore associato di Economia alla Imperial College Business
School. PJ Neal è Global head of knowledge and operations per il Board & CEO
Advisory Group di Russell Reynolds Associates.
2. Competenze complementari
Quando pensano alla successione del CEO, oggi i board si trovano spesso di fronte a
una scelta imbarazzante tra due leader di talento che hanno aree di expertise molto
diverse - e sono entrambe necessarie al top dell'azienda. Come ci ha detto un
direttore delle risorse umane a proposito di due candidati alla posizione di CEO in
un'azienda della classifica Fortune 100, «Vorrei poterli fondere».
I co-CEO possono rappresentare una soluzione per questo dilemma frequente. In
Harris Poll, per esempio, John Gerzema e Will Johnson dicono che, condividendo il
ruolo di vertice, possono «dividere e imperare». Johnson dirige la funzione HR e le
business unit, mentre Gerzema è responsabile dello sviluppo commerciale,
dell'assistenza ai clienti e dell'innovazione. Ognuno può fare leva sui suoi punti di
forza. In Warburg Pincus - che è stata gestita congiuntamente per due decenni da
Lionel Pincus e John Vogelstein - Pincus raccoglieva i fondi e Vogelstein li investiva.
Più specifiche sono le competenze di ogni co-CEO, meglio è. Quando si
sovrappongono, il conflitto diventa più probabile.
5. Unità apparente
Anche quando hanno opinioni divergenti, i co-CEO devono parlare ai dipendenti con
una voce sola, perché il dissenso tra pari può creare confusione e indecisione in
tutta l'organizzazione. «Sono persone intelligenti», ci ha detto Ivascyn di PIMCO.
«Fanno in fretta a mettere in discussione l'autorità». Se i co-CEO entrano in conflitto
davanti al loro team, è importante che poi si ripresentino con una soluzione
condivisa. Quando si è trovata in gravi difficoltà e i suoi co-CEo non riuscivano a
mettersi d'accordo sulla direzione da intraprendere, Research in Motion ha avuto un
tracollo (anche se poi si è ripresa dopo aver cambiato leadership, strategia e nome).
In Jefferies, il team di vertice riporta a entrambi i leader. «Parlare con uno di noi
due», dice Friedman, «è come parlare con tutti e due».
8. Valori condivisi
I co-CEO falliscono quando hanno valori diversi. Per avere successo, devono
sviluppare una relazione fondata sulla trasparenza, sul rispetto, sulla fiducia e sul
compromesso.
9. Strategia di uscita
Il modello dei co-CEO può essere difficile da abbandonare, perciò è essenziale
definire un approccio chiaro al cambiamento di rotta. In Warburg Pincus, la
bipartizione del ruolo di CEO ha funzionato per anni, ma quando è venuto il momento
di tornare a un solo "comandante in capo", l'azienda non aveva un piano d'azione
adeguato. Un'opzione da considerare è consentire ufficialmente a qualunque co-CEO
di dire "basta" e di lasciare l'incarico senza polemiche, nel rispetto di un piano
concordato in precedenza.
Alcune aziende hanno trovato comodo usare alternativamente i due modelli.
Workday, per esempio, ha avuto dei co-CEO dal 2009 al 2014, poi è passata al CEO
unico e nel 2020 ha annunciato il ritorno al modello duale.
Molti diffidano del doppio CEO per via di alcuni precedenti infausti. Ma un fiasco
occasionale non implica affatto l'inefficacia strutturale di questo modello di
leadership. Del resto, nemmeno avere un solo CEO è garanzia di successo.
Visto il ritmo del cambiamento e della disruption, possiamo aspettarci che sempre
più aziende tentino di insediare dei co-CEO - e speriamo che le nostre indicazioni le
aiutino ad avere successo. Le organizzazioni agili sono particolarmente brave a
gestire l'ambiguità e la labilità dei confini, perciò potrebbero scoprire che per loro il
modello dei co-CEO è particolarmente facile da implementare e da mantenere nel
tempo. Questo approccio non andrà mai bene per tutti, ma se la vostra azienda si sta
lasciando alle spalle una leadership basata sul comando e sul controllo, mettere al
vertice due leader potrebbe avere molto senso. Non è un'idea nuova: i duumvirati
governarono l'antica Roma per quasi 500 anni. E alcuni executive apprezzano da
tempo i benefici della condivisione del potere. Come ha scritto John Withehead a
proposito della co-conduzione di Goldman Sachs con John Weinberg nei remoti anni
Settanta e Ottanta, "Due teste funzionavano meglio di una sola"
Marc A. Feigen è il fondatore di Feigen Advisors LLC, una società di consulenza che
assiste i CEO di grandi imprese globali. Michael Jenkins è un partner di Kearney,
società globale di consulenza manageriale, dove dirige le unità strategia e
trasformazione per le Americhe. Anton Warendh è il director of client service and
operations di Feigen Advisors LLC.
Aiyesha Dey
Più di vent'anni fa, il mio collega Anthony Mayo e io abbiamo lanciato il più ambizioso
progetto di ricerca che abbia mai intrapreso. Siamo partiti una domanda: quali sono
le caratteristiche che definiscono i migliori leader aziendali? Per rispondere, abbiamo
creato un elenco di 1.000 grandi top manager americani del XX secolo e li abbiamo
studiati a fondo uno per uno.
Ciò che abbiamo scoperto ci ha sorpreso: i grandi leader non erano definiti tanto da
caratteristiche permanenti, quanto dalla capacità di riconoscere e cogliere le
opportunità create da un determinato momento storico. Erano in grado di percepire
lo zeitgeist - lo spirito, il mood, le idee e le convinzioni che definiscono un periodo - e
di sfruttarlo appieno.
La leadership efficace, in altre parole, è largamente situazionale. La stessa persona
che ha successo in un'era potrebbe fallire miseramente in un'altra. Lo spirito dei
tempi, stando alla ricerca che abbiamo pubblicato per la prima volta su HBR nel
2006, viene identificato da sei fattori: eventi globali, intervento pubblico, rapporti di
lavoro, trend demografici, costumi sociali e panorama tecnologico. Chi è in grado di
riconoscere dei mutamenti in quei fattori e di sfruttarli possiede quella che
chiamiamo "intelligenza contestuale".
L'ultimo avvicendamento al vertice di Apple dimostra quanto conti l'intelligenza
contestuale. Negli anni Duemila, Steve Jobs aiutò l'azienda a prosperare mettendo
assieme una serie di innovazioni rivoluzionarie, tra cui l'iPhone e l'iPad. Dopo la
prematura scomparsa di Steve Jobs, nel 2011, Tim Cook ha guidato Apple in un'era
caratterizzata da una concorrenza sempre più feroce sugli smartphone. Cook, un
MBA che aveva fatto carriera gestendo la supply chain di Apple, è perfettamente in
linea con questa situazione competitiva che non enfatizza i nuovi prodotti, ma dei
servizi che creano un ecosistema dinamico e redditizio intorno al sistema operativo
iOS. Rendendosi conto che probabilmente l'innovazione di prodotto sarebbe stata
incrementale, Cook ha trovato un vettore alternativo per il successo di Apple. E, in
un'era nella quale i dipendenti si aspettano che i propri leader prendano posizioni più
ferme sulle questioni sociali, è diventato un acceso sostenitore delle problematiche
LGBTQ. Non è un leader carismatico come Jobs, ma la sua intelligenza contestuale
l'ha aiutato ad adeguarsi prontamente al nuovo spirito dei tempi. E i risultati sono
stati spettacolosi: sotto la sua guida, la capitalizzazione di mercato di Apple è
cresciuta di otto volte.
L’obiettivo di questo articolo non è predire ciò che sta per accadere. È accrescere la
consapevolezza di un fatto storico: l'ambiente socioeconomico si trasforma ogni 10 o
20 anni. Ogni trasformazione crea nuove opportunità di business e richiede dei
cambiamenti negli approcci di leadership. È evidente che siamo di fronte a uno di
questi cambiamenti epocali. I leader avveduti ne prenderanno in considerazione le
implicazioni - e si prepareranno ad affrontarle.