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BOLLETTInO
Rivista annuale
Comitato scientifico
Roberto Antonelli, Francesco Bruni, Rosario Coluccia, Mari D’Agostino, Mario
Giacomarra, omas Krefeld, Adam Ledgeway, Franco Lo Piparo, Wolfgang
Schweickard, Salvatore Claudio Sgroi, Rosanna Sornicola, Margherita Spampinato,
Salvatore C. Trovato
Direzione
Mario Pagano (direttore), Gabriella Alfieri, Giovanna Alfonzetti, Luisa Amenta,
Marcello Barbato, Giuseppe Brincat, Francesco Carapezza, Marina Castiglione,
Alessandro De Angelis, Costanzo Di Girolamo
Redazione
Questo volume del Bollettino è stato curato redazionalmente da Salvatore Arcidiaco-
no, Tecla Chiarenza, Aldo Fichera, Anael Intelisano, Ferdinando Raffaele, Fiorenza
Tomarchio
Iscrizione in data 9 marzo 1955 al n. 3 del Registro Periodici del Tribunale di Palermo
Direzione e redazione: Centro di studi filologici e linguistici siciliani, Dipartimento di Scienze
umanistiche dell’Università di Palermo, Viale delle Scienze, ed. 12, 90128 Palermo, Tel. +39
091 23899213 - Fax +39 091 23860661, e-mail: csfls@unipa.it, sito web: www.csfls.it; Dipar-
timento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania, Piazza Dante, 32, 95124 Catania,
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PALERMO
2020
I singoli contributi sono peer reviewed da un comitato di lettura costituito da
almeno due valutatori esterni
ISSn 0577-277X
1. Premessa
zione del riferimento all’archimandrita Eutimio all’interno del codice di Glasgow, cruciale ai fini
della datazione (cfr. infra §§ 3-4). Ringraziamo per utili consigli anche Alessandro De Angelis,
Franco Fanciullo, Pär Larson, Mario Pagano, Alessandro Parenti e i componenti del comitato di
direzione del Bollettino intervenuti nel processo redazionale dell’articolo.
10 Marco Maggiore - Daniele Arnesano
edizioni di testi con spogli linguistici e lessicali 2; alcuni tra i lavori più recen-
ti sono apparsi sulle pagine di questa rivista3. A occuparsene sono soprattut-
to linguisti che studiano le dinamiche del contatto greco-latino nel Mediter-
raneo medievale 4 e storici della lingua italiana: i testi in caratteri greci rap-
presentano infatti una preziosa fonte suppletiva soprattutto per regioni come
la Puglia, la Basilicata e la Calabria, quasi del tutto sprovviste di testi medie-
vali in grafia latina anteriori al Quattrocento 5; ma la documentazione greco-
romanza offre materiali preziosi anche per il volgare siciliano, che pure è ben
più riccamente attestato nella tradizione latinografica.
Se un appunto si può muovere alla maggior parte degli studi recenti, an-
che se di eccellente valore scientifico, è che in essi solo di rado si coglie lo
sforzo di ricostruire i contesti d’origine dei documenti, di far luce cioè sui
centri di scrittura e sui concreti ambienti sociali in cui, nell’Italia meridiona-
le e in Sicilia, si adottò l’alfabeto greco per scrivere i volgari italoromanzi.
Scriventi e copisti sono solitamente membri del clero italogreco che, sebbene
ci siano perlopiù ignoti come individui, appartengono a comunità parroc-
chiali e monastiche la cui storia è invece nota e ben studiata. non sempre,
però, i linguisti si rivolgono alla bibliografia di parte “bizantina”, il che è
tanto più spiacevole quando si parla di documentazione manoscritta medie-
vale sicuramente meglio nota ai bizantinisti che non ai romanisti 6. Per que-
2 Questa tradizione di studi è inaugurata dalla pubblicazione di un testo sardo, la carta cam-
pidanese dell’XI secolo conservata negli archivi dipartimentali di Marsiglia (Blancard / Wescher
1879; cfr. da ultimo Blasco Ferrer 2002; 2003, I: 51-69). Successivamente vengono scoperti al-
cuni testi di area siciliana o siculo-calabrese: il cosiddetto Miracolo dell’indemoniato (cfr. infra §
2.1) e le ricette pubblicate da Schneegans (1908) (cfr. Salvioni 1909, Schneegans 1909; Soares ;
da Silva 2015: 101-103). L’avvio della moderna tradizione di studi, tuttavia, si può far risalire a
un articolo di Antonino Pagliaro dedicato a una formula di confessione da lui ritenuta siciliana
(Pagliaro [1948] 1961); a questo lavoro fondamentale ne sono seguiti altri dello stesso Pagliaro e
di altri studiosi (su tutti ricorderemo Oronzo Parlangèli, Lucio Melazzo, Franco Fanciullo, Al-
berto Varvaro e Rocco Distilo: per un consuntivo dettagliato, cfr. Basile 2012). In tempi recenti
l’interesse per i testi greco-romanzi è stato rilanciato da una scoperta di Daniele Arnesano, che
ha segnalato la presenza di frammenti poetici in volgare salentino (secc. XIII ex./XIV in.) nel
manoscritto Firenze, BML Plut. 57.36 (cfr. Arnesano / Baldi 2004); due dei frammenti scoperti
e trascritti da Arnesano sono analizzati da De Angelis (2010); sugli altri frammenti, cfr. Maggio-
re (in c.s.). Sulla lingua dei testi greco-romanzi vedi ora la sintesi di Baglioni (in c.s.).
ospitato lo studio di Melazzo (1980) sulle glosse volgari del codice greco Cryptense Z. α. IV (cfr.
3 Cfr. Basile (2014), De Angelis (2016) e Cappelletti (2018). Il Bollettino aveva inoltre
infra n. 6).
4 Al tema della transcritturazione del romanzo in caratteri greci sono dedicati i lavori di De
guistica dell’Italia meridionale ha ricevuto un significativo impulso dai lavori di Rosario Coluc-
cia, in particolare a partire da Coluccia (1996); per il Salento, cfr. Coluccia (2009) e Maggiore
6 Ad esempio, nel caso delle glosse del codice Cryptense Z. α. IV pubblicate da Melazzo
(2019a: 155-157).
(1980), gli studiosi che ne hanno discusso la localizzazione non hanno mai tenuto conto del fat-
La formula matrimoniale del codice Hunter 475 11
to che i paleografi greci assegnano a mani salentine tanto il testo greco quanto le glosse romanze
(segnaliamo la questione in Maggiore 2019b: 42).
7 Sulla storia del monastero, cfr. almeno Batiffol (1891) e l’ancora fondamentale Scaduto
([1947] 1982), in partic. alle pp. 80-164 per le numerose fondazioni di monasteri greci al tem-
po dei due Ruggeri; per la storia culturale, cfr. Foti (1989). La bibliografia più recente mette in
guardia dall’anacronismo, osservabile nella monografia di Scaduto come in altri studi datati, che
consiste nell’estendere l’aggettivo “basiliano” indistintamente a tutte le forme di monachesimo
greco anteriori agli inizi del secolo XIII, allorché la Chiesa di Roma, mediante l’istituto giuridico
dell’esenzione dal vescovo locale, assoggettò a sé i monasteri italogreci identificando in Basilio di
Cesarea († 379) l’ideale fondatore (occorrerà inoltre attendere il 1579 perché papa Gregorio
XIII mettesse mano a una riorganizzazione ufficiale del monachesimo greco: cfr. Falkenhausen
1982: 61; Basile 2012: 61-62 n. 9).
8 Il monastero rossanese del Patir, intitolato a Santa Maria Nea Odigitria, era stato fondato
infatti solo pochi decenni prima da san Bartolomeo di Simeri con il patrocinio di Adelasia del
Vasto, vedova del Gran Conte Ruggero I e madre di Ruggero II (sulla storia dell’abbazia di Ros-
sano, cfr. Breccia 2006). Le fonti storiche concordano nell’attribuire al calabrese Bartolomeo
(già fondatore del monastero di Trigona) anche il titolo di santo fondatore (ktitor) del SS. Salva-
tore; tuttavia non ci sono prove che egli si sia personalmente recato a Messina, come invece fece
sicuramente il primo egumeno Luca (cfr. Scaduto [1947] 1982: 165-184; Falkenhausen 1994:
45). Pur essendo indipendente fin dalla fondazione, l’abbazia del SS. Salvatore mantenne sem-
pre solidi rapporti culturali con il Patir di Rossano: cfr. Lucà (1996); Rodriquez (2017: 122 e
studi ivi cit.) e vedi infra.
12 Marco Maggiore - Daniele Arnesano
del papa a partire dal 1059, aveva riconsegnato a Roma la giurisdizione ec-
clesiastica della Sicilia musulmana e della Calabria e della Terra d’Otranto
bizantine; tuttavia
la riorganizzazione diocesana della Calabria, della Sicilia e del Salento sotto
l’ubbidienza di Roma non significava che i normanni avessero volutamente
tentato di latinizzare le province di cultura greca. Si tratta piuttosto di una poli-
tica mirante al controllo dei vertici della chiesa […]; il popolo dei fedeli […]
continuava come prima a riconoscersi nel rito greco. Essendo i conquistatori
poco numerosi, sarebbe stato pericoloso contrastare la popolazione locale nelle
sue tradizioni religiose, utilizzando la bruta forza del vincitore. Così si spiega
come ancora nel Trecento nelle campagne calabresi la maggior parte dei parroci
fosse di rito greco (Falkenhausen 1994: 42).
non deve perciò sorprendere che i grandi signori normanni delle prime
generazioni, pur adottando iniziative politiche e culturali che nel tempo
avrebbero contribuito al declino della grecità meridionale 9, si mostrassero
talvolta estremamente munifici nella creazione di nuove comunità monasti-
che greche10. In alcuni territori il sostegno agli italogreci poteva anche ri-
19 Come osserva ancora Scaduto ([1947] 1982: 73), «naturalmente nessuna politica per
quanto benevola poteva frenare la china della decadenza dell’elemento greco, che [in Sicilia] vi-
veva ormai in terreno non suo. Assorbito lentamente l’elemento arabo, predominando assoluta-
mente il latino, i greci si ridussero ad una minoranza che aveva perduto l’importanza dei primi
tempi della conquista, quando i normanni sentivano il bisogno di appoggiarvisi, per far fronte
agli arabi dell’isola» (cfr. infra). D’altro canto, come osserva Varvaro (1981: 98-99), «la soprav-
vivenza di qualche resto di gerarchia ecclesiastica e soprattutto di monachesimo non ha che
un’importanza relativa per la storia linguistica, anche se ci permette di dire che il greco era senza
dubbio la lingua liturgica di questi cristiani in Sicilia».
10 «Del resto, contro un’opinione alcune volte avanzata, il sovrano non aveva nulla da te-
mere da un clero abituato a tenere il massimo conto della situazione politica. L’ipotesi che, in
quanto greco, questo clero potesse fungere come quinta colonna di Costantinopoli è assurda»
(Varvaro 1981: 177). I monasteri del Patir di Rossano (cfr. supra n. 8) e del SS. Salvatore di
Messina non sono le uniche fondazioni normanne di rilievo: «Boemondo, figlio primogenito di
Roberto il Guiscardo e intrepido avversario dell’imperatore bizantino, favorì la fondazione del
monastero greco di S. nicola di Casole presso Otranto, ove insieme con la moglie Costanza fu
commemorato in seguito nella liturgia; più a Sud, nella Basilicata meridionale, i signori di Chia-
romonte, vassalli di Boemondo, contribuirono attivamente allo sviluppo dei SS. Anastasio ed
Elia di Carbone, una modesta fondazione bizantina, che soltanto in epoca normanna riuscì a
raggiungere una posizione di rilievo, per quanto riguarda sia la ricchezza materiale sia l’autorevo-
lezza spirituale» (Falkenhausen 1994: 42). Si tratta di due monasteri importanti per le vicende
della grecità meridionale alla fine del Medioevo: quello otrantino di San nicola di Casole resterà
per quasi quattro secoli (fino alla distruzione nel 1480 da parte degli Ottomani) uno dei centri
più significativi della cultura italo-greca, particolarmente attivo nella copia di codici bizantini (al
punto che vi si instaurò «una vera e propria attività di prestito librario», Coluccia et al. 2002:
695); dall’archimandritato lucano dei SS. Anastasio ed Elia di Carbone (oggi minuscolo centro
in provincia di Potenza) provengono le annotazioni in caratteri greci dei secoli XV-XVI studiate
da Alberto Varvaro e Anna Maria Compagna in un contributo fondamentale (Compagna / Var-
varo 1983), insieme ad altri notevoli documenti (cfr. Parenti 2017: 78). Ovviamente le nuove
La formula matrimoniale del codice Hunter 475 13
fondazioni normanne sono per la maggior parte di rito romano e benedettino, e non di rado alle
nuove abbazie latine dovettero sottomettersi anche comunità bizantine preesistenti (Falkenhau-
sen 1994: 42-43).
11 non a caso, la politica filo-bizantina in Sicilia «diede pretesto a rivolte di baroni nor-
manni, impazienti di quel freno e di quella nuova autorità che tendeva a fare di essi non più de-
gli uguali, ma dei sudditi del futuro re di Sicilia» (Scaduto [1947] 1982: 74). Lo stesso Scaduto
osserva però anche (parlando delle iniziative di Adelasia, vedova del Gran Conte) che «i primi
normanni non erano dopotutto degli scettici; senza far ricorso a retroscena d’indole politica, il
loro favoritismo verso i basiliani [sic], si spiega anche con motivi d’indole religiosa». Quanto a
Ruggero II, è noto che egli, «nato nella Calabria meridionale e cresciuto negli ambienti greci
della Sicilia nord-orientale, doveva molto, forse perfino il suo trono, ai funzionari e consiglieri
greci di sua madre, che avevano sostenuto la giovane reggente con i figli minorenni contro i tu-
multuosi baroni normanni. […] Per il primo re normanno la civiltà greca non era una cultura
estranea: la maggior parte dei suoi privilegi è redatta in greco, la sua firma era greca, anche quan-
do sottoscriveva atti in lingua latina» (Falkenhausen 1994: 49).
12 «Una mossa particolarmente abile di Ruggero I e dei suoi immediati successori fu di coin-
volgere nella conquista della Sicilia i greci calabresi e quelli della Val Demone nel nord-est del-
l’isola, che per secoli avevano subito le vessazioni ed i saccheggi ad opera dei Saraceni» (ivi: 44).
13 «Messina, che verso la fine del sec. X era una città del tutto spopolata, coll’avvento dei
normanni riprendeva novamente vita grazie specialmente al traffico marittimo che le assicurava
uno dei primi posti tra le città commerciali del Mediterraneo, dove affluivano mercanti di Amal-
fi, Genova, Pisa. Alla fine del regno di Guglielmo II questa città poteva essere additata da un
[…] viaggiatore arabo come emporio dei mercanti infedeli, cioè Cristiani» (Scaduto [1947]
1982: 72). Come osserva Falkenhausen (1994: 49), nella scelta di istituire il SS. Salvatore in lin-
gua Phari «il re normanno seguiva la politica dei suoi predecessori, i quali […] collocavano le lo-
ro fondazioni monastiche secondo precisi criteri strategici. Sembra che Ruggero II volesse evitare
che i due porti comunicanti dello Stretto fossero controllati dai baroni normanni, spesso inclini
alla sedizione».
14 Il racconto dei primi fervidi decenni di vita del cenobio ci è consegnato dal typikon (re-
gola), redatto secondo la tradizione monastica bizantina dal primo egumeno: l’edizione del te-
sto, trasmesso dal codice Messan. Gr. 115, è procurata da Arranz (1969). L’egumeno Luca,
morto nel 1149, mantenne sempre rapporti eccellenti con il sovrano, come provano ben tredici
privilegi greci emanati da Ruggero tra il 1131 e il 1149, tutti conservatisi fino ai giorni nostri.
«Alle donazioni delle terre seguirono quelle dei villani […]. Inoltre, il re concedette capi di be-
stiame in gran numero, diritti di pascolo, mulini e gualchiere […], case a Messina e diritti di le-
gnatico nella foresta di Mascali. Le navi e le barche del SS. Salvatore potevano trafficare libera-
mente nello Stretto […] e trasportare i prodotti agricoli dei monasteri […] da Messina a Reggio
14 Marco Maggiore - Daniele Arnesano
dell’abbazia proseguì senza particolari contraccolpi anche nei decenni che se-
guirono alla morte di Ruggero. Vero è che la progressiva e rapida latinizza-
zione delle élites siciliane tendeva ad accentuare un po’ ovunque la decaden-
za del monachesimo bizantino, evidente già verso la fine del XII secolo15.
nondimeno, i privilegi dell’epoca di Ruggero restarono in vigore per tutta
l’età normanno-sveva: pertanto, pur nel declino generale della vita spiritua-
le, i monaci del SS. Salvatore poterono contare su cospicue rendite finanzia-
rie che essi seppero amministrare con particolare abilità16. Ancora all’inizio
del secolo XIII, non a caso, l’archimandritato «era in grado di prestare ben
60.000 tarì al governo del giovane Federico II» (Falkenhausen 1994: 52).
o Catona e viceversa» (Falkenhausen 1994: 48). In breve tempo «l’abbazia fu popolata da mona-
ci esperti nel canto liturgico e nelle Sacre Scritture, ma vi furono convocati anche monaci periti
nelle varie arti, grammatici, calligrafi, insegnanti della Sacra Scrittura, ma non privi di una certa
cultura secolare. Inoltre per completare l’arredo dell’abbazia, si acquistarono manoscritti e reli-
quie» (ivi: 49).
15 «La fondazione […] del monastero del Salvatore a Messina è di fatto un tentativo di
stato al vertice del monastero tra il 1159 e il 1183: cfr. Falkenhausen (1994: 50).
17 Secondo il typikon del codice Messan. Gr. 115 (cfr. supra n. 14), Luca portò con sé da
Rossano «“calligrafi e maestri”, insieme a coloro “che avevano appreso con esattezza i canti della
chiesa” e “libri eccellenti in gran numero” tra cui anche “opere storiche ed altre di carattere pro-
fano”» (Rodriquez 2017: 122).
18 La definizione di “stile di Reggio” è corrente a partire da Canart / Leroy (1977); per ulte-
noscritti, due rotoli e 61 frammenti 20. Tuttavia, non pochi codici identificati
come messinesi sono attualmente conservati in altre biblioteche italiane e
straniere 21.
Uno dei correlati dell’abbondante produzione manoscritta locale è l’esi-
stenza di testi romanzi in caratteri greci trasmessi da codici del SS. Salvatore:
il Messan. gr. 112 conserva in due passi del vangelo greco di san Marco un
volgarizzamento siciliano interlineare databile alla seconda metà del Trecen-
to. La prima sequenza, nota agli studi col titolo di Miracolo dell’indemoniato,
fu pubblicata da Vincenzo Di Giovanni nel 1883, primo testo greco-roman-
zo meridionale in assoluto a venire scoperto e studiato; più tardi anche la se-
conda sequenza interlineare fu trascritta e pubblicata da Oronzo Parlangèli,
che le assegnò il titolo di Miracolo del paralitico 22. In un altro codice del SS.
Salvatore, il Messan. gr. 77, si leggono le glosse greco-romanze databili tra la
fine del XIV e gli inizi del XV secolo pubblicate da Melazzo (1992).
κουάλη τζη σου λη φέστι, cioè kalanddáru lu kuáli tzi su li fésti) alle cc. v-243r
del codice Messan. gr. 107, un libro liturgico greco (λειτουργικόν). Il testo,
che ha beneficiato di ben due edizioni apparse a breve distanza di tempo
l’una dall’altra23, offre un prezioso spaccato della vita religiosa messinese in-
torno agli anni ’60 del Quattrocento 24: esso consiste infatti in un elenco di
tutte le vigilie, le feste e le solennità religiose ordinate nell’arco di un anno,
da gennaio a dicembre. Gli studiosi non hanno mancato di notare (fornen-
done varie interpretazioni) il fatto che il Calendario, pur figurando in un
sta istituzione: alla data del 10 ottobre 2020 sono consultabili sul sito <bibliome.it> le fotoripro-
duzioni dei codici dal nº 1 al nº 45 del fondo del SS. Salvatore.
21 Si vedano gli studi cit. nel § 3. Qui ricordiamo almeno che il fondo è catalogato da
Mancini (1907); per i codici datati è disponibile il catalogo di Rodriquez (1999). Rodriquez
(2017) indaga la consistenza della biblioteca del SS. Salvatore tra i secc. XVI e XVIII, identifi-
cando diversi codici attualmente conservati all’estero sulla base di tre cataloghi cinquecenteschi
sopravvissuti fino ai giorni nostri; per la bibliografia generale cfr. anche n. precedente.
22 Il Miracolo dell’indemoniato è pubblicato da Di Giovanni ([1883] 1889), ma solo in tra-
slitterazione latina; la prima edizione filologicamente fondata del testo, che ne riproduce anche
la scrittura in caratteri greci, è procurata da Cesareo ([1898] 1930); Parlangèli (1960: 175-180)
ristampa il testo, aggiungendo per la prima volta l’edizione del cosiddetto Miracolo del paralitico
(ivi: 181-183); cfr. Basile (2012: 62-63, 73).
23 Si tratta di Follieri / Mosino (1982) e di Melazzo (1984); in quest’ultimo contributo il
testo è corredato di una traslitterazione in caratteri latini. Sul Calendario e la sua vicenda critica
si diffonde Basile (2012: 64-65, 73). Al codice Messinese dedica uno studio approfondito Ro-
driquez (2006: 195-202), cit. in Parenti (2008: 94 n. 5).
in particolare, secondo Parenti (2008: 100) è possibile «circoscrivere la realizzazione del Λειτουρ-
24 Data verosimile del codice in base alle filigrane (1460 / 70): cfr. Rodriquez (2006: 200);
γικόν [scil. del codice liturgico Messinese] tra la fine del 1462 e la morte dell’archimandrita Pie-
tro nella primavera del 1467, o anche negli anni immediatamente successivi».
16 Marco Maggiore - Daniele Arnesano
messale greco, segua uno schema delle festività integralmente latino, a parti-
re dall’ordine dei mesi 25. Della questione si occupa attualmente Stefano Pa-
renti, che in due recenti contributi 26 ha formulato una serie di precisazioni
tanto sulla natura del testo quanto su singoli aspetti di interpretazione con-
troversa. Da questi lavori si apprende, anzitutto, l’identità del copista del co-
dice messinese, alla cui mano dobbiamo il Calendario: si tratta di un greco di
nome Manuele, allievo e collaboratore di Costantino Laskaris 27. Il fatto che
Calendario, in particolare l’impiego di <(μ)π> per [b] e di <(ν)τ> per [d], ti-
il copista sia greco permette di spiegare alcune caratteristiche grafiche del
pici grecismi grafici che solitamente non si osservano in testi scritti da italo-
greci 28. Inoltre, alcune osservazioni di Parenti permettono di ipotizzare che
Manuele abbia copiato il testo da un antigrafo in scrittura latina29. Lo stu-
dioso, infine, confronta il Calendario con altri testi dello stesso tipo conser-
vati in codici liturgici greci coevi o più antichi, concludendo che il docu-
mento non deve necessariamente far pensare che il clero italogreco messinese
si fosse ormai omologato agli usi della liturgia romana: si tratterà infatti di
un semplice strumento di natura pratica, utile per un chierico di rito greco
al quale facesse comodo «avere sotto mano una lista di feste e memorie cele-
brate in qualche chiesa latina di Messina o nel messinese» 30.
Occorre menzionare un ultimo testo greco-romanzo proveniente dal-
l’area dello Stretto, che pure non è trasmesso da un codice del SS. Salvatore:
ci riferiamo al sermone per la Domenica delle Palme in volgare siciliano, con
mento singolare anche per la presenza di grafemi dell’alfabeto latino che af-
fiorano desultoriamente nella scrittura greca, il sermone è stato copiato dalla
mano di tale Filippo di Gualtero, chierico e discepolo di un sacerdote del
25 L’anno liturgico bizantino va infatti da settembre ad agosto: cfr. Basile (2012: 64).
26 Cfr. Parenti (2008) e (2015).
27 L’identificazione è già proposta da un lavoro di Teresa Martínez Manzano del 1994 che
28 Cfr. Maggiore (2017: 329). Ci riferiamo a grafie come Μπρίτζιτα per Brigida, Νοβέμπρο
non ci è stato possibile consultare: cfr. Parenti (2008: 100-101).
novembro ‘novembre’, κουμαντάτα kumandata, ἀμπάτη abbati ‘abate’, Μπα(π)τίστα Ba(p)tista ecc.
(Follieri / Mosino 1982: 107). Per la presenza dello stesso uso grafico nella ricetta del codice
Vat. gr. 1538, cfr. De Angelis / Logozzo (2017: 65-66).
29 In particolare, in un punto del calendario dovrebbe essere menzionata l’intitolazione di
una certa chiesa a S. Domenica, ma in luogo del nome della santa il copista ha lasciato una “fi-
nestra” dell’estensione di sei lettere circa. A detta di Parenti (2015: 29), «è possibile […] che
all’origine non ci sia una rasura nel modello, ma che il copista abbia calcolato lo spazio da lascia-
re in bianco, per tornare in un secondo tempo sul termine latino che al momento non riusciva a
comprendere. Più concretamente si può ipotizzare che nell’antigrafo il nome della santa fosse
espresso con l’abbreviazione Dom.cæ, forse troppo ostica per il copista Manuele, certamente più
versato nella lingua greca».
30 Parenti (2008: 111).
La formula matrimoniale del codice Hunter 475 17
31 In Distilo (1990: 83-182). La scoperta del testo era stata annunciata da Distilo / Jacob
(1989-1990).
32 Questo tipo di documentazione, del resto, all’altezza cronologica in esame non può con-
cernere che Messina e l’area dello Stretto: «come fatto collettivo, fuori dal messinese, la grecità
non superò il Trecento e già all’inizio di tale secolo doveva essere esangue» (Varvaro 1981: 179).
33 Le seguenti osservazioni sono formulate sulla base dei dati presenti nei cataloghi e dal-
l’esame della riproduzione integrale del manoscritto disponibile online sul sito <http://www.
csntm.org/Manuscript/View/GA_560>.
34 Rinvio anzitutto a Young / Aitken (1908: 394-397); orp (1987: 60 nº 12); Buckton
(1994: 178-179); Pedone (2012: 207 n. 32). Si veda anche l’utile scheda sul manoscritto con-
sultabile all’interno del portale Pinakes, all’indirizzo internet <https://pinakes.irht.cnrs.fr/noti
ces/cote/17326/>.
35 Džurova (2008: 46); Pedone (2012: 207, 220 fig. 20).
36 Per la fascicolazione si segue Young / Aitken (1908: 395). La numerazione dei fascicoli è
assente nel manoscritto (o almeno oggi non più visibile); quella riportata nella prima colonna è
una numerazione assegnata da chi scrive per comodità di esposizione. Per quanto concerne la fo-
liazione, si segue quella riportata a matita nell’angolo superiore destro del recto di ogni foglio.
18 Marco Maggiore - Daniele Arnesano
Tabella I.
con il primo foglio di un nuovo fascicolo 37. Il primo blocco (V-XV) è prece-
duto da un quaternione (III) e da un binione (IV) utilizzati per copiare la
Lettera a Carpiano e i canoni di Eusebio, i capitoli del Vangelo di Matteo e il
ritratto dell’evangelista. Il secondo blocco (XVI-XXIII), contenente il Van-
gelo di Marco, è preceduto da un bifoglio (XV), in gran parte bianco (in cui
forse avrebbero dovuto prendere posto i capitoli) ma che ospita nel verso del-
l’ultimo foglio il ritratto dell’evangelista. Il terzo blocco (XXIV-XXXVI)
contiene il Vangelo di Luca (i cui capitoli e il ritratto si trovano negli ultimi
fogli del blocco precedente). Il quarto blocco (XXXVII-XLVIII) si apre con
un foglio bianco e il ritratto di Giovanni (i capitoli si trovano nell’ultimo fo-
37 Alle cc. 29r (Matteo), 111r (Marco), 174r (Luca). Fa eccezione il Vangelo di Giovanni,
grazione da parte del primo al secondo, come ritiene Buckton 1994: 179) ma il risultato di un
atto di copia contestuale ed organizzato all’interno di uno stesso atelier: le caratteristiche codico-
logiche, infatti, sono omogenee e le due scritture, come vedremo tra poco, sono coeve e attestate
nella medesima area e nei medesimi centri di copia. Questa parte del codice di Glasgow è stata
assegnata agli inizi del secolo XIII da Young / Aitken (1908: 395), al secolo XI (copista A) e al
XII-XIII (copista B) da orp (1987: 60 nº 12), alla seconda metà del secolo XII da Buckton
(1994: 179).
40 Su Bartolomeo di Bordonaro cfr. Lucà (1985: 54, 57, con specimina), (2007: 66-67),
(2009: 209-211).
41 La mano di Bartolomeo di Bordonaro è stata identificata da Mario Re in un primo mo-
mento con il copista principale del typikon del Santissimo Salvatore, oggi manoscritto Messan.
Gr. 115 (Re 1990: 146-148, tavv. I-II); questa tesi è stata poi rivista dallo stesso studioso, che vi
ha riconosciuto proprio quella del copista Giovannicio (Re 2005a: 310-311).
20 Marco Maggiore - Daniele Arnesano
in parte in lingua romanza (fino al r. 6 di c. 1v; cfr. infra § 5), una Ἀκο-
λουθία εἰς γάμον (cc. 3v-13v), attribuita nel manoscritto al patriarca Metodio
di Gerusalemme (sic), ed una Τάξις εἰς γάμους διγαμίας (cc. 14v-15v), attri-
buita a Metodio di Costantinopoli. nelle cc. 16r-17r lo stesso copista vergò
un testo adespoto, un giuramento di fedeltà e di obbedienza da parte dei
monaci del Santissimo Salvatore al re e all’archimandrita Eutimio; in parti-
colare, il giuramento è imposto a quei monaci che venivano ad assumere un
ufficio all’interno dell’archimandritato, con l’impegno di non svelare gli affa-
ri del monastero e di rivelare invece prontamente quelle informazioni even-
tualmente acquisite riguardanti trame contro il monastero. Eccone l’incipit
42 Sulle due pergamene cfr. Bravo Garcia (1991: 432 tav. XI); Crisci / Degni (2002: 527
tav. XXVIIIa); Degni (2002a: 116 tav. I, fig. 1a-b), (2002b: 64-66 tav. 3); von Falkenhausen
(2009: 150-151, 158-160, tav. II).
43 Degni (2006: 273 e n. 32); una riproduzione in Crisci / Degni (2002: 507 tav. XIIIa).
44 Sullo Stile di Reggio cfr. Canart / Leroy (1977); Re (2001); Degni (2002b); Re (2005a).
45 Utili materiali di confronto sono ad esempio i manoscritti Athos, Esphigmenou 25 (a.
1128/1129), Messan. gr. 172 (a. 1178/1179) e 98 (a. 1184), su cui cfr. Lake / Lake (1934-
1939, rispettivamente vol. III, nº 108, tav. 200; vol. IX, nº 353, tavv. 651-652 e nº 355, tavv.
656-657); sui manoscritti di Messina si veda anche Rodriquez (1999, rispettivamente pp. 44-45,
46 L’abbreviazione di quest’ultima parola è sciolta erroneamente da Young in μυστήριον
tavv. 10, 63-65, pp. 46-49, tavv. 11, 67-76).
47 nel manoscritto esso è preceduto dalla rubrica Τοῦ πατρὸς ἡμῶν, senza ulteriore specifi-
cazione.
48 Ad es. c. 4r, r. 1, r. 3 dal basso. Minoritario zeta a forma di 3 (ibidem, r. 8).
49 Zeta e xi sono identiche nel tratteggio iniziale: cfr. c. 8v, r. 1 dal basso.
50 Ad es. c. 10v, rr. 5, 6.
51 Essa è stata assegnata al secolo XV da Young / Aitken (1908: 395), al secolo XIII da
in età svevo-angioina, come testimoniano i non pochi manoscritti bilingui giunti sino a noi.
Sull’argomento si veda De Gregorio (2002: 114-134).
53 Il nome di Eutimio è in realtà documentato a partire dal 1262; accogliamo però l’ipotesi
avanzata da Mercati (1935: 174, seguito da Scaduto 1947 [1982]: 242) che egli vada identificato
con il Teofimo (sic), documentato prima di lui e succeduto a Giacomo I (morto appunto nel 1259).
54 nella seconda metà del secolo XIII, infatti, in Italia meridionale, accanto alla sopravvi-
venza di uno stile di Reggio imbastardito e alla fioritura della minuscola barocca di area salenti-
na, non mancano grafie prive di elementi connotanti o appariscenti, più sobrie, sia tendenti ad
un polo più posato e calligrafico (o con pretese calligrafiche), come nel caso in esame, sia verso
un polo più corsivo.
55 In origine era rimasto bianco: la prassi di lasciare bianchi alcuni fogli è riscontrabile an-
Salvatore negli anni 1259-1266. Allargando il panorama al di là dell’area dello Stretto, si può cita-
re un manoscritto vergato nel 1260/1261 dal sacerdote Matteo di Palermo, su cui cfr. Re (2005b).
57 Su quest’ultima cfr. Lucà (2008: 135-143).
La formula matrimoniale del codice Hunter 475 23
Concludiamo queste brevi osservazioni con altri due dati desumibili dal
manoscritto. Al centro del margine superiore di c. 1r si legge «PME». non è
realtà di una cifra, ρμε΄ (= 145), vergata in una scrittura identica a quella delle
una sigla o un ex libris, come di primo acchito si potrebbe pensare: si tratta in
dopo appunto l’item 95, definisce genericamente «ἄλλα βιβλία» (c. 49v)59,
un inventario greco redatto fra gli ultimi anni del XVI secolo e l’anno 163758,
Par. Suppl. gr. 798, c. 94v: «Πολλὰ δὲ ἄλλα βιβλία περιέχουσι τὰ πάντα τοῦ χοροῦ». Sull’in-
58 Su questo inventario cfr. Bucca (2016: 251-255).
59
ventario greco cfr. Mercati (1935: 47-49); Rodriquez (2017: 126-133). Una riproduzione inte-
grale del manoscritto parigino è consultabile sul portale <https://gallica.bnf.fr>.
60 Su tale numerazione si veda Bucca (2017: 44-46 e n. 18).
61 Su cui si veda Ossa-Richardson (2016).
62 Il manoscritto corrispondeva al numero 1638 del catalogo della vendita della sua biblio-
ni sul personaggio. Da non confondere con l’Eutimio vescovo di Catania, vissuto nel IX seco-
24 Marco Maggiore - Daniele Arnesano
del SS. Salvatore de lingua Phari (τοῦ Σωτῆρος ἀκρωτηρίου γλῶττης Μεσσή-
La menzione esplicita a c. 16r dell’archimandrita Eutimio e della mandra
νης), oltre a costituire una prova sicura della provenienza del codice Hunter
dall’abbazia messinese, consentirebbe infatti di datare la stesura dell’intero
gruppo di formule delle cc. 1r-17r (compreso il testo siciliano che qui ci in-
teressa) a un intervallo di tempo decisamente circoscritto, compreso tra il
1259 (nomina di Eutimio) e il 1266 (morte di Manfredi e ratifica della no-
mina di Isacco, già approvata dalla bolla papale del 1260)67. Infatti, come di-
lo, che nel concilio di Costantinopoli dell’869 figura insieme a niceta di Cefalù tra i fautori
di Fozio (cfr. ivi: xxxi; Varvaro 1981: 95); né sicuramente il nostro archimandrita del SS. Salva-
tore ha niente a che spartire con l’Eutimio egumeno del convento di S. nicolò del Gurguro
presso Palermo che nel 1153 commutava terreni con Leone Bisignano (cfr. Scaduto [1947]
1982: 411).
65 ne riportiamo uno stralcio citato da Scaduto ([1947] 1982: 242 n. 71) e proveniente
dall’edizione di Starrabba (1876: 90, nº lxvii): «cum monasterium Sancti Salvatoris de Lingua
Messanens., ordinis Sancti Basilii, Venerabili Fratri nostro Archiepiscopo Messanensi subiec-
tum, tantopere vacavisset, quod erat eius provisio, secundum Generalis statuta concilii, ad eum-
dem Archiepiscopum devoluta […] nos itaque, tuis supplicationibus inclinati quod ab eodem
Archiepiscopo super hoc factum est ratum ea firmum habentes illud Auctoritate Apostolica con-
firmamus […] non obstante quod Euthimius monachus in eodem monasterio per Manfredum quon-
dam principem Tarentinum, seu officiales vel fautores eius sicut dicitur, procuraverit intrudi, et
gerit de facto administrationem ipsius…».
66 Infatti, secondo Scaduto ([1947] 1982: 243 n. 72) «solo ora nell’aprile del 1266 Isacco
sistenza storica all’ectoplasmatico eophimus menzionato come archimandrita del SS. Salvatore
La formula matrimoniale del codice Hunter 475 25
in un documento giunto in copia tardiva nel manoscritto Città del Vaticano, Biblioteca Aposto-
lica Vaticana, Vat. Lat. 8201 (a c. 304r); ma, come stabilito dal Mercati, si tratta con ogni pro-
babilità di un errore per Euthymius (cfr. supra n. 53).
68 E in questo caso, naturalmente, avremmo un elemento di sicurezza solo per la datazione
del giuramento monastico, non già per le formule matrimoniali di nostro interesse dove Euti-
mio non è menzionato.
apre con un’intestazione generica: «ἐγὼ ἀδελφὸς ὁ δεῖνα» (ms.: Εγῶ ἀδελφὸς ὁδίνα), cioè letteral-
69 Il nome di Eutimio è peraltro l’unico presente nella formula, che – è utile notarlo – si
mente ‘io fratello tal dei tali’ (c. 16r, r. 2). Se la formula fosse stata trascritta in anni diversi da
rama? ch’ïo le porto in seno; / a lo mostero présile, non ci era lo patrino. / Sovr’esto libro iùroti
mai non ti vegno meno» (ivi: 525).
72 «Per avere un’idea del siciliano della Scuola l’unico reperto in una veste linguistica presu-
mibilmente originale giuntoci nella sua integrità è la canzone Pir meu cori allegrari di Stefano
Protonotaro […], trascritta da una fonte perduta dall’erudito del Cinquecento Giovanni Maria
Barbieri nella sua Arte del rimare. […] In sostanza, anche se la canzone sicuramente non è un
falso, l’atipicità e la seriorità della sua trasmissione impongono cautela nell’assumerla come una
La formula matrimoniale del codice Hunter 475 27
5. Il testo
Il testo volgare presente sul primo foglio del codice Hunter corrisponde
alla tipologia del contratto nuziale per verba de praesenti, locuzione tecnico-
giuridica che non a caso si legge tradotta in due punti della formula siciliana:
«vui tzurati a santi dde vantzeli, in vervu di presenti…» (5; 9). Si tratta di
una fattispecie introdotta nel diritto canonico a partire dal XII secolo:
Fu allora che i canonisti introdussero la fondamentale distinzione fra verba de
futuro e verba de presenti, parole per il futuro e parole per il presente. Il contrat-
to per verba de futuro costituiva una promessa, un impegno per l’avvenire, il ve-
ro fidanzamento. Questo rapporto si trasformava automaticamente in matrimo-
nio (detto ‘matrimonio presunto’) se i due promessi sposi andavano ad abitare
insieme e avevano rapporti sessuali. Ma, se questo non avveniva, il fidanzamen-
to era revocabile e coloro che l’avevano stipulato erano liberi di sposarsi con
un’altra persona. Il contratto per verba de presenti, con il quale i due fidanzati si
scambiavano, di fronte a testimoni, formule come ‘io prendo te in moglie’ e ‘io
prendo te per marito’, costituiva il matrimonio e non era dunque revocabile.
Fino alla metà del XVI secolo era questa cerimonia, e non quella in chiesa, che
creava l’obbligo legale vincolante 74.
fedele testimonianza della lingua dei poeti» (Di Girolamo 2008: lv). «nella sua opera Barbieri
trascrive in veste siciliana anche la prima stanza di Gioiosamente canto di Guido delle Colon-
ne […], un frammento di Re Enzo […] e parte della sua canzone S’eo trovasse pietanza» (ivi:
XCVIII n. 56). Sulla questione cfr. Debenedetti ([1932] 1986: 27-64); Coluccia (2008: xxxii-
xxxiv); Di Girolamo ([2001] 2019).
73 Cfr. Tavoni (2017: 143-144).
74 Barbagli (1996, § 3); cfr. anche Owen Hughes (1996). Sulla distinzione tra contratto per
verba de futuro e per verba de praesenti si concentrò la riflessione di Pietro Lombardo (1100-1160
ca.) e della scuola parigina, che su questo punto prese le distanze dai pronunciamenti della scuo-
la bolognese. nelle Sententiae di Pietro (IV XXXVI 4) si stabilisce infatti che solo la formula de
praesenti valesse per sancire l’unione coniugale (matrimonium perfectum): cfr. Giraudo (2007: 80).
75 «La decisione del Concilio di Trento, secondo cui il matrimonio, per la validità, si dove-
va contrarre in presenza del parroco, o di un altro sacerdote con licenza dello stesso parroco o
dell’ordinario, e di due o tre testimoni, rendeva quanto mai opportuno che l’espressione del
consenso avvenisse entro la celebrazione liturgica del matrimonio» (Miralles 2011: 54).
28 Marco Maggiore - Daniele Arnesano
5Vui tzurati a santi dde vantzeli, in ver- et dicat sponso: Domine Petre vel n.78,
vu di presenti, 6 di prindiri a kista mad- placet vobis accipere dominam Cathe-
donna Tali ki vi stai da latu pir vostra rinam vel n. in vestram legittimam
litzitima muggeri 7 sikunddu kumanda sponsam per verba de praesenti, sicut
la santa matri Eklesia rumana […]? praecipit sancta Romana et Apostolica
Ecclesia?
9A la donna: Vui tzurati a santi dde Sacerdos dicit sponse: Domina Cathe-
vantzeli, in vervu di presenti, 10 di prin- rina vel n., placet vobis accipere domi-
diri a kistu miser Tali pir vostru litziti- num Petrum vel n. in vestrum legitti-
mu maritu 11 sikundu kumanda la san- mum sponsum per verba de praesenti,
ta matri Eklesia rrumana […]? sicut praecipit sacrosancta Romana et
Apostolica Ecclesia? 79
110-115).
La formula matrimoniale del codice Hunter 475 29
Eklesia (r)rumana, alla cui giurisdizione, del resto, il SS. Salvatore di Messi-
na era sottoposto fin dalle origini. Con tale indubbia romanità liturgica e
giuridica (basti dire che nei riti nuziali bizantini il consenso è supposto) non
contrasta neppure il fatto che la formula volgare sia seguita, quasi senza solu-
zione di continuità, da una serie di orazioni in greco che l’officiante recitava
per attirare la benedizione divina sul nuovo connubio. Stefano Parenti ci se-
gnala che la parte greca corrisponde in altissima percentuale ai tradizionali
riti matrimoniali in vigore tra l’Aspromonte e lo Stretto, che André Jacob ha
pubblicato dal manoscritto Bodleian Auct. E. 5. 13, scritto al SS. Salvatore
tra il 1121/1122 e il 113180.
Le due sezioni, quella siciliana e quella greca, sono giustapposte nel ma-
noscritto senza che esistano tra l’una e l’altra veri elementi di raccordo, se
non che le orazioni in greco presuppongono che il rito matrimoniale si sia
già compiuto. Pertanto non riteniamo essenziale fornire in questa sede la
trascrizione dei testi in greco81, preferendo concentrarci sull’edizione e lo
studio linguistico della formula in volgare siciliano, dato il suo preminente
interesse per gli studi romanzi.
80 Cfr. in partic. Jacob (1980: 318-322). Inoltre, a riprova della forte compenetrazione de-
gli elementi bizantino e romano, Stefano Parenti osserva che la formula di giuramento monasti-
dicitura esordiale ὀμνύω μοι che ricalca il latino iuro me e la conclusione che risponde a Sic adiu-
ca in greco citata nei §§ 3 e 4 è un’evidente traduzione dal latino: lo suggeriscono, tra l’altro, la
digitalizzato sul sito del Center for the Study of the new Testament Manuscripts (cfr. supra
n. 33).
82 Inoltre sotto 2 stampiamo tra cruces un passo che sarà commentato nel § 5.3.
resa delle legature e di altri comuni segni del greco scritto medievale: lo stigma ϛ è reso come στ
83 Pur trattandosi di fatti assolutamente banali, non omettiamo qualche osservazione sulla
(al r. 1 ϛου = στου); solo in un caso, al rigo 2 di c. 1v, è utilizzata la legatura che compendia il
dittongo ου; infine segnaliamo che η figura a testo sempre nella versione maiuscola H.
30 Marco Maggiore - Daniele Arnesano
intendiamo certo sostenere che questa grafia stia a indicare un’affricata den-
brica della stessa mano, Ἀκολουθία εἰς μνήστρα; la rubrica è sormontata dall’antica numerazione
84 La formula è sormontata da una decorazione floreale miniata, sopra la quale insiste la ru-
del codice, PME (per questi dettagli, cfr. supra § 3). In tutto il testo e nei fogli successivi compa-
85 Il ν è ritoccato con inchiostro rosso, a segnalare inizio di parola; l’accento insiste tra ο e υ.
iono iniziali maiuscole in inchiostro rosso.
86 Il τ è ritoccato con inchiostro rosso.
87 Il confine di foglio interrompe la parola βέρ- || βου.
tale [ts] in forme come ntzi ‘ci’ o litzitimu ‘legittimo’, e neppure che in en-
vamente γγ, δδ e ππ con gg, dd e pp, non intendiamo in alcun modo suggeri-
trambi i casi abbia lo stesso valore fonetico; così come, traslitterando rispetti-
re automaticamente le letture [gg], [dd] e [pp] nel caso di forme come dde,
maddonna, muggeri e ppinidittu: per la valutazione di questi e altri problemi
grafici rinviamo direttamente al § 6.1.
La traslitterazione è seguita da una proposta di parafrasi (in corsivo).
οὗνννη βένη» (arrispoúndi lou pópoulou oũnnni véni) dei rr. 3-4 di c. 1r (§
5.1). Le difficoltà sorgono nell’interpretazione di οὗνννη, che, se sta per il si-
darsi che gli ultimi due ni di οὗνννη rappresentino un errore meccanico del
ciliano undi, rappresenta una scrizione abnorme a causa del triplo ni. Può
copista, che forse intendeva scrivere <νδδ> per /nd/, grafia frequentissima
nei testi greco-romanzi, qui presente nella forma σικούνδδου sikunddu ‘se-
sequenza ricostruita *οὗνδδη βένη unddi veni sarebbe ‘dove viene’ (< ŭnde
condo’ 7 (cfr. infra § 6)94. In tal caso, l’interpretazione più immediata della
βένη, o forse meglio *οὗν·δδη β’ένη, sarebbe l’oratio recta del popolo riportata
mimeticamente 95. Pertanto ·un ‘non’ rappresenterebbe una precocissima at-
94 Come si dimostra nel § 6.2.3., è altamente improbabile che il triplo ni di unnni rappre-
rapezza condurrebbe invece a leggere nella sequenza ννη di οὗνννη βένη il clitico di 1ª persona
95 Tale interpretazione è suggerita da Marcello Barbato. Un suggerimento di Francesco Ca-
plurale nni del siciliano moderno, dunque ‘non ci viene’; in questo modo si eluderebbe la neces-
La formula matrimoniale del codice Hunter 475 33
sità di emendare il triplo ni. Altre possibili soluzioni ci sembrano più onerose. Ad esempio,
che: la grafia <οὗ> corrisponde inequivocabilmente a una vocale tonica /u/, del tutto incompati-
escludiamo un’interpretazione di oũnnni véni nel senso di ‘ogni bene’ per ragioni grafo-foneti-
bile con gli sviluppi di omnis; in βένη, il <β> non può che valere /v/ (dato che /b/ è scritto con
< ππ >: cfr. infra § 6.1.), dunque la lettura ‘bene’ è meno economica rispetto a veni (che sia o me-
no da segmentare v’èni).
pré̟nnu per Vita (TP), la cui forma unni con vocale d’appoggio riecheggia sorprendentemente
96 Cfr. Rohlfs (I: § 321). La stessa carta dell’AIS registra anche la risposta únni lu kum-
siciliani del Quattrocento, mentre il locativo vi è attestato fin dalla trecentesca Istoria di Eneas di
Angelo di Capua (cfr. infra).
98 Cfr. Rohlfs (I: § 336). Il nostro esempio retrodaterebbe di un secolo e mezzo circa le pri-
me attestazioni nella lettere di Giovanni Abbatelli a Francesco Datini (cfr. Curti 1972: 65, 67).
99 Cfr. Barbato (2007, 2: 53).
34 Marco Maggiore - Daniele Arnesano
ἀβήτι νόμου Komu aviti nomu? 4)102 o da latu ‘accanto’ (cfr. infra § 6.3). I
soli termini tecnici di un qualche interesse sono proprio le due formule ibri-
de latino-volgari; per questa ragione ci è sembrato superfluo corredare la no-
stra analisi linguistica di un glossario.
6.1. Grafia
L’analisi grafematica fa emergere elementi comuni in tutte le scriptae gre-
co-romanze meridionali 103, e in qualche caso anche usi peculiari e forse idio-
sincratici dello scriba. Tra i fatti generali si annoverano la segnatura degli ac-
vocale: ἀβήτι aviti 4 (con spirito dolce, dunque non influenzato graficamen-
centi, qui pressoché regolare104, e quella degli spiriti sulle voci inizianti per
100 Cfr. Beccaria (1999), che non riporta esempi relativi alla formula ad sancta Dei evangelia.
101 Del resto, mancano del tutto nessi grafo-fonetici di tipo latino nei contesti in cui po-
me ππινηδΐττου ppinidittu 1 e σάντα santa 7 ~ σαντα 11. Si confrontino queste grafie con esempi
trebbero comparire: per fare un esempio, i nessi -ct- e -nct- non sono rappresentati in forme co-
come [σ]ακτη sancti o νόκτεμ noctem nella trascrizione in alfabeto greco della preghiera latina
della compieta conservata alle cc. 144v-145r del codice Γ. β. VIII. della Badia greca di Grotta-
ferrata, (anch’essa segnalataci da Stefano Parenti).
102 ARTESIA offre centinaia di attestazioni di aviri nomu fin dal sec. XIV; ma la locuzione
è panitaliana: cfr. Corpus OVI; GDLI s.v. nome (in partic. vol. xi p. 517); vedi anche fr. ant.
avoir nom, prov. aver nom (FEW 7,176a).
103 Rinviamo in proposito alla sintesi di Baglioni (in c.s., in partic. § 2.2); vedi anche il re-
104 Pochissime le eccezioni: εστϊ esti 1, δϊκα dika 1, Κομου komu 4, σαντα santa 11 – ma
cente Logozzo (2019).
σάντα 7 –, πιγουρη piguri ‘peggiore’ 12. Inoltre, laddove esso compare, l’accento non è mai col-
che presentano accento occasionalmente: πηρ pir 6, 8, 10 contro πὴρ 8, 12 bis, νο no ‘non’ 8 ma
locato in posizioni anomale o inattese. Qualche oscillazione può notarsi in alcuni monosillabi
νό 12. Altre oscillazioni grafiche di minor conto: δι di 5, 6, 9, 10, 12 ~ δϊ 8, nin 8 ~ νἧν 12 (per
entrambi gli esempi, cfr. infra).
La formula matrimoniale del codice Hunter 475 35
Colpisce l’uso di < ππ > per la bilabiale sonora /b- / in principio di parola:
che in altri contesti 106.
co medievale non contempla un grafema specifico per rendere /b/: il < β > sta
manzi, la quale naturalmente dipende dal fatto che il sistema alfabetico gre-
esposti all’influsso della scrittura latina, allo stesso <β> che diviene perciò
ambivalente108. Evidentemente l’impiego di < ππ > per /b/ della nostra formu-
di rendere /b/ a mezzo del digramma <μπ> o più raramente del solo <π>109;
la è da mettere in rapporto con l’uso tipicamente greco (ma non italo-greco)
non escluderemmo anzi che < ππ > qui sia un vero e proprio errore per <μπ >.
τῶν αγΐον ἐκκλησϊον (c. 1v, r. 11), οδΐναι (c. 2r, r. 1), ϊσαάκ (ivi, r. 9), σϊτὴν (ivi, r. 15), δϊαφύλα-
106 Limitando lo spoglio ai primi due fogli e senza normalizzare le grafie, notiamo infatti
ξον (c. 2v, r. 6), αγΐω ὕδατι (ivi, r. 12), του ὑϊοῦ (dove in realtà spirito e dieresi sormontano en-
trambi ypsilon) καὶ τοῦ ἀγϊου πν(εῦματο)ς (ivi, rr. 15-16).
107 Cfr. περσούνα persuna 1, Ἁρρησπούνδι arrispundi 2, πόπουλου populu 2, σούπρα supra
3, ecc.
109 «< π > e < τ > corrispondono risp. a /p/ e /t/ e, solo in una minoranza di documenti, indica-
108 Ci sia consentito il rinvio a Maggiore (2017: 318, 325 e 329); cfr. Baglioni (in c.s.).
non c’è dubbio, d’altro canto, che <β> ricorra unicamente per rappresen-
tare /v/: Βούη vui 5 e 9, βαντζέλη vantzeli 5, βι vi 6 ~ βη 10, βόστρα vostra 6 e
βόστρου vostru 10. Lo stesso vale con ogni probabilità per tutte le occorrenze di
<β> in βέρβου 5 e 9 e λήβρου livru (cfr. infra § 6.2.3.) e nella crux †βένη† 2.
Si nota poi la resa della dentale sonora /d/ per mezzo del doppio <δδ>110,
normale nei testi greco-romanzi specialmente dopo consonante nasale o vi-
sikundu 11. Tuttavia <δδ> può ricorrere anche in posizione iniziale o interna
(cfr. supra § 6), e μαδδόννα maddonna 6. L’uso, osservabile anche in altri te-
sti 113, coesiste con quello “normale” di <δ> per /d/ che è anzi nettamente
maggioritario114. Si noti peraltro che in tutti gli altri contesti fonologici l’al-
ternanza tra consonanti lunghe e brevi sembra rappresentata in modo perfet-
tamente regolare:
<ττ> per /tt/: ππινηδΐττου ppinidittu 1; <τ> per /t/: ἀβήτι aviti 4; τζουράτη tzu-
Μεττήτι mettiti ‘mettete’ 3. rati ‘giurate’ 5 ~ τζουράτι 9; λητζήτιμα
litzitima 6 e λητζήτιμου litzitimu 10 (lat.
legitimus).
< λλ > per /ll/: νούλλα nulla 1 bis. <λ> per /l/: βαντζέλη vantzeli 5 e 9.
<νν> per /nn/: μαδδόννα madonna 6, <ν> per /n/: μάνου manu 3.
δόννα donna 9.
<ρρ> per /rr/: Ἁρρησπούνδι arrispundi 2. <r>: καντζάρη ~ -ι kantzari 8 e 12,
ματζούρη matzuri 8 e 12, πιγ(ι)ούρη
pig(i)uri 8 e 12.
Tabella III.
Brigida nel Calendario siciliano, Follieri/Mosino 1982, p. 107)» (Baglioni in c.s.). In entrambi i
110 Un parallelo digramma *<ττ> per /d/ non è mai documentato in testi romanzi, perlo-
casi si tratta di testi copiati da greci.
di /d-/ iniziale «in parole che non siano di origine locale». La resa δδέου = Deu ricorre anche nel-
112 Come osserva Rohlfs (I: § 153), in vari dialetti meridionali è normale l’intensificazione
113 La resa di /d/ con <δδ> è quasi l’unica soluzione ammessa in un testo di cui stiamo cu-
la Predica salentina pubblicata da Parlangèli (II b 25; cfr. n. precedente).
esempi come δδατι ddati ‘dati’, δδικου ddiku ‘dico’ (c. 1v), δδι μάληδδῖρη ddi maliddiri ‘di male-
rando l’edizione, la formula confessionale segnalata da Parenti (2017: 78), da cui ricaviamo
dire’, φραουδδατα frauddata ‘frodata’, αλλου δδιβηνου allu ddivinu ‘al divino’ (c. 2r) ecc. (trala-
sciando del tutto gli esempi, ancor più numerosi, di <νδδ> per /nd/).
114 Si vedano in posizione iniziale: δϊκα dika 1, δι di 5, 6, 9, 10, 12 ~ δϊ 8, δα da 6 e 10, δόννα
manze anche fuori dall’Italia meridionale115. nel caso del clitico ντζη ntzi ‘ci’
te le consonanti affricate, secondo l’uso dominante nelle scriptae greco-ro-
postalveolare sorda / ʧ /, mentre nel resto dei casi lo stesso segno potrebbe
1 (< *hince, cfr. infra § 6.3) è possibile che il digramma renda l’affricata
6.2. Fonetica
6.2.1. Vocalismo tonico
Il vocalismo tonico della nostra formula corrisponde integralmente al
modello “siciliano”, senza alcuna eccezione:
– ē > /i/: πρήνδιρη prindiri 6, 10 < *prēndere per il classico prehĕn-
dere116.
– ĭ > /i/: κήστου kistu 1, 10, κήστα kista 6 < *eccu ĭstu, ππινηδΐττου ppi-
nidittu 1 < *benedĭctu(m).
115 Cfr. Baglioni (in c.s.); e per i problemi legati al tau-zeta e alle altre grafie per le affricate,
nōmen (per il metaplasmo, cfr. infra 6.3.1). In effetti nomu è forma quasi
esclusiva in siciliano medievale: le 784 occorrenze di nomu nel corpus ARTE-
SIA (più un esempio di nnomu per RF) non lasciano adito a dubbi118, specie
se raffrontate alle pochissime attestazioni dell’esito atteso -u-: appena cinque
esempi del tipo di III classe numi 119 e solo due del metaplastico numu 120. La
stessa banca dati offre anche, è vero, 45 occorrenze di nume (con -e conservato,
si badi; e una sola volta numi sing.) nella traduzione dei Dialogi di Gregorio
Magno di Giovanni Campulu da Messina121: tuttavia, come ha dimostrato Vit-
torio Formentin in un noto articolo, il codice più antico e autorevole che tra-
smette questo testo è sicuramente di area calabrese settentrionale (cosentina)122;
117 Si tratta della tendenza alla chiusura di o prima di nasale + consonante, indipendente-
mente dal grado vocalico di partenza, evidenziata da Rohlfs (I: §§ 110, 126). Il confronto tra gli
esiti toscani e quelli meridionali estremi suggerisce la possibilità di un’origine latino-volgare di
sul Codice diplomatico longobardo, Pär Larson segnala il grado -u- tonico e atono in esiti di ŏ la-
questo fenomeno di innalzamento (la questione è trattata in Barbato 2007: 113). nei suoi studi
tino: «Munte, -s (quattro volte), Muntione, Funtana e Tripuntio (un es. ciascuno), spundeo ecc.
(sedici volte in posizione tonica, tre in postonia) e cuntra (tre esempi)» (Larson 1988, § 2.1). Un
nuovo esame del caso potrebbe indurre anche a ritornare sul problema dell’alternanza tra rispo-
se/rispuose in italiano antico: com’è noto, Arrigo Castellani attribuisce l’origine della variante
con /'o/ a «influsso del presente e dell’infinito di porre» (Castellani 2000: 465).
118 Cui si aggiungono 101 occorrenze della variante nomo e 50 di nomi, plurale e talvolta
anche singolare: cfr. «libru unu lo quali havi nomi Danti, lu Paradissu, lu Purgatoriu et lu Infer-
nu» (Rinaldi 2005: 132). I tipi nomu/nomi con -o- sono in effetti la soluzione esclusiva nei docu-
menti editi da Gaetana Maria Rinaldi, nonostante la studiosa osservi che «ō, ŭ danno [u] in mo-
do assai compatto» (Rinaldi 2005: 359; nomu non è nominato nell’analisi linguistica, ma ne dà
conto il glossario alle pp. 562-563).
119 Tre delle quali nel Valeriu Maximu di Accurso di Cremona (1321/1337), testo lingui-
sticamente assai particolare: «una sua fillyuletta qui avia numi Tercia»; «per lu numi di la antiqua
custuma»; «fuli postu numi Rauduscollana» (Ugolini 1967, 1: 22; 1: 52; 2: 42). Inoltre, nella
parafrasi dell’Ave Stella Maris (1450/1475): «lu oscuru numi d’Eva» (v. 14, Cusimano 1952:
138); nel coevo «Renovamini»: «a ffari reverentia a lu numi di Iesu Cristu». Per un sesto esempio
di numi in Giovanni Campulu, cfr. infra.
120 Angelo di Capua (1316/1337): «et ordinaru ki killu munti si chamassi, per lu numu di
killu mortu» (Folena 1956: 105); Sposizione del Vangelo della Passione secondo Matteo (1373):
«unu homu di Cirena k’avia numu Symuni» (Palumbo 1954-1957, II: 63). Vale la pena di nota-
re, en passant, che un codice quattrocentesco dell’Istoria di Eneas di Angelo di Capua attesta an-
che il plurale neutro noma, tuttora vitale nei dialetti moderni: «non poteria cumctari nì disponi-
re tucti li noma» (Spampinato 2002 in ARTESIA); un po’ più frequente la variante in -ora: no-
mura (7 occ. + nòmura 1 occ.) ~ nomora (1) ~ numura (1) (ARTESIA).
121 Edizioni del testo: Santangelo (1933); Panvini (1989). Per le cospicue attestazioni di
a Formentin (1995).
La formula matrimoniale del codice Hunter 475 39
che i dialetti siciliani moderni hanno mantenuto lo sviluppo ['ɔ], come mo-
si tratta perciò della classica eccezione che conferma la regola. Si noti che an-
strano gli esiti nnomu, nnuomu, nomu registrati nel VS. Il tipo nomu appartie-
ne a una nota casistica di eccezioni al vocalismo siciliano: nei testi medievali,
in generale, esse «si spiegano come cultismi, come prestiti o come testimoni
dello stadio precedente alla cristallizzazione del sistema pentavocalico»123. Ci
sembra verosimile che nomu non sia l’esito autoctono, e che rappresenti
piuttosto una variante fonetica di matrice galloromanza (fr. ant./prov. nom)
verbale, si ricorderà che anche nelle voci rizotoniche il siciliano antico cono-
sce una costante oscillazione fra i tipi mettu e mittu 129. A fronte di questi due
123 Barbato (2007-2010, 1: 113), il cui elenco include, oltre a nomu, le forme acconzu,
sconzu, bisogna, -u, jornu, ordini, virgogna, e anche comu; cfr. Rinaldi (2005: 359). Il vocalismo
tonico e la forma metaplastica concorrono a rafforzare l’ipotesi che si tratti di un gallicismo
adattato.
124 Escluderemmo recisamente una base già latina volgare *nŏmen. L’esempio nuome del-
(2016a: 243). Invece i dialetti calabresi presentano anche il tipo cumu accanto a comu e addirit-
tura cuomu: cfr. NDC s.vv.
126 Cfr. Rinaldi (2005: 358-359); Maggiore (2018: 51, n. 66).
127 Cfr. Maggiore (2016b: 67; 2018: 51). nel Corpus ARTESIA le occorrenze del tipo cosa
superano di circa dieci volte quelle della variante conservativa causa, che talvolta affiora come
mero calco sul latino (cfr. Ingallinella 2014: 73).
128 Cfr. Varvaro (1995: 232); Rinaldi (2005: 360-367); Barbato (2007: 116); Maggiore
esempi, tuttavia, nel resto dei casi si osserva sempre E, I > /i/, O, U > /u/, in
tutte le sedi atone. Segue l’elenco degli esempi.
In sillaba iniziale protonica:
– e > /i/: ππινηδΐττου binidittu 1, λητζήτιμα litzitima 6 e λητζήτιμου lit-
zitimu 10, σικούνδδου sikunddu 7 ~ σικούνδου sikundu 11, πιγ(ι)ούρη
pig(i)uri ‘peggiore’ 8 e 12, μησὲρ miser ‘messere’ 10.
– o > /u/: κουμάνδα kumanda 7 e 11 (lat. commendare), ρουμάνα ru-
mana 7 ~ ρρουμάνα rrumana 11.
– u > /u/: μουγγέρη mugg(h)eri ‘moglie’ 6.
In sillaba intertonica:
– e > /i/: ππινηδΐττου binidittu 1, Ἁρρησπούνδι arrispundi 2.
In sillaba postonica non finale:
– e > /i/: πρήνδιρη prindiri 6, 10.
– u > /u/: πόπουλου populu 2.
130 Sul peculiare statuto fonologico dei monosillabi, cfr. Bafile (2011) a proposito dell’ita-
liano contemporaneo (ma le considerazioni generali formulate sulla base di dati sincronici si
possono cautamente estendere alle varietà medievali).
131 Stando ai dati di ARTESIA, solo 22 esempi di nu (in un caso nella grafia nu·) in sette
testi dei secc. XIV e XV, contro 361 esempi di no (3 volte no·) in 57 testi datati dal 1320 all’ini-
zio del sec. XVI.
La formula matrimoniale del codice Hunter 475 41
6.2.3. Consonantismo
La grafia ρρουμάνα rrumana 11 – nella sequenza σαντα μάτρι ἐκλέσια
ρρουμάνα santa matri eklesia rrumana – sembra documentare l’allungamento
incondizionato di /r-/ in posizione iniziale, caratteristico della Sicilia e della
Calabria meridionale estrema133. In tutti gli altri casi (non molti: cfr. supra §
6.1.) la distinzione grafica tra consonanti lunghe e brevi è sempre rispettata
per le liquide e le nasali, il che sembra fornire una garanzia sufficiente della
132 Ma como è già attestato nelle iscrizioni romane di Pompei: cfr. Väänänen (§§ 86, 91).
133 Cfr. Rohlfs (I: § 164).
134 Cfr. Barbato (2007-2010, 1: 160-161).
135 Cfr. Rinaldi (2005: 393); Barbato (2007-2010, 1: 160).
136 Cfr. Folena (1956: 146). La lezione è confermata anche dal testimone B (sec. XV), tra-
da non rari esempi di prostesi di /a-/ davanti a R-143: la voce verbale Ἁρρη-
vibrante iniziale è già indirettamente provato, nella tradizione latino-volgare,
kista 6)144.
l’esito -br- > /-vr-/ di tipo siciliano147 in λήβρου livru 3 (cfr. supra § 6.1. per
la grafia); soprattutto si segnala in posizione iniziale (κήστου) ππινηδΐττου
(kistu) ppinidittu 1, dove < ππ > = /b/ (cfr. supra § 6.1.), verosimilmente rea-
lizzato come [bb]: il mancato passaggio alla fricativa in contesto non raffor-
zante rinvierebbe, nel quadro dialettologico moderno, a Messina e all’area
nord-orientale148; ma si può pensare che il latinismo binidittu appartenesse a
quella classe di voci che già anticamente si pronunciavano sempre con [bb-]
iniziale anche lontano dal messinese149. In generale, il quadro degli esiti di b
141 Discretamente documentato in ARTESIA nelle varianti arraiari / -y- / -atu (13 occ.),
più rari arrabiatu (4 occ.) e arragiari (1 occ.) + -osa (1 occ.); cfr. anche TLIO s.v. arrazzari (va-
riante dubbia).
142 Dall’edizione interpretativa di Spampinato (2002).
143 Cfr. Varvaro (1995: 233); Rinaldi (2005: 97); Barbato (2007-2010, 1: 143); Emmi
(2011: 35-37); Pagano (2015: 735). Si rinvia alla ricca documentazione del Corpus ARTESIA
per esempi come a(r)ribellari, a(r)ricordari, a(r)ricumandari, a(r)ricuperari, a(r)rifridari, a(r)ri-
peczari, arriprisintari, a(r)ripusari, arrispundiri, arrisvigliari, a(r)ritornari, a(r)rizari, a(r)robari,
arrumpiri e simili.
144 Cfr. Rinaldi (2005: 393); Barbato (2007-2010, 1: 160-161).
145 Le occlusive intervocaliche sono generalmente conservate in siciliano antico, anche se
talvolta esse «lasciano affiorare qua e là quei processi di lenizione propri del dialetto moderno»
(Rinaldi 2005: 372); cfr. Barbato (2007-2010, 1: 125).
146 «Tutti i gruppi di consonante + r sono generalmente conservati, e non solo quelli con
pr, tr e str in cui il siciliano è sorretto dalla convergenza con il latino» (Rinaldi 2005: 382).
147 Cfr. Varvaro (1988: 720); Barbato (2007-2010, 1: 127). Tuttavia secondo Rinaldi (2005:
383) «nei testi Campolo il settentrionale e veneziano livra» risulterebbe «distinto da libru ‘libro’».
148 Cfr. Ruffino (1997: 371); Barbato (2007-2010, 1: 128).
149 «Esistevano […] due classi di parole, una con variazione fonologica [v]/[(b)b] (es. vucca
/ a bbucca; vuchi / a bbuchi), l’altra sempre con [bb] (es. bbaruni). In tutta l’Italia meridionale
alcuni lessemi che appartenevano alla prima classe, per adeguamento superficiale alla soluzione
La formula matrimoniale del codice Hunter 475 43
στου kistu 1, 10 e κήστα kista 6151; mentre è panromanzo Κομου komu 4 <
quōmodo.
fie < γι > e < γ > rendono probabilmente [j] (oppure al limite [ggj] o [ ɟɟ])152 in
negli esiti di j coesistono due soluzioni alternative: da una parte, le gra-
tradizionali […] l’esito è [j], con le varianti [ ɟɟ] [ ɟ] in posizione forte e semi-
flettere la doppia trafila fonetica del siciliano moderno, dove «nelle parole
settentrionale, sono passati alla seconda: *vonu → bbonu. È naturale che in Sicilia, dove il con-
tatto con le varietà settentrionali è stato più intenso, il processo si sia spinto più a fondo, al pun-
passavano alla seconda (vucca → bbucca), le altre perdevano l’antica variazione allofonica (a bbu-
to che, in particolari situazioni diatopiche e diastratiche, mentre alcune parole della prima classe
chi → a vvuchi). Tale è appunto il quadro che ci offrono gli antichi testi siciliani e le varietà
orientali moderne» (Barbato 2007-2010, 1: 128).
150 nel quadro di «una situazione storica complessa» (Varvaro 1995: 128), cit. in Barbato
(2007-2010, 1: 128).
151 In siciliano antico si nota una caratteristica oscillazione: cfr. Varvaro ([1979b] 2020);
(1995: 233); Rinaldi (2005: 390); Barbato (2007-2010, 1: 129); Maggiore (2016b: 69). Solo al-
cuni testi di natura più “popolare” possono propendere per l’esito /k/: è il caso del lunario con-
152 Sull’uso (accertabile solo in pochi casi) di <γ> e più raramente <γι> per l’approssimante
servato in un codice di mascalcia del sec. XV e studiato in Maggiore (2018: 53).
palatale [j] in testi greco-romanzi, cfr. Melazzo (1980: 99); Compagna / Varvaro (1983: 95); De
Angelis (2010: 399); De Angelis / Logozzo (2017: 61); Baglioni (in c.s.).
153 Si noterà che negli stessi contesti le scritture latino-volgari privilegiano sempre gli esiti
ziale delle due trafile si osserva però in posizione iniziale: cfr. Varvaro (1995: 233); Maggiore
(2016b: 65).
44 Marco Maggiore - Daniele Arnesano
< muliere(m) sembra rappresentare l’esito popolare lj > [ggj] (o [ ɟɟ])159: cfr.
sic. mugghièri (VS s.v.). Anche questo esito demotico di solito non traspare
< τζ > che in alcune forme sta sicuramente a indicare [ʤ] (cfr. supra § 6.1. e
Tuttavia è necessaria una grande cautela, data l’ambiguità del digramma
(forse influenzato dall’italiano), pèiu e anche pègghiu; quest’ultimo tuttavia è limitato al dialetto
pantesco (VS).
159 Cfr. Barbato (2007-2010, 1: 135).
160 Cfr. Rinaldi (2005: 355); Barbato (2007-2010, 1: 155). Sempre che qui il doppio gam-
ma non stia a rendere una laterale palatale, non codificata nell’alfabeto greco; ci sembra tuttavia
un’ipotesi meno probabile.
161 Cfr. Rohlfs (I: § 274); Cella (2003: 186-190); il TLIO tratta separatamente cambiare e
cangiare, considerando quest’ultimo un prestito da fr. ant. changer sulla base di DELI 2 s.v.
162 Cfr. Rohlfs (I: § 256). Secondo Rinaldi (2005: 385) e Barbato (2007-2010, 1: 136) il
siciliano antico è estraneo alla desonorizzazione. Si considerino però i seguenti esempi di man-
chari (< fr. ant. mangier) nella Conquesta di Sichilia di Simone da Lentini (1358): «lu Conti non
havia nisunu chi li apparichassi a manchari, eceptu sua mugleri […]. Et la Contissa, citella et de-
licata, quandu havia siti, et illa bivia aqua et, quandu havia fami, per czo chi non havia chi man-
chari, oy plangia, oy si culcava a dormiri» (Rossi-Taibbi 1954: 54); inoltre «tavula una di man-
ciari» in un inventario del 1433 (Bresc-Bautier/Bresc 2014: 898). Per quanto riguarda il lessema
cangiari, il più antico esempio di desonorizzazione che ricaviamo da ARTESIA risale al 1511:
«In casa una mula murella per la persona mia; unu runcinocto sauro facholu; un altro saurello
canchai per una putra di la massaria» (Inventario dei beni mobili di Alvaro Paternò, Raffaele
2018; prima ed. del testo: Paternò 1930: 114; cfr. Pagano 2019a: 196 n. 32).
La formula matrimoniale del codice Hunter 475 45
norme lezione manoscritta †οὗνννη† unnni 2 se valesse unddi < unde oppu-
va del nesso163. Questo stato conservativo costringerebbe a emendare l’ab-
calica nelle forme di 3ª persona στάη stai ‘sta’ 6 e 10 e εστϊ esti 1 < est, sulle
l’intensificazione di /r-/ (cfr. supra § 6.2.3.), possiamo segnalare l’epitesi vo-
quali cfr. infra § 6.3.2. nota l’apocope nell’appellativo μησὲρ miser ‘messere’
10 (< fr. ant. mes sir )167, con cospicue attestazioni in siciliano medievale168 al
pari di inver, merzì e poche altre forme di chiara «origine allogena»169 (gallo-
romanza o gallo-italica).
163 Cfr. Rinaldi (2005: 386); Barbato (2007-2010, 1: 138); Pagano (2019b: 305-306);
conservato nei cultismi clericu ed Ecclesia: cfr. Rinaldi (2005: 381); Barbato (2007-2010, 1:
137-138).
165 Cfr. Maggiore (2016a: 226-227) e, specificamente dedicati al tema, Lanaia (2008) e
Coluccia (2019). La questione degli esiti di -ll- nei dialetti meridionali è assai intricata e richie-
derebbe uno studio di impianto generale che tenga conto della complessa variazione diatopica e
diacronica degli esiti (un notevole spaccato microdialettale è tratteggiato da Abete / Vecchia
2018 per i dialetti dell’Irpinia).
167 Cfr. De Angelis (2010: 400) per un esempio di μισσέρε missere in uno dei frammenti li-
166 Cfr. Barbato (2007-2010, 1: 143); «comune» secondo Ingallinella (2014: 75).
(2018: 55).
46 Marco Maggiore - Daniele Arnesano
6.3. Morfologia
6.3.1. Nome
solita reliquia della IV declinazione λα μάνου la manu 3171. È appena più in-
teressante il metaplasmo νόμου nomu 4 da nomen, riccamente attestato in
siciliano antico172.
ci: 3ª λου lu 12, λα la 8; 5ª βι vi 6 ~ βη vi 10, ντζη ntzi ‘ci’ 1 (nchi nei testi
matica scrizione †οὗνννη βένη† 2, qui ricordiamo che il siciliano antico di-
latino-volgari), qui con funzione di dativo di 3ª persona175. Quanto all’enig-
stingue tendenzialmente ni < nOS clitico di 4ª persona da ndi < inde locati-
vo/genitivo176; tuttavia già nei testi del Trecento si osservano esempi di con-
fusione tra i due tipi. Citiamo l’esempio più antico che siamo riusciti a indi-
viduare nel Corpus ARTESIA, dal volgarizzamento di Valerio Massimo di
Accurso da Cremona (1321/37): «Pensa – dis’issu – modu intra ti medemmi
quanti chanti foru da qua in daretu sutta quisti tecti et quanti enci ni sianu
modu et quanti enci ndi seranu ancura»177.
maschile σόου sou 12 bis e femminile σούα sua 8 bis tipiche del siciliano anti-
Sono attestati solo i possessivi di 3ª persona nelle forme “asimmetriche”
anche il tosc.a. nomo. In ARTESIA quasi 800 esempi di nomu sempre al maschile, diversamente
dal napoletano antico la nomo, sul quale cfr. Formentin (1998: 296, 298 n. 868). Sulla conti-
nuazione del tipo nomu in siciliano moderno, cfr. supra § 6. 2.3.
173 Su altre locuzioni avverbiali formate con da in documenti siciliani medievali, cfr. Rinal-
di (2005: 430). La preposizione in siciliano antico ricorre in proporzioni ridotte rispetto a di:
cfr. Barbato (2007-2010, 2: 70).
174 Rinaldi (2005: 403-404).
175 Cfr. ivi (p. 405); Barbato (2007-2010, 2: 51ss.).
176 Cfr. Rinaldi (2005: 405 n. 180); Barbato (2007-2010, 2: 52); entrambi gli studi si ba-
co e della maggior parte delle lingue romanze, che negli sviluppi del latino
tuus, suus muovono da un tipo dissimilato *tou tua, *sou sua178. Manca-
no qui le forme me, to, so che compaiono nei testi siciliani fra XIV e XV se-
(cfr. supra § 6.2.3.); relativo κη ki 1; indefinito negativo νούλλα nulla 1 bis 180.
L’avverbio di negazione νο no ‘non’ 8 ~ νό 12 compare solo prima di clitico,
chi 181. Infine, la congiunzione negativa νήν nin 8 ~ νἧν 12 coincide col tipo
come si verifica tendenzialmente in siciliano e italiano meridionale anti-
nin / nen dei testi latino-volgari182 (forse per interferenza tra nec e non?).
6.3.2. Verbo
La forma εστϊ esti 1 < est, oggi conservata solo nei dialetti delle periferie
nord-occidentale e nord-orientale della Sicilia183, è ampiamente diffusa nella
scripta siciliana medievale184. notiamo incidentalmente che la forma esti com-
pare all’interno di un’interrogativa con ordine marcato (cfr. infra § 6.3)185.
epitetica στάη stai ‘sta’ 6 e 10186; l’unica altra forma di 3ª persona è Ἁρρη-
È nota ai testi siciliani, sia pure in misura più ridotta, anche la forma
178 Come ha dimostrato Barbato (2010: 54-67). In siciliano antico lo schema prevalente
dei possessivi di 2ª e 3ª persona è tou m. / tua f. / toi pl., sou m. / sua f. / soi pl., cfr. Rinaldi
(2005: 405-406), e vedi ARTESIA.
179 Cfr. Varvaro (1995: 235); Rinaldi (2005: 405); Barbato (2007-2010, 2: 56); Maggiore
498) tende a prevalere su nixunu (cfr. Rinaldi 2005: 408), mentre il contrario si può osservare
nei testi letterari (cfr. Barbato 2007-2010: 62 n. 60). non mancano però casi che smentiscono
questa distribuzione “diagenerica”: stando ai dati di ARTESIA, nixunu prevale su nullu (97 con-
tro 21 occ.) nei documenti maltesi pubblicati da Wettinger (1993), mentre è addirittura esclusi-
vo in quelli editi da Fiorini (2016).
181 Cfr. Barbato (2001: 228); (2007-2010, 2: 72 n. 101). nei testi latino-volgari la forma
ridotta no, qui esclusiva, è minoritaria rispetto a non: cfr. Rinaldi (2005: 431); Ingallinella
(2014: 80).
182 Cfr. Rinaldi (2005: 562 [s.v. nì]); Barbato (2007-2010, 2: 72).
183 Cfr. Ruffino (1997: 369). Secondo Barbato (2007-2010, 1: 186), «la distribuzione
odierna in aree laterali parla a favore di una estensione panisolana» (sulla base di Ruffino 1984:
178). Per la lingua medievale, cfr. n. seguente.
184 Cfr. Leone / Landa (1984: 43); Rinaldi (2005: 397); Barbato (2007-2010, 1: 186);
Maggiore (2016b: 73). Oltre 3300 attestazioni in ARTESIA. Tuttavia «non possiamo dire
quanto fosse esteso, dato che molti nostri testi sono messinesi» (Varvaro 1995: 234).
185 nelle sue note linguistiche sul frammento siciliano trecentesco delle Vite dei santi padri,
Ingallinella (2014: 76) osserva – come fatto di parole più che di langue – l’uso contrastivo delle
forme è (ordine non marcato) ed esti (ordine marcato).
186 Cfr. stai / stay, documentato a partire da Angelo di Capua in 30 occorrenze totali, ma
più raro in testi del ’400 (ARTESIA). Su questa forma è anche costruito un tipo di 6ª persona
stainu / staynu, discretamente attestato: cfr. Leone / Landa (1984: 39); Rinaldi (2005: 417); Bar-
bato (2007-2010, 1: 169-170).
48 Marco Maggiore - Daniele Arnesano
perativo; le terminazioni sono -ati per la I classe e -iti per le restanti: τζουρά-
giormente attestati sono voci di 5ª persona del presente indicativo o dell’im-
si riflette nelle terminazioni dell’infinito -ari vs. -iri (atono): καντζάρη kan-
Quanto ai modi indefiniti, la differenza fra le due macro-classi principali
6.4. Sintassi
La formularità del testo lascia trapelare pochi fatti significativi. Tra que-
δϊκα νούλλα κόσα? A kkistu ppinidittu matrimoniu, esti nulla persuna ki ntzi
dika nulla kosa? nella stessa formula sono da notare anche l’inversione del-
l’ordine SV nell’interrogativa (esti nulla persuna […]? ) e l’assenza nel co-
strutto esistenziale esordiale della cosiddetta proforma (it. ci, sic. nci, ndi),
che qui potrebbe spiegarsi per calco su una struttura interrogativa latina
(Estne…?)190.
ἀ κήστα μαδδόννα τάλη […] πηρ βόστρα λητζήτιμα μουγγέρη di prindiri a ki-
sta maddonna tali […] pir vostra litzitima mugg(h)eri 6, δι πρήνδιρη ἀ κήστου
μησὲρ τάλη […] πηρ βόστρου λητζήτιμου μαρίτου di prindiri a kistu miser tali
[…] pir vostru litzitimu maritu 10. Entrambe le infinitive sono rette da tzu-
rati ‘giurate’192.
Dallo stesso verbo dipendono anche le seguenti frasi, notevoli per l’ante-
posizione del clitico all’infinito retto da preposizione, secondo un uso nor-
187 Che, come di norma, conserva il tema in velare: cfr. Barbato (2007-2010, 1: 163).
188 Rinaldi (2005: 442) rileva l’uso di maiuri, minuri e migliuri. La studiosa stampa come
una forma univerbata milloromu nell’esempio ti mustrirò dumani ki eu sugnu milloromu di ti, ma
forse è meglio leggere millor omu.
189 Cfr. Barbato (2007-2010, 2: 109-110).
190 Sui costrutti esistenziali in siciliano antico, cfr. Amenta (2001).
191 Cfr. Rohlfs (III: § 632); (1971: 312-313); Formentin (1998: 380-383); Barbato (2001:
243-244); Maggiore (2016a: 356-358). Per il siciliano antico, cfr. La Fauci (1991); Rinaldi
(2005: 450-451); Barbato (2007-2010, 2: 81-83).
192 In dipendenza da questo verbo è normale la reggenza con di anche in siciliano antico:
male nei dialetti meridionali antichi e moderni 193: δϊ νο λα καντζάρη πὴρ μα-
τζούρη σούα νήν πηρ πιγγούρη σούα di no la kantzari pir matzuri sua nin pir
pigiuri sua 8; δι νό λου καντζάρι πὴρ ματζούρη σόου νἧν πὴρ πιγουρη σόου di
no lu kantzari pir matzuri sou nin pir piguri sou 12. Benché il siciliano antico
ammetta soluzioni molteplici, almeno nei documenti trecenteschi studiati da
Gaetana Maria Rinaldi la proclisi con verbo all’infinito è obbligatoria «nella
coordinata o nella subordinata negativa»194.
Università di Pisa Marco Maggiore
marco.maggiore@unipi.it
MIUR Daniele Arnesano
daniele.arnesano@gmail.com
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193 Cfr. Rohlfs (II: § 470) e, per il salentino antico, Maggiore (2016a: 303); (2019c: 155).
194 Rinaldi (2005: 446), con gli esempi seguenti: «promisi […] tiniri et conservari la Mocta
di la Placa […] et non chi receptari persuna alcuna»; «tractari amicabilimenti li nostri fidili et
non li fari guerra nin dannu»; «nui digiamu essiri punuti a non ni dari zo ki ni haviti promisu».
Diversamente, nel Rebellamentu si ha sempre enclisi con l’infinito preceduto da preposizione:
cfr. Barbato (2007-2010, 2: 114).
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60 Marco Maggiore - Daniele Arnesano
Riassunto / Abstract
Il manoscritto Glasgow, University Library, Hunter 475, è un evangeliario gre-
co medievale, appartenuto anticamente al monastero del SS. Salvatore di Messina.
Il codice conserva, nella sua prima carta, una formula matrimoniale in volgare sici-
liano scritta in caratteri greci. La formula potrebbe risalire agli anni 1259/1266, du-
rante il regno di Manfredi di Svevia: si tratterebbe in tal caso del più antico testo in
volgare siciliano giuntoci in veste presumibilmente originale. L’articolo propone la
prima edizione della formula corredata di un profilo linguistico e di un capitolo di
analisi paleografica.
scritture esposte in volgare siciliano, in relazione al quale ho già pubblicato altri contributi –
Raffaele (2010), (2014), (2016), (2018a), (2018b), (2019) – e presentato un primo complessivo
resoconto all’ultimo Congresso della Società Italiana di Filologia Romanza che ha avuto luogo a
Roma nel 2018, cfr. Raffaele (in c.s.).
2 Riprendo la denominazione attribuita al dipinto da Claudio Parisi (2001: 18), l’unico
1976, a cura dell’allora Sovrintendenza alle Belle Arti di Catania, i cui esper-
ti l’hanno datata al 1525 3.
Il San Lorenzo segue il modello di dipinto agiografico che combina la ti-
pologia iconica con quella figurativa, proponendo al centro, in grandi di-
mensioni e corredata dai simboli che la tradizione iconografica gli attribui-
sce, l’immagine del santo a cui si rivolge il culto devozionale e ai lati una se-
rie di riquadri all’interno dei quali sono proposti gli episodi topici della sua
biografia. Com’è noto, tale genere di raffigurazione, eseguita su tavola, su te-
la o a fresco, ha conosciuto una vasta diffusione sia in Italia, sia più in gene-
rale nell’Europa occidentale, a partire dal secolo XIII fino a tutto il secolo
XV 4. Anche in Sicilia, ampiamente sollecitata dalle richieste della commit-
tenza5, la pittura iconico-figurativa ha riscosso ampio successo e ha trovato
seguito fino al secolo XVIII 6. Per altro verso, va anche ricordato come la fi-
gura di san Lorenzo martire abbia costituito un soggetto rappresentato con
una certa frequenza sia nella pittura di area italiana7, sia in quella di area sici-
liana, ove di certo trova la sua espressione più elevata in una tela di Filippo
Paladini realizzata nel 1614 per la Chiesa Madre di Vizzini, presso la quale è
tuttora conservata8.
Il San Lorenzo propone dunque il ritratto del santo posto al centro della
tela, in posa su un basamento di colonna che funge da piedistallo, con i tra-
dizionali simboli della sua iconografia 9: i lineamenti del viso ne confermano
la giovane età; il capo è scoperto e sormontato da un’aureola; porta indosso
una dalmatica di colore rosso sopra un camice di colore bianco; una stola
scende dal collo fino ai fianchi; la mano sinistra regge una grande graticola e
san Lorenzo martire è attestata in documenti del secolo XVI. La chiesa di sant’Antonio Abate è
stata poi distrutta dal terremoto del 1693 e successivamente riedificata in un luogo diverso da
quello originario, riproponendo almeno in parte, tuttavia, l’assetto precedente. L’informazione
relativa alla datazione del dipinto, per l’appunto il 1525, proviene dalla targhetta illustrativa po-
sta a fianco della tela, dovuta agli esecutori del restauro. non appare però chiaro sulla base di
quali elementi sia stata proposta tale data, visto che non la si rinviene sul dipinto; cfr. Parisi
(2001: 19, nota 18).
4 Sulla prima diffusione in Italia di questa tipologia figurativa, si vedano, ma con particola-
in Sicilia, cfr. Bresc-Bautier (1979: 31-37); Russo (2012: 62-64). Un’interessante testimonianza
ci è offerta dal testamento del nobile catanese don Alvaro Paternò a proposito della commissione
di un dipinto raffigurante sant’Agata con li historii di cantu (‘storiette laterali’), su cui si veda In-
telisano (2019: 95; 111).
6 A questo proposito, cfr. Russo (2012: 55-61).
7 Cfr. Kaftal (1952: § 182), (1965: § 219), (1978: § 168), (1985: § 138).
8 Russo (2012: 47).
9 Cfr. alla voce «Lorenzo, santo, martire», la sezione curata da Maria Chiara Celletti, in
la destra un libro e un ramo di palma10. Ai suoi piedi sul lato sinistro, inol-
tre, un piccolo angelo solleva con entrambe le mani una corona dorata,
mentre sul lato destro un uomo in ginocchio (raffigurante, con tutta eviden-
za, il committente) gli si rivolge in preghiera. La figura del santo appare al
centro di un prospetto architettonico costituito da due paraste unite da un
arco a tutto sesto11. Tale artificio figurativo conferisce organicità al dipinto,
per un verso fungendo da trait d’union con le “storiette”, effigiate sui frontali
delle stesse paraste, e per un altro verso alludendo a un ideale raccordo tra lo
spazio in cui è collocato il santo e quello dello spettatore. La scena è comple-
tata dal paesaggio fortemente stilizzato posto come sfondo alle spalle del san-
to, nel quale si distingue un corso d’acqua sormontato da un ponte, in pros-
simità di una sponda del quale si scorgono due piccole case, mentre sull’altra
si stende un agglomerato urbano con edifici di mole più imponente12. Lo
spazio è scandito dalle linee prospettiche trasversali che convergono sul volto
del santo, dalla cornice architettonica che contiene la narrazione della sua vi-
ta e dal profilo dell’orizzonte delineato dal paesaggio urbano.
Come si vede dalla riproduzione riportata sopra, sei delle “storiette” che
corredano l’immagine del santo sono disposte sulle paraste (tre per parte),
10 La dalmatica è l’abito distintivo dei diaconi e il colore rosso simboleggia il sangue dei
martiri; la graticola è lo strumento con il quale il santo fu martirizzato, il libro ne rievoca gli stu-
di, la palma è simbolo dei martiri; su questi simboli dell’iconografia laurenziana, si veda alla voce
«Lorenzo, santo, martire», la sezione curata da Maria Chiara Celletti, in BSS (1966: 8, 121-122).
11 Un giudizio sulla qualità artistica del dipinto in Parisi (2001: 19).
12 Con riferimento alla legenda di san Lorenzo, si potrebbe ipotizzare una raffigurazione
mentre una settima – la più importante dal punto di vista iconografico, ossia
quella relativa al martirio – è collocata sulla base di colonna su cui si erge la
figura del santo. Il loro disegno appare meno elaborato rispetto a quello delle
decorazioni, anzi per alcune di esse la definizione appare sbrigativa. Per quel
che riguarda il contenuto, le scene seguono il paradigma del racconto agio-
grafico, articolato intorno alla sequenza vita, morte, miracoli. La linea bio-
grafica proposta dal dipinto segue l’ordine verticale: per la parasta di sinistra,
sulla cui parte sommitale è apposto il segno «I», si va dall’alto verso il basso,
al contrario per quella di destra, sulla cui parte sommitale è apposto il segno
«2», si va dal basso verso l’alto, mentre la scena del martirio, come si è già ac-
cennato, è posta al di fuori della sequenza narrativa.
2. La legenda di san Lorenzo, vissuto nel III secolo, nato nella città spa-
gnola di Huesca e martire a Roma sotto l’imperatore Valeriano13, attinge a
poche e malcerte fonti storiche, che si dipanano da una tradizione orale ben
radicata a Roma e trovano le loro prime attestazioni scritte nel IV secolo nel-
le omelie di sant’Ambrogio e in un inno di Prudenzio14. Tale tradizione, per
quanto ci è noto, vede una prima organica strutturazione nella Passio ss. Xi-
sti, Laurentii et Yppoliti (di cui è parte la Passio Laurentii vetus)15 e successi-
vamente all’interno della Passio Polychronii (che include la Passio Laurentii
recentior)16. È soprattutto quest’ultima a fornire la base, nei secoli successivi,
alle tante composizioni agiografiche, sia in versi che in prosa, dedicate a san
Lorenzo17. Tra tutte, se per qualità letteraria va senz’altro ricordato il Marti-
rio de San Lorenzo di Gonzalo de Berceo18, per impatto di pubblico, nonché
per analisi dei contenuti, la biografia di maggiore rilievo è il De sancto Lau-
rentio martyre, ossia il capitolo 113 della Legenda aurea di Jacopo da Varaz-
13 Va rilevata una vistosa contraddizione tra il racconto della legenda e le informazioni de-
sumibili dalle fonti storiche a proposito degli anni in cui il santo è vissuto e ha subito il martirio,
poiché non sarebbe stato messo a morte nel corso della persecuzione voluta dall’imperatore De-
cio, com’è riferito nelle varie versioni della Passio, bensì sotto l’imperatore Valeriano; per un in-
quadramento complessivo della tradizione relativa alla legenda laurenziana, si rinvia alla voce
«Lorenzo, santo, martire», alla sezione curata da Sandro Carletti, in BSS (1966: 8, 108-121), e a
Giannarelli (1998).
14 Si tratta rispettivamente del De officiis ministrorum, I. 41, 205-207; II. 28, 140-141 –
cfr. l’edizione Krabinger / Banterle (1977: 148-150; 263) – e del Peristephanon – per il quale si
veda l’edizione Cunningham (1966: 257-277). Sono alla base della prima letteratura agiografica
dedicata a san Lorenzo, per una cui sintesi si rinvia a nauroy (1989).
15 Si veda l’edizione Verrando (1991: 184-187); per ulteriori precisazioni sulla tradizione
Polychronii.
Scritture esposte in volgare siciliano. V. Il San Lorenzo e storie del suo martirio 65
ze, compilazione agiografica che, com’è noto, rappresenta uno dei più fortu-
nati best-seller della letteratura medievale19. Insieme a quest’ultima vanno poi
menzionate altre grandi raccolte di vite di santi, successive all’introduzione
della stampa, che includono la Passio recentior e ne hanno ulteriormente in-
crementato la ricezione, come quella del Mombritius. È dunque a questa
tradizione che occorre rivolgersi per ipotizzare un modello testuale al quale
riportare le raffigurazioni e le iscrizioni del San Lorenzo (cfr. infra § 4). Ma
vediamo, confrontando i vari leggendari, quali sono i punti fermi del bios
del santo. Lorenzo, originario della Spagna, (1) si trasferisce a Roma al se-
guito di papa Sisto che lo ordina arcidiacono, affidandogli il compito di
provvedere alle necessità dei poveri; (2) durante la persecuzione anticristiana
dell’imperatore Decio (anche se in realtà si tratta di Valeriano) è imprigiona-
to insieme a papa Sisto, il quale subito dopo è mandato a morte; (3) mentre
è in carcere, converte alla fede cristiana il suo carceriere insieme ad altri pri-
gionieri; (4) restando fermo il suo rifiuto di adorare gli idoli, (5) è condanna-
to a un atroce supplizio: essere arso su una graticola incandescente; (6) dopo
la morte, il corpo è deposto in una tomba situata lungo la via Tiburtina20.
Rispetto a questo percorso narrativo, come si avrà modo di constatare, le
rappresentazioni riportate nel San Lorenzo risultano tutte coerenti. Ai fini
della presente discussione, pertanto, fornisco l’elenco delle “storiette”, secon-
do la sequenza che si evince dal dipinto, a ciascuna di esse assegno una nu-
merazione e poi ne descrivo sinteticamente il contenuto:
(1) il santo, vestito di rosso, porge la mano a due uomini protesi verso di
lui. Alle sue spalle si nota un grande edificio che ha le fattezze di una chiesa.
La didascalia spiega come egli stia dispensando elemosine ai poveri;
(2) il santo è circondato da un drappello di soldati, riconoscibili dagli el-
mi e dalle alabarde (si noti l’anacronismo di quest’arma), che lo trascinano
verso un edificio di dimensioni imponenti. Siamo informati dalla scrittura
che egli è condotto alla presenza di un tiranno, da identificarsi, ovviamente,
con l’imperatore romano;
(3) il santo, a torso nudo, è trattenuto alle spalle da un soldato, mentre
un altro solleva contro di lui una lunga pertica. Alla scena assiste un terzo
personaggio che dagli abiti sembra essere un alto dignitario. La didascalia,
poi, conferma che si tratta di una fustigazione. Il colore della pittura in alcu-
ni punti appare evanito, ma la figurazione risulta pienamente intelligibile;
19 Cfr. Fleith (1991); Vitale Brovarone (1995); sul tema della circolazione della Legenda
rosimiglianza del racconto rispetto alle fonti storiche di cui si dispone, cfr. supra nota 14, per le
quali si rinvia a Franchi de’ Cavalieri ([1900] 1962). A questo proposito si veda anche Milazzo
(2008: 145-147).
66 Ferdinando Raffaele
punti.
Scritture esposte in volgare siciliano. V. Il San Lorenzo e storie del suo martirio 67
Didascalia 1 (d1).
COMV·S·LVREnZV·FICHI Comu S. Lurenzu fichi
MVLTIELEMOSInI multi elemosini.
Didascalia 2 (d2).
COMV·S·LVREnZV·FVPVRT Comu S. Lurenzu fu purtatu
ATV·AVAnTI·LVTIRAnV avanti lu tiranu23.
Didascalia (d3).
COMV·S·LVREnZV·FV·TRVMEn Comu S. Lurenzu fu trumentatu
TATVCV·VIRICHI·DI·FERV cu virichi di feru24.
Didascalia (d4).
COMV·S·LVREnZV·ESEnDVCA Comu S. Lurenzu, esendu
RCERATV·BATIZAV·LVPROFAnV carceratu, batizau lu profanu25.
Didascalia (d5).
COMV·S·LVREnZV·CHI·FORV·PRI Comu <a> S. Lurenzu chi foru
SInTATI·MVLTI·SORTIDIMARTIRI prisintati multi sorti di martìri26.
Didascalia (d6).
COMV·LV·CORPV·DI·SAnTV Comu lu corpu di Santu
LOR(E)nZV·RISEDI·In·PACI Lorenzu risedi in paci.
25 profanu: ‘non cristiano’, con valore di sostantivo, cfr. TLIO, s.v. «Profano», § 12.
26 Comu <a> S. Lurenzu: integrazione necessaria per dare un senso alla frase, imposta anche
dalla valenza del verbo; chi foru: ‘gli furono’; martìri: ‘torture’ cfr. GDLI, s.v. martìrio, § 3; in
Scobar, s.v. marturiari, indicato quale sinonimo di turmintari, ‘torturare’, cfr. infra § 4, p. 72.
Scritture esposte in volgare siciliano. V. Il San Lorenzo e storie del suo martirio 69
Didascalia (d7).
COMV·S·LVREnZV·FVMISV·SVPRA·LA·RADIGHIA Comu S. Lurenzu fu misu
supra la radighia27.
do (1991), per la Passio recentior dall’edizione Delehaye (1933), per la Legenda aurea dall’edizio-
ne Maggioni (2007).
70 Ferdinando Raffaele
30 Si consideri, tuttavia, che il passo citato non fa parte della Passio recentior ma della sezio-
ne della Passio Polychronii a essa direttamente collegata, ossia la Passio Xisti. Del resto, anche nel-
l’edizione Mombritius, p. 650 il passo ricade nella Vita di san Sisto papa.
31 Così in Mombritius, p. 650, in cui il brano citato cade nel capitolo intitolato Passio san-
Invece in Passio vetus non si fa cenno ad alcun tipo di violenza fisica nei
confronti del santo, se non all’atto del martirio.
Il quarto riquadro riferisce del battesimo che Lorenzo amministra a un
pagano, così chiosato nella didascalia: «Comu S. Lurenzu, esendu carceratu,
batizau lu profanu». Il raccordo con la legenda non emerge in modo lineare.
Se in Passio vetus è solo il carceriere Ippolito (anche lui martirizzato, subito
dopo Lorenzo) a chiedere e ottenere il battesimo: «Quod cum videret Yppo-
litus, statim ad pedes eius [di Lorenzo] provolutus orabat ut christianus effici
mereretur» (44-45); negli altri due testi il sacramento è impetrato, oltre che
dallo stesso Ippolito, anche da altri due personaggi. Lorenzo, infatti, prima
battezza un compagno di prigionia di nome Lucillo, che dopo avere ricevuto
il sacramento recupera la vista:
Passio recentior LA
Et benedixit aquam; et cum expoliasset […] aquam super eius caput effudit et ip-
eum, fudit super caput eius (20). sum in Christi nomine baptizauit statim-
que qui cecus erat lumen recepit (67).
Passio recentior LA
Eadem hora Romanus afferens urceum Romanus autem afferens urceum cum
cum aqua, coepit quaerere horam ut eum aqua ad pedes Laurentii procidit et sacrum
offerret beato Laurentio. […] Veniens au- ab eo baptisma suscepit (115).
tem Romanus et afferens aquam, misit se
ad pedes beati Laurentii et rogabat eum
cum lacrimis ut baptizaretur. Et accepta
aqua benedixit et baptizavit eum (26).
Il testo siciliano non consente di capire a quale dei tre personaggi si fac-
cia riferimento, tuttavia l’esame del disegno induce a identificare il profanu
menzionato nella didascalia con Ippolito, considerando la presenza accanto
al catecumeno di un piccolo gruppo di persone, le quali potrebbero rappre-
sentare i familiari del convertito pronti, anche loro, a ricevere il battesimo. E
su questo punto i testi di Passio recentior e di LA concordano, con la diffe-
renza che in Passio recentior si fa riferimento a un rito battesimale per im-
mersione 32, mentre in LA a un rito per infusione (ovvero aspersione). Tale
variante disgiuntiva farebbe dipendere il contenuto del riquadro da LA, con-
siderato che la raffigurazione del battesimo segue quest’ultimo rito.
nel quinto riquadro è rappresentato l’episodio relativo alle minacce di
tortura rivolte al santo, ed esso, come già per il secondo riquadro, non ha ri-
scontro nella Passio vetus. Inoltre, la didascalia riferisce del fatto che gli sono
presentati «multi sorti di martìri», mentre la figurazione ci mostra Lorenzo
denudato e prostrato, fin quasi a essere messo in ginocchio, con due soldati
romani che minacciosi incombono su di lui. L’episodio sia in Passio recentior
che in LA precede quello della fustigazione rappresentata nel terzo riquadro
e raffigura il secondo interrogatorio del santo da parte dell’imperatore, che
ordina ai suoi sottoposti di mostrargli gli strumenti di tortura che sarebbero
stati adoperati contro di lui qualora si fosse rifiutato di adorare le divinità
pagane:
Passio recentior LA
Decius Caesar iratus iussit eum in con- Iratus Decius iussit eum scorpionibus cedi
spectu suo expoliari et cedi cum scorpio- et omne genus tormentorum ante ipsum
nibus […] Decius Caesar dixit: “Leuate afferri (88).
eum a terra et date ante conspectum eius
omne genus tormentorum”. Et allatae
sunt lamminae ferreae et lecti et plumba-
tae et cardi (23).
32 Il testo riporta «extractus de aqua»; tuttavia in alcuni testimoni della passio si ha «exter-
ricezione in Sicilia della Legenda aurea 33. Del resto, è attraverso questo tipo
di rappresentazioni pittoriche che le vite dei santi narrate da Iacopo da Va-
razze possono essere trasmesse anche ad analfabeti o comunque a persone
che difficilmente si accosterebbero alla lettura di un libro.
5. Dal punto di vista della lingua, le didascalie del San Lorenzo presenta-
no una salda facies siciliana 34, ma nello stesso tempo, per quanto costituzio-
nalmente brevi, ci informano sulla coesistenza di due tensioni che caratteriz-
zano la storia del siciliano, e il cui risultato sarà il venir meno dello statuto di
lingua del volgare 35. Da un lato si tratta di un’ulteriore testimonianza della
varia e complessa articolazione del processo di ricezione nell’isola del toscano
come lingua dell’uso scritto ( paci, Lorenzu)36; dall’altra documentano il pri-
mo manifestarsi di tratti ancor oggi vitali nel dialetto (radighia, virichi).
Per ciò che concerne la grafia, diversamente da altre scritture, le nasali
non sono mai abbreviate; l’unica abbreviazione, con titulus, riguarda <e> in
cora nel XVI secolo, del sistema grafematico del siciliano medievale 37; [ ʧ ] è
ma <ch> in fichi (d.1) e in chi (d.5), tratto pertinente e ben consolidato, an-
rappresentata anche da <c> in paci (d.6), tratto più tardo, risultato dell’in-
flusso del toscano 38. L’occlusiva velare sorda [k] è rappresentata da <ch> in
virichi (d.3)39. Così come in altre scritture esposte 40, le geminate sono rap-
presentate scempie in tiranu (d.2), feru (d.3), esendu (d.5), batizau (d.5)41.
33 A questo proposito, trova conferma l’interrogazione di Pagano (2004: 748) sulla necessi-
tà di più ampie indagini sulla circolazione della Legenda aurea in Sicilia: «Che di questo vero e
proprio ‘best seller’, non solo della cultura medievale ma anche di quella immediatamente serio-
re, sono rimaste così poche tracce in Sicilia è constatazione che merita qualche riflessione».
34 Per un inquadramento storico della scripta del volgare siciliano faccio riferimento a Var-
tre Lo Piparo (1987: 735); Alfieri (1992: 812ss.); Valenti (2015). Più specificamente, sui primi
documenti redatti in toscano da siciliani si rinvia a Varvaro ([1977] 1984) e Varvaro ([1979]
2019: 62-63).
36 Discuto di ciò, con specifico riferimento alla tipologia testuale delle didascalie che corre-
pachi, solo 32 occ. di paci, poco significative se si tiene anche conto che ben 30 sono attestate in
ValMaxXIVU.
38 Significativo quanto scrive nel 1543 Claudio Mario Arezzo a proposito dell’uso di <ch>:
«Videndo alcuni sillabi in li quali si interponi quista littera H di noi pronunziati con quillo ac-
cento grasso con lo quali li fiorentini dicino lo ce […] si levi in tutto la littera H di quisto modo:
celo e non chelo, ceco e non checo, Sicilia e non Sichilia», in Grasso (2008: 75).
39 ‘Verghe’.
40 Cfr. gli esempi riportati in Raffaele (2010: 89), (2016: 27), (2018: 32).
41 Cfr. Barbato (2007: 158-159).
Scritture esposte in volgare siciliano. V. Il San Lorenzo e storie del suo martirio 75
Per la fonetica, il vocalismo, sia tonico sia atono, corrisponde agli esiti
del siciliano medievale; anche se non si riscontrano oscillazioni nel vocali-
smo atono finale, su cui, com’è noto, nel secolo XVI si manifestano le spinte
di cambiamento o in direzione del toscano o verso una parlata siciliana so-
vramunicipale 42, un’eccezione è rappresentata, ma in protonia, dall’esito in
[o] del dittongo au, laurĕntiu(m) > Lorenzu in (d.6), diversamente dalle
precedenti cinque didascalie in cui l’esito è in [u], laurĕntiu(m) > Luren-
zu 43. Da segnalare in (d.3) la metatesi trumentatu per turmentatu 44; ancora
in (d.3) un caso di epentesi di [i]45 e l’assordimento di [g ] > [k] in virichi <
virga(m)46, esito ancor oggi vitale nel dialetto47. Degno di nota il sostantivo
radighia (‘graticola’), in quanto prima attestazione, almeno sulla base della
documentazione disponibile, di due esiti che caratterizzano il dialetto odier-
no: laddove in ARTESIA è unicamente attestata la forma gradigla [< crati-
cla < craticula(m)]48, con sonorizzazione del nesso consonantico iniziale
(cr- > [ gr-]), qui si registra un’ulteriore evoluzione con la perdita del primo
elemento del gruppo consonantico [ gr-] > [r-]49. Altro elemento (panregio-
le del gruppo consonantico -c’l- > [ ʎ ] > [ggj], laddove in ARTESIA è unica-
nale) pertinente al dialetto odierno è l’esito in occlusiva sonora mediopalata-
42 Cfr., per es., Claudio Mario Arezzo, in Grasso (2008: 41): «Soli comunementi la lingua
siciliana, in quisto tempo, reponiri in lo fini di li ditioni quista littera u, dicendo andamu, parla-
mu, Franciscu […] lo qual uso non pozo aprobbari, anzi di in tutto mi par si digia removiri, ver-
tendo la u in o»; cfr. anche Alfieri (1986: 292); Lo Piparo (1987: 736).
43 In ARTESIA sempre Laurenzu (e allografi); sul dittongo au, cfr. Rinaldi (2005: 366) e
tatesi di -r-»; cfr. anche Rohlfs (I: § 322); Varvaro (1988: 721); Vàrvaro (1995: 234); Barbato
(2007: 148).
45 Cfr. Rinaldi (2005: 397) e Barbato (2007: 147).
46 Cfr. anche supra, n. 39.
47 Cfr. VS, s.v. vìrica.
48 (5 occ.) e gradigle (1 occ.), tutte attestate in inventari di beni, datati tra il 1436 e gli inizi
del XVI sec. Anche in Scobar, da considerare un vocabolario sincronico del siciliano degli inizi
del XVI secolo, la forma del lemma è gradigla.
49 Cfr. Rohlfs (I: § 185): «nell’Italia meridionale il nesso tende a perdere g ».
riguarda il dialetto, va comunque segnalato che [ ʎ ] è ancor oggi vitale in aree circoscritte quali
50 Cfr. Rohlfs (I: § 248) e Varvaro (1988: 721); cfr. anche Michel (1986: 110). Per quanto
dividono le cronache o delle rubriche che ne sintetizzano i vari contenuti, introdotti da come ». E
ancora si vedano, oltre a D’Achille (1987: 174-175), (1997: 236), Ciociola ([1989] 1992: §§
14-15), Sabatini (1997: 179), e, relativamente alle scritture esposte in volgare siciliano, Raffaele
(2019: 18).
52 Assente anche in Scobar; per i volgari italiani, cfr. TLIO, s.v. profano.
53 Per i cui caratteri fondamentali si rinvia a quanto è stato messo a fuoco in Zaggia
(2016).
54 Oltretutto, nel secolo XVI, l’inserzione di scritture nel dipinto è ritenuta disdicevole, cfr.
Dalli Regoli (1997: 430); mentre risulta abbastanza frequente fino alla prima metà del secolo
XV, cfr. Covi (1986).
55 In Sicilia questa tipologia figurativa continua a mostrare una significativa vitalità, cfr.
Russo (2012: 61), che indica l’esempio del pittore toscano Filippo Paladini, il quale, trasferitosi
in Sicilia alla fine del sec. XVI, fece proprie le istanze dei committenti, dipingendo un significa-
tivo numero di tele raffiguranti santi e storie della loro vita.
56 Tale definizione relativa ad alcune tipologie di scritture esposte è di D’Achille (2017: 353).
57 Valgano a tal riguardo le osservazioni di Manselli (1983). Per un’analisi sulle rappresen-
tazioni letterarie della pietà popolare in ambito siciliano, rinvio a Raffaele (2020).
Scritture esposte in volgare siciliano. V. Il San Lorenzo e storie del suo martirio 77
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Riassunto / Abstract
Proseguendo precedenti ricerche sulle scritture esposte in volgare siciliano, l’ar-
ticolo esamina le didascalie che corredano le «storiette» di un dipinto raffigurante
San Lorenzo martire, custodito presso la chiesa di Sant’Antonio Abate a Monteros-
so Almo (RG). Dopo avere preliminarmente vagliato i contenuti della pittura, si
procede alla rextitutio textus, all’esame linguistico delle scritture e alla messa a fuoco
del loro rapporto con la figurazione del dipinto e con le fonti letterarie della legenda
laurenziana. I testi sono databili al 1525 – ricadono dunque in un periodo in cui
nell’uso scritto si registra il progressivo passaggio dal volgare siciliano a quello tosca-
no – e denotano una salda facies linguistica siciliana, connotata peraltro dal primo
manifestarsi di tratti che risulteranno vitali nel dialetto odierno.
erano presenti ancora nell’armata dei vicegerenti che governavano l’isola per
i Trastamara. Solo il cognome di Giovanni Ischininà è siciliano (Schininà) e
rimanda a un toponimo calabrese di origine greca: sul finire del secolo lo ri-
troveremo in un ebreo di Sciacca, Iosep Ischininà che commercia in grano.
Gli aggressori dunque sono riconosciuti e identificati, il soprannome in par-
ticolare indica che si tratta di persone ben note. Il riferimento alla capra ri-
manda all’antefatto: verosimilmente qualcuno del gruppo aveva rubato una
capra di proprietà di Lemmo, e questi l’avrà energicamente rivendicata, pro-
testando e minacciando, e offrendo così il pretesto per una punizione esem-
plare di spettacolare violenza.
La vicenda non ha aspetti particolarmente interessanti. Un episodio vio-
lento della difficile convivenza tra la “genti foresteri franchisca odiusa”, co-
me li definì nel 1411 la regina Bianca di navarra, e i siciliani, obbligati ad
alloggiarli e sfamarli. Il brevissimo racconto è scritto in un bel siciliano, lim-
pido ed espressivo, e in una bella e sicura scrittura: si noti con quanta forza
viene sottolineato il fatto che la vittima viene aggredita mentre si trova nelle
sue terre a far raccogliere le sue messi. Un bell’esempio di quel sintetico rea-
lismo tipico dell’ars narrandi siciliana di cui si trovano tanti esempi nella
cronaca che siamo abituati ad attribuire a Michele da Piazza e che ha dato
splendidi frutti nella letteratura italiana postunitaria: dal brandello di perga-
mena il campo di grano, l’arrivo degli uomini a cavallo, la sanguinaria, re-
pentina violenza dell’assassinio emergono come nella scena di un western.
Della tecnica narrativa squisitamente siciliana del cronista parlavo di tanto
in tanto con Cuchita Rinaldi, e scrivendo questa paginetta ho pensato spesso
all’amica scomparsa, che avrebbe certamente condiviso con me il gusto della
lettura.
Palermo, dopo il 1416. Il notaio Antonio de Milina, cittadino di Palermo, figlio del
fu Lemmo de Milina, Giovanni di Lamagnina, Pino di Lanello, Pino di Alfano e Antonio
di Orlando chiedono al capitano, al pretore, ai giudici e ai giurati di Palermo di portare a
conoscenza del re e dei vicegerenti le circostanze dell’assassinio di Lemmo, avvenuto il 25
giugno nel corso della mietitura nella sua masseria, da parte di un gruppo di cui facevano
parte lu burdu (‘il bastardo’) di Alàs, Giovanni Rois, Giovanni Iskininà, Giovanni Brau e
un certo Sarrianu (Sarriá).
Archivo de la Corona de Aragón, Real Cancillería, Cartas Reales, Martín I, 1321 r/v.
BIBLIOGRAFIA
Riassunto / Abstract
Un efferato omicidio, perpetrato nelle campagne di Palermo durante la mieti-
tura, rivela la violenza dell’occupazione catalana dopo la restaurazione monarchica
aragonese. A denunciare il fatto un notaio, figlio della vittima.
* Questo contributo è il risultato della collaborazione fra i due autori. In particolare, Fran-
cesco Carapezza è responsabile dei §§ 1 e 3, e ha approntato la tavola in Appendice. Gianluca
Vecchio, cui va il merito della scoperta del manoscritto, è responsabile del § 2 e ha raccolto buo-
na parte delle informazioni storiche messe a frutto nel § 3. Ringraziamo Pucci Giuffrida, attuale
proprietario del manoscritto, che ci ha permesso di compulsarlo nella sua azienda vinicola ai pie-
di dell’Etna, e inoltre Marcello Barbato per la rilettura, Fabrizio D’Avenia e Laura Sciascia per la
consulenza storica e bibliografica.
1 Rinaldi (1995: 45): «Il corpus, costituito al termine di una ricognizione assai laboriosa,
che si è deciso di considerare esaustiva (pur ritenendo probabile l’eventualità di nuove scoperte
in settori forzatamente non esplorati), è costituita da 131 testimoni, dei quali 111 sono mano-
scritti e 20 a stampa». In nota 12 si aggiunge: «non è escluso che anche privati siano in possesso
di raccolte di canzuni, manoscritte o a stampa». Con Fn11 e CG i manoscritti salgono a 113 e i
testimoni a 133.
2 Il ms. è ora nella collezione privata del Sig. Pucci Giuffrida, a Catania: da qui la sigla (Ca-
tania, Giuffrida).
88 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio
questa lingua siciliana (c. 42v, stessa mano dell’epigrafe iniziale). In questa
sezione, che occupa la porzione centrale e più della metà del libro (108 carte
su 198), sono rappresentati diciannove autori senza un criterio d’ordina-
mento prestabilito accanto a 16 Ottave adespote (una di queste è anepigra-
fa), collocate per lo più in fondo. Quaranta Ottave risultano così attribuite,
in ordine quantitativo, a Ioanni o Giovanni Bonasira (6 Ottave, di cui una
serie di 3 in apertura di sezione e 2 in fondo fra le adespote), Ottavio Riczari
(6 in serie), Batticani (= Andrea Vatticani, 5 in serie), Antonio Veneziani
magiore (4 in serie = Ott III, I, II, IV)5, Don Marc’Antonio Balsamo (2 in
serie), Don Carlo Ficarola (2 in serie), Vincenczo Salvario (2 inframmezzate
da una adespota), Cola Burgarella (2 in serie), Petru di Palermu (1), Tubiolu
Benfari (1), Petru Principatu (1), Don Vincencio di Ioanni (1), Ottavio Po-
tenzano (1), Balseca (= Ludovico o Andrea Valseca, 1), Gerolamo Grasso
(1), Lu Cecu di Mazzara (1), Polito Chiotta (1), Merchioni Generi (1 di sole
6 canzuni), Lu Conti di Vicari (= Vincenzo del Bosco I conte di Vicari, 1).
Si tratta di autori non tutti noti ma per lo più riconducibili alla generazione
di Antonio Veneziano (1543-1593) o a quella immediatamente successiva
(così almeno Ottavio Rizzari, Carlo Ficalora e Tobiolo Benfare)6, comunque
attivi nella seconda metà del Cinquecento. Con le sue 56 (o 55) Ottave 7,
CG si segnala come l’antologia non esclusiva del genere formale che ne con-
tiene il maggior numero, superando PC8 (che ne contiene 43)8.
Prima e dopo questa corposa raccolta di Ottave si trovano, isolate da una
pagina bianca (42v e 150v), due sezioni anepigrafe di canzoni autonome, di
argomento per lo più amoroso. La prima sezione (cc. 1r-42r) comprende
166 ottave adespote ma in massima parte presenti in PR10, la raccolta cano-
nica del Veneziano edita da Rinaldi (2012)9, e sembra perciò derivare da un
‘libro d’autore’. nella seconda sezione di canzoni (cc. 151r-194v), contenen-
te 183 ottave e forse incompleta, le corrispondenze con PR10 diminuiscono
drasticamente10, mentre vi s’incontrano alcune sporadiche attribuzioni che
15 Si tratta delle quattro Ottave su un’unica mastra (Iu t’amu tantu chi per tia peniju -amu)
che compongono una sezione di PR10: cfr. Carapezza (2012: XXXV), ed. Rinaldi (2012: 233-
241). In CG l’ordine è alterato.
16 Cfr. Rinaldi (1995: 58).
17 La prima unità dell’Ottava 134r è ripetuta a 138r: cfr. tavola in Appendice.
18 Rinaldi (1995: 68 n. 75) segnala altre dieci sillogi con «alte percentuali» di Ottave, che
ne contengono da 16 a 37. L’unica antologia esclusiva di Ottave, PA (ed. Sgrilli 1984), ne con-
tiene 61.
19 Ben 101 ottave su 166 di questa sezione hanno riscontro nella raccolta canonica del Ve-
neziano. nella fattispecie, 49 sono nel «Libru Primu» (LP), 39 nel «Libru Secundu» (LS) e 13
fra le canzuni anepigrafe (Ca): cfr. tavola in Appendice. non si notano seriazioni comuni o affi-
ni, eccetto la sequenza di quattro ottave 33va-34rb = LS 11, 17, 13, 14, e la coppia 40rb-va = LP
246, 247.
10 Solo 11 ottave su 183 si trovano in PR10: 7 in LP, 2 in LS e 2 in Ca.
90 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio
11 «Quantu chui prestu poczu ausu lu pedi / per sentiri chi cosa è la chiamata, / arrivu,
giungu e trovula chi sedi / ijettata in terra nuda e maltrattata; / cui sia domandu e poi d’undi
succedi / chi sia cussì feruta e maltrattata; / respusi: “Iu ti dirrò d’undi procedi, / chi la domanda
tua m’è troppu grata”. // “Laura sugn’iu, di illustri sangu nata, / nata d’un patri a mia crudu e
tirannu, / in oru argentu e gemmi nutricata, / comu li genti di lu mundu sannu; / fui di Carini
sempri intitulata / signura, comu tutti di dirrannu; / s’hora mi vidi mesta e lacerata, / la causa ti
dirrò [ms. di tirro] di lu miu dannu”. // “Consorti fui di quillu chi m’ha misu / un biasmu eter-
nu per havirlu amatu, / quali a lu mundu cagliatu e riprisu / si tinni di l’honuri miu tacciatu /
perchì, n’havendu erruri mai commisu, / fu causa di lu miu infelici statu; / quistu, d’eccelsa linia
[ms. limia] discisu, / fu don Vicenzu La Grua chiamatu”». Le stesse ottave si trovano, con poche
varianti e inframmezzate da altre strofe, nel poemetto incompleto di 64 ottave siciliane, intitola-
to dall’acronimo D.L.S.L.L.S.D.C. (= De la Signora Laura Lanza Signora di Carini) e contenuto
nel ms. Ambrosiano, Trotti 400 (= MA1), cc. 153r-185r (cfr. Rinaldi 1995: 89; testo in ed.
Sciascia 1985: 37 e 39). La tradizione orale e la diffusione ottocentesca della ‘storia’ sono rac-
contate da Varvaro (2010), che si limita a menzionare cursoriamente il poemetto «composto
probabilmente da un poeta relativamente colto (e petrarchesco) del Seicento, ma molto rozzo»
(p. 69 n. 6). La datazione del poemetto su Laura Lanza ( post 1563) può essere ora arretrata al se-
condo Cinquecento grazie alla testimonianza frammentaria di CG (cfr. § 2).
Un nuovo manoscritto di canzoni siciliane con ottave inedite 91
12 Per verificare la consistenza di tali fonti si dovrebbe procedere a uno spoglio sistematico
dei tabulati cartacei della Rinaldi che si è deciso per il momento di rimandare, data l’impellenza
di presentare il nuovo ms. e di pubblicare il ciclo attribuito al Veneziano.
13 Lercari (2009: 329): «nel 1626 tra i candidati delle Riviere figuravano ben otto i nobili
ce parte di una nobile famiglia mercantile milanese che proprio con un suo
omonimo Paolo si stabilisce a Savona nell’ultimo quarto del Quattrocento16
e intrattiene rapporti commerciali con il nord Africa17 e con altri porti del
mediterraneo come Valencia18. Il padre Giovanni Battista aveva relazioni
con la Sicilia, dove nel 156319 a Messina fa parte di una società insieme a
nicolò Ferreri, anch’egli esponente della nobiltà mercantile savonese oltre
che parente dei Pozzobonelli.
Paolo Pozzobonelli nasce a Savona il 5 febbraio 157220 e nell’ultimo de-
cennio del secolo lo troviamo a Padova, dove coltiverà i suoi studi e conosce-
rà personaggi illustri. Forse nella casa patavina del dotto genovese Gianvin-
cenzo Pinelli incontra il celebre erudito francese nicolas Peiresc, ma l’incon-
tro più importante sarà quello con Galileo Galilei. Pozzobonelli sarà ospite
dello stesso Galileo21 e, anche se non diverrà suo allievo, manterrà con lo
scienziato pisano una lunga amicizia testimoniata da uno scambio epistolare
del quale resta traccia nelle lettere indirizzate a Galileo tra il 1602 e il 161422.
L’interesse scientifico e l’amicizia con Galileo porteranno il nobile savonese a
contatti con altri eminenti scienziati dell’epoca, come l’allievo di Galileo Be-
nedetto Castelli che incontrerà a Pisa nel 1613 e dal quale riceverà copia di
due opere di Galileo: «L’Istoria de le macchie solari» e «De le cose che stan-
no su l’acqua», opere che gli sono «carissime»23. Manterrà nei decenni a se-
guire una costante attenzione e passione per i progressi scientifici e tecnolo-
gici, e nella stessa lettera a Galileo che narra dell’incontro col Castelli, Poz-
zobonelli esprime il forte desiderio di ricevere da Galileo il suo più famoso
strumento che ha già scorto a Genova e che il Castelli gli aveva mostrato:
«uno esquisito instrumento che sonno canna occhiale». I soggiorni padovani
sono felici e stimolanti per il nobile savonese, e nelle lettere a Galileo ne scri-
ve con entusiasmo e rimpianto; ma il Pozzobonelli non sarà mai uno studio-
so impegnato: la sua condizione nobiliare e i suoi obblighi sociali lo distrag-
gono dagli studi sistematici e rigorosi, come ne scrive a Galileo nel 1602:
quella data egli abitava in contrada del Santo: «in hac civitate in con(tra)ta S(ancti) Ant(on)ii
confessoris, in domo ex(cellen)tis Gallilei Galilei vivens» (La Russa 2014-2015: 202-203).
22 «Lettera di Paolo Pozzobonelli a Galileo, di Savona, 12 settembre 1602» (ed. Favaro
Quanto a’ miei studii, io son disperato; che da che son qui, non ho havuto tan-
to agio di aprir pur un libro. Vi causa ben in parte la mia natura, che per ogni
poco di occasione mi disvio di sorte da camino, che no fo più cosa bona: ma
che direbbe V. S. s’io li dicessi che voglio far come colui che buttando la berret-
ta in terra maledisse il suo troppo senno, già che ogn’uno mi voi dar delle bri-
ghe e delle comissioni, talché io, che fuggo la fatica, non mi par di haverne sì
poca in levarmi da torno le cure et molestie d’altri? senza che le mie proprie
non mi dan sì poca occupatione; talché io credo di voler andar disponendo le
cose in maniera che me ne vorrò fuggire, per poter goder de l’otio et della con-
solatione di continuare nel mio studio. Però quando sarà a tempo, V. S. sarà
avisata di tutto. Intanto non posso salvo dirli, che de’ tanti fatti ch’io pretende-
vo di far a casa mia, non ho fatto altro che attendere al palazzo; et della mia ca-
rissima matematica né de de l’altra arte spagirica non ho fatto cosa alcuna 24.
guarnera». Parisi (1719: 9): «Quella de’ Risoluti che alle precedenti succedette, riconosce il suo
nascimento da Fabrizio Valguarnera Barone del Godrano, che l’istituì nel suo Palazzo l’anno
1570. Tratto egli dall’emulazione degli Accesi, e non volendo convenire con essi per qualche
privato motivo, indusse Argisto Giuffredi ad abbandonar l’antica, per farli capo della novella as-
semblea, come infatti seguì. Si radunavano gli Accademici ogni Domenica il dopo pranzo, ed
elessero per impresa un’Aquila, che mirava fisa il Sole col motto di Semper enix, e nel numero di
questi vissero ascritti Filippo Paruta, Simone, e Mariano Valguarnera».
35 Di Giovanni (1877: 206), lettera di Filippo Paruta al Dottore Bartolo Sirillo del 26 feb-
braio 1593: «vi fu lasciato entrare don Simone Valguarnera il figlio (di Fabrizio Valguarnera),
innanzi l’età».
36 Cfr. Montoliu (2011), che tratta diffusamente delle accademie dei Risoluti e degli Accesi.
Un nuovo manoscritto di canzoni siciliane con ottave inedite 95
glie e servitù passarono in Savona, dove si trattennero otto giorni giorni alloggiati in casa del fu
Bernardo Ferrero; erano inviati in Spagna sopra 6 galere».
41 Verzellino (1891: 153).
42 Briquet (I: 49 e 51).
96 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio
43 non è chiaro se l’attribuzione esplicita al Veneziano debba estendersi alle tre ottave d’ar-
gomento amoroso successive alla serie sulla carcerazione, ovvero 191rb-191vb, dopo le quali si
trova di nuovo la parola finis. Si tratta di 191rb Di quandu mi venistivu ntra l’ochi (cori), 191va
Di li peni ch’iu patu per amari (cori), 191vb Vui canuxiti si iu m’ardu et allumu (-amu). Le prime
due condividono con l’ultima del ciclo (XXII = 191ra) l’utilizzo di parole-rima, e inoltre 191va
corrisponde a LS 141.
44 Si seguono criteri più conservativi rispetto a quelli di Rinaldi ([2005] 2012: XXX-XXXI):
107 3-4 («Dedalu happ’ali per volari pronti / a l’Ursi, di li Greci chiamati Arti»), subito dopo
Giasone argonauta (cfr. n. I 6).
* Naturalis historia, liber II, caput XXXVII (ed. von Jan/Mayhoff 1875-1906, I): «Existunt
stellae et in mari terrisque. vidi nocturnis militum vigiliis inhaerere pilis pro vallo fulgorem effi-
gie ea; et antennis navigantium aliisque navium partibus ceu vocali quodam sono insistunt, ut
volucres sedem ex sede mutantes, graves, cum solitariae venere, mergentesque navigia et, si in
carinae ima deciderint, exurentes, geminae autem salutares et prosperi cursus nuntiae, quarum
adventu fugari diram illam ac minacem appellatamque Helenam ferunt et ob id Polluci ac Ca-
stori id numen adsignant eosque in mari invocant. hominum quoque capita vespertinis magno
praesagio circumfulgent. omnia incerta ratione et in naturae maiestate abdita». Cfr. anche Histo-
ria naturale di C. Plinio Secondo tradocta di lingua latina in fiorentina per Christophoro Landino
fiorentino al serenissimo Ferdinando re di Napoli, impresso in Venesia, per Bartolamio de Zani de
Portesio, 1489, dove il cap. XXXVII del lib. II è intitolato Stelle Castores: «Se vengono sole signi-
ficano naufragio. Et se caggiono ne la parte bassa de la carena: ardono la nave. Se sono due: pre-
dicono prospera navigatione & scacciono quella crudele & minacciante stella: la quale chiamano
Helena. Et per quello essi hanno el nome di Castore & Polluce & da’ naviganti sono invocati
come idii». ** Naturalis historia, II XL: «nam caniculae exortu acendi solis vapores quis igno-
rat? cuius sideris effectus amplissimi in terra sentiuntur: fervent maria exoriente eo, fluctuant in
cellis vina, moventur stagna. orygem appellat Aegyptus feram, quam in exortu eius contra stare
et contueri tradit ac velut adorare, cum sternuerit. canes quidem toto eo spatio maxime in ra-
biem agi non est dubium». Questo passo, citato dallo stesso Veneziano nella descrizione dell’Ar-
co per il viceré Colonna del 1582 (ed. Arceri 1861: 188), è fonte della prima ottava della Celia,
LP 1 (Riverixi la sua donna comu cosa celesti) L’origi a la Canicula s’inclina.
castello di Licodia (cfr. Verdi 1997: 23-30). 7. ‘vi incoronate da solo’: la perifrasi ijri + ge-
rundio potrebbe avere qui il valore «mediale-affettivo» individuato nel canzoniere di Petrarca da
R. Bettarini (2005: 402 n. 9) e esprime l’imminenza della nomina (sulle perifrasi durative in si-
ciliano e in italiano antico cfr. Amenta/Strudsholm 2002, Colella 2006 e Squartini 2010: 541-
543); sulu sulu: duplicazione intensiva dell’agg. con funzione avverbiale (cfr. Amenta 2010).
A la Eccellentissima Signura
XIII Di la Cathuna a la superba testa,
undi Asprimunti termina lu pedi,
naxia chiłła xumara manifesta
fra quantu eti e lu frati resedi;
per cui Caribdi è leta e Scilla mesta,
Calavria chianchi e di Pau ogni heredi
si doli, cu Diana a la furesta,
chi lu so beni Sicilia possedi.
6. genti prima di heredi
XIII A la Eccellentissima Signura: Camilla Santapau. 1-4. La circonlocuzione indica la
fiumara di Catona, che sgorga dall’Aspromonte e sfocia nello Stretto, da cui prendeva nome
l’antico scalo a nord di Reggio (possedimento dei Ruffo, principi di Scilla) che serviva per attra-
versarlo*. 3-4. manifesta… resedi: famosa fra i corsi d’acqua; da Teti e il fratello e marito
Oceano ebbero origine i fiumi e i mari del mondo. 5-8. ‘Per cui Cariddi (presso Messina, cit-
tà dei Santapau) è lieta e Scilla (dei Ruffo) è mesta, Calabria piange e a causa degli eredi Santa-
pau si addolora, con Diana nella foresta, perché la Sicilia possiede il suo bene’: nel senso che i
feudi Ruffo passano a eredi siciliani Santapau. 7. cu Diana a la furesta: il riferimento mitolo-
gico, indotto dalla rima, si può spiegare col culto della dea cacciatrice nell’antica Reggio, testi-
moniato da Tucidide, Strabone e Pomponio Sabino: cfr. Montepaone (1984).
* Cfr. Marafioti (1601: 62): «una statione in mare detta la Catuna, d’onde il più facile navi-
gare, per trapassare il Faro». Catona, promosso dalla rima, serve a Dante, Pd VIII 61-63, per in-
dicare i vertici del Regno di napoli in bocca a Carlo Martello d’Angiò: «e quel corno d’Ausonia
che s’imborga / di Bari, di Gaeta e di Catona, / da ove Tronto e Verde in mare sgorga».
Alla Istessa
XIV non ha d’acqua lu mari tanti sticzi, [189r]
stilli lu celu né xuri li prati
quant’in vui di lu pedi fi’ a li triczi
su infusi gracij milli a milli dati;
munti thesoru di l’eccelsi auticzi,
gemma d’ogni virtuti e nobiltati,
donna xiumara, xiumi di belliczi,
fonti di gracia e mari d’honestati.
XIV 1. sticzi: gocce (VSES, s.v. stízza: «‘goccia’ (1555), parola di area meridionale nonché
piem. e lig., di origine ignota»; «una delle voci di più incerta origine»); in Veneziano stizza (CS
15 1, LS 214 8, loc. a stizza a stizza LS 182 6, anche rafforzativo di negazione*: «non v’invidiju
nè v’odiju stizza» LS 6 2) alterna con gutta (nella stessa CS 15 5, CS 20 8, loc. a gutta a gutta LS
245 4). 3. fi’ a li triczi: fino ai capelli (trecce). 7. donna xiumara: l’immagine scaturisce
dall’ottava precedente: chiłła xumara manifesta (XIII 3).
* La grammaticalizzazione di sic. stizza, che non trovo registrata nei lessici, è parallela a
quella di gutta in vari dialetti settentrionali antichi (negota ecc.: cfr. Rohlfs II: § 499) e in afr.
(cfr. Buridant 2019: §§ 656-658).
104 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio
All’Illustrissimo Signuri
XV Si di pietati in cui pietà ridossa
mi manchi tu, signuri d’Helicona,
principi chi per Pindu, Peliu et Ossa
sblendi comu lu figliu di Latona,
non speru di st’oscura e nigra fossa
trovari luci o veru cosa bona,
undi, sepultu vivu in carni et ossa,
chiovinu st’ossa e l’arsu pettu trona.
XV All’Illustrissimo Signuri: Francesco Santapau. 1-6. Intendere: ‘Se tu mi manchi di pie-
tà… non spero di uscire (trovari luci) da questa buia fossa (cioè dal carcere)’. 1. ridossa: offre
riparo (cfr. VS, s.v. rriddossu). 2-4. Elicona, Pindo, Pelio e Ossa sono monti della Grecia, i pri-
mi due sacri alle Muse, gli altri prossimi all’Olimpo. Santapau è rappresentato come Apollo (si-
gnuri d’Helicona e figliu di Latona) per i suoi interessi letterari: strategia retorica simile in LS 268
(in morte del poeta Girolamo d’Avila), con Apollo e le Muse, Elicona e Pindo (vd. infra). Si noti
l’equivocatio su ossa, in rima a 3 (oronimo) e 7 (in locuzione), in sede di cesura a 8 (con significa-
to proprio). 6. o veru: oppure. 7. undi: onde (introduce la conclusiva). 8. trona: tuona.
* LP 53 (Iłłu è com’umbra di lu so cori mortu, ma nun pò accostari und’è lu cori): «Łłà un-
d’unu ha fattu violenta morti / finginu chi lu spirtu ci va e veni, / comu compagnu chi ci para
forti / licenziarsi di cui vosi beni. / Et iu, com’umbra erranti – o dura sorti! –, / vayu undi lu
miu cori happi li peni, / ma appena bastu vidiri li porti / di cui la vita mia chiusa si teni».
raglie, o simili’), da lat. vadum ‘guado’ o batare ‘stare aperto’ tramite aprov. e cat. esbadar (cfr.
VSES, s.v. vádu, p. 1150s), è in Agonia, v. 71 («li porti ci sbadava / e di lu cori li mura allarga-
va»); pariri forti impers. pure in Agonia, v. 3 («pàravi di mia forti») e 249 («Si non ci parrà forti /
nè farrà effettu lu vostru parlari»), inoltre LP 53 3, LP 80 6, LS 98 6, Ca 52 2.
45 La Relacion del dicho Juan de Spaen (ma de España nell’explicit) Reydarmas Intitulado
Flandes acerca del Collar de la Orden del Tuson que se dio al Señor Principe de Butera en Napoles,
datata 30 novembre 1589 e conservata presso l’Archivo General de Simancas, Estado, 7682,
exp. 61 («Expediente de concesión de la Orden del Toisón de Oro a Francisco de Santapau,
príncipe de Butera, 1589»), descrive minutamente la lunga e complessa cerimonia d’investitura
svoltasi due anni prima tra Castelnuovo, Palazzo reale, via Toledo e Santa Chiara, dove Santa-
pau ricevette il Collare dalle mani del Principe di Sulmona. Dalla relazione si apprende fra l’al-
tro che Santapau non sapeva leggere il francese, mentre leggeva benissimo il castigliano: «El Se-
ñor Principe de Butera tomó la carta de Vuestra Magestad con mucha humildad besandola, la
pusó encima la cabeça y la abryó, y por nó saver leer frances me mandó que se la leyesse, y leyda
respondió con gran acatamiento las palabras siguientes en romançe castellano, leyendolas por un
escrito». Alla fine del documento si fa menzione di una carta dove Santapau afferma di avere
cinquantun’anni al momento dell’investitura («y tambien dize en ella la edad que tenia quando
recibió la orden, que eran cinquenta y un año»): il dato stride con l’epitaffio sepolcrale (cfr. nota
47), dove si dice che egli morì cinquantaduenne nel 1590. nel testamento solenne, redatto in
hora mortis il 5 dicembre 1590, Francesco Santapau non mancherà di allegare istruzioni per la
restituzione del Collare, ricordando la cerimonia d’investitura: «Dippiù voglio, ordino, e coman-
do che la sudetta Signora mia Erede Universale [scil. la moglie Imara] sequuta la mia morte hab-
bia, e debbia mandare a Sua Maestà la Collara del Tesoro [sic] d’oro assieme con il libretto del
Stabilimento dell’Ordine scritto in lingua burgognona conforme e come per lo Capitolo di det-
to Stabilimento e per l’atto fatto per me in tempo che pressi nella Città di napoli l’investitura di
detto Tesoro largamente si contiene…» (Verdi 1997: 102).
46 I capitoli matrimoniali tra Camilla Santapau e Muzio Ruffo furono stipulati nel 1588
(cfr. Caridi 1995: 98). Ricaviamo la data del matrimonio da Verdi (1997: 64).
108 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio
47 Samperi (1644: 200-201) riporta gli epitaffi dei coniugi Santapau nella cappella di San-
t’Ignazio della chiesa messinese di San nicolò dei Gesuiti: «D.O.M. D. Franciscus Sanctapau
Messanensis primus Regni et Buterae Princeps, velleris aurei miles, pro sua in societatem Iesu
pietate tumulum vivens hic sibi delegit. Decessit anno MDXC, aetatis suae LII. Appositi sunt
nepotes ex filia D. Camilla, D. Franciscus Velasques et Sanctapau Marchio Licodiae, ac D. Ma-
ria Spinula et Valguarnera»; «D.O.M. D. Imara Sanctapau et Benavides Buterae Princeps reli-
giosissima, ut viventi viro coniugii, ita Panhormi moriens sepulchri societate proxima esse, ma-
terque in filiorum sinu religiosorum, et in sacello liberalitate sua, ac viri exornato conquiescere
voluit. Obdormivit in Domino nono Kal. Maii MDCXIX aetatis LXXXII».
48 Le informazioni si ricavano dal capitolo a quanto pare inedito dedicato al pittore e poeta
Francesco Potenzano (1552-1601), amico del Veneziano (cfr. infra), contenuto nel Teatro degli
huomini letterati di Palermo di Vincenzo Auria, che si legge nel ms. Qq.D.19 (sec. XVII) della
Biblioteca Comunale di Palermo, a c. 315ss: «essendo nel suo tempo eretta nella casa del Princi-
pe di Butera, signore assai curioso e dotto, un’Accademia con titolo d’Opportuni» (cito dalla
trascrizione fornita in appendice della tesi dottorale di Farruggio 2010: 142). Che il Principe di
Butera vada identificato con Francesco Santapau (1565-1590) si desume dal fatto che le incoro-
nazioni di Potenzano come poeta e poi come pittore, narrate nel seguito del testo, avvennero
sotto il viceré Marcantonio Colonna (1577-1584). La lettera del Veneziano è menzionata e pub-
blicata per intero da Millunzi (1894: 96, 187-192 [documento n. LXIV]): «nella biblioteca co-
munale di Palermo in un codice cartaceo del secolo XVII [= 2.Qq.C.34] ho trovato ora di re-
cente una copia di una lettera che il Veneziano scriveva nel gennaio del 1589»; in essa si legge:
«questo intermedio lo feci io nella Bertuccia ad unguem, che fu una comedia la quale si recitò
nella corte del Pretore, e allora perchè havevamo una certa ragunanza di dodici amici di sapere,
che ci chiamavano gli Opportuni e facevamo per impresa lo zodiaco». Anche Ambrogio Santa-
pau, fratello di Francesco e primo principe di Butera (ob. 1564), dovette coltivare il patronnage
letterario se Girolamo d’Avila barone della Boscaglia gli dedica un’ottava trasmessa dal ms. MA1
a c. 151 (cfr. Sciascia 1985: 11).
49 Mi riferisco al componimento intitolato Quaedam profetia (Quandam profetiam nel
ms. unico), che però è un «lamento storico» databile al 1354, e alle «quattrocentesche profe-
zie storiche del Regesto poligrafo trapanese» (ed. Cusimano 1951, I: 12-13, 23-30): cfr. an-
che Cusimano (1949: 28-35), e più di recente Ingallinella (2013) sulla metrica della Quaedam
profetia.
Un nuovo manoscritto di canzoni siciliane con ottave inedite 109
Cfr. Bazzano (2003: 271): «All’interno della Deputazione, durante il governo di Colonna, un
ruolo preminente ricoprono i suoi alleati isolani, il conte di Vicari e il principe di Butera, che
volentieri prendono le parti del viceré».
53 Si noti che la dedica è in italiano come il titolo attributivo Antoni Venettiano carcerato (e
come le titolazioni della precedente sezione di Ottave: cfr. tavola in Appendice) ma diversamen-
te dalle titolazioni interne del ciclo, che sono in siciliano (All’Illustrissimo Signuri, Supra la sua
carcaretione). Una formulazione molto simile è nel libretto perduto di rime siciliane dedicato a
Francesco Potenzano, stampato a napoli nel 1582 e riprodotto dall’apografo ottocentesco RI:
«All’illustrissimo et eccellentiss[imo] S. Marc’Antonio Colonna viceré e capitano generale del
Regno di Sicilia» (cfr. Rinaldi 1995: 47 n. 17, 105).
110 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio
grave crisi di potere. Dopo un primo triennio di governo in cui aveva cerca-
to di ridurre i privilegi della nobiltà isolana, il secondo mandato di Alba de
Liste (1588-1592) fu segnato dallo scontro aperto con gli inquisitori spagnoli
del Sant’Uffizio, appoggiati dai baroni siciliani, che arrivarono a scomunicare
il viceré con i suoi ministri e consiglieri nell’aprile 1590, in seguito all’arresto
del conte Ottavio Lanza. Il braccio di ferro fra il potere viceregio e l’alleanza
tra Inquisizione e baronaggio, aggravato dall’epidemia e dalla carestia che col-
pivano il Regno dal 1589, si protrasse in seno al parlamento finché Alba de
Liste, che aveva già chiesto al re di essere tolto dall’incarico, fu costretto dal-
l’inquisitore Luis de Páramo a rientrare a Madrid nella primavera del 159254.
naturalmente il punto di vista politico di Antonio Veneziano, apparte-
nente alla piccola nobiltà monrealese, era quello dei baroni siciliani, suoi soda-
li accademici e protettori: si ha infatti notizia di una sua mordace satira contro
Alba de Liste per il prosciugamento del lago Papireto, e siamo soprattutto in-
formati che tra il dicembre 1588 e il gennaio 1589 venne arrestato e torturato
a causa dell’affissione di «un cartello contra il viceré alla cantonera di D. Pie-
tro Pizzinga allo piano delli Bologni»55. Scampato alla forca per intervento di
alcuni autorevoli baroni, secondo La Lumia (1879: 196) il Veneziano fu man-
dato dapprima al confino nell’isola di Pantelleria e da qui tradotto nelle carce-
ri palermitane del Castello a Mare, dove si trovava ancora rinchiuso tra il 7 ot-
tobre 1589 e il 15 dicembre 1590, quando Francesco Santapau era già morto:
L’Albadelista avrebbe voluto, con uno dei suoi atti sommari, mandarlo senz’altro
all’estremo supplizio; ma intercessero i vecchi protettori, a’ quali il Veneziano
rimaneva sempre assai caro, e la pena capitale si commutava in bando perpetuo
nell’isola di Pantelleria. Avrebbe quivi finito i suoi giorni: se non che interposi-
zioni novelle ottenevano in breve che la relegazione si commutasse in perpetuo
carcere nel Castellammare di Palermo. Stando anche colà, i preposti alla fabbri-
ca del Duomo lo incaricarono di regolare l’opera dell’Arco trionfale pel solenne
54 Cfr. Di Blasi (1880: 248-256), Garufi (1920: 304-360), Koenigsberger (1951), Zapperi
(1960) e la voce «Diego Enríquez de Guzmán y Toledo» (di Esther Jiménez Pablo) nel Dicciona-
rio Biográfico electrónico della Real Academia de la Historia (dbe.rah.es). Sulla figura di Luis Rin-
con de Paramo si apre il brillante relato biografico di Leonardo Sciascia (1967: 5-7).
55 Ed. Di Marzo (1869-1886, I: 115): «A primo di decembre [1588]. Si trovò appizzato un
cartello contra il vicerè alla cantonera di D. Pietro Pizzinga allo piano delli Bologni. Ed alli 13 di
gennaro seguente ne fu tormentato Antonio Veneziano poeta famosissimo di Monreale, ed ebbe
sette tratti di corda, e tinni». Il passo del diario di Filippo Paruta e niccolò Palmerino pubblicato
dal Di Marzo è citato da Millunzi (1894: 74), che fa coincidere la data dell’affissione del ‘cartello’
con quella della carcerazione: «E il vicerè Diego Enriquez conte di Albadalista, che fu per Mon-
reale una vera jattura, peggiorò gravemente l’acerbo destino del nostro poeta. Il 1 dicembre 1588,
essendo lui vicerè, Antonio Veneziano fu catturato». Si noti però che la lettera di Veneziano
pubblicata dallo stesso Millunzi (1894: 96, 187-192) come documento n. LXIV (cfr. supra, nota
48) è datata «In Monreale a 8 gennaio 1589»: se la lettera è autentica e la data è esatta ciò signi-
fica che per l’8 gennaio Veneziano non era stato ancora arrestato a causa del ‘cartello’ sedizioso:
si tratta di soli cinque giorni prima della data (13 gennaio) in cui avrebbe avuto luogo la tortura.
Un nuovo manoscritto di canzoni siciliane con ottave inedite 111
Come si vede, il dato storico collima con quello biografico fornito dal-
l’ultima ottava del ciclo Antoni Venettiano carcerato: se il poeta venne, come
pare, arrestato nel gennaio 1589, egli sarà stato ‘carcerato’ da un anno nei
primi mesi del 1590, quando il viceré Alba de Liste è scomunicato dal
Sant’Uffizio e invia le dimissioni a Madrid: momento propizio per il mon-
taggio e la pubblicazione extra carceres del ciclo occasionale in cui si auspica
una nomina politica al principe siciliano Francesco Santapau e gli si richiede
un intervento di soccorso.
La quadratura dei dati storici e biografici in nostro possesso è avvalorata
da una serie di elementi poetici e stilistico-tematici che pure orientano a fa-
vore dell’attribuzione ad Antonio Veneziano. Oltre alle consonanze di lin-
gua poetica che abbiamo segnalato nel commento alle singole ottave, va det-
to che la turgida tessitura della parte encomiastica del ciclo, ricca di riferi-
menti storici e mitologici, è in linea col petrarchismo imbevuto di erudizio-
ne classica del Veneziano, cui si attribuisce un trattato mitografico in italia-
no (con numerose citazioni latine e greche) applicato alle statue del fonte
Pretorio, che fu trasportato da Firenze a Palermo nel corso degli anni Set-
tanta57. Si confronti in particolare la stringata comparazione quadrimembre
di VII 7-8 («pari Mercuriu in diri, in armi un Marti, / in lumi Apollu et in
guvernu Giovi») con quella, più distesa, in un’ottava della Celia intitolata
Epitafiu di lu so cori (LP 24 3-8): «“Chistu, servendu ad una ingrata e dura, /
superau quattru dei li chiù potenti: / Cupidu in l’armi c’happi in pettu
chi è già passatu a la quieti / Vuscaghia e li soi yorna già conclusi; / pertantu ognunu cu soi versi
leti / canta cui adornau li Siragusi, / sub pena, preterendu sti decreti, / chi d’Helicona e Pindu
sianu esclusi».
62 Cfr. Carapezza (2016: 217).
Un nuovo manoscritto di canzoni siciliane con ottave inedite 113
APPEnDICE
Tavola del ms. CG
Indichiamo capoverso (in edizione interpretativa) e rima pari (normaliz-
zata) delle singole ottave. Se si tratta di parole-rima le sottolineiamo (cfr.
4ra, 180rb, 191ra-va). Per la sezione di Ottave (II) indichiamo solo il capo-
verso della prima ottava della serie e, tra parentesi, quello della mastra. nella
colonna a destra segnaliamo le corrispondenze con PR10 (ed. Rinaldi 2012,
da cui si riprendono le sigle).
[0]r: Libro di canzoni siciliani da mandarsi per / Lelio a Paolo Pozzobonello suo
Padrone
I. Prima sezione anepigrafa di canzoni (cc. 1r-42r) [166 ottave]
1ra A un raiju di bellicza ch’in vui appari -ia LP 283
1rb Amuri lu mortiferu to mali -iti LP 31
1va Amuri si tu poi com’è chi poi -ita LP 100
1vb Ausu l’ochi a lu celu e radiari -uri
2ra Benchi la vista l’amuri nutrixi -alma LP 153
2rb A li belliczi toi non c’è né pari -ori LP 144
2va Da poi ch’in frunti pari chi portassi -ia
2vb Quantu grazia e bellicza antica e nova -ui LS 199
3ra Di li vostri capiłłi la naurata -antu
3rb Hoimé, stu chiantu miu n’è bon signali -ori LP 239
3va Di nułłu tempu la mia facci è axiutta -uri LP 113
3vb Lu sonnu infini autru non è chi sonnu -enti LP 179
4ra Di lu bramanti fonti chi m’infocu / siti
4rb Si parli, beni miu duci, ducizza -acia
4va Mi è forcza, donna, ch’iu ti serva e stima -ovu
4vb Iu puru tornu di novu a provari -assi LS 69
5ra Privu, patruna bełła, di vui absenti -icu Ca 57
5rb Mentri alma lena e spiritu havirò -enti LP 48
5va Mentri chi campu e di poi chi si mori -ui
5vb Veru e curtisi diu di li conohorti -ia Ca 74
6ra Si contemplandu l’ochi e l’aura tricza -ati
6rb n’è chista chiłła beata finestra -arsi LP 133
6va non meritu, patruna, stu faguri -iti LS 263
6vb Di la menti ostinata cu’ chi v’amu -uru Ca 19
7ra Mentri happi in corpu vostra matri a vui -atu LP 259
7rb Quandu ti fici Amuri e ti compliu -oi LP 66
7va Sempri sarrò in serviciu quali fui -atu
7vb Ferma lu cursu di la navi a mari -atu
8ra Suspiru tu chi nexi di lu pettu -atu LP 46
8rb Talmenti Amuri mi travaglia e sbersa -atu LP 260
Un nuovo manoscritto di canzoni siciliane con ottave inedite 115
1 Solo capoverso sotto Mentri alma lena e spiritu havirò, copiata a 5rb.
2 ms. offendu.
Un nuovo manoscritto di canzoni siciliane con ottave inedite 117
3 ms. sulu.
118 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio
II. Sezione di Ottave intestate a vari autori (cc. 42v-150r) [56 Ottave, 433 ottave]
42v: Le seguenti sono tutte ottave di / Poeti Valenti in questa lingua siciliana
43r Ottava di sdegno / Ioanni Bonasira
Poi chi di sdegnu vitti l’alta insegna -iti
(Chi torna o npincia chiù a la vostra riti -antu)
45r Ottava / Ioanni Bonasira
Pena infinita mia sorti contraria -encia
(Per disperatu e privu di paciencia -ita)
47r Ottava / Ioanni Bonasira [4 ottave]
Petra iettata ad un puczu profundu -ivi
(Sepultura di vivi mali vivi -orti)
49r Ottava / Batti Cani 4
Iu chianciu, donna, chi tu causa fusti -isti
(Chianchi, miseru amanti, chi perdisti -asti)
51r Ottava / Batti Cani
Quandu chi guardu l’alma tua figura -iju
(Iu t’amu tantu chi per tia peniju -amu)
53r Ottava / Batti Cani
Chianciu lu locu a ntrambu dui ricettu -assu
(Chianciu chi partu, chianciu chi ti lassu -atu)
55r Ottava / Batti Cani
Mentri cecu campava senz’amuri -iri
(Di chi vitti ncuminzai ad ardiri -ettu)
57r Ottava / Batti Cani
Comu una navi di commossu mari -iri
(Su fattu privu di festa e placiri -orta)
59r Ottava / Petru di Palermu
Mentri lu cecu e faretratu diu -ettu
(Di quandu ti guardai ti fu sugettu -attu)
61r Ottava / Tubiolu Benfari
Sent’un un cutełłu chi per mia s’ammola -uri
(Łłà und’è la vita mia vattindi, Amuri -ali)
63r Ottava / Petru Principatu
Chiancinu di continu l’afflitt’ochi -ari
(Poi chi non haiu di cui mi fidari -eni)
4 Andrea Vatticani.
Un nuovo manoscritto di canzoni siciliane con ottave inedite 119
192r Ottava
Si non havissi andatu a passu curtu -empu
(Quandu lu tempu mi detti lu tempu -ocu)
194r Ottava / Vicenczu Salvario
Arsi un tempo per tia per tia mi sfici -atu
(Quantu per disamarti su beatu -utu)
196r Ottava
Comu vedisti per signu apparenti -antu
(Per tia fichiru st’ochi eternu chiantu -idi)
198r Ottava / Balseca 7
Fra scuri sassi e tenebrusi grutti -angia
(Iu chianciu e lu miu chiantu è cosa strangia -ita)
100r Ottava
Mentri chi l’autu diu cecu et audaci -ici
(La bella donna mia, nova fenici -aci)
102r Ottava
Vui ch’abitati in abissi profundi -endi
(Chianciu et invitu a chiantu a cui m’intendi -undi)
104r Ottava / Gerolamo Grasso
L’occultu focu d’amuri supremu -amu
(Ti vogliu si mi voi, si m’ami t’amu -aci)
106r Ottava / Lu Cecu di Mazzara 8
Per mia non ci su chui piaciri e spassi -au
(Miu patri in focu, oimé, mi generau -inni)
108r Ottava / Polito Chiotta
Morti infiniti ogn’hura provu e sentu -ocu
(Alcuni chi su fora di lu iocu -eni)
110r Ottava / Cola Burgarella
Ad huri ad huri, quandu mi guardati -iti
(Su in dubiu, donna, si sempri amiriti -orti)
112r Ottava / Cola Burgarella
non sentu chui, su paczu e vaiu erranti -enti
(Pentiti, beni miu, pentiti, penti -oi)9
114r Antonio Veneciani magiore / Ottava
Gioija ch’a nullu eccettu a ttia assimigli -iju Ott III
(Iu t’amu tantu chi per tia peniju -amu)
116r Antonio Venetiani magiore / Ottava
Turri d’auti belliczi ornata e varia -iju Ott I
(Iu t’amu tantu chi per tia peniju -amu)
118r Antonio Veneciani magiore / Ottava
Quantu varij formi ogn’hura cangi -iju Ott II
(Iu t’amu tantu chi per tia peniju -amu)
144v Ottava
Cui li mei peni misurando va -ù
(Chianci la turturełła e dichi “ù!” -à)
146v Ottava
Autru pinzeri gravi, autru mi dogliu -ortu14
(non su comu ti penzi, non su mortu -ampu)
148v Ottava
Intra caverni e disperati abissi -assi
(Per aspri munti adriczu li mei passi -etra)
150v <bianco>
17 Parola in rima delle successive quattro ottave, che condividono l’ultimo o il penultimo
verso variato (verso-chiave): «ben poczu diri chi non ci è chui mamma» (162rb, v. 8), «ijrrò gri-
dandu cha non c’è chui mamma» (162va, v. 7), «gridati tutti cha non ci è chui mamma» (162vb,
v. 8), «poczu gridari cha non ci è chui mamma» (163ra, v. 8).
18 Sotto Quandu l’auti belliczi unichi e rari, che non risulta copiata altrove.
124 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio
21 ms. usuanza.
22 Pietro Pavone.
23 Pietro Principato.
126 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio
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130 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio
Riassunto / Abstract
Si presenta una nuova antologia manoscritta di canzoni siciliane, conservata a
Catania presso un privato e databile intorno al 1600, che contiene una cospicua se-
zione di più di cinquanta ‘ottave’ intestate a vari autori accanto a 349 canzuni in
massima parte adespote. Il manoscritto fu donato da un certo Lelio, da identificare
probabilmente con Lelio Pavese (ob. 1608), a Paolo Pozzobonelli (1572-1630), en-
trambi nobili savonesi. nel segmento finale del manoscritto si rinviene una prege-
vole serie di ventidue ottave encomiastiche e di prigionia attribuite ad Antonio Ve-
neziano “carcerato” e indirizzate a Francesco Santapau, principe di Butera, tra il
1588 e il 1590: se ne dà l’edizione commentata e si discute l’attribuzione, da ritene-
re attendibile sulla base di argomenti storici e filologici.
* Ringrazio Giovanni Abete, Pierluigi Cuzzolin, Elisa D’Argenio, Daniela Mereu, Mario
Pagano per la lettura di questo lavoro e per osservazioni e commenti che mi sono stati molto uti-
li. Ad Elisa D’Argenio devo anche la preziosa assistenza nella preparazione di tabelle e grafici. Di
ogni errore assumo piena responsabilità.
1 Esiste però un piccolo sottogruppo di nomi femm. in -i al sg., come a fauci ‘la falce’.
134 Rosanna Sornicola
2 Effettuo qui una distinzione terminologica e concettuale tra “classe nominale” e “classe
flessiva”: con il secondo termine mi riferisco a classi di elementi definite unicamente dalla condi-
visione di un medesimo schema flessivo, in maniera indipendente dalle proprietà di Genere (si
veda qui § 12.).
Processi di pluralizzazione in siciliano 135
3 Con il termine “classe” mi riferisco qui unicamente alla classe flessiva del siciliano.
4 Le regolarità qui descritte si basano sul consenso delle trattazioni grammaticali del sicilia-
no, che collimano in pieno con le osservazioni da me condotte nel corso degli anni, in contesti
di parlato spontaneo, sulle strutture di flessione nominale prodotte dai parlanti di diverse varietà
siciliane.
136 Rosanna Sornicola
Gruppo 2a. Alcuni nomi, esito di nomi maschili della III declinazione
latina, non si conformano al comportamento flessivo della III classe, dal mo-
mento che assumono pressoché regolarmente il Plurale in -a: dutturi / duttu-
ra, piscaturi / piscatura, latruni / latruna. Seguono questo schema flessivo an-
che nomi derivati, spesso deverbali, non pochi dei quali costituiscono for-
mazioni romanze. Si tratta di:
Gruppo 2b. nomi con suffisso -turi: [-Animato] caliaturi / caliatura, ra-
scaturi / rascatura; [+Animato, +Umano] pirriaturi / pirriatura.
Gruppo 2c. nomi con suffisso -úni: [-Animato] buffittuni / buffittuna,
Numero V classe
SG -u
PL -a
Figura 4 - Schema di nomi a sg. in -u e pl. in -a.
Numero VI classe
SG -i
PL -a
Figura 5 - Schema di nomi a sg. in -i e pl. in -a.
presenza di allomorfi del Plurale in competizione con -a. D’altra parte, la de-
terminazione del Genere che concorre a individuare le classi V e VI è an-
ch’essa problematica. Se il Genere è definito tradizionalmente rispetto alla
concordanza sintattica con un modificatore aggettivale e/o un determinato-
re, allora l’identità di forma aggettivale con quella dei maschili porterebbe a
concludere che si tratti sempre di nomi di Genere Maschile, nonostante le
differenze semantiche rispetto ai tratti di Animatezza. Ritornerò su questo
problema in § 12. da una prospettiva diversa.
Questa conclusione non è del tutto soddisfacente e richiede di riflettere
su un secondo problema, ovvero la rappresentazione della categoria di Gene-
re in siciliano. Si deve ipotizzare che, nonostante la conformazione del para-
digma del Plurale, il Genere in siciliano si articoli in maniera bipartita, se-
condo l’opposizione Maschile / Femminile, o è lecito pensare ad una artico-
lazione tripartita in Femminile / Maschile / neutro? La domanda sembra di
un certo interesse per un duplice motivo: a) costringe a riflettere sulla cate-
goria di Genere come categoria inerente o sintattica, e in particolare sul con-
cetto di Genere neutro; b) solleva la questione di rappresentare in sincronia
un polimorfismo dovuto a residui di una situazione più antica. Anche se le
considerazioni al riguardo che avanzeremo in questa sede non potranno che
essere provvisorie, cercheremo di sviluppare alcune risposte parziali nelle
conclusioni (si veda § 12.).
Un terzo problema riguarda l’interfaccia di morfologia e semantica. Il
rapporto tra le proprietà flessive e le proprietà di Animatezza mostra una pe-
culiare non biunivocità. Ciò ha delle implicazioni, tra l’altro, anche per
l’eventuale identificazione di un Genere neutro del siciliano, dal momento
che da un punto di vista teorico il valore neutro dovrebbe avere una “solida-
rietà” con il valore di non Animatezza. non isomorfismi di proprietà di fles-
sione e di Genere sono ben evidenti in molte lingue, ma la casistica del sici-
liano solleva interessanti questioni al riguardo.
138 Rosanna Sornicola
5 «Ihre Zahl ist… sehr bedeutend grösser; da lautgesetzlich m. und f. im pl. zusammen fal-
len, so benutzt man offenbar das -a, das einige masc. zeigen, um allmählich die beiden Genera
wieder ganz zu scheiden; und zwar erst in neuerer Zeit» (Meyer-Lübke 1883: 171, corsivo mio).
6 Uso questo termine nell’accezione di Firth (1957: 183-184), poi seguita dalla successiva
linguistica britannica. Esso denota qualunque elemento grammaticale che contrae una relazione
di realizzazione con un morfema.
Processi di pluralizzazione in siciliano 139
latino in -UM → pl. -A come se fornisse la molla principale che avesse scatena-
[P]er l’evoluzione della -a è tutt’altro che sufficiente indicare il modello neutro
7 «Seppure i dialetti siciliani conservino un buon novero di plurali in -ora… questi non
rappresentano l’essenza delle innovazioni isolane con -a» (Tuttle 1990: 100).
140 Rosanna Sornicola
in -ora (> ira) la Sicilia non fece sostanzialmente altro che tramandare un pa-
trimonio centro-meridionale ereditato, compì con quelli in -a un’innovazio-
ne morfologica di portata notevole»8. A questo proposito Tuttle effettua delle
considerazioni che sembrano in parte convergere con le assunzioni di Meyer-
Lübke relative alla cronologia e alla spiegazione funzionale: «non si parla qui
di uno sviluppo che risalga alle nebbie della tarda antichità, ma che si sareb-
be iniziato in epoca alto-medievale e rinascimentale, proprio nell’epoca che
seguì la chiusura vocalica, la quale avrebbe creato le note ambiguità a cui si è
voluto addebitare l’estensione analogica di -a come strategia di “disambigua-
zione”»9. In realtà la posizione di Tuttle si allontana da quella di Meyer-
Lübke in un punto decisivo, che concerne la causa strutturale del fenomeno:
La poligenesi a lunga distanza (l’estensione del morfema -a ai plurali maschili)
sarebbe paragonabile piuttosto all’ologenesi che ammette… che lo stesso tratto
nuovo possa prodursi indipendentemente anche su aree discontigue e lunga-
mente separate purché vigano ancora gli eredi dell’antica specie di base (qui
semplicemente una grammatica profonda neolatina con distinzioni di genere oltre-
ché di numero [opposizioni profonde che avranno tendenza a provocare
un’espressione anche in superficie]) (Tuttle 1990: 108, corsivo mio).
meno troppo esiguo come incidenza lessicale e testuale per poter essere invo-
cato come spiegazione di natura funzionale della sensibile avanzata della fles-
sione -a, che è diventata il morfo regolare del Plurale di un cospicuo numero
di tipi lessicali, o una delle varianti morfiche di molti altri. Se non si tratta di
una spiegazione di natura funzionale (come ritenuto da Meyer-Lübke)10,
quale sarebbe la ragione del perpetuarsi di un “cripto-tipo” romanzo che de-
ve sempre codificare il Genere in aggiunta al numero? Una sorta di “mano
invisibile”? E d’altra parte davvero nel complesso l’associazione dei tratti di
Genere Maschile e di numero Plurale dà luogo in siciliano (e in corso) a for-
me che neutralizzano l’opposizione dei valori delle due categorie? A me pare
proprio di no. I micro-paradigmi della classe II, sg. -u / -pl. -i (scifu / scifi,
panaru / panari), e della classe III, sg. -i, pl. -i (pisci / pisci, munti / munti)
possono garantire benissimo su larga scala la codifica di Genere e numero,
anche al Plurale, senza che ci sia bisogno di ricorrere ad una flessione -a che
preservi l’opposizione dei valori delle due categorie, persino nel caso della
omofonia flessiva tra Singolare e Plurale, come nei nomi della III classe. La
ragione di ciò non è solo sintattica, ovvero la codifica espressa dalla forma
dell’articolo (u pisci vs i pisci, u munti vs i munti), ma anche una più astratta:
il Genere è una caratteristica intrinseca dei singoli lessemi, di cui i parlanti
nativi hanno piena consapevolezza e controllo, indipendentemente dal mar-
camento esplicito differenziale (altrimenti anche l’omofonia di sg. masch. -i
e sg. femm. -i dovrebbe causare ambiguità, il che non avviene mai). In altri
termini, il marcamento di Genere nelle lingue romanze è sempre realizzato,
quale che sia la sua forma. Lo stesso vale per il numero. Del resto, l’ipotesi
teorica della poligenesi in rapporto al cripto-tipo romanzo non spiega perché
ci sia il micro-paradigma sg. pisci / pl. pisci ma non sg. dutturi / pl. *dutturi,
o sg. mattuni / pl. *mattuni. Infine, la tesi di Meyer-Lübke secondo cui in si-
ciliano il pl. in -a sarebbe sulla buona strada di diventare la marca del Ma-
schile Plurale non è comprovata dai dati empirici (lo vedremo in §§ 6.-10.),
come dimostra proprio il forte polimorfismo.
C’è un altro ordine di considerazioni che a mio avviso rende problemati-
ca la pur suggestiva ipotesi della poligenesi di Tuttle. Siciliano, corso e altri
dialetti centro-meridionali mostrano di avere un fondo comune di pl. in -a,
in buona parte riconducibile alla continuazione di antiche forme di Plurali
neutri del latino (i tipi braccia, ciglia, calcagna, etc.), che avrebbero agito da
modello per la diffusione della forma flessiva ad altri tipi lessicali. Ma il con-
fronto tra i tipi del siciliano e del corso a proliferazione innovativa di -a sem-
bra indicare che tra di essi sussistono differenze strutturali notevoli (per il
corso rinvio agli elenchi di Tuttle 1990: 85-86). Ad esempio, i nomi che in
10 Tuttle (1990: 85) sembra accogliere la tesi di Meyer-Lübke al riguardo solo in parte.
142 Rosanna Sornicola
sostantivi che escono in -u formano il plurale in -i, oppure in -a, senza che sia possibile stabilire
una regola o comunque una norma costante. In alcuni casi il plurale esce indifferentemente sia
in -i che in -a (…) ne risulta l’impossibilità di darne elenchi completi, anche a prescindere da al-
cune inevitabili oscillazioni, perché sarebbero lunghissimi e anzi praticamente impossibili».
12 È di speciale interesse per lo studio del Genere e del numero in una prospettiva romanza
comparativa la casistica dei Plurali del rumeno, per cui si veda Maiden (2015), Maiden (2016a),
Maiden (2016b).
13 Per una analisi più dettagliata rinvio a Sornicola (2010).
Processi di pluralizzazione in siciliano 143
Plurale singolativo di alcuni lessemi nelle aree della Sicilia centrale da lei indagate. Rinvio alla
sua trattazione anche per la bibliografia relativa ad altre aree del Meridione.
15 Sornicola (2010: 561).
16 Sornicola (2010: 561-562)
17 Si veda Rohlfs (II: § 368); Tuttle (1990: 92-96), Retaro (2013: 180-181). Per la diffu-
sione di questo tipo in altre aree centro-meridionali rinvio a Loporcaro (1988: 231-234), Ledge-
way (2009: 143-150) con una ampia panoramica sincronica e diacronica del tipo in area italiana
(specialmente sul napoletano), Avolio (2002: 619), De Blasi (2009: 56).
18 Il polimorfismo fonetico di queste forme è stato variamente giustificato, da alcuni anche
considerando l’ipotesi di effetto metafonetico (si veda Salvioni 1906-1910 [2008, IV]: 657, Sal-
vioni 1910 [2008, II]: 331; cfr. Tuttle 1990: 97-98, nota 79, Retaro 2013: 192-197ss). La que-
stione merita un ulteriore approfondimento, su cui mi riservo di intervenire altrove.
144 Rosanna Sornicola
fo -ora è stato estratto dal Plurale dei neutri di III declinazione ed è prolifera-
to in lessemi originariamente di II e di IV declinazione19. La presenza in alcu-
ni lessemi con il tratto [-Animato] di flessioni varianti -a / -ira potrebbe testi-
moniare la permanenza in sincronia di una antica stratificazione in rapporto
a nomi che in latino erano “neutri” (uso questa caratterizzazione tra virgolet-
te perché, come vedremo in § 12., è tutt’altro che pacifico che tale valore di
Genere sia presente in siciliano). Tuttavia, i risultati della ricerca che qui pre-
sento mostrano che entrambi i morfi in questione hanno subìto notevoli pro-
cessi di espansione lessicale, su cui ci soffermeremo in § 6. La flessione -a, ad
esempio, si trova anche con nomi per i quali non è invocabile la conservazione
del neutro. Sia pure in misura minore, infatti, essa si presenta con lessemi la
cui base latina aveva il tratto di Genere Maschile e mostra un ulteriore avan-
zamento in nomi di formazione romanza con i tratti [+Animato] e persino
[+Umano]. Per quanto riguarda la dimensione diatopica, il tipo -ora presenta
una forte espansione nelle aree centrali della Sicilia, mentre la diffusione areale
di -a nell’isola è ad ampio raggio. È opportuno, in ogni caso, tenere separate
le trafile delle flessioni in -a e in -ira / -ura, dal momento che esse hanno ca-
ratteristiche diverse sia in diacronia che nella sincronia delle fasi moderne.
Altri problemi sorgono con la distribuzione della flessione -i. In molti
casi essa non è giustificabile a partire dalle proprietà di Genere della base eti-
mologica (si trova con nomi che in latino erano neutri). Arabismi, francesi-
smi, italianismi e altri lessemi nominali si presentano spesso con la flessione
-i (l’occorrenza di -i quindi potrebbe essere parzialmente in rapporto a cor-
renti di prestito riconducibili a epoche diverse)20, ma anche in questi casi esi-
stono varianti flessive in -a, che sembrano riconducibili all’alternanza più o
meno regolare dei valori di Plurale collettivo vs singolativo.
Più difficile è giustificare per via semantica il polimorfismo -i / -ira, la
cui ragione va individuata, a mio avviso, nei fattori prosodici di allungamen-
to della parola per motivi di bilanciamento del “peso” sillabico complessivo.
Esistono, del resto, altri fattori, il cui rilievo si precisa sempre di più grazie
agli studi di morfologia prosodica, che giocano un ruolo fondamentale a li-
vello di struttura fonologica e di struttura morfologica dei lessemi. Si tratta di
fattori prosodici alla base di processi morfologici che danno luogo a “stampi”
(templates) produttivi21. Anticipo subito come esempio una delle casistiche su
cui tornerò in avanti, che riguarda il rapporto tra lessemi a formazione suffis-
19 Si vedano al riguardo i classici lavori di Aebischer (1933), Aebischer (1934), in cui si di-
mostra, tra l’altro, che la fortuna del tipo -ora in area italoromanza è testimoniata anche dalla
sua folta presenza nella toponomastica. Si vedano inoltre Tuttle (1990: 96-100), Faraoni
(2012), Formentin / Loporcaro (2013), Faraoni / Gardani / Loporcaro (2013).
20 È noto che le varietà siciliane hanno una facies relativamente moderna e che hanno subì-
sale (antica o moderna) e lessemi a tema semplice (o sentito come tale nei
pochi casi in cui si ha una parola etimologicamente fornita di suffisso deriva-
zionale). Poiché la gran parte delle parole a flessione del Plurale in -a sono
trisillabiche (o tetrasillabiche), indipendentemente dalla flessione di nume-
ro, mentre la gran parte delle parole a flessione del Plurale in -i sono bisilla-
biche al Singolare, è possibile pensare ad una attrazione delle parole a suffis-
so derivazionale, sempre almeno trisillabiche, nello schema del Plurale in -a.
In base alle considerazioni ora ricapitolate, ritengo che si possa avanzare
l’ipotesi che siano questi stampi a costituire gli attrattori più potenti della
diffusione della flessione -a a nomi con il tratto [+Animato] e [+Umano],
piuttosto che la conservazione di una opposizione Maschile vs Femminile o
Singolare vs Plurale dei nomi come tratto funzionale profondo. Ritengo
inoltre possibile che tali stampi agiscano indipendentemente dai tratti se-
mantici di Animatezza e di Genere naturale assegnabili ai lessemi. Ovvia-
mente, non si vuole qui escludere l’incidenza di fattori semantici come
l’Animatezza, o di fattori funzionali come l’opposizione di valori di Genere,
ma solo ridimensionarli nella loro portata di cause della proliferazione della
flessione -a del Plurale in siciliano. La verifica di queste ipotesi ha costituito
l’obiettivo iniziale del presente lavoro.
5. La metodologia dell’inchiesta
Per verificare l’impatto dei fattori di conservazione delle forme flessive ri-
spetto alla base etimologica e dei fattori prosodici sulla propagazione della
flessione -a, ho raggruppato le parole di cui volevo osservare le proprietà fles-
sive in due macro-insiemi: a) un insieme caratterizzato dalla presenza di -a
anche in altre aree italoromanze in fasi medievali e/o moderne (si veda § 6.);
b) un insieme caratterizzato da proprietà di stampo morfo-prosodico, ulte-
riormente ripartito in sotto-insiemi organizzati secondo proprietà di struttu-
ra fonologica più fini. Ho poi somministrato un questionario con le liste di
parole così suddivise a otto parlanti siciliani dialettofoni, di aree diverse della
Sicilia e di età diversa, chiedendo per ogni parola di formare il Plurale. Ri-
porto l’età e la provenienza di ciascuno:
Informatore A, 92 anni, donna, Santo Stefano di Camastra (ME);
Informatore B, 35 anni, uomo, Cesarò (ME);
Informatore C, 37 anni, uomo, Cesarò (ME);
Informatore D, 75 anni, uomo, Terrasini (PA);
Informatore E, 80 anni, donna, Palermo;
Informatore F, 40 anni, donna, Palermo;
Informatore G, 70 anni, donna, Terrasini (PA);
Informatore H, 70 anni, uomo, Ioppolo (AG);
146 Rosanna Sornicola
22 Retaro (2013: 210) aggiunge anche che «sulla distribuzione diatopica di tali forme oc-
correrebbe in futuro procedere con una verifica sistematica su aree più ampie, in particolar mo-
do nell’area trapanese e agrigentina».
23 Questi dati collimano con quelli di Retaro (2013: 201-202), che ha osservato un caratte-
re “evanescente” del sapere linguistico dei suoi informatori per quanto riguarda la flessione di di-
verse forme del Plurale.
24 nelle tabelle che seguono con “ * ” indico che l’informatore ha subito dichiarato di non
poter dare una risposta, con “–” che la risposta non è stata elicitata per l’indisponibilità dell’in-
Processi di pluralizzazione in siciliano 147
L’esame dei dati così ottenuti è stato organizzato in sezioni diverse, in qual-
che caso anche tenendo conto della regolarità di scelta flessiva da parte degli
informatori. In §§ 6.1.-6.2. quindi ho discusso i risultati relativi a tutti i no-
mi con plurale in -a fortemente regolare, sia i tipi lessicali del siciliano la cui
morfologia del plurale in -a ha corrispondenti italoromanzi antichi e moder-
ni, sia quelli che, pur privi di tali riscontri comparativi, presentano una fa-
cies del tutto uniforme in questo senso.
formatore a condurre la seduta di intervista in cui era prevista la domanda. A parte sono state in-
dicate le reazioni di esitazione, sia che queste precedessero una risposta positiva sia che precedes-
sero la dichiarazione di non sapere. Sulle numerose incertezze dei parlanti intervistati in merito
al questionario somministrato si vedano le osservazioni di Retaro (2013: 200).
25 Il gruppo in esame presenta qualche disomogeneità al suo interno per quanto riguarda la
struttura prosodica della parola. Benché la maggioranza dei lessemi che ne fanno parte sia costi-
tuita da bisillabi parossitoni, sussistono anche alcuni trisillabi e un tetrasillabo, anch’essi paros-
sitoni.
148 Rosanna Sornicola
manza (REW 8780; FEW 13, 27-29), è deverbale di tronari (trunari), for-
mazione dal lat. tŏno con /r / dal derivato tŏnĭtrus (DEI 5, 3915). Il tipo
nominale e quello verbale hanno numerosi corrispondenti nel resto dell’area
italoromanza (GDLI 21, 426ss. s.v. truòno, GDLI 21, 401, sv. tronare). I pl.
tròna, trònora sono ben attestati nella documentazione antica e moderna, co-
me del resto la forma pl. tuona dell’allotropo tuono, deverbale di tuonare
(GDLI ll. cc.).
Con i seguenti tipi lessicali nei testi letterari antichi di varia area tosca-
na e centro-merid. -a era una delle varianti possibili, spesso predominante,
ma non unica: braccio (< bracchĭum), pl. bracci e più spesso braccia; budello
(< bŏtellus), pl. budella, budelle, budelli; calcagno (< calcānĕum, forma ra-
ra da calx), pl. calcagna, calcagne, calcagni; cervello (< cĕrĕbellum), pl. pre-
valente cervella, ma anche cervelli; ciglio (< cĭlĭum), pl. prevalente ciglia, ma
anche cigli; ginocchio (< gĕnĭcŭlum), pl. ginocchi, ginocchia, ginocchie; filo
(fīlum), pl. fili e fila; pomo (< pōmum), pl. pomi, poma, etc.26. Il polimorfi-
smo si può giustificare, almeno in parte, con il carattere eteroclito della fles-
sione e dei valori di Genere delle basi latine. Questa eteroclisia era spesso,
anche se non sempre, in rapporto a differenze di significato27. Il neutro
calcānĕum aveva una variante masch. calcānĕus, -ii; il neutro cornū, -us
‘corno di animali’ è affiancato dalle varianti minoritarie cornum, -i e cor-
nus, -us28; oltre a gĕnĭcŭlum, -i ‘piccolo ginocchio, ginocchio’ si trova la
forma gĕnĭcŭlus, -i ‘curva ad angolo di due tubi che si riuniscono’ (termine
tecnico dell’architettura)29; accanto al neutro sg. pār, păris esisteva la forma
neutra pl. parĭa, e un masch. sg. pār, păris ‘compagno’30. Sono peraltro da
segnalare diversi casi in cui le varianti alternative sono sinonime, come
fīlum e fīlus (quest’ultima forma è minoritaria).
Il carattere eteroclito dei lessemi italoromanzi a pl. in -a / -i si accompa-
gna anch’esso a volte a differenze di significato. Due esempi interessanti so-
no forniti dai testi siciliani antichi31. Cornu ‘corno di un animale’ può avere
un pl. corni (ValMaxXIVU, pag. 41.30: «[…] Ca in la capu sua se irssiru su-
bitamenti commu duy corni»; EneasXVS, ms. B, 7.44: «Lo quali cervu si
transtullava tucto lo iorno in quilli prati et la sira venendo, si ndi tornava in
26 Per le varianti dei testi letterari antichi di altra area italiana e la loro frequenza rinvio al
Corpus TLIO.
27 Per un esame del problema teorico dell’eteroclisia con differenziazione di significato rin-
casa et la iuveni li adornava li corni cum soi belli churlandi») oppure corna
(EneasXIVF, ms. A, pag. 90.13: «[…] in menzu li corna di killu vitellu»;
EneasXIVF, ms. A, pag. 136.24: «[…] la iuvini li adurnava li corna cum soy
belli iurlandi»). Tuttavia nel significato di strumento musicale (‘corno da
caccia’) si trova solo il pl. corni (EneasXIVF, ms. A, pag. 145.4: «[…] et li
corni sunaru»). Lignu nel significato di ‘pezzo di legno’ presenta la forma pl.
ligna con valore collettivo e indefinito, preceduta o meno dall’articolo (Con-
questaXIVRT, pag. 138.8: «[…] prindianu lingna di terra»; ValMaxXIVU,
pag. 115.29: «[…] di sarcini e di ligna siki per ben ardiri»; VitiiVirtuti-
XIVB, pag. 256.9: «illu havia ricoltu una pocu di ligna lu sabatu»; Alfa-
betìnXVS, pag. 27.9: «Li [occhi mei] vidinu li ligna arrigati e lu focu allu-
matu a lu jjornu de lu qorbàn meu»). Il plurale ligni si mostra frequente-
mente associato al nome con valore singolativo, quando cioè ogni singolo
pezzo di legno è individuato da una sua specificità e in questo caso è presen-
te un determinatore o un modificatore di varia natura (SposizioneXIVP,
pag. 122.10: «[…] li autri ligni portanu frundi»; ValMaxXIVU, pag. 45.7:
«[…] di li ligni d’una barketta rutta»; VitiiVirtutiXIVB, pag. 172.18: «L’ar-
cha fu facta di ligni quadrati»; Bresc /2014 (488) - 1455 Inventario, pag.
1470.26: «Item una caxecta di lignu cum dui ligni dintru, videlicet di pixi»;
Bresc/2014 (488) - 1455 Inventario, pag. 1476.12: «Item saccu unu cum
certi ligni dintru»).
Altri casi notevoli sono riconducibili alle oscillazioni di Genere e delle
forme nominative e accusative del latino tardo e alla facies della sovraesten-
sione dell’uscita -um. Ciò potrebbe rendere conto della coesistenza dei pl. fili
e fila, e dei già menzionati lacci e laccia, pugni e pugna. Il polimorfismo di
questi due ultimi lessemi è ben rappresentato sia nei testi letterari antichi to-
scani che in quelli siciliani (EneasXIVF, pag. 220.20: «[…] baptendusi lu
pectu cum li pugna»; SposizioneXIVP, pag. 118: «[…] di pugni et colpi viyu
amaccatu»).
Un altro fattore attivo nella sovraestensione dell’uscita -a tra latino tardo
e fasi romanze potrebbe essere stato il valore duale intrinseco al Plurale di al-
cuni lessemi, come per l’appunto pugno. Emblematica al riguardo mi sembra
la differenza tra il passo di EneasXIVF sopra citato, in cui si fa riferimento ai
due pugni delle mani di un dato individuo, e il passo della SposizioneXIVP,
in cui il nome ha un valore di Definitezza generico32. È opportuno osservare,
del resto, che già in latino (e nelle lingue indoeuropee antiche) il valore dua-
le era uno dei nuclei di significato fondamentali del Genere neutro, e che
questo valore era caratteristico, tra l’altro, di alcune parti del corpo (si pensi
da un numerale (MascalciaR1XVF, I.18: «et bagnalu cum radichi di affodilli pistati et miscati
cum vinu dulchi quantu tri pungni et non sia multu liquidu»).
150 Rosanna Sornicola
33 L’ipotesi converge con le conclusioni di Kupsch (1913: 16) e di Tuttle (1990: 100-101).
34 In it. il pl. budelli è usato in rapporto alla camera d’aria della bicicletta e agli insaccati.
Processi di pluralizzazione in siciliano 151
come nel caso di ginocchia e ginocchi. nei testi letterari siciliani antichi sono
regolari le forme «ginochi», «genochi», mentre il pl. in -a è oggi pansiciliano
(con l’eccezione di alcuni punti galloitalici)35, un dato pienamente confer-
mato dalle risposte al nostro questionario (si vedano qui i paragrafi che se-
guono). Altre differenze riguardano i tipi calcagno e cervello, le cui forme si-
ciliane hanno uniformemente il pl. in -a, laddove in it. prevale calcagni, e
calcagna rimane in espressioni cristallizzate (alle calcagna). In it. cervello ha
anch’esso un pl. cervella in alcune frasi fisse come si è fatto saltare le cervella.
Come in siciliano, quest’ultimo è un plurale collettivo, con valore unitario
in riferimento ad una sola persona (‘l’insieme di ciò che è interno alla scatola
cranica’), o al cervello degli animali. La forma pl. comune dell’it. cervelli, ca-
ratteristica di sottocodici scientifici o saggistici, mi sembra che non abbia ri-
scontro nelle parlate siciliane. Lo scarto forse più vistoso riguarda i nomi di
frutta, che in siciliano moderno hanno sempre regolarmente il pl. -a (i pu-
ma, i pira), mentre in italiano contemporaneo le forme antiche poma, pera,
sono uscite dall’uso.
35 Per i testi antichi si veda SposizioneXIVP, pag. 45.6; Conf3XVB, pag. 177.30; ValMax-
XIVU, pag. 92.14, 102.9, 128.11. I punti galloitalici con il pl. in -i sono Fantina, San Fratello e
Sperlinga (così risulta da AIS 162).
152 Rosanna Sornicola
proprie (cfr. Rinaldi 2005, II: 346, n. 2), la forma del primo lessema in sic. ant. è colpu. Per
quanto riguarda il secondo, non ho riscontri dai testi sic. ant., ma quelli di altre aree italoroman-
ze non mostrano mai la variante pila.
154 Rosanna Sornicola
possibile pensare anche all’effetto della semantica del lessema, riferito ai frut-
ti di piante (ad esempio ‘chicco’ di oliva e ‘acino’ di uva), il cui plurale ri-
manda spesso ad un insieme cumulativo. Il fatto che gli informatori A e D
concordino nel differenziare un pl. in -i per il significato ‘foruncolo’ confer-
ma l’esistenza di una consapevolezza della opposizione sistemica tra plurale
collettivo e plurale singolativo (Tab. 1f ).
37 Secondo DEI 2, 993, s.v. coccio 4 ‘granello, acino; foruncolo, pustola’, dato come tipo
dialettale di area panmeridionale, la forma sg. coccio sarebbe stata rifatta su un pl. *cocci, a partire
da coccus o coccum con cui il termine greco è stato preso in prestito in latino. La forma
masch. coccus è però tarda (Ernout / Meillet: 129) e la trafila ipotizzata presuppone una pala-
talizzazione del tema davanti alla flessione -i del pl.
Processi di pluralizzazione in siciliano 155
38 Per l’etimologia di sbiergiu si veda VSES 2, 913, che però mette la forma femm. sbergia
come esponente della trattazione. Esiste tuttavia una variazione allomorfica della voce in rappor-
to al Genere (sbergia / sbergiu, quest’ultimo col valore sia dell’albero che del frutto), per cui rin-
vio a VSES 2, 914.
156 Rosanna Sornicola
già entrato nel lat. tardo cruppa, sciascu < germ. *flasko, flaska, voscu <
germ. *busk / *bosk)39;
5c. Gallicismi (normannismi come bagghiu ‘cortile’ < fr. ant. bail(e)
‘idem’)40;
5d. Parole di possibile origine settentrionale, come scraccu ‘sputo’)41;
5e. Ispanismi sia diretti che indiretti (sfrazzu)42;
5f. Parole di non chiara provenienza, che hanno però corrispondenti
in altre aree del Meridione e/o del bacino del Mediterraneo (cuozzu, lem-
mu, sceccu)43.
Per i lessemi del gruppo 1. in via preliminare è possibile porre il proble-
ma della corrispondenza tra forma del Plurale e del Genere della base latina,
e le forme raccolte nelle risposte al nostro questionario. notiamo che anche
per questo gruppo la base è quasi sempre un lessema che seguiva lo schema
flessivo della II o della IV declinazione (ad eccezione di piettu < pectus,
-ŏris). Ebbene, i continuatori dei tre nomi neutri latini che seguivano la II
declinazione (caddu < callum, c(u)oddu < collum, t(i)ettu < tectum) han-
no tutti riportato una totale o quasi totale prevalenza della flessione -i. Lo
stesso risultato è stato ottenuto per il continuatore di pectus. Questi risulta-
ti non sono diversi da quelli emersi per alcuni lessemi di questo gruppo con
base latina di Genere Maschile: campu < campus, iaddu < gallus, palu < pa-
lus, p(u)orcu < porcus, sciatu < flātus, uocchiu < ŏcŭlus. Pertanto, diver-
samente da quanto si è osservato per i tipi lessicali discussi in § 6.1. e § 6.2.,
non è ipotizzabile una sopravvivenza, sia pur relittuale, di caratteristiche fles-
sive delle basi latine, con la relativa cristallizzazione di forma del Plurale.
Tutti i lessemi di questo gruppo sono stati coinvolti nel processo di ristrut-
turazione morfologica dei nomi che originariamente seguivano la II e la IV
declinazione, processo che ha condotto alla flessione -i del Plurale italoro-
manzo.
39 Per gli etimi dei lessemi in 5b rinvio al DELIN, sotto le rispettive voci. Il significato ‘no-
do’ del lessema gruppu, con cui ho posto la domanda agli informatori, è caratteristico non solo
del siciliano ma anche dei testi letterari italiani antichi.
40 Si veda VSES 1, 104.
41 La questione è controversa. Alessio (1962) pensa ad un francesismo (mette in rapporto la
voce con il fr. ant. escrachier), e già Flechia (1878: 121-125) aveva sostenuto l’appartenenza di
scraccu al fondo francoprovenzale del siciliano, mentre DELIN 1458 propende per una base
onomatopeica, come VSES 2, 946. Si veda anche REW 4752, con forme di vari dialetti setten-
trionali, del logudorese e del galloromanzo. La carta 1, 172 dell’AIS, ‘lo sputo’, mostra il tipo in
questione in alcuni dialetti del Piemonte sudocc. della Liguria occ., della Toscana, oltre che in
grigionese, mentre in Sicilia esso appare solo a Mistretta, anche se è registrato da numerosi voca-
bolari sic. (si veda VSES 2, 947).
43 Per c(u)ozzu si veda DEI 2, 1144, cozzo2, LGII 273, s.v. κουτσός. Il tipo lemmu è discusso
42 Si veda VSES 2, 969.
da LGII 298, s.v. λίμπα e VSES 1, 518-519. Per scifu rinvio a LGII 469, s.v. σκύφος.
Processi di pluralizzazione in siciliano 157
44 Si deve notare peraltro che anche le basi callum, collum, ammettevano varianti ma-
schili, sia pure minoritarie.
45 Si veda REW 8085, REW 8086; DEI 5, 3544; FEW 12, 91 e 95. somnus ha il doppio si-
gnificato di ‘sonno’ e ‘sogno’ già in Plauto, Cicerone e Virgilio (Alessio 1947: 191); somnium
nord in Veneto (nei dialetti vicentini, trevigiani, bellunesi), in area trentina, emiliana; a sud lo
si riscontra in Molise (punti 666, 658, 668), in alcuni punti della Campania (casertani, irpini,
salernitani), nonché in un’area della Basilicata di una certa ampiezza (punti 731, 732, 733, 735,
740), in Puglia (punti 706, 707, 708, 717, 737, 738, 739, 749) e in Calabria (punti 752, 760,
71, 772, 780).
158 Rosanna Sornicola
menti antichi, ci sono fornite in merito a dei lessemi che in queste fonti han-
no il plurale in -i (l’arabismo giummu ha spesso il pl. giummi, si veda VSES
1, 449, 1490, Catania «dui jumbi di oru», etc.), benché – a giudicare dalle
risposte ottenute – in seguito alcuni di essi possano essere stati implicati in
processi di cambiamento di schema flessivo, tra loro disomogenei, in manie-
ra differenziata a seconda delle aree e delle scelte dei parlanti (si vedano più
avanti i dati relativi al pl. giumma riportati nella Tab. 8). Le risposte raccolte
per lemmu presentano lemmi come forma principale e lemma come forma
minoritaria (si veda Tab. 8), un risultato che, per la fase moderna, trova
conferma indipendente nell’esistenza del composto conzalemmi ‘chi restaura
i vasi di creta rotti’47.
In alcune parole dei gruppi 2.-5 si riscontrano oscillazioni di scelta flessi-
va da parte degli informatori.
I seguenti lessemi hanno spiccato polimorfismo di flessione del Plurale,
ed -a è tendenzialmente flessione minoritaria. Il polimorfismo sembra dovu-
to a ragioni diverse: cruoccu ‘gancio, uncino’, cuozzu ‘nuca; sommità di una
forma di pane’; cuoppu ‘recipiente di carta avvolta a forma di cono’; furnu
‘forno’; gruppu ‘nodo’; lemmu ‘catino, vaso di terracotta smaltata’; scifu ‘tro-
golo; bacinella con vari usi; scodella di terracotta’. Per quanto riguarda il po-
limorfismo -i / -a di questi lessemi, si tratta forse di una avanzata della fles-
sione -a relativamente recente, in cui possono aver giocato un ruolo fattori
di natura semantica, come l’indicazione di una quantità non numerabile.
Il polimorfismo -i / -a va tenuto distinto da quello per cui entrano in
gioco le varianti flessive -ira, -ura, che potrebbero risalire a strati cronologici
diversi. In alcuni casi potrebbe trattarsi di una continuazione di uno dei te-
mi della base etimologica, come nel caso del possibile rapporto di piettira e
pectora. In altri si tratta di ristrutturazioni di varia epoca. Ad esempio, la
maggiore frequenza di scelte dei pl. -ira / -ura con l(i)ettu potrebbe giustifi-
carsi con l’esistenza di una variante lectus, -us (non è raro che in latino tar-
do i nomi di IV declinazione abbiano seguito lo schema pl. in -ora)48. Che
tali flessioni si ritrovino associate ai lessemi suonnu e tiettu è anch’esso un da-
to congruente con una facies tardo-latina, come induce a pensare la diffusio-
ne di forme pl. del tipo -ora con questi due lessemi in altre aree della peni-
sola (tipi s(u)onnora, s(u)onnira e t(i)ettora, t(i)ettira: si veda v. AIS 1, 100
‘la tempia’; GDLI 20, 1020a, s.v. tetto). Per il lessema furnu il tipo flessivo in
esame è indicato dagli informatori come la variante preferibile e in tre come
variante di seconda scelta. È un dato che si presta ad interpretazioni diverse:
considerato isolatamente potrebbe essere la spia di un residuo di una situa-
zione più antica, o al contrario indizio di uno sviluppo piuttosto recente. In
47 L’etimologia di questo lessema pone alcune difficoltà (si veda VSES 1, 518).
48 Sciatura da flatus, -us ha ottenuto una risposta con la forma flessiva -ura.
Processi di pluralizzazione in siciliano 159
49 Lo stesso risultato è emerso nella ricerca di Retaro (2013: 210): «Dal punto di vista so-
ciolinguistico, alcuni lessemi in -ora sono accompagnati da giudizi espliciti relativi alla loro ar-
caicità o uscita dall’uso. Tuttavia si assiste poi ad un comportamento del tutto opposto, poiché,
soprattutto nelle fasi di parlato spontaneo, le forme dipendenti da -ora sono molto frequenti, al
punto che in alcuni parlanti esse coinvolgono, come già riferito, anche italianismi di recente for-
mazione».
160 Rosanna Sornicola
Il tipo XRCV ha ottenuto risposte in cui tre parlanti hanno indicato co-
me scelta primaria la flessione -a, in rapporto a più lessemi (Tab. 5). In par-
ticolare, tre parlanti convergono su tale flessione per il lessema furnu, che
tuttavia ammette, a loro avviso, polimorfismo con -ira e con -i. G è l’intervi-
stata con il maggior numero di risposte a favore di -a. nel complesso, questo
tipo di struttura di parola fonologica ha mostrato una maggiore frammenta-
zione delle risposte e un maggior numero di incertezze (le informatrici E e F
e in misura minore gli informatori C e H, non sono stati in grado di rispon-
dere in merito al plurale di numerosi lessemi). Si potrebbe ipotizzare che la
sequenza di sillaba chiusa seguita da sillaba aperta (sillaba pesante + sillaba
leggera) provochi una qualche propensione alla flessione -i o -ira, e comun-
que una certa indecisione o confusione nella scelta di morfologia flessiva.
Per il tipo lessicale susciu, unico esponente nel campione del questiona-
rio per la struttura fonologica XV∫:V, le risposte hanno dato l’uscita -i in
netta preponderanza, benché affiori anche la presenza di -a come variante
del tutto minoritaria (Tab. 13):
fonologica, con geminata /k:/, /t:s/, /ʃ:/, /t:ʃ / (rinvio ancora alle Tabb. 11-14).
anche in parole precedentemente osservate aventi la medesima configurazione
di correlazione tra tipo di struttura della prima sillaba (σ1) e scelta flessiva.
I risultati ottenuti per questo gruppo di nomi mostrano un certo grado
Benché il numero di lessemi con sillaba tonica aperta sia piuttosto esiguo ri-
spetto a quello dei lessemi con sillaba tonica chiusa, il confronto delle per-
centuali qui sotto riportate può dare una idea della rilevanza della struttura
della sillaba tonica come fattore che influenza la scelta del morfo del Plurale:
Lessemi con sillaba tonica aperta = 7
Risposte attese = 56
Risposte ottenute = 42 -i = 58 % second. = 4
-a = 33 % second. = 3
-ira / -ura = 2 % second. = 3
Lessemi con sillaba tonica chiusa = 45
Risposte attese = 360
Risposte ottenute = 260 -i = 83 % second. = 11
-a = 11 % second. = 22
-ira / -ura = 6 % second. = 19
Processi di pluralizzazione in siciliano 167
V (σ1) = /a /
Fr lessicale = 17 Forma flessiva = -a Fr ff = 154
Fr lessicale = 17 Forma flessiva = -ira Fr ff = 1
Risposte attese = 136
Risposte ottenute = 91
-i = 97,82 % -a = 1,09% -ira = 1,09%
V (σ1) = /e /
V (σ1) = /e /
Fr lessicale = 2 Forma flessiva = -i Fr ff = 11
V (σ1) = /e /
Fr lessicale = 2 Forma flessiva = -ira Fr ff = 1
Fr lessicale = 2 Forma flessiva = -a Fr ff = 058
Risposte attese = 16
Risposte ottenute = 12
-i = 91, 66% -a = 0 -ira / -ura = 8,33%
52 Lo scarto tra frequenze attese e frequenze ottenute è ovviamente dovuto alle risposte che
gli informatori non hanno saputo o potuto dare. Con “Fr” si denota la frequenza, con “Fr ff ” la
frequenza della forma flessiva.
53 Si noti che 87 casi sono dati come unica opzione, in due come prima opzione rispetto
ad -a.
54 In due casi -a è indicata come forma flessiva di seconda scelta.
55 In 27 casi si tratta dell’unica forma indicata, in sei della forma preferita rispetto ad -a,
-ura / -ira.
56 In cinque casi queste forme sono date come varianti secondarie.
57 In quattro casi la forma è variante secondaria.
58 In due casi -a è variante secondaria.
168 Rosanna Sornicola
V (σ1) = /o / Fr lessicale = 1
V (σ1) = /o / Fr lessicale = 1
Forma flessiva = -i Fr ff = 5
V (σ1) = /o / Fr lessicale = 1
Forma flessiva = -a Fr ff = 0
Forma flessiva = -ira / -ura Fr ff = 062
Risposte attese = 8
Risposte ottenute = 5
-i = 100% -a = 0 -ira / -ura = 0
V (σ1) = /u / Fr lessicale = 12
V (σ1) = /u / Fr lessicale = 12
Forma flessiva = -i Fr ff = 4663
V (σ1) = /u / Fr lessicale = 12
Forma flessiva = -a Fr ff = 2164
Forma flessiva = -ira / -ura Fr ff = 365
Risposte attese = 96
Risposte ottenute 70
-i = 65,71% -a = 30% -ira / -ura = 4,28%
forma secondaria.
64 In 14 casi -a è data come forma assoluta, in sette è forma primaria rispetto a -i, -ira /
quando la vocale della prima sillaba è alta (/i /, /u /) la frequenza della flessio-
ne -a aumenta in maniera significativa. Il “peso” del timbro vocalico è perciò
un altro fattore rilevante nella selezione del morfo del Plurale. Incide in mi-
nore misura la presenza di un dittongo nella prima sillaba (/ie /, /uo/) nella
selezione di -ira / -ura, forme che allungano la parola, convertendo il bisilla-
bo in trisillabo.
iornu si ardi plui di dui cantara di ogliu»; 1607, «da circa cantara otto di li-
gna», Elefante 40) e il pl. cantari come forma minoritaria67. Oscillazioni di
forma del Plurale nei testi antichi si hanno anche per cannolu ‘internodio
della canna; oggetti simili all’internodio’ (cannoli e cannola: VSES 1, 180),
per catusu ‘recipiente della noria; tubo di terracotta o piombo per condurre
acqua’ (< ar. qādūs ‘idem’) (catusi e catusia: VSES 1, 229; cfr. il maltese katu-
sa pl. ‘idem’, rilevato da Aquilina 630), cufinu ‘cesta di vimini e listelli di
canna’ (< cŏphĭnus ‘idem’, grecismo entrato in latino) (cufini e cufina;
VSES 1, 335-336). Analogamente linzolu ‘lenzuolo’ e pirtusu ‘buco’ sono ti-
pi ad ampia diffusione italoromanza, che presentano oscillazioni di forma pl.
-i / -a in varia epoca ed area (per ‘lenzuolo’ si veda AIS 8, 1531, da cui risul-
ta che il pl. in -i è nettamente prevalente nei dialetti settentrionali, mentre il
pl. in -a prevale in area toscana e in maniera assoluta nel Meridione). non è
facile stabilire se la forma in -a di linzolu sia dovuta alla conservazione della
forma di pl. della base lat. lintĕŏlum o se si tratti di un processo flessivo in-
dipendente, determinatosi in uno strato già romanzo.
Per tabbutu ‘cassa da morto, bara’ (< arabo tābūt ‘idem’) il Plurale in -i
potrebbe essere il più antico, come farebbe pensare il fatto che esso è pre-
sente in documenti dell’inizio del XVII sec. (1625, Palermo, tavuti, Archi-
latino in epoca antica (gr. *τράπητον ‘idem’, lat. trapētum, Alessio 1947:
vio Storico Siciliano 30, 1905, 230). Trappitu ‘frantoio’, grecismo entrato in
67 nel Corpus ARTESIA su 177 occorrenze del lessema si hanno 174 forme in -a e solo tre
in -i.
Processi di pluralizzazione in siciliano 171
κατώγειον.
68 Per la prima parte della parola l’oscillazione imb-, forma stigmatizzata, in luogo della for-
ma corretta umb- è attestata dall’Appendix Probi: si veda REW 9045; DEI 4, 2646; DELIN
1070; Caldarini Molinari 1970: 163). La forma it. aferetica bellico è già presente in Ristoro
d’Arezzo (DELIN 1070).
70 Κατώγαιος è glossato come ‘οἴκημα’, κατώγειος come ‘τόπος’ (Liddell / Scott 931). Per i
69 L’informatore B non conosce la parola.
numerosi continuatori del sostantivo neutro κατώγειον nelle parlate neogreche e romanze del
Meridione si veda LGII 227; De Bartholomaeis 1901: 337.
172 Rosanna Sornicola
nestro, cestello intrecciato di giunchi, per frutta, pane, fiori’, di Genere neu-
71 Per la documentazione delle forme anella, coltella, rinvio al Corpus TLIO, e inoltre a
tro, pl. canistra, ma pl. canistri, Pall. nov. 17, 1); cannarozzo ‘canna della
gola; esofago’, formazione a partire dal lat. canna, panitaliana (VSES 1,
174-177; LEI 10, 1100-1103). Per le forme del pl. in -a si veda AIS 1033, al
punto cal. 762 e ai punti sic. 803, 821, 826, 836, 873, 896, in cui si osser-
vano forme pl. con valore di Singolare (sono da segnalare anche il punto cal.
765 con la forma pl. -i e il punto 771 con la forma -e).
La stessa spiccata preferenza per l’uscita -i si riscontra per altre parole tri-
sillabiche parossitone in cui la penultima sillaba è chiusa dall’onset di una
geminata, con diverse caratteristiche della consonante doppia (Tab. 20). Si
possono riconoscere alcune tendenze relative alla provenienza geografica de-
gli informatori. I parlanti della Sicilia occidentale hanno tendenzialmente
una maggiore ricorrenza di scelte -a, come variante unica o secondaria, ri-
spetto a quelli del messinese. D’altra parte, i lessemi cutieddu, rastieddu han-
no ottenuto risposte -a trasversali alla suddivisione areale.
Una parola come cannistru (Tab. 21) ha una diversa struttura fonologica
rispetto ai lessemi dei gruppi precedenti, in virtù della seconda sillaba chiusa
da /s/ e della terza sillaba costituita da una sequenza di Consonante occlusi-
va + /r/ + Vocale. Come si può vedere, le risposte sono state fortemente po-
larizzate tra le due flessioni -i e -a. Si osservi tuttavia che esiste una asimme-
tria tra di esse: -i è stata elicitata tre volte come variante primaria, una come
variante secondaria, mentre -a tre volte come variante secondaria, una come
variante unica. Da rilevare anche l’incertezza di tre informatori, che non
danno alcuna risposta, un segno, di nuovo, della non compiuta morfologiz-
zazione delle forme del Plurale in siciliano.
Processi di pluralizzazione in siciliano 175
9. I proparossitoni
notiamo preliminarmente che, come per il gruppo dei parossitoni, sono
riunite in questo gruppo parole eterogenee dal punto di vista della loro storia:
1. Grecismi di mediazione latina o meno, sulla forma delle cui basi non
sempre possiamo avere certezze e che comunque, come altri grecismi e latini-
smi, potrebbero aver subìto sensibili perturbazioni di Genere in epoca tarda:
re fresca l’acqua’ (< lat. *bombyla ‘idem’, da un gr. βομβύλη ‘oil flask; casket for
bummulu ‘vaso di creta di forma panciuta e a collo lungo e stretto, per conserva-
unguents’)74, caccamu ‘albero da frutto, Celtis australis’ (< gr. bizant. κάκκαβος
bere’, dal gr. κάνϑαρος ‘idem’)76, (i)ammaru ‘gambero’ (< lat. gammărus,
‘nome di un albero’)75, cantaru ‘vaso da notte’ (< lat. canthărus ‘coppa per
73 Mancano le risposte di B a cui non è stato possibile somministrare questo gruppo di do-
mande.
74 Si veda VSES 1, 129-130; LGII 89.
75 Si veda VSES 1, 153-154; LGII 196.
76 Si veda VSES 1, 182-186; LGII 208.
77 Si veda DEI 3, 1757.
Processi di pluralizzazione in siciliano 177
perfici)’ (< ar. ṯumm ‘l’ottava parte’)80 e forse zaccanu ‘recinto per animali;
3. Arabismi, come tumminu (tummulu) ‘misura (di grano, legumi; di su-
78 AIS 1384 ‘i ceci’ presenta ciciri come il pl. diffuso quasi ovunque in Sicilia, ma al P. 838
registra insieme a questa forma a cicera, un sg. con valore di quantità multipla non numerabile,
che trova riscontro anche in Calabria al P. 752.
79 Si veda Alessio (1947:210); VSES 2, 1092.
80 Si veda VSES 2, 1119-1120.
81 Si veda VSES 2, 1198-1199.
82 Si veda VSES 2, 875-876.
83 Su questa voce rinvio a Sornicola (in c.s. [1]) e bibliografia ivi citata.
84 REW 8885; Alessio (1947: 210).
178 Rosanna Sornicola
10. La struttura metrica delle parole e i suoi effetti sulla selezione del morfo del
Plurale
gamma di flessioni che ammette -a o -i. Per alcuni lessemi sono possibili en-
trambe le flessioni (catu, culu, scifu), mentre per altri solo, o preponderante-
mente, -a (filu, mulu, pilu, pusu), e per altri ancora solo -i, o eccezionalmen-
te -ira (sciatu, fietu)86 (Fig. 6):
σ1 σ2
O R O R
n n
C(C) V C V
85 In questa sede non entro nel merito della questione teorica di come si debba rappresen-
tare l’unità metrica del piede, se con una rappresentazione bisillabica o trisillabica. Adotto qui
una rappresentazione semplificata.
86 Come si è visto, tr(u)onu ammette come pl. sia -a che -ira (si veda Tab. 1a).
180 Rosanna Sornicola
σ1 σ2
O R O R
n Co n
C(C) V C C V
O R O R
n Co n
C(C) V C: V
ché la questione meriti ulteriori ricerche) che l’altezza della vocale è tenden-
zialmente correlata al peso prosodico di questa, in maniera che le vocali più
basse sono più pesanti di quelle alte87. nelle lingue in cui la quantità vocali-
ca non è fonologica questa tendenza universale trova articolazione secondo
una gerarchia di peso del nucleo sillabico, gerarchia alla cui estremità supe-
riore ci sono le vocali basse (più pesanti) e alla cui estremità inferiore ci sono
le vocali centrali (più leggere). Le vocali alte occupano la penultima posizio-
ne di rango inferiore88. Come ha osservato Gordon (2006: 128), “[this] pho-
nological hierarchy … may be regarded as a hierarchy of duration, since lo-
wer vowels characteristically are longer than higher vowels”. Queste caratte-
ristiche potrebbero aiutarci a comprendere perché nei bisillabi in presenza di
una sillaba iniziale pesante si tenda ad evitare un segmento fonologico finale
pesante, come / a /. In altri termini, il peso di qualità vocalica del segmento
fonologico finale sarebbe in rapporto alle caratteristiche di peso strutturale
complessivo della sillaba iniziale. Il modello che si può ricavare è che, a livello
σ1 σ2 σ3
O R O R O R
n Co n
C(C) V C C V C V
Figura 9.
87 Si veda Kenstowicz (1997), Gordon (2006: 90-95, 123-128, 154-158), Gordon (2016:
184).
88 Si veda Gordon (2006: 90-95), Gordon (2016: 184).
182 Rosanna Sornicola
σ1 σ2 σ3
O R O R O R
n n n
C(C) V C V C V
Plurale -i V(σ3) = -i
Figura 10.
89 Per una prima discussione di questi fenomeni di morfologia prosodica rinvio a Sornicola
(2006: 405-407). Intendo ritornare altrove su questo problema in maniera più dettagliata e si-
stematica.
90 Che il fenomeno riguardi specialmente i bisillabi è stato segnalato anche da Tuttle (1990:
97) e da Retaro (2013: 210) nella sua ricerca sulla formazione del Plurale nelle varietà della Sicilia
centrale. Al riguardo Retaro (2013: 210) osserva: «Dal punto di vista prosodico, si è evidenziata
una preferenza per le basi bisillabiche ad acquisire il morfo -ora (…), ma non mancano nelle in-
terviste forme in -ora in lessemi che al singolare hanno struttura trisillabica». Interessante è anche
la sua osservazione che l’alternanza -a/-ora sia correlata all’alternanza − metafonia/+ metafonia.
Processi di pluralizzazione in siciliano 183
O R O R O R
n n n
C(C) V C V C V
Plurale -a V(σ3) = -a
Figura 11a.
σ1 σ2 σ3
O R O R O R
n Co n n
C V C C V C V
Plurale -a V(σ3) = -a
Figura 11b.
O R O R O R
n n Co n
C V C V C: V
Plurale -i V(σ3) = -i
Figura 12a.
σ1 σ2 σ3
O R O R O R
n n Co n
(C)(C)C V C V C: V
Figura 12b.
Processi di pluralizzazione in siciliano 185
σ1 σ2 σ3
R O R O R
n n Co n
V C V C: V
Figura 12c.
σ1 σ2 σ3
O R O R O R
n Co n Co n
C V C: V C V
Plurale -i V(σ3) = -i
Figura 13.
evidenza che, quale che sia il peso della sillaba pretonica σ1, esiste un rappor-
Le rappresentazioni delle Figg. 11a, 11b, 12a, 12b, 12c e 13 mettono in
to tra peso della sillaba portatrice dell’accento (la seconda) e selezione del
morfo del Plurale. In particolare, se la sillaba portatrice di accento è aperta (e
quindi leggera), la vocale della sillaba finale tende ad essere -a in maniera as-
prietà fonologiche della forma flessiva. Una sequenza di sillaba tonica che (a)
occupa la penultima casella sillabica, (b) è preceduta da due sillabe, di cui la
prima ha accento secondario, (c) è seguita da una sillaba finale che contiene
una vocale pesante -a come forma flessiva, potrebbe avere un equilibrio pro-
sodico che una struttura metrica trisillabica non ha.
dattilica –́ ∪∪. Essi sono riconducibili a tre gruppi rispetto alla struttura fo-
I trisillabi proparossitoni sono rappresentabili con una struttura metrica
nologica:
7. C(C)V + CV + CV (nòlitu, líninu);
8a. C(C)VC + CV + CV (tríspitu, nfànfaru);
8b. medesima struttura di 8a, ma con la consonante della coda della pri-
ma sillaba che è l’onset di una geminata la cui fase finale è l’onset della se-
conda sillaba (scàccanu, zàccanu).
La rappresentazione del gruppo 7. è data in Fig. 14:
σ1 σ2 σ3
O R O R O R
n n n
C(C) V C V C V
Plurale -i V(σ3) = -i
Figura 14.
O R O R O R
n Co n n
C(C) V C C V C V
Plurale -i V(σ3) = -i
Figura 15a.
Processi di pluralizzazione in siciliano 187
O R O R O R
n Co n n
C(C) V C: V C V
Plurale -i V(σ3) = -i
Figura 15b.
siva possono appartenere lessemi con diverso valore di Genere e, per conver-
so, un medesimo Genere può essere associato a classi flessive diverse 91. Inol-
tre, come è stato sostenuto da Aronoff (1994: 71), mentre le classi flessive
«neither mediate between morphology and another linguistic level nor have
any sustantial properties characteristic of another», e quindi fanno parte di
quel livello di morfologia autonoma che egli definisce “morphology by it-
self ”, i Generi sono delle “proprietà morfosintattiche”, che giocano un ruolo
per certi versi indiretto in morfologia, quello di attivare le regole morfosin-
tattiche che assegnano la classe flessiva a nomi e aggettivi (Aronoff 1994:
71). Sorgono qui alcune questioni interessanti ma spinose di teoria morfolo-
gica, la cui ricaduta sulla casistica del siciliano di cui ci siamo occupati solle-
va più problemi di quanti ne risolva. La prima riguarda la definizione di
“classe flessiva” come «a paradigm of pairs of particular morphosyntactic
property arrays and particular realizations» (Aronoff 1994: 79-80). Questa
definizione implica un punto importante: affinché ci sia una classe flessiva la
distribuzione degli affissi nella lingua deve essere paradigmatica (ciò è affer-
mato esplicitamente da Aronoff 1994: 78, a proposito della casistica del-
l’ebraico moderno, che non soddisfa questa condizione). Se interpreto bene
la concezione dello studioso statunitense, dunque, affinché si possa contem-
plare una classe flessiva deve esserci una corrispondenza regolare di realizza-
zioni flessive (gli affissi) definita su un insieme di lessemi 92.
Per quanto riguarda il Genere, è comunemente accettata la definizione
di questa categoria in base alle proprietà sintattiche di concordanza di un
controllore, il nome, e di una unità target, l’aggettivo (si veda Corbett 1991:
145-188). Questa definizione, per molti versi tradizionale, non è esente da
difficoltà di natura teorica. La questione richiederebbe un esame più ampio e
dettagliato di quanto qui mi sia consentito 93. In questa sede mi limito ad os-
servare che, anche se esistono sue rilevanti manifestazioni sintattiche come la
concordanza, tipologicamente determinate, il Genere è una proprietà intrin-
seca del controllore. Il fatto che esso sia difficilmente prevedibile o riconosci-
bile in assenza di queste manifestazioni non deve far dimenticare che la sua
natura più profonda risiede in un complesso intreccio di caratteristiche se-
mantiche e fonologiche inerenti al nome, e che il rapporto con caratteristi-
che morfologiche come la classe flessiva e sintattiche come la concordanza è
solo una correlazione (manifestazione) secondaria che riguarda il livello della
realizzazione.
91 Si veda Aronoff (1994: 63, 105, 121). Cfr. il punto di vista in parte diverso di Corbett
sità di studi del Genere che tengano conto delle dinamiche diacroniche, riconoscendo che la
comprensione di queste permette anche una migliore intelligenza delle proprietà non sempre
chiare di individuazione della categoria in situazioni sincroniche. Un richiamo alla rilevanza di
considerazioni diacroniche si trova anche in Acquaviva (2003: 159).
192 Rosanna Sornicola
Plurale
-i (per tutte le classi di Genere Maschile e Femminile del controllore e per tutte le classi di
target aggettivale).
97 Si vedano, oltre ai classici articoli di Meillet (1921), (1958), le discussioni di Acquaviva
der” in casi in cui i lessemi con un determinato comportamento morfologico non siano un nu-
mero del tutto esiguo.
194 Rosanna Sornicola
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Processi di pluralizzazione in siciliano 197
Riassunto / Abstract
Questo lavoro esamina in prospettiva sincronica e diacronica la morfologia del
Plurale di alcune classi di nomi del siciliano: (1) i nomi che al sing. hanno la forma
flessiva -u e al pl. -a o -i e talora -ira (-ura), e (2) i nomi con varia suffissazione
(-àru, -túri, -úni), che presentano con elevata regolarità il pl. in -a. Gli schemi mor-
fologici sono analizzati tenendo conto delle proprietà di Animatezza dei nomi. Due
problemi di natura teorica sono posti in via preliminare: la determinazione delle
classi flessive e la struttura della categoria di Genere in siciliano. Dopo un riesame
critico di alcune spiegazioni avanzate sugli schemi di pluralizzazione, caratterizzati
da spiccato polimorfismo e apparente irregolarità, si presentano i risultati di una in-
chiesta condotta su otto informatori di diversa area, che ha avuto lo scopo di elicita-
re le forme del plurale di una lista di lessemi che appartengono alle classi flessive
considerate. In base ai dati ottenuti emerge che nelle varietà del siciliano moderno
esistono processi flessivi piuttosto regolari che differenziano i lessemi a struttura bi-
sillabica da quelli a struttura tri- e tetrasillabica e, all’interno di questo gruppo, i les-
semi parossitoni rispetto ai proparossitoni. Una delle tesi centrali qui sviluppate è
che alcune proprietà prosodiche giocano un ruolo rilevante nella selezione dei morfi
del Plurale. nella sincronia odierna, tali proprietà si possono rappresentare attraver-
so stampi di morfologia prosodica, cioè coppie di proprietà fonologico-prosodiche e
di flessione di numero, che caratterizzano i processi di pluralizzazione. Le risposte
ottenute per i lessemi esaminati sono state confrontate con i dati disponibili per i
medesimi lessemi in siciliano antico: Ciò permette: a) di individuare gruppi di les-
200 Rosanna Sornicola
This paper deals with the morphology of the plurals of some Sicilian noun
classes in both a synchronic and a diachronic perspective: (1) the nouns with the
ending -u in the singular and the endings -a / -i / -ira (-ura) in the plural; (2) the
nouns with various suffixes (-àru, -túri, -úni), which almost regularly show the end-
ing -a in the plural. These morphological patterns are considered also taking into
account the Animacy features of the nouns. Two theoretical problems are prelimi-
narily posed, i.e. the partition of the inflectional classes and the structure of the cat-
egory of Gender in Sicilian. After a critical survey of some explanations of the pat-
terns of plurals that are highly polymorphic and apparently irregular, the results of
an investigation based on interviews to eight native speakers from various areas are
presented. The interviews were structured asking the speakers to supply the forms
of the plural of a list of words representing the noun classes mentioned above. The
results are the following: 1) in modern varieties of Sicilian there are rather regular
inflectional processes that differentiate bysillabic from tri- and tetrasyllabic words;
2) tri- and tetrasyllabic words behave in different ways according to their property
of being paroxyton or proparoxyton; 3) some prosodic properties are highly rele-
vant to the selection of the morphs of plural; for the synchronic state of contempo-
rary Sicilian they can be represented by means of morphologic-prosodic templates,
i.e. pairs of a) phonologic-prosodic properties, and b) inflectional features of num-
ber. These pairs characterise the formation of plurals.
The data obtained from the informants have been compared with the data
available for Old Sicilian. This comparison brings to light the following results: a)
there are groups of words with different developments in diachrony; b) the out-
standing spreading of one of the inflectional morphs of plural, i.e. -a, is a phenom-
enon that presumably took place after the XIV-XV centuries; c) the prosodic fea-
tures of the words are likely to have been crucial to its spreading.
Finally, some considerations are put forward that concern the partition of the
inflectional classes of Sicilian, for which a taxonomy is proposed. A discussion on
Gender in Sicilian is presented, for which the notion of “Latent neuter” is pro-
posed.
“TIRARE AL SELVATICO”: MODALITÀ.
UnA VOCE DEL VOCABOLARIO-ATLANTE
DELLE PRATICHE VENATORIE SICILIANE *
0. Introduzione
* Ringrazio Mario Pagano e Giovanni Ruffino per i preziosi suggerimenti dispensati nel
corso della stesura di questo articolo.
202 Roberto Sottile
presente anche in altri punti o che sia pansiciliana. La localizzazione si riferisce esclusivamente al
fatto che, nel punto indicato, una certa voce o una certa variante è stata raccolta nel corso delle
inchieste sulla caccia.
204 Roberto Sottile
Seguono gli etnotesti in corpo minore e in corsivo, con il costante richiamo alla
località di riferimento. Si tratta sempre di testi tratti dalle conversazioni libere regi-
strate nel corso dei rilevamenti. Tra parentesi quadra, viene data la traduzione lette-
rale nei casi ritenuti necessari. Talvolta si opta per traduzioni parziali, inserite nel
contesto o in nota.
Gli etnotesti sono seguiti dal commento (preceduto dal simbolo •), che si svi-
luppa più o meno ampiamente, puntando a evidenziare sia le questioni storico-lin-
guistiche ed etimologiche 6, sia la dimensione etnografica e areale.
In ultimo le note, riferite alle tre sezioni dell’articolo, che si conclude con gli
eventuali rinvii (→).
b. Grafia
Si adotta una grafia semplificata e in larga misura provvisoria, che si ispira – an-
che se ancora non interamente – ai modelli proposti da Matranga 2007.
c. Carte 7
6 nel commento, gli aspetti storico-etimologici sono specialmente trattati per le voci costi-
1.1. Quanto alla prima categoria, come si nota nello schema e come
già accennato, le due sottoclassi riferite alle specifiche modalità di tiro al
selvatico possono essere distinte in base ai seguenti criteri: a) rapporto con
la mira; b) rapporto con il tempo che ‘si coglie’ o ‘si perde’ nel tirare alla
preda.
Le locuzioni connesse con l’azione di tirare in rapporto alla mira si riferi-
scono anzitutto alle espressioni dialettali che esprimono, appunto, il ‘concet-
to’ di ‘tirare prendendo la mira /dopo avere seguito col fucile la preda nel
mirino’ (cfr. elenco, sub 1.a, in Quadro sinottico, alla fine di questo paragra-
fo): s. a ccanniari (con il verbo canniari ‘prendere la mira’, denominale di
canna ‘canna del fucile’); s. ârringari (con il verbo arringari ‘prendere la mi-
ra’); s. di puntata (basata su sic. punta/puntu ‘mirino del fucile’)9. In questa
serie rientra anche la forma s. dâ testa (a Gela, Cl) ‘premere il grilletto mi-
linguaggio venatorio, come, per es. pigghiari u mussu e ṭṛuvari u mussu (an-
rando alla testa del selvatico’, che appare ricollegabile ad altre espressioni del
sideri anche il caso della forma s. a ṣṭṛaccu (Messina), basata su una delle pa-
role dialettali per ‘stormo’ e che compare (per due punti orientali, uno del
messinese, uno del catanese) anche nella serie di locuzioni riferite, appunto,
all’azione di tirare allo stormo (cfr. elenco, sub 7.a). Senonché, mentre in
quest’ultimo caso la locuzione assume un valore ‘letterale’, nell’esempio qui
considerato essa presenta un senso figurato corrispondendo, grosso modo, a
it. sparare nel mucchio.
1.2. L’azione di tirare al selvatico può anche essere distinta a seconda che
il colpo, rispetto alla fuga della preda, sia o no esploso al momento propizio.
nel primo caso (cfr. elenco, sub 2.a, in Quadro sinottico) si registrano due lo-
cuzioni: s. a ccorpu sicuru 29 (che appare semanticamente assai trasparente) e
terosso Almo.
27 Raccolta a Cammarata, Ag.
28 Registrata a Mazara, Tp, e Sciacca, Ag.
29 Registrata a San Giuseppe Jato, Pa.
“Tirare al selvatico”: modalità 209
1.4. Una cospicua serie di locuzioni rimanda alla posizione del cacciatore
sul terreno di caccia rispetto alla preda. Se egli è collocato più in alto (cfr.
elenco, sub 4.a, in Quadro sinottico), i modi di tirare sono descritti con una
serie di forme accomunate dalla presenza di un contenuto deittico, oppure
con una serie di forme a contenuto metaforico. nel primo caso abbiamo s. a
scìnnëri lett. ‘sparare a scendere’, s. supramesu ‘sparare da una posizione ele-
vata’; nel secondo caso si rileva invece una ricca serie di espressioni a motiva-
zione meccanica (molte della quali tratte dal lessico delle pratiche domesti-
che o lavorative): s. a llavaturi (Cammarata, Ag), con lavaturi che, valendo
‘pietra usata dalla lavandaia per lavarvi su’, rimanda all’idea del piano incli-
nato; s. âttuzzari (Termini Imerese, Pa), con il verbo che, valendo ‘squadrare
o sagomare la pietra col martello’, riconduce al movimento dello scalpellino
che batte dall’alto verso il basso; sparari a ppicu (Sciacca, Ag) che, riprenden-
do il nome del piccone, richiama il movimento del picconiere (a meno di
non ammettere che la forma a ppicu valga qui semplicemente ‘a picco, a per-
pendicolo’); s. âppizzari (area centro-occidentale), con il verbo che, valendo
‘piantare, infiggere, conficcare’, richiama ancora una volta un movimento
dall’alto verso il basso; sparari a cchiummu che riprende l’idea del filo a
tiro ancor più che alla posizione frontale del cacciatore rispetto alla preda. Si tratta di una condi-
36 Con le ulteriori forme s. di mbilata (Sommatino, Cl), s. di ḍḍṛittu filu (Cianciana, Ag), s.
zione molto interessante che sarà descritta poco più oltre.
di ḍḍṛettu felu (Villalba, Cl), s. di filu (Sciara, Pa e Àssoro, En), s. di felu / drittu filu (Alimena, Pa).
“Tirare al selvatico”: modalità 211
zione italiana sparare d’infilata. Si noti infine come alcune delle espressioni
quali s. rittu nculu sembrino fare riferimento anche alla traiettoria (rettilinea)
del tiro, analogamente a quanto è stato notato per una delle espressioni (s.
rittu) connesse alla posizione fontale del cacciatore rispetto alla preda (cfr.
nota 35 e 4.c. in Quadro sinottico).
che riconduce all’idea della mancata formazione della rosata a causa della di-
stanza ravvicinata del colpo esploso: i pallini non fanno in tempo ad allar-
garsi e giungono sulla preda in modo compatto. Altre locuzioni come s. a
lett. ‘dentro tiro’42, mentre per il tiro da lunga distanza – al limite dell’effica-
cia per colpire il selvatico – si registra la locuzione, abbastanza perspicua, s.
stiratu 43.
nano, appunto, le parole dialettali che valgono ‘stormo’: s. a ṣṭṛaccu (di area
(cfr. elenco, sub 7.a) e presentano soluzioni lessicali che in molti casi selezio-
la locuzione s. a ṣṭṛaccu).
sa e, quindi, compiuta a casaccio (cfr. 1.c, in Quadro sinottico, in particolare
Ma, sul terreno di caccia, il bersaglio del cacciatore non sempre o non
necessariamente corrisponde con una preda (cfr. elenco, sub 7.b); se, per
esempio, il cacciatore (inesperto) sbaglia mira e colpisce il suolo davanti al
selvatico, pur considerando che si tratta di un bersaglio involontario, esso
corrisponde comunque con uno specifico punto del terreno di caccia fun-
gente da ‘destinatario’ del colpo esploso. In questo caso, si registra la locu-
zione s. nzutta (Alimena, Pa) il cui contenuto deittico è riferito al suolo che
viene raggiunto dai pallini (in maniera del tutto involontaria). Altrimenti, il
cacciatore può direzionare volutamente il suo tiro verso uno specifico punto
del terreno di caccia (un masso,), se la sua azione è funzionale a verificare
l’efficacia delle cartucce. Per questa condizione si registra la locuzione s. â
merca (raccolta a Caltavuturo, Pa, ma versosimilmente panregionale), con la
voce merca che nel lessico venatorio vale ‘bersaglio di vario tipo contro cui il
cacciatore spara per collaudare le cartucce’46.
1.8. La seconda macrocategoria di locuzioni accorpa le forme riferite ai
modi di sparare in rapporto all’azione o alla posizione della preda rispetto al
terreno di caccia (e/o al cacciatore).
Alcune locuzioni sono anzitutto riferite al modo di tirare in rapporto
all’avvistamento della preda da parte del cacciatore. In questo caso si registra
una triplice serie di espressioni che descrivono i modi in cui il cacciatore spa-
ra a seconda che la preda appaia e scompaia sul terreno; si sottragga alla vi-
sta; sia bene in vista e quindi facilmente esposta al tiro.
Se il cacciatore preme il grilletto mentre la preda compare e scompare sul
terreno (cfr. elenco, sub 8.a), le locuzioni corrispondenti rendono conto del
(Bronte, Ct), s. nṭṛ’affàccia e ccoḍḍa (Sambuca, Ag) e sono rifatte sui verbi
fatto che il selvatico risulta visibile a intermittenza: s. a ccolla e nnon colla
de). Il verbo cuḍḍari ritorna anche tra le locuzioni che si riferiscono all’esplo-
chi impugna l’arma (o entra ed esce dalla macchia arbustiva che la nascon-
sione del colpo nel momento in cui la preda (anche un volatile) sta per sot-
a ppurtiḍḍu ‘sparare al varco’ (Àssoro, En), espressione che richiama una sor-
preda mentre passa su un terreno dal campo visivo particolarmente ampio, e s.
tale da consentire al cacciatore di verificare l’ampiezza e la compattezza della rosata e quindi l’ef-
ficacia della chiummata; Quest’ultima, in effetti, può dirsi efficace se il piombo appare stagnatu,
cioè ben spiaccicato sulla pietra. In questo caso si dirà che la cartuccia è ddusata, ‘dosata’, ovvero
è una cartuccia efficace, risultando da un rapporto equilibrato tra la dose di polvere da sparo e la
dose di piombo. Si tratta comunque di una pratica oggi in disuso, poiché ormai nessun cacciato-
re suole preparare da sé le cartucce.
47 L’espressione sembra panregionale.
48 Registrata a Misilmeri, Pa e Cianciana, Ag.
214 Roberto Sottile
gero movimento; sia accovacciata nel suo giaciglio (e ciò vale per il coniglio
o per la lepre); sia in corsa o in volo.
nel primo caso (cfr. elenco, sub 9.a, in Quadro sinottico) le espressioni
corrispondenti sono: s. a ffermu 49 (dal contenuto semantico ben trasparente);
s. â posta 50 – che si connette, però, al comportamento del cacciatore più che
a quello del selvatico; s. â spinzirata 51 che richiama la condizione d’animo
del cacciatore il quale, se la preda è immobile, spara con la certezza di man-
dare a segno il colpo.
Se il cacciatore spara al coniglio o alla lepre mentre riposano accovacciati
in un giaciglio (cfr. elenco, sub 9.b), la locuzione corrispondente è s. a
gghiazzu 52, rifatta su iazzu, nome dialettale, appunto, del giaciglio.
Infine, per le espressioni riferite al tiro mentre la preda è in movimento
(9.c), si registra l’espressione, ben trasparente, s. a la cursa.
preda (cfr. 1.8). Tuttavia, la specificità connessa al loro essere spazialmente riferite alla tana ha
indotto a classificarle separatamente.
54 Registrata ad Alimena.
55 Di area nisseno-agrigentina.
“Tirare al selvatico”: modalità 215
QUADRO SInOTTICO
locuzioni venatorie in rapporto alle azioni
o alla posizione del cacciatore o della preda sul terreno di caccia
A) Azione o posizione del cacciatore rispetto al terreno di caccia (e/o alla preda)
s. a ṣṭṛuzzu
s. a scoppu
s. di bbùottu
s. di sticcata
s. ntô menzu
[+ metaforica] s. a bbusunata s. a la mira
s. a ṣṭṛaccu
s. a ffoto lampu s. a lu scuru
s. a ṣṭṛàscinu
s. a ffricarusu
s. a llampiari
s. all’uivvina
s. a ppaventu
s. a rrunziḍḍuni
s. a ppruvulenu
s. a ṭṭṛùgghia
s. a ttannuni
[+ metaforica] s. a bbàźźica
s. mmalanza
216 Roberto Sottile
s. a ppunci puḍḍitru
s. a bbruçiapilu
s. a ppurtusu
s. a spicignàrisi
s. a ssegnacavaḍḍu
s. a ssagnavièstia
s. a ttimpulata
7. Tipo di bersaglio
7.a. stormo 7.b. punto del terreno
s. a ṣṭṛaccu
[- metaforica] s. a ffrotta s. nzutta
s. a ttoccu
s. ô sbardu
[+ metaforica] s. a bbròçia s. â merca
s. a ssiminari
s. ntô menzu
“Tirare al selvatico”: modalità 217
s. nṭṛ’affàccia e ccoḍḍa
s. mmacanti
[+ metaforica] s. a ppurtiḍḍu
2. Lessico
sparari (102 Paceco, 110 Marsala, 112 sutt., 414 S. Cat. V., 415 S. Cat., 417
Mazara, 121 Vita Tp; 204 Terras., Sommat.Ⓣ, 418 Riesi, 419 Mazzar.,
206 Partin., 209 Montel., 214 Monr., 421 Gela Cl; 502 Villar., 503 Calasc.,
219 Chiusa S., 223 Corl., 225 S. 504 Sperl., 507 Àssoro, 512 Troina,
Gius. J., 235 Misilm., 239 Cefalà D., 514 Centur., 519 Piazza A. En; 601
247 Vìcari, 248 Prizzi Ⓣ1, 250 Lerca- Messina, 602 Tusa, 604 Pettineo, 608
ra, 254 Termini I., 255 Sciara, 256 Mistretta, 637 Ucria, 638 Raccuja,
Cerda, 259 Àlia, 262 Caltav., 266 Là- 648 Montalb. E., 649 Rocc. V., 653
scari, 269 Isnello, 271 Castell. S., 273 Francav. S., 661 Barcell. Me; 703
Alim., 274 Bompietro, 276 Petr. Sott., Bronte, 707 Linguagl., 718 Adrano
277 Gangi, 278 Geraci, 279 Castelb. Ct; 802 Lentini, 806 Buscemi, 807
Pa; 305 Sambuca, 306 Sciacca, 313 Pal. Acr., 808 Càssaro, 811 Melilli Sr;
Bivona, 315 Aless. R., 316 Cianciana, 903 Vittoria, 909 Mòdica Rg) tr. tira-
rivolta al cacciatore maldestro: cerca superare i venti, trenta metri, dopo i quali la
di sparare dritto o il coniglio deve es- rosata comincia ad allargarsi].
sere [grande] quanto un autobus con i • Si connette alla voce → bbaḍḍiari con
fari accesi per poterlo prendere! ♦ spà- rif. alla rosata che non si espande per-
racci (262 Caltav. Pa) sparagli!, incita- ché il colpo è sparato a distanza ravvi-
mento a sparare, per il compagno di cinata: i pallini non fanno in tempo
caccia. ♦ spàracci un curpu! (419 Maz- ad allargarsi per formare la rosata,
zar. Cl) sparagli un colpo!
patto; bbaḍḍiari (con -i- iterativa) è
giungendo sulla preda in modo com-
Ⓣ3 (410 Vallel. Cl) […] di ṭṛavìarsu […] s. a bbàźźica (504 Sperl. En) sparare in
chi spara all’urvina un vidi chi spara […].
co fatto dall’aratro’ (cfr. VS, s.vv.) sot- pìgghia u pìgghia, se nô pìgghia si nni va! [Se
tintendendo che, mirando allo stormo è nel bosco gli devi sparare a bbusunata,
nel suo insieme, «i volatili colpiti ca- senza mirare. Se lo colpisce bene, altrimenti
se ne va!].
dano al suolo come semente» (Ruffino
1980: 451); semanticamente la locu- • La locuzione si riconduce a sic. bbusu-
zione corrisponde dunque a → s. a ssi- ni ‘bolzone: sorta di freccia con capoc-
minari documentata per Mazara (Tp). chia grossa’ (cfr. VS, s.v.) e si collega a
s. a bbucca di tana (259 Àlia, 278 Geraci sparare dopo avere seguito col fucile il
Ⓣ Pa; 316 Cianciana Ag; 418 Riesi selvatico per poterlo bene inquadrare
Cl) sparare al selvatico nell’istante in nel mirino.
Ⓣ (254 Termini I. Pa): Picchì, çetti voti, u
cunìgghiu si ṭṛova mmenz’ê cannizzoli / e al-
cui esce dalla tana.
Ⓣ (278 Geraci Pa) su cci spara propria ca un
niamu tantìcchia / pigghiamu ḍḍu àttimu di
lura u nnu viremu bbonu e, allura, nû can-
ci duna u timpu, ca cci spara avanti a tana,
dici “cci sparàiu a bbucca i tana, un cci detti tempu / e ppoi cci lassamu iri a scupittata! …
mancu u timpu ca s’arrassà”. [Se si spara Si cc’è, ggiustamenti, u tempu … va … cc’è u
(all’animale) senza neppure dargli il tempo spazio ri putiri … putiri … putiri vìriri u
(di scappare), se gli si spara davanti alla tana cunìgghiu e pputillu seguiri cu ll’occhi. Se,
si dice “gli ho sparato… non gli ho dato ccomu riçevu antura, u spàzziu un c’è, si spa-
nemmeno il tempo di fuggire”]. ra. [A volte, il coniglio si trova in mezzo alle
• Propr. ‘a bocca di tana’; corrisponde a canne / allora non riusciamo a vederlo bene
it. sparare allo schizzo (cfr. Farini / Asca- e, così, lo seguiamo un po’ con il mirino /
ri 1941: 227; Ruffino 1980: 452). prendiamo un po’ di tempo / e poi gli tiria-
mo la schioppettata! … in questo modo c’è
s. a bbùolu (262 Caltav. Pa), (408 Mon-
il tempo … c’è il modo di potere … potere
… potere vedere il coniglio e poterlo seguire
ted. Cl), s. a lu vulu (415 S. Cat. Cl), con gli occhi. Se, come dicevo prima, lo
s. a vvolo (327 Cammar. Ag), s. a vvo- spazio non c’è, si spara…].
lu (329 Castelt. Ag), s. a vvulu (414 S. • Va con → canniari ‘prendere la mira’,
Cat. V. Cl), s. a vvuolu (419 Mazzar. ‘accompagnare con la mira il volo o la
Cl) sparare a volo, di stoccata, nel- corsa della selvaggina’, ‘seguire con le
l’istante stesso in cui si mira. (→ but- canne del fucile i movimenti del selva-
tiari, curpiari, lampiari). tico guardando nel mirino’ (→ arrin-
• Lett. ‘a volo’, ‘al volo’. gari, canniari, signari). Denominale di
ccuḍḍari).
della Sicilia nord-orientale (cfr. s. a
mar. Ag; 411 Villalba, 418 Riesi Cl),
“Tirare al selvatico”: modalità 221
re’, ‘scomparire dall’orizzonte visivo, s. a ffoto lampu (206 Partin. Pa) sparare
sottrarsi alla vista per il fatto di allon- in maniera precipitosa.
tanarsi’ (cfr. VS, s.v.). Ai due verbi si • Propr. ‘in un flash’.
ṭṛacoḍḍu ‘tramonto’ e ṣṭṛacoḍḍu ‘ciò
connettono, a loro volta, i deverbali
s. a ffricarusu (327 Cammar. Ag) spara-
che si trova oltre la linea dell’orizzonte re senza avere un bersaglio fisso.
e che non può essere visto’ (cfr. VS,
• La locuzione si connette a sic. frica-
zioni ô traccoḍḍu (VS, s.v. traccoḍḍu)
s.vv.); in sic. esistono anche le locu-
cariḍḍusu e fricaloru, cfr. VS, s.vv.),
rusu ‘frettoloso, impulsivo’ (anche fri-
(206 Partin., 235 Misilm. Pa; 410 • Propr. ‘al (momento del) salto’, con rif.
Vallel., 417 Sommat. Cl) sparare con all’istante in cui il selvatico schizza fuo-
mira precipitosa. (→ nfruçiuniari). ri dal rifugio (cfr. Ruffino 1980: 453).
ssatu (219 Chiusa S. Pa), s. ô satu (273 s. a ncastiḍḍari (277 Gangi Pa) sparare
Alim. Pa) → s. a bbucca di tana. dal basso verso l’alto.
224 Roberto Sottile
→ s. a bbaḍḍa.
di tipo meccanico (cfr. supra, s. a pper-
s. a ssagnavièstia e s. a ssegnacavaḍḍu).
ciabbuffa e s. a pperciavisazza, e sotto,
Ⓣ1 (274 Bompietro Pa) A scuòppu cchi ssi- viva’, ‘fuscelli, stoppie’, ‘erbe di cui
gnìfica? A scuppu signì(fica) ca tu un è câ vidi viene ripulita l’aia prima della trebbia-
a salvaggina [non è che la vedi, la selvaggi- tura’ (cfr. VS, s.v.). Esiste anche fratti-
na], un è che non ài:: unn a u tièmpu di mi-
na (VS, s.v.) che, per alcune delle sue
cci stinnicchie i vrazza e ccafu(ḍḍi) “bbom!” si
ra(llu) [non hai tempo di prendere la mira],
accezioni, si configura come sinonimo
bbeni veni, s’um meni ne(nti) [stendi le brac- di fratta: ‘terreno impervio per la pre-
cia e spari “bbom!” se il colpo va a segno, be- senza di cespugli e rovi’, ‘sterpi cespu-
Ⓣ2 (278 Geraci Pa) Chiḍḍu è scùoppu, chiḍḍu
ne, altrimenti pazienza]. gli’ (con valore collettivo). VS docu-
menta anche frattiatina (denominale
che non cerca mira, quannu unu spara a
scùoppu è ca non l’arringa, un cci nni pìgghia
di fratta) e sfrattatina (deverbale di
mira, jè mùodu, un sistema, per ddire, uno sfrattari ‘disboscare, effettuare il taglio
scatto, è un dono di natura, mira u nni pìg- di un bosco’), ‘fruscio, rumore che fa
ghia, isa i razza, tam e cci spara. [Quello l’uomo o l’animale muovendosi tra le
(sparo) a … è quello senza una mira precisa, frasche’ nonché sfrattiatina e sfrattina-
quando qualcuno spara a … e non prende ta ‘lo stormire che fanno le piante al-
la mira, è un modo, un sistema, quasi un lorquando vi passa qualcuno: fruscio’,
dono di natura, non prende la mira, alza le
braccia, tam e gli spara].
‘rumore che fa il vento o checchessìa
Ⓣ3 (271 Castell. S. Pa) […] cci-â sparari a fra le frasche: frascheggio’. La loc. s. â
sfrattinata trova, dunque, la sua base
scupetta ê manu, a ccuorpu tâ mitti a spaḍḍa
scuppiari […] a scuppiari significa ca tu câ
ultima nella voce sic. fratta, con nu-
e spari […] a scuppiari ieni a cchi ll’a ê mani merosi corrispondenti in diversi dia-
TUM! [(alla preda) gli devi sparare a scup- letti, dal nord al sud d’Italia (cfr.
piari […] a scuppiari significa che tu con il DEI) e nell’italiano ( fratta ‘luogo sco-
fucile in mano, in un attimo te lo metti in
spalla (lo imbracci) e spari […] a scuppiari sceso e impervio ricoperto da una
significa che un secondo prima ce l’hai in macchia intricata di pruni e sterpi’).
mano (e un secondo dopo) TUM! (spari)]. L’etimologia è incerta: DELI la indi-
vidua in lat. frācta ‘rami rotti’ <
• La storia della voce scoppu – che nel frăngere, mentre DEI (s.v. fratta 1)
linguaggio venatorio vale propriamente propende per un incrocio tra greco
‘colpo, tiro di schioppo’ – è ricostruita phráctes ‘recinto, siepe’ (da phrásso
in VSES (s.v. scóppu) che la riconduce a ‘munisco, circondo per sicurezza’) e
«lat. stloppus ‘rumore prodotto tiran- lat. frācta.
do verso la gota un dito introdotto nel-
s. a sgualèrciu (811 Melilli Sr) sparare
la bocca’, da cui it. scoppio e altri» (ivi:
945). In Sicilia i suoi significati rilevan-
ti sono ‘serratura’ (e i suoi collegati), con traiettoria obliqua.
‘caduta’ e ‘apparizione improvvisa’ per
• Cfr. Ruffino (1980: 453) che ricon-
cui si confrontino alcuni dei valori di
duce la locuzione alla famiglia lessi-
scuppari quali ‘sopravvenire’ e ‘arrivare
cale di sic. sguèrciu ‘strabico’, «parola
all’improvviso’ (documentato rispetti-
di chiara origine it. sett.: crem. sguèrz,
vamente in del Bono e VS, s.v. scoppu).
chi non vede da un’occhio (Peri),
s. â sfrattinata (507 Àssoro En) → s. a la
mil. sguèrc ‘sghembo’ (Cherubini),
lig. zberču ‘storto’ (Plomteux), pis.
mira. ∫bilèrcio ‘di vista difettosa’ (Malago-
• VS documenta la voce fratta col valo- li); cfr. DEI, s. vv. bìrcio, gualèrcio,
re di ‘fratta, roveto’, ‘cespuglio’, ‘siepe guèrcio».
228 Roberto Sottile
bbaḍḍa.
gnavièstia), con il verbo sagnari ‘salas-
sare’ reinterpretato qui, probabilmen-
te, su signari / segnare ‘segnare’.
• Sic. spicignàrisi (VS, s.v.) vale ‘staccar-
s. a ssiminari (112 Mazara Tp) → s. a
si, allontanarsi’, ‘essere definitivamen-
te estirpata da un terreno, di erba in- bbròçia.
festante’; si aggiunge spicignari (VS,
s.v.) ‘nettare, liberare ad es. un campo • Lett. ‘sparare a seminare’; la locuzione
dalle erbe infestanti’, ‘scomparire, ad è in Ruffino (1980: 453).
(REW 8938 thorp; FEW 17, 399), te una connessione con l’it. truppello
partic. prov. (trop ‘gruppo di animali’, ‘drappello’, a. fr. e prov. tropel, DEI 5,
Rohlfs s.v. truoppu)». 2922». Ruffino (ibidem) cita anche il
rare verso il basso si deve calcolare, uno, do- ‘seggio, adunanza, assemblea’ (DEI, 5:
ve deve sparargli (al coniglio, al selvatico), 3808)». Cfr. anche le locuzioni (docu-
perché a volte si spara dietro (al coniglio) e mentate in VS, s.v. toccu) a ttoccu e ti-
si fa solamente un buco (nel terreno)! Si de-
ve calcolare di sparargli un poco più avanti rari a ttoccu ‘sparare nel mucchio’.
s. a ttiru curtu (209 Montel. Pa) → s. a no (1980: 454) – che richiama anche
bbaḍḍa. il verbo ntrugghiari ‘pasticciare, con-
fondere’ e il nome ntrugghieri ‘pastic-
• Propr. ‘a tiro corto’. cione, cofusionario’ – ne accosta l’eti-
s. a ttoccu (248 Prizzi Pa), a ttuoccu
mo a quello delle voci italiane introia-
re e intrugliare (cfr. DEI, s.vv.).
(802 Lentini, 807 Pal. Acr. Sr), ô
tuoccu (223 Corl. Pa) → s. a bbròçia. s. âttuzzari (254 Termini I. Ⓣ Pa) → s. a
• Va con siciliano toccu ‘branco di peco- cchiovu.
re; stormo di uccelli’, ma anche ‘mol- Ⓣ (254 Termini I. Pa) Si sparu ri ddà supra
titudine, folla’ la cui base è ricondot- nterra, sparu âttuzzari [se sparo dall’alto ver-
ta da Ruffino (1980: 454) «a gr. thôkos so il basso, sparo âttuzzari].
• Propr. ‘in faccia’, ‘di fronte’. La locu- • Italianismo: ‘di stoccata’; cfr. anche
zione è in Ruffino (1980: 452) che la Ruffino (1980).
s. di ncapu (262 Caltav. Pa) ‘tirare alto’, ria Rg), s. ri ṭṛaversu (254 Termini I.
mancando il selvatico. Pa), s. ô riviersu (602 Tusa Me) → s. a
sgualèrciu.
• Lett. ‘sparare da sopra’. (→ ncravac-
cari). • Italianismo: ‘di traverso’.
s. nzutta (273 Alim Pa) sparare con mira s. rinṭṛa tiru (110 Marsala Tp) ‘a tiro
sbagliata, e colpendo il suolo davanti utile’, ovvero a una distanza nella qua-
le il selvatico può essere colpito.
(235 Misilm. Pa) → s. a ncastiḍḍari.
al selvatico. (→ scapizzari); s. ri nzutta
• Lett. ‘dentro tiro’.
s. rittu (410 Vallel. Cl) → s. a nfila fecu.
• Propr. ‘al di sotto, dal di sotto’; cfr.
Ruffino (1980: 453).
• Propr. ‘sparare dritto’.
s. ô ravanzi (112 Mazara Tp) → s. a nfila
s. stiratu (277 Gangi Pa) sparare da lun-
fecu. ga distanza, al limite dell’efficacia del
• Lett. ‘sparare sul davanti’. La locuzio- tiro per colpire il selvatico.
ne è in Ruffino (1980: 453). • Cfr. Ruffino (1980: 453).
s. ô sbardu (409 Serrad. Cl) → s. a bbròçia. s. supramesu (411 Villalba Cl) sparare
• La locuzione è rifatta sul catalanismo da una posizione elevata rispetto al
esbart ‘stormo, di uccelli’, ‘stuolo’ (cfr. selvatico.
Michel 1986, s.v. sbàrdu). • Cfr. Ruffino (1980: 453).
3. Carte
Per la cartografazione della voce tirare al selvatico e delle locuzioni relati-
ve alle diverse modalità, cfr. la Carta geo-etnoliguistica interattiva dell’Atlante
Linguistico della Sicilia (ALS on line), consultabile e interrogabile al seguente
link: <https://www.als-online.gwi.uni-muenchen.de/carta/>.
Università di Palermo Roberto Sottile
Email: roberto.sottile@unipa.it
234 Roberto Sottile
BIBLIOGRAFIA
Riassunto / Abstract
Viene presentato un saggio di voce del Vocabolario-atlante delle pratiche venato-
rie siciliane, secondo il modello elaborato in seno all’Atlante Linguistico della Sicilia
(ALS ). Con una nuova messe di dati e tenendo conto del modello di voce elaborato
per il Vocabolario-atlante, in questo contributo, che vuole essere un ideale amplia-
mento della voce sparari pubblicata nel 1980 da Giovanni Ruffino in questo stesso
Bollettino, sono prese in esame le numerose locuzioni venatorie relative alle modali-
tà di ‘tirare al selvatico’, concetto che nel lessico venatorio siciliano è generalmente
espresso con il tipo sparari.
1 La bibliografia sulla deissi è molto ampia. Questa ricerca si colloca all’interno del quadro
teorico, delineato in specie da Lyons (1977: 637) e Levinson (1983: 54), secondo il quale gli ele-
menti linguistici deittici (lessicali, morfologici, sintattici) svolgono la funzione di codificare le
informazioni su luogo, tempo e protagonisti dell’enunciazione e sono indispensabili per inter-
pretare tali informazioni. Chiaramente nel presente lavoro faccio riferimento soprattutto alla
deissi spaziale e ai verbi di movimento (per i quali si veda Ricca 1993). Tra i contributi pioneri-
stici va ricordato Halliday / Hasan (1976: 1-76); una trattazione approfondita ed esaustiva sulla
deissi nelle singole lingue romanze è nel Manual of Deixis in Romance Languages curato da Jun-
gblut / Da Milano (2015: 17-332); in particolare, per le Varieties in Italy, cfr. Da Milano (2015:
59-74); Ledgeway (2015: 75-114); Prandi (2015: 76-115); sulla deissi nell’italiano, cfr. anche
Cinque (1976: 101-126) e Vanelli (1992).
238 Vincenzo Pinello
della concettualizzazione, per definire sia il quadro teorico della deissi nei di-
scorsi metalinguistici, sia l’apparato metodologico utile all’analisi e all’inter-
pretazione. Si tratta dunque di un approfondimento specifico del rapporto,
a mio avviso molto fruttuoso, tra scienze della cognizione e dialettologia per-
cettiva.
c) oggetto della terza sezione (§ 4, 4.1) sono i dati, ovvero le modalità e
le tipologie deittiche nel Corpus ALS. Questa parte si apre con la esplicitazio-
ne degli strumenti teorici ALS utilizzati per l’analisi e l’interpretazione della
deissi e sulle ragioni della sua importanza in seno al corpus (§ 4). Una parte
di questa sezione è dedicata al concetto di dicotomia oppositiva o interazio-
nale ALS e a quello di spazio vissuto, uno dei fondamenti teorici della dialet-
tologia percettiva. nel § 4.1 presento una rassegna di interazioni deittiche o
discorsi interazionali deittici con relative schede di analisi, sulla base delle sei
tipologie (o ambienti linguistico-pragmatici) individuate. nel § 5 concludo
e ragiono sulle correlazioni funzionali tra incidenza deittica e variabili com-
plesse. Questa parte è introdotta da una discussione sulle funzioni deittiche
individuate nella ricerca (§ 5.1). Vengono poi analizzate le variabili che si
sono dimostrate sensibili all’incidenza della deissi: fattori morfo-territoriali
(§ 5.2) e profilo degli informatori (§ 5.3).
Come sopra illustrato, la deissi nel Corpus ALS è stata già oggetto di trat-
tazione. nelle medesime sedi ne sono state individuate le specifiche funzioni
linguistiche ed extra-linguistiche: ancoraggio tra spazio fisico e spazio cogni-
tivo; contestualizzazione spaziale; proclamazione di identità ideologico-lin-
guistiche; aggancio al contesto reale linguistico ed extra-linguistico 2. Inoltre
si è evidenziato che il campo indicale ‘persona-luogo-tempo’, in generale,
ma anche in particolare per il Corpus ALS, deve essere integrato con l’ele-
mento “lingua”. In ogni caso, negli studi sopra citati risultava confermata la
funzione fondamentale degli atti deittici di legare spazi, ridurre o dilatare di-
stanze ideologiche, affermare identità e infine raccontare fatti di lingua e
pratiche socio-comunitarie, posizionati in spazialità di spessore fisico-territo-
riale ma anche cognitivo.
La ricerca che qui si presenta, come detto, si fonda su di un corpus dati
più esteso e sistematico, costruito mediante la rete pilota (rappresentativa
dell’intero campione ALS) e le risposte degli informatori alle tre domande
del questionario dedicate alla percezione e rappresentazione della differenza
lingustica.
3 I “centri” sono aree urbane dinamiche o mediamente dinamiche (città capoluogo, centri
cesso di studio, riflessione, elaborazione, iniziato dal gruppo ALS a metà degli anni novanta. Ec-
cone di seguito le tappe bibliografiche: Ruffino (1991); D’Agostino (1995a: 177); Pinello / Ruf-
fino (2005: 130-369); Pinello (2017); Pinello / Scaglione (2018). nel 2010 il gruppo ALS ha
operato una profonda riflessione sul tema delle caratteristiche di una sub-rete capace di essere
rappresentativa dell’intera articolazione dei comuni che costituiscono il campione.
5 Infatti ogni punto d’inchiesta (sia esso centro o microarea) è rappresentato da 17 infor-
matori. Questi sono distribuiti in cinque Famiglie all’interno di ciascun centro d’inchiesta. Ogni
Famiglia comprende 3 informatori: nonno, Genitore, Figlio. I tre informatori della Famiglia 1
presentano il grado di istruzione più basso e gli usi linguistici sono esclusivamente dialettali, in-
vece i tre informatori della Famiglia 5 fanno registrare il più alto grado di istruzione e compe-
tenza attiva e passiva dell’italiano. Completano il campione due Adolescenti: Adolescente 1 di
contesto familiare dialettofono; Adolescente 2 di contesto familiare italofono. Una compiuta di-
samina del campione ALS è in D’Agostino / Ruffino (2005: 83-93).
6 Il valore è lievemente più basso rispetto a tutti gli altri rapporti percentuali in quanto una
Centri e Microaree
I. Trapani
II. Campobello di Mazara - Castelvetrano
III. Alcamo
IV. Palermo
V. Misilmeri
VI. Caltavuturo - Sclafani Bagni - Scillato
VII. Mussomeli - Vallelunga Pratameno - Villalba
VIII. Agrigento
IX. Canicattì
X. Tusa
XI. Mistretta - Reitano - Caronia
XII. Capo d’Orlando
XIII. Catania
XIV. Gravina di Catania - Mascalucia - San Giovanni La Punta
XV. Chiaramonte Gulfi - Giarratana - Monterosso Almo
Tab. II - La rete pilota ALS. Centri e microaree.
La Tab. III riporta la classificazione ALS dei comuni della rete pilota te-
nendo conto dei due parametri individuati (Pinello 2005; Pinello 2010; Pi-
nello 2017; Pinello / Scaglione 2018): densità di urbanizzazione e posiziona-
mento territoriale.
La densità di urbanizzazione di ciascun comune è legata a specifici para-
metri7 espressi dagli indicatori Istat sulla demografia, dalla consistenza dei
vizi (da altri comuni): Assente, Bassa, Media, Alta, Molto Alta; Mobilità pendolare: Molto Alta,
Alta, Media, Bassa; Saldo di pendolarismo: Positivo, Mediamente positivo, Pari, Mediamente
negativo, negativo; Mobilità di flusso (è la mobilità non pendolare): Molto alta, Alta, Media,
Bassa, Assente; Ampiezza Mobilità di Flusso: Extra-regionale, Regionale, Di Area, Assente (que-
st’ultima, associata anche alla Mobilità di Flusso Bassa); Andamento demografico: Crescita, Sta-
bilizzazione, Perdita; Invecchiamento della popolazione: Alto, Medio, Basso; Indice di dipen-
denza per i servizi: Alto, Medio, Basso. L’associazione di un valore a una categoria è stata effet-
tuata sulla base di valori soglia. Il grado di dipendenza per i servizi di un comune misura la den-
sità di insediamento nel suo territorio di strutture al servizio della persona; sono stati censiti 27
tipi di servizi (Pinello / Ruffino 2005: 130); densità di insediamento dei servizi e autonomia da
essi, quindi, sono in rapporto di proporzionalità diretta. Quanto alle mobilità pendolare, sono
considerati gli spostamenti giornalieri sia scolastici che lavorativi. L’andamento demografico, su
scala decennale, rileva le percentuali di crescita o perdita di popolazione residente; il valore me-
dio è il contenimento demografico, ovvero la curva tendente alla stabilizzazione. L’invecchia-
mento della popolazione, o indice di vecchiaia, è il rapporto tra popolazione oltre i 64 anni di
età e popolazione fino a 14 anni. Il quadro dei parametri che definiscono il profilo dei comuni è
completato dalla mobilità di flusso, la capacità del comune di attrarre spostamenti non pendola-
ri nel settore dell’offerta turistica, della cultura tradizionale e religiosa.
“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 241
flussi di mobilità, dalla qualità e quantità dei servizi. Essa esprime il grado di
dinamismo o di recessione dei comuni per il quale sono state individudate le
cinque cinque tipologie della tabella III: polo regionale; comune dinamico;
mediamente dinamico; mediamente recessivo; recessivo.
Comune Tipologia Area Montagna Città Grande Piccolo
Costiera / o interno metropolitana centro centro
Subcostiera
Palermo Polo regionale + +
Catania Polo regionale + +
Trapani Dinamico + +
Alcamo Dinamico + +
Canicattì Dinamico + +
Capo d’Orlando Dinamico + +
Agrigento Mediamente + +
dinamico
Tusa Mediamente + +
dinamico
Gravina di Catania Mediamente + +
dinamico
Mascalucia Mediamente + +
dinamico
San Giovanni Mediamente + +
La Punta dinamico
Castelvetrano Mediamente + +
recessivo
Misilmeri Mediamente + +
recessivo
Mussomeli Mediamente + +
recessivo
Campobello di Mazara Recessivo + +
Caltavuturo Recessivo + +
Sclafani Bagni Recessivo + +
Scillato Recessivo + +
Vallelunga Pratameno Recessivo + +
Villalba Recessivo + +
Mistretta Recessivo + +
Reitano Recessivo + +
Caronia Recessivo + +
Chiaramonte Gulfi Recessivo + +
Giarratana Recessivo + +
Monterosso Almo Recessivo + +
Tab. III - Confronto tra indice di ‘dinamicità vs recessività’,
‘costa vs montagna/interno’, ‘grande vs piccolo’.
242 Vincenzo Pinello
8 D. 16: “Lei nota delle differenze tra il siciliano che si parla nel Suo paese/città e il sicilia-
no che si parla nei paesi /città vicini?”; D. 17: (Se ha risposto sì alla D. 16) “Saprebbe dirmi per
quali paesi specialmente Lei nota delle differenze?”; D. 18: “Saprebbe indicarmi qualche partico-
larità (pronuncia, parole, espressioni) che non è usata nel dialetto del Suo paese/città ed è invece
tipica del dialetto di qualche paese/città vicini?”.
“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 243
19 È questo un tema cardine dei Language Attitudes Studies e della Dialettologia percettiva
per quanto riguarda la raccolta del dato e le condizioni di elicitazione. Input privi di campioni di
lingua, come ad esempio una mappa vuota, secondo questa stimolante prospettiva raggiungono
e sollecitano le risorse interne degli informatori, cioè le zone culturali e cognitive dei concetti.
Viceversa, la ostensione di tratti linguistici sollecita l’innesco di percezioni puntuali. nella fase
attuale, la Dialettologia percettiva tende a superare la separazione fra tecniche d’indagine orienta-
te sui concetti o sulle percezioni, interpretando i due settori come parte del continuum ‘creden-
ze/valutazioni’; sul tema, oltre a Preston (2010a) mi permetto di rinviare anche a Pinello (2017:
107-109).
10 Ponendosi in tal maniera in diretto contrasto con le posizioni tradizionali della semanti-
sentazione (Fillmore 1985), sia in quelle di struttura di dati (Minsky 1974) e nella sua organiz-
zazione in slot prototipici articolati in più reti semantiche.
12 In particolare Langacker (1987).
244 Vincenzo Pinello
15 Della sua vasta opera, qui è sufficiente citare Terracini (1936: 1-31 e 134-150).
246 Vincenzo Pinello
16 Krefeld (2002a), (2002b), (2002c), (2006); Krefeld / Pustka (2010a), (2010b); un
in piazza ci sono quelli: i tamburelli siciliani ci sono ḍḍri 22 bestie [sì] ecco
peto | le ho detto poco fa ppì dirici 21 a me mi piace motto vedere quando
18 Resa fonetica dell’italiano della parola dialettale ncarcata ‘rozza’, ‘volgare’. Riporto il si-
gnificato del VS per ncarcari: «4. rifl. (ME IV) parlare con un accento e/o una cadenza personali
o tipici di un determinato dialetto o di una varietà sociale di esso». E per ncarcata: «3. Particola-
re cadenza personale o tipica di un determinato dialetto o di una varietà sociale di esso, che ca-
ratterizza il modo di parlare di una o più persone […]». nei parlanti ALS è attestata l’associazio-
ne “tipicità di una parlata” con “volgarità”, “rozzezza” (e in misura minore con “stranezza”, “in-
comprensibilità”, etc.). Il fenomeno va inquadrato nelle procedure di opposizione linguistico-
cognitiva nelle quali ruolo fondamentale svolge la salienza del contrasto fonologico e dell’oppo-
sizione lessicale.
19 Alla patornesa, cioè ‘alla maniera di Paternò’.
20 ‘Il siciliano quasi quasi … non è che il siciliano’.
21 ‘Per dirle’.
22 ‘Quelle’.
23 ‘Il siciliano lo parlano’.
248 Vincenzo Pinello
I34: = io ripeto questo. può cambiare che: u parlare dei paesi un siciliano se si
parla bene siciliano e allora è un siciliano che è bello però se incomincia a
essere: eh: confusa tra u parlare siciliano e u parlari: stile di paesi del dia-
letto
R35: eh. ma cosa cambia tra il paese e la çittà | lei dove le vede lei queste diffe-
renze
I36: fra il paese e la città c’è: ripitemu se noi pigliamu 24 Paternò vabbene e Ca-
tania cc’è na bella differenza
R37: eh. e dov’è questa differenza
I38: tra l’italiano | l’italiano Catania vabbene si parla bene anche per i giovani
di oggi
[…]
R45: e che | com’è?
I46: = no il siciliano perché [che cosa] perché a parola comu dissi poco fa ppi di-
ri: unu n’italianu dici: comu dici 25 in italiano [no ma anche in si+] in ita-
liano la persona dice: a tavola / «stati manciannu?» «manciàstivu» ecco u
paturnisi dice così «manciàstevu» «vivìstevu»26 ecco qua (nF2, Catania)
I26: come noi: noi diçiamo «prendi la ruota!» invece a Villabbate «pìgghia a
nella prima fase della ricerca avevo previsto un’unica categoria per i fe-
nomeni adesso distribuiti nelle due tipologie Topodeissi con verbi di movi-
mento e Topodeissi con espressioni di posizionamento e orientamento. Allo
stesso modo, a un’unica categoria erano assegnati i dimostrativi e gli avverbi
indicatori di luogo. Queste nuove categorizzazioni, come detto, sono conse-
guenza dell’ampliamento dei punti d’inchiesta e, quindi, del campione e del
corpus dati, rispetto alla fase precedente.
nelle pagine seguenti propongo una raccolta di testi interazionali suddi-
visi nelle sei tipologie deittiche qui individuate. Tali interazioni vogliono es-
sere rappresentative dei sotto-corpora nella loro completezza.
Preciso che in alcune interazioni sono presenti più fenomeni deittici, co-
me risulterà chiaro dalla lettura; in questi casi per assegnare l’interazione a
una sola specifica tipologia si è seguito il principio della prevalenza qualitati-
va di un fenomeno rispetto agli altri co-occorrenti e relativamente accidenta-
li benché non privi di rilievo.
nel corpo del testo interazionale, il fenomeno che ha determinato l’asse-
gnazione alla tipologia è enfatizzato in grassetto, gli eventuali fenomeni co-
occorrenti sono segnalati con il sottolineato grassetto ed elencati in calce allo
stralcio interazionale. Le rappresentazioni cognitive ‘lingua’, ‘spazio-territo-
rio’, ‘ideologia’, ovvero rispettivamente dicotomie, spazio vissuto, stereotipi
linguistici, nel testo sono segnalate in maiuscoletto, inoltre la loro descrizio-
ne segue la sezione dei fenomeni deittici co-occorrenti. Una scheda di com-
mento conclude l’analisi dell’interazione.
252 Vincenzo Pinello
quale si veda Ricca (1993) per intero, o anche solo le pp. 15-33.
“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 253
2.
I2: sì. certo.
R3: <eh::> con quali paesi lei soprattutto nota delle ddifferenze? paesi vicini.
I4: paesi vicini, <eh:>
R5: cioè?
I6: Cammarata,
R7: sì,
I8: / <eh:> Favara,
R9: <mh>,
I10: / Palermo.
R11: più: rimanendo in zona. paesi vicini.
I12: <eh> anche Villalba.
R13: <mh> / quindi Cammarata, Villalba, Favara, poi ci sarebbero altri paesi
con cui nota delle ddifferenze?
I14: <eh:> Caltanissetta noi lo definiamo città o paese?
R15: città.
I16: allora con la città di Caltanissetta.
R17: anche con Caltanissetta. <eh> qualche esempio, / potrebbe farmelo? o di
pronunzia, o di parole o di espressioni che [lei nota]=
I18: [<mah!> su],
R19: = siano ddiverse [dalla],
I20: [sulla] pronuncia. / sulle parole, // proprio per il fatto che / non c’è: l’im-
mediatezza della verifica.
R21: <mh>,
I22: cioè io ogni che vado a Cammarata capisco che / c’è qualcosa che: mi fa
sforzare nella: / nella: nel capire=
[…]
R37: questa di Cammarata come mai l’ha ricordata?
I38: <eh:> picchì n’campagna ce+ | la nostra campagna quand’ero
piccolo ero sempre là=
R39: <mh>,
I40: = contrada Tumarrano. / <eh> la la è pien di di / [cammaraesi.]
[…]
I62: = quand’ero a scuola: <eh:> in italiano. con tutti quelli che: /
pparlavano: in siciliano pparlavo mussomelese. <beh!> pensavo
di essere | anche loro non è che c’erano diciamo che tra Cam-
marata e Mussomeli, la differenza è più marcata. ma tra Mus-
someli e Vallelunga un po’ meno.
[…]
I70: poi: cioè non riesco a fare una traduzione. se uno si sposta a pparlare / e
trova un referente che parla: io il mussomelese e lui il cammaratese maga-
ri / <eh:> magari la differenza per lì la vado:: a rilevare, ma andarmi a ri-
cordare qualche cosa che usano loro per qualificare qualcosa che già io
stento a qualificare come siciliano. non c’è l’immediatezza del riferimen-
to. (GF5 Mussomeli)
254 Vincenzo Pinello
Deissi co-occorrente: Deissi della trattativa sullo spazio; Deissi ipotetica o analo-
gica del tipo reale.
Rappresentazioni cognitive Lingua Spazio-territorio Ideologia: Spazio vissuto Do-
mini “Vicinato”, “Scuola”.
L’interazione si apre con la deissi della trattativa sullo spazio. Essa si sviluppa
nei turni da I10 a I12 e ha il suo epicentro in R11 con l’espressione deittica attra-
verso la quale il raccoglitore sollecita l’informatore a “rimanere in zona” e a prende-
re in considerazione i paesi vicini. L’inserimento da parte del raccoglitore di questo
elemento fisico della spazialità determina la reazione di accomodamento o livella-
mento fisico-cognitivo dell’informatore (I12).
In I22 la deissi ipotetica ha per oggetto Cammarata, piccolo comune confinan-
te con il centro dell’informatore e al quale questi associa l’incomprensione linguisti-
ca, tratto a forte rischio di stigma e segnalatore di dialettalità. A questi due elementi
(deissi e tratto linguistico) sono legate le rappresentazioni cognitive dello spazio vis-
suto, entrambe connotate in diacronia: l’una (R37-I40) del dominio del “Vicinato”
(l’informatore rievoca le residenze estive della giovinezza nella casa di campagna
ubicata vicino Cammarata), l’altra del dominio “Scuola” (I62) per la quale viene ri-
badita la distanza linguistica con Cammarata, comune coinvolto anche nella deissi
ipotetica con il verbo deittico (I70).
3.
I2: ma già andando verso, come dire verso San’Agata, | già arrivato a Ssanto
Stefano un siciliano | un diale+ | un siciliano diverso dal nostro. Santo Ste-
fano che è a vventi chilometri
[…]
R7: qualche altro paese con cui noti delle ddifferenze.
I8: ma paesi che noto ddifferenze, l’ho detto::, andando verso Palermo::, an-
dando verso Palermo ecco spostandoti un po’ verso la provincia di Paler-
mo tu senti parlare un po’ un altro tipo di dialetto. un altro tipo di dialet-
to magari con accenti ddiversi insomma::. l’ho detto, per me è più rroz-
zo. sempre andando verso Palermo, è un siciliano più rrozzo rispet-
to al nostro sicuramente. magari loro che ci abbitano, ci hanno vissuto
sempre, per loro va bbene così.
[…]
I12: un esempio, ecco, magari sarebbero forse delle parole… noi qua a Tusa se
ci abbiamo da dire a un altro “cornuto” (ci dicimu) “curnutu”, andando
verso Palermo “CUINNUUUTU,” (ci dìciunu) “CUINNUUUTU.” che poi cioè,
non vorrei che ffosse un’offesa per nessuno però… | già ecco, già c’è una
grande (GF2 Tusa)
Deissi co-occorrente: Topodeissi con espressioni di posizionamento e orienta-
mento; Topodeissi con avverbi indicatori di luogo.
Rappresentazioni cognitive Lingua Spazio-territorio Ideologia: Stereotipo ‘Il dia-
letto di Palermo è rozzo, volgare’. L’imitazione riguarda un lessema che contiene la
palatizzazione di /r / preconsonantica e l’allungamento vocalico, tratti tipici e molto
stigmatizzati della varietà palermitana: curnutu > cuinnuuutu.
“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 255
da Pinello (2017: 136-140) dedicato ai tratti tipici del dialetto palermitano: allungamento voca-
lico, dittongamento non condizionato di /e / /o / toniche, palatizzazione di [r] preconsonantica.
256 Vincenzo Pinello
4.
I2: ricemu 32 Messina, Catania:,
R: [ecco.]
I2: [oppure] i paesi vicino xx Palermo.
R3: rimaniamo più vicini a Palermo.
I4: / cuomu 33 Monreale,=
[…]
I18: /// invece tantu riri “spicciati” rìcinu “bbrèscia” 34.
R19: ddove ddove?
I20: a Bbagheria.
R: eh.
I20: “BBRÈSCIA” RICIAMU “SPICCIATI”. NATRI RICIAMU “spicciati”, IḌḌI RÌCINU
“BBRÈSCIA.” poi chi ppozzu riri. e CCI AIU TRAVAGGHIATU cu sta ggienti 35.
R21: poi qualche altra cosa? è interessante. anche negli altri paesi che mi ha
pìgghia “lu panë”, nuaṭṛi riçiamu pìgghia “u panë”, pìgghia la fru+, annu
R25: poi altre cose vediamo.
I26:
tutti sti [cosi ccà.]
R27: [ah “lu” “lu” annu stu “lu”.]
I28: poi chi ppozzu riri.38
R29: stiamo rrimanendo sempre a Bbagheria.
I30: sempre a Bbagheria. / poi se ne ne entriamo cchiù ddintra 39 quello…
R31: per esempio dove più ddentro.
I32: / per e+ pa+ // passando tanto per dire Colleonë.
R: eh.
32 ‘Diciamo’.
33 ‘Come Monreale’.
34 ‘Invece di dire spicciati dicono bbrèscia [“fretta”].
35 ‘Bbrèscia lo diciamo spicciati. noi diciamo spicciati, loro dicono bbrèscia. Poi che posso
I32: nuaṭṛi ricemu “u lumë” e iḍḍi rìcinu “u lu::më” 40, e sempre più::, e hannu
su per giù e [una…]
[…]
I48: a Bbagheria. sempre puru Castiḍḍazzu ste zone ri ccà 41, / cc’è la festa. / poi
chi ppozzu riri 42. su per giù CC’È SSEMPRE UNA COSA:: CUBBA 43 (sic) (GF1
Palermo)
Deissi co-ocorrente: Deissi della trattativa sullo spazio; Topodeissi con dimostrati-
vi; Topodeissi con avverbi indicatori di luogo; Topodeissi con verbi di movimento.
Rappresentazioni cognitive Lingua Spazio-territorio Ideologia: Spazio vissuto Do-
minio ‘Lavoro’; Dicotomia interazionale ‘Città vs Paesi dialetti con elementi (tono,
accento) cupi’ (cc’è ssempre una cosa:: cubba).
L’interazione si apre con la trattativa sullo spazio (I2-I4): indicazione dell’infor-
matore di due centri molto distanti da Palermo (Catania e Messina); input di avvi-
cinamento spaziale somministrato dal raccoglitore ‘rimaniamo più vicini a Paler-
mo’; livellamento fisico-cognitivo dell’informatore (individuazione di Monreale,
comune confinante con Palermo). nel Corpus ALS è frequente la designazione dei
centri metropolitani di Catania e di Palermo da parte di informatori residenti in
aree molto lontane da essi. Il fenomeno è interpretato alla luce dei ‘saperi ideologici’
innescati dai due centri metropolitani la cui forza di pressione determina «l’astrazio-
ne emotiva e l’allontanamento spaziale-cognitivo dell’informatore dal momento in-
tervista, dal suo oggetto e dalle sue modalità» (Pinello 2017: 136).
nella fase successiva alla trattativa spaziale con livellamento all’input del racco-
glitore, la narrazione dell’informatore di Palermo è un viaggio di esplorazione lin-
guistica del territorio attraverso l’utilizzo dei verbi di movimento e degli indicatori
di orientamento e posizionamento spaziale. Il percorso inizia da Bagheria, continua
con la vicina Casteldaccia, si inoltra nell’interno fino a Corleone. Alle tre tappe spa-
ziali ne corrispondono due dal punto di vista linguistico in quanto, sotto questo
profilo, l’informatore di Palermo assimila Casteldaccia a Bagheria (I24, I48). Ecco
italiano e parola dialettale; ‘u panë vs lu panë ’ (I26) → opposizione nel livello della
l’inquietudine.
258 Vincenzo Pinello
I8: mh. se diçi “carusi 45 ” a Ppalermo capiscono che tu sei eh::: mh::
R9: messinese, [catanese,] (P ride)
I10: [da Enna] / a Mmessina. si può quella zona lì orientale. è ccosì. eh::: poi
alcuni termini:: Barcellona, Messina “figghioli:::46 ” così, “mannaia 47, man-
naia” si capisce no? eh:::
R11: scusa “mannaia, mannaia” di dove sarebbe?
I12: ma::: [di solito…]
R13: [x] (P ride)
I14: la mia | cioè la maggior parte delle persone che ddicono così::: mh:: che
ho cconosciuto io sono di Messina oppure:: Barcellona. non eh:: non
più:: ad ovest di llì.
[…]
I30: anche dei:: dei termini. mi:: ad esempio l’altra volta una mia compa-
gna in facoltà:: eh::: “inquietare 48 ”, “inquieti ” non zo mh:. a mme mh:
io: ho ddetto «forse è italiano» però dico io non mh:: non lo sentivo ma+
(P accenna a ridere) cioè capivo quello che diceva però:: è un termine che
[si usa soltanto]
R31: [che si usa magari…]
I32: soltanto a Ppalermo. magari se io vado a Roma e gli dico inquietare la
ggente lo capisce, non è cche non lo capisce. // però tipo m’è suonato
strano cci ho ppenzato cci ho | non ho ddormito la notte quasi quasi pen-
zavo a quell’inquietare. // eh::: niente queste cose qqua:: tipo:: | ci sono
dei termini:: / più usati i:: in alcune zone e termini meno usati in altri zo-
ne. è ccosì. (FF5 Capo d’Orlando)
Deissi co-occorrente: Deissi ipotetica o analogica del tipo reale; Topodeissi con
dimostrativi; Topodeissi con avverbi indicatori di luogo; Deissi ipotetica o analogi-
ca del tipo reale.
Rappresentazioni cognitive Lingua Spazio-territorio Ideologia: Spazio vissuto Do-
minio ‘Istruzione’.
Per due volte, attraverso i deittici di orientamento e posizionamento, l’informa-
tore traccia i confini e definisce l’estensione delle aree geografiche in cui colloca i fe-
nomeni linguistici nel primo caso (I6-I10) individua le aree dei diversi esiti per
‘bambino’, picciotto (I6: Sicilia orientale carusi, esempio classico di Sicilia occidenta-
le picciotti) e, utilizzando anche la deissi del dimostrativo e l’avverbio indicatore di
luogo, indica il confine ovest dell’area di carusu (I10: «Da Enna a Messina, quella
zona lì orientale»). Dato che le sue opinioni (le percezioni del parlante) coincidono
45 ‘Ragazzi’. Si noti il tono ironico dell’informatore, peraltro raccolto nel turno successivo
dal raccoglitore (R9), motivato proprio dalla geosinonimia per ‘bambino’, ‘ragazzo’. Infatti, a
Palermo la variante carusu, estranea per tale concetto alla varietà locale, viene associata a jarrusu
(‘omosessuale’) non senza connotazioni semantiche di tipo ludico-espressivo e anche disfemici in
alcuni contesti.
46 ‘Ragazzi’.
47 ‘Mannaggia’.
48 ‘Disturbare’.
260 Vincenzo Pinello
con i confini individuati dai linguisti49 (le rappresentazioni dello specialista) si può
anche sostenere che l’informatore ha individuato e riferito le isoglosse per gli esiti
dialettali di ‘bambino’, ‘ragazzo’.
nell’altro caso (I10-I14) descrive la collocazione dei lessemi figghioli e mannaia
anche questa volta utilizzando l’avverbio di luogo marcatore di distanza spaziale
(«Barcellona Pozzo di Gotto, non più ad ovest di lì»).
Va anche segnalata, in due punti, la deissi ipotetica o analogica del tipo reale.
In I4, per il tratto dell’incomprensione associato al centro linguistico gallo-italico San
Fratello, dato, questo, molto presente nel campione. In I30-I32, in connessione con
lo spazio vissuto del dominio dell’“Istruzione”: l’informatore ipotizza che anche a Ro-
ma probabilmente comprenderebbero il significato del verbo “inquietare” (traduzio-
ne italiana del siciliano ’ncuitari), sentito a Palermo da una compagna di università,
malgrado a lui sia sembrato così strano tanto da “non dormirci quasi la notte” (I32).
6.
R3: mh. allora per esempio qualche ppaese per cui lei nota queste ddifferenze
se lo rricorda?
I4: sì. ma sono tanti [eh. eh.] tipo:: eh: As+ Assoro Asso+ | in provincia non
so di dove si trova Assoro [non lo so] ci sono dei viçini:: di qua dei…
R5: eh. ma è provincia di Catania?
I6: questo non non me lo rricordo se Assoro fa pprovincia di Catania oppure
provincia di Enna | proprio che parlano sembra che: che vvengono chissà
da dove e poi alla fine so+ insomma sono cinquanta chilometri | quanti so-
no? | cinquanta sessanta chilometri da Catania però: c’è questa ddifferenza
R7: e dove la: la nota lei questa ddifferenza?
I8: più nei paesi dell’entroterra:: siçiliana ho nnotato proprio… […]
I30: ad esempio la verdura [eh.] io una volta una signora in provincia di
Enna vicino casa di mia mamma | eravamo dal fruttivendolo che cerca-
va i “SACCHI ”
R31: mh. i “sacchi?”
I32: i sacchi. dico: alla fine erano i i | il fruttivendolo ha risposto che non ce li
aveva queste cose che: diçe «no signora io::» diçe «no ma lei ce li ha. eh: ce
li ha.» alla fine erano i sedani (GF3 Catania)
Rappresentazioni cognitive Lingua Spazio-territorio Ideologia: Dicotomia intera-
zionale ‘Grande città Italiano vs Paesi dell’entroterra Dialetto’ (‘sedani vs sacchi ’);
Spazio vissuto Dominio ‘Vicinato’.
I deittici di posizionamento e orientamento «sono cinquanta chilometri» e «cin-
quanta sessanta chilometri da Catania» (I6), vengono utilizzati dall’informatore di
Catania per descrivere la distanza linguistica con il comune di Assoro, con i comuni
dell’entroterra in generale (I8) e della provincia di Enna in particolare (I30). Tale
opposizione si presenta nelle forme e nelle modalità della dicotomia interazionale
del tutto assente nel trapanese, essendo qui stabilmente usati picciriddu/picciutteddu» (Ruffino
1991: 115).
“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 261
ḍḍà…; ca puru ca vai a…; vai a…; comu vai a…). È stata rilevata anche la
là …’; ‘anche se vai a …’; ‘vai a …’; ‘quando vai a …’ (si vai a…; si vai
costruzione con il verbo “arrivare”, ad esempio: ‘se arriviamo per dire a…’
(se arrivamu pi diri a …). Soggetto e oggetto sono spostati dal campo indi-
cale strettamente deittico in uno spazio altro popolato da oggetti esterni ad
esso (Bühler [1934] 1965). Tuttavia il periodo ipotetico è del tipo “reale” in
quanto esprime un fatto di lingua ritenuto dall’informatore certo piuttosto
che probabile. L’apodosi contiene il tratto linguistico della differenza:
‘… vedrai che parlano strano’ (… vidi ca parranu stranu); … ‘sentirai che di-
cono pantaloni’ (sinti ca diciunu canzi); etc.
7.
I6: eh:: mh: ma anche andando verso Marineo è ccompletamente diverso. se
ppoi ci allontaniamo dalla provincia e andiamo verso Prizzi eh:: addirit-
tura si parlano l’agrigentino il dialetto si avvicina ppiù | il siciliano si avvi-
cina ppiù al all’agrigentino che al palermitano come::
R7: teniamoci qui [nelle vicinanze.]
I8: [sì. nelle vicinanze] sì. esistono le differenze. per esempio eh:: il baghere-
se:, il::: villabbatese parlano un dialetto completamente diverso da quello
che si [parla a Mmisilmeri.]
[…]
I16: mh:: in questo momento i:: io ti posso fare come differenza di pronunzia
sia il bagherese che il villabbatese ha un: una certa cantilena.
R17: mhmh.
I18: mentre il: misilmerese ha un: | non ha cantilena inzomma. parla:…
R19: mi faccia un esempio pratico proprio.
I20: mh:: /// non te lo so ddire. quando deve fare: u:: | le:: | il: bagherese ha
pproprio quando parla una cantilena. non non parla invece il
misilmerese:: // || «stai veneeennuuu? 50» questo è il bagherese. invece il mi-
silmerese dice “stai venennu?” proprio detto… (GF5 Misilmeri)
50 ‘Stai venendo?’.
262 Vincenzo Pinello
R15: [a::]
I16: [a] Valledolmo. (GF1, Caltavuturo)
Deissi co-occorrente: Topodeissi con dimostrativi; Topodeissi con verbi di movi-
mento; Topodeissi con avverbi indicatori di luogo.
Rappresentazioni cognitive Lingua Spazio-territorio Ideologia: Spazio vissuto Do-
minio “Famiglia”; ‘Parole italianeggianti e comunque non arcaiche (sciallë) vs Paro-
la dialettale o del dialetto arcaico (mantìgghia)’.
51 ‘Però che dovrei andare in un altro paese e parlare … cioè il mio dialetto di Caltavuturo io
non lo… non lo … ad esempio a Polizzi [‘con quello di Polizzi’] io da parte mia non lo cambierei’.
52 ‘Diciamo lo sciallë e là la chiamano a mantìgghia’.
“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 263
53 ‘Sopra’.
264 Vincenzo Pinello
topodeissi con dimostrativi: spesso nella forma ‘in questi paesi’, ‘in
quei paesi’, e simili. Il tipo più produttivo è associato alla dicotomia lingui-
stico-pragmatica con “montagna” e più raramente “interno” a elementi del
livello spazio/territorio: ‘in queste montagne’, ‘in quelle montagne’, ‘in que-
ḍḍi muntagni; nta ssi muntagni; ni ssi paisa ’ntirnati). Quindi, sono presenti i
sti paesi di montagna’, ‘in questi paesi dell’interno’ (nta ssti muntagni; nta
l’uno da chi parla (ssa), l’altro sia da chi parla, sia da chi ascolta (ḍḍa)54.
due dimostrativi del sistema tripartito del siciliano che indicano distanza,
54 Rohlfs (1968: 207); Varvaro (1988: 722); Ruffino (2001: 61), Trovato (2002: 844).
“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 265
10.
I1: nta sti PAISI DI MUNTAGNA: / per esempio. / eh: nta: // nta li paisi / eh:: a
Ppiana di Greca. / di: Grica mi pari chi si chiama 55.
R: eh::
I2: sì. pàllanu lu so ddialettu / grecu. c’un zi capisci nenti.56
R3: eh: e dicemu, nta sti paisi | chissi chi disse – diciamu – chi ci su cca [vicinu]57
I4: [sì.]
R5: nota cacchi ddifferenza, cacchi cosa, chi niatri per esempio unn usamu e
chid. d. i usano? 58
I6: sì. anchi: a: | anche a Ppalermu. puru =59
R7: eh: [e ccà vicinu]60
I8: =[c’è sta] ddifferenza.61
R9: e ccà vicinu dicemu / ni nota:: cose: chi: | ddifferenze che magari per esem-
pio certi paisi ccà vicinu usanu e niat..ri nvece campubbid.d.isi unn zi usa.62
n’atra cosa. / u-mmi ricordu comu ci dìcinu. nta stu momentu. / eh: “cap-
pid. d. uzzi” 63
R11: e cchissu agghiri dunni signora? 64
I12: NTA SSI MUNTAGNË. / NTA SSI MUNTAG+ | NTA SSI PAISI DI MUNTAGNË. / GGIB-
BELINA, SALAPARUTA, nta sti paisi accussì.65 (nF2 Campobello di Mazara)
Deissi co-occorrente: Deissi della trattativa sullo spazio; Topodeissi con avverbi
indicatori di luogo.
Rappresentazioni cognitive Lingua Spazio-territorio Ideologia: Dicotomia intera-
zionale ‘Centro urbano medio dinamico Dialetto comprensibile non arcaico vs Pae-
si di montagna dialetto incomprensibile’.
La topodeissi col dimostrativo di distanza sti è l’elemento costitutivo della dico-
tomia interazionale ‘Costa vs Montagna’ (I1) con chiara funzione esoforica della
55 ‘In questi paesi di montagna … per esempio, eh, in … nei paesi eh a Piana di Greca
[Piana degli Albanesi], di Greca mi pare che si chiama’. Piana dei Greci è l’antico toponimo del-
l’attuale Piana degli Albanesi, comunità alloglotta arbëreshe.
56 ‘Sì parlano il loro dialetto greco che non si capisce niente’.
57 ‘Eh e diciamo, in questi paesi … questo che ha detto – diciamo – che ci sono qua vicino’.
58 ‘nota qualche differenza, qualche cosa, che noi per esempio non usiamo e quelli usano?’.
59 ‘Sì sì anche a Palermo, pure’.
60 ‘Eh … qua vicino’.
61 ‘C’è questa differenza’.
62 ‘E qua vicino diciamo ne nota cose che … differenze che magari per esempio certi paese
qua vicino usano e noi invece campobellesi [abitanti di Campobello di Mazara] non si usa’.
63 ‘non li capiamo, sì noto la differenza per esempio noi qua ai … quelli che escono quan-
lessico coinvolge due lessemi dialettali (I10, muntuna, cappiḍḍuzzi) e quindi non
concerne la dimensione linguistica di tale dicotomia, l’opposizione nel livello del
R29: si.
I30: e chid. d. ri dicinu la [criapra.]
R31: [criapra.] (nF3 Villalba)
“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 267
attribuiti a Resuttano, comune vicino posto nella direttrice ovest. (I12). Le due in-
dicazioni di differenza linguistica sono introdotte dal giudizio ideologico (I10). Il
deittico co-occorrente di posizionamento e orientamento a du passi (I6) è utilizzato
per tracciare la distanza con la vicina Vallelunga Pratameno (I4, I6) e per enfatizza-
re la frizione tra vicinanza fisica e distanza linguistica.
12.
I2: sì. sì. no. mi è capitato diverse volte. per dire sono andato:: che sso. a [Ssan::]
R3: [in qualche paese in particolare]
I4: sì. San Cataldo per dire. mi ricordo:: non lo so. lì:: | qua quando diciamo::
“uovo”. cioè in italiano “uovo”. in canicattinese “uevu” forse àvi nna speci
di tendenza spagnola. non lo so com’è. eh:: e quelli di San Cataldo invece
“uvu”. cioè ggià cci livàvanu la “ue”. che era nna cosa:: [a noi faceva]=
R5: [ho ccapito.]
I6: = un po’ gli [amici…]= (GF3 Canicattì)
Deissi co-occorrente: Topodeissi con verbi di movimento; Topodeissi con avver-
bi indicatori di luogo.
Rappresentazioni cognitive Lingua Spazio-territorio Ideologia: Spazio vissuto Do-
minio “Amici”.
Il dimostrativo con oggetto di riferimento +umano (“quelli”) segnala la distanza
con la comunità di San Cataldo esemplata dall’opposizione fonologica presenza /as-
senza del dittongo ue (I4). I dati ALS raccolti in area attestano l’elevata salienza di
tale tratto. Va inoltre ricordato che la letteratura di settore riconosce all’opposizione
fonologica una elevata salienza percettiva (si veda, per tutti, Trudgill 1986, Kerswill
/ Williams 2002. nel nostro corpus l’opposizione fonologica, insieme al lessico, è la
dimensione linguistica dotata di maggiore salienza). Il verbo di movimento (I2) e lo
Spazio vissuto del dominio “Amici” (I6) costituiscono l’architettura, rispettivamen-
te linguistica e cognitiva, della marrazione del parlante.
268 Vincenzo Pinello
I8: = di èssiri | ne ca su ttutti cchi pparra+ | e cci su chiḍḍi chi su d. d. a NTÊ MUN-
R: eh.
66 ‘Va bene per esempio ci sono i polizzani … di Polizzi, anche hanno questa cosa di es-
sere …’.
67 ‘Quella cosa polizzana, i caltavuturesi [abitanti di Caltavuturo] ci sono pure’.
68 ‘… di essere … non sono tutti che parlano … e ci sono quelli che sono là nelle monta-
69 ‘A Polizzi … io solo per esempio le posso dire per esempio picciriḍḍi [‘bambini’] invece
gne mi pare a me che sono più rozzi, volgari’.
71 ‘Il bambino’.
72 Percoca e carcopi sono geosinonimi per ‘albicocca’.
73 ‘Prendimi le calze’.
74 ‘Le orecchie’.
270 Vincenzo Pinello
I4: <eh.> ma ma niauṭṛi / se: senti parrari u: giarratanisi / ccu u Muò+ | ccu u
15.
sano [dialetto di Monterosso Almo] noi diciamo iù [‘io’], iù e quelli dicono iò’.
76 ‘Tò, tu, tè, e insomma tutti tutti questi … u stunnardu [‘lo stendardo’] per esempio che
scuola media … e il cosa come si chiama? L’appaltatore era di Chiaramontanu [abitante di Chia-
“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 271
oggetto +umano chiḍḍi (I4) introduce l’opposizione nel livello della morfologia tra i
liano è stendardo»). Con riguardo ancora a Monterosso Almo il dimostrativo con
diversi esiti, entrambi del tipo italiano, del pronome personale di prima persona
singolare. Invece rimangono non chiarite le opinioni in merito al pronome di se-
conda persona. Lo Spazio vissuto del dominio del “Lavoro” è la narrazione della
differenza linguistica di tipo generico nei confronti della comunità di Chiaramente
Gulfi.
ramonte Almo]. D’avola mi pare che si chiamasse, Lui poveretto era … cosa era? Cavatore, che
spaccava piete anche lui. Poi ha comprato un camion insomma un po’ … poi il camion ha ucci-
so una persona, insomma hanno ucciso uno, hanno ucciso uno’.
79 Per una specifica trattazione di questo fenomeno si veda Pinello (2017: 252-257).
80 ‘Più vicino’.
81 ‘non ci allontaniamo troppo’.
82 ‘no, troppo lontano’.
83 Sull’asse polare ‘accomodamento vs rifiuto’ degli input del raccoglitore sono state indivi-
16.
I4: le dico una cosa che da: / da Palermo / a Ccarini c’è ddifferenza pure di: /
di dialetto siciliano. difatti i dialetti / in Zicilia sono diversi.
R5: sì
chiamano “a iatta”.
R7: dove? a Ccatania [dice?]
I8: [a] Ccatania.
R9: e pperò e e e rimaniamo ppiù viçini a Palermo. ecco.
I: eh.
R9: lei mi parlava di Carini.
I10: sì.
R11: ecco. poi qualche altro paese: vicino: a Ppalermo: [per cui] lei noterebbe
delle [differenze:.]
I12: [no. come pae+ | ] si può notare un po’ di differenza: parlando come: Vil-
labate,
R13: / ecco [quindi ggià lei nota una]=
I14: [Bbagheria,] -livellamento
R15: = una ddifferenza tra [Bbagheria e Ppalermo.]
I16: [cc’è una differenza] che si parla ppiù: / come si dice
R: mh.
I16: // di Palermo. // certe parole sono quasi lo stesso ma certe parole sono
R17: perfetto. eh: altri paesi lei: lei: n:+ | inzomma noterebbe queste differenze
anche per altri paesi? / non so…
[…]
I18: sì. perché ogni: | noi abbiamo per modo di dire / Palermo, allontanando-
si ci sono delle parole diverse / di quelle che:
R19: lei si ricorda qualche pparola, qualche ffrase particolare, che so di Bbaghe-
ria che non si usa da noi e e mmagari…
I20: no io mi posso rricordare qualche pparola da Carini che ci sono stato=
R21: eh [eh mi dica Carini.]
I22: = / [tempo di guerra.]
I23: dovevano dire “mi: chi si ppazzu” 85
84 ‘Il gatto’.
85 ‘Mih che sei pazzo!’.
86 ‘Che sei pazzo!’.
“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 273
La trattativa sullo spazio si svolge da I6 a I14 con i deittici tipici di questa tipo-
logia: due di avvicinamento (R9: «rimaniamo ppiù viçini a Palermo»; R11: «qual-
che altro paese: vicino: a Ppalermo») e uno di posizionamento spaziale (R9: «lei mi
parlava di Carini»). Il livellamento fisico cognitivo dell’informatore, esito di tali in-
put deittici, è in I14. Per quanto riguarda la dimensione linguistica, l’informatore di
Palermo indica due tratti: a Catania, comune oggetto della trattativa, attribuisce
l’esito iatta rispetto al locale atta (I6), quindi un’opposizione nel livello fonetico tra
presenza /assenza della prostesi; per Bagheria, comune meta della trattativa, segnala
la generica differenza connotata ideologicamente con l’attributo «più rozzo» (I16).
Da evidenziare, infine, la deissi di posizionamento e orientamento (in I4, per indi-
care la generica differenza con Carini) e la dessi con i verbi di movimento (I18,
I20), in un caso per associare l’allontanamento fisico dalla propria comunità alla
differenziazione linguistica, nell’altro per contestualizzare la narrazione in uno stra-
to diacronico (Spazio vissuto del dominio “Militare”).
17.
I6: tipo Palermo.
R7: ah. troppo lontano. ti chiedo zone più viçine | forse con il fatto che lla-
vori possibilmente li senti arrivare anche da altri paesi qui viçino cioè che
ti posso dire: da Paternò sino a Ccatania, sino:: a Ggiarre,
I8: vabbè sì. da Paternò normale sì. quell’accento: paternese che ssem-
bra: strano.
R9: vabbè tu fai conto che io non lo so potrei anche | cioè sei tu che ddevi
spiegarmi appunto com’è. qua la situazione cioè quali paesi qqui viçino
hanno un dialetto più strano, diverso rispetto a [questo.]
I10: [sì.] tipo: Paternò è strano. oppure eh: Messina.
R11: troppo lontano. ti chiedo | troppo lontano. ppiù viçino.
I12: mh::
R13: proprio nella provincia di Catania.
I14: provincia di Catania (P ride) che so. (FF1 Mascalucia)
Rappresentazioni cognitive Lingua Spazio-territorio Ideologia: Dicotomia intera-
zionale ‘Centro urbano medio dinamico vs Paese Dialetto strano’.
La trattativa sullo spazio si svolge nell’intero stralcio interazionale proposto. I
comuni oggetto della trattativa indicati dall’informatore sono Palermo e Messina
(su salienza Palermo e Catania si veda la scheda della interazione 4) ai quali fanno
riscontro gli input deittici di avvicinamento spaziale del raccoglitore: «ah. troppo
lontano. ti chiedo zone più viçine» (R7); «troppo lontano. ppiù viçino» (R11); «pro-
prio nella provincia di Catania» (R13). In un caso viene utilizzato il binomio deitti-
co di posizionamento e orientamento “da … a…” per perimetrare l’area da prende-
re in considerazione (R7). Sul versante dell’informatore, le reazioni alla deissi se-
guono il seguente schema: astrazione dal contesto (Palerno); livellamento fisico-co-
gnitivo (I8); astrazione dal contesto fisico (Messina); spaesamento cognitivo (I14).
Per il comune individuato nella fase di livellamento fisico cognitivo (Paternò), l’in-
formatore riferisce una generica differenza linguistica connotata ideologicamente
(«strano») riguardo alla quale può affermarsi che egli utilizza uno stereotipo lingui-
274 Vincenzo Pinello
stico attestato dai dati ALS. Tale opposizione ideologica è espressa nella forma della
dicotomia interazionale ‘Centro urbano medio dinamico vs Paese dell’interno’.
18.
R5: eh::: per quali paesi soprattutto noti delle ddiferenze?
I6: / Catania, Palermo, sono del tutto ddifferenti rrispetto a Ccapo d’Orlan-
do. [Agrigento…]
R7: [ma anche i::] ma anche ad esempio i paesi vicini? i paesi magari:: non
so, i paesi che cconfinano con Capo d’Orlando, noti delle ddifferenze tu?
I8: in alcune parole / può essere.
R9: e pper quali paesi in modo particolare? se::: cci hai fatto caso.
I10: // non lo so (EX: tono basso) Sant’Agata, eh:: oppure::: paesini di mon-
tagna, (FF3 Capo d’Orlando)
Rappresentazioni cognitive Lingua Spazio-territorio Ideologia: opposizione ideolo-
gica ‘Centro dinamico vs Paesini di montagna’.
Concludo la serie di esempi con questa interazione appartenente a una tipolo-
gia un po’ diversa da quelle finora presentate. In alcuni casi la dimensione linguisti-
ca della trattativa rimane del tutto coperta e quindi se ne colgono soltanto le tracce
nella rappresentazione dello spazio che l’informatore dimostra di possedere. Come
in questo caso, dove la dichiarazione è specifica per la dimensione territoriale («pae-
sini di montagna», I10) e pienamente olistica nella dimensione della lingua (I6).
Tale circostanza sembrerebbe rientrare nel caso della iconizzazione (v. nota 44) con
riferimento esplicito a fatti demografici, territoriali, economici, e implicito o coper-
to a fatti di lingua.
5. Conclusioni
centro del processo deittico, non determina l’univocità di occorrenza del fe-
nomeno.
Le descritte dinamiche linguistico-ideologiche di spazio avvicinato con il
correlato innesco del processo deittico sono ampiamente attestate nel Corpus
ALS e se ne leggono nella rassegna qui presentata (§ 4.1). La proposta della
interazione seguente con riguardo a un centro ALS non compreso nel cam-
pione di questa ricerca, credo possa costituire testimonianza esemplare ed ul-
teriore della diffusione del fenomeno nel campione intero:
R1: senti ma tu noti delle ddifferenze, // tra il siçiliano che si parla qua a Gan-
gi, e il siçiliano che si parla nei paesi o nelle città vicine.
I2: sì. ce n’è tante differe+ | tanti termini sono diversi, anche::: l’accento, <eh::>
la durezza delle parole tante volte. tipo a Gangi è morbido il sici-
liano, molto dolce. Petralia è ggià molto più aggressivo:: il parla-
re:: di Petralia. // e siamo a diciassette chilometri. non cc’è tanta differenza.
R3: // perfetto. quindi soprattutto Petralia. questa [ddifferenza…]
I4: [Petralia,] Geraci è::: più:: più aggressivo <diçiamo> come parlato.
R5: <mh> poi qualche altro paese, secondo te del…
I6: come diverso sì. San Mauro e pure ci sono tanti termini diversi /
<eh::> poi Sperlinga non ne parliamo! <eh:> già si parla <così>
francese, non si capisce (manco una parola) quando ‘parlano’ <P
ACCENNA A RIDERE > il dialetto: proprio stretto. // e quindi::… cioè
a me quello di Gangi piace. È molto morbido come dialetto.
R7: // senti potresti farmi | hai elencato Petralia Sottana, Geragi <sic>, Sper-
linga, come paesi. <eh> qualche:: | sa+ | sapresti indicarmi qualche partico-
la+ | tipo qualche pronunzia, qualche parola, in cui tu | qualche espressio-
ne in cui noti: / [ad esempio delle differenze particolari.]
I8: [cioè la ddifferenza] | ma forse a Gangi <diciamo::> per dire la maniglia
della porta di+ | diciamo “a maniglia” // invece a Petralia si dice “a manig-
ghia” quindi già è più duro <diciamo.> <eh::> stesso a Geraci. a Sperlinga
non lo so. <P ride> non lo so proprio.
R9: però ad esempio poco fa hai detto ‹‹a Sperlinga parlano…»
I10: un specie di francese, mi+ | misto a tedesco, forse dalle doni+ | dominazio-
ni passate. quindi sarà questo… (GF4 Gangi)
89 «Il quadro descritto presenta spinte divergenti alla persistenza e alla variazione, facendo
registrare, tuttavia, sintomi di “declino” piuttosto che di “agonia”». Infatti, avverte Ruffino, è fa-
cile rendersi conto di quanto «le strutture profonde siano ben più resistenti di certe espressioni
esplicite della cultura tradizionale» (Ruffino 2000: 13). Il tema è stato riproposto nel recente
Sottile (2019) il quale, tra gli altri meriti, ha quello di riattualizzare e ricondurre alla situazione
di contatto linguistico della Sicilia contemporanea, quella «trama di cultura materiale»,
quell’«ordito», descritti da Tullio De Mauro, su cui un tempo poggiava il dialetto (Camilleri /
De Mauro 2013: 124, cit. in Sottile 2019).
280 Vincenzo Pinello
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286 Vincenzo Pinello
Riassunto / Abstract
Tema del contributo, che si articola in tre sezioni, è la deissi nel corpus del-
l’Atlante Linguistico della Sicilia (ALS ). nella prima sezione, dopo un breve reso-
conto sui precedenti studi ALS sulla deissi, viene descritta la rete dei centri d’inchie-
sta (“rete pilota”) e vengono illustrate domande-input del questionario e composi-
zione del corpus dati. La seconda sezione è dedicata all’illustrazione degli strumenti
teorici mutuati dalla linguistica cognitiva e, in particolare, dalla semantica della
concettualizzazione, per definire sia il quadro teorico della deissi nei discorsi meta-
linguistici, sia l’apparato metodologico utile all’analisi e all’interpretazione. I dati
costituiscono il focus della terza sezione, in cui vengono illustrate le modalità e le ti-
pologie deittiche rilevate nel corpus. Questa parte si apre con l’esplicitazione degli
strumenti teorici ALS utilizzati per l’analisi e l’interpretazione e sulle ragioni del-
l’importanza della deissi in seno al corpus. Vengono illustrate e discusse le variabili
complesse collegate funzionalmente con le tipologie deittiche individuate.
The theme of this paper, which is divided into three sections, is deixis in the
corpus of the Atlante Linguistico della Sicilia (ALS ). In the first section, after a brief
account of previous ALS studies on deixis, the network of survey centres (“pilot
network”) is described, questionnaire input questions and the composition of the
data corpus are illustrated. The second section is devoted to the illustration of the
theoretical tools borrowed from cognitive linguistics and, in particular, from the se-
mantics of conceptualization in order to define both the theoretical framework of
deixis in metalinguistic discourse and the methodological apparatus useful for
analysis and interpretation. The data constitute the focus of the third section, in
which the deictic modes and typologies detected in the corpus are illustrated. This
section opens with an explanation of the ALS theoretical tools used for analysis and
interpretation and the reasons for the importance of deixis within the corpus. The
complex variables functionally related to the detected deictic types are illustrated
and discussed.
«MA IL PROFESSORE GIACEVA SOTTO GRAVE MORA
DI ROSTICCI».
SU PURG. 3, SCIASCIA E DInTORnI
1 Sciascia (1966). L’anno successivo il regista Elio Petri firmò una splendida versione cine-
Il vecchio professore Roscio, la cui fama di oculista ancora durava nella Sicilia
occidentale e anzi già volgeva nel mito, da circa vent’anni aveva lasciato la catte-
dra e la professione. Più che novantenne, per ironia della sorte o perché meglio
si inverasse nel mito di uomo che aveva sfidato la natura ridando ai ciechi la vista
e dalla natura nella vista era stato colpito, era afflitto da una quasi totale cecità: e
stava a Palermo, in casa di un figlio che, come oculista, probabilmente era altret-
tanto valente, ma viveva sulla rendita del nome paterno nel pregiudizio dei più.
Laurana annunciò per telefono la sua visita: per il giorno e l’ora che più facesse
comodo al professore. Il professore, cui la cameriera era andata a riferire, venne
al telefono: rispose che venisse subito. non che, dai contrassegni che gli diede
Laurana, fosse riuscito a ricordarsi di quel vecchio compagno del figlio: ma era
avidissimo di compagnia, nella oscura solitudine in cui ormai viveva.
Erano le cinque del pomeriggio. Il professore stava in terrazza, seduto in poltro-
na, un giradischi a lato da cui veniva ora stentorea ora tremula e sospirata la vo-
ce di un attore famoso che declamava il trentesimo dell’Inferno.
«Vede come sono ridotto?» disse il professore porgendogli la mano. «A sentire da
costui la Divina Commedia» quasi che l’attore fosse presente e che il professore
avesse altre e più personali ragioni di disprezzarlo. «Preferirei me la leggesse mio
nipote, che ha dodici anni, o la cameriera, o il portiere: ma hanno altro da fare.»
Oltre il parapetto della terrazza, sotto i veli di scirocco Palermo splendeva. «Bel-
la vista» disse il professore; e con sicurezza indicò: «San Giovanni degli Eremiti,
palazzo d’Orleans, palazzo reale». Sorrise. «Quando siamo venuti ad abitare in
questa casa, dieci anni fa, vedevo un po’ di più. Ora vedo soltanto la luce, ma
come una lontana fiamma bianca. Per fortuna a Palermo ce n’è tanta, di luce…
Ma lasciamo stare le nostre personali sventure… Lei, dunque, è stato compa-
gno del povero figlio mio.»
«Al ginnasio, al liceo: poi lui è entrato in medicina, io in lettere.»
«In lettere. E fa il professore, no?»
«Sì, di latino e storia.»
«Ma sa che io rimpiango di non aver fatto il professore di lettere? A quest’ora,
almeno, saprei a memoria la Divina Commedia.»
‘È una fissazione’, pensò Laurana. «Ma lei, nella vita ha fatto ben altro che leg-
gere e spiegare la Divina Commedia» disse.
«Crede che quello che ho fatto io abbia più senso di quello che fa lei?»
«no. Voglio dire che quello che faccio io possono farlo migliaia di altre perso-
ne; mentre quello che ha fatto lei possono farlo pochissime, dieci o venti perso-
ne nel mondo.»
«Storie» disse il vecchio: e sembrò assopirsi. Poi improvvisamente domandò «E
mio figlio, in questi ultimi tempi, com’era?»
3 Bosco / Reggio (1993), Inferno, p. 424; si veda in particolare Bartoli / Ureni (2002); e
tutto. Poi le colleghe. Poi le madri degli alunni e delle alunne, almeno quelle
meglio conservate e piacenti. E poi le donne facili, quelle baldracche che come
in antico si possono dire honeste e quelle invece da poco, a tariffa. Un lavoro che
non sarebbe finito più. A meno che, si capisce, il professore non venisse fuori
tra oggi e domani, come un gatto che è andato a passare qualche notte sui tetti.
Ma il professore giaceva sotto grave mora di rosticci [corsivo mio], in una zolfara
abbandonata, a metà strada, in linea d’aria, tra il suo paese e il capoluogo.
Lo stesso GDLI, s.v. mora, aiuta a istituire questo nesso tra il romanzo di
Sciascia e l’episodio di Manfredi nel Purgatorio, anche se curiosamente il ri-
ferimento intertestuale di cui stiamo discutendo trova un esplicito riconosci-
mento da parte della critica, a quanto mi consta, solo in un articolo di Ga-
spare Giudice del 1991 (si veda infra, nota 20): difatti, il GDLI, dopo aver
chiarito che il termine va inteso nel significato di «mucchio, ammasso, cu-
mulo di sassi o di altri oggetti o materiali; muro di pietre, sbarramento o ar-
gine fatto con sassi», indica come prime tre attestazioni col significato di
«mucchio, ammasso, cumulo di sassi o di altri oggetti o materiali» proprio
Dante, Purg. 3-129, […] G.[iovanni] Villani, 7-9: [Manfredi] appiè del ponte
di Benivento fu soppellito e sopra la sua fossa per ciascuno dell’oste gittata una
pietra, onde si fece grande mora di sassi. M.[atteo] Villani, 3-57: Tante gliene
4 GDLI, s.v. (ove si cita, tra l’altro, anche il luogo sciasciano di cui si stiamo discutendo).
5 Qui e poi dopo cito da Petrocchi (19942).
«Ma il professore giaceva sotto grave mora di rosticci» 293
gittarono addosso [delle pietre]…, che bene due braccia s’alzò la mora delle pie-
tre sopra il corpo morto del loro senatore6
(con Dante e Giovanni Villani chiaramente collegati tra loro: ma in quale
rapporto di dipendenza?); e fornisce come ultimo esempio, sempre per il
medesimo significato, proprio «Sciascia […]: Il professore giaceva sotto gra-
ve mora di rosticci, in una zolfara abbandonata».
I commentatori danteschi spesso hanno ritenuto il termine mora inven-
zione dantesca7, ma – come ha dimostrato Michele Barbi in un articolo del
1921 – esso è attestato in una carta dell’Archivio di Stato fiorentino del
1255 («mora lapidum», ‘cumulo di sassi’)8; e precedentemente, in una nota
del 1894 ospitata dal Bullettino della Società dantesca italiana, lo stesso Barbi
aveva ricostruito una breve storia del lemma in volgare col significato di
‘monte’, ‘mucchio’, ‘cumulo’ (e simili) di sassi, anche in riferimento ad am-
massi che ricoprono cadaveri e in uso ancora ai suoi tempi nel contado to-
scano9. nella nota appena citata, peraltro, Barbi afferma:
in Toscana vi sono parecchi luoghi che si chiamano mora (o macìa) dell’uomo o
della donna morta: e così è detto quel cumulo che è dirimpetto al castello di Ro-
mena, dov’è fama sorgesse il rogo di mastro Adamo, e sul quale chi passa, ed
anche noi quando ci passammo, suol gittare una pietra, o per istinto di pietà o
perché lo spirito del defunto vi resti sotto come aggravato e ben impedito dal
sorgerne su a tormento dei viventi10.
16 Matteo Villani si riferisce a «Come i Romani uccisono colle pietre Bertoldo degli Orsini,
il loro Senatore». La prima ed. del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612), s.v. mora
propone la definizione «Monte di sassi. Lat. acervus, congeries»; e riporta i tre esempi già visti nel
GDLI, ma nell’ordine: Giovanni Villani, Matteo Villani, Dante.
17 Cfr. Bosco / Reggio (1993), Purgatorio, nota al v. 129. Si veda inoltre infra, nota 9.
18 Barbi (1921: 134-135).
19 Barbi (1896-1897). Si corregga il refuso «V [1897-98]», che si trascina dall’Enciclopedia
dantesca, s.v. mora, ai principali commenti, scolastici e non. Si vedano al riguardo anche il
TLIO, s.v. móra (2), con prima attestazione del lemma col significato di «mucchio di sassi» nel
1295 (Documenti per le fonti di Siena e i loro aquedotti dal 1294 al 1375); e il DEI, s. v. móra e s.
v. mórra, che ricostruisce un lat. «*murra, presunto relitto del sostrato mediterraneo» e che ri-
manda anche al «sic. murra roccia». A questo proposito sarà da ricordare che il lemma è oggi as-
sai usato nell’area centrale siciliana con il significato sia di “accumulo” sia di “roccia scoscesa”: si
potrebbe anche ipotizzare che in Sciascia, che visse a lungo a Caltanissetta, la suggestione dante-
sca possa aver consuonato con la murra di l’ànciuli, il nome con cui i nisseni chiamano il Castel-
lo di Pietrarossa (nella cui cappella, peraltro, venne seppellita Adelasia, nipote del re Ruggero).
10 Barbi (1896-1897), p. 133.
294 Giuseppe Noto
mo» (v. 61, unitamente alla descrizione della sua idropisia, ovvero la malattia
che fa gonfiare enormemente il ventre, a causa dell’«omor che mal converte»,
v. 53; e cfr. i vv. 73-75: «Ivi è Romena, là dov’io falsai / la lega suggellata del
Batista; / per ch’io il corpo sù arso lasciai»), e Purg. 3, il canto in cui Man-
fredi deve cedere di fronte all’alleanza di potere tra la politica e il clero.
Tornando al finale di A ciascuno il suo, a mio parere è proprio la citazio-
ne dantesca con la quale l’autore di Racalmuto svela al lettore la morte del
professor Laurana ad autorizzarci a sostenere che non solo (come vorrebbe
Ricciarda Ricorda in un bel saggio del 1977 dedicato alla «retorica della cita-
zione» in Sciascia11) le «vicende del Giorno della civetta, del Consiglio d’Egit-
to, della Recitazione», ma anche quelle del romanzo di cui stiamo discutendo
sono «altrettante manifestazioni di sconfitta della ragione»12; e che anche A
ciascuno il suo – come quegli altri scritti sciasciani – va riletto «in funzione di
un processo di progressivo e costante ridimensionamento della fiducia delle
forze razionali», anticipazione di Il contesto (1971) e soprattutto di Todo mo-
do (1974), opere nelle quali
avviene definitivamente quella sorta di apologetica indiretta per cui la sconfitta
della ragione, da dato storico, carattere peculiare della Sicilia, diviene fatto uni-
versale: la realtà tutta sfugge al controllo razionale, si rivela dominata da forze
che l’uomo non può padroneggiare e la cui esistenza ripropone, pascalianamen-
te, il problema di Dio13.
Intendo dire che a mio avviso già il rimando alla morte del Manfredi
dantesco in A ciascuno il suo ha la medesima funzione che la «retorica della
citazione» avrà poi, secondo Ricorda, coi romanzi sciasciani degli inizi degli
anni Settanta, ove a suo parere Sciascia, attraverso, appunto, l’intertestualità,
crea «nella narrazione, un secondo piano che corre parallelo a quello del-
l’azione e che, costituendone una sorta di controcanto, la proietta in uno
spazio più ampio, in un tempo più duraturo», dando vita in questo modo a
un meccanismo che «rimanda a problemi assai complessi e nodali all’interno
della produzione dello scrittore»14. Più in particolare,
11 Ricorda (1977).
12 Ivi, p. 85.
13 Ivi, p. 86.
14 Ivi, p. 59. Secondo la studiosa, nelle opere che Sciascia scrisse prima del 1971 le citazioni
sono sì presenti, ma «entro limiti assai modesti» (p. 63), e il dato quantitativo «trova conferma
nel relativo peso che esse assumono all’interno delle strutture narrative» (ibidem); in ogni caso a
suo parere la citazione non riveste ancora la funzione che avrà in Il contesto e in Todo modo, ov-
vero di essere «portatrice di un surplus di senso, in quanto non solo designa un pensiero, lo co-
munica, cioè lo denota», ma vi aggiunge anche «una dimensione connotativa» (p. 74). Impor-
tante per comprendere come le citazioni costituiscano una sorta di architrave della narrativa
sciasciana («Scascia si regge tutto sulle pagine degli altri scrittori», p. 329) un breve ma intenso
«Ma il professore giaceva sotto grave mora di rosticci» 295
intervento di Giudice (1991), che però – curiosamente – sembra non tenere conto in alcun mo-
do dello studio di Ricorda.
15 Ricorda (1977), p. 60.
16 Fiorilla (2014), p. 78.
17 Ivi, p. 83.
18 Ivi, p. 70.
19 Ivi, p. 83. «Certo è che D.[ante] dice che il vescovo di Cosenza (Bartolomeo Pignatelli)
volle disseppellire quel corpo e trasferirlo di fuor dal regno […]; volle infierire, con quell’estre-
mo bando, contro chi aveva osato contendere il regno di Sicilia, sul quale la Chiesa esercitava la
sua alta sovranità: dissepolto, dunque, non perché sepolto in terra consacrata, o comunque sacra
in quanto terra della Chiesa (Benevento città pontificia e il regno di Sicilia avvassallato a s. Pie-
tro), ma cacciato fuori del regno che aveva preteso suo. Trasmutate, quelle ossa, a lume spento,
come si doveva nel trasporto dei corpi di eretici e di scomunicati. L’odio politico contro l’avver-
sario si era così concluso e confuso con la censura della Chiesa, nel lugubre corteo “sine cruce,
sine luce”» (Frugoni 1970-1978: 802).
296 Giuseppe Noto
BIBLIOGRAFIA
20 Divergo qui dall’interpretazione fornita da Giudice (1991), a parere del quale in questo
Riassunto / Abstract
L’intervento si interroga su come proporre oggi ai giovani nella Scuola e nel-
l’Università la poesia della Commedia e, più in generale, la lettura di testi letterari (e
dunque complessi) del passato; e indica come strada maestra la dialettica attualizza-
zione/storicizzazione. In questa prospettiva, si presenta l’analisi di un episodio parti-
colare della ricezione contemporanea del Manfredi di Sicilia dantesco Attraverso
l’analisi della presenza intertestuale di Dante in A ciascuno il suo (in particolare, ma
non solo, per quanto riguarda l’espressione “sotto grave mora”), si propone una
nuova interpretazione complessiva del romanzo e del suo finale.
The paper examines how to introduce the poetry of the Commedia and, more
generally, the reading of literary (and therefore complex) texts from the past to
young people in schools and universities nowadays, and points to the dialectic of
actualisation/historicalisation as the main road to follow. In this perspective, the
analysis of a particular episode in the contemporary reception of Dante’s Manfredi
di Sicilia is presented. Through the analysis of Dante’s intertextual presence in A
ciascuno il suo (in particular, but not only, with regard to the expression “sotto
grave mora”), a new overall interpretation of the novel and its ending is proposed.
La diffusione del Bollettino
è curata dal Centro di studi filologici e linguistici siciliani
Sito web: www.csfls.it
Finito di stampare nel mese di novembre 2020 dalla tipolitografia A.&G., Catania.
Impaginazione: , Grafica editoriale di Pietro Marletta, Misterbianco (CT),
E-mail: emmegrafed@tiscali.it - Tel. 095 7141891