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CEnTRO DI STUDI FILOLOGICI E LInGUISTICI SICILIAnI

Presidente del Consiglio Direttivo: Giovanni Ruffino

BOLLETTInO

Rivista annuale

Comitato scientifico
Roberto Antonelli, Francesco Bruni, Rosario Coluccia, Mari D’Agostino, Mario
Giacomarra, omas Krefeld, Adam Ledgeway, Franco Lo Piparo, Wolfgang
Schweickard, Salvatore Claudio Sgroi, Rosanna Sornicola, Margherita Spampinato,
Salvatore C. Trovato

Direzione
Mario Pagano (direttore), Gabriella Alfieri, Giovanna Alfonzetti, Luisa Amenta,
Marcello Barbato, Giuseppe Brincat, Francesco Carapezza, Marina Castiglione,
Alessandro De Angelis, Costanzo Di Girolamo

Redazione
Questo volume del Bollettino è stato curato redazionalmente da Salvatore Arcidiaco-
no, Tecla Chiarenza, Aldo Fichera, Anael Intelisano, Ferdinando Raffaele, Fiorenza
Tomarchio

Iscrizione in data 9 marzo 1955 al n. 3 del Registro Periodici del Tribunale di Palermo
Direzione e redazione: Centro di studi filologici e linguistici siciliani, Dipartimento di Scienze
umanistiche dell’Università di Palermo, Viale delle Scienze, ed. 12, 90128 Palermo, Tel. +39
091 23899213 - Fax +39 091 23860661, e-mail: csfls@unipa.it, sito web: www.csfls.it; Dipar-
timento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania, Piazza Dante, 32, 95124 Catania,
Tel. +39 095 7102705 - Fax +39 095 7102710, e-mail: redazionebcsfls@gmail.com
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PALERMO
2020
I singoli contributi sono peer reviewed da un comitato di lettura costituito da
almeno due valutatori esterni

ISSn 0577-277X

Volume pubblicato con il contributo dell’Assessorato Regionale dei Beni


Culturali e dell’Identità Siciliana

TUTTI I DIRITTI RISERVATI


© 2020 CEnTRO DI STUDI FILOLOGICI E LInGUISTICI SICILIAnI - PALERMO
nel trentesimo anniversario della scomparsa,
questo numero del Bollettino
è dedicato al ricordo di Giuseppe Cusimano,
che ne è stato a lungo Direttore
InDICE

Marco Maggiore - Daniele Arnesano, La formula matrimoniale


del codice Hunter 475: il testo più antico in volgare siciliano? . pag. 9
Ferdinando Raffaele, Scritture esposte in volgare siciliano. V. Le
didascalie del San Lorenzo e storie del suo martirio nella
chiesa di Sant’Antonio Abate a Monterosso Almo (RG) . . » 61
Laura Sciascia, Otto uomini a cavallo. Catalani e Guasconi nella
Sicilia dei Trastamara . . . . . . . . . » 83
Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio, Un nuovo manoscrit-
to di canzoni siciliane con ottave inedite attribuite ad Anto-
nio Veneziano . . . . . . . . . . . » 87
Rosanna Sornicola, Processi di pluralizzazione in siciliano: classi
flessive, stampi prosodici e rappresentazioni morfologiche . . » 133
Roberto Sottile, “Tirare al selvatico”: modalità. Una voce del Vo-
cabolario-Atlante delle pratiche venatorie siciliane . . . » 201
Vincenzo Pinello, “In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi
e funzioni deittiche nei discorsi sulla differenza linguistica: i
dati dell’Atlante Linguistico della Sicilia (ALS) . . . » 237
Giuseppe noto, «Ma il professore giaceva sotto grave mora di ro-
sticci». Su Purg. 3, Sciascia e dintorni . . . . . . » 289
LA FORMULA MATRIMOnIALE DEL CODICE HUnTER 475:
IL TESTO PIÙ AnTICO In VOLGARE SICILIAnO?*

1. Premessa

Il testo siciliano medievale che qui pubblichiamo per la prima volta è


stato scoperto da Stefano Parenti, studioso di storia della liturgia bizantina1.
Si tratta di una breve formula matrimoniale scritta in caratteri greci sul fa-
scicolo iniziale del manoscritto Glasgow, University Library, Hunter 475,
un antico evangeliario bizantino: un testo insomma difficile da intercetta-
re per filologi e linguisti romanzi. Come si argomenterà nelle pagine seguen-
ti, e in particolare nel § 3, il codice proviene sicuramente dal monastero gre-
co del Santissimo Salvatore di Messina. Un indizio esterno (la menzione di
un personaggio noto anche da altre fonti) potrebbe consentire di datare la
stesura del gruppo di formule paraliturgiche che include il testo siciliano en-
tro un intervallo di tempo definito, forse tra gli anni 1259 e 1266: si trat-
terebbe in tal caso del più antico documento del siciliano scritto non lette-
rario giunto fino a noi, e forse addirittura, date le peculiari dinamiche di tra-
smissione della lirica fridericiana, del primo testo databile in siciliano me-
dievale. Tuttavia segnaliamo subito che sulla cronologia del testo esistono
margini di dubbio ineliminabili, che non mancheremo di evidenziare (cfr.
infra §§ 3 e 4).
Sui cosiddetti testi «greco-romanzi» (cioè testi romanzi in caratteri greci),
scritti tra il Medioevo e la prima età moderna in Italia meridionale e in Sici-
lia, esiste ormai una bibliografia non trascurabile, che comprende diverse

* I §§ 1, 2, 4, 5 e 6 sono di Marco Maggiore; il § 3 è di Daniele Arnesano.


1 Oltre che della segnalazione del testo, siamo debitori a Stefano Parenti anche dell’indica-

zione del riferimento all’archimandrita Eutimio all’interno del codice di Glasgow, cruciale ai fini
della datazione (cfr. infra §§ 3-4). Ringraziamo per utili consigli anche Alessandro De Angelis,
Franco Fanciullo, Pär Larson, Mario Pagano, Alessandro Parenti e i componenti del comitato di
direzione del Bollettino intervenuti nel processo redazionale dell’articolo.
10 Marco Maggiore - Daniele Arnesano

edizioni di testi con spogli linguistici e lessicali 2; alcuni tra i lavori più recen-
ti sono apparsi sulle pagine di questa rivista3. A occuparsene sono soprattut-
to linguisti che studiano le dinamiche del contatto greco-latino nel Mediter-
raneo medievale 4 e storici della lingua italiana: i testi in caratteri greci rap-
presentano infatti una preziosa fonte suppletiva soprattutto per regioni come
la Puglia, la Basilicata e la Calabria, quasi del tutto sprovviste di testi medie-
vali in grafia latina anteriori al Quattrocento 5; ma la documentazione greco-
romanza offre materiali preziosi anche per il volgare siciliano, che pure è ben
più riccamente attestato nella tradizione latinografica.
Se un appunto si può muovere alla maggior parte degli studi recenti, an-
che se di eccellente valore scientifico, è che in essi solo di rado si coglie lo
sforzo di ricostruire i contesti d’origine dei documenti, di far luce cioè sui
centri di scrittura e sui concreti ambienti sociali in cui, nell’Italia meridiona-
le e in Sicilia, si adottò l’alfabeto greco per scrivere i volgari italoromanzi.
Scriventi e copisti sono solitamente membri del clero italogreco che, sebbene
ci siano perlopiù ignoti come individui, appartengono a comunità parroc-
chiali e monastiche la cui storia è invece nota e ben studiata. non sempre,
però, i linguisti si rivolgono alla bibliografia di parte “bizantina”, il che è
tanto più spiacevole quando si parla di documentazione manoscritta medie-
vale sicuramente meglio nota ai bizantinisti che non ai romanisti 6. Per que-

2 Questa tradizione di studi è inaugurata dalla pubblicazione di un testo sardo, la carta cam-

pidanese dell’XI secolo conservata negli archivi dipartimentali di Marsiglia (Blancard / Wescher
1879; cfr. da ultimo Blasco Ferrer 2002; 2003, I: 51-69). Successivamente vengono scoperti al-
cuni testi di area siciliana o siculo-calabrese: il cosiddetto Miracolo dell’indemoniato (cfr. infra §
2.1) e le ricette pubblicate da Schneegans (1908) (cfr. Salvioni 1909, Schneegans 1909; Soares ;
da Silva 2015: 101-103). L’avvio della moderna tradizione di studi, tuttavia, si può far risalire a
un articolo di Antonino Pagliaro dedicato a una formula di confessione da lui ritenuta siciliana
(Pagliaro [1948] 1961); a questo lavoro fondamentale ne sono seguiti altri dello stesso Pagliaro e
di altri studiosi (su tutti ricorderemo Oronzo Parlangèli, Lucio Melazzo, Franco Fanciullo, Al-
berto Varvaro e Rocco Distilo: per un consuntivo dettagliato, cfr. Basile 2012). In tempi recenti
l’interesse per i testi greco-romanzi è stato rilanciato da una scoperta di Daniele Arnesano, che
ha segnalato la presenza di frammenti poetici in volgare salentino (secc. XIII ex./XIV in.) nel
manoscritto Firenze, BML Plut. 57.36 (cfr. Arnesano / Baldi 2004); due dei frammenti scoperti
e trascritti da Arnesano sono analizzati da De Angelis (2010); sugli altri frammenti, cfr. Maggio-
re (in c.s.). Sulla lingua dei testi greco-romanzi vedi ora la sintesi di Baglioni (in c.s.).

ospitato lo studio di Melazzo (1980) sulle glosse volgari del codice greco Cryptense Z. α. IV (cfr.
3 Cfr. Basile (2014), De Angelis (2016) e Cappelletti (2018). Il Bollettino aveva inoltre

infra n. 6).
4 Al tema della transcritturazione del romanzo in caratteri greci sono dedicati i lavori di De

Angelis (2016), confluito in De Angelis / Logozzo (2017: 15-36), e Maggiore (2017).


5 Come osserva Di Giovine (2018: 341), lo studio delle scriptae non latine per la storia lin-

guistica dell’Italia meridionale ha ricevuto un significativo impulso dai lavori di Rosario Coluc-
cia, in particolare a partire da Coluccia (1996); per il Salento, cfr. Coluccia (2009) e Maggiore
6 Ad esempio, nel caso delle glosse del codice Cryptense Z. α. IV pubblicate da Melazzo
(2019a: 155-157).

(1980), gli studiosi che ne hanno discusso la localizzazione non hanno mai tenuto conto del fat-
La formula matrimoniale del codice Hunter 475 11

sta ragione, prima di accostarci alla formula matrimoniale e al codice che la


conserva, nei successivi paragrafi richiameremo in breve alcuni aspetti della
storia dell’abbazia del Santissimo Salvatore (§ 2), ricordando anche i testi
medievali in caratteri greci trascritti nel monastero o comunque nell’area
messinese (§ 2.1).

2. Il monastero del Santissimo Salvatore «in lingua Phari»: cenni storici

Il Santissimo Salvatore di Messina, uno degli ultimi baluardi della greci-


tà siciliana, è una fondazione normanna7. Il monastero sorgeva sulla punta
estrema di Capo Peloro (anche detta il Faro), in riva al mare, con vista aper-
ta sullo Stretto e sulle coste della Calabria. La sua edificazione richiese dieci
anni, dal 1122 al 1132, e fu interamente finanziata da Ruggero II, il quale
nel 1130 aveva assunto il titolo di re di Sicilia. nel maggio dell’anno seguen-
te, Ruggero concesse il primo di una lunga serie di privilegi a una comunità
di monaci ancora esigua che, sotto la guida dell’egumeno (abate) Luca, si era
stabilita a Messina lasciando il monastero italogreco del Patir di Rossano,
anch’esso di recente fondazione 8. L’istituzione e il sovvenzionamento di ce-
nobi di rito greco rispondevano, in alcuni territori dell’Italia meridionale, a
un’accorta strategia politica dei normanni, i quali nella seconda metà del se-
colo XI si erano impadroniti di un territorio tanto vasto quanto disomoge-
neo sul piano culturale, religioso e linguistico. Roberto il Guiscardo, vassallo

to che i paleografi greci assegnano a mani salentine tanto il testo greco quanto le glosse romanze
(segnaliamo la questione in Maggiore 2019b: 42).
7 Sulla storia del monastero, cfr. almeno Batiffol (1891) e l’ancora fondamentale Scaduto

([1947] 1982), in partic. alle pp. 80-164 per le numerose fondazioni di monasteri greci al tem-
po dei due Ruggeri; per la storia culturale, cfr. Foti (1989). La bibliografia più recente mette in
guardia dall’anacronismo, osservabile nella monografia di Scaduto come in altri studi datati, che
consiste nell’estendere l’aggettivo “basiliano” indistintamente a tutte le forme di monachesimo
greco anteriori agli inizi del secolo XIII, allorché la Chiesa di Roma, mediante l’istituto giuridico
dell’esenzione dal vescovo locale, assoggettò a sé i monasteri italogreci identificando in Basilio di
Cesarea († 379) l’ideale fondatore (occorrerà inoltre attendere il 1579 perché papa Gregorio
XIII mettesse mano a una riorganizzazione ufficiale del monachesimo greco: cfr. Falkenhausen
1982: 61; Basile 2012: 61-62 n. 9).
8 Il monastero rossanese del Patir, intitolato a Santa Maria Nea Odigitria, era stato fondato

infatti solo pochi decenni prima da san Bartolomeo di Simeri con il patrocinio di Adelasia del
Vasto, vedova del Gran Conte Ruggero I e madre di Ruggero II (sulla storia dell’abbazia di Ros-
sano, cfr. Breccia 2006). Le fonti storiche concordano nell’attribuire al calabrese Bartolomeo
(già fondatore del monastero di Trigona) anche il titolo di santo fondatore (ktitor) del SS. Salva-
tore; tuttavia non ci sono prove che egli si sia personalmente recato a Messina, come invece fece
sicuramente il primo egumeno Luca (cfr. Scaduto [1947] 1982: 165-184; Falkenhausen 1994:
45). Pur essendo indipendente fin dalla fondazione, l’abbazia del SS. Salvatore mantenne sem-
pre solidi rapporti culturali con il Patir di Rossano: cfr. Lucà (1996); Rodriquez (2017: 122 e
studi ivi cit.) e vedi infra.
12 Marco Maggiore - Daniele Arnesano

del papa a partire dal 1059, aveva riconsegnato a Roma la giurisdizione ec-
clesiastica della Sicilia musulmana e della Calabria e della Terra d’Otranto
bizantine; tuttavia
la riorganizzazione diocesana della Calabria, della Sicilia e del Salento sotto
l’ubbidienza di Roma non significava che i normanni avessero volutamente
tentato di latinizzare le province di cultura greca. Si tratta piuttosto di una poli-
tica mirante al controllo dei vertici della chiesa […]; il popolo dei fedeli […]
continuava come prima a riconoscersi nel rito greco. Essendo i conquistatori
poco numerosi, sarebbe stato pericoloso contrastare la popolazione locale nelle
sue tradizioni religiose, utilizzando la bruta forza del vincitore. Così si spiega
come ancora nel Trecento nelle campagne calabresi la maggior parte dei parroci
fosse di rito greco (Falkenhausen 1994: 42).

non deve perciò sorprendere che i grandi signori normanni delle prime
generazioni, pur adottando iniziative politiche e culturali che nel tempo
avrebbero contribuito al declino della grecità meridionale 9, si mostrassero
talvolta estremamente munifici nella creazione di nuove comunità monasti-
che greche10. In alcuni territori il sostegno agli italogreci poteva anche ri-

19 Come osserva ancora Scaduto ([1947] 1982: 73), «naturalmente nessuna politica per
quanto benevola poteva frenare la china della decadenza dell’elemento greco, che [in Sicilia] vi-
veva ormai in terreno non suo. Assorbito lentamente l’elemento arabo, predominando assoluta-
mente il latino, i greci si ridussero ad una minoranza che aveva perduto l’importanza dei primi
tempi della conquista, quando i normanni sentivano il bisogno di appoggiarvisi, per far fronte
agli arabi dell’isola» (cfr. infra). D’altro canto, come osserva Varvaro (1981: 98-99), «la soprav-
vivenza di qualche resto di gerarchia ecclesiastica e soprattutto di monachesimo non ha che
un’importanza relativa per la storia linguistica, anche se ci permette di dire che il greco era senza
dubbio la lingua liturgica di questi cristiani in Sicilia».
10 «Del resto, contro un’opinione alcune volte avanzata, il sovrano non aveva nulla da te-

mere da un clero abituato a tenere il massimo conto della situazione politica. L’ipotesi che, in
quanto greco, questo clero potesse fungere come quinta colonna di Costantinopoli è assurda»
(Varvaro 1981: 177). I monasteri del Patir di Rossano (cfr. supra n. 8) e del SS. Salvatore di
Messina non sono le uniche fondazioni normanne di rilievo: «Boemondo, figlio primogenito di
Roberto il Guiscardo e intrepido avversario dell’imperatore bizantino, favorì la fondazione del
monastero greco di S. nicola di Casole presso Otranto, ove insieme con la moglie Costanza fu
commemorato in seguito nella liturgia; più a Sud, nella Basilicata meridionale, i signori di Chia-
romonte, vassalli di Boemondo, contribuirono attivamente allo sviluppo dei SS. Anastasio ed
Elia di Carbone, una modesta fondazione bizantina, che soltanto in epoca normanna riuscì a
raggiungere una posizione di rilievo, per quanto riguarda sia la ricchezza materiale sia l’autorevo-
lezza spirituale» (Falkenhausen 1994: 42). Si tratta di due monasteri importanti per le vicende
della grecità meridionale alla fine del Medioevo: quello otrantino di San nicola di Casole resterà
per quasi quattro secoli (fino alla distruzione nel 1480 da parte degli Ottomani) uno dei centri
più significativi della cultura italo-greca, particolarmente attivo nella copia di codici bizantini (al
punto che vi si instaurò «una vera e propria attività di prestito librario», Coluccia et al. 2002:
695); dall’archimandritato lucano dei SS. Anastasio ed Elia di Carbone (oggi minuscolo centro
in provincia di Potenza) provengono le annotazioni in caratteri greci dei secoli XV-XVI studiate
da Alberto Varvaro e Anna Maria Compagna in un contributo fondamentale (Compagna / Var-
varo 1983), insieme ad altri notevoli documenti (cfr. Parenti 2017: 78). Ovviamente le nuove
La formula matrimoniale del codice Hunter 475 13

spondere all’obiettivo di limitare le prerogative di signori locali di stirpe nor-


manna11; ma in Sicilia, all’epoca dei due Ruggeri, la politica filo-bizantina
faceva soprattutto parte di una più ampia strategia anti-musulmana12. Di ta-
le strategia il SS. Salvatore rappresentò un tassello fondamentale anche e
proprio in virtù della sua collocazione a Messina, città che sotto i normanni
aveva conosciuto una vera e propria rinascita13.
Il regno di Ruggero II rappresenta anche l’epoca d’oro del SS. Salvatore:
fino alla sua morte nel 1154, il re normanno colmò l’abbazia di elargizioni e
privilegi che le permisero di prosperare economicamente, di acquistare ma-
noscritti e reliquie e di attirare a Messina monaci dotati di vaste competen-
ze14. Anche se i successivi re di Sicilia non furono altrettanto munifici, la vita

fondazioni normanne sono per la maggior parte di rito romano e benedettino, e non di rado alle
nuove abbazie latine dovettero sottomettersi anche comunità bizantine preesistenti (Falkenhau-
sen 1994: 42-43).
11 non a caso, la politica filo-bizantina in Sicilia «diede pretesto a rivolte di baroni nor-

manni, impazienti di quel freno e di quella nuova autorità che tendeva a fare di essi non più de-
gli uguali, ma dei sudditi del futuro re di Sicilia» (Scaduto [1947] 1982: 74). Lo stesso Scaduto
osserva però anche (parlando delle iniziative di Adelasia, vedova del Gran Conte) che «i primi
normanni non erano dopotutto degli scettici; senza far ricorso a retroscena d’indole politica, il
loro favoritismo verso i basiliani [sic], si spiega anche con motivi d’indole religiosa». Quanto a
Ruggero II, è noto che egli, «nato nella Calabria meridionale e cresciuto negli ambienti greci
della Sicilia nord-orientale, doveva molto, forse perfino il suo trono, ai funzionari e consiglieri
greci di sua madre, che avevano sostenuto la giovane reggente con i figli minorenni contro i tu-
multuosi baroni normanni. […] Per il primo re normanno la civiltà greca non era una cultura
estranea: la maggior parte dei suoi privilegi è redatta in greco, la sua firma era greca, anche quan-
do sottoscriveva atti in lingua latina» (Falkenhausen 1994: 49).
12 «Una mossa particolarmente abile di Ruggero I e dei suoi immediati successori fu di coin-

volgere nella conquista della Sicilia i greci calabresi e quelli della Val Demone nel nord-est del-
l’isola, che per secoli avevano subito le vessazioni ed i saccheggi ad opera dei Saraceni» (ivi: 44).
13 «Messina, che verso la fine del sec. X era una città del tutto spopolata, coll’avvento dei

normanni riprendeva novamente vita grazie specialmente al traffico marittimo che le assicurava
uno dei primi posti tra le città commerciali del Mediterraneo, dove affluivano mercanti di Amal-
fi, Genova, Pisa. Alla fine del regno di Guglielmo II questa città poteva essere additata da un
[…] viaggiatore arabo come emporio dei mercanti infedeli, cioè Cristiani» (Scaduto [1947]
1982: 72). Come osserva Falkenhausen (1994: 49), nella scelta di istituire il SS. Salvatore in lin-
gua Phari «il re normanno seguiva la politica dei suoi predecessori, i quali […] collocavano le lo-
ro fondazioni monastiche secondo precisi criteri strategici. Sembra che Ruggero II volesse evitare
che i due porti comunicanti dello Stretto fossero controllati dai baroni normanni, spesso inclini
alla sedizione».
14 Il racconto dei primi fervidi decenni di vita del cenobio ci è consegnato dal typikon (re-

gola), redatto secondo la tradizione monastica bizantina dal primo egumeno: l’edizione del te-
sto, trasmesso dal codice Messan. Gr. 115, è procurata da Arranz (1969). L’egumeno Luca,
morto nel 1149, mantenne sempre rapporti eccellenti con il sovrano, come provano ben tredici
privilegi greci emanati da Ruggero tra il 1131 e il 1149, tutti conservatisi fino ai giorni nostri.
«Alle donazioni delle terre seguirono quelle dei villani […]. Inoltre, il re concedette capi di be-
stiame in gran numero, diritti di pascolo, mulini e gualchiere […], case a Messina e diritti di le-
gnatico nella foresta di Mascali. Le navi e le barche del SS. Salvatore potevano trafficare libera-
mente nello Stretto […] e trasportare i prodotti agricoli dei monasteri […] da Messina a Reggio
14 Marco Maggiore - Daniele Arnesano

dell’abbazia proseguì senza particolari contraccolpi anche nei decenni che se-
guirono alla morte di Ruggero. Vero è che la progressiva e rapida latinizza-
zione delle élites siciliane tendeva ad accentuare un po’ ovunque la decaden-
za del monachesimo bizantino, evidente già verso la fine del XII secolo15.
nondimeno, i privilegi dell’epoca di Ruggero restarono in vigore per tutta
l’età normanno-sveva: pertanto, pur nel declino generale della vita spiritua-
le, i monaci del SS. Salvatore poterono contare su cospicue rendite finanzia-
rie che essi seppero amministrare con particolare abilità16. Ancora all’inizio
del secolo XIII, non a caso, l’archimandritato «era in grado di prestare ben
60.000 tarì al governo del giovane Federico II» (Falkenhausen 1994: 52).

2.1. Manoscritti e testi romanzi


nel corso della sua storia l’abbazia del SS. Salvatore si dotò di una rag-
guardevole biblioteca, il cui nucleo iniziale era costituito dai volumi che
l’egumeno Luca e i primi monaci avevano portato con sé da Rossano17. La
traslazione di codici dalla Calabria a Messina è peraltro all’origine del cosid-
detto “stile di Reggio”, una peculiare forma grafica che rappresenta un’evo-
luzione della scrittura greca elaborata presso il Patir di Rossano18. La raccolta
libraria del SS. Salvatore è oggetto di una cospicua bibliografia, che è qui
impossibile riassumere anche solo per sommi capi 19. Una notevole parte dei
codici è conservata tuttora a Messina, presso la Biblioteca regionale universi-
taria “Giacomo Longo”: si tratta di un patrimonio comprendente 175 ma-

o Catona e viceversa» (Falkenhausen 1994: 48). In breve tempo «l’abbazia fu popolata da mona-
ci esperti nel canto liturgico e nelle Sacre Scritture, ma vi furono convocati anche monaci periti
nelle varie arti, grammatici, calligrafi, insegnanti della Sacra Scrittura, ma non privi di una certa
cultura secolare. Inoltre per completare l’arredo dell’abbazia, si acquistarono manoscritti e reli-
quie» (ivi: 49).
15 «La fondazione […] del monastero del Salvatore a Messina è di fatto un tentativo di

Ruggero di porre un riparo di ordine amministrativo-gerarchico ad un processo di decadenza.


Ma i segni si moltiplicano» (Varvaro 1981: 177). «D’altra parte, il contemporaneo allargarsi del-
le tensioni tra l’Occidente e l’impero bizantino, tensioni che portarono alla quarta crociata, alla
conquista di Costantinopoli del 1205 e alla fondazione dell’impero latino d’Oriente, non soltan-
to rendeva il rito greco particolarmente impopolare, ma privava gli abitanti greci del regno del
loro punto principale di riferimento religioso» (Falkenhausen 1994: 52).
16 Si distinse per particolare abilità nella gestione finanziaria l’archimandrita Onofrio, atte-

stato al vertice del monastero tra il 1159 e il 1183: cfr. Falkenhausen (1994: 50).
17 Secondo il typikon del codice Messan. Gr. 115 (cfr. supra n. 14), Luca portò con sé da

Rossano «“calligrafi e maestri”, insieme a coloro “che avevano appreso con esattezza i canti della
chiesa” e “libri eccellenti in gran numero” tra cui anche “opere storiche ed altre di carattere pro-
fano”» (Rodriquez 2017: 122).
18 La definizione di “stile di Reggio” è corrente a partire da Canart / Leroy (1977); per ulte-

riori riferimenti bibliografici rinviamo alle note al § 3.


19 Rinviamo direttamente alla bibliografia generale a cura di Rodriquez (2002), integrabile

con Rodriquez (2017).


La formula matrimoniale del codice Hunter 475 15

noscritti, due rotoli e 61 frammenti 20. Tuttavia, non pochi codici identificati
come messinesi sono attualmente conservati in altre biblioteche italiane e
straniere 21.
Uno dei correlati dell’abbondante produzione manoscritta locale è l’esi-
stenza di testi romanzi in caratteri greci trasmessi da codici del SS. Salvatore:
il Messan. gr. 112 conserva in due passi del vangelo greco di san Marco un
volgarizzamento siciliano interlineare databile alla seconda metà del Trecen-
to. La prima sequenza, nota agli studi col titolo di Miracolo dell’indemoniato,
fu pubblicata da Vincenzo Di Giovanni nel 1883, primo testo greco-roman-
zo meridionale in assoluto a venire scoperto e studiato; più tardi anche la se-
conda sequenza interlineare fu trascritta e pubblicata da Oronzo Parlangèli,
che le assegnò il titolo di Miracolo del paralitico 22. In un altro codice del SS.
Salvatore, il Messan. gr. 77, si leggono le glosse greco-romanze databili tra la
fine del XIV e gli inizi del XV secolo pubblicate da Melazzo (1992).

co è il Calendario siciliano che si legge (preceduto dal titolo καλανδδάρου λου


Un documento di singolare interesse culturale prima ancora che linguisti-

κουάλη τζη σου λη φέστι, cioè kalanddáru lu kuáli tzi su li fésti) alle cc. v-243r
del codice Messan. gr. 107, un libro liturgico greco (λειτουργικόν). Il testo,
che ha beneficiato di ben due edizioni apparse a breve distanza di tempo
l’una dall’altra23, offre un prezioso spaccato della vita religiosa messinese in-
torno agli anni ’60 del Quattrocento 24: esso consiste infatti in un elenco di
tutte le vigilie, le feste e le solennità religiose ordinate nell’arco di un anno,
da gennaio a dicembre. Gli studiosi non hanno mancato di notare (fornen-
done varie interpretazioni) il fatto che il Calendario, pur figurando in un

20 Segnaliamo l’avvio di una meritoria iniziativa di digitalizzazione dei manoscritti di code-

sta istituzione: alla data del 10 ottobre 2020 sono consultabili sul sito <bibliome.it> le fotoripro-
duzioni dei codici dal nº 1 al nº 45 del fondo del SS. Salvatore.
21 Si vedano gli studi cit. nel § 3. Qui ricordiamo almeno che il fondo è catalogato da

Mancini (1907); per i codici datati è disponibile il catalogo di Rodriquez (1999). Rodriquez
(2017) indaga la consistenza della biblioteca del SS. Salvatore tra i secc. XVI e XVIII, identifi-
cando diversi codici attualmente conservati all’estero sulla base di tre cataloghi cinquecenteschi
sopravvissuti fino ai giorni nostri; per la bibliografia generale cfr. anche n. precedente.
22 Il Miracolo dell’indemoniato è pubblicato da Di Giovanni ([1883] 1889), ma solo in tra-

slitterazione latina; la prima edizione filologicamente fondata del testo, che ne riproduce anche
la scrittura in caratteri greci, è procurata da Cesareo ([1898] 1930); Parlangèli (1960: 175-180)
ristampa il testo, aggiungendo per la prima volta l’edizione del cosiddetto Miracolo del paralitico
(ivi: 181-183); cfr. Basile (2012: 62-63, 73).
23 Si tratta di Follieri / Mosino (1982) e di Melazzo (1984); in quest’ultimo contributo il

testo è corredato di una traslitterazione in caratteri latini. Sul Calendario e la sua vicenda critica
si diffonde Basile (2012: 64-65, 73). Al codice Messinese dedica uno studio approfondito Ro-
driquez (2006: 195-202), cit. in Parenti (2008: 94 n. 5).

in particolare, secondo Parenti (2008: 100) è possibile «circoscrivere la realizzazione del Λειτουρ-
24 Data verosimile del codice in base alle filigrane (1460 / 70): cfr. Rodriquez (2006: 200);

γικόν [scil. del codice liturgico Messinese] tra la fine del 1462 e la morte dell’archimandrita Pie-
tro nella primavera del 1467, o anche negli anni immediatamente successivi».
16 Marco Maggiore - Daniele Arnesano

messale greco, segua uno schema delle festività integralmente latino, a parti-
re dall’ordine dei mesi 25. Della questione si occupa attualmente Stefano Pa-
renti, che in due recenti contributi 26 ha formulato una serie di precisazioni
tanto sulla natura del testo quanto su singoli aspetti di interpretazione con-
troversa. Da questi lavori si apprende, anzitutto, l’identità del copista del co-
dice messinese, alla cui mano dobbiamo il Calendario: si tratta di un greco di
nome Manuele, allievo e collaboratore di Costantino Laskaris 27. Il fatto che

Calendario, in particolare l’impiego di <(μ)π> per [b] e di <(ν)τ> per [d], ti-
il copista sia greco permette di spiegare alcune caratteristiche grafiche del

pici grecismi grafici che solitamente non si osservano in testi scritti da italo-
greci 28. Inoltre, alcune osservazioni di Parenti permettono di ipotizzare che
Manuele abbia copiato il testo da un antigrafo in scrittura latina29. Lo stu-
dioso, infine, confronta il Calendario con altri testi dello stesso tipo conser-
vati in codici liturgici greci coevi o più antichi, concludendo che il docu-
mento non deve necessariamente far pensare che il clero italogreco messinese
si fosse ormai omologato agli usi della liturgia romana: si tratterà infatti di
un semplice strumento di natura pratica, utile per un chierico di rito greco
al quale facesse comodo «avere sotto mano una lista di feste e memorie cele-
brate in qualche chiesa latina di Messina o nel messinese» 30.
Occorre menzionare un ultimo testo greco-romanzo proveniente dal-
l’area dello Stretto, che pure non è trasmesso da un codice del SS. Salvatore:
ci riferiamo al sermone per la Domenica delle Palme in volgare siciliano, con

gli dell’attuale codice greco Z. α. VII della Badia di Grottaferrata. Docu-


inserti in greco e latino, scritto in caratteri greci tra il 1375 e il 1390 sui fo-

mento singolare anche per la presenza di grafemi dell’alfabeto latino che af-
fiorano desultoriamente nella scrittura greca, il sermone è stato copiato dalla
mano di tale Filippo di Gualtero, chierico e discepolo di un sacerdote del

25 L’anno liturgico bizantino va infatti da settembre ad agosto: cfr. Basile (2012: 64).
26 Cfr. Parenti (2008) e (2015).
27 L’identificazione è già proposta da un lavoro di Teresa Martínez Manzano del 1994 che

28 Cfr. Maggiore (2017: 329). Ci riferiamo a grafie come Μπρίτζιτα per Brigida, Νοβέμπρο
non ci è stato possibile consultare: cfr. Parenti (2008: 100-101).

novembro ‘novembre’, κουμαντάτα kumandata, ἀμπάτη abbati ‘abate’, Μπα(π)τίστα Ba(p)tista ecc.
(Follieri / Mosino 1982: 107). Per la presenza dello stesso uso grafico nella ricetta del codice
Vat. gr. 1538, cfr. De Angelis / Logozzo (2017: 65-66).
29 In particolare, in un punto del calendario dovrebbe essere menzionata l’intitolazione di

una certa chiesa a S. Domenica, ma in luogo del nome della santa il copista ha lasciato una “fi-
nestra” dell’estensione di sei lettere circa. A detta di Parenti (2015: 29), «è possibile […] che
all’origine non ci sia una rasura nel modello, ma che il copista abbia calcolato lo spazio da lascia-
re in bianco, per tornare in un secondo tempo sul termine latino che al momento non riusciva a
comprendere. Più concretamente si può ipotizzare che nell’antigrafo il nome della santa fosse
espresso con l’abbreviazione Dom.cæ, forse troppo ostica per il copista Manuele, certamente più
versato nella lingua greca».
30 Parenti (2008: 111).
La formula matrimoniale del codice Hunter 475 17

monastero messinese di san Marco; al testo ha dedicato uno studio Rocco


Distilo 31.
Questo drappello di testi greco-romanzi connessi al SS. Salvatore e agli
altri monasteri greci dell’area messinese si dispone su una cronologia relati-
vamente tardiva (nessun testo è anteriore al secolo XIV) e riflette l’attività di
chierici e religiosi impegnati nell’esercizio della liturgia o nello studio dei testi
sacri: così si spiegano anche la traduzione interlineare di passi evangelici e le
glosse a singole voci. Il contesto culturale in cui operano questi religiosi preve-
de la convivenza con la cultura e la religione dei “latini”, sempre più pervasi-
ve. negli ultimi decenni del Trecento il latino alterna col greco nel sermone
di Filippo di Gualtero, e perfino un greco come il copista Manuele, ormai in
pieno Quattrocento, trascrive nel proprio messale un calendario delle festivi-
tà romane senza tradurlo in greco, ma mantenendone la veste siciliana. Tiran-
do le somme, la penetrazione dell’elemento linguistico romanzo nelle scrittu-
re della comunità greca di Messina non può certo dirsi un fatto sorprenden-
te, tenendo conto del quadro linguistico della Sicilia nei secoli XIV e XV 32.

3. Il codice Glasgow Hunter 475 e le sue scritture 33

Il manoscritto Hunter 475 della University Library di Glasgow è un


evangeliario bizantino, membranaceo, di mm 180 × 140, noto agli studiosi
principalmente per la presenza di quattro pregevoli miniature a tutta pagina
che raffigurano gli evangelisti 34 e per la sua decorazione 35. Il codice è però
interessante anche sul piano codicologico e paleografico. Per avere un qua-
dro generale della sua struttura e del suo contenuto può essere utile la se-
guente tabella (Tab. I)36.

31 In Distilo (1990: 83-182). La scoperta del testo era stata annunciata da Distilo / Jacob

(1989-1990).
32 Questo tipo di documentazione, del resto, all’altezza cronologica in esame non può con-

cernere che Messina e l’area dello Stretto: «come fatto collettivo, fuori dal messinese, la grecità
non superò il Trecento e già all’inizio di tale secolo doveva essere esangue» (Varvaro 1981: 179).
33 Le seguenti osservazioni sono formulate sulla base dei dati presenti nei cataloghi e dal-

l’esame della riproduzione integrale del manoscritto disponibile online sul sito <http://www.
csntm.org/Manuscript/View/GA_560>.
34 Rinvio anzitutto a Young / Aitken (1908: 394-397); orp (1987: 60 nº 12); Buckton

(1994: 178-179); Pedone (2012: 207 n. 32). Si veda anche l’utile scheda sul manoscritto con-
sultabile all’interno del portale Pinakes, all’indirizzo internet <https://pinakes.irht.cnrs.fr/noti
ces/cote/17326/>.
35 Džurova (2008: 46); Pedone (2012: 207, 220 fig. 20).
36 Per la fascicolazione si segue Young / Aitken (1908: 395). La numerazione dei fascicoli è

assente nel manoscritto (o almeno oggi non più visibile); quella riportata nella prima colonna è
una numerazione assegnata da chi scrive per comodità di esposizione. Per quanto concerne la fo-
liazione, si segue quella riportata a matita nell’angolo superiore destro del recto di ogni foglio.
18 Marco Maggiore - Daniele Arnesano

Fascicoli Fogli Contenuto Fogli


Ἀκολουθία εἰς μνήστρα 1r-3r
I 1-8 Ἀκολουθία εἰς γάμον 3v-13v
II 9-16 Τάξις εἰς γάμους διγαμίας 14r-15v
Giuramento di fedeltà del monaco
del Santissimo Salvatore 16r-17r
Eusebio, Lettera a Carpiano 17v-19r
[Foglio bianco] 19v
III 17-24 Canoni eusebiani 20r-25v
IV 25-28 Capitoli del Vangelo di Matteo 26r-27v
[bianco] 28r
Ritratto dell’evangelista Matteo 28v
V-XIV 29-108 Vangelo di Matteo 29r-108v
[bianchi] 109r-110r
XV 109-110
Ritratto dell’evangelista Marco 110v
Vangelo di Marco 111r-170r
[bianco] 170v
XVI-XXIII 111-173
Capitoli del Vangelo di Luca 171r-173r
Ritratto dell’evangelista Luca 173v
Vangelo di Luca 174r-272v
XXIV-XXXVI 174-273
Capitoli del Vangelo di Giovanni 273rv
[bianco] 274r
Ritratto dell’evangelista Giovanni 274v
XXXVII-XLVIII 274-367 Vangelo di Giovanni 275r-346v
Ἐκλογάδιον 347r-357v
Συναξάριον 357v-367v

Tabella I.

Confrontando la struttura dei fascicoli con il contenuto, si può osservare


che il codice è costituito fondamentalmente da due parti. Quella più antica
(fascicoli III-XLVIII) è anche la più ampia. Tale sezione è costituita da quat-
tro blocchi principali, scanditi dalla coincidenza dell’incipit di ogni Vangelo
La formula matrimoniale del codice Hunter 475 19

con il primo foglio di un nuovo fascicolo 37. Il primo blocco (V-XV) è prece-
duto da un quaternione (III) e da un binione (IV) utilizzati per copiare la
Lettera a Carpiano e i canoni di Eusebio, i capitoli del Vangelo di Matteo e il
ritratto dell’evangelista. Il secondo blocco (XVI-XXIII), contenente il Van-
gelo di Marco, è preceduto da un bifoglio (XV), in gran parte bianco (in cui
forse avrebbero dovuto prendere posto i capitoli) ma che ospita nel verso del-
l’ultimo foglio il ritratto dell’evangelista. Il terzo blocco (XXIV-XXXVI)
contiene il Vangelo di Luca (i cui capitoli e il ritratto si trovano negli ultimi
fogli del blocco precedente). Il quarto blocco (XXXVII-XLVIII) si apre con
un foglio bianco e il ritratto di Giovanni (i capitoli si trovano nell’ultimo fo-

sono ospitati un Ἐκλογάδιον ed un Συναξάριον 38 (ovvero i due calendari del


glio del blocco precedente), seguito dal testo evangelico; nello stesso blocco

ciclo mobile e fisso dell’anno liturgico).


Il lavoro di copia del corpo principale del manoscritto di Glasgow fu
svolto da due amanuensi. Al primo (A) vanno assegnate le cc. 17v-108v, al
secondo (B) le cc. 111r-367v 39.
La scrittura del copista A è ascrivibile a quell’alveo di scritture fluide, dal
tracciato morbido e curvilineo, con affettazioni cancelleresche (come i pro-
lungamenti sinuosi delle aste), impiegate in Sicilia (sicuramente tra il mona-
stero del Santissimo Salvatore di Messina e la cancelleria di Ruggero II), in-
torno alla metà del secolo XII, sia in alcuni documenti (tanto pubblici quan-
to privati) sia in alcuni libri. Si tratta di quella che Santo Lucà ha definito
minuscola «tipo Bartolomeo», dal nome del monaco di Bordonaro (attivo
come scriba anche al Santissimo Salvatore), cui si deve la copia di vari mano-
scritti fra il 1150/1151 ed il 1164/116540. Un ottimo esempio di questo ti-
po di minuscola è quella di Giovannicio, monaco del Santissimo Salvatore 41,

37 Alle cc. 29r (Matteo), 111r (Marco), 174r (Luca). Fa eccezione il Vangelo di Giovanni,

che inizia al secondo foglio del fascicolo (c. 275r).


38 Quest’ultimo è incompleto, per la caduta di alcuni fogli, come già osservato da Young /

Aitken (1908: 394, 395).


39 Il lavoro dei due copisti è da considerare non il frutto di un accorpamento (o di un’inte-

grazione da parte del primo al secondo, come ritiene Buckton 1994: 179) ma il risultato di un
atto di copia contestuale ed organizzato all’interno di uno stesso atelier: le caratteristiche codico-
logiche, infatti, sono omogenee e le due scritture, come vedremo tra poco, sono coeve e attestate
nella medesima area e nei medesimi centri di copia. Questa parte del codice di Glasgow è stata
assegnata agli inizi del secolo XIII da Young / Aitken (1908: 395), al secolo XI (copista A) e al
XII-XIII (copista B) da orp (1987: 60 nº 12), alla seconda metà del secolo XII da Buckton
(1994: 179).
40 Su Bartolomeo di Bordonaro cfr. Lucà (1985: 54, 57, con specimina), (2007: 66-67),

(2009: 209-211).
41 La mano di Bartolomeo di Bordonaro è stata identificata da Mario Re in un primo mo-

mento con il copista principale del typikon del Santissimo Salvatore, oggi manoscritto Messan.
Gr. 115 (Re 1990: 146-148, tavv. I-II); questa tesi è stata poi rivista dallo stesso studioso, che vi
ha riconosciuto proprio quella del copista Giovannicio (Re 2005a: 310-311).
20 Marco Maggiore - Daniele Arnesano

da lui impiegata nei documenti Archivo Ducal de Medinaceli (d’ora in avan-


ti ADM) 1328 (attore del quale è l’archimandrita Luca) e ADM 1265, en-
trambi del 114142, nonché in ADM 529, del 1133 (sigillion di Ruggero II)43.
Proprio con la scrittura di Giovannicio presenta maggiori analogie quella del
copista A del codice Hunter.
La grafia del copista B del nostro manoscritto è un’elegante minuscola
calligrafica e rientra nel cosiddetto «stile di Reggio», di cui il codice di Gla-
sgow costituisce dunque una nuova testimonianza. Lo «stile di Reggio», co-
me è noto, si diffuse principalmente nell’area dello Stretto di Messina e nel
corso del secolo XII (con attestazioni via via più artificiose e imbastardite nel
XIII), impiegato per vergare tanto libri d’apparato quanto documenti priva-
ti 44. nel codice di Glasgow la scrittura presenta un contrasto modulare ac-
centuato ed un ductus posato e risulta eseguita con scioltezza e grande peri-
zia: essa può essere accostata agli esempi più rappresentativi della parabola
evolutiva dello stile e va verosimilmente collocata nel pieno secolo XII 45.
Sulla base della contestualizzazione paleografica qui proposta, si può af-
fermare che le due scritture del codice Hunter sono fra loro coeve, databili al
pieno secolo XII e vergate in un atelier sito nell’area dello Stretto di Messina.
Alla sezione del manoscritto appena esaminata furono aggiunti due fasci-

matrimonio: una ᾽Ακολουθία εἰς μνήστρα (cc. 1r-3r)46, in caratteri greci ma


coli (I-II), vergati da un’unica mano e contenenti testi liturgici sul rito del

in parte in lingua romanza (fino al r. 6 di c. 1v; cfr. infra § 5), una Ἀκο-
λουθία εἰς γάμον (cc. 3v-13v), attribuita nel manoscritto al patriarca Metodio
di Gerusalemme (sic), ed una Τάξις εἰς γάμους διγαμίας (cc. 14v-15v), attri-
buita a Metodio di Costantinopoli. nelle cc. 16r-17r lo stesso copista vergò
un testo adespoto, un giuramento di fedeltà e di obbedienza da parte dei
monaci del Santissimo Salvatore al re e all’archimandrita Eutimio; in parti-
colare, il giuramento è imposto a quei monaci che venivano ad assumere un
ufficio all’interno dell’archimandritato, con l’impegno di non svelare gli affa-
ri del monastero e di rivelare invece prontamente quelle informazioni even-
tualmente acquisite riguardanti trame contro il monastero. Eccone l’incipit

42 Sulle due pergamene cfr. Bravo Garcia (1991: 432 tav. XI); Crisci / Degni (2002: 527
tav. XXVIIIa); Degni (2002a: 116 tav. I, fig. 1a-b), (2002b: 64-66 tav. 3); von Falkenhausen
(2009: 150-151, 158-160, tav. II).
43 Degni (2006: 273 e n. 32); una riproduzione in Crisci / Degni (2002: 507 tav. XIIIa).
44 Sullo Stile di Reggio cfr. Canart / Leroy (1977); Re (2001); Degni (2002b); Re (2005a).
45 Utili materiali di confronto sono ad esempio i manoscritti Athos, Esphigmenou 25 (a.

1128/1129), Messan. gr. 172 (a. 1178/1179) e 98 (a. 1184), su cui cfr. Lake / Lake (1934-
1939, rispettivamente vol. III, nº 108, tav. 200; vol. IX, nº 353, tavv. 651-652 e nº 355, tavv.
656-657); sui manoscritti di Messina si veda anche Rodriquez (1999, rispettivamente pp. 44-45,
46 L’abbreviazione di quest’ultima parola è sciolta erroneamente da Young in μυστήριον
tavv. 10, 63-65, pp. 46-49, tavv. 11, 67-76).

(Young / Aitken 1908: 395).


La formula matrimoniale del codice Hunter 475 21

(utile, come si vedrà, per ricostruire il contesto di produzione e fruizione del


manoscritto)47:
Ἐγὼ ἀδελφὸς ὁ δεῖνα ὀμνύω μοι ἐν τοῖς ἀχράντοις καὶ θεῖοις εὐαγγέλοις πιστότητα
τῷ κύρι ἡμῶν ῥηγὶ καὶ σοὶ τῷ θεοτιμήτῳ καὶ μεγάλῳ ἀρχιμανδρίτῃ κυρίῳ Εὐθυμίῳ
τῆς μεγάλης μάνδρας τοῦ Σωτῆρος ἀκρωτηρίου γλώσσης Μεσσήνης.
Io, frate [nome], giuro sul puro e divino Vangelo fedeltà al re, nostro signore, e
a te, Eutimio, venerabile archimandrita del monastero del Santissimo Salvatore
de lingua [phari] di Messina.

La scrittura della prima sezione del manoscritto di Glasgow (cc. 1r-17r)


non è inquadrabile in uno stile o in una tipizzazione grafica e necessita di
un’analisi più dettagliata. Si tratta di una minuscola appesa al rigo, dal trac-
ciato e dal ductus un po’ mutevoli, per lo più inclinata verso destra, un po’
rigida (si osservi ad esempio la forma tozza di kappa e lambda maiuscoli e di
rho), con un contrasto talvolta accentuato fra tratti sottili e tratti spessi (co-
me nel sistema grafico latino), un basso rapporto fra nuclei e aste delle lette-
re, un’artificiosa contrapposizione fra lettere strette (epsilon maiuscolo, theta,
ny, omicron, il raro sigma maiuscolo) e lettere schiacciate (alpha minuscolo,
delta maiuscolo, my, phi), con poche legature (comunque assai elementari),
connotata piuttosto da pseudolegature, ottenute attraverso il prolungamento
dei tratti orizzontali, povera di abbreviazioni. Tra le forme caratteristiche si
segnalano zeta 48, eta sempre maiuscolo, pi e tau con un ispessimento all’e-
stremità sinistra del tratto orizzontale, xi 49, qualche pur rara occorrenza di ny
e ypsilon maiuscoli 50.
L’assenza di elementi tipizzanti rende questa scrittura – che a tratti ap-
pare quasi elementare – refrattaria ad una collocazione precisa nello spazio
(potremmo definirla genericamente italo-greca) e nel tempo (secolo XIII o
XIV)51. Se il dato paleografico resta elemento vago, il contenuto dei primi
17 fogli del codice di Glasgow (ed in particolare l’incipit del giuramento) è
invece elemento utile per circoscrivere la loro origine. Esso infatti consente
di stabilire che il copista fosse, se non originario, comunque attivo nel mo-
nastero del Santissimo Salvatore: forse un monaco, un amanuense di mode-
sta preparazione tecnica o magari un copista greco-latino, sforzatosi di otte-
nere una minuscola calligrafica che fosse all’altezza del contenuto e della ti-

47 nel manoscritto esso è preceduto dalla rubrica Τοῦ πατρὸς ἡμῶν, senza ulteriore specifi-

cazione.
48 Ad es. c. 4r, r. 1, r. 3 dal basso. Minoritario zeta a forma di 3 (ibidem, r. 8).
49 Zeta e xi sono identiche nel tratteggio iniziale: cfr. c. 8v, r. 1 dal basso.
50 Ad es. c. 10v, rr. 5, 6.
51 Essa è stata assegnata al secolo XV da Young / Aitken (1908: 395), al secolo XIII da

orp (1987: 60 nº 12), al XIV o XV da Buckton (1994: 179).


22 Marco Maggiore - Daniele Arnesano

pologia libraria52. Per quanto riguarda la datazione, si osserverà che la cita-


zione dell’archimandrita Eutimio, a capo del monastero dal 1259 al 1266 53,
permette di fissare nel 1259 il terminus post quem per la collocazione tempo-
rale della scrittura. Se il testo del giuramento non è una copia realizzata sotto
un abate successivo (eventualità che pure non si può escludere, ammettendo
un mancato aggiornamento del nome dell’archimandrita nell’incipit), la
stessa citazione impone di datare la scrittura proprio agli otto anni in cui il
monastero fu guidato da Eutimio. L’analisi paleografica appena proposta,
del resto, se da un lato non impedisce una datazione successiva al 1266, dal-
l’altro non ostacola quella agli anni 1259-1266 54. Ulteriori indagini paleo-
grafiche, filologiche, codicologiche potranno chiarire se la scrittura in ogget-
to è attribuibile proprio a tale periodo o ad epoca successiva.
L’incipit del giuramento ci consente comunque di localizzare i primi due
fascicoli del codice di Glasgow nel monastero del Santissimo Salvatore. Ma
non solo. Considerato che, per completare il proprio lavoro, il copista dei
primi sedici fogli sfruttò anche il recto di c. 17, appartenente alla sezione più
antica del manoscritto 55, è possibile affermare che quest’ultima era certa-
mente presente a partire da una certa data tra le mura del cenobio (più diffi-
cile dire se vi fu anche prodotta) e che il copista stesso vi aggiunse i primi
due fascicoli da lui vergati. Tale operazione, se la datazione della nostra scrit-
tura agli anni 1259-1266 rispondesse a verità, si inserirebbe coerentemente
nella temperie storica attraversata dal Santissimo Salvatore e dalla grecità ca-
labro-sicula; proprio l’età sveva, con i suoi dissidi e le sue lotte, vide infatti
un calo nella produzione libraria del monastero 56, non più intensa come nel-
l’epoca precedente e non ancora ravvivata dalla renovatio librorum avviata
poi nel corso degli anni Settanta57: dunque una fase di stallo, in cui era più
naturale integrare un libro vecchio che produrne uno ex novo.

52 nel contesto socioculturale calabro-siculo i due sistemi grafici coesistevano, soprattutto

in età svevo-angioina, come testimoniano i non pochi manoscritti bilingui giunti sino a noi.
Sull’argomento si veda De Gregorio (2002: 114-134).
53 Il nome di Eutimio è in realtà documentato a partire dal 1262; accogliamo però l’ipotesi

avanzata da Mercati (1935: 174, seguito da Scaduto 1947 [1982]: 242) che egli vada identificato
con il Teofimo (sic), documentato prima di lui e succeduto a Giacomo I (morto appunto nel 1259).
54 nella seconda metà del secolo XIII, infatti, in Italia meridionale, accanto alla sopravvi-

venza di uno stile di Reggio imbastardito e alla fioritura della minuscola barocca di area salenti-
na, non mancano grafie prive di elementi connotanti o appariscenti, più sobrie, sia tendenti ad
un polo più posato e calligrafico (o con pretese calligrafiche), come nel caso in esame, sia verso
un polo più corsivo.
55 In origine era rimasto bianco: la prassi di lasciare bianchi alcuni fogli è riscontrabile an-

che nel resto della parte principale.


56 Cfr. Foti (1991: 392). non abbiamo manoscritti datati prodotti con certezza nel Santissimo

Salvatore negli anni 1259-1266. Allargando il panorama al di là dell’area dello Stretto, si può cita-
re un manoscritto vergato nel 1260/1261 dal sacerdote Matteo di Palermo, su cui cfr. Re (2005b).
57 Su quest’ultima cfr. Lucà (2008: 135-143).
La formula matrimoniale del codice Hunter 475 23

Concludiamo queste brevi osservazioni con altri due dati desumibili dal
manoscritto. Al centro del margine superiore di c. 1r si legge «PME». non è

realtà di una cifra, ρμε΄ (= 145), vergata in una scrittura identica a quella delle
una sigla o un ex libris, come di primo acchito si potrebbe pensare: si tratta in

antiche segnature in cifre greche presenti in molti manoscritti del Santissimo


Salvatore. Il nostro manoscritto non è identificabile con alcuno dei codici regi-
strati nei diversi inventari della biblioteca messinese, ma questo non costituisce
un ostacolo: avendo una segnatura superiore a 95, esso si trovava tra quelli che

dopo appunto l’item 95, definisce genericamente «ἄλλα βιβλία» (c. 49v)59,
un inventario greco redatto fra gli ultimi anni del XVI secolo e l’anno 163758,

evenienza osservata anche per altri manoscritti provenienti dall’archimandri-


tato60. La segnatura greca conferma senza ombra di dubbio che il manoscrit-
to di Glasgow appartenne al monastero del Santissimo Salvatore di Messina.
Possiamo infine notare che in seguito l’evangeliario appartenne al teolo-
go e filologo César de Missy (1703-1775)61, come si evince dall’ex libris pre-
sente nel margine inferiore di c. 1r («Ex libris Caesaris de Missy berolinensis.
Londini, anno Domini 1748»)62, alla cui mano va attribuita anche la nume-
razione dei capitoli e dei versetti presente nei margini del manoscritto. non
sappiamo se il codice giunse nelle mani del de Missy direttamente nel mona-
stero (ma la presenza dell’erudito in Italia meridionale non è documentata)
o, come è più probabile, tramite uno o più intermediari. Al de Missy appar-
tenne anche un altro manoscritto proveniente dal Santissimo Salvatore, il
frammento di Oxford, Auct. T. inf. 2. 12 (cc. 9, 11), attribuito al secolo XI
e contenente brani dai Profeti 63.

4. Le formule di giuramento del codice Hunter: datazione e significato

Le fonti storiche ci dànno notizia di un unico archimandrita messinese


di nome Eutimio, eletto alla carica nel 1259 e rimasto verosimilmente per
alcuni anni alla guida del SS. Salvatore, ma certo non oltre il 1266 64. La sua

Par. Suppl. gr. 798, c. 94v: «Πολλὰ δὲ ἄλλα βιβλία περιέχουσι τὰ πάντα τοῦ χοροῦ». Sull’in-
58 Su questo inventario cfr. Bucca (2016: 251-255).
59

ventario greco cfr. Mercati (1935: 47-49); Rodriquez (2017: 126-133). Una riproduzione inte-
grale del manoscritto parigino è consultabile sul portale <https://gallica.bnf.fr>.
60 Su tale numerazione si veda Bucca (2017: 44-46 e n. 18).
61 Su cui si veda Ossa-Richardson (2016).
62 Il manoscritto corrispondeva al numero 1638 del catalogo della vendita della sua biblio-

teca: cfr. Michaelis (1776: 101).


63 Madan (1905: 792 nº 30342); Rahlfs (1914: 168; cfr. anche p. 135); Mercati (1935:

157-158); Foti (1977a: 38), (1977b: 205), (1981: 80).


64 Cfr. Scaduto ([1947] 1982: 242-243 n. 71), da cui ricaviamo le successive informazio-

ni sul personaggio. Da non confondere con l’Eutimio vescovo di Catania, vissuto nel IX seco-
24 Marco Maggiore - Daniele Arnesano

fu una nomina fortemente contrastata: Eutimio era il favorito di re Manfre-


di di Svevia, il quale appunto nel 1259, alla morte del precedente archiman-
drita Giacomo, era riuscito a imporlo come successore alla guida dell’abbazia
messinese malgrado l’aperta ostilità dell’arcivescovo di Messina Giovanni
Colonna (1205-1263). Questi caldeggiava l’elezione di Isacco, nipote del de-
funto archimandrita Giacomo, e non volle arrendersi neppure dopo la no-
mina di Eutimio. Forte dell’appoggio del papa Alessandro IV (in carica dal
1254 al 1261), il 6 dicembre di quello stesso 1259 l’arcivescovo messinese si
premurò di nominare ugualmente Isacco archimandrita del SS. Salvatore,
nomina che fu ratificata poco dopo da una bolla papale del 15 ottobre 1260 65.
Ciò nonostante, Eutimio mantenne per alcuni anni le redini dell’archiman-
dritato, con ogni probabilità fino alla morte di Manfredi e alla venuta di
Carlo d’Angiò nel 1266: solo allora Isacco riuscì finalmente a subentrargli
nella carica66. Questo episodio di politica ecclesiastica locale, di per sé nulla
più che un riflesso fra i tanti delle tensioni tra il papato e i regnanti di Sicilia
negli ultimi anni della dinastia sveva, si rivela estremamente prezioso per la
datazione delle scritture dei primi due fascicoli e soprattutto della nostra for-
mula matrimoniale.

del SS. Salvatore de lingua Phari (τοῦ Σωτῆρος ἀκρωτηρίου γλῶττης Μεσσή-
La menzione esplicita a c. 16r dell’archimandrita Eutimio e della mandra

νης), oltre a costituire una prova sicura della provenienza del codice Hunter
dall’abbazia messinese, consentirebbe infatti di datare la stesura dell’intero
gruppo di formule delle cc. 1r-17r (compreso il testo siciliano che qui ci in-
teressa) a un intervallo di tempo decisamente circoscritto, compreso tra il
1259 (nomina di Eutimio) e il 1266 (morte di Manfredi e ratifica della no-
mina di Isacco, già approvata dalla bolla papale del 1260)67. Infatti, come di-

lo, che nel concilio di Costantinopoli dell’869 figura insieme a niceta di Cefalù tra i fautori
di Fozio (cfr. ivi: xxxi; Varvaro 1981: 95); né sicuramente il nostro archimandrita del SS. Salva-
tore ha niente a che spartire con l’Eutimio egumeno del convento di S. nicolò del Gurguro
presso Palermo che nel 1153 commutava terreni con Leone Bisignano (cfr. Scaduto [1947]
1982: 411).
65 ne riportiamo uno stralcio citato da Scaduto ([1947] 1982: 242 n. 71) e proveniente

dall’edizione di Starrabba (1876: 90, nº lxvii): «cum monasterium Sancti Salvatoris de Lingua
Messanens., ordinis Sancti Basilii, Venerabili Fratri nostro Archiepiscopo Messanensi subiec-
tum, tantopere vacavisset, quod erat eius provisio, secundum Generalis statuta concilii, ad eum-
dem Archiepiscopum devoluta […] nos itaque, tuis supplicationibus inclinati quod ab eodem
Archiepiscopo super hoc factum est ratum ea firmum habentes illud Auctoritate Apostolica con-
firmamus […] non obstante quod Euthimius monachus in eodem monasterio per Manfredum quon-
dam principem Tarentinum, seu officiales vel fautores eius sicut dicitur, procuraverit intrudi, et
gerit de facto administrationem ipsius…».
66 Infatti, secondo Scaduto ([1947] 1982: 243 n. 72) «solo ora nell’aprile del 1266 Isacco

fa registrare la bolla di nomina di Alessandro IV, di 7 anni innanzi».


67 La forbice potrebbe ulteriormente ridursi agli anni 1262/1266, a patto di accordare con-

sistenza storica all’ectoplasmatico eophimus menzionato come archimandrita del SS. Salvatore
La formula matrimoniale del codice Hunter 475 25

mostra l’analisi di Daniele Arnesano (§ 3), le formule matrimoniali delle cc.


1r-15v sono state trascritte dalla stessa mano della formula di giuramento
monastico che contiene il riferimento a Eutimio.
Siamo dunque davvero in presenza, con la formula in volgare del primo
foglio, del più antico documento originale databile in siciliano antico? Pur-
troppo non è possibile affermarlo con certezza assoluta. Prima di tutto, al-
meno in linea di principio, non si può dimostrare con sicurezza che i testi
del primo fascicolo siano giunti in originale: certo l’analisi paleografica non
osta a una datazione della scrittura al 1259/1266, ma neppure permette di
escludere per essa una cronologia più bassa (§ 3); è dunque pur sempre pos-
sibile (sebbene poco probabile, come si vedrà) che si tratti di una copia ese-
guita in epoca successiva a partire da antigrafi più antichi risalenti all’età di
Manfredi 68.
Se però così fosse, resterebbe da spiegare come mai il copista che ha tra-
scritto la formula di giuramento non abbia avvertito la necessità di sostituire
il nome di Eutimio con quello dell’archimandrita in carica in quel momen-
to69. Se di sbadataggine si è trattato, è una sbadataggine particolarmente
strana, anche in considerazione del carattere “scomodo” che la figura di Eu-
timio avrà rivestito per i suoi successori nella carica di archimandrita. Se in-
vece i testi sono stati trascritti regnante Euthymio, proprio le controversie le-
gate alla sua nomina e la costante incertezza del suo mandato potrebbero
aver favorito l’esigenza di inserire in un manoscritto così prezioso un testo
che lo menziona esplicitamente in quanto archimandrita in carica (fatto di
per sé eccezionale), per di più nell’ambito di un giuramento di fedeltà da
parte dei monaci. Anche la dichiarazione di obbedienza al re, del tutto irri-
tuale, si spiegherà col fatto che Eutimio doveva la sua elezione a Manfredi di
Svevia, alla morte del quale fu immediatamente sostituito dal rivale di nomi-
na vescovile Isacco. Insomma, pur non trovandoci nella fortunata condizio-
ne di poter datare i testi con sicurezza, ci sembra comunque di rinvenire nel
riferimento a Eutimio una ragionevole garanzia per collocare la formula sici-
liana negli anni del regno di Manfredi.

in un documento giunto in copia tardiva nel manoscritto Città del Vaticano, Biblioteca Aposto-
lica Vaticana, Vat. Lat. 8201 (a c. 304r); ma, come stabilito dal Mercati, si tratta con ogni pro-
babilità di un errore per Euthymius (cfr. supra n. 53).
68 E in questo caso, naturalmente, avremmo un elemento di sicurezza solo per la datazione

del giuramento monastico, non già per le formule matrimoniali di nostro interesse dove Euti-
mio non è menzionato.

apre con un’intestazione generica: «ἐγὼ ἀδελφὸς ὁ δεῖνα» (ms.: Εγῶ ἀδελφὸς ὁδίνα), cioè letteral-
69 Il nome di Eutimio è peraltro l’unico presente nella formula, che – è utile notarlo – si

mente ‘io fratello tal dei tali’ (c. 16r, r. 2). Se la formula fosse stata trascritta in anni diversi da

riormente il testo riferendolo a un ἀρχιμανδρίτης ὁ δεῖνα (‘archimandrita tal dei tali’)?


quelli dell’archimandritato di Eutimio, cosa avrebbe impedito al copista di generalizzare ulte-
26 Marco Maggiore - Daniele Arnesano

Veniamo così all’interpretazione complessiva delle testimonianze. Le for-


mule matrimoniali e il giuramento monastico si trovano all’inizio di un co-
dice di modesto formato (cm 18 × 14) ma di grande pregio, un evangeliario
che potrebbe legittimamente aver fatto parte degli arredi di una chiesa im-
portante. Prescindendo dal problema se la sezione più antica del manoscritto
sia stata realizzata a Messina o piuttosto vi sia arrivata in un secondo mo-
mento (cfr. supra § 3), non è improbabile che l’evangeliario, all’epoca in cui
vi furono aggiunte le formule dei primi due fascicoli (cioè, verosimilmente,
negli anni di Eutimio e Manfredi), fosse utilizzato in chiesa nel corso dei
matrimoni 70. Potrebbe essersi trattato proprio del libro sul quale i nubendi
erano chiamati a porre la mano durante il loro giuramento: e in effetti, non
a caso, la formula siciliana contiene un invito esplicito rivolto ai due sposi a
metti[r]i la manu supra lu livru (3, cfr. § 5.2)71.
Si comprende perciò l’esigenza di allegare allo stesso evangeliario, trami-
te l’aggiunta dei due fascicoli iniziali, i testi recitati nelle celebrazioni che
evidentemente si svolgevano presso il monastero messinese. Il matrimonio,
peraltro, era probabilmente la più importante cerimonia alla quale avessero
occasione di assistere anche laici o comunque individui estranei alla lingua
greca e abituati piuttosto alle formule liturgiche in latino, i quali nella Mes-
sina degli anni ’60 del Duecento costituivano già la stragrande maggioranza
della popolazione. Si spiega probabilmente così la presenza in apertura del
codice della formula siciliana: essa concerne il momento fondamentale del
rito del matrimonio, quello cioè del giuramento degli sposi, che doveva esse-
re inteso e seguito con attenzione da tutti i presenti. Di qui il ricorso al vol-
gare in quest’unico caso, mentre sono comunemente in greco tutte le altre
formule di preghiera del rito scritte nei successivi quindici fogli.
Se dunque le poesie della Scuola siciliana, composte sotto il patrocinio di
Federico II, non ci sono giunte nella loro veste linguistica originaria che in
casi eccezionali e per via indiretta72, il primo probabile documento originale

70 L’usanza di condurre la donna in un monastero per celebrare le nozze pubblicamente è


ricordata anche nella strofa XIV del contrasto di Cielo d’Alcamo (1231/50), vv. 66-70: «Poi
tanto trabagliàstiti, facioti meo pregheri, / che tu vada adomànimi a mia mare e a mon peri. / Se
dare mi ti degnano, menami a lo mosteri / e sposami davanti da la iente / e poi farò le tuo coman-
namente» (Spampinato Beretta 2008: 522, corsivo nostro). Secondo l’editrice (ivi, a p. 539) mo-
steri «qui vale ‘chiesa’, anche semanticamente nell’accezione francese».
71 Anche il rito del giuramento sui vangeli è evocato da Cielo d’Alcamo: «Le Vuangelïe, cà-

rama? ch’ïo le porto in seno; / a lo mostero présile, non ci era lo patrino. / Sovr’esto libro iùroti
mai non ti vegno meno» (ivi: 525).
72 «Per avere un’idea del siciliano della Scuola l’unico reperto in una veste linguistica presu-

mibilmente originale giuntoci nella sua integrità è la canzone Pir meu cori allegrari di Stefano
Protonotaro […], trascritta da una fonte perduta dall’erudito del Cinquecento Giovanni Maria
Barbieri nella sua Arte del rimare. […] In sostanza, anche se la canzone sicuramente non è un
falso, l’atipicità e la seriorità della sua trasmissione impongono cautela nell’assumerla come una
La formula matrimoniale del codice Hunter 475 27

del siciliano scritto chiamerebbe suggestivamente in causa – anche se per il


tramite dell’oscuro archimandrita Eutimio – la figura di Manfredi di Svevia
che, pochi decenni dopo, Dante celebrerà insieme al padre Federico nel De
vulgari eloquentia (I xii 4) come la coppia di «illustres heroes» e promotori
del volgare 73.

5. Il testo
Il testo volgare presente sul primo foglio del codice Hunter corrisponde
alla tipologia del contratto nuziale per verba de praesenti, locuzione tecnico-
giuridica che non a caso si legge tradotta in due punti della formula siciliana:
«vui tzurati a santi dde vantzeli, in vervu di presenti…» (5; 9). Si tratta di
una fattispecie introdotta nel diritto canonico a partire dal XII secolo:
Fu allora che i canonisti introdussero la fondamentale distinzione fra verba de
futuro e verba de presenti, parole per il futuro e parole per il presente. Il contrat-
to per verba de futuro costituiva una promessa, un impegno per l’avvenire, il ve-
ro fidanzamento. Questo rapporto si trasformava automaticamente in matrimo-
nio (detto ‘matrimonio presunto’) se i due promessi sposi andavano ad abitare
insieme e avevano rapporti sessuali. Ma, se questo non avveniva, il fidanzamen-
to era revocabile e coloro che l’avevano stipulato erano liberi di sposarsi con
un’altra persona. Il contratto per verba de presenti, con il quale i due fidanzati si
scambiavano, di fronte a testimoni, formule come ‘io prendo te in moglie’ e ‘io
prendo te per marito’, costituiva il matrimonio e non era dunque revocabile.
Fino alla metà del XVI secolo era questa cerimonia, e non quella in chiesa, che
creava l’obbligo legale vincolante 74.

La formula del codice di Glasgow è pertanto accostabile a quelle in uso


nell’Occidente latino fino al concilio di Trento, che introdurrà una più
stretta associazione fra i riti del matrimonio e la liturgia della messa75. A tito-

fedele testimonianza della lingua dei poeti» (Di Girolamo 2008: lv). «nella sua opera Barbieri
trascrive in veste siciliana anche la prima stanza di Gioiosamente canto di Guido delle Colon-
ne […], un frammento di Re Enzo […] e parte della sua canzone S’eo trovasse pietanza» (ivi:
XCVIII n. 56). Sulla questione cfr. Debenedetti ([1932] 1986: 27-64); Coluccia (2008: xxxii-
xxxiv); Di Girolamo ([2001] 2019).
73 Cfr. Tavoni (2017: 143-144).
74 Barbagli (1996, § 3); cfr. anche Owen Hughes (1996). Sulla distinzione tra contratto per

verba de futuro e per verba de praesenti si concentrò la riflessione di Pietro Lombardo (1100-1160
ca.) e della scuola parigina, che su questo punto prese le distanze dai pronunciamenti della scuo-
la bolognese. nelle Sententiae di Pietro (IV XXXVI 4) si stabilisce infatti che solo la formula de
praesenti valesse per sancire l’unione coniugale (matrimonium perfectum): cfr. Giraudo (2007: 80).
75 «La decisione del Concilio di Trento, secondo cui il matrimonio, per la validità, si dove-

va contrarre in presenza del parroco, o di un altro sacerdote con licenza dello stesso parroco o
dell’ordinario, e di due o tre testimoni, rendeva quanto mai opportuno che l’espressione del
consenso avvenisse entro la celebrazione liturgica del matrimonio» (Miralles 2011: 54).
28 Marco Maggiore - Daniele Arnesano

lo d’esempio, una formula molto simile si legge ancora in un testo piuttosto


tardo come il Liber sacerdotalis del domenicano Alberto da Castello, fortuna-
to rituale per la liturgia presbiterale stampato per la prima volta a Venezia
nel 1523 e ristampato fino al 160376.
La parte De sacramento matrimonii, dopo un’ampia premessa teologico-cano-
nica […], riporta il rito del matrimonio: i due sposi si presentano in chiesa e
davanti al sacerdote prestano giuramento di voler contrarre matrimonio secun-
dum ritus sanctæ Romanæ ecclesiæ; il sacerdote, indossata cotta e stola, interroga
entrambe le parti per accertare che non ci siano impedimenti al matrimo-
nio […]; successivamente interroga lo sposo e la sposa perché esprimano il con-
senso […]77.

Si confrontino le formule recitate dall’officiante agli sposi nel testo sici-


liano (che citiamo per praticità nella nostra traslitterazione, cfr. infra § 5.2)
con quelle del Liber sacerdotalis:

5Vui tzurati a santi dde vantzeli, in ver- et dicat sponso: Domine Petre vel n.78,
vu di presenti, 6 di prindiri a kista mad- placet vobis accipere dominam Cathe-
donna Tali ki vi stai da latu pir vostra rinam vel n. in vestram legittimam
litzitima muggeri 7 sikunddu kumanda sponsam per verba de praesenti, sicut
la santa matri Eklesia rumana […]? praecipit sancta Romana et Apostolica
Ecclesia?

9A la donna: Vui tzurati a santi dde Sacerdos dicit sponse: Domina Cathe-
vantzeli, in vervu di presenti, 10 di prin- rina vel n., placet vobis accipere domi-
diri a kistu miser Tali pir vostru litziti- num Petrum vel n. in vestrum legitti-
mu maritu 11 sikundu kumanda la san- mum sponsum per verba de praesenti,
ta matri Eklesia rrumana […]? sicut praecipit sacrosancta Romana et
Apostolica Ecclesia? 79

Le sequenze sono quasi perfettamente sovrapponibili: tra le poche diffe-


renze spicca nel testo siciliano la presenza del giuramento sui Vangeli, espli-
citato dalla formula vui tzurati a santi dde vantzeli in cui si nota la resa vol-
gare “plebea” della comunissima giuntura latina ad sancta Dei evangelia (cfr.
infra § 6). Insomma, quanto al carattere “latino” della formula siciliana non
possono sussistere dubbi: basterebbe a fugarli il riferimento alla santa matri

76Cfr. Cattaneo (1969: 286-287); Righi (2013).


77Miralles (2011: 46-47).
78 Cioè, ovviamente, nomen.
79 Citiamo dall’edizione stampata a Venezia da Vittore Ravani nel 1537 (cfr. Righi 2013:

110-115).
La formula matrimoniale del codice Hunter 475 29

Eklesia (r)rumana, alla cui giurisdizione, del resto, il SS. Salvatore di Messi-
na era sottoposto fin dalle origini. Con tale indubbia romanità liturgica e
giuridica (basti dire che nei riti nuziali bizantini il consenso è supposto) non
contrasta neppure il fatto che la formula volgare sia seguita, quasi senza solu-
zione di continuità, da una serie di orazioni in greco che l’officiante recitava
per attirare la benedizione divina sul nuovo connubio. Stefano Parenti ci se-
gnala che la parte greca corrisponde in altissima percentuale ai tradizionali
riti matrimoniali in vigore tra l’Aspromonte e lo Stretto, che André Jacob ha
pubblicato dal manoscritto Bodleian Auct. E. 5. 13, scritto al SS. Salvatore
tra il 1121/1122 e il 113180.
Le due sezioni, quella siciliana e quella greca, sono giustapposte nel ma-
noscritto senza che esistano tra l’una e l’altra veri elementi di raccordo, se
non che le orazioni in greco presuppongono che il rito matrimoniale si sia
già compiuto. Pertanto non riteniamo essenziale fornire in questa sede la
trascrizione dei testi in greco81, preferendo concentrarci sull’edizione e lo
studio linguistico della formula in volgare siciliano, dato il suo preminente
interesse per gli studi romanzi.

5.1. Edizione critica


Proponiamo di seguito la nostra edizione, ispirata al criterio della massi-
ma aderenza possibile al testo manoscritto che nel codice Hunter, come ab-
biamo anticipato, occupa l’intero recto e i primi sei righi del verso di c. 1.
Pur senza intervenire in alcun modo sulla superficie grafo-fonetica, intro-
duciamo le seguenti modifiche: separazione delle parole; disciplina dell’in-
terpunzione secondo l’ortografia corrente; suddivisione del testo in capover-
si su base semantica e sintattica82. Diamo conto in nota di alcune particolari-
tà del codice e delle scritture in greco che escludiamo ovviamente dall’edi-
zione83.

80 Cfr. in partic. Jacob (1980: 318-322). Inoltre, a riprova della forte compenetrazione de-

gli elementi bizantino e romano, Stefano Parenti osserva che la formula di giuramento monasti-

dicitura esordiale ὀμνύω μοι che ricalca il latino iuro me e la conclusione che risponde a Sic adiu-
ca in greco citata nei §§ 3 e 4 è un’evidente traduzione dal latino: lo suggeriscono, tra l’altro, la

vet me Deus et hoc sanctum evangelium.


81 Il lettore può accedere ai testi in greco dal facsimile del codice scozzese, interamente

digitalizzato sul sito del Center for the Study of the new Testament Manuscripts (cfr. supra
n. 33).
82 Inoltre sotto 2 stampiamo tra cruces un passo che sarà commentato nel § 5.3.

resa delle legature e di altri comuni segni del greco scritto medievale: lo stigma ϛ è reso come στ
83 Pur trattandosi di fatti assolutamente banali, non omettiamo qualche osservazione sulla

(al r. 1 ϛου = στου); solo in un caso, al rigo 2 di c. 1v, è utilizzata la legatura che compendia il
dittongo ου; infine segnaliamo che η figura a testo sempre nella versione maiuscola H.
30 Marco Maggiore - Daniele Arnesano

/c. 1r/ 84 – 1 Α κκήστου ππινηδΐττου ματριμόνιου, εστϊ νούλλα85 περσούνα κη


ντζη δϊκα νούλλα κόσα?
2 Ἁρρησπούνδι λου πόπουλου: – †οὗνννη βένη†.
– 3 Μεττήτι λα μάνου σούπρα λου λήβρου.
4 Κομου ἀβήτι νόμου?
Βούη τζουράτη ἀ σάντι δδε βαντζέλη, ἧν βέρβου δι πρεσέντι, 6 δι πρήνδιρη
ἀ κήστα μαδδόννα τάλη86 κη βι στάη δα λάτου πηρ βόστρα λητζήτιμα μουγγέρη
5

7 σικούνδδου κουμάνδα λα σάντα μάτρι ἐκλέσια ρουμάνα, 8 δϊ νο λα καντζάρη

πὴρ ματζούρη σούα νήν πηρ πιγιούρη σούα?


Α λα δόννα: – Βούη τζουράτι ἀ σάντι δδε βαντζέλη, ἧν βέρβου /c. 1v/ 87 δι
πρεσέντι, δι 10 πρήνδιρη ἀ κήστου μησὲρ τάλη88 κη βη στάη δα λάτου πηρ
9

βόστρου89 λητζήτιμου μαρίτου 11 σικούνδου κουμάνδα λα σαντα μάτρι ἐκλέσια


ρρουμάνα, 12 δι νό λου καντζάρι πὴρ ματζούρη σόου νἧν πὴρ πιγουρη σόου? 90

10. πρήνδιρη ] ms. πήρνδιρη.

5.2. Traslitterazione e parafrasi


La seguente traslitterazione è improntata al criterio della massima ade-
renza dei grafemi latini a quelli del testo edito. In particolare, ci atteniamo
alla seguente tabella di corrispondenze (Tab. II).
Evitiamo tuttavia di traslitterare gli accenti grafici e gli altri segni para-
grafematici del greco: questo vale a maggior ragione per gli spiriti, dal mo-
mento che l’alternanza tra spirito aspro e dolce nel nostro testo sembra ri-
spondere a un mero meccanismo di scrittura senza reali riflessi ortografici
(altrimenti detto: lo spirito aspro, dove ricorre, non vale h).
Un’avvertenza. Consideriamo la traslitterazione come un mero strumen-
to di servizio, completamente subalterno al testo di cui deve agevolare la let-
tura: pertanto essa non si fa carico in alcun modo della nostra interpretazio-

altre parole, scegliendo di traslitterare il digramma τζ sempre come tz, non


ne fonetica delle grafie, che discutiamo nei paragrafi di analisi linguistica. In

intendiamo certo sostenere che questa grafia stia a indicare un’affricata den-

brica della stessa mano, Ἀκολουθία εἰς μνήστρα; la rubrica è sormontata dall’antica numerazione
84 La formula è sormontata da una decorazione floreale miniata, sopra la quale insiste la ru-

del codice, PME (per questi dettagli, cfr. supra § 3). In tutto il testo e nei fogli successivi compa-
85 Il ν è ritoccato con inchiostro rosso, a segnalare inizio di parola; l’accento insiste tra ο e υ.
iono iniziali maiuscole in inchiostro rosso.
86 Il τ è ritoccato con inchiostro rosso.
87 Il confine di foglio interrompe la parola βέρ- || βου.

89 Le lettere ου compendiate insistono sopra στρ.


88 Iniziale maiuscola in inchiostro rosso.

90 A partire dal rigo 7 hanno inizio le orazioni in greco.


La formula matrimoniale del codice Hunter 475 31

Testo Traslitterazione Testo Traslitterazione


α a μ m
β v ν n
γ g ο o
δ d π p
ε e ρ r
τζ 91 tz σ s
η / ι 92 i τ t
κ k ου u 93
λ l
Tabella II.

tale [ts] in forme come ntzi ‘ci’ o litzitimu ‘legittimo’, e neppure che in en-

vamente γγ, δδ e ππ con gg, dd e pp, non intendiamo in alcun modo suggeri-
trambi i casi abbia lo stesso valore fonetico; così come, traslitterando rispetti-

re automaticamente le letture [gg], [dd] e [pp] nel caso di forme come dde,
maddonna, muggeri e ppinidittu: per la valutazione di questi e altri problemi
grafici rinviamo direttamente al § 6.1.
La traslitterazione è seguita da una proposta di parafrasi (in corsivo).

– 1 A kkistu ppinidittu matrimoniu, esti nulla persuna ki ntzi dika nulla


kosa?
2 Arrispundi lu populu: †unnni veni†.
– 3 Mettiti la manu supra lu livru.
4 Komu aviti nomu?
5Vui tzurati a santi dde vantzeli, in vervu di presenti, 6 di prindiri a kista
maddonna tali ki vi stai da latu pir vostra litzitima muggeri 7 sikunddu ku-
manda la santa matri eklesia rumana, 8 di no la kantzari pir matzuri sua nin
pir pigiuri sua?
9A la donna: – Vui tzurati a santi dde vantzeli, in vervu di presenti, 10 di
prindiri a kistu miser tali ki vi stai da latu pir vostru litzitimu maritu 11 si-
kundu kumanda la santa matri eklesia rrumana, 12 di no lu kantzari pir matzu-
ri sou nin pir piguri sou?

Il segno ζ ricorre solo nel digramma τζ.


nel testo non ricorre υ isolato e neppure i digrammi ει οι, tutti segni che normalmente
91
92

attestato neppure il dittongo αι = e.


corrispondono a i nelle scriptae greco-romanze (cfr. Compagna / Varvaro 1983: 94-95); non è
93 Oltre a ψ, che non abbiamo mai riscontrato in nessuno dei testi greco-romanzi a noi no-

ti, mancano del tutto i grafemi ϑ, ξ, φ, χ e ω.


32 Marco Maggiore - Daniele Arnesano

[L’officiante:] – 1 C’è qualcuno che ha qualcosa da dire contro questo matri-


monio benedetto? – 2 Risponde il popolo: – Non ce n’è (?) [cfr. infra § 5.3].
[L’officiante:] – 3 Mettete le mani sopra il libro. 4 Come vi chiamate? [Si rivolge
allo sposo:] 5 Voi giurate ad sancta Dei evangelia, per verba de praesenti, 6 di
prendere questa madonna Tale che vi sta accanto per vostra legittima moglie 7se-
condo i comandamenti di santa madre Chiesa romana, 8 e di non volerla cam-
biare per sua maggiore né per sua minore?
9 Alla donna: – Voi giurate ad sancta Dei evangelia, per verba de praesen-
10
ti, di prendere questo messer Tale che vi sta accanto per vostro legittimo marito
11 secondo i comandamenti di santa madre Chiesa romana, 12 e di non volerlo

cambiare per suo maggiore né per suo minore?

5.3. Discussione degli interventi critici

un luogo critico che si individua nella sequenza «Ἁρρησπούνδι λου πόπου|λου


nella nostra edizione del testo, sotto 2, le cruces desperationis delimitano

οὗνννη βένη» (arrispoúndi lou pópoulou oũnnni véni) dei rr. 3-4 di c. 1r (§
5.1). Le difficoltà sorgono nell’interpretazione di οὗνννη, che, se sta per il si-

darsi che gli ultimi due ni di οὗνννη rappresentino un errore meccanico del
ciliano undi, rappresenta una scrizione abnorme a causa del triplo ni. Può

copista, che forse intendeva scrivere <νδδ> per /nd/, grafia frequentissima
nei testi greco-romanzi, qui presente nella forma σικούνδδου sikunddu ‘se-

sequenza ricostruita *οὗνδδη βένη unddi veni sarebbe ‘dove viene’ (< ŭnde
condo’ 7 (cfr. infra § 6)94. In tal caso, l’interpretazione più immediata della

vĕnit), che però pone non pochi problemi semantici se la si fa coincidere


con la formula responsoriale pronunciata dal popolo, vale a dire dall’assem-
blea che assiste alla cerimonia. Le cose forse vanno un po’ meglio se si consi-
dera unddi veni una frase che abbia come soggetto logico il popolo stesso (e
quindi, forse, ‘laddove viene’, cioè ‘nel caso in cui sia presente un’assemblea
di persone’) oppure la stessa coppia dei nubendi; in tal caso il senso sarebbe:
‘il popolo, (che è presente là) dove viene (la coppia degli sposi), risponde (al-
la domanda appena formulata dall’officiante: ‘c’è qualche persona che sia
contraria al matrimonio?’)’. nella nostra parafrasi (§ 5.2), però, abbiamo

non ce n’è (scil. persone contrarie al matrimonio)’. In questo caso *οὗνδδη


proposto dubitativamente un’altra interpretazione: ‘risponde il popolo: –

βένη, o forse meglio *οὗν·δδη β’ένη, sarebbe l’oratio recta del popolo riportata
mimeticamente 95. Pertanto ·un ‘non’ rappresenterebbe una precocissima at-

94 Come si dimostra nel § 6.2.3., è altamente improbabile che il triplo ni di unnni rappre-

senti l’esito assimilatorio [-nn-] < -nd-, estraneo al siciliano medievale.

rapezza condurrebbe invece a leggere nella sequenza ννη di οὗνννη βένη il clitico di 1ª persona
95 Tale interpretazione è suggerita da Marcello Barbato. Un suggerimento di Francesco Ca-

plurale nni del siciliano moderno, dunque ‘non ci viene’; in questo modo si eluderebbe la neces-
La formula matrimoniale del codice Hunter 475 33

testazione della Alegroform dell’avverbio di negazione: cfr. sic. mod. uɳ


kapī́šu (Palermo), un ći sę́ntu (Baucina [PA]), un ći kapī́šu (San Biagio Plata-
ni [AG]) dalla carta 1658 (‘non capisco’) dell’AIS 96. I clitici ricostruiti ·δδη
·ddi < inde e β’ v’ < ibi con elisione sono entrambi ben attestati nel Corpus
ARTESIA 97, che documenta anche una ventina di esempi (tutti in testi
quattrocenteschi) della voce verbale èni (eni) con enclisi sillabica di -ni 98.
Tale interpretazione offrirebbe indubbi vantaggi: su tutti, la possibilità di in-
tendere il passo, senza ambiguità semantiche di alcun tipo, come la formula
responsoriale pronunciata dall’assemblea. Sono però evidenti alcuni proble-
mi: anzitutto, la presunta Alegroform ·un ‘non’ è fortemente contraddetta da

la sequenza ricostruita (e fortemente “interventista”) οὗν·δδη β’ένη un·ddi


due esempi di no < non nella stessa posizione a 8 e 12; inoltre, e soprattutto,

v’èni 2 presenterebbe l’ordine dei clitici partitivo + locativo ndi vi in luogo


dell’ordine locativo + partitivo normale in siciliano antico 99. Si potrebbe pe-
rò attribuire l’eccezione a una cristallizzazione del frequente ordine negazio-
ne + partitivo (no ndi).

l’evidente errore πήρνδιρη pirndiri è stato emendato nella corretta lezione


Di minor momento l’unica correzione che apportiamo sotto 10, dove

πρήνδιρη prindiri, attestata anche sotto 6.

6. Appunti sulla lingua

Prima di presentare nei paragrafi seguenti una serie di osservazioni sulla


lingua della nostra formula, ci soffermiamo brevemente su alcuni aspetti ge-
nerali. Colpisce anzitutto la presenza di un passaggio formulare in latino,
che si ripete identico nelle allocuzioni rivolte dall’officiante agli sposi: ad
sancta Dei evangelia per verba de praesenti (cfr. supra § 5). La sequenza, se per
un verso conferma la latinità liturgica di questo rito matrimoniale, per altro

sità di emendare il triplo ni. Altre possibili soluzioni ci sembrano più onerose. Ad esempio,

che: la grafia <οὗ> corrisponde inequivocabilmente a una vocale tonica /u/, del tutto incompati-
escludiamo un’interpretazione di oũnnni véni nel senso di ‘ogni bene’ per ragioni grafo-foneti-

bile con gli sviluppi di omnis; in βένη, il <β> non può che valere /v/ (dato che /b/ è scritto con
< ππ >: cfr. infra § 6.1.), dunque la lettura ‘bene’ è meno economica rispetto a veni (che sia o me-
no da segmentare v’èni).

pré̟nnu per Vita (TP), la cui forma unni con vocale d’appoggio riecheggia sorprendentemente
96 Cfr. Rohlfs (I: § 321). La stessa carta dell’AIS registra anche la risposta únni lu kum-

(ma forse solo per un caso) la lezione manoscritta οὗνννη.


97 Diversi esempi della forma ·di con assorbimento della nasale sono documentati in testi

siciliani del Quattrocento, mentre il locativo vi è attestato fin dalla trecentesca Istoria di Eneas di
Angelo di Capua (cfr. infra).
98 Cfr. Rohlfs (I: § 336). Il nostro esempio retrodaterebbe di un secolo e mezzo circa le pri-

me attestazioni nella lettere di Giovanni Abbatelli a Francesco Datini (cfr. Curti 1972: 65, 67).
99 Cfr. Barbato (2007, 2: 53).
34 Marco Maggiore - Daniele Arnesano

verso evidenzia fortissime interferenze con il volgare, presentandosi in en-


trambi i contesti nella forma a santi dde vantzeli in vervu di presenti (5 e 9),
in cui non è difficile ravvisare quell’ibridismo latino-volgare che caratterizze-
rà a lungo le distorsioni popolari di parole e locuzioni del latino della Chie-
sa100. In queste formule, peraltro, non si coglie nessun indizio di interferenza
con il sistema grafico latino101; la loro incoerenza grammaticale sembra sug-
gerire che lo scrivente le abbia apprese unicamente per tramite orale e in for-
ma imperfetta, servendosene solo per le necessità immediate del culto.
La lingua della formula matrimoniale è senz’altro il volgare siciliano: tut-
tavia l’esiguità del testo e il suo carattere stereotipico consentono di isolare
solo un numero relativamente contenuto di tratti significativi. Il livello me-
no interessante è il lessico, che vede la presenza esclusiva di voci panroman-

estremamente comuni come aviri nomu ‘chiamarsi’ (nell’allocuzione Κομου


ze, alcune delle quali prestiti dal latino. Si possono segnalare solo locuzioni

ἀβήτι νόμου Komu aviti nomu? 4)102 o da latu ‘accanto’ (cfr. infra § 6.3). I
soli termini tecnici di un qualche interesse sono proprio le due formule ibri-
de latino-volgari; per questa ragione ci è sembrato superfluo corredare la no-
stra analisi linguistica di un glossario.

6.1. Grafia
L’analisi grafematica fa emergere elementi comuni in tutte le scriptae gre-
co-romanze meridionali 103, e in qualche caso anche usi peculiari e forse idio-
sincratici dello scriba. Tra i fatti generali si annoverano la segnatura degli ac-

vocale: ἀβήτι aviti 4 (con spirito dolce, dunque non influenzato graficamen-
centi, qui pressoché regolare104, e quella degli spiriti sulle voci inizianti per

100 Cfr. Beccaria (1999), che non riporta esempi relativi alla formula ad sancta Dei evangelia.
101 Del resto, mancano del tutto nessi grafo-fonetici di tipo latino nei contesti in cui po-

me ππινηδΐττου ppinidittu 1 e σάντα santa 7 ~ σαντα 11. Si confrontino queste grafie con esempi
trebbero comparire: per fare un esempio, i nessi -ct- e -nct- non sono rappresentati in forme co-

come [σ]ακτη sancti o νόκτεμ noctem nella trascrizione in alfabeto greco della preghiera latina
della compieta conservata alle cc. 144v-145r del codice Γ. β. VIII. della Badia greca di Grotta-
ferrata, (anch’essa segnalataci da Stefano Parenti).
102 ARTESIA offre centinaia di attestazioni di aviri nomu fin dal sec. XIV; ma la locuzione

è panitaliana: cfr. Corpus OVI; GDLI s.v. nome (in partic. vol. xi p. 517); vedi anche fr. ant.
avoir nom, prov. aver nom (FEW 7,176a).
103 Rinviamo in proposito alla sintesi di Baglioni (in c.s., in partic. § 2.2); vedi anche il re-

104 Pochissime le eccezioni: εστϊ esti 1, δϊκα dika 1, Κομου komu 4, σαντα santa 11 – ma
cente Logozzo (2019).

σάντα 7 –, πιγουρη piguri ‘peggiore’ 12. Inoltre, laddove esso compare, l’accento non è mai col-

che presentano accento occasionalmente: πηρ pir 6, 8, 10 contro πὴρ 8, 12 bis, νο no ‘non’ 8 ma
locato in posizioni anomale o inattese. Qualche oscillazione può notarsi in alcuni monosillabi

νό 12. Altre oscillazioni grafiche di minor conto: δι di 5, 6, 9, 10, 12 ~ δϊ 8, nin 8 ~ νἧν 12 (per
entrambi gli esempi, cfr. infra).
La formula matrimoniale del codice Hunter 475 35

te dal latino habere), ἀ a preposizione 5 bis e 9 bis, ἐκλέσια eklesia 7 e 10,


con spirito aspro Ἁρρησπούνδι arrispundi 2. Analogamente, si può ipotizzare

le molto frequenti in greco: così il citato †οὗνννι† 2 ricorda l’avverbio οὖν,


che alcune forme debbano la loro veste grafica a un calco meccanico su paro-

ne ἧν in 5 e 9 e la congiunzione νἧν nen ‘né’ 11 (ma νήν 8), forse da con-


che tuttavia avrebbe lo spirito dolce; lo stesso discorso vale per la preposizio-

frontare con la voce verbale ἦν dell’indicativo imperfetto di εἰμί ‘essere’. non


rappresenta certamente una novità neppure l’oscillazione costante tra < ι > e
<η> per la resa di /i/105, anche nelle varianti delle stesse forme: βι vi 6 ~ βη
10, τζουράτη tzurati 5 ~ τζουράτι 9, καντζάρη kantzari 8 ~ καντζάρι 12.
Venendo alle possibili idiosincrasie, sembra un vero e proprio tic dello

parenti motivazioni fonetiche: così in ππινηδΐττου binidittu 1, δϊκα dika 1, δϊ


scrivente l’abitudine di segnare desultoriamente iota con la dieresi senza ap-

di preposizione 8; εστϊ esti 1. La ricorrenza del fenomeno sempre dopo suoni


dentali sembra dovuta a una mera coincidenza: in effetti, nelle scritture in
greco della stessa mano (cc. 1v-17r) quest’uso anomalo si può osservare an-

Colpisce l’uso di < ππ > per la bilabiale sonora /b- / in principio di parola:
che in altri contesti 106.

ππινηδΐττου ppinidittu ‘benedetto’ 1 (unica occorrenza nel testo di questo fo-


nema), mentre <π> semplice vale invece regolarmente per /p/ in tutti i con-
testi 107. Si tratta di una soluzione mai segnalata prima d’ora in testi greco-ro-

co medievale non contempla un grafema specifico per rendere /b/: il < β > sta
manzi, la quale naturalmente dipende dal fatto che il sistema alfabetico gre-

infatti notoriamente a indicare la fricativa labiodentale sonora /v/ (βήτα vita).

normalmente affidata al doppio <ββ>, o addirittura, in alcuni scriventi più


nei testi greco-romanzi dal Due al Cinquecento la rappresentazione di /b/ è

esposti all’influsso della scrittura latina, allo stesso <β> che diviene perciò
ambivalente108. Evidentemente l’impiego di < ππ > per /b/ della nostra formu-

di rendere /b/ a mezzo del digramma <μπ> o più raramente del solo <π>109;
la è da mettere in rapporto con l’uso tipicamente greco (ma non italo-greco)

non escluderemmo anzi che < ππ > qui sia un vero e proprio errore per <μπ >.

<ει> <οι> frequenti in tanti altri testi.


105 Come abbiamo anticipato supra § 5.2., nella nostra formula non compaiono le varianti

τῶν αγΐον ἐκκλησϊον (c. 1v, r. 11), οδΐναι (c. 2r, r. 1), ϊσαάκ (ivi, r. 9), σϊτὴν (ivi, r. 15), δϊαφύλα-
106 Limitando lo spoglio ai primi due fogli e senza normalizzare le grafie, notiamo infatti

ξον (c. 2v, r. 6), αγΐω ὕδατι (ivi, r. 12), του ὑϊοῦ (dove in realtà spirito e dieresi sormontano en-
trambi ypsilon) καὶ τοῦ ἀγϊου πν(εῦματο)ς (ivi, rr. 15-16).
107 Cfr. περσούνα persuna 1, Ἁρρησπούνδι arrispundi 2, πόπουλου populu 2, σούπρα supra

3, ecc.
109 «< π > e < τ > corrispondono risp. a /p/ e /t/ e, solo in una minoranza di documenti, indica-
108 Ci sia consentito il rinvio a Maggiore (2017: 318, 325 e 329); cfr. Baglioni (in c.s.).

no anche le corrispettive sonore, raramente in posizione iniziale e intervocalica (πεβέντο = beven-


do, κουπεπε = cubebe ecc. nella ricetta edita da De Angelis / Logozzo 2017, pp. 65-66; Μπρίτζιτα =
36 Marco Maggiore - Daniele Arnesano

non c’è dubbio, d’altro canto, che <β> ricorra unicamente per rappresen-
tare /v/: Βούη vui 5 e 9, βαντζέλη vantzeli 5, βι vi 6 ~ βη 10, βόστρα vostra 6 e
βόστρου vostru 10. Lo stesso vale con ogni probabilità per tutte le occorrenze di
<β> in βέρβου 5 e 9 e λήβρου livru (cfr. infra § 6.2.3.) e nella crux †βένη† 2.
Si nota poi la resa della dentale sonora /d/ per mezzo del doppio <δδ>110,
normale nei testi greco-romanzi specialmente dopo consonante nasale o vi-

σικούνδδου sikunddu 7, cui contrasta la variante con <δ> scempio σικούνδου


brante111: nella nostra formula è un esempio di questa tipologia la scrizione

sikundu 11. Tuttavia <δδ> può ricorrere anche in posizione iniziale o interna

δδε dde 5 e 9, che corrisponde al genitivo Dei nella sequenza latino-volgare


in contesti per i quali una lettura intensa non è perlomeno da escludere112:

(cfr. supra § 6), e μαδδόννα maddonna 6. L’uso, osservabile anche in altri te-
sti 113, coesiste con quello “normale” di <δ> per /d/ che è anzi nettamente
maggioritario114. Si noti peraltro che in tutti gli altri contesti fonologici l’al-
ternanza tra consonanti lunghe e brevi sembra rappresentata in modo perfet-
tamente regolare:

<ττ> per /tt/: ππινηδΐττου ppinidittu 1; <τ> per /t/: ἀβήτι aviti 4; τζουράτη tzu-
Μεττήτι mettiti ‘mettete’ 3. rati ‘giurate’ 5 ~ τζουράτι 9; λητζήτιμα
litzitima 6 e λητζήτιμου litzitimu 10 (lat.
legitimus).
< λλ > per /ll/: νούλλα nulla 1 bis. <λ> per /l/: βαντζέλη vantzeli 5 e 9.
<νν> per /nn/: μαδδόννα madonna 6, <ν> per /n/: μάνου manu 3.
δόννα donna 9.
<ρρ> per /rr/: Ἁρρησπούνδι arrispundi 2. <r>: καντζάρη ~ -ι kantzari 8 e 12,
ματζούρη matzuri 8 e 12, πιγ(ι)ούρη
pig(i)uri 8 e 12.
Tabella III.

Brigida nel Calendario siciliano, Follieri/Mosino 1982, p. 107)» (Baglioni in c.s.). In entrambi i
110 Un parallelo digramma *<ττ> per /d/ non è mai documentato in testi romanzi, perlo-
casi si tratta di testi copiati da greci.

meno a nostra conoscenza.


111 Cfr. Parlangèli (1960: 158); De Angelis (2005-2006); Baglioni (in c.s.).

di /d-/ iniziale «in parole che non siano di origine locale». La resa δδέου = Deu ricorre anche nel-
112 Come osserva Rohlfs (I: § 153), in vari dialetti meridionali è normale l’intensificazione

113 La resa di /d/ con <δδ> è quasi l’unica soluzione ammessa in un testo di cui stiamo cu-
la Predica salentina pubblicata da Parlangèli (II b 25; cfr. n. precedente).

esempi come δδατι ddati ‘dati’, δδικου ddiku ‘dico’ (c. 1v), δδι μάληδδῖρη ddi maliddiri ‘di male-
rando l’edizione, la formula confessionale segnalata da Parenti (2017: 78), da cui ricaviamo

dire’, φραουδδατα frauddata ‘frodata’, αλλου δδιβηνου allu ddivinu ‘al divino’ (c. 2r) ecc. (trala-
sciando del tutto gli esempi, ancor più numerosi, di <νδδ> per /nd/).
114 Si vedano in posizione iniziale: δϊκα dika 1, δι di 5, 6, 9, 10, 12 ~ δϊ 8, δα da 6 e 10, δόννα

donna 9; in posizione interna: ππινηδΐττου ppinidittu 1; dopo nasale: Ἁρρησπούνδι arrispundi 1,


πρήνδιρη prindiri 6 e 10, κουμάνδα kumanda 7 e 11, oltre che nel citato σικούνδου sikundu 11.
La formula matrimoniale del codice Hunter 475 37

Sulla base di queste corrispondenze è possibile, pur con tutte le necessa-


rie cautele, osservare alcuni fatti significativi nel consonantismo di cui dare-
mo conto nel successivo § 6.2.3.
Procedendo nell’analisi, si rileva l’uso esclusivo di <τζ> per la resa di tut-

manze anche fuori dall’Italia meridionale115. nel caso del clitico ντζη ntzi ‘ci’
te le consonanti affricate, secondo l’uso dominante nelle scriptae greco-ro-

postalveolare sorda / ʧ /, mentre nel resto dei casi lo stesso segno potrebbe
1 (< *hince, cfr. infra § 6.3) è possibile che il digramma renda l’affricata

stare per la variante sonora /ʤ / scempia o intensa. In principio di parola:


τζουράτη tzurati ‘giurate’ 5 ~ τζουράτι 9; in sede interna: λητζήτιμα litzitima
6 e λητζήτιμου litzitimu 10, ματζούρη matzuri 8 e 12; dopo nasale: βαντζέλη
vangeli 5, καντζάρη kantzari 8 ~ καντζάρι 12. Per l’interpretazione di alcune
di queste forme rinviamo al successivo § 6.2.3.; nello stesso paragrafo, per

lori di < γ > e < γγ >.


evitare fastidiose ripetizioni, tratteremo per intero anche il problema dei va-

6.2. Fonetica
6.2.1. Vocalismo tonico
Il vocalismo tonico della nostra formula corrisponde integralmente al
modello “siciliano”, senza alcuna eccezione:
– ē > /i/: πρήνδιρη prindiri 6, 10 < *prēndere per il classico prehĕn-
dere116.
– ĭ > /i/: κήστου kistu 1, 10, κήστα kista 6 < *eccu ĭstu, ππινηδΐττου ppi-
nidittu 1 < *benedĭctu(m).

Alla serie anteriore si devono aggiungere anche le voci verbali Μεττήτι


mettiti ‘mettete’ 3 e ἀβήτι aviti 4 con terminazione -iti < -ētis / -ĭtis. Un po’
più nutrita la serie posteriore:
– ō > /u/: περσούνα persuna 1 < persōna(m), Βούη vui 5 e 9 < vōs, μα-
τζούρη matzuri ‘maggiore’ 8 e 12 e πιγ(ι)ούρη pig(i)uri ‘peggiore’ 8 e
12 con -uri < -ōre(m).
– ŭ > /u/: σικούνδδου sikunddu 7 ~ σικούνδου sikundu 11 < secundu(m).

L’elenco degli esiti “siciliani” si completa con Ἁρρησπούνδι arrispundi


‘risponde’ 2, il cui grado vocalico -u- trova conforto in tutti i moderni con-

115 Cfr. Baglioni (in c.s.); e per i problemi legati al tau-zeta e alle altre grafie per le affricate,

cfr. Compagna / Varvaro (1983: 96-98).


116 Per lo stesso esito in testi più tardi, cfr. Maggiore (2018: 51).
38 Marco Maggiore - Daniele Arnesano

tinuatori meridionali estremi del latino *respŏndĕre (classico respŏndēre):


sic. arrispùnniri e rrispùnniri (VS ), cal. rispúnnere (NDC ), salent. respùnnere

Richiede qualche osservazione il vocalismo di νόμου nomu ‘nome’ 4 da


(VDS), nonché nel vocalismo del tosco-italiano rispóndere117.

nōmen (per il metaplasmo, cfr. infra 6.3.1). In effetti nomu è forma quasi
esclusiva in siciliano medievale: le 784 occorrenze di nomu nel corpus ARTE-
SIA (più un esempio di nnomu per RF) non lasciano adito a dubbi118, specie
se raffrontate alle pochissime attestazioni dell’esito atteso -u-: appena cinque
esempi del tipo di III classe numi 119 e solo due del metaplastico numu 120. La
stessa banca dati offre anche, è vero, 45 occorrenze di nume (con -e conservato,
si badi; e una sola volta numi sing.) nella traduzione dei Dialogi di Gregorio
Magno di Giovanni Campulu da Messina121: tuttavia, come ha dimostrato Vit-
torio Formentin in un noto articolo, il codice più antico e autorevole che tra-
smette questo testo è sicuramente di area calabrese settentrionale (cosentina)122;

117 Si tratta della tendenza alla chiusura di o prima di nasale + consonante, indipendente-
mente dal grado vocalico di partenza, evidenziata da Rohlfs (I: §§ 110, 126). Il confronto tra gli
esiti toscani e quelli meridionali estremi suggerisce la possibilità di un’origine latino-volgare di

sul Codice diplomatico longobardo, Pär Larson segnala il grado -u- tonico e atono in esiti di ŏ la-
questo fenomeno di innalzamento (la questione è trattata in Barbato 2007: 113). nei suoi studi

tino: «Munte, -s (quattro volte), Muntione, Funtana e Tripuntio (un es. ciascuno), spundeo ecc.
(sedici volte in posizione tonica, tre in postonia) e cuntra (tre esempi)» (Larson 1988, § 2.1). Un
nuovo esame del caso potrebbe indurre anche a ritornare sul problema dell’alternanza tra rispo-
se/rispuose in italiano antico: com’è noto, Arrigo Castellani attribuisce l’origine della variante
con /'o/ a «influsso del presente e dell’infinito di porre» (Castellani 2000: 465).
118 Cui si aggiungono 101 occorrenze della variante nomo e 50 di nomi, plurale e talvolta

anche singolare: cfr. «libru unu lo quali havi nomi Danti, lu Paradissu, lu Purgatoriu et lu Infer-
nu» (Rinaldi 2005: 132). I tipi nomu/nomi con -o- sono in effetti la soluzione esclusiva nei docu-
menti editi da Gaetana Maria Rinaldi, nonostante la studiosa osservi che «ō, ŭ danno [u] in mo-
do assai compatto» (Rinaldi 2005: 359; nomu non è nominato nell’analisi linguistica, ma ne dà
conto il glossario alle pp. 562-563).
119 Tre delle quali nel Valeriu Maximu di Accurso di Cremona (1321/1337), testo lingui-

sticamente assai particolare: «una sua fillyuletta qui avia numi Tercia»; «per lu numi di la antiqua
custuma»; «fuli postu numi Rauduscollana» (Ugolini 1967, 1: 22; 1: 52; 2: 42). Inoltre, nella
parafrasi dell’Ave Stella Maris (1450/1475): «lu oscuru numi d’Eva» (v. 14, Cusimano 1952:
138); nel coevo «Renovamini»: «a ffari reverentia a lu numi di Iesu Cristu». Per un sesto esempio
di numi in Giovanni Campulu, cfr. infra.
120 Angelo di Capua (1316/1337): «et ordinaru ki killu munti si chamassi, per lu numu di

killu mortu» (Folena 1956: 105); Sposizione del Vangelo della Passione secondo Matteo (1373):
«unu homu di Cirena k’avia numu Symuni» (Palumbo 1954-1957, II: 63). Vale la pena di nota-
re, en passant, che un codice quattrocentesco dell’Istoria di Eneas di Angelo di Capua attesta an-
che il plurale neutro noma, tuttora vitale nei dialetti moderni: «non poteria cumctari nì disponi-
re tucti li noma» (Spampinato 2002 in ARTESIA); un po’ più frequente la variante in -ora: no-
mura (7 occ. + nòmura 1 occ.) ~ nomora (1) ~ numura (1) (ARTESIA).
121 Edizioni del testo: Santangelo (1933); Panvini (1989). Per le cospicue attestazioni di

nume / -i si rinvia direttamente ai corpora OVI e ARTESIA.


122 Si tratta del manoscritto Vitt. Em. 20 della Biblioteca nazionale di Roma; ci riferiamo

a Formentin (1995).
La formula matrimoniale del codice Hunter 475 39

che i dialetti siciliani moderni hanno mantenuto lo sviluppo ['ɔ], come mo-
si tratta perciò della classica eccezione che conferma la regola. Si noti che an-

strano gli esiti nnomu, nnuomu, nomu registrati nel VS. Il tipo nomu appartie-
ne a una nota casistica di eccezioni al vocalismo siciliano: nei testi medievali,
in generale, esse «si spiegano come cultismi, come prestiti o come testimoni
dello stadio precedente alla cristallizzazione del sistema pentavocalico»123. Ci
sembra verosimile che nomu non sia l’esito autoctono, e che rappresenti
piuttosto una variante fonetica di matrice galloromanza (fr. ant./prov. nom)

cento124. Un’altra nota eccezione al vocalismo siciliano è Κομου komu 4 dal


che ha finito per scalzare il tipo numi, ridotto alla marginalità già nel Tre-

latino quōmodo, che però ha riscontri anche in altre varietà meridionali


estreme125.
I restanti esiti del vocalismo tonico sono tutti conservativi; è appena il

norma in siciliano antico126, in forme come βόστρου vostru 10 e μουγγέρη


caso di segnalare l’assenza di dittonghi (spontanei o metafonetici), come di

mugg(h)eri ‘moglie’ (cioè mogliere) 6. In κόσα kosa 1 si nota l’esito monot-


tongato del lat. au, contro i frequenti casi di mantenimento di au della scrip-
ta in caratteri latini 127.

6.2.2. Vocalismo atono


nel siciliano medievale non è ancora giunto a compimento il processo
che condurrà alla riduzione ai soli tre gradi /a/, /i/, /u/ in tutte le posizio-

περσούνα persuna 1 e Μεττήτι mettiti ‘mettete’ 3; quanto a quest’ultima voce


ni 128. non deve stupire, pertanto, la conservazione di e iniziale atona in

verbale, si ricorderà che anche nelle voci rizotoniche il siciliano antico cono-
sce una costante oscillazione fra i tipi mettu e mittu 129. A fronte di questi due

123 Barbato (2007-2010, 1: 113), il cui elenco include, oltre a nomu, le forme acconzu,

sconzu, bisogna, -u, jornu, ordini, virgogna, e anche comu; cfr. Rinaldi (2005: 359). Il vocalismo
tonico e la forma metaplastica concorrono a rafforzare l’ipotesi che si tratti di un gallicismo
adattato.
124 Escluderemmo recisamente una base già latina volgare *nŏmen. L’esempio nuome del-

l’Epistola napoletana di Boccaccio (1339) è evidentemente iper-caratterizzato (cfr. Sabatini 1993:


182); le altre occorrenze della forma dittongata nel Corpus OVI provengono da testi settentrio-
nali o linguisticamente mescidati, e pertanto potrebbe trattarsi di dittongo iper-toscano.
125 Cfr. salent. comu, fin dai testi antichi (comu, como, sincomo), mai *cumu: cfr. Maggiore

(2016a: 243). Invece i dialetti calabresi presentano anche il tipo cumu accanto a comu e addirit-
tura cuomu: cfr. NDC s.vv.
126 Cfr. Rinaldi (2005: 358-359); Maggiore (2018: 51, n. 66).
127 Cfr. Maggiore (2016b: 67; 2018: 51). nel Corpus ARTESIA le occorrenze del tipo cosa

superano di circa dieci volte quelle della variante conservativa causa, che talvolta affiora come
mero calco sul latino (cfr. Ingallinella 2014: 73).
128 Cfr. Varvaro (1995: 232); Rinaldi (2005: 360-367); Barbato (2007: 116); Maggiore

(2016b: 67-68); (2018: 51).


129 Cfr. Leone / Landa (1984: 30); Barbato (2007-2010, 1: 114); Maggiore (2018: 51).
40 Marco Maggiore - Daniele Arnesano

esempi, tuttavia, nel resto dei casi si osserva sempre E, I > /i/, O, U > /u/, in
tutte le sedi atone. Segue l’elenco degli esempi.
In sillaba iniziale protonica:
– e > /i/: ππινηδΐττου binidittu 1, λητζήτιμα litzitima 6 e λητζήτιμου lit-
zitimu 10, σικούνδδου sikunddu 7 ~ σικούνδου sikundu 11, πιγ(ι)ούρη
pig(i)uri ‘peggiore’ 8 e 12, μησὲρ miser ‘messere’ 10.
– o > /u/: κουμάνδα kumanda 7 e 11 (lat. commendare), ρουμάνα ru-
mana 7 ~ ρρουμάνα rrumana 11.
– u > /u/: μουγγέρη mugg(h)eri ‘moglie’ 6.
In sillaba intertonica:
– e > /i/: ππινηδΐττου binidittu 1, Ἁρρησπούνδι arrispundi 2.
In sillaba postonica non finale:
– e > /i/: πρήνδιρη prindiri 6, 10.
– u > /u/: πόπουλου populu 2.

In esse l’esito /i/ appare esclusivo: κη ki 1, 6 e 10, ντζη ntzi ‘ci’ 1, δι di 5, 6,


Trattiamo qui le voci monosillabiche, atone o debolmente accentate130.

9, 10, 12 ~ δϊ 8, πηρ pir 6, 8, 10 ~ πὴρ 8, 12 bis, βι vi 6 ~ βη vi 10. L’unica


eccezione alla regola dell’innalzamento è νο no ‘non’ 8 ~ νό 12 < non131.
Infine, il vocalismo finale è integralmente siciliano a tre gradi /a/, /i/, /u/
(mai attestati /-e/, /-o/). Tralasciando gli esempi di /-a/, osserviamo:
– /-i / in Ἁρρησπούνδι arrispundi ‘risponde’ 2, πρήνδιρη prindiri 6, 10,
τάλη tali 6 e 10, μουγγέρη mugg(h)eri ‘moglie’ 6, μάτρι matri 7 e 11,
καντζάρη kantzari ‘cambiare’ 8 ~ καντζάρι 12, ματζούρη matzuri
‘maggiore’ 8 e 12, πιγ(ι)ούρη pig(i)uri ‘peggiore’ 8 e 12, cui si aggiun-
gono le terminazioni verbali -ati / -iti di Μεττήτι mettiti ‘mettete’ 3,
ἀβήτι aviti 4, τζουράτη tzurati ‘giurate’ 5 ~ τζουράτι 9 (cfr. § 6.3.2). A
questi esempi si aggiungerà la crux †οὗνννη βένη†.
– /-u/: κήστου kistu 1, 10, ππινηδΐττου binidittu 1, ματριμόνιου matrimo-
niu 1, μάνου manu 3, λήβρου livru 3, νόμου nomu 4, βέρβου vervu 5 e
9, λάτου latu 6 e 10, σικούνδδου sikunddu 7 ~ σικούνδου sikundu 11,
μαρίτου maritu 10, σόου sou 12 bis.

130 Sul peculiare statuto fonologico dei monosillabi, cfr. Bafile (2011) a proposito dell’ita-

liano contemporaneo (ma le considerazioni generali formulate sulla base di dati sincronici si
possono cautamente estendere alle varietà medievali).
131 Stando ai dati di ARTESIA, solo 22 esempi di nu (in un caso nella grafia nu·) in sette

testi dei secc. XIV e XV, contro 361 esempi di no (3 volte no·) in 57 testi datati dal 1320 all’ini-
zio del sec. XVI.
La formula matrimoniale del codice Hunter 475 41

Quest’ultimo esito è esclusivo anche in corrispondenza di o latina: Κο-


μου komu 4 < quōmodo132.

6.2.3. Consonantismo
La grafia ρρουμάνα rrumana 11 – nella sequenza σαντα μάτρι ἐκλέσια
ρρουμάνα santa matri eklesia rrumana – sembra documentare l’allungamento
incondizionato di /r-/ in posizione iniziale, caratteristico della Sicilia e della
Calabria meridionale estrema133. In tutti gli altri casi (non molti: cfr. supra §
6.1.) la distinzione grafica tra consonanti lunghe e brevi è sempre rispettata
per le liquide e le nasali, il che sembra fornire una garanzia sufficiente della

priva di raddoppiamento grafico ρουμάνα rumana 7 (σάντα μάτρι ἐκλέσια


rappresentatività fonetica del nostro esempio, anche a fronte della variante

ρουμάνα santa matri eklesia rumana ib.).


Saremmo pertanto in presenza della più antica attestazione diretta di un
fenomeno dell’oralità che nei testi in caratteri latini affiora molto incerta-
mente o addirittura non compare affatto. La ricerca nel Corpus ARTESIA,
in effetti, non permette di individuare esempi sicuri: dalla banca dati si rica-
va un centinaio di occorrenze con rr- iniziale intensa, ma quasi tutte ricorro-
no dopo la preposizione a, e pertanto dovranno il loro rafforzamento al con-
testo fonosintattico134. Escludendo questi casi, resta un manipolo di forme
dubbie in quanto ricorrenti dopo monosillabi (che perlopiù, tuttavia, non
dovrebbero indurre il raddoppiamento fonosintattico in siciliano antico135):
ci rraporti (1316/1337, Angelo di Capua)136, ulcera di rrini (sec. XIV, e-
saurus pauperum)137; per il XV secolo rinveniamo nei trattati di mascalcia del
codice Riccardiano 2934 si rrada, si rrazanu, da rricapu (capp. X, XVIII,
XXVIII)138 e infine di rrectu et sinceru amuri nel quattrocentesco Libru di lu
transitu et vita di misser sanctu Iheronimu 139. Saremmo propensi a escludere
dal novero un’altra occorrenza della trecentesca Istoria di Eneas volgarizzata
da Angelo di Capua: «Allura la indivina, audendu li prigeri di Eneas, du-
mandu la rraiusa bucca et li soy feri culuri et fingitivi paroli»140. In questo
caso, in effetti, è probabile che la voce derivi non direttamente da raia ‘rab-

132 Ma como è già attestato nelle iscrizioni romane di Pompei: cfr. Väänänen (§§ 86, 91).
133 Cfr. Rohlfs (I: § 164).
134 Cfr. Barbato (2007-2010, 1: 160-161).
135 Cfr. Rinaldi (2005: 393); Barbato (2007-2010, 1: 160).
136 Cfr. Folena (1956: 146). La lezione è confermata anche dal testimone B (sec. XV), tra-

scritto da Spampinato (2002) e indicizzato in ARTESIA.


137 Cfr. Rapisarda (2001: 44).
138 Dall’edizione di Fichera (2015) inclusa in ARTESIA.
139 Cfr. Di Girolamo (1982: 40).
140 Folena (1956: 101), corsivo aggiunto.
42 Marco Maggiore - Daniele Arnesano

bia’, bensì da arraiari ‘arrabbiare’141: la segmentazione corretta sarebbe per-


ciò l’arraiusa bucca, come sembra confermare la lezione «la arragiosa bocca»
del testimone quattrocentesco B142.
D’altro canto, che il siciliano medievale conoscesse il rafforzamento della

da non rari esempi di prostesi di /a-/ davanti a R-143: la voce verbale Ἁρρη-
vibrante iniziale è già indirettamente provato, nella tradizione latino-volgare,

σπούνδι arrispundi ‘risponde’ 2 della nostra formula, da confrontare col sici-


liano moderno arrispùnniri (VS), appartiene alla stessa casistica.

po ad nell’unico esempio Α κκήστου a kkistu 1 (ms. Ακκήστου; vs. ἀ κήστα a


Il raddoppiamento fonosintattico è rappresentato graficamente solo do-

kista 6)144.

clusive145, anche in combinazione con R: vedi ad esempio σούπρα supra 3 e


Venendo al consonantismo, notiamo la generale conservazione delle oc-

μάτρι matri ‘madre’ 7 e 11 (con l’ovvio corollario del cultismo ματριμόνιου

intervocalica, passa all’esito romanzo comune /-v-/ in ἀβήτι aviti 4; notevole


matrimoniu 1)146. Sono appena più interessanti gli sviluppi di b: in posizione

l’esito -br- > /-vr-/ di tipo siciliano147 in λήβρου livru 3 (cfr. supra § 6.1. per
la grafia); soprattutto si segnala in posizione iniziale (κήστου) ππινηδΐττου
(kistu) ppinidittu 1, dove < ππ > = /b/ (cfr. supra § 6.1.), verosimilmente rea-
lizzato come [bb]: il mancato passaggio alla fricativa in contesto non raffor-
zante rinvierebbe, nel quadro dialettologico moderno, a Messina e all’area
nord-orientale148; ma si può pensare che il latinismo binidittu appartenesse a
quella classe di voci che già anticamente si pronunciavano sempre con [bb-]
iniziale anche lontano dal messinese149. In generale, il quadro degli esiti di b

141 Discretamente documentato in ARTESIA nelle varianti arraiari / -y- / -atu (13 occ.),

più rari arrabiatu (4 occ.) e arragiari (1 occ.) + -osa (1 occ.); cfr. anche TLIO s.v. arrazzari (va-
riante dubbia).
142 Dall’edizione interpretativa di Spampinato (2002).
143 Cfr. Varvaro (1995: 233); Rinaldi (2005: 97); Barbato (2007-2010, 1: 143); Emmi

(2011: 35-37); Pagano (2015: 735). Si rinvia alla ricca documentazione del Corpus ARTESIA
per esempi come a(r)ribellari, a(r)ricordari, a(r)ricumandari, a(r)ricuperari, a(r)rifridari, a(r)ri-
peczari, arriprisintari, a(r)ripusari, arrispundiri, arrisvigliari, a(r)ritornari, a(r)rizari, a(r)robari,
arrumpiri e simili.
144 Cfr. Rinaldi (2005: 393); Barbato (2007-2010, 1: 160-161).
145 Le occlusive intervocaliche sono generalmente conservate in siciliano antico, anche se

talvolta esse «lasciano affiorare qua e là quei processi di lenizione propri del dialetto moderno»
(Rinaldi 2005: 372); cfr. Barbato (2007-2010, 1: 125).
146 «Tutti i gruppi di consonante + r sono generalmente conservati, e non solo quelli con

pr, tr e str in cui il siciliano è sorretto dalla convergenza con il latino» (Rinaldi 2005: 382).
147 Cfr. Varvaro (1988: 720); Barbato (2007-2010, 1: 127). Tuttavia secondo Rinaldi (2005:

383) «nei testi Campolo il settentrionale e veneziano livra» risulterebbe «distinto da libru ‘libro’».
148 Cfr. Ruffino (1997: 371); Barbato (2007-2010, 1: 128).
149 «Esistevano […] due classi di parole, una con variazione fonologica [v]/[(b)b] (es. vucca

/ a bbucca; vuchi / a bbuchi), l’altra sempre con [bb] (es. bbaruni). In tutta l’Italia meridionale
alcuni lessemi che appartenevano alla prima classe, per adeguamento superficiale alla soluzione
La formula matrimoniale del codice Hunter 475 43

della nostra formula contrasta con la frequente conservazione di b che di so-


lito si osserva nella tradizione grafica latino-volgare, e che forse dipenderà
più di quanto solitamente non si ammetta da abitudini di matrice culta150.
A riprova dell’estraneità della nostra formula a influssi della grafia latina,

re” a /k / prima di vocale anteriore, in κη ki 1, 6 e 10 e nei dimostrativi κή-


per il nesso labiovelare kw l’unico esito documentato è la riduzione “popola-

στου kistu 1, 10 e κήστα kista 6151; mentre è panromanzo Κομου komu 4 <
quōmodo.

fie < γι > e < γ > rendono probabilmente [j] (oppure al limite [ggj] o [ ɟɟ])152 in
negli esiti di j coesistono due soluzioni alternative: da una parte, le gra-

πιγιούρη pigiuri ‘peggiore’ 8 ~ πιγουρη piguri 12; dall’altra, il digramma <τζ>


sembra rappresentare /ʤ / (verosimilmente realizzato come [dʤ]) in posizio-
ne iniziale in τζουράτη tzurati ‘giurate’ 5 ~ τζουράτι 9, e in sede interna in
ματζούρη matzuri ‘maggiore’ 8 e 12153. Ora, tale duplicità di esiti sembra ri-

tradizionali […] l’esito è [j], con le varianti [ ɟɟ] [ ɟ] in posizione forte e semi-
flettere la doppia trafila fonetica del siciliano moderno, dove «nelle parole

è [dʤ], sia in posizione iniziale che intervocalica»154. La grafia greca ci per-


forte», mentre «nei latinismi, nei prestiti dall’arabo e dal francese l’esito […]

metterebbe dunque di discernere l’esito semidotto di giurari e maggiuri da


quello popolare di pijuri. Tale possibilità, che qui assumiamo naturalmente
solo in via ipotetica, è del tutto preclusa nella scripta latino-volgare, nelle
quali l’alternanza grafica quasi generalizzata <g> ~ <y> / <i> mette sullo stes-
so piano trafile dotte e popolari negli esiti di g, j, dj, bj, gj e simili 155.

settentrionale, sono passati alla seconda: *vonu → bbonu. È naturale che in Sicilia, dove il con-
tatto con le varietà settentrionali è stato più intenso, il processo si sia spinto più a fondo, al pun-

passavano alla seconda (vucca → bbucca), le altre perdevano l’antica variazione allofonica (a bbu-
to che, in particolari situazioni diatopiche e diastratiche, mentre alcune parole della prima classe

chi → a vvuchi). Tale è appunto il quadro che ci offrono gli antichi testi siciliani e le varietà
orientali moderne» (Barbato 2007-2010, 1: 128).
150 nel quadro di «una situazione storica complessa» (Varvaro 1995: 128), cit. in Barbato

(2007-2010, 1: 128).
151 In siciliano antico si nota una caratteristica oscillazione: cfr. Varvaro ([1979b] 2020);

(1995: 233); Rinaldi (2005: 390); Barbato (2007-2010, 1: 129); Maggiore (2016b: 69). Solo al-
cuni testi di natura più “popolare” possono propendere per l’esito /k/: è il caso del lunario con-
152 Sull’uso (accertabile solo in pochi casi) di <γ> e più raramente <γι> per l’approssimante
servato in un codice di mascalcia del sec. XV e studiato in Maggiore (2018: 53).

palatale [j] in testi greco-romanzi, cfr. Melazzo (1980: 99); Compagna / Varvaro (1983: 95); De
Angelis (2010: 399); De Angelis / Logozzo (2017: 61); Baglioni (in c.s.).
153 Si noterà che negli stessi contesti le scritture latino-volgari privilegiano sempre gli esiti

«sorretti dal latino» (Rinaldi 2005: 377).


154 Barbato (2007-2010, 1: 131) sulla base di Rohlfs (I: §§ 156, 158, 218 e 220); Lausberg

(§§ 324, 329 e 352); Varvaro (1988: 720ss.).


155 Cfr. Rinaldi (2005: 353); Barbato (2007-2010, 1: 131). La distinzione almeno tenden-

ziale delle due trafile si osserva però in posizione iniziale: cfr. Varvaro (1995: 233); Maggiore
(2016b: 65).
44 Marco Maggiore - Daniele Arnesano

Quanto a πιγ(ι)ούρη pig(i)uri, tra le alternative [j] / [ggj] per l’interpre-


tazione fonetica di <γι> e <γ> sembra di poter propendere con una certa si-
curezza per l’approssimante palatale. L’uso di <γι> per [j] è ben documenta-
to nei testi greco-romanzi156, e inoltre soccorrono considerazioni diacroni-
che: la tradizione latino-volgare presenta compattamente le grafie peiuri, pe-
iur, piyuri e simili 157, e il siciliano moderno sembra documentare solo l’esito

ma-iota e il doppio gamma, che nella forma μουγγέρη mugg(h)eri ‘moglie’ 6


piùri (VS )158. Pertanto si può anche ipotizzare una differenza d’uso tra gam-

< muliere(m) sembra rappresentare l’esito popolare lj > [ggj] (o [ ɟɟ])159: cfr.
sic. mugghièri (VS s.v.). Anche questo esito demotico di solito non traspare

Lo sviluppo panmeridionale (m)bj > /(n)ʤ / sarebbe documentato da


nella scripta latino-volgare, dove domina la grafia <gl>160.

καντζάρη kantzari ‘cambiare’ 8 ~ καντζάρι 12, ma com’è noto cangiare è


panitaliano161. Peraltro per queste forme non si esclude una lettura [kan'ʧa-
ri] per desonorizzazione di [nʤ], tratto oggi tipico dei dialetti meridiona-
li estremi che affiora solo in casi sporadici nei testi siciliani medievali 162.

< τζ > che in alcune forme sta sicuramente a indicare [ʤ] (cfr. supra § 6.1. e
Tuttavia è necessaria una grande cautela, data l’ambiguità del digramma

Il nesso -nd- è conservato in Ἁρρησπούνδι arrispundi ‘risponde’ 2,


passim).

πρήνδιρη prindiri 6, 10, σικούνδδου κουμάνδα sikunddu kumanda 7 ~ σι-


κούνδου κουμάνδα sikundu kumanda 11. ne esce confermato quanto è noto

156 Cfr. De Angelis (2010: 399).


157 Cfr. ARTESIA, che offre anche esempi come peiu, peiyu, peju e peiurandu. non rinve-
niamo alcun esempio con le grafie <g>, <z> o simili.
158 Vero è che i continuatori di peius in Sicilia esibiscono tutti gli sviluppi possibili: pèggiu

(forse influenzato dall’italiano), pèiu e anche pègghiu; quest’ultimo tuttavia è limitato al dialetto
pantesco (VS).
159 Cfr. Barbato (2007-2010, 1: 135).
160 Cfr. Rinaldi (2005: 355); Barbato (2007-2010, 1: 155). Sempre che qui il doppio gam-

ma non stia a rendere una laterale palatale, non codificata nell’alfabeto greco; ci sembra tuttavia
un’ipotesi meno probabile.
161 Cfr. Rohlfs (I: § 274); Cella (2003: 186-190); il TLIO tratta separatamente cambiare e

cangiare, considerando quest’ultimo un prestito da fr. ant. changer sulla base di DELI 2 s.v.
162 Cfr. Rohlfs (I: § 256). Secondo Rinaldi (2005: 385) e Barbato (2007-2010, 1: 136) il

siciliano antico è estraneo alla desonorizzazione. Si considerino però i seguenti esempi di man-
chari (< fr. ant. mangier) nella Conquesta di Sichilia di Simone da Lentini (1358): «lu Conti non
havia nisunu chi li apparichassi a manchari, eceptu sua mugleri […]. Et la Contissa, citella et de-
licata, quandu havia siti, et illa bivia aqua et, quandu havia fami, per czo chi non havia chi man-
chari, oy plangia, oy si culcava a dormiri» (Rossi-Taibbi 1954: 54); inoltre «tavula una di man-
ciari» in un inventario del 1433 (Bresc-Bautier/Bresc 2014: 898). Per quanto riguarda il lessema
cangiari, il più antico esempio di desonorizzazione che ricaviamo da ARTESIA risale al 1511:
«In casa una mula murella per la persona mia; unu runcinocto sauro facholu; un altro saurello
canchai per una putra di la massaria» (Inventario dei beni mobili di Alvaro Paternò, Raffaele
2018; prima ed. del testo: Paternò 1930: 114; cfr. Pagano 2019a: 196 n. 32).
La formula matrimoniale del codice Hunter 475 45

a partire dai fondamentali studi di Varvaro ([1979a] 2004; [1980] 2004): il


siciliano medievale è fondamentalmente estraneo all’assimilazione progressi-

norme lezione manoscritta †οὗνννη† unnni 2 se valesse unddi < unde oppu-
va del nesso163. Questo stato conservativo costringerebbe a emendare l’ab-

re anche nddi < inde.

consonante + L, ἐκλέσια eklesia 7 e 11, la conservazione si deve al latini-


I restanti esiti consonantici sono tutti conservativi: nell’unico esempio di

smo164; in νούλλα nulla 1 bis si nota il mantenimento di [-ll-], che in sicilia-


no e nelle altre varietà “estreme” medievali non evidenzia il passaggio a

Il passaggio italoromanzo comune -s > /- i̯ / è documentato qui dal pro-


[- dd-] tipico dei dialetti contemporanei165.

nome Βούη vui 5 e 9166.

6.2.4. Fenomeni generali

Ἁρρησπούνδι arrispundi ‘risponde’ 2, che abbiamo considerato correlata al-


I fatti da rilevare non sono molti: oltre alla già citata prostesi vocalica di

calica nelle forme di 3ª persona στάη stai ‘sta’ 6 e 10 e εστϊ esti 1 < est, sulle
l’intensificazione di /r-/ (cfr. supra § 6.2.3.), possiamo segnalare l’epitesi vo-

quali cfr. infra § 6.3.2. nota l’apocope nell’appellativo μησὲρ miser ‘messere’
10 (< fr. ant. mes sir )167, con cospicue attestazioni in siciliano medievale168 al
pari di inver, merzì e poche altre forme di chiara «origine allogena»169 (gallo-
romanza o gallo-italica).

163 Cfr. Rinaldi (2005: 386); Barbato (2007-2010, 1: 138); Pagano (2019b: 305-306);

inoltre vedi Basile (2012: 51) per i testi greco-romanzi dell’area.


164 Anche nei testi latino-volgari il nesso cl, normalmente evoluto, si trova però sovente

conservato nei cultismi clericu ed Ecclesia: cfr. Rinaldi (2005: 381); Barbato (2007-2010, 1:
137-138).
165 Cfr. Maggiore (2016a: 226-227) e, specificamente dedicati al tema, Lanaia (2008) e

Coluccia (2019). La questione degli esiti di -ll- nei dialetti meridionali è assai intricata e richie-
derebbe uno studio di impianto generale che tenga conto della complessa variazione diatopica e
diacronica degli esiti (un notevole spaccato microdialettale è tratteggiato da Abete / Vecchia
2018 per i dialetti dell’Irpinia).
167 Cfr. De Angelis (2010: 400) per un esempio di μισσέρε missere in uno dei frammenti li-
166 Cfr. Barbato (2007-2010, 1: 143); «comune» secondo Ingallinella (2014: 75).

rici salentini del codice Laurenziano Pluteo 57.36.


168 Cfr. Ambrosini (1977: 70). In ARTESIA ben 417 occorrenze di misser (+14 di mmis-

ser), con le varianti miser (63, + 1 mmiser) e messer (1).


169 Barbato (2007-2010, 1: 146); sul siciliano antico inver < fr. envers, cfr. anche Maggiore

(2018: 55).
46 Marco Maggiore - Daniele Arnesano

6.3. Morfologia
6.3.1. Nome

ma μουγγέρη mugg(h)eri ‘moglie’ 6 dall’accusativo muliere(m)170, nonché la


La morfologia nominale si presta a scarsi rilievi: notiamo almeno la for-

solita reliquia della IV declinazione λα μάνου la manu 3171. È appena più in-
teressante il metaplasmo νόμου nomu 4 da nomen, riccamente attestato in
siciliano antico172.

no presenti solo le forme dell’articolo definito maschile λου lu 2, 3 e femmi-


Passiamo brevemente in rassegna le non molte forme documentate. So-

nile λα la 3, 7, 11; manca l’articolo indefinito. Preposizioni: δι di 5, 6, 9, 10,


12 ~ δϊ 8, ἀ a 5, 6, 9 e 10, δα da 6 e 10 (solo nella locuzione avverbale δα
λάτου da latu 6 e 10173), ἧν in 5 e 9, πηρ pir 6, 8, 10 ~ πὴρ 8, 12 bis. Unica
preposizione articolata A λα δόννα a la donna 9, fedele alla norma del sicilia-
no antico secondo cui «le preposizioni articolate sono sempre discrete e non

L’unico pronome personale tonico documentato è βούη vui 5 e 9. Cliti-


provocano rafforzamento dell’articolo»174.

ci: 3ª λου lu 12, λα la 8; 5ª βι vi 6 ~ βη vi 10, ντζη ntzi ‘ci’ 1 (nchi nei testi

matica scrizione †οὗνννη βένη† 2, qui ricordiamo che il siciliano antico di-
latino-volgari), qui con funzione di dativo di 3ª persona175. Quanto all’enig-

stingue tendenzialmente ni < nOS clitico di 4ª persona da ndi < inde locati-
vo/genitivo176; tuttavia già nei testi del Trecento si osservano esempi di con-
fusione tra i due tipi. Citiamo l’esempio più antico che siamo riusciti a indi-
viduare nel Corpus ARTESIA, dal volgarizzamento di Valerio Massimo di
Accurso da Cremona (1321/37): «Pensa – dis’issu – modu intra ti medemmi
quanti chanti foru da qua in daretu sutta quisti tecti et quanti enci ni sianu
modu et quanti enci ndi seranu ancura»177.

maschile σόου sou 12 bis e femminile σούα sua 8 bis tipiche del siciliano anti-
Sono attestati solo i possessivi di 3ª persona nelle forme “asimmetriche”

170 Cfr. Rohlfs (II: § 345); Ambrosini (1977: 31).


171 Cfr. Rohlfs (II: § 367).
172 Attestati anche supranomu e pronomu: cfr. Ambrosini (1977: 30 e n. 59), che ricorda

anche il tosc.a. nomo. In ARTESIA quasi 800 esempi di nomu sempre al maschile, diversamente
dal napoletano antico la nomo, sul quale cfr. Formentin (1998: 296, 298 n. 868). Sulla conti-
nuazione del tipo nomu in siciliano moderno, cfr. supra § 6. 2.3.
173 Su altre locuzioni avverbiali formate con da in documenti siciliani medievali, cfr. Rinal-

di (2005: 430). La preposizione in siciliano antico ricorre in proporzioni ridotte rispetto a di:
cfr. Barbato (2007-2010, 2: 70).
174 Rinaldi (2005: 403-404).
175 Cfr. ivi (p. 405); Barbato (2007-2010, 2: 51ss.).
176 Cfr. Rinaldi (2005: 405 n. 180); Barbato (2007-2010, 2: 52); entrambi gli studi si ba-

sano sulla ricostruzione di La Fauci (1993) e Loporcaro (1995).


177 Ugolini (1967, 2: 110).
La formula matrimoniale del codice Hunter 475 47

co e della maggior parte delle lingue romanze, che negli sviluppi del latino
tuus, suus muovono da un tipo dissimilato *tou tua, *sou sua178. Manca-
no qui le forme me, to, so che compaiono nei testi siciliani fra XIV e XV se-

Altre forme documentate: dimostrativo κήστου kistu 1, 10 e κήστα kista 6


colo e finiranno col generalizzarsi nei dialetti 179.

(cfr. supra § 6.2.3.); relativo κη ki 1; indefinito negativo νούλλα nulla 1 bis 180.
L’avverbio di negazione νο no ‘non’ 8 ~ νό 12 compare solo prima di clitico,

chi 181. Infine, la congiunzione negativa νήν nin 8 ~ νἧν 12 coincide col tipo
come si verifica tendenzialmente in siciliano e italiano meridionale anti-

nin / nen dei testi latino-volgari182 (forse per interferenza tra nec e non?).

6.3.2. Verbo
La forma εστϊ esti 1 < est, oggi conservata solo nei dialetti delle periferie
nord-occidentale e nord-orientale della Sicilia183, è ampiamente diffusa nella
scripta siciliana medievale184. notiamo incidentalmente che la forma esti com-
pare all’interno di un’interrogativa con ordine marcato (cfr. infra § 6.3)185.

epitetica στάη stai ‘sta’ 6 e 10186; l’unica altra forma di 3ª persona è Ἁρρη-
È nota ai testi siciliani, sia pure in misura più ridotta, anche la forma

178 Come ha dimostrato Barbato (2010: 54-67). In siciliano antico lo schema prevalente

dei possessivi di 2ª e 3ª persona è tou m. / tua f. / toi pl., sou m. / sua f. / soi pl., cfr. Rinaldi
(2005: 405-406), e vedi ARTESIA.
179 Cfr. Varvaro (1995: 235); Rinaldi (2005: 405); Barbato (2007-2010, 2: 56); Maggiore

(2018: 56) e, per il quadro romanzo, Lausberg (§ 754).


180 nei testi documentari nullu (diffuso nei dialetti meridionali estremi, cfr. Rohlfs, II: §

498) tende a prevalere su nixunu (cfr. Rinaldi 2005: 408), mentre il contrario si può osservare
nei testi letterari (cfr. Barbato 2007-2010: 62 n. 60). non mancano però casi che smentiscono
questa distribuzione “diagenerica”: stando ai dati di ARTESIA, nixunu prevale su nullu (97 con-
tro 21 occ.) nei documenti maltesi pubblicati da Wettinger (1993), mentre è addirittura esclusi-
vo in quelli editi da Fiorini (2016).
181 Cfr. Barbato (2001: 228); (2007-2010, 2: 72 n. 101). nei testi latino-volgari la forma

ridotta no, qui esclusiva, è minoritaria rispetto a non: cfr. Rinaldi (2005: 431); Ingallinella
(2014: 80).
182 Cfr. Rinaldi (2005: 562 [s.v. nì]); Barbato (2007-2010, 2: 72).
183 Cfr. Ruffino (1997: 369). Secondo Barbato (2007-2010, 1: 186), «la distribuzione

odierna in aree laterali parla a favore di una estensione panisolana» (sulla base di Ruffino 1984:
178). Per la lingua medievale, cfr. n. seguente.
184 Cfr. Leone / Landa (1984: 43); Rinaldi (2005: 397); Barbato (2007-2010, 1: 186);

Maggiore (2016b: 73). Oltre 3300 attestazioni in ARTESIA. Tuttavia «non possiamo dire
quanto fosse esteso, dato che molti nostri testi sono messinesi» (Varvaro 1995: 234).
185 nelle sue note linguistiche sul frammento siciliano trecentesco delle Vite dei santi padri,

Ingallinella (2014: 76) osserva – come fatto di parole più che di langue – l’uso contrastivo delle
forme è (ordine non marcato) ed esti (ordine marcato).
186 Cfr. stai / stay, documentato a partire da Angelo di Capua in 30 occorrenze totali, ma

più raro in testi del ’400 (ARTESIA). Su questa forma è anche costruito un tipo di 6ª persona
stainu / staynu, discretamente attestato: cfr. Leone / Landa (1984: 39); Rinaldi (2005: 417); Bar-
bato (2007-2010, 1: 169-170).
48 Marco Maggiore - Daniele Arnesano

σπούνδι arrispundi ‘risponde’ 2. nota anche il congiuntivo di 3ª δϊκα dika


1187. Dato il carattere formulare del nostro testo, i verbi di modo finito mag-

perativo; le terminazioni sono -ati per la I classe e -iti per le restanti: τζουρά-
giormente attestati sono voci di 5ª persona del presente indicativo o dell’im-

τη tzurati ‘giurate’ 5 ~ τζουράτι 9, Μεττήτι mettiti ‘mettete’ 3, ἀβήτι aviti 4.

si riflette nelle terminazioni dell’infinito -ari vs. -iri (atono): καντζάρη kan-
Quanto ai modi indefiniti, la differenza fra le due macro-classi principali

tzari ‘cambiare’ 8 ~ καντζάρι 12 vs. πρήνδιρη prindiri 6, 10.


Le forme organiche del comparativo ματζούρη matzuri ‘maggiore’ 8 e 12
e πιγ(ι)ούρη pig(i)uri ‘peggiore’ 8 e 12 hanno riscontri anche nei testi docu-
mentari188.

6.4. Sintassi
La formularità del testo lascia trapelare pochi fatti significativi. Tra que-

formula: Α κκήστου ππινηδΐττου ματριμόνιου, εστϊ νούλλα περσούνα κη ντζη


sti notiamo la topicalizzazione con ripresa clitica189 proprio nell’esordio della

δϊκα νούλλα κόσα? A kkistu ppinidittu matrimoniu, esti nulla persuna ki ntzi
dika nulla kosa? nella stessa formula sono da notare anche l’inversione del-
l’ordine SV nell’interrogativa (esti nulla persuna […]? ) e l’assenza nel co-
strutto esistenziale esordiale della cosiddetta proforma (it. ci, sic. nci, ndi),
che qui potrebbe spiegarsi per calco su una struttura interrogativa latina
(Estne…?)190.

panmeridionale già nel Medioevo191, nei due enunciati formulari δι πρήνδιρη


Inoltre, si noti l’accusativo preposizionale con oggetto personale, tratto

ἀ κήστα μαδδόννα τάλη […] πηρ βόστρα λητζήτιμα μουγγέρη di prindiri a ki-
sta maddonna tali […] pir vostra litzitima mugg(h)eri 6, δι πρήνδιρη ἀ κήστου
μησὲρ τάλη […] πηρ βόστρου λητζήτιμου μαρίτου di prindiri a kistu miser tali
[…] pir vostru litzitimu maritu 10. Entrambe le infinitive sono rette da tzu-
rati ‘giurate’192.
Dallo stesso verbo dipendono anche le seguenti frasi, notevoli per l’ante-
posizione del clitico all’infinito retto da preposizione, secondo un uso nor-

187 Che, come di norma, conserva il tema in velare: cfr. Barbato (2007-2010, 1: 163).
188 Rinaldi (2005: 442) rileva l’uso di maiuri, minuri e migliuri. La studiosa stampa come
una forma univerbata milloromu nell’esempio ti mustrirò dumani ki eu sugnu milloromu di ti, ma
forse è meglio leggere millor omu.
189 Cfr. Barbato (2007-2010, 2: 109-110).
190 Sui costrutti esistenziali in siciliano antico, cfr. Amenta (2001).
191 Cfr. Rohlfs (III: § 632); (1971: 312-313); Formentin (1998: 380-383); Barbato (2001:

243-244); Maggiore (2016a: 356-358). Per il siciliano antico, cfr. La Fauci (1991); Rinaldi
(2005: 450-451); Barbato (2007-2010, 2: 81-83).
192 In dipendenza da questo verbo è normale la reggenza con di anche in siciliano antico:

cfr. Barbato (2007-2010, 2: 99).


La formula matrimoniale del codice Hunter 475 49

male nei dialetti meridionali antichi e moderni 193: δϊ νο λα καντζάρη πὴρ μα-
τζούρη σούα νήν πηρ πιγγούρη σούα di no la kantzari pir matzuri sua nin pir
pigiuri sua 8; δι νό λου καντζάρι πὴρ ματζούρη σόου νἧν πὴρ πιγουρη σόου di
no lu kantzari pir matzuri sou nin pir piguri sou 12. Benché il siciliano antico
ammetta soluzioni molteplici, almeno nei documenti trecenteschi studiati da
Gaetana Maria Rinaldi la proclisi con verbo all’infinito è obbligatoria «nella
coordinata o nella subordinata negativa»194.
Università di Pisa Marco Maggiore
marco.maggiore@unipi.it
MIUR Daniele Arnesano
daniele.arnesano@gmail.com

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193 Cfr. Rohlfs (II: § 470) e, per il salentino antico, Maggiore (2016a: 303); (2019c: 155).
194 Rinaldi (2005: 446), con gli esempi seguenti: «promisi […] tiniri et conservari la Mocta
di la Placa […] et non chi receptari persuna alcuna»; «tractari amicabilimenti li nostri fidili et
non li fari guerra nin dannu»; «nui digiamu essiri punuti a non ni dari zo ki ni haviti promisu».
Diversamente, nel Rebellamentu si ha sempre enclisi con l’infinito preceduto da preposizione:
cfr. Barbato (2007-2010, 2: 114).
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Riassunto / Abstract
Il manoscritto Glasgow, University Library, Hunter 475, è un evangeliario gre-
co medievale, appartenuto anticamente al monastero del SS. Salvatore di Messina.
Il codice conserva, nella sua prima carta, una formula matrimoniale in volgare sici-
liano scritta in caratteri greci. La formula potrebbe risalire agli anni 1259/1266, du-
rante il regno di Manfredi di Svevia: si tratterebbe in tal caso del più antico testo in
volgare siciliano giuntoci in veste presumibilmente originale. L’articolo propone la
prima edizione della formula corredata di un profilo linguistico e di un capitolo di
analisi paleografica.

The manuscript Glasgow, University Library, Hunter 475 is a medieval Byzan-


tine Gospel book, previously belonging to the monastery of San Salvatore in Messi-
na. The book holds in its very first page an Old Sicilian wedding ritual formula,
written in Greek alphabet. This text may date to the years 1259/1266, during the
reign of Manfred of Sicily, hence being the oldest known Sicilian text. The paper
provides the first critical edition of the formula, a linguistic analysis, and a paleo-
graphic description.
SCRITTURE ESPOSTE In VOLGARE SICILIAnO. V.
LE DIDASCALIE DEL SAN LORENZO
E STORIE DEL SUO MARTIRIO nELLA CHIESA
DI SAnT’AnTOnIO ABATE A MOnTEROSSO ALMO (RG)*

1. Proseguendo nel censimento di scritture siciliane poste a corredo di fi-


gurazioni pittoriche1, propongo l’esame delle didascalie riportate nel San Lo-
renzo e storie del suo martirio (d’ora in poi San Lorenzo)2, custodito presso la
chiesa di Sant’Antonio Abate a Monterosso Almo (RG). Si tratta di una tela
di grandi dimensioni, di autore ignoto, collocata sul primo altare a sinistra
dell’unica navata dell’edificio religioso. Di essa si sa che è sempre appartenu-
ta alla chiesa ove oggi è custodita e che è stata sottoposta a restauro nel

* Questo lavoro si inserisce all’interno del progetto di ricerca dell’Università di Catania


(Prometeo 2017) «Corpus ARTESIA e il progetto di un Vocabolario del Siciliano Medievale on
line (VSM)», del quale è responsabile Mario Pagano. Esprimo un sincero e sentito ringraziamen-
to a quanti, in vario modo, mi hanno offerto la loro generosa collaborazione: alla dott.ssa Alessia
Iaquinta, per avermi fornito il materiale fotografico; al funzionario dirigente Carlo Giunta della
Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali della Regione Siciliana, sede di Ragusa, e al diret-
tore dell’Ufficio Diocesano per i Beni Culturali della Diocesi di Ragusa don Giuseppe Antoci,
per le informazioni sulla storia del dipinto e per avermi fornito ulteriore materiale fotografico;
alla dott.ssa Carmela Di Blasi e alla dott.ssa Maria Grazia Patti della Soprintendenza ai Beni
Culturali e Ambientali della Regione Siciliana, sede di Catania, per avermi aiutato a esaminare le
caratteristiche del dipinto; e soprattutto agli amici del gruppo di ricerca ARTESIA, per gli im-
portanti momenti di confronto e di approfondimento. Rimane ovviamente mia la responsabilità
di eventuali sviste o errori di interpretazione e valutazione.
1 Il presente lavoro si colloca nel filone di ricerche rivolto all’esplorazione e all’esame delle

scritture esposte in volgare siciliano, in relazione al quale ho già pubblicato altri contributi –
Raffaele (2010), (2014), (2016), (2018a), (2018b), (2019) – e presentato un primo complessivo
resoconto all’ultimo Congresso della Società Italiana di Filologia Romanza che ha avuto luogo a
Roma nel 2018, cfr. Raffaele (in c.s.).
2 Riprendo la denominazione attribuita al dipinto da Claudio Parisi (2001: 18), l’unico

studioso, a mia conoscenza, che se ne sia occupato.


62 Ferdinando Raffaele

1976, a cura dell’allora Sovrintendenza alle Belle Arti di Catania, i cui esper-
ti l’hanno datata al 1525 3.
Il San Lorenzo segue il modello di dipinto agiografico che combina la ti-
pologia iconica con quella figurativa, proponendo al centro, in grandi di-
mensioni e corredata dai simboli che la tradizione iconografica gli attribui-
sce, l’immagine del santo a cui si rivolge il culto devozionale e ai lati una se-
rie di riquadri all’interno dei quali sono proposti gli episodi topici della sua
biografia. Com’è noto, tale genere di raffigurazione, eseguita su tavola, su te-
la o a fresco, ha conosciuto una vasta diffusione sia in Italia, sia più in gene-
rale nell’Europa occidentale, a partire dal secolo XIII fino a tutto il secolo
XV 4. Anche in Sicilia, ampiamente sollecitata dalle richieste della commit-
tenza5, la pittura iconico-figurativa ha riscosso ampio successo e ha trovato
seguito fino al secolo XVIII 6. Per altro verso, va anche ricordato come la fi-
gura di san Lorenzo martire abbia costituito un soggetto rappresentato con
una certa frequenza sia nella pittura di area italiana7, sia in quella di area sici-
liana, ove di certo trova la sua espressione più elevata in una tela di Filippo
Paladini realizzata nel 1614 per la Chiesa Madre di Vizzini, presso la quale è
tuttora conservata8.
Il San Lorenzo propone dunque il ritratto del santo posto al centro della
tela, in posa su un basamento di colonna che funge da piedistallo, con i tra-
dizionali simboli della sua iconografia 9: i lineamenti del viso ne confermano
la giovane età; il capo è scoperto e sormontato da un’aureola; porta indosso
una dalmatica di colore rosso sopra un camice di colore bianco; una stola
scende dal collo fino ai fianchi; la mano sinistra regge una grande graticola e

3 Dalle informazioni fornitemi da don Giuseppe Antoci, l’esistenza di un altare dedicato a

san Lorenzo martire è attestata in documenti del secolo XVI. La chiesa di sant’Antonio Abate è
stata poi distrutta dal terremoto del 1693 e successivamente riedificata in un luogo diverso da
quello originario, riproponendo almeno in parte, tuttavia, l’assetto precedente. L’informazione
relativa alla datazione del dipinto, per l’appunto il 1525, proviene dalla targhetta illustrativa po-
sta a fianco della tela, dovuta agli esecutori del restauro. non appare però chiaro sulla base di
quali elementi sia stata proposta tale data, visto che non la si rinviene sul dipinto; cfr. Parisi
(2001: 19, nota 18).
4 Sulla prima diffusione in Italia di questa tipologia figurativa, si vedano, ma con particola-

re riferimento all’ambiente francescano, Scarpellini (1982: 91ss.) e Frugoni (1993: 130-131), e


poi, con uno sguardo prospettico rivolto all’ambiente comunale, Antal (1960: 215).
5 Riguardo al ruolo della committenza nella diffusione di questa tipologia di raffigurazioni

in Sicilia, cfr. Bresc-Bautier (1979: 31-37); Russo (2012: 62-64). Un’interessante testimonianza
ci è offerta dal testamento del nobile catanese don Alvaro Paternò a proposito della commissione
di un dipinto raffigurante sant’Agata con li historii di cantu (‘storiette laterali’), su cui si veda In-
telisano (2019: 95; 111).
6 A questo proposito, cfr. Russo (2012: 55-61).
7 Cfr. Kaftal (1952: § 182), (1965: § 219), (1978: § 168), (1985: § 138).
8 Russo (2012: 47).
9 Cfr. alla voce «Lorenzo, santo, martire», la sezione curata da Maria Chiara Celletti, in

BSS (1966: 8, 121-129).


Scritture esposte in volgare siciliano. V. Il San Lorenzo e storie del suo martirio 63

la destra un libro e un ramo di palma10. Ai suoi piedi sul lato sinistro, inol-
tre, un piccolo angelo solleva con entrambe le mani una corona dorata,
mentre sul lato destro un uomo in ginocchio (raffigurante, con tutta eviden-
za, il committente) gli si rivolge in preghiera. La figura del santo appare al
centro di un prospetto architettonico costituito da due paraste unite da un
arco a tutto sesto11. Tale artificio figurativo conferisce organicità al dipinto,
per un verso fungendo da trait d’union con le “storiette”, effigiate sui frontali
delle stesse paraste, e per un altro verso alludendo a un ideale raccordo tra lo
spazio in cui è collocato il santo e quello dello spettatore. La scena è comple-
tata dal paesaggio fortemente stilizzato posto come sfondo alle spalle del san-
to, nel quale si distingue un corso d’acqua sormontato da un ponte, in pros-
simità di una sponda del quale si scorgono due piccole case, mentre sull’altra
si stende un agglomerato urbano con edifici di mole più imponente12. Lo
spazio è scandito dalle linee prospettiche trasversali che convergono sul volto
del santo, dalla cornice architettonica che contiene la narrazione della sua vi-
ta e dal profilo dell’orizzonte delineato dal paesaggio urbano.

San Lorenzo e storie del suo martirio.

Come si vede dalla riproduzione riportata sopra, sei delle “storiette” che
corredano l’immagine del santo sono disposte sulle paraste (tre per parte),

10 La dalmatica è l’abito distintivo dei diaconi e il colore rosso simboleggia il sangue dei

martiri; la graticola è lo strumento con il quale il santo fu martirizzato, il libro ne rievoca gli stu-
di, la palma è simbolo dei martiri; su questi simboli dell’iconografia laurenziana, si veda alla voce
«Lorenzo, santo, martire», la sezione curata da Maria Chiara Celletti, in BSS (1966: 8, 121-122).
11 Un giudizio sulla qualità artistica del dipinto in Parisi (2001: 19).
12 Con riferimento alla legenda di san Lorenzo, si potrebbe ipotizzare una raffigurazione

della città di Roma attraversata dal fiume Tevere.


64 Ferdinando Raffaele

mentre una settima – la più importante dal punto di vista iconografico, ossia
quella relativa al martirio – è collocata sulla base di colonna su cui si erge la
figura del santo. Il loro disegno appare meno elaborato rispetto a quello delle
decorazioni, anzi per alcune di esse la definizione appare sbrigativa. Per quel
che riguarda il contenuto, le scene seguono il paradigma del racconto agio-
grafico, articolato intorno alla sequenza vita, morte, miracoli. La linea bio-
grafica proposta dal dipinto segue l’ordine verticale: per la parasta di sinistra,
sulla cui parte sommitale è apposto il segno «I», si va dall’alto verso il basso,
al contrario per quella di destra, sulla cui parte sommitale è apposto il segno
«2», si va dal basso verso l’alto, mentre la scena del martirio, come si è già ac-
cennato, è posta al di fuori della sequenza narrativa.

2. La legenda di san Lorenzo, vissuto nel III secolo, nato nella città spa-
gnola di Huesca e martire a Roma sotto l’imperatore Valeriano13, attinge a
poche e malcerte fonti storiche, che si dipanano da una tradizione orale ben
radicata a Roma e trovano le loro prime attestazioni scritte nel IV secolo nel-
le omelie di sant’Ambrogio e in un inno di Prudenzio14. Tale tradizione, per
quanto ci è noto, vede una prima organica strutturazione nella Passio ss. Xi-
sti, Laurentii et Yppoliti (di cui è parte la Passio Laurentii vetus)15 e successi-
vamente all’interno della Passio Polychronii (che include la Passio Laurentii
recentior)16. È soprattutto quest’ultima a fornire la base, nei secoli successivi,
alle tante composizioni agiografiche, sia in versi che in prosa, dedicate a san
Lorenzo17. Tra tutte, se per qualità letteraria va senz’altro ricordato il Marti-
rio de San Lorenzo di Gonzalo de Berceo18, per impatto di pubblico, nonché
per analisi dei contenuti, la biografia di maggiore rilievo è il De sancto Lau-
rentio martyre, ossia il capitolo 113 della Legenda aurea di Jacopo da Varaz-

13 Va rilevata una vistosa contraddizione tra il racconto della legenda e le informazioni de-

sumibili dalle fonti storiche a proposito degli anni in cui il santo è vissuto e ha subito il martirio,
poiché non sarebbe stato messo a morte nel corso della persecuzione voluta dall’imperatore De-
cio, com’è riferito nelle varie versioni della Passio, bensì sotto l’imperatore Valeriano; per un in-
quadramento complessivo della tradizione relativa alla legenda laurenziana, si rinvia alla voce
«Lorenzo, santo, martire», alla sezione curata da Sandro Carletti, in BSS (1966: 8, 108-121), e a
Giannarelli (1998).
14 Si tratta rispettivamente del De officiis ministrorum, I. 41, 205-207; II. 28, 140-141 –

cfr. l’edizione Krabinger / Banterle (1977: 148-150; 263) – e del Peristephanon – per il quale si
veda l’edizione Cunningham (1966: 257-277). Sono alla base della prima letteratura agiografica
dedicata a san Lorenzo, per una cui sintesi si rinvia a nauroy (1989).
15 Si veda l’edizione Verrando (1991: 184-187); per ulteriori precisazioni sulla tradizione

testuale e sulle redazioni dell’opera, cfr. Verrando (1990).


16 Si veda l’edizione Delehaye (1933: 72-98); cfr. anche l’edizione Giani (2014) di un testi-

mone considerato particolarmente autorevole.


17 BHL 4752-4789; BHL Suppl. (1986) 518-519.
18 Si veda l’edizione Tesauro (1971), che, fra l’altro, ne accerta la dipendenza dalla Passio

Polychronii.
Scritture esposte in volgare siciliano. V. Il San Lorenzo e storie del suo martirio 65

ze, compilazione agiografica che, com’è noto, rappresenta uno dei più fortu-
nati best-seller della letteratura medievale19. Insieme a quest’ultima vanno poi
menzionate altre grandi raccolte di vite di santi, successive all’introduzione
della stampa, che includono la Passio recentior e ne hanno ulteriormente in-
crementato la ricezione, come quella del Mombritius. È dunque a questa
tradizione che occorre rivolgersi per ipotizzare un modello testuale al quale
riportare le raffigurazioni e le iscrizioni del San Lorenzo (cfr. infra § 4). Ma
vediamo, confrontando i vari leggendari, quali sono i punti fermi del bios
del santo. Lorenzo, originario della Spagna, (1) si trasferisce a Roma al se-
guito di papa Sisto che lo ordina arcidiacono, affidandogli il compito di
provvedere alle necessità dei poveri; (2) durante la persecuzione anticristiana
dell’imperatore Decio (anche se in realtà si tratta di Valeriano) è imprigiona-
to insieme a papa Sisto, il quale subito dopo è mandato a morte; (3) mentre
è in carcere, converte alla fede cristiana il suo carceriere insieme ad altri pri-
gionieri; (4) restando fermo il suo rifiuto di adorare gli idoli, (5) è condanna-
to a un atroce supplizio: essere arso su una graticola incandescente; (6) dopo
la morte, il corpo è deposto in una tomba situata lungo la via Tiburtina20.
Rispetto a questo percorso narrativo, come si avrà modo di constatare, le
rappresentazioni riportate nel San Lorenzo risultano tutte coerenti. Ai fini
della presente discussione, pertanto, fornisco l’elenco delle “storiette”, secon-
do la sequenza che si evince dal dipinto, a ciascuna di esse assegno una nu-
merazione e poi ne descrivo sinteticamente il contenuto:
(1) il santo, vestito di rosso, porge la mano a due uomini protesi verso di
lui. Alle sue spalle si nota un grande edificio che ha le fattezze di una chiesa.
La didascalia spiega come egli stia dispensando elemosine ai poveri;
(2) il santo è circondato da un drappello di soldati, riconoscibili dagli el-
mi e dalle alabarde (si noti l’anacronismo di quest’arma), che lo trascinano
verso un edificio di dimensioni imponenti. Siamo informati dalla scrittura
che egli è condotto alla presenza di un tiranno, da identificarsi, ovviamente,
con l’imperatore romano;
(3) il santo, a torso nudo, è trattenuto alle spalle da un soldato, mentre
un altro solleva contro di lui una lunga pertica. Alla scena assiste un terzo
personaggio che dagli abiti sembra essere un alto dignitario. La didascalia,
poi, conferma che si tratta di una fustigazione. Il colore della pittura in alcu-
ni punti appare evanito, ma la figurazione risulta pienamente intelligibile;

19 Cfr. Fleith (1991); Vitale Brovarone (1995); sul tema della circolazione della Legenda

aurea in area siciliana, in relazione ai volgarizzamenti, cfr. Pagano (2004).


20 nella prospettiva del presente lavoro, non riveste particolare rilievo la questione della ve-

rosimiglianza del racconto rispetto alle fonti storiche di cui si dispone, cfr. supra nota 14, per le
quali si rinvia a Franchi de’ Cavalieri ([1900] 1962). A questo proposito si veda anche Milazzo
(2008: 145-147).
66 Ferdinando Raffaele

(4) il santo, in piedi davanti all’ingresso di un grande edificio, rivolge una


mano verso la fronte di un uomo inginocchiato, alle cui spalle si scorge un
gruppo di persone che guardano la scena. La didascalia spiega che san Lorenzo
sta amministrando il battesimo a un convertito. Malgrado una porzione di
colore si sia scrostata dalla tela, il contenuto della figurazione è ben leggibile;
(5) si vede il santo, denudato e prostrato quasi in ginocchio, tra due uo-
mini vestiti in foggia militare, uno dei quali lo afferra per il collo. Un terzo
personaggio, più distante, osserva quanto accade. La scrittura ci informa del
fatto che al santo, ai cui piedi si scorge una grande graticola, sono mostrati
degli strumenti della tortura;
(6) si vede in primo piano, all’interno di una nicchia, una grande arca
funeraria, davanti alla quale sono inginocchiati in preghiera due uomini,
uno a destra e l’altro a sinistra. La didascalia conferma che si tratta della
tomba di san Lorenzo;
(7) il santo è disteso su un letto di ferro mentre due uomini accanto a lui
lo pungolano con lunghe verghe. La didascalia ribadisce il tema della figura-
zione, ossia che san Lorenzo è stato posto su una graticola.
Dal prospetto che ho fornito si constata, inoltre, come le didascalie ab-
biano in alcuni casi una funzione comunicativa di tipo semplicemente con-
fermativo, mentre in altri di tipo esplicativo 21. Di esse, pertanto, occorre de-
finirne l’esatta lezione, per poi verificare a quale modello testuale di riferi-
mento possano essere accostate.

3. Esamino le didascalie secondo l’ordine prima stabilito, proponendo


per ciascuna, in sinossi, l’edizione diplomatica e quella interpretativa22. Preli-
minarmente, faccio presente che lo stato di conservazione delle scritture non
pone alcun problema di lettura, anche se va rilevato come le lettere appaiano
tracciate con mano incerta e il ductus non sempre segua una rigatura regolar-
mente orizzontale all’interno dello spazio epigrafico. Per quanto concerne
l’edizione diplomatica, riproduco integralmente i testi, conservandone la
scriptio continua in lettera maiuscola e disponendoli secondo la rigatura ori-
ginaria; racchiudo tra parentesi tonde lo scioglimento dell’unica abbreviatu-
ra presente; indico con il punto al mezzo gli interpuncta apposti dall’estenso-
re. Per quel che attiene all’edizione interpretativa, procedo alla separazione
delle parole e alla distinzione delle lettere minuscole dalle maiuscole; intro-
duco la punteggiatura e gli opportuni segni paragrafematici; sciolgo in corsi-
vo l’abbreviatura; distinguo <u> da <v>. nelle note fornisco la giustificazio-

21 Sulle funzioni comunicative delle didascalie è fondamentale il confronto con le classifica-

zioni indicate da Raffaelli (1987: 45-46) e Sabatini (1997: 178-180).


22 Una trascrizione dei testi è stata proposta in Parisi (2001: 19), che rivedo qui in alcuni

punti.
Scritture esposte in volgare siciliano. V. Il San Lorenzo e storie del suo martirio 67

ne degli interventi di integrazione al testo e chiarisco il significato di alcuni


lessemi che potrebbero dare adito a dubbi.

Didascalia 1 (d1).
COMV·S·LVREnZV·FICHI Comu S. Lurenzu fichi
MVLTIELEMOSInI multi elemosini.

Didascalia 2 (d2).
COMV·S·LVREnZV·FVPVRT Comu S. Lurenzu fu purtatu
ATV·AVAnTI·LVTIRAnV avanti lu tiranu23.

Didascalia (d3).
COMV·S·LVREnZV·FV·TRVMEn Comu S. Lurenzu fu trumentatu
TATVCV·VIRICHI·DI·FERV cu virichi di feru24.

23 avanti lu tiranu: ‘davanti al tiranno’.


24 trumentatu: ‘tormentato’; virichi: ‘verghe’.
68 Ferdinando Raffaele

Didascalia (d4).
COMV·S·LVREnZV·ESEnDVCA Comu S. Lurenzu, esendu
RCERATV·BATIZAV·LVPROFAnV carceratu, batizau lu profanu25.

Didascalia (d5).
COMV·S·LVREnZV·CHI·FORV·PRI Comu <a> S. Lurenzu chi foru
SInTATI·MVLTI·SORTIDIMARTIRI prisintati multi sorti di martìri26.

Didascalia (d6).
COMV·LV·CORPV·DI·SAnTV Comu lu corpu di Santu
LOR(E)nZV·RISEDI·In·PACI Lorenzu risedi in paci.

25 profanu: ‘non cristiano’, con valore di sostantivo, cfr. TLIO, s.v. «Profano», § 12.
26 Comu <a> S. Lurenzu: integrazione necessaria per dare un senso alla frase, imposta anche
dalla valenza del verbo; chi foru: ‘gli furono’; martìri: ‘torture’ cfr. GDLI, s.v. martìrio, § 3; in
Scobar, s.v. marturiari, indicato quale sinonimo di turmintari, ‘torturare’, cfr. infra § 4, p. 72.
Scritture esposte in volgare siciliano. V. Il San Lorenzo e storie del suo martirio 69

Didascalia (d7).
COMV·S·LVREnZV·FVMISV·SVPRA·LA·RADIGHIA Comu S. Lurenzu fu misu
supra la radighia27.

4. L’esame relativo alla combinazione tra i testi e le immagini del San


Lorenzo non mette in luce tratti distintivi rispetto alla legenda. Il racconto
veicolato dal dipinto, peraltro, si connota sia per il carattere generico delle
“storiette”, sia per l’esigua estensione delle didascalie. Ai fini di un’approssi-
mazione alla fonte, del resto, è d’obbligo il raffronto con le due redazioni
originarie della legenda laurenziana, per l’appunto la Passio Xisti, Laurentii et
Yppoliti (d’ora in poi Passio vetus) e la Passio Laurentii recentior (d’ora in poi
Passio recentior). A esse va aggiunto il capitolo della Legenda aurea di Iacopo
da Varazze intitolato De sancto Laurentio martyre (d’ora in poi LA), che di-
pende sì dalla Passio recentior, ma che la arricchisce con una corposa tratta-
zione critica relativa alle testimonianze sulla vita del santo 28. Propongo per-
tanto, seguendo l’ordine dei riquadri, un confronto contrastivo fra i tre testi
per ciascuna delle sette “storiette” del San Lorenzo 29.
Il primo riquadro riferisce della distribuzione dei beni ricevuti da papa
Sisto operata dal santo, così chiosato nella didascalia: «Comu S. Lurenzu fi-
chi multi elemosini».
Passio vetus Passio recentior (Passio Xisti) LA
Tunc beatus Lauren- Eo tempore, accepta potestate, beatus Beatus igitur Laurentius
tius omnia quae per- Laurentius coepit per regiones curiose christianos die ac nocte
ceperat christianis ar- quaerere, ubicunque sancti clerici vel diligenter quesiuit et
tificibus vendedit et pauperes essent absconsi; et portans unicuique prout opus
omne pretium pau- thesauros, prout cuique opus erat, mi- fuerat ministrauit […]
peribus erogavit (14- nistrabat […] et dedit eis [ai Cristia- et pauperum pedes la-
15). ni] de thesauris suis, quos beatus Xy- uans omnibus elemosi-
stus praecipiens tradidit (14-15). nam dedit (50; 52).

27 radighia: ‘graticola’; infra, p. 75.


28 L’attenzione verso quest’ultima biografia mi pare necessaria anche in considerazione del
successo riscosso dall’opera di Iacopo da Varazze nell’ambito delle rappresentazioni artistiche.
Sul rapporto tra la Legenda aurea e le fonti dalle quali attinge il suo autore, cfr. Boureau (1984).
29 Cito, secondo la relativa suddivisione in capitoli, per la Passio vetus dall’edizione Verran-

do (1991), per la Passio recentior dall’edizione Delehaye (1933), per la Legenda aurea dall’edizio-
ne Maggioni (2007).
70 Ferdinando Raffaele

Come si vede, quanto contenuto nella didascalia trova riscontro in tutti


e tre i testi 30, ma va sottolineato come la parola elemosini trovi corrisponden-
za solamente in LA.
Il secondo riquadro illustra l’episodio del trasferimento di san Lorenzo al
cospetto dell’imperatore Decio, così commentato nella didascalia: «Comu S.
Lurenzu fu purtatu avanti lu tiranu». Anche in questo caso quanto rappre-
sentato corrisponde al racconto di tutte e tre le versioni della legenda:
Passio vetus Passio recentior LA
Decius caesar adduci in et [l’imperatore Decio] fecit si- Ipse [il tribuno Partemio]
conspecto suo praecepit bi beatum Laurentium prae- autem Decio eum [Loren-
beatum Laurentium (35). sentari (19). zo] presentauit (58).

Tuttavia, uno spunto valido per l’identificazione del modello potreb-


be essere offerto dal riferimento che la didascalia fa al tiranno (ossia, secon-
do la legenda, all’imperatore Decio), che sembrerebbe trovare un riscon-
tro più probabile in LA, ove la definizione dell’imperatore quale tiranno
è menzionata in quattro diversi passi: dapprima nelle parole che papa Sisto
rivolge al suo giovane diacono allorché lo esorta a sapere attendere il mo-
mento opportuno per dare testimonianza della sua fede: «nos quasi senes le-
uioris pugne cursum recipimus, te autem quasi iuuenem manet gloriosior de
tyranno triumphus» (47); successivamente nell’ampio commento che segue
il racconto del martirio del santo, nella citazione che Iacopo da Varazze trae
da sant’Agostino, «Beatus Laurentius mansit in Christo usque ad temptatio-
nem, usque ad tyrannicam interrogationem […]» (250); e infine nelle due
citazioni riprese da san Massimo da Torino: «Licet iaceat ante pedes tyran-
ni exusta caro, corpus exanime, nihil detrimenti tamen patitur in terris,
cuius animus demoratur in celis» (287); «Ardebat extrinsecus martyr Lau-
rentius tyranni seuientis incendiis, sed maior illum intrinsecus Christi amo-
ris flamma torrebat» (300). Per altro verso, nella Passio vetus l’imperatore ro-
mano non è mai qualificato come tiranno, mentre nella Passio Polychronii,
tale denominazione non ricorre nella sezione della Passio Laurentii, bensì
in quella della Passio Xisti, nell’episodio in cui papa Sisto esorta Lorenzo
ad attendere con pazienza l’ora del martirio: «nos quasi senes levioris pu-
gnae cursum recipimus; te quasi iuvenem gloriosior de tyranno triumphus
expectat» (13)31.

30 Si consideri, tuttavia, che il passo citato non fa parte della Passio recentior ma della sezio-

ne della Passio Polychronii a essa direttamente collegata, ossia la Passio Xisti. Del resto, anche nel-
l’edizione Mombritius, p. 650 il passo ricade nella Vita di san Sisto papa.
31 Così in Mombritius, p. 650, in cui il brano citato cade nel capitolo intitolato Passio san-

ctorum Xisti episcopi felicissimi et Agapiti martyrum.


Scritture esposte in volgare siciliano. V. Il San Lorenzo e storie del suo martirio 71

La combinazione testo/immagine del terzo riquadro – nel quale si vede il


santo a torso nudo flagellato dai soldati romani, con la sottostante didascalia
«Comu S. Lurenzu fu trumentatu cu virichi di feru» – trova pieno riscontro
sia in Passio recentior sia in LA:
Passio recentior LA
Decius iracundia plenus iussit eum nu- Tunc iubente Decio nudus fustibus cedi-
dum fustibus caedi (24). tur […] (93).

Invece in Passio vetus non si fa cenno ad alcun tipo di violenza fisica nei
confronti del santo, se non all’atto del martirio.
Il quarto riquadro riferisce del battesimo che Lorenzo amministra a un
pagano, così chiosato nella didascalia: «Comu S. Lurenzu, esendu carceratu,
batizau lu profanu». Il raccordo con la legenda non emerge in modo lineare.
Se in Passio vetus è solo il carceriere Ippolito (anche lui martirizzato, subito
dopo Lorenzo) a chiedere e ottenere il battesimo: «Quod cum videret Yppo-
litus, statim ad pedes eius [di Lorenzo] provolutus orabat ut christianus effici
mereretur» (44-45); negli altri due testi il sacramento è impetrato, oltre che
dallo stesso Ippolito, anche da altri due personaggi. Lorenzo, infatti, prima
battezza un compagno di prigionia di nome Lucillo, che dopo avere ricevuto
il sacramento recupera la vista:
Passio recentior LA
Et benedixit aquam; et cum expoliasset […] aquam super eius caput effudit et ip-
eum, fudit super caput eius (20). sum in Christi nomine baptizauit statim-
que qui cecus erat lumen recepit (67).

Constatato l’accaduto, il carceriere Ippolito si converte e chiede anch’egli


il battesimo a Lorenzo, il quale dopo una breve catechesi glielo amministra,
e lo stesso fa con i suoi familiari:
Passio recentior LA
Et more solito catecisavit eum. Et extrac- Eadem hora Ypolitus credidit et sacrum
tus de aqua coepit dicere Yppolitus: […] baptisma cum familia sua suscepit (73).
“Adiuro te, per dominum Iesum Chri-
stum, ut omnis domus mea baptizetur”.
Et baptizati sunt promiscui sexus in domo
Yppoliti numero decem et novem cum
gloria (21).

Infine, è un soldato di nome Romano, incaricato di eseguire la sua con-


danna a morte, a chiedere e ricevere il battesimo da Lorenzo:
72 Ferdinando Raffaele

Passio recentior LA
Eadem hora Romanus afferens urceum Romanus autem afferens urceum cum
cum aqua, coepit quaerere horam ut eum aqua ad pedes Laurentii procidit et sacrum
offerret beato Laurentio. […] Veniens au- ab eo baptisma suscepit (115).
tem Romanus et afferens aquam, misit se
ad pedes beati Laurentii et rogabat eum
cum lacrimis ut baptizaretur. Et accepta
aqua benedixit et baptizavit eum (26).

Il testo siciliano non consente di capire a quale dei tre personaggi si fac-
cia riferimento, tuttavia l’esame del disegno induce a identificare il profanu
menzionato nella didascalia con Ippolito, considerando la presenza accanto
al catecumeno di un piccolo gruppo di persone, le quali potrebbero rappre-
sentare i familiari del convertito pronti, anche loro, a ricevere il battesimo. E
su questo punto i testi di Passio recentior e di LA concordano, con la diffe-
renza che in Passio recentior si fa riferimento a un rito battesimale per im-
mersione 32, mentre in LA a un rito per infusione (ovvero aspersione). Tale
variante disgiuntiva farebbe dipendere il contenuto del riquadro da LA, con-
siderato che la raffigurazione del battesimo segue quest’ultimo rito.
nel quinto riquadro è rappresentato l’episodio relativo alle minacce di
tortura rivolte al santo, ed esso, come già per il secondo riquadro, non ha ri-
scontro nella Passio vetus. Inoltre, la didascalia riferisce del fatto che gli sono
presentati «multi sorti di martìri», mentre la figurazione ci mostra Lorenzo
denudato e prostrato, fin quasi a essere messo in ginocchio, con due soldati
romani che minacciosi incombono su di lui. L’episodio sia in Passio recentior
che in LA precede quello della fustigazione rappresentata nel terzo riquadro
e raffigura il secondo interrogatorio del santo da parte dell’imperatore, che
ordina ai suoi sottoposti di mostrargli gli strumenti di tortura che sarebbero
stati adoperati contro di lui qualora si fosse rifiutato di adorare le divinità
pagane:
Passio recentior LA
Decius Caesar iratus iussit eum in con- Iratus Decius iussit eum scorpionibus cedi
spectu suo expoliari et cedi cum scorpio- et omne genus tormentorum ante ipsum
nibus […] Decius Caesar dixit: “Leuate afferri (88).
eum a terra et date ante conspectum eius
omne genus tormentorum”. Et allatae
sunt lamminae ferreae et lecti et plumba-
tae et cardi (23).

32 Il testo riporta «extractus de aqua»; tuttavia in alcuni testimoni della passio si ha «exter-

sus», cfr. Delehaye (1933: 87); Giani (2014: 525).


Scritture esposte in volgare siciliano. V. Il San Lorenzo e storie del suo martirio 73

Il sesto riquadro propone la raffigurazione della tomba del santo, e fa ri-


ferimento alla sua sepoltura, com’è confermato dalla didascalia «Comu lu
corpu di Santu Lorenzu risedi in paci», che trova riscontro in tutti e tre i te-
sti della fonte:
Passio vetus Passio recentior LA
In eo die rapuit corpus Tunc beatus Iustinus presbyter et […] quod Ypolitus ma-
eius Yppolitos et condi- Yppolitus plorantes et multum tri- ne rapuit et cum Iusti-
dit illud aromatibus et stes tulerunt corpus beati Laurentii no presbitero in agro
posuit in crypta abditis- archidiaconi et martyris et vene- Verano conditum aro-
sima, die quarto idus runt in viam Tyburtinam […] Iam matibus sepeliuit (136).
augustas (64-65). hora vespertina sepelierunt eum in
crypta in via Tyburtitna, in prae-
dio Cyriacae viduae, in agro Vera-
no, quarto idus augustas (29).

Anche per il settimo riquadro si registra la convergenza tra i contenuti


del San Lorenzo e quelli di tutte le versioni esaminate. Tuttavia il ricorso alle
“forcelle di ferro” da parte dei carnefici del santo – elemento, questo, che si
evince dal dipinto – è menzionato solo in Passio recentior e in LA:
Passio vetus Passio recentior LA
Tune [l’imperatore] ius- Decius Caesar dixit: “Date lectum Ministri ergo eum
sit eum ante conspec- ferreum, ut requiescat Laurentius exuunt, super cratem
tum suum in graücula contumax”. Allatus est autem lectus ferream extendunt et
vivum assari (57-58). cum costis tribus in conspectu Decii prunis suppositis eum
Caesaris, in modum craticulae. Et al- cum furcis ferreis
latus est beatus Laurentius et expolia- compresserunt (127).
tus est vestimentis suis in conspectu
Decii et Valeriani et extensus est in
craticula ferrea. Et allati sunt batuli
cum prunis et miserunt sub craticu-
lam ferream et cum furcis ferreis co-
artari fecit beatum Laurentium (28).

I riscontri fino a qui proposti escludono la dipendenza del San Lorenzo


dalla Passio vetus e ne confermano la dipendenza (come era prevedibile, con-
siderata la storia della tradizione della legenda) dalla Passio recentior. Rispetto
a quest’ultima, tuttavia, credo che sia più probabile una dipendenza dal rifa-
cimento di Iacopo da Varazze, sulla base degli elementi verbali ovvero figu-
rativi che ho messo in evidenza nel primo, nel secondo e nel quarto riqua-
dro. Si tratta, come si vede, di elementi disgiuntivi minimi, che peraltro non
incidono sulla complessiva interpretazione dei testi, ma che destano interesse
sul piano culturale, se non altro perché costituiscono un indizio relativo alla
74 Ferdinando Raffaele

ricezione in Sicilia della Legenda aurea 33. Del resto, è attraverso questo tipo
di rappresentazioni pittoriche che le vite dei santi narrate da Iacopo da Va-
razze possono essere trasmesse anche ad analfabeti o comunque a persone
che difficilmente si accosterebbero alla lettura di un libro.

5. Dal punto di vista della lingua, le didascalie del San Lorenzo presenta-
no una salda facies siciliana 34, ma nello stesso tempo, per quanto costituzio-
nalmente brevi, ci informano sulla coesistenza di due tensioni che caratteriz-
zano la storia del siciliano, e il cui risultato sarà il venir meno dello statuto di
lingua del volgare 35. Da un lato si tratta di un’ulteriore testimonianza della
varia e complessa articolazione del processo di ricezione nell’isola del toscano
come lingua dell’uso scritto ( paci, Lorenzu)36; dall’altra documentano il pri-
mo manifestarsi di tratti ancor oggi vitali nel dialetto (radighia, virichi).
Per ciò che concerne la grafia, diversamente da altre scritture, le nasali
non sono mai abbreviate; l’unica abbreviazione, con titulus, riguarda <e> in

tata da <v>; l’affricata palatoalveolare sorda [ ʧ ] è rappresentata dal digram-


LOR(E)nZV (d.6). Così come in tutte le scritture esposte, [u] è rappresen-

cora nel XVI secolo, del sistema grafematico del siciliano medievale 37; [ ʧ ] è
ma <ch> in fichi (d.1) e in chi (d.5), tratto pertinente e ben consolidato, an-

rappresentata anche da <c> in paci (d.6), tratto più tardo, risultato dell’in-
flusso del toscano 38. L’occlusiva velare sorda [k] è rappresentata da <ch> in
virichi (d.3)39. Così come in altre scritture esposte 40, le geminate sono rap-
presentate scempie in tiranu (d.2), feru (d.3), esendu (d.5), batizau (d.5)41.

33 A questo proposito, trova conferma l’interrogazione di Pagano (2004: 748) sulla necessi-

tà di più ampie indagini sulla circolazione della Legenda aurea in Sicilia: «Che di questo vero e
proprio ‘best seller’, non solo della cultura medievale ma anche di quella immediatamente serio-
re, sono rimaste così poche tracce in Sicilia è constatazione che merita qualche riflessione».
34 Per un inquadramento storico della scripta del volgare siciliano faccio riferimento a Var-

varo (1995: 228-230).


35 Sull’argomento, restano validi alcuni dei rilievi di Sorrento (1921: 35ss.); si vedano inol-

tre Lo Piparo (1987: 735); Alfieri (1992: 812ss.); Valenti (2015). Più specificamente, sui primi
documenti redatti in toscano da siciliani si rinvia a Varvaro ([1977] 1984) e Varvaro ([1979]
2019: 62-63).
36 Discuto di ciò, con specifico riferimento alla tipologia testuale delle didascalie che corre-

dano figurazioni di tema religioso, in Raffaele (in c.s.).


37 Cfr. Varvaro (1995: 231) e Coluccia (2002: 87-88); in ARTESIA a fronte di 355 occ. di

pachi, solo 32 occ. di paci, poco significative se si tiene anche conto che ben 30 sono attestate in
ValMaxXIVU.
38 Significativo quanto scrive nel 1543 Claudio Mario Arezzo a proposito dell’uso di <ch>:

«Videndo alcuni sillabi in li quali si interponi quista littera H di noi pronunziati con quillo ac-
cento grasso con lo quali li fiorentini dicino lo ce […] si levi in tutto la littera H di quisto modo:
celo e non chelo, ceco e non checo, Sicilia e non Sichilia», in Grasso (2008: 75).
39 ‘Verghe’.
40 Cfr. gli esempi riportati in Raffaele (2010: 89), (2016: 27), (2018: 32).
41 Cfr. Barbato (2007: 158-159).
Scritture esposte in volgare siciliano. V. Il San Lorenzo e storie del suo martirio 75

Per la fonetica, il vocalismo, sia tonico sia atono, corrisponde agli esiti
del siciliano medievale; anche se non si riscontrano oscillazioni nel vocali-
smo atono finale, su cui, com’è noto, nel secolo XVI si manifestano le spinte
di cambiamento o in direzione del toscano o verso una parlata siciliana so-
vramunicipale 42, un’eccezione è rappresentata, ma in protonia, dall’esito in
[o] del dittongo au, laurĕntiu(m) > Lorenzu in (d.6), diversamente dalle
precedenti cinque didascalie in cui l’esito è in [u], laurĕntiu(m) > Luren-
zu 43. Da segnalare in (d.3) la metatesi trumentatu per turmentatu 44; ancora
in (d.3) un caso di epentesi di [i]45 e l’assordimento di [g ] > [k] in virichi <
virga(m)46, esito ancor oggi vitale nel dialetto47. Degno di nota il sostantivo
radighia (‘graticola’), in quanto prima attestazione, almeno sulla base della
documentazione disponibile, di due esiti che caratterizzano il dialetto odier-
no: laddove in ARTESIA è unicamente attestata la forma gradigla [< crati-
cla < craticula(m)]48, con sonorizzazione del nesso consonantico iniziale
(cr- > [ gr-]), qui si registra un’ulteriore evoluzione con la perdita del primo
elemento del gruppo consonantico [ gr-] > [r-]49. Altro elemento (panregio-

le del gruppo consonantico -c’l- > [ ʎ ] > [ggj], laddove in ARTESIA è unica-
nale) pertinente al dialetto odierno è l’esito in occlusiva sonora mediopalata-

mente attestata la laterale palatale [ ʎ ]50.


I testi presentano tutti una struttura sintattica molto semplice, e sono in-
trodotti da comu, secondo una formula tipica delle rubriche esplicative 51.

42 Cfr., per es., Claudio Mario Arezzo, in Grasso (2008: 41): «Soli comunementi la lingua

siciliana, in quisto tempo, reponiri in lo fini di li ditioni quista littera u, dicendo andamu, parla-
mu, Franciscu […] lo qual uso non pozo aprobbari, anzi di in tutto mi par si digia removiri, ver-
tendo la u in o»; cfr. anche Alfieri (1986: 292); Lo Piparo (1987: 736).
43 In ARTESIA sempre Laurenzu (e allografi); sul dittongo au, cfr. Rinaldi (2005: 366) e

Barbato (2007: 115).


44 Cfr. Rinaldi (2005: 383): «In tutte le combinazioni si riscontra con alta frequenza la me-

tatesi di -r-»; cfr. anche Rohlfs (I: § 322); Varvaro (1988: 721); Vàrvaro (1995: 234); Barbato
(2007: 148).
45 Cfr. Rinaldi (2005: 397) e Barbato (2007: 147).
46 Cfr. anche supra, n. 39.
47 Cfr. VS, s.v. vìrica.
48 (5 occ.) e gradigle (1 occ.), tutte attestate in inventari di beni, datati tra il 1436 e gli inizi

del XVI sec. Anche in Scobar, da considerare un vocabolario sincronico del siciliano degli inizi
del XVI secolo, la forma del lemma è gradigla.
49 Cfr. Rohlfs (I: § 185): «nell’Italia meridionale il nesso tende a perdere g ».

riguarda il dialetto, va comunque segnalato che [ ʎ ] è ancor oggi vitale in aree circoscritte quali
50 Cfr. Rohlfs (I: § 248) e Varvaro (1988: 721); cfr. anche Michel (1986: 110). Per quanto

l’agrigentino e il nisseno, cfr. Ruffino (2018: 23; 69).


51 A proposito di questo tipo di struttura sintattica, così D’Achille (2017: 352): «Se poi

guardiamo all’aspetto sintattico-testuale, possiamo richiamare il parallelismo tra la struttura delle


scritture esposte di carattere narrativo, in particolare delle didascalie che corredano i cicli di af-
freschi dedicati alle vite e i miracoli di santi, costituite spesso da proposizioni subordinate espli-
cite (per lo più prive di reggente) introdotte da come o quando, e i titoli dei capitoli in cui si sud-
76 Ferdinando Raffaele

Per il lessico, da segnalare in (d.4), in quanto prima attestazione, il sost.


profanu, ‘non cristiano’, ‘pagano’ 52.

6. Come già per altre composizioni pittoriche corredate da didascalie che


ho avuto modo di esaminare, anche per il San Lorenzo ritengo che vada con-
siderata una peculiare collocazione nell’ambito dell’agiografia siciliana in lin-
gua volgare 53. Se non altro perché, a prescindere dal medium adoperato,
l’opera manifesta uno strettissimo legame con la tradizione testuale della
fonte agiografica, i cui contenuti salienti sono riproposti in un articolato
“racconto per immagini”, e perché essa evidenzia una chiara funzione didat-
tica, in rispondenza alla concezione dell’immagine sacra icasticamente indi-
cata quale Biblia pauperum, secondo la celebre definizione di papa Gregorio
Magno. A questo proposito, occorre rilevare come il dipinto persegua tale fi-
nalità pedagogica continuando ad aderire a un modello che nella coeva cul-
tura figurativa di livello elevato appare da tempo ‘fuori moda’ 54, ma conti-
nua a essere seguito in ambiti di fruizione di tipo popolare 55.
nel San Lorenzo, peraltro, a un ordito pittorico di taglio popolare si as-
socia un “paratesto verbale” 56 che adopera il volgare siciliano secondo un re-
gistro modesto (che non evidenzia marcate tendenze ‘filotoscane’), vergato
sulla tela in una forma dimessa, priva di artifici decorativi o di empattements.
Riguardo, infine, ai contenuti, constatiamo come il dipinto veicoli, entro
l’orizzonte culturale proprio alla pietà popolare che tendenzialmente presup-
pone un rapporto diretto tra il devoto e il santo 57, una selezione di episodi
della legenda laurenziana che, rispetto alla fonte agiografica, non ripropone i
miracoli operati dal santo, com’è frequente in altri dipinti della medesima ti-
pologia, bensì indulge sul suo apostolato (distribuzione di beni ai poveri,
conversione di un pagano) e sulle sue sofferenze (prigionia e torture). Il pro-

dividono le cronache o delle rubriche che ne sintetizzano i vari contenuti, introdotti da come ». E
ancora si vedano, oltre a D’Achille (1987: 174-175), (1997: 236), Ciociola ([1989] 1992: §§
14-15), Sabatini (1997: 179), e, relativamente alle scritture esposte in volgare siciliano, Raffaele
(2019: 18).
52 Assente anche in Scobar; per i volgari italiani, cfr. TLIO, s.v. profano.
53 Per i cui caratteri fondamentali si rinvia a quanto è stato messo a fuoco in Zaggia

(2016).
54 Oltretutto, nel secolo XVI, l’inserzione di scritture nel dipinto è ritenuta disdicevole, cfr.

Dalli Regoli (1997: 430); mentre risulta abbastanza frequente fino alla prima metà del secolo
XV, cfr. Covi (1986).
55 In Sicilia questa tipologia figurativa continua a mostrare una significativa vitalità, cfr.

Russo (2012: 61), che indica l’esempio del pittore toscano Filippo Paladini, il quale, trasferitosi
in Sicilia alla fine del sec. XVI, fece proprie le istanze dei committenti, dipingendo un significa-
tivo numero di tele raffiguranti santi e storie della loro vita.
56 Tale definizione relativa ad alcune tipologie di scritture esposte è di D’Achille (2017: 353).
57 Valgano a tal riguardo le osservazioni di Manselli (1983). Per un’analisi sulle rappresen-

tazioni letterarie della pietà popolare in ambito siciliano, rinvio a Raffaele (2020).
Scritture esposte in volgare siciliano. V. Il San Lorenzo e storie del suo martirio 77

getto dell’artefice/narratore, in buona sostanza, mira a determinare sui frui-


tori un effetto di ‘compassione’ (nel senso della partecipazione alle sofferenze
del santo 58), ponendo in relazione il canone letterario della legenda di san
Lorenzo martire (espressione, peraltro, di un culto devozionale molto radica-
to nella Chiesa) con una ricezione eminentemente locale, della quale si può
distinguere abbastanza nitidamente l’orizzonte culturale e linguistico.
Università «KORE», Enna FERDInAnDO RAFFAELE
ferdinando.raffaele@unikore.it

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58 Si veda, a questo proposito, Pozzi (1997: 27).


78 Ferdinando Raffaele

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Riassunto / Abstract
Proseguendo precedenti ricerche sulle scritture esposte in volgare siciliano, l’ar-
ticolo esamina le didascalie che corredano le «storiette» di un dipinto raffigurante
San Lorenzo martire, custodito presso la chiesa di Sant’Antonio Abate a Monteros-
so Almo (RG). Dopo avere preliminarmente vagliato i contenuti della pittura, si
procede alla rextitutio textus, all’esame linguistico delle scritture e alla messa a fuoco
del loro rapporto con la figurazione del dipinto e con le fonti letterarie della legenda
laurenziana. I testi sono databili al 1525 – ricadono dunque in un periodo in cui
nell’uso scritto si registra il progressivo passaggio dal volgare siciliano a quello tosca-
no – e denotano una salda facies linguistica siciliana, connotata peraltro dal primo
manifestarsi di tratti che risulteranno vitali nel dialetto odierno.

On the basis of previous research into inscriptions in Sicilian vernacular, this


article examines the captions in Sicilian vernacular which accompany the “little
tales” of a picture dedicated to Saint Lawrence martyr, in the church of Saint
Antony the Abbot in Monterosso Almo (RG). After reviewing the content of the
painting, the article moves on to the restitutio textus and the linguistic analysis of
the captions; it also focuses on the relationship between the written text, the image,
and the literary sources of Saint Lawrence’s legenda. The texts date back to 1525 – a
period when the transition from the Sicilian to the Tuscan vernacular occurs – and
present a well-preserved Sicilian linguistic facies, connoted moreover by the first ap-
pearance of traits that will be vital in today’s dialect.
OTTO UOMInI A CAVALLO. CATALAnI E GUASCOnI
nELLA SICILIA DEI TRASTAMARA

Campagna nei dintorni di Palermo, un anno imprecisato tra gli anni


venti e trenta del XV secolo. In Sicilia regnano ormai i Trastamara, la nuova
dinastia che ha instaurato un potere “prudente e terribile” secondo la defini-
zione di Henri Bresc. Il 25 giugno, giorno successivo alla festa di s. Giovan-
ni Battista, in cui per tradizione si dà inizio alla mietitura, Lemmo de Mili-
na, proprietario di una masseria nei dintorni di Palermo, assiste all’inizio dei
lavori nelle sue terre, a cui partecipano quattro persone. Improvvisamente si
presentano otto uomini armati a cavallo che cominciano a colpire Lemmo
con le lance; uno di loro scende dal cavallo, e, dicendo a Lemmo «volevi la
capra? Ed io come una capra ti scanno», lo sgozza, dopodiché gli aggressori
se ne vanno. Il misfatto è denunciato dal figlio della vittima, il notaio Anto-
nio de Milina, in un brevissimo documento rivolto alle autorità cittadine di
Palermo perché facciano appello alla giustizia del re, alla Magna regia Curia.
L’efferato omicidio era anche e soprattutto una forma drastica ed efficace
di intimidazione, resa ancora più efficace dal momento in cui avviene, il
giorno d’inizio del più importante lavoro della vita dei campi in Sicilia: gli
esponenti dichiarano di non poter continuare la mietitura, perché spaventati
dalle minacce ricevute. La vittima era un uomo benestante, un proprietario
terriero che si era potuto permettere di far studiare il figlio fino a farne un
notaio. Il figlio, che ha evidentemente redatto l’esposto alle autorità cittadi-
ne, risulta attivo come notaio a Palermo dal 1428 al 1434.
nomi e cognomi di coloro che presentano l’esposto sono molto comuni:
con tutta probabilità si tratta di coloro che erano presenti al fattaccio, cioè i
contadini alle dipendenze del proprietario per la mietitura. I cognomi degli
aggressori sono invece chiaramente identificabili come catalani: Rois, Brau,
Sarriá; il bastardo (lu burdu) di Alàs appartiene a un lignaggio non propria-
mente catalano ma di origine guascone, bearnese: uno dei guasconi che co-
minciarono ad arrivare in Sicilia con l’armata di Martino di Montblanc ed
84 Laura Sciascia

erano presenti ancora nell’armata dei vicegerenti che governavano l’isola per
i Trastamara. Solo il cognome di Giovanni Ischininà è siciliano (Schininà) e
rimanda a un toponimo calabrese di origine greca: sul finire del secolo lo ri-
troveremo in un ebreo di Sciacca, Iosep Ischininà che commercia in grano.
Gli aggressori dunque sono riconosciuti e identificati, il soprannome in par-
ticolare indica che si tratta di persone ben note. Il riferimento alla capra ri-
manda all’antefatto: verosimilmente qualcuno del gruppo aveva rubato una
capra di proprietà di Lemmo, e questi l’avrà energicamente rivendicata, pro-
testando e minacciando, e offrendo così il pretesto per una punizione esem-
plare di spettacolare violenza.
La vicenda non ha aspetti particolarmente interessanti. Un episodio vio-
lento della difficile convivenza tra la “genti foresteri franchisca odiusa”, co-
me li definì nel 1411 la regina Bianca di navarra, e i siciliani, obbligati ad
alloggiarli e sfamarli. Il brevissimo racconto è scritto in un bel siciliano, lim-
pido ed espressivo, e in una bella e sicura scrittura: si noti con quanta forza
viene sottolineato il fatto che la vittima viene aggredita mentre si trova nelle
sue terre a far raccogliere le sue messi. Un bell’esempio di quel sintetico rea-
lismo tipico dell’ars narrandi siciliana di cui si trovano tanti esempi nella
cronaca che siamo abituati ad attribuire a Michele da Piazza e che ha dato
splendidi frutti nella letteratura italiana postunitaria: dal brandello di perga-
mena il campo di grano, l’arrivo degli uomini a cavallo, la sanguinaria, re-
pentina violenza dell’assassinio emergono come nella scena di un western.
Della tecnica narrativa squisitamente siciliana del cronista parlavo di tanto
in tanto con Cuchita Rinaldi, e scrivendo questa paginetta ho pensato spesso
all’amica scomparsa, che avrebbe certamente condiviso con me il gusto della
lettura.

Palermo, dopo il 1416. Il notaio Antonio de Milina, cittadino di Palermo, figlio del
fu Lemmo de Milina, Giovanni di Lamagnina, Pino di Lanello, Pino di Alfano e Antonio
di Orlando chiedono al capitano, al pretore, ai giudici e ai giurati di Palermo di portare a
conoscenza del re e dei vicegerenti le circostanze dell’assassinio di Lemmo, avvenuto il 25
giugno nel corso della mietitura nella sua masseria, da parte di un gruppo di cui facevano
parte lu burdu (‘il bastardo’) di Alàs, Giovanni Rois, Giovanni Iskininà, Giovanni Brau e
un certo Sarrianu (Sarriá).

Viri egregii et magnifici videlicet capitaneus, pretor, iudices et iurati feli-


cis urbis Panormi. Cu duluri a li nobilitati vostri expo/ninu notarius Antoni
di Milina vostru conchitatinu figlu di lu passatu Lemmu di Milina, Iohanni
di Lamagnina, Pinu di Lanellu, / Pinu di Alfanu et Antoni di Urlandu, habi-
taturi et conmoranti in quista chitati, comu lu iornu sequenti di sanctu Io-
hanni Bat/tista, exendu lu dictu Lemmu in la sua massaria in so tirrenu fa-
chendu metiri so lavuri, octu homini di cavallu, zoè lu burdu di / Alàs, Io-
hanni Roys, Iohanni Iskininà, Iohanni Brau, Sarrianu, et certi autri armati;
Otto uomini a cavallo. Catalani e Guasconi nella Sicilia dei Trastamara 85

et foru undi lu dictu Lemmu, di ki ipsi / lu incuminzaru a lanciari, dixinden-


du unu di cavallu dichendu: «Tu non vulivi la crapa? Eu ti voglu scannari a
modu di / crapa!», et cussì dichendu lu scannau, et di poy si parteru; et però
ki ipsu era habitaturi di za, et vui diviti favuriri li vas /salli et regii servituri, vi
requidimu ki di tali acti et dampni indi digiati notificari a lu serenissimu si-
gnuri re et a li / soy magnifichi vicegerenti in quistu regnu per modu ki ipsi
prochedanu in tuctu comu est di iusticia, et maxime però ki nui non chi /
putimu andari per li paguri ki nui avimu per li aminazi ki ni su facti. Sempri
ni acumandamu a li nobilitati vostri.
Sul verso: Suplicatum. Pro Antoni de Milina et consortibus

Archivo de la Corona de Aragón, Real Cancillería, Cartas Reales, Martín I, 1321 r/v.

L’approssimativa datazione del documento è basata sul riferimento ai vi-


cegerentes e sulle date degli atti del notaio de Milina conservati all’Archivio di
Stato di Palermo (reg. 937 e sp. 28, 29 e 30, 1428-29, 1429-30, 1430-31).
Ringrazio Maria Antonietta Russo, che mi ha permesso di confrontare la
scrittura dell’esposto con quella dello spezzone 28. Anche i registri di Anto-
nio de Milina sono esemplari per ordine, chiarezza di scrittura e di espressio-
ne. Su Iskininà / Schininà, cfr. Caracausi (1994, II: 1485). Il cronista che
per comodità continuiamo a chiamare Michele da Piazza non ha ancora avu-
to un’edizione critica, e dunque per leggere i suoi racconti bisogna ancora ri-
correrre alla venerabile edizione di Gregorio (1791-1792), o alla pratica edi-
zione curata da Giuffrida (1980).
Palermo Laura Sciascia
laurasciascia@gmail.com
86 Laura Sciascia

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Riassunto / Abstract
Un efferato omicidio, perpetrato nelle campagne di Palermo durante la mieti-
tura, rivela la violenza dell’occupazione catalana dopo la restaurazione monarchica
aragonese. A denunciare il fatto un notaio, figlio della vittima.

A heinous murder, perpetrated in the countryside of Palermo during the har-


vest, discloses the violence of the Catalan occupation after the Aragonese monarchi-
cal restoration. A notary, the son of the victim, denounced the fact.
Un nUOVO MAnOSCRITTO DI CAnZOnI SICILIAnE
COn OTTAVE InEDITE ATTRIBUITE
AD AnTOnIO VEnEZIAnO*

Una nuova antologia manoscritta di canzuni siciliane databile intorno al


1600 viene ad aggiungersi, dopo la raccolta d’autore Fn11 segnalata da Leu-
ker (2016) e datata 1605, al repertorio stabilito da Rinaldi (1995), che dise-
gnava le coor-dinate di una tradizione manoscritta e a stampa amplissima e
variegata. La scoperta non è sorprendente in sé, dal momento che il censimen-
to dei manoscritti rimaneva dichiaratamente aperto1. Lo è invece il reperimen-
to, all’interno dell’antologia, di un ciclo occasionale di ventidue ottave attri-
buito ad Antonio Veneziano «carcerato», da considerare come vedremo quasi
sicuramente autentico. In questo contributo ci limiteremo a descrivere la nuo-
va antologia (§ 1), cui si assegna la sigla CG secondo il sistema introdotto da
Rinaldi (1995)2, ad argomentare la datazione del ms. sulla base dei nomi del
donatario e del probabile donatore (§ 2), e a dare un’edizione commentata
del ciclo di ottave, finora sconosciuto, attribuito al Veneziano (§ 3). In Ap-
pendice si fornisce una tavola completa del ms. per facilitare ulteriori studi.

* Questo contributo è il risultato della collaborazione fra i due autori. In particolare, Fran-
cesco Carapezza è responsabile dei §§ 1 e 3, e ha approntato la tavola in Appendice. Gianluca
Vecchio, cui va il merito della scoperta del manoscritto, è responsabile del § 2 e ha raccolto buo-
na parte delle informazioni storiche messe a frutto nel § 3. Ringraziamo Pucci Giuffrida, attuale
proprietario del manoscritto, che ci ha permesso di compulsarlo nella sua azienda vinicola ai pie-
di dell’Etna, e inoltre Marcello Barbato per la rilettura, Fabrizio D’Avenia e Laura Sciascia per la
consulenza storica e bibliografica.
1 Rinaldi (1995: 45): «Il corpus, costituito al termine di una ricognizione assai laboriosa,

che si è deciso di considerare esaustiva (pur ritenendo probabile l’eventualità di nuove scoperte
in settori forzatamente non esplorati), è costituita da 131 testimoni, dei quali 111 sono mano-
scritti e 20 a stampa». In nota 12 si aggiunge: «non è escluso che anche privati siano in possesso
di raccolte di canzuni, manoscritte o a stampa». Con Fn11 e CG i manoscritti salgono a 113 e i
testimoni a 133.
2 Il ms. è ora nella collezione privata del Sig. Pucci Giuffrida, a Catania: da qui la sigla (Ca-

tania, Giuffrida).
88 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio

1. Descrizione del ms. CG

CG è un manoscritto cartaceo di piccolo formato (mm 148 × 100) con-


tenente 198 carte senza rigatura e copiato da un’unica mano in stile corsi-
vo dal ductus piuttosto rapido e trascurato. Si osservano cambi d’inchiostro
a c. 22ra, 30ra, 92vb, 94vb, 127rb, 136ra (dopo segno di chiusura in fon-
do a 135v) e di modulo (per es. a c. 85r e 186rb), che rispecchiano fasi di
copia successive, e sporadiche autocorrezioni (nelle ottave 5rb, 10va, 28rb,
56va, 65ra, 151vb, 171vb, 188vb). La cartulazione, da 1 a 194, fu inserita
probabilmente dallo stesso copista: non è numerata intenzionalmente la pri-
ma carta del primo fascicolo, lasciata bianca, che qui numeriamo [0], e la
numerazione manca per errore sulle carte successive a 91, 129, 175, che qui
chiamiamo 91bis, 129bis, 175bis (cfr. tavola in Appendice). La fascicolazione
prevede 13 unità di copia con regolare alternanza tra fascicoli dispari di 14
carte e fascicoli pari di 18 (solo il IV ne conta 10 anziché 18), e rispecchia lo
stato di conservazione pristino del libretto. Anche la legatura, in pergamena
molle, potrebbe essere quella originaria. Va detto però che il ms. si conclu-
de con una carta interamente copiata (194) e senza alcun elemento di chiu-
sura: è dunque possibile che la copia si sia interrotta oppure che si sia perso
qualcosa.

Tav. 1: CG, c. [0r], part.

Il ms. CG reca l’epigrafe Libro di canzoni siciliani da mandarsi per / Lelio


à Paolo Pozzobonello suo Padrone (tavola 1), apposta in alto a c. [0]r da una
mano coeva ma diversa da quella del copista 3. Comprende in tutto 782 otta-
ve (di norma due per pagina) ed è perciò classificabile come un’antologia di
medie dimensioni (cfr. Rinaldi 1995: 51ss), caratterizzata dalla presenza di
una cospicua sezione di 56 Ottave (cc. 43r-150r, per un totale di 433 canzu-
ni)4, preceduta dall’epigrafe Le sequenti sono tutte ottave di / Poeti Valenti in

3Per l’identificazione dei personaggi e la conseguente datazione del ms. si rimanda al § 2.


4Usiamo Ottava (con la maiuscola) per indicare la serie di otto canzuni costruite su un’ot-
tava mastra che fornisce l’ultimo verso di ciascuna unità. Sul genere formale nella tradizione, cfr.
Rinaldi (1995: 68-70).
Un nuovo manoscritto di canzoni siciliane con ottave inedite 89

questa lingua siciliana (c. 42v, stessa mano dell’epigrafe iniziale). In questa
sezione, che occupa la porzione centrale e più della metà del libro (108 carte
su 198), sono rappresentati diciannove autori senza un criterio d’ordina-
mento prestabilito accanto a 16 Ottave adespote (una di queste è anepigra-
fa), collocate per lo più in fondo. Quaranta Ottave risultano così attribuite,
in ordine quantitativo, a Ioanni o Giovanni Bonasira (6 Ottave, di cui una
serie di 3 in apertura di sezione e 2 in fondo fra le adespote), Ottavio Riczari
(6 in serie), Batticani (= Andrea Vatticani, 5 in serie), Antonio Veneziani
magiore (4 in serie = Ott III, I, II, IV)5, Don Marc’Antonio Balsamo (2 in
serie), Don Carlo Ficarola (2 in serie), Vincenczo Salvario (2 inframmezzate
da una adespota), Cola Burgarella (2 in serie), Petru di Palermu (1), Tubiolu
Benfari (1), Petru Principatu (1), Don Vincencio di Ioanni (1), Ottavio Po-
tenzano (1), Balseca (= Ludovico o Andrea Valseca, 1), Gerolamo Grasso
(1), Lu Cecu di Mazzara (1), Polito Chiotta (1), Merchioni Generi (1 di sole
6 canzuni), Lu Conti di Vicari (= Vincenzo del Bosco I conte di Vicari, 1).
Si tratta di autori non tutti noti ma per lo più riconducibili alla generazione
di Antonio Veneziano (1543-1593) o a quella immediatamente successiva
(così almeno Ottavio Rizzari, Carlo Ficalora e Tobiolo Benfare)6, comunque
attivi nella seconda metà del Cinquecento. Con le sue 56 (o 55) Ottave 7,
CG si segnala come l’antologia non esclusiva del genere formale che ne con-
tiene il maggior numero, superando PC8 (che ne contiene 43)8.
Prima e dopo questa corposa raccolta di Ottave si trovano, isolate da una
pagina bianca (42v e 150v), due sezioni anepigrafe di canzoni autonome, di
argomento per lo più amoroso. La prima sezione (cc. 1r-42r) comprende
166 ottave adespote ma in massima parte presenti in PR10, la raccolta cano-
nica del Veneziano edita da Rinaldi (2012)9, e sembra perciò derivare da un
‘libro d’autore’. nella seconda sezione di canzoni (cc. 151r-194v), contenen-
te 183 ottave e forse incompleta, le corrispondenze con PR10 diminuiscono
drasticamente10, mentre vi s’incontrano alcune sporadiche attribuzioni che

15 Si tratta delle quattro Ottave su un’unica mastra (Iu t’amu tantu chi per tia peniju -amu)
che compongono una sezione di PR10: cfr. Carapezza (2012: XXXV), ed. Rinaldi (2012: 233-
241). In CG l’ordine è alterato.
16 Cfr. Rinaldi (1995: 58).
17 La prima unità dell’Ottava 134r è ripetuta a 138r: cfr. tavola in Appendice.
18 Rinaldi (1995: 68 n. 75) segnala altre dieci sillogi con «alte percentuali» di Ottave, che

ne contengono da 16 a 37. L’unica antologia esclusiva di Ottave, PA (ed. Sgrilli 1984), ne con-
tiene 61.
19 Ben 101 ottave su 166 di questa sezione hanno riscontro nella raccolta canonica del Ve-

neziano. nella fattispecie, 49 sono nel «Libru Primu» (LP), 39 nel «Libru Secundu» (LS) e 13
fra le canzuni anepigrafe (Ca): cfr. tavola in Appendice. non si notano seriazioni comuni o affi-
ni, eccetto la sequenza di quattro ottave 33va-34rb = LS 11, 17, 13, 14, e la coppia 40rb-va = LP
246, 247.
10 Solo 11 ottave su 183 si trovano in PR10: 7 in LP, 2 in LS e 2 in Ca.
90 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio

dovevano già trovarsi nell’esemplare. In particolare, si assegnano otto canzu-


ni ad Antonio Veneziano (di cui tre hanno riscontro in LP o in Ca), una a
Pietro Pavone e una a Pietro Principato:
175bis vb Venettiano Com’Olimpia infelici in aspri tani (-eni)

176vb Venett: Su fattu rlogiu chi li moti cuntu (-una) LP 61

179rb Venett: Mentri su assenti et a la menti stampu (-iju) Ca 45

181ra Venett: Tegnu a lu cori miu chiaghi mortali (-ocu)
181rb Venett: Comu speczatu spechiu per fortuna (-iłłi)
181va Venett: Stu pettu teni una sciamma allumanti (-ocu)
181vb Venett: Iu chianchiu forti et a lu chiantu miu (-ì) LP 224

182rb Paguni Di poi ch’invanu affanna, invanu penza (-ori)
182va Principatu Dui bell’ochi videnti undi si fannu (-icza)

183va Venett: Fichi la tanta disiata pachi (-ici)

In questa seconda sezione di canzoni trovano posto due coppie di ottave


con proposta e risposta sulle stesse rime (152ra e 152rb [Resposta], 178va e
178vb [Resposta]); un gruppo di quattro ottave costruite sul verso-chiave
«ben poczu diri / ijrrò gridandu / gridati tutti / poczu gridari cha non ci è
chui mamma» e quindi intitolate Mamma (162rb-163ra); un’interessante se-
rie di tre ottave narrative intitolate A la signura di Carini (174va-175ra) in
quanto estratte dal poemetto adespoto, tràdito da MA1, sul parricidio di
Laura Lanza (4 dicembre 1563), la famosa baronessa di Carini11; e soprattut-

11 «Quantu chui prestu poczu ausu lu pedi / per sentiri chi cosa è la chiamata, / arrivu,

giungu e trovula chi sedi / ijettata in terra nuda e maltrattata; / cui sia domandu e poi d’undi
succedi / chi sia cussì feruta e maltrattata; / respusi: “Iu ti dirrò d’undi procedi, / chi la domanda
tua m’è troppu grata”. // “Laura sugn’iu, di illustri sangu nata, / nata d’un patri a mia crudu e
tirannu, / in oru argentu e gemmi nutricata, / comu li genti di lu mundu sannu; / fui di Carini
sempri intitulata / signura, comu tutti di dirrannu; / s’hora mi vidi mesta e lacerata, / la causa ti
dirrò [ms. di tirro] di lu miu dannu”. // “Consorti fui di quillu chi m’ha misu / un biasmu eter-
nu per havirlu amatu, / quali a lu mundu cagliatu e riprisu / si tinni di l’honuri miu tacciatu /
perchì, n’havendu erruri mai commisu, / fu causa di lu miu infelici statu; / quistu, d’eccelsa linia
[ms. limia] discisu, / fu don Vicenzu La Grua chiamatu”». Le stesse ottave si trovano, con poche
varianti e inframmezzate da altre strofe, nel poemetto incompleto di 64 ottave siciliane, intitola-
to dall’acronimo D.L.S.L.L.S.D.C. (= De la Signora Laura Lanza Signora di Carini) e contenuto
nel ms. Ambrosiano, Trotti 400 (= MA1), cc. 153r-185r (cfr. Rinaldi 1995: 89; testo in ed.
Sciascia 1985: 37 e 39). La tradizione orale e la diffusione ottocentesca della ‘storia’ sono rac-
contate da Varvaro (2010), che si limita a menzionare cursoriamente il poemetto «composto
probabilmente da un poeta relativamente colto (e petrarchesco) del Seicento, ma molto rozzo»
(p. 69 n. 6). La datazione del poemetto su Laura Lanza ( post 1563) può essere ora arretrata al se-
condo Cinquecento grazie alla testimonianza frammentaria di CG (cfr. § 2).
Un nuovo manoscritto di canzoni siciliane con ottave inedite 91

to il ciclo inedito di ventidue ottave intitolato Antoni Venettiano carcerato


(185v-191ra) che presentiamo nel § 3.
Si tratta insomma di un’antologia di canzuni disordinata, o meglio non
organizzata secondo un progetto editoriale coerente e percepibile, che si li-
mita a giustapporre fonti diverse operando probabilmente una selezione dei
testi12. Così inducono a pensare i due blocchi di canzoni separati dalla sezio-
ne di Ottave, come pure i capoversi barrati, due di ottave già copiate (24ra,
170rb) e uno di ottava non presente nella raccolta (163vb): cfr. tavola in Ap-
pendice.
Come per molte antologie coeve di canzuni siciliane, anche nelle tre par-
ti in cui si articola CG domina con nettezza la figura di Antonio Veneziano:
folte corrispondenze con la raccolta canonica (PR10), e soprattutto con la
Celia (LP), nella prima sezione di canzoni; presenza del suo ciclo di quattro
Ottave su un’unica mastra nella sezione centrale di Ottave; otto (su dieci) at-
tribuzioni esplicite di singole ottave e l’imponente ciclo d’occasione Antoni
Venettiano carcerato nella seconda sezione di canzoni.

2. Donatore e donatario: datazione del ms. CG

A c.[0]r del manoscritto CG si legge, come abbiamo detto, l’intitolazio-


ne Libro di canzoni siciliani da mandarsi per / Lelio à Paolo Pozzobonello suo
Padrone. Per quanto riguarda Lelio, è possibile avanzare un’ipotesi d’identi-
ficazione nella persona di Lelio Pavese, fratello di Laura Pavese, che aveva
sposato Ambrogio Pozzobonelli, fratello di Paolo13. Lelio era figlio di nicolò
Pavese (1506-1600), facoltoso mercante non a caso detto il Ricco, nobile sa-
vonese ma iscritto anche al patriziato genovese e barone di Casalnuovo di na-
poli. La ricchezza paterna avrà consentito a Lelio Pavese di sposare un’espo-
nente dell’alta aristocrazia genovese come Giovanna Spinola, della quale esi-
ste un ritratto di Peter Paul Rubens14. L’espressione da mandarsi sarà da in-
tendersi nel significato di inviare in dono, come anche troviamo in una de-
dica dell’edizione di una tragedia che il letterato savonese Giulio Salinero
dona al Pavese: «mando à Vostra Signoria molto illustre la mia Tragedia: pic-
ciolo dono»15. Il donatario del manoscritto, Paolo Pozzobonelli, faceva inve-

12 Per verificare la consistenza di tali fonti si dovrebbe procedere a uno spoglio sistematico

dei tabulati cartacei della Rinaldi che si è deciso per il momento di rimandare, data l’impellenza
di presentare il nuovo ms. e di pubblicare il ciclo attribuito al Veneziano.
13 Lercari (2009: 329): «nel 1626 tra i candidati delle Riviere figuravano ben otto i nobili

cittadini savonesi candidati, […] Alessandro Pozzobonello di Ambrogio fu Giovanni Battista».


Su Giovanni Battista, padre di Paolo Pozzobonelli, cfr. nota 19.
14 Barnes (1997: 198).
15 Salinero (1593: 3) e GDLI, s.v. mandare, 5: «In partic.: inviare in regalo, donare».
92 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio

ce parte di una nobile famiglia mercantile milanese che proprio con un suo
omonimo Paolo si stabilisce a Savona nell’ultimo quarto del Quattrocento16
e intrattiene rapporti commerciali con il nord Africa17 e con altri porti del
mediterraneo come Valencia18. Il padre Giovanni Battista aveva relazioni
con la Sicilia, dove nel 156319 a Messina fa parte di una società insieme a
nicolò Ferreri, anch’egli esponente della nobiltà mercantile savonese oltre
che parente dei Pozzobonelli.
Paolo Pozzobonelli nasce a Savona il 5 febbraio 157220 e nell’ultimo de-
cennio del secolo lo troviamo a Padova, dove coltiverà i suoi studi e conosce-
rà personaggi illustri. Forse nella casa patavina del dotto genovese Gianvin-
cenzo Pinelli incontra il celebre erudito francese nicolas Peiresc, ma l’incon-
tro più importante sarà quello con Galileo Galilei. Pozzobonelli sarà ospite
dello stesso Galileo21 e, anche se non diverrà suo allievo, manterrà con lo
scienziato pisano una lunga amicizia testimoniata da uno scambio epistolare
del quale resta traccia nelle lettere indirizzate a Galileo tra il 1602 e il 161422.
L’interesse scientifico e l’amicizia con Galileo porteranno il nobile savonese a
contatti con altri eminenti scienziati dell’epoca, come l’allievo di Galileo Be-
nedetto Castelli che incontrerà a Pisa nel 1613 e dal quale riceverà copia di
due opere di Galileo: «L’Istoria de le macchie solari» e «De le cose che stan-
no su l’acqua», opere che gli sono «carissime»23. Manterrà nei decenni a se-
guire una costante attenzione e passione per i progressi scientifici e tecnolo-
gici, e nella stessa lettera a Galileo che narra dell’incontro col Castelli, Poz-
zobonelli esprime il forte desiderio di ricevere da Galileo il suo più famoso
strumento che ha già scorto a Genova e che il Castelli gli aveva mostrato:
«uno esquisito instrumento che sonno canna occhiale». I soggiorni padovani
sono felici e stimolanti per il nobile savonese, e nelle lettere a Galileo ne scri-
ve con entusiasmo e rimpianto; ma il Pozzobonelli non sarà mai uno studio-
so impegnato: la sua condizione nobiliare e i suoi obblighi sociali lo distrag-
gono dagli studi sistematici e rigorosi, come ne scrive a Galileo nel 1602:

16 Varaldo (1980: 49 e 64).


17 Rocca (1987, VIII: 137).
18 navarro (2000: 165 e 180).
19 Filangeri (1994-1995: 131): «il 7 gennaio 1563 nicolò (Ferreri), a Messina, “fa compa-

gnia” con G. Battista Pozzobonello e Tommaso Promontorio».


20 Gardini (1975). Ove non diversamente indicato questa è la fonte delle notizie biografi-

che su Paolo Pozzobonelli, contenute alle pp. 20-23 del saggio.


21 Una fides vitae rogata il 12 agosto 1596 su richiesta del Pozzobonelli certifica che in

quella data egli abitava in contrada del Santo: «in hac civitate in con(tra)ta S(ancti) Ant(on)ii
confessoris, in domo ex(cellen)tis Gallilei Galilei vivens» (La Russa 2014-2015: 202-203).
22 «Lettera di Paolo Pozzobonelli a Galileo, di Savona, 12 settembre 1602» (ed. Favaro

1890-1909, X: 93-95); «Lettera di Paolo Pozzobonelli a Galileo, di Pisa, 26 novembre 1613»


(XI: 596-598); «Lettera di Paolo Pozzobonelli a Galileo, di Pisa, 23 marzo 1614» (XII: 42).
23 Ed. Favaro (1890-1909, XI: 596-598).
Un nuovo manoscritto di canzoni siciliane con ottave inedite 93

Quanto a’ miei studii, io son disperato; che da che son qui, non ho havuto tan-
to agio di aprir pur un libro. Vi causa ben in parte la mia natura, che per ogni
poco di occasione mi disvio di sorte da camino, che no fo più cosa bona: ma
che direbbe V. S. s’io li dicessi che voglio far come colui che buttando la berret-
ta in terra maledisse il suo troppo senno, già che ogn’uno mi voi dar delle bri-
ghe e delle comissioni, talché io, che fuggo la fatica, non mi par di haverne sì
poca in levarmi da torno le cure et molestie d’altri? senza che le mie proprie
non mi dan sì poca occupatione; talché io credo di voler andar disponendo le
cose in maniera che me ne vorrò fuggire, per poter goder de l’otio et della con-
solatione di continuare nel mio studio. Però quando sarà a tempo, V. S. sarà
avisata di tutto. Intanto non posso salvo dirli, che de’ tanti fatti ch’io pretende-
vo di far a casa mia, non ho fatto altro che attendere al palazzo; et della mia ca-
rissima matematica né de de l’altra arte spagirica non ho fatto cosa alcuna 24.

Ma avrà sempre vivacità intellettuale e inclinazione verso la cultura, e


presso il cenacolo patavino di studiosi del Pinelli entrerà in contatto anche
con letterati come Paolo Gualdo, prete vicentino anch’esso amico di Gali-
leo. L’editore padovano Bolzetta gli dedicherà nel 1601 la pubblicazione
delle Rime di Ansaldo Cebà, motivando la dedica: «per la finezza del gusto,
ch’ella ha di tutte le più virtuose professioni, ch’ad’uno honorato par suo si
convengono; della Poesia, e Pittura in particolare, sorelle nate ad un parto,
figlie dell’imitatione, e del decoro»25. Ansaldo Cebà era tra i più noti lettera-
ti genovesi dell’epoca, figura eminente dell’accademia genovese degli Ad-
dormentati, soprattutto negli anni tra il 1591 e il 159426. Cebà era molto vi-
cino anche agli Spinola, ed una Spinola era come s’è detto la moglie di Lelio
Pavese 27.
Paolo Pozzobonelli, come sottolinea il Bolzetta, era incline non solo agli
studi ma anche alle arti, e insieme al fratello Ambrogio nel primo decennio
del Seicento fu il promotore della seconda cappella della navata meridionale
del santuario di Savona, dedicata alla natività della Vergine, dove si trova
un’opera di Orazio Borgianni, uno dei pittori più ricercati della Roma d’ini-
zio Seicento. Tale committenza sarà legata alle connessioni romane dei Poz-
zobonelli: a Roma insieme ai conterranei e parenti Gavotti (Lorenzo Gavotti
era marito di Laura Pavese, sorella di Lelio) erano attivi come banchieri pri-
ma del 1599, ed erano inoltre nipoti dell’arcivescovo di Urbino Giuseppe
Ferreri, appartenente a una famiglia che nella collezione del ramo di Orlan-
do Ferreri ospitava altre opere del Borgianni28. La famiglia Pozzobonelli era

24 Ed. Favaro (1890-1909, X: 93-94).


25 Cebà (1601: c. 2v non numerata).
26 Quondam (2004: 88).
27 Mutini (1979: 184-186).
28 Leonardi (2012: 146-147), Terzaghi (2007: 42-46).
94 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio

insomma inserita in una rete di relazioni italiane all’avanguardia nel campo


scientifico, letterario ed artistico.
I Pozzobonelli erano pure amici e parenti del poeta Gabriello Chiabre-
ra, loro conterraneo, che aveva scritto un epitaffio per l’abate Francesco Poz-
zobonelli 29, e ad Alessandro Pozzobonelli sono dedicate le Canzonette del
Chiabrera nell’edizione romana del 162530. Paolo Pozzobonelli aveva avuto
un ruolo importante nell’amicizia tra Galileo e il Chiabrera, e negli anni fio-
rentini di Galileo si augurava di andare a Firenze «star costì qualche più
quantità di giorni con la compagnia del S.or Chiabrera nostro»31. Chiabrera
era letterato dalle ampie relazioni che giungevano sino in Sicilia, e al nobile
siciliano Mariano Valguarnera (1564-1634) aveva dedicato un’ode molto
apprezzata dal titolo Che è da poetare di nobili soggetti 32. Valguarnera era un
erudito e poeta palermitano, figlio di Fabrizio barone di Godrano, al quale
Giovan Battista Marino aveva dedicato, in qualità di «amico carissimo del-
l’auttore», il sonetto Chi ti toglie a Parnaso, e chi ti fura per esortarlo a non
abbandonare la poesia per la carriera giuridica 33. Valguarnera godrà anche
dell’amicizia del poeta spagnolo Antonio de Quevedo34. Suo padre Fabrizio
aveva fondato e ospitato nel suo palazzo palermitano l’Accademia dei Riso-
luti (1570-1581), di cui faceva parte anche Simone, il giovanissimo fratello
di Mariano35. I Risoluti erano stati preceduti dall’Accademia degli Accesi
fondata nel 156836, alla quale erano appartenuti Antonio Veneziano, Argisto
Giuffredi (che sarà animatore e principe dei Risoluti) e Filippo Paruta, que-
st’ultimo molto legato alla famiglia Valguarnera e appartenente anch’egli ai
Risoluti.
Grazie alla sua nobile appartenenza e alle inclinazioni culturali del padre
e del fratello, Mariano Valguarnera aveva frequentato sin dall’adolescenza il

29 Chiabrera (1718: 289).


30 Chiabrera (1625). L’editore Giovanni Francesco Pieri le dedica ad Alessandro Pozzobo-
nelli con lettera da Roma del 20 settembre 1625.
31 Ed. Favaro (1890-1909, XII: 42).
32 Chiabrera (1618: 48-51).
33 Marino (1602: 212 e ad indicem).
34 De Tarsia (1663: 77): «En Sicilia […] estrechó particular amistad con don Mariano Val-

guarnera». Parisi (1719: 9): «Quella de’ Risoluti che alle precedenti succedette, riconosce il suo
nascimento da Fabrizio Valguarnera Barone del Godrano, che l’istituì nel suo Palazzo l’anno
1570. Tratto egli dall’emulazione degli Accesi, e non volendo convenire con essi per qualche
privato motivo, indusse Argisto Giuffredi ad abbandonar l’antica, per farli capo della novella as-
semblea, come infatti seguì. Si radunavano gli Accademici ogni Domenica il dopo pranzo, ed
elessero per impresa un’Aquila, che mirava fisa il Sole col motto di Semper enix, e nel numero di
questi vissero ascritti Filippo Paruta, Simone, e Mariano Valguarnera».
35 Di Giovanni (1877: 206), lettera di Filippo Paruta al Dottore Bartolo Sirillo del 26 feb-

braio 1593: «vi fu lasciato entrare don Simone Valguarnera il figlio (di Fabrizio Valguarnera),
innanzi l’età».
36 Cfr. Montoliu (2011), che tratta diffusamente delle accademie dei Risoluti e degli Accesi.
Un nuovo manoscritto di canzoni siciliane con ottave inedite 95

Giuffredi e il Paruta, poeti e amici di Antonio Veneziano37, ed è probabile


che abbia avuto una certa familiarità col Monrealese del quale avrà certo par-
lato con i suoi importanti contatti del continente tra i quali il savonese
Chiabrera, conterraneo ed amico del donatario del nostro manoscritto e in
rapporto di conoscenza ed epistolare anche con Giovan Battista Marino38,
quest’ultimo come detto in relazione con Mariano Valguarnera. non sor-
prende quindi che Lelio Pavese, familiare con gli ambienti culturali nei quali
gravitavano il Chiabrera39 e Paolo Pozzobonelli, abbia pensato di donargli
una raccolta di canzoni siciliane. Gli scambi tra la Sicilia e Savona non do-
vettero essere soltanto economici, come abbiamo ricordato a proposito del
padre di Pozzobonelli, ma anche culturali, e traevano occasioni anche mate-
riali d’incontro dalle rotte delle galere che si recavano o tornavano dalla Sici-
lia. E proprio il viceré di Sicilia Diego Enríquez de Guzmán, conte di Alba
de Liste, responsabile come vedremo della carcerazione di Antonio Venezia-
no, sarà ospite a Savona per otto giorni di Bernardo Ferreri, anch’egli paren-
te dei Pozzobonelli, durante il suo viaggio di ritorno in Spagna nel maggio
1592 40 . Possiamo supporre che il nome di Antonio Veneziano sia stato pro-
nunciato tra le mura del palazzo Ferreri, magari in presenza del donatario
del nostro manoscritto?
Sulla base di questi dati è possibile affermare con sicurezza che il termine
ante quem per la compilazione del ms. CG corrisponde alla data di morte del
donatario, Paolo Pozzobonelli, ovvero 16 marzo 1630. Se l’identificazione
del donatore con Lelio Pavese è esatta, questo termine andrà arretrato alla
data di morte di quest’ultimo, avvenuta a napoli l’8 dicembre 160841. Il ter-
mine post quem può essere stabilito sulla base del ciclo di ottave intitolato
Antoni Venettiano carcerato, databile, come si dirà più sotto (§ 3), tra il 1588
e il 1590 (probabilmente primi mesi del 1590). Questo termine risulta con-
fermato dall’unica filigrana che si rinviene nel libro: balestra, lettera F e nu-
mero 3 con trifoglio (Briquet, n° 733). Secondo il Briquet la carta è proba-
bilmente di produzione veneziana e fu utilizzata in un documento del 1595
conservato presso l’archivio comunale di Reggio Emilia42. Possiamo dunque
affermare che il manoscritto fu prodotto sicuramente dopo il 1590 e proba-
bilmente prima del 1608.
37 Come ricorda Di Marzo (1872-1877, I: 409-410), il Giuffredi «morse nell’incendio di

Castell’a mare insieme con il Veneziano, suo cordialissimo amico».


38 Carminati (2016).
39 Il Chiabrera sposerà nel 1602 la cugina Lelia Pavese e commemorerà Lelio Pavese con

l’epicedio O Lelio, o fior gentil di gentilezza: cfr. Merola (1980: 301).


40 Verzellino (1891: 131): «Addi 27 maggio [1592] il vice re di Sicilia, insieme con la mo-

glie e servitù passarono in Savona, dove si trattennero otto giorni giorni alloggiati in casa del fu
Bernardo Ferrero; erano inviati in Spagna sopra 6 galere».
41 Verzellino (1891: 153).
42 Briquet (I: 49 e 51).
96 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio

3. «Antoni Venettiano carcerato»: edizione e commento

All’interno della seconda sezione anepigrafa di canzoni (cc. 151-194),


caratterizzata come s’è visto dalla presenza sporadica di titoli per lo più attri-
butivi, si trova a partire da c. 185v, dopo uno spazio bianco (185rb), e fino
almeno all’ottava 191ra, dopo la quale è indicato finis, una sottosezione inti-
tolata Antoni Venettiano carcerato, con dedica al viceré Marcantonio Colon-
na (1577-1584) sicuramente fuori posto (tavola 2). Essa comprende infatti
una corona di undici ottave encomiastiche indirizzate a Francesco Santapau,
principe di Butera e marchese di Licodia (1565-1590), in seguito all’investi-
tura del Toson d’Oro (giugno 1587); a questa seguono tre ottave con titoli
individuali composte in occasione del matrimonio, databile al marzo 1588,
tra la figlia naturale di Francesco, Camilla Santapau, e Muzio Ruffo di Cala-
bria, nipote della moglie di Francesco, Imara Benavides Carafa (All’una e
l’altra Eccellencia, A la Eccellentissima Signura, Alla Istessa, XII-XIV), e una
quarta di nuovo al Santapau (All’Illustrissimo Signuri, XV). A quest’ultima
ottava si aggancia, come vedremo, una pregevole sequenza di sette ottave li-
riche sul tema della prigionia (Supra la sua carceratione, XVI-XXII), che si
vogliono composte a un anno esatto dall’ingresso in carcere dell’autore43. ne
diamo qui di seguito edizione segnalando già in nota alcuni riscontri testuali
con la raccolta canonica di Antonio Veneziano (PR10, ed. Rinaldi 2012), e
discuteremo appresso perché, secondo noi, l’attribuzione al poeta monreale-
se dell’intero ciclo è da ritenere attendibile 44.

43 non è chiaro se l’attribuzione esplicita al Veneziano debba estendersi alle tre ottave d’ar-
gomento amoroso successive alla serie sulla carcerazione, ovvero 191rb-191vb, dopo le quali si
trova di nuovo la parola finis. Si tratta di 191rb Di quandu mi venistivu ntra l’ochi (cori), 191va
Di li peni ch’iu patu per amari (cori), 191vb Vui canuxiti si iu m’ardu et allumu (-amu). Le prime
due condividono con l’ultima del ciclo (XXII = 191ra) l’utilizzo di parole-rima, e inoltre 191va
corrisponde a LS 141.
44 Si seguono criteri più conservativi rispetto a quelli di Rinaldi ([2005] 2012: XXX-XXXI):

le abbreviazioni sono sciolte in corsivo e si mantengono tutte le particolarità grafiche, come ch


per la palatale (in dudichi, chianchi e chianchiu, sachiu) oltre che per la velare, e il digramma ij
(talvolta reso ÿ dal copista) che alterna con i o j semplice: gracij, ijti, conijuntura e ijunti (altrove
iuntu), peiju, hoij (ma hoi nello stesso verso XXII 1). Si distingue solo u da v (non i da j, in alter-
nanza puramente grafica, che trascriviamo sempre i). In prima fascia d’apparato lezioni rifiutate
e particolarità paleografiche. Mettiamo tra uncinate la dedica al viceré Colonna, sicuramente
spuria: vd. infra.
Un nuovo manoscritto di canzoni siciliane con ottave inedite 97

Tav. 2: CG, cc. 185v-186r.

Antoni Venettiano carcerato

< All’Illustrissimo et Eccellentissimo Signor Marco Antonio Colonna Principe


Romano et viceré et capitan generale in questo Regno di Sicilia >

I S’a la vostra eccellencia torna in menti,


iu vi pronosticai per chui canzuni,
certificatu da signi evidenti,
chi dovivivu haviri lu thesuni;
eccu ch’hora l’haviti, e quistu è nenti,
perch’avanzati di mertu a Giasuni,
e comu Santa Pau meritamenti
vi stannu beni diademi e coruni.
I 1. vostra eccellencia: Francesco Santapau (1536 o 1538-1590), principe di Butera dal
1565. 3. certificatu da signi: reso certo da presagi. 4. lu thesuni (anche II 4): il Toson
d’Oro, ovvero il vello d’oro (areu vellu, III 1 e IV 5) conquistato da Giasone (6 e II 2). 5. e
quistu è nenti: prefigura la profezia della nomina regia (cfr. diademi e coruni 8), sviluppata nelle
ottave seguenti. 6. Giasone argonauta è nel magnifico attacco di LP 107: «Per spelagari in
Colcu a l’orizonti / oppostu axhau Iasuni e vili e sarti» (si noti l’enjambement). 7. comu: in
quanto.
98 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio

II Fra li dudichi heroi, famusi heredi, [186r]


pari chiamati in l’armi di Giasuni,
eccu, princip’eccelsu, chi succedi
d’haviri dignamenti lu thesuni;
e comu dignu heroi ch’ogn’autru eccedi,
chui chi Carlu, Alexandru e Scipiuni,
purtirai sutta l’unu e l’autru pedi
la meza luna e troiani coruni.
II 1. dudichi heroi: gli Argonauti. 3. eccu… chi succedi / d’haviri: ecco che succedi (a lo-
ro) nell’ottenere (si noti il parallelo eccu ch’hora l’haviti, I 5); princip(i): titolo di Santapau, prin-
cipe di Butera (cfr. III 6, VII 1, IX 8, X 3 e XV 3). 5. eccedi: superi. 6. Carlu è probabil-
mente Carlo V d’Asburgo (1519-1556), in serie con l’imperatore Alessandro Magno come nel-
l’ottava conclusiva della corona (XI 1-3)*. Alessandro ritratto da Apelle e Lisippo è in LS 88 e
217, e un sapido aneddoto sul suo conto è menzionato nell’epistola dedicatoria di LP (ed. Rinal-
di 2012: 3). Scipione è in apertura dell’ottava encomiastica LS 93 Si, perchì Africa estinsi, Sipiu-
ni: vd. infra. 8. La mezza luna indica i territori di fede musulmana e per estensione l’Africa,
mentre le corone troiane staranno per l’Asia (minore): ma si tratta evidentemente di un’iperbole.
* nella storiografia immediatamente successiva all’epoca di Carlo V, l’imperatore viene sen-
z’altro menzionato accanto a Scipione, Alessandro e Cesare, come si vede ad es. in Porcacchi
(1574: c. 14v): «E scrivono alcuni, che Scipione Africano non per altro ascese a tanta gloria, et
grandezza di guerra, che per haver ben letto, studiato, & fermatasi nell’animo la Pedia di Ciro
scritta da Xenofonte, non tanto vera, quanto espressa all’idea d’un Re giustissimo, & fortissimo.
Così Alessandro Magno per l’historia di Achille, Cesare per quella d’Alessandro, emistocle per
Milciade, & Carlo Quinto Imperatore dicono, che s’accese alla gloria per l’historia di Filippo
Comineo, Monsignor di Argentone dei fatti di Lodovico XI Re di Francia». Si tratta dei Mémoi-
res sur les principaux faicts et gestes de Louis onzième et de Charles huictième son fils, roys de France
di Philippe de Commynes (1445-1511), pubblicati a Parigi nel 1552.

III A tia di l’aureu vellu lu decoru


Philippu consignau meritamenti,
a cui lu sacru e santu aoniu choru
dispensau li soi gracij largamenti;
talchì, fra quanti su, sarrannu e foru,
tu sulu sì lu principi potenti:
darrai stupuri a Castori, a la soru,
all’Ursa fridda et a lu Cani ardenti.
III 2. Philippu: Filippo II d’Asburgo, re di Spagna e di Sicilia dal 1556 al 1598 (cfr. V 1).

3. aoniu choru: coro angelico, da eóne (gr. αἰών, lat. aeon),


La sovranità dell’Ordine del Toson d’Oro era passata, con suo padre Carlo V, dai duchi di Bor-
gogna ai re asburgici di Spagna.
ordine di spiriti emanati da Dio nella cosmogonia gnostica; i vv. 3-4 si riferiscono al fervido cat-
tolicesimo del re spagnolo, campione della Controriforma. 7-8. Si tratta di stelle portentose,
che generano perciò stupore: Castore ed Elena (la soru) erano in antico i cd. fuochi di sant’Elmo
(scariche elettro-luminescenti emanate da oggetti appuntiti, tipicamente alberi di navi, e provo-
cate dalla ionizzazione dell’aria durante un temporale), considerati «stellae» che premonivano
risp. un buono o un cattivo esito alla navigazione, come si legge in Plinio il Vecchio*, fonte di-
retta di Veneziano; le costellazioni dell’Orsa e del Cane, con le stelle Polare e Canicola (o Sirio),
erano ritenute causa del freddo invernale e della calura estiva**. Le due Orse sono pure in LP
Un nuovo manoscritto di canzoni siciliane con ottave inedite 99

107 3-4 («Dedalu happ’ali per volari pronti / a l’Ursi, di li Greci chiamati Arti»), subito dopo
Giasone argonauta (cfr. n. I 6).
* Naturalis historia, liber II, caput XXXVII (ed. von Jan/Mayhoff 1875-1906, I): «Existunt
stellae et in mari terrisque. vidi nocturnis militum vigiliis inhaerere pilis pro vallo fulgorem effi-
gie ea; et antennis navigantium aliisque navium partibus ceu vocali quodam sono insistunt, ut
volucres sedem ex sede mutantes, graves, cum solitariae venere, mergentesque navigia et, si in
carinae ima deciderint, exurentes, geminae autem salutares et prosperi cursus nuntiae, quarum
adventu fugari diram illam ac minacem appellatamque Helenam ferunt et ob id Polluci ac Ca-
stori id numen adsignant eosque in mari invocant. hominum quoque capita vespertinis magno
praesagio circumfulgent. omnia incerta ratione et in naturae maiestate abdita». Cfr. anche Histo-
ria naturale di C. Plinio Secondo tradocta di lingua latina in fiorentina per Christophoro Landino
fiorentino al serenissimo Ferdinando re di Napoli, impresso in Venesia, per Bartolamio de Zani de
Portesio, 1489, dove il cap. XXXVII del lib. II è intitolato Stelle Castores: «Se vengono sole signi-
ficano naufragio. Et se caggiono ne la parte bassa de la carena: ardono la nave. Se sono due: pre-
dicono prospera navigatione & scacciono quella crudele & minacciante stella: la quale chiamano
Helena. Et per quello essi hanno el nome di Castore & Polluce & da’ naviganti sono invocati
come idii». ** Naturalis historia, II XL: «nam caniculae exortu acendi solis vapores quis igno-
rat? cuius sideris effectus amplissimi in terra sentiuntur: fervent maria exoriente eo, fluctuant in
cellis vina, moventur stagna. orygem appellat Aegyptus feram, quam in exortu eius contra stare
et contueri tradit ac velut adorare, cum sternuerit. canes quidem toto eo spatio maxime in ra-
biem agi non est dubium». Questo passo, citato dallo stesso Veneziano nella descrizione dell’Ar-
co per il viceré Colonna del 1582 (ed. Arceri 1861: 188), è fonte della prima ottava della Celia,
LP 1 (Riverixi la sua donna comu cosa celesti) L’origi a la Canicula s’inclina.

IV Eccu di Giovi l’aucellu benignu [186v]


comu t’exalta a la sulari sfera
mustrandu veramenti chi sì dignu
di qualsivoglia insigna e cosa autera;
piglia per hora l’aureu vellu in pignu
ch’apressu purtirai quantu si spera,
poi chi di supra ti scumboglia un signu
chi Zancli sarrà tua comu Butera.
IV 1. di Giovi l’aucellu: l’aquila (cfr. VIII 5). 6. quantu si spera: cioè la nomina regia (cfr.
V, VI e IX 8). 7. ‘poiché un segno celeste ti rivela’ (in riferimento all’aquila che vola incontro
al sole dei vv. 1-2); scumbogliari ‘scoprire’ e quindi ‘rivelare’ (cfr. VS, s.v. scummigliari, 2) anche
in LP 44 8, LP 151 3, CS 5 6, LS 87 7, Ca 62 4. 8. Zancli: Zancle, antico nome di Messina,
di cui Santapau fu stratigoto nel 1567 e dove risiedeva abitualmente; dopo la morte a Licodia
nel dicembre 1590 la salma fu traslata per disposizione testamentaria nella chiesa di San nicolò
dei Gesuiti a Messina (cfr. Verdi 1997: 54): nell’epitaffio sepolcrale (cfr. n. 47) Santapau è detto
Messanensis. Butera: feudo principale dei Santapau nel Val di noto (oggi prov. di Caltanis-
setta): la contea, istituita dai normanni nel 1089, apparteneva ai Santapau dalla fine del Tre-
cento (cfr. X 1-2) e fu elevata a Principato da Filippo II nel 1563 sotto Ambrogio, fratello di
Francesco.

V non t’ammirari si Philippu ancora


di li soi regni non ti dassi cura,
chi si mai non s’avitti s’avid’hora
di lu guvernu to per fin’all’hura;
100 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio

ch’ogni carricu grandi pocu fora


all’eccellencia tua, chi per natura
sì attu, con un zinnu e na palora,
di guvernari milli regni l’hura.
V 1-2. ‘non ti meravigliare se Filippo non ti abbia ancora dato a governare uno dei suoi re-
gni’: ammirari rifl. ‘meravigliarsi’ (VS, s.v. ammirari 1, 3) come in VIII 6 (e cfr. LS 279 4: «sem-
pri a la data fidi mia m’ammiru»); dassi cong. impf. 3-4. ‘che, se non si è ancora accorto del
tuo (buon) governo, lo farà adesso’. 5. carricu: incarico; fora: sarebbe. 6. per natura: per
tua indole (cfr. VII 3) 7-8. ‘sei adatto a governare, con un cenno e una parola, mille regni in-
sieme’.

VI La trumba di li gesti chi tu fai [187r]


ti fannu notu a tutti l’ottu venti,
e si lu celu non ti dota assai
n’ha cosa in terra a tia correspondenti;
si divi essiri un re, tu ben lu sai,
si re nun sì, si vidi chiaramenti
ch’a la grandicza et a li parti ch’hai
s’havissi milli regni fora nenti.
VI 1. trumba: fama; gesti: femm. pl. ‘gesta, imprese’ (latinismo), anche in VIII 2 e X 3.
3. non ti dota assai: non ti premia abbastanza: dota è forma culta (cfr. VS, s.v. addutari e dutari).
4. n’ha: non c’è. 5. ipotetica apparente: ‘tu sai bene che dovresti essere re’. 7. parti: com-
portamenti, azioni (cfr. VS, s.v. parti, 15), al pl. come in VII 5, e cfr. LP 67 3-4: «anzi è d’Amu-
ri, chi fra tutti quanti / sulu suli e monarca è a li soi parti»*.
* Rinaldi, nel file di lavoro col commento incompiuto al LP, considerava a li soi parti di LP
67 4 (in rima equivoca con le locuzioni di mia parti ‘da me’ e non ci ha parti ‘non c’è’) «una zep-
pa a vantaggio della rima», e glossava ‘dalle parti sue’ con punto di domanda: il riscontro con VI
7 e VII 5 induce a intendere ‘nei suoi modi o azioni’ e a parafrasare ‘Amore, che fra tutti agisce
come unico sole e re’.

VII Principi notu per marmi e per carti


chi di li Santa Pau l’opri renovi
mentri chi per natura cu nov’arti
scopri l’antichi cu moderni provi,
dirria li parti toi di parti in parti
ma tremu per la gracia ch’in tia chiovi:
pari Mercuriu in diri, in armi un Marti,
in lumi Apollu et in guvernu Giovi.
VII 1. per marmi e per carti: per monumenti e scritture (sineddoche). 3. arti: mezzi.
5-6. dirria… ma tremu: topos dell’indicibilità. 5. di parti in parti: in maniera dettagliata
(identica locuzione in LP 11 7); si noti la figura etimologica con li parti toi (cfr. VI 7). 6. chio-
vi: piove. 7-8. Comparazione mitologica quadrimembre, come in LP 24 (Epitafiu di lu so co-
ri) 5-8: vd. infra.
Un nuovo manoscritto di canzoni siciliane con ottave inedite 101

VIII Undi farsi immortali ogn’unu trama [187v]


per via di gesti o prezi di memoria,
tu, senza ricercari honuri e fama,
trovi lu tempu chi ti fa l’historia;
Austria t’invoca, l’Aquila ti brama,
s’ammira l’Austru, invidia lu Boria,
mi grida Apollu e voli ch’iu ti chiama
idulu di Sicilia, honuri e gloria.
VIII 1-4. ‘Laddove ciascuno si affanna a rendersi immortale tramite la memoria d’imprese o
privilegi (familiari), tu, senza ricercare onore e fama, vai incontro al momento che ti propizia la
storia’: undi introduce l’avversativa. 5. Austria e Aquila (insegna) si riferiscono all’Impero.
6. ‘si meraviglia l’Austro, (ti) invidia il Borea’: Boria per esigenze di rima (Borea in serie con Au-
stru anche in LP 199 4 e Sde 22 8); i due venti indicano risp. il Sud e il nord geografico come
in XI 2, dove Borea è variato da Aquilone. 7. chiama: cong. pres.

IX Quilla chi di li dui fu matri e balia


di li soi regni bandixi et exilia
ad ogni musa di l’unda Castalia
si non ti rendi laudi milli milia;
cedati adunca cui vinsi in Pharsalia
perchì, secundu mustri a la vigilia,
comu chui dignu d’ogn’autru in Italia,
principi, un giornu regirai Sicilia.
IX 1. Quilla: forse Latona, madre di Apollo e Diana (li dui), dal momento che Apollo è
menzionato subito prima (VIII 7), ed è detto figliu di Latona a XV 4. 3. ad ogni musa: oggetto
preposizionale; unda Castalia: la fonte sacra alle Muse. 4. ‘se non ti rende un milione di lodi’.
5. cedati: ti ceda (il suo posto); cui: Cesare, vittorioso contro Pompeo a Farsalo (48 a.C.); i due
eroi romani sono pure a XI 2. 6. secundu mustri: come dimostri. 7. comu: in quanto.

X D’Ugo, d’Ugoni Uguettu e Calcirandu, [188r]


antichi vostri illustri antecessuri,
principi, l’auti gesti renovandu,
vi cingiriti d’immortali honuri;
cussì, li primi e posteri illustrandu
cu l’essiri, la vita e lu valuri,
vi ijti sulu sulu curunandu
di viva fama a li tempi futuri.
1. Calurandu (errore paleografico)
X 1-2. Ugo (o Ugone) II Ademar de Santapau, a nord-ovest di Girona, giunse in Sicilia al
seguito di re Martino il Giovane (1392-1409) e aquisì Butera, tolta agli Alagona, nell’ottobre
1392; Ughetto, figlio secondogenito di Ugone, fu il primo signore di Licodia (1393) e morì nel
1398; Calcerando, fratello minore di Ughetto, ereditò i beni del padre e del fratello, fece testa-
mento a Butera nel 1438 separando i feudi catalani da quelli siciliani (che andranno al suo se-
condogenito Raimondo nel 1453), e chiese di essere sepolto nella cappella di Santa Maria del
102 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio

castello di Licodia (cfr. Verdi 1997: 23-30). 7. ‘vi incoronate da solo’: la perifrasi ijri + ge-
rundio potrebbe avere qui il valore «mediale-affettivo» individuato nel canzoniere di Petrarca da
R. Bettarini (2005: 402 n. 9) e esprime l’imminenza della nomina (sulle perifrasi durative in si-
ciliano e in italiano antico cfr. Amenta/Strudsholm 2002, Colella 2006 e Squartini 2010: 541-
543); sulu sulu: duplicazione intensiva dell’agg. con funzione avverbiale (cfr. Amenta 2010).

XI Si Carlu l’Ortu e l’Occasu acquistau,


Cesare l’Austru e Pompeu l’Aquiloni,
Alexandru lu mundu dominau,
happiru mezi a lloru intentioni;
ma comu a quilli si cci prisintau
s’apprisintassi a vui l’occasioni,
forsi chi don Franciscu Santapau
fora re dittu di li cincu zoni?
XI 1-4. Costrutto ipotetico apparente. 4. intentioni: disposizione. 5-8. ‘ma se, come a
loro, vi si presentasse l’occasione, forse che don Francesco Santapau sarebbe detto re del mondo
intero?’: interrogativa retorica in clausola. Si noti la nominatio del celebrato come in apertura (I 7).
8. cincu zoni: sineddoche; si tratta delle cinque zone climatiche del globo terrestre, secondo Era-
tostene di Cirene (III sec. a.C.) ripreso anche da Cicerone nel Somnium Scipionis e da Virgilio,
Georgiche, I 233 («Quinque tenent caelum zonae…»): cfr. Rochette (2014); ma la fonte diretta
sarà qui di nuovo Plinio, Naturalis historia, II LXVIII (172): «adde quod ex relicto plus abstulit
caelum, nam cum sint eius quinque partes, quas vocant zonas».

All’una e l’altra Eccellencia


XII Lassu di Benevides la radici, [188v]
di nobiltati la mia lingua taci,
ch’undi su la bellicza e gracia amici
sta conijuntura chui d’ogn’autra placi;
per la fè clara Carafa si dici,
di Santapau lu nomu ha li sequaci,
talchì su ijunti in hemineu felici
la clara fidi cu la santa paci.
XII All’una e l’altra Eccellencia: non è chiaro a chi sia indirizzata l’ottava, se a Francesco
Santapau e alla moglie Imara Benavides Carafa (ob. 1619) o a Camilla Santapau (ob. 1618), fi-
glia naturale di Francesco legittimata nel 1576, oppure a quest’ultima e al secondo marito Mu-
zio Ruffo di Calabria (ob. 1595), che era figlio di Giovanna Benavides Carafa, sorella di Imara.
In ogni caso l’occasione di questa ottava e delle due successive è il matrimonio fra Camilla e
Muzio Ruffo, datato 8 marzo 1588 (cfr. Verdi 1997: 64-65), che consolidò l’unione fra le fami-
glie Benavides Carafa e Santapau. 1. ‘Tralascio (di dire) l’origine dei Benavides’. 4. conijun-
tura: unione. 5. fè clara: interpretatio di Carafa, poi clara fidi 8. 6. ‘il nome di Santapau ha
i suoi seguaci’: i figli di Camilla Santapau, sia di primo (Pietro Velasquez) che di secondo letto
(Muzio Ruffo), assumono il cognome della madre per garantire una discendenza alla casata sici-
liana, dal momento che né Francesco Santapau né il fratello Ambrogio (ca. 1518-1564) ebbero
eredi maschi diretti (cfr. Verdi 1997: 50, 54, 55-60 e 102s [testamento]). 7. ijunti in hemi-
neu: uniti in matrimonio (imeneo). 8. santa paci: traduzione di Santapau.
Un nuovo manoscritto di canzoni siciliane con ottave inedite 103

A la Eccellentissima Signura
XIII Di la Cathuna a la superba testa,
undi Asprimunti termina lu pedi,
naxia chiłła xumara manifesta
fra quantu eti e lu frati resedi;
per cui Caribdi è leta e Scilla mesta,
Calavria chianchi e di Pau ogni heredi
si doli, cu Diana a la furesta,
chi lu so beni Sicilia possedi.
6. genti prima di heredi
XIII A la Eccellentissima Signura: Camilla Santapau. 1-4. La circonlocuzione indica la
fiumara di Catona, che sgorga dall’Aspromonte e sfocia nello Stretto, da cui prendeva nome
l’antico scalo a nord di Reggio (possedimento dei Ruffo, principi di Scilla) che serviva per attra-
versarlo*. 3-4. manifesta… resedi: famosa fra i corsi d’acqua; da Teti e il fratello e marito
Oceano ebbero origine i fiumi e i mari del mondo. 5-8. ‘Per cui Cariddi (presso Messina, cit-
tà dei Santapau) è lieta e Scilla (dei Ruffo) è mesta, Calabria piange e a causa degli eredi Santa-
pau si addolora, con Diana nella foresta, perché la Sicilia possiede il suo bene’: nel senso che i
feudi Ruffo passano a eredi siciliani Santapau. 7. cu Diana a la furesta: il riferimento mitolo-
gico, indotto dalla rima, si può spiegare col culto della dea cacciatrice nell’antica Reggio, testi-
moniato da Tucidide, Strabone e Pomponio Sabino: cfr. Montepaone (1984).
* Cfr. Marafioti (1601: 62): «una statione in mare detta la Catuna, d’onde il più facile navi-
gare, per trapassare il Faro». Catona, promosso dalla rima, serve a Dante, Pd VIII 61-63, per in-
dicare i vertici del Regno di napoli in bocca a Carlo Martello d’Angiò: «e quel corno d’Ausonia
che s’imborga / di Bari, di Gaeta e di Catona, / da ove Tronto e Verde in mare sgorga».

Alla Istessa
XIV non ha d’acqua lu mari tanti sticzi, [189r]
stilli lu celu né xuri li prati
quant’in vui di lu pedi fi’ a li triczi
su infusi gracij milli a milli dati;
munti thesoru di l’eccelsi auticzi,
gemma d’ogni virtuti e nobiltati,
donna xiumara, xiumi di belliczi,
fonti di gracia e mari d’honestati.
XIV 1. sticzi: gocce (VSES, s.v. stízza: «‘goccia’ (1555), parola di area meridionale nonché
piem. e lig., di origine ignota»; «una delle voci di più incerta origine»); in Veneziano stizza (CS
15 1, LS 214 8, loc. a stizza a stizza LS 182 6, anche rafforzativo di negazione*: «non v’invidiju
nè v’odiju stizza» LS 6 2) alterna con gutta (nella stessa CS 15 5, CS 20 8, loc. a gutta a gutta LS
245 4). 3. fi’ a li triczi: fino ai capelli (trecce). 7. donna xiumara: l’immagine scaturisce
dall’ottava precedente: chiłła xumara manifesta (XIII 3).
* La grammaticalizzazione di sic. stizza, che non trovo registrata nei lessici, è parallela a
quella di gutta in vari dialetti settentrionali antichi (negota ecc.: cfr. Rohlfs II: § 499) e in afr.
(cfr. Buridant 2019: §§ 656-658).
104 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio

All’Illustrissimo Signuri
XV Si di pietati in cui pietà ridossa
mi manchi tu, signuri d’Helicona,
principi chi per Pindu, Peliu et Ossa
sblendi comu lu figliu di Latona,
non speru di st’oscura e nigra fossa
trovari luci o veru cosa bona,
undi, sepultu vivu in carni et ossa,
chiovinu st’ossa e l’arsu pettu trona.
XV All’Illustrissimo Signuri: Francesco Santapau. 1-6. Intendere: ‘Se tu mi manchi di pie-
tà… non spero di uscire (trovari luci) da questa buia fossa (cioè dal carcere)’. 1. ridossa: offre
riparo (cfr. VS, s.v. rriddossu). 2-4. Elicona, Pindo, Pelio e Ossa sono monti della Grecia, i pri-
mi due sacri alle Muse, gli altri prossimi all’Olimpo. Santapau è rappresentato come Apollo (si-
gnuri d’Helicona e figliu di Latona) per i suoi interessi letterari: strategia retorica simile in LS 268
(in morte del poeta Girolamo d’Avila), con Apollo e le Muse, Elicona e Pindo (vd. infra). Si noti
l’equivocatio su ossa, in rima a 3 (oronimo) e 7 (in locuzione), in sede di cesura a 8 (con significa-
to proprio). 6. o veru: oppure. 7. undi: onde (introduce la conclusiva). 8. trona: tuona.

Supra la sua carceratione


XVI Sepultu vivu in viva sepultura [189v]
(chi d’autru nomu n’è dignu stu locu)
chianchiu la nigra mia mala vintura
chi morti mi sarria grata non pocu;
e, non volendu, la vostra figura
suspiru, e Diu lu sa quantu v’invocu,
chi timu e tremu milli volti l’hura,
bugliu senza acqua e bruxu senza focu.
XVII Sepultu vivu a li mei stissi panni,
chi per campagna l’umbra mia si scorna,
non speru chui restauru a li mei danni:
mali per mia s’annotta e peiju agiorna;
li passati reposi mi su affanni,
li scuntu a mali notti e peiju iorna,
lu bonu tempu si ndi va cu l’anni,
comu na volta passa ma’ chui torna.
XVII 1-2. ‘Sepolto vivo con i miei vestiti, che la mia ombra (vagando) per la campagna (?)
se ne vergogna’: scurnari fig. ‘svergognare: scornare’ (VS ). Il riscontro di LP 53, dove lo spirtu è
detto compagnu del corpo morto*, potrebbe indurre a correggere campagna, hapax nel Venezia-
no, in cumpagna (per scambio paleografico) e intendere meglio: ‘che la mia ombra ha vergogna
di essermi compagna’. Il motivo dell’umbra erranti è anche in Sde 11 e 37. 3. restauru: risto-
ro. 4. Il sintagma mali per mia ritorna a XVIII 3 e XXII 8. 6. ‘li sconto (i passati reposi)
con male nottate e giornate ancora peggiori’: peiju agg. invar. 7. Cfr. Puttanismu, v. 73: «Lu
tempu vola e l’anni si ndi vannu». 8. ma’ chui torna: e più non torna.
Un nuovo manoscritto di canzoni siciliane con ottave inedite 105

* LP 53 (Iłłu è com’umbra di lu so cori mortu, ma nun pò accostari und’è lu cori): «Łłà un-
d’unu ha fattu violenta morti / finginu chi lu spirtu ci va e veni, / comu compagnu chi ci para
forti / licenziarsi di cui vosi beni. / Et iu, com’umbra erranti – o dura sorti! –, / vayu undi lu
miu cori happi li peni, / ma appena bastu vidiri li porti / di cui la vita mia chiusa si teni».

XVIII Sepultu vivu in viva sepultura [190r]


chi mortu e vivu mi s’attribuixi,
cuntu mali per mia d’hura per hura,
quandu manca lu iornu e quandu crixi;
o mirabili effettu di natura:
bramu la vita e la vita m’incrixi,
un iornu pari un annu finchì scura
e, comu scura, mai pari nalbixi.
XVIII Ottava costruita su ossimori (v. 1) e antitesi (mortu / vivu 2, manca / crixi 4, bramu /
m’incrixi 6, scura / nalbixi 8). 2. ‘che mi si reputa sia morto che vivo’; attribuiri (pronom.)
con accez. simile è in testi siciliani tardomedievali*. 3. d’hura per hura: in continuazione.
8. ‘e, quando fa buio, sembra che mai albeggi’ (cfr. LP 128 1: «Mali per mia nalbixi e peiu scu-
ra», presente nel ms. CG, c. 13rb, con la variante pronom. non incoativa s’inalba).
* Valeriu Maximu (1321-37), VI 9 8 (ed. Ugolini 1967, II: 97): «ma presenti acrissimentu
di dignitati si divia attribuiri a li soy boni costumi»; Epistula di misser sanctu Iheronimu ad Eusto-
chiu (sec. XV), cap. VI 107 (ed. Salmeri 1999: 41): «in la quali epistola preclaramenti et perfet-
tamenti zo cchi li potti attribuiri di laudi et di comendationi di la sancta virginitati li scripsi».

XIX Su vivu, ma la vita non mi vali,


ch’a forcza vivu la morti mi teni,
in ogni cosa curru per mortali
né sachiu d’undi tantu mali veni;
o sorti adversa, o stilla mia fatali,
quand’havirannu fini li mei peni?
comu in un puntu mi iunsi lu mali
e quantu pocu mi durau lu beni!
XIX 3. ‘mi affretto come se dovessi morire’. 7. in un puntu mi iunsi: mi ha colto all’im-
provviso.

XX Ingrati mura, discurtisi tetti, [190v]


tenaci albergu, retentivi porti,
com’a lu chiantu miu, li mei rispetti,
non vi sbadati o non vi pari forti?
e vui, ministri di ferrigni petti,
comu ci consentiti a tali torti
ch’iu sia versagliu a milli trami, effetti
di fortuna, d’amuri, mundu e morti?
XX 2. retentivi: che trattengono dentro, chiuse. 3-4. ‘come davanti al mio pianto, alle
mie sofferenze, non vi spalancate o non vi addolorate?’: sbadari ‘spalancare’ (Pasq: ‘aprirsi le mu-
106 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio

raglie, o simili’), da lat. vadum ‘guado’ o batare ‘stare aperto’ tramite aprov. e cat. esbadar (cfr.
VSES, s.v. vádu, p. 1150s), è in Agonia, v. 71 («li porti ci sbadava / e di lu cori li mura allarga-
va»); pariri forti impers. pure in Agonia, v. 3 («pàravi di mia forti») e 249 («Si non ci parrà forti /
nè farrà effettu lu vostru parlari»), inoltre LP 53 3, LP 80 6, LS 98 6, Ca 52 2.

XXI La causa di li mei tanti duluri


s’iu ti la cuntu, mori di li risi:
mi dissi un iornu “va’ prixuni” Amuri,
“ch’iu ti contentu”, e cussì mi promisi;
iu, per haviri l’amatu faguri,
non pensandu chui inanti mi ci misi
e carceratu intrai per dudich’huri:
figlaru l’huri e partureru misi.
XXI 2. ‘se io te la racconto, muori dalle risate’: l’improvviso abbassamento registrale, con
allocuzione alla 2ª p. del lettore, punta al coinvolgimento affettivo (cfr. LP 26 2: «chi cui ndi gu-
sta di li risa mori»). 3-4. ‘un giorno mi disse Amore: “renditi prigioniero, che io ti acconten-
to”’: doppio senso su prixuni, reale e metaforico (prigioniero d’Amore). 5. per haviri l’amatu
faguri: infinitiva finale, dove amatu è part. pass. con significato attivo (‘per ottenere il favore
amoroso’). 6. ‘non pensando oltre mi ci misi (in carcere)’. 8. ‘le ore figliarono e partoriro-
no mesi’: la metafora è continuata nell’ottava successiva, vv. 5-8.

XXII Hoij fui carceratu, hoi è lu giornu [191r]


chi si principiau lu miu mal’annu,
quandu di nigra lapi quistu iornu
signai comu presagu di tal’annu;
chi undi cridia di stari un sulu iornu,
figlau lu iornu misi e lu mis’annu;
hora su iuntu di novu a lu iornu
et ù, mali per mia si figlia l’annu!
finis
XXII 3. nigra lapi: matita nera. 5. undi: dove (stato in luogo). 7. ‘adesso sono giunto
di nuovo al giorno’, cioè: è trascorso un anno esatto dal giorno della carcerazione. 8. L’inte-
riezione ù è codificata come espressione di dolore*.
* Si veda ad es. la mastra d’Ottava con capoverso Chianci la turturełła e dichi “ù!” (CG
144v), che genera i seguenti versi all’interno della serie di ottave: «e stu miu cori sempri dirrà
“ù!”» (II 7), «st’afflittu cori dicendu “ù, ù!”» (III 2), «e talchì d’ogni tempu dichi “ù!”» (IV 7),
«non chiancirò com’hora dicu “ù!”» (V 4), «lu cori autru non dici se nu “ù!”» (VI 5), «a cui
amau tantu e dici “ù!”» (VII 4), «talchì sempri dicendu “ù, per mia ù!”» (VIII 7).

L’argomento principale che spinge a dar credito all’attribuzione ad An-


tonio Veneziano «carcerato» è di ordine storico e biografico. Va osservato
anzitutto che la coesione del ciclo è garantita dall’ottava XV, dove si richie-
de a Francesco Santapau, qui rappresentato come mecenate letterario e cele-
brato insieme ai suoi familiari nelle ottave precedenti, un intervento per fa-
Un nuovo manoscritto di canzoni siciliane con ottave inedite 107

vorire la scarcerazione dell’autore. Il collegamento fra questa prima parte en-


comiastica (I-XV) e la successiva sequenza lirica Supra la sua carceratione
(XVI-XXI) è assicurato dal v. 7 dell’ottava XV, «undi, sepultu vivu in carni et
ossa», che contiene il sintagma incipitario delle prime ottave della serie sulla
prigionia: Sepultu vivu… (XVI, XVII e XVIII). In questo modo, i versi cen-
trali di XVI – «e, non volendu, la vostra figura / suspiru, e Diu lu sa quantu
v’invocu» (5-6) – assumono una valenza volutamente ambigua, potendo es-
sere riferiti alla donna amata (cfr. XXI), come pure al Santapau, cui si è ap-
pena indirizzata la richiesta d’intercessione. Dalle ottave conclusive appren-
diamo inoltre che la serie sulla prigionia s’immagina composta a un anno
esatto dall’ingresso in carcere dell’autore: «e carceratu intrai per dudich’huri:
/ figlaru l’huri e partureru misi» (XXI, 7-8); «chi undi cridia di stari un sulu
iornu, / figlau lu iornu misi e lu mis’annu; / hora su iuntu di novu a lu ior-
nu» (XXII, 5-7). Pensava di starci un solo giorno, e invece ci è rimasto un
anno intero.
Ciò non significa che le varie unità del ciclo siano state composte nello
stesso momento. Se la corona encomiastica su Santapau (I-XI) è posteriore
al conferimento del Toson d’Oro, avvenuto a napoli l’1 giugno 1587 45, le
ottave XII-XIV andranno riferite al matrimonio (hemineu felici, XII 7) tra
Camilla Santapau e Muzio Ruffo, datato 8 marzo 158846. Dobbiamo co-
munque supporre che l’intero ciclo sia stato montato dallo stesso autore, in

45 La Relacion del dicho Juan de Spaen (ma de España nell’explicit) Reydarmas Intitulado

Flandes acerca del Collar de la Orden del Tuson que se dio al Señor Principe de Butera en Napoles,
datata 30 novembre 1589 e conservata presso l’Archivo General de Simancas, Estado, 7682,
exp. 61 («Expediente de concesión de la Orden del Toisón de Oro a Francisco de Santapau,
príncipe de Butera, 1589»), descrive minutamente la lunga e complessa cerimonia d’investitura
svoltasi due anni prima tra Castelnuovo, Palazzo reale, via Toledo e Santa Chiara, dove Santa-
pau ricevette il Collare dalle mani del Principe di Sulmona. Dalla relazione si apprende fra l’al-
tro che Santapau non sapeva leggere il francese, mentre leggeva benissimo il castigliano: «El Se-
ñor Principe de Butera tomó la carta de Vuestra Magestad con mucha humildad besandola, la
pusó encima la cabeça y la abryó, y por nó saver leer frances me mandó que se la leyesse, y leyda
respondió con gran acatamiento las palabras siguientes en romançe castellano, leyendolas por un
escrito». Alla fine del documento si fa menzione di una carta dove Santapau afferma di avere
cinquantun’anni al momento dell’investitura («y tambien dize en ella la edad que tenia quando
recibió la orden, que eran cinquenta y un año»): il dato stride con l’epitaffio sepolcrale (cfr. nota
47), dove si dice che egli morì cinquantaduenne nel 1590. nel testamento solenne, redatto in
hora mortis il 5 dicembre 1590, Francesco Santapau non mancherà di allegare istruzioni per la
restituzione del Collare, ricordando la cerimonia d’investitura: «Dippiù voglio, ordino, e coman-
do che la sudetta Signora mia Erede Universale [scil. la moglie Imara] sequuta la mia morte hab-
bia, e debbia mandare a Sua Maestà la Collara del Tesoro [sic] d’oro assieme con il libretto del
Stabilimento dell’Ordine scritto in lingua burgognona conforme e come per lo Capitolo di det-
to Stabilimento e per l’atto fatto per me in tempo che pressi nella Città di napoli l’investitura di
detto Tesoro largamente si contiene…» (Verdi 1997: 102).
46 I capitoli matrimoniali tra Camilla Santapau e Muzio Ruffo furono stipulati nel 1588

(cfr. Caridi 1995: 98). Ricaviamo la data del matrimonio da Verdi (1997: 64).
108 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio

funzione della richiesta di scarcerazione (XV), in un momento compreso fra


l’8 marzo 1588 e l’8 dicembre 1590, quando muore Francesco Santapau47.
Alcuni dati storici e letterari consentono di precisare questo momento,
suffragando l’attribuzione del ciclo al Veneziano. La corona I-XI si apre con
un’allusione a rapporti letterari intercorsi fra l’autore e Francesco Santapau
(«S’a la vostra eccellencia torna in menti, / iu vi pronosticai per chui canzu-
ni…»), i cui interessi poetici sono confermati, come s’è visto, dall’ultima ot-
tava della parte encomiastica del ciclo (XV). Sappiamo in effetti che la resi-
denza palermitana del Principe di Butera ospitò per un certo periodo di
tempo l’Accademia degli Opportuni, fondata intorno al 1577, di cui faceva
parte Antonio Veneziano: ce ne informa lui stesso in una lettera datata al
gennaio 1589 raccolta dal Millunzi48.
Inoltre, la corona encomiastica si configura a ben vedere come una ‘pro-
fezia’, genere poetico attestato anche in Sicilia fin dal medioevo49, in cui si
auspica a Francesco Santapau di ottenere una nomina regia in seguito al

47 Samperi (1644: 200-201) riporta gli epitaffi dei coniugi Santapau nella cappella di San-

t’Ignazio della chiesa messinese di San nicolò dei Gesuiti: «D.O.M. D. Franciscus Sanctapau
Messanensis primus Regni et Buterae Princeps, velleris aurei miles, pro sua in societatem Iesu
pietate tumulum vivens hic sibi delegit. Decessit anno MDXC, aetatis suae LII. Appositi sunt
nepotes ex filia D. Camilla, D. Franciscus Velasques et Sanctapau Marchio Licodiae, ac D. Ma-
ria Spinula et Valguarnera»; «D.O.M. D. Imara Sanctapau et Benavides Buterae Princeps reli-
giosissima, ut viventi viro coniugii, ita Panhormi moriens sepulchri societate proxima esse, ma-
terque in filiorum sinu religiosorum, et in sacello liberalitate sua, ac viri exornato conquiescere
voluit. Obdormivit in Domino nono Kal. Maii MDCXIX aetatis LXXXII».
48 Le informazioni si ricavano dal capitolo a quanto pare inedito dedicato al pittore e poeta

Francesco Potenzano (1552-1601), amico del Veneziano (cfr. infra), contenuto nel Teatro degli
huomini letterati di Palermo di Vincenzo Auria, che si legge nel ms. Qq.D.19 (sec. XVII) della
Biblioteca Comunale di Palermo, a c. 315ss: «essendo nel suo tempo eretta nella casa del Princi-
pe di Butera, signore assai curioso e dotto, un’Accademia con titolo d’Opportuni» (cito dalla
trascrizione fornita in appendice della tesi dottorale di Farruggio 2010: 142). Che il Principe di
Butera vada identificato con Francesco Santapau (1565-1590) si desume dal fatto che le incoro-
nazioni di Potenzano come poeta e poi come pittore, narrate nel seguito del testo, avvennero
sotto il viceré Marcantonio Colonna (1577-1584). La lettera del Veneziano è menzionata e pub-
blicata per intero da Millunzi (1894: 96, 187-192 [documento n. LXIV]): «nella biblioteca co-
munale di Palermo in un codice cartaceo del secolo XVII [= 2.Qq.C.34] ho trovato ora di re-
cente una copia di una lettera che il Veneziano scriveva nel gennaio del 1589»; in essa si legge:
«questo intermedio lo feci io nella Bertuccia ad unguem, che fu una comedia la quale si recitò
nella corte del Pretore, e allora perchè havevamo una certa ragunanza di dodici amici di sapere,
che ci chiamavano gli Opportuni e facevamo per impresa lo zodiaco». Anche Ambrogio Santa-
pau, fratello di Francesco e primo principe di Butera (ob. 1564), dovette coltivare il patronnage
letterario se Girolamo d’Avila barone della Boscaglia gli dedica un’ottava trasmessa dal ms. MA1
a c. 151 (cfr. Sciascia 1985: 11).
49 Mi riferisco al componimento intitolato Quaedam profetia (Quandam profetiam nel

ms. unico), che però è un «lamento storico» databile al 1354, e alle «quattrocentesche profe-
zie storiche del Regesto poligrafo trapanese» (ed. Cusimano 1951, I: 12-13, 23-30): cfr. an-
che Cusimano (1949: 28-35), e più di recente Ingallinella (2013) sulla metrica della Quaedam
profetia.
Un nuovo manoscritto di canzoni siciliane con ottave inedite 109

conferimento del Toson d’Oro50. naturalmente, la profezia poetica, dove si


dice che Santapau ha tutte le qualità per diventare re e viene assimilato a dèi
imperatori e eroi del passato, è iperbolica e non va presa alla lettera. Se è dif-
ficile pensare che l’autore gli stia prospettando di diventare viceré, dal mo-
mento che l’aristocrazia isolana non accedeva a tale carica, è però possibile
immaginare che egli avesse in mente la nomina di Presidente del Regno, tra-
dizionalmente riservata a nobili siciliani e già ottenuta dal fratello di France-
sco, Ambrogio Santapau, che nel 1546-1547 aveva esercitato di fatto le fun-
zioni di viceré 51. Con questo incarico si attaglierebbe l’augurio che Messina
‘sarà sua’ (IV 8), che Filippo gli lasci ‘governare’ uno dei suoi regni (V), e
che un giorno egli ‘reggerà’ la Sicilia (IX 8).
Si tratta di un elemento importante, che conferisce al vaticinio encomia-
stico un preciso significato politico e che ci aiuta anche a spiegare la dedica
sbagliata al viceré Marcantonio Colonna (1577-1584), protettore del Vene-
ziano, che gli aveva dedicato la Celia (LP) nel dicembre 1581. Sappiamo in-
fatti che anche il Colonna era stato insignito del Toson d’Oro sotto Filippo
II nel maggio 1560, diciassette anni prima della nomina viceregia. Ciò fa ca-
pire perché Veneziano premonirebbe più tardi al Santapau, da poco insigni-
to del Toson d’Oro, un incarico politico in Sicilia comparabile a quello otte-
nuto dal suo precedente protettore, scomparso da alcuni anni52. La dedica al
Colonna si può interpretare come un’interpolazione dalla tradizione, che
non riconosce il meno famoso dedicatario del ciclo53: essa è comunque un
elemento coerente con l’attribuzione al Veneziano.
L’encomio profetico a favore di una nomina politica per Francesco Santa-
pau, collocabile tra il marzo 1588 e il dicembre 1590, assume in questo mo-
do una funzione militante e di stretta attualità in opposizione al successore di
Colonna, il viceré Diego Enríquez de Guzmán conte di Alba de Liste (1585-
1592, ob. 1602), inviso al Veneziano, che attraversava in quel periodo una

50 Il tema profetico dell’encomio, impostato nell’ottava d’esordio (iu vi pronosticai… certifi-


catu da signi evidenti… e quistu è nenti), è evidenziato al livello retorico tramite il motivo del pre-
sagio celeste (IV), ed è rimarcato grammaticalmente da una serie di verbi al futuro ( purtirai II 7
e IV 6, darrai III 7, sarrà IV 8, regirai IX 8, vi cingiriti X 4) e dalla perifrasi vi ijti curunandu X 7.
51 Cfr. Scichilone (1972), Verdi (1997: 49-50).
52 Sappiamo per altro che Francesco Santapau era stato vicino a Marcantonio Colonna.

Cfr. Bazzano (2003: 271): «All’interno della Deputazione, durante il governo di Colonna, un
ruolo preminente ricoprono i suoi alleati isolani, il conte di Vicari e il principe di Butera, che
volentieri prendono le parti del viceré».
53 Si noti che la dedica è in italiano come il titolo attributivo Antoni Venettiano carcerato (e

come le titolazioni della precedente sezione di Ottave: cfr. tavola in Appendice) ma diversamen-
te dalle titolazioni interne del ciclo, che sono in siciliano (All’Illustrissimo Signuri, Supra la sua
carcaretione). Una formulazione molto simile è nel libretto perduto di rime siciliane dedicato a
Francesco Potenzano, stampato a napoli nel 1582 e riprodotto dall’apografo ottocentesco RI:
«All’illustrissimo et eccellentiss[imo] S. Marc’Antonio Colonna viceré e capitano generale del
Regno di Sicilia» (cfr. Rinaldi 1995: 47 n. 17, 105).
110 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio

grave crisi di potere. Dopo un primo triennio di governo in cui aveva cerca-
to di ridurre i privilegi della nobiltà isolana, il secondo mandato di Alba de
Liste (1588-1592) fu segnato dallo scontro aperto con gli inquisitori spagnoli
del Sant’Uffizio, appoggiati dai baroni siciliani, che arrivarono a scomunicare
il viceré con i suoi ministri e consiglieri nell’aprile 1590, in seguito all’arresto
del conte Ottavio Lanza. Il braccio di ferro fra il potere viceregio e l’alleanza
tra Inquisizione e baronaggio, aggravato dall’epidemia e dalla carestia che col-
pivano il Regno dal 1589, si protrasse in seno al parlamento finché Alba de
Liste, che aveva già chiesto al re di essere tolto dall’incarico, fu costretto dal-
l’inquisitore Luis de Páramo a rientrare a Madrid nella primavera del 159254.
naturalmente il punto di vista politico di Antonio Veneziano, apparte-
nente alla piccola nobiltà monrealese, era quello dei baroni siciliani, suoi soda-
li accademici e protettori: si ha infatti notizia di una sua mordace satira contro
Alba de Liste per il prosciugamento del lago Papireto, e siamo soprattutto in-
formati che tra il dicembre 1588 e il gennaio 1589 venne arrestato e torturato
a causa dell’affissione di «un cartello contra il viceré alla cantonera di D. Pie-
tro Pizzinga allo piano delli Bologni»55. Scampato alla forca per intervento di
alcuni autorevoli baroni, secondo La Lumia (1879: 196) il Veneziano fu man-
dato dapprima al confino nell’isola di Pantelleria e da qui tradotto nelle carce-
ri palermitane del Castello a Mare, dove si trovava ancora rinchiuso tra il 7 ot-
tobre 1589 e il 15 dicembre 1590, quando Francesco Santapau era già morto:
L’Albadelista avrebbe voluto, con uno dei suoi atti sommari, mandarlo senz’altro
all’estremo supplizio; ma intercessero i vecchi protettori, a’ quali il Veneziano
rimaneva sempre assai caro, e la pena capitale si commutava in bando perpetuo
nell’isola di Pantelleria. Avrebbe quivi finito i suoi giorni: se non che interposi-
zioni novelle ottenevano in breve che la relegazione si commutasse in perpetuo
carcere nel Castellammare di Palermo. Stando anche colà, i preposti alla fabbri-
ca del Duomo lo incaricarono di regolare l’opera dell’Arco trionfale pel solenne

54 Cfr. Di Blasi (1880: 248-256), Garufi (1920: 304-360), Koenigsberger (1951), Zapperi
(1960) e la voce «Diego Enríquez de Guzmán y Toledo» (di Esther Jiménez Pablo) nel Dicciona-
rio Biográfico electrónico della Real Academia de la Historia (dbe.rah.es). Sulla figura di Luis Rin-
con de Paramo si apre il brillante relato biografico di Leonardo Sciascia (1967: 5-7).
55 Ed. Di Marzo (1869-1886, I: 115): «A primo di decembre [1588]. Si trovò appizzato un

cartello contra il vicerè alla cantonera di D. Pietro Pizzinga allo piano delli Bologni. Ed alli 13 di
gennaro seguente ne fu tormentato Antonio Veneziano poeta famosissimo di Monreale, ed ebbe
sette tratti di corda, e tinni». Il passo del diario di Filippo Paruta e niccolò Palmerino pubblicato
dal Di Marzo è citato da Millunzi (1894: 74), che fa coincidere la data dell’affissione del ‘cartello’
con quella della carcerazione: «E il vicerè Diego Enriquez conte di Albadalista, che fu per Mon-
reale una vera jattura, peggiorò gravemente l’acerbo destino del nostro poeta. Il 1 dicembre 1588,
essendo lui vicerè, Antonio Veneziano fu catturato». Si noti però che la lettera di Veneziano
pubblicata dallo stesso Millunzi (1894: 96, 187-192) come documento n. LXIV (cfr. supra, nota
48) è datata «In Monreale a 8 gennaio 1589»: se la lettera è autentica e la data è esatta ciò signi-
fica che per l’8 gennaio Veneziano non era stato ancora arrestato a causa del ‘cartello’ sedizioso:
si tratta di soli cinque giorni prima della data (13 gennaio) in cui avrebbe avuto luogo la tortura.
Un nuovo manoscritto di canzoni siciliane con ottave inedite 111

ingresso del novello arcivescovo monsignor Diego Aedo; ed ei vi attendeva alla


meglio, e una spiegazione degli emblemi da lui imaginati, de’ motti, delle pittu-
re e delle statue indirizzava in prosa spagnuola, mista di versi spagnuoli, al me-
desimo Aedo con una lettera dedicatoria data il 7 ottobre 1589, nella quale de-
plorava i suoi occhi “divenuti come di talpa” nella muta oscurità in cui si trovava
“e il suo ingegno così intorpidito da’ guai che appena avea coscienza di sé”. Il
15 dicembre 1590 il rumore delle artiglierie del Castello, ove languiva racchiuso,
e delle navi della rada suonava alle orecchie del prigioniero, come saluto al suo
persecutore, il conte di Albadelista, il quale da Messina riconduceasi a Palermo 56.

Come si vede, il dato storico collima con quello biografico fornito dal-
l’ultima ottava del ciclo Antoni Venettiano carcerato: se il poeta venne, come
pare, arrestato nel gennaio 1589, egli sarà stato ‘carcerato’ da un anno nei
primi mesi del 1590, quando il viceré Alba de Liste è scomunicato dal
Sant’Uffizio e invia le dimissioni a Madrid: momento propizio per il mon-
taggio e la pubblicazione extra carceres del ciclo occasionale in cui si auspica
una nomina politica al principe siciliano Francesco Santapau e gli si richiede
un intervento di soccorso.
La quadratura dei dati storici e biografici in nostro possesso è avvalorata
da una serie di elementi poetici e stilistico-tematici che pure orientano a fa-
vore dell’attribuzione ad Antonio Veneziano. Oltre alle consonanze di lin-
gua poetica che abbiamo segnalato nel commento alle singole ottave, va det-
to che la turgida tessitura della parte encomiastica del ciclo, ricca di riferi-
menti storici e mitologici, è in linea col petrarchismo imbevuto di erudizio-
ne classica del Veneziano, cui si attribuisce un trattato mitografico in italia-
no (con numerose citazioni latine e greche) applicato alle statue del fonte
Pretorio, che fu trasportato da Firenze a Palermo nel corso degli anni Set-
tanta57. Si confronti in particolare la stringata comparazione quadrimembre
di VII 7-8 («pari Mercuriu in diri, in armi un Marti, / in lumi Apollu et in
guvernu Giovi») con quella, più distesa, in un’ottava della Celia intitolata
Epitafiu di lu so cori (LP 24 3-8): «“Chistu, servendu ad una ingrata e dura, /
superau quattru dei li chiù potenti: / Cupidu in l’armi c’happi in pettu

56 La lettera dedicatoria e la ‘spiegazione’ in castigliano dell’Arco per l’entrata a Palermo


dell’arcivescovo Diego Aedo di cui parla La Lumia si leggono nell’ed. Arceri (1861: 191-197).
Ecco la parte di lettera con i due passaggi (in corsivo mio) che alludono alla carcerazione: «Per lo
qual, mis ojos, que son como de motçegalo en tanta escuridad que se hallan, no sufrieran resplandor
de alegria de la sorte que mis congoxas prometieron, compuse versos, toque empresas, y acomo-
dè algunas prosas embio, no porque en ellas paresca mucho valor de ingenio, pues de trabajos
estar tan torpe que apenas se acuerda de si, mas por muestra de mi servitud, y por verdadero au-
guero, de que haia algun dia de servir en fiesta como esta para entrada de V.S. Illustriss. y Reve-
rendiss. co dignidad mayor, o semejante, a beneficio de la Iglesia, y del mundo. En Palermo a 7
de Ottubre 1589. De V.S. Illustriss. y Reverendiss. Su Servidor Antonio Viniziani».
57 Cfr. «Discorsi sopra le statue del fonte Pretorio di Palermo, opera postuma di Antonio

Veneziano», in ed. Arceri (1861: 201-260).


112 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio

ogn’hura, / nettunnu in l’acqua di l’occhi currenti, / Vulcanu in xhiammi et


in continua arsura, / et in suspiri d’Eolu li venti”».
Dal reparto propriamente encomiastico dell’opera canonica in siciliano,
di cui si conservano alcune prove soprattutto nel «Libru Secundu»58, si pos-
sono trarre altri riscontri significativi. L’ottava dedicata al pittore e poeta pa-
lermitano Francesco Potenzano intorno al 1582, in occasione delle sue ‘in-
coronazioni’ propiziate dal viceré Colonna (cfr. Farruggio 2010: 25), è una
interpretatio nominis che prende avvio dalla menzione di Scipione l’Africano
e contiene il topos del superamento dei campioni antichi (qui Apelle e Vir-
gilio)59, tutti ingredienti retorici che si ritrovano nel ciclo: II 6 (Scipiuni); I
6, II 5-6 e IX 6 (superamento degli eroi), XII 5 e 8 (interpretatio nominis)60.
nella corona di ottave LS 68-75 indirizzata a Maria d’Avalos, parente del vi-
ceré Colonna, in occasione delle nozze col marchese di Giuliana (dicembre
1580), si trova come nel ciclo la nominatio della dedicataria nell’ottava di
apertura e di chiusura, e soprattutto uno stilema parallelo a nostro avviso as-
sai significativo perché coinvolge sia il livello sintattico che quello lessicale: si
confronti «V’ammira chista etati da veniri, / la passata d’invidia si martełła»
(LS 73 5-6) con «s’ammira l’Austru, invidia lu Boria» (VIII 6). Un altro ri-
scontro d’ambito encomiastico si stabilisce fra l’ottava LS 268 in morte del
poeta siracusano Girolamo d’Avila barone della Boscaglia (ob. 1567), dove si
menzionano Apollo e i monti Elicona e Pindo61, e l’ottava XV del ciclo.
La metafora della sepoltura e il motivo dell’ombra, con cui si apre la se-
rie Supra la sua carceratione, sono ricorrenti nell’opera lirica del Veneziano –
sepultura è in LP 24 1, LS 33 8, LS 90 8 e LS 203 8, Sde 35 3, Sde 37 3
(con umbra 7), sempre in rima; l’umbra è il tema di LP 53, LP 147, LS 23,
LS 237, parola-rima in LS 242 – e costituiscono anzi un marchio di fabbrica
dell’autore, in quanto fungono da collegamento tra il dittico Agonia-Nenia e
il LS nella raccolta d’autore organica e canonica62. Un riscontro specifico per
l’ossimoro sepultu vivu (in viva sepultura), che apre le prime tre ottave della
serie carceraria (XVI-XVIII) e funge da raccordo con l’encomiastica XV, è
appunto in Agonia, vv. 127-132, dove si trova pure l’immagine del cuore
che ribolle, variata in XVI 8 («bugliu senza acqua»):

58 Cfr. Rinaldi ([2005] 2012: XXIII e n. 10) e Carapezza (2016).


59 LS 93 (A Franciscu Potenzanu): «Si, perchì Africa estinsi, Sipiuni / fu per cognomu chia-
matu Africanu, / tu, chi cu lu pinzełłu e li canzuni, / hora l’ingegnu oprandu, hora la manu, /
Apelli vinci e superi Maruni / e sì in l’unu et in l’autru suprahumanu, / sì per doviri e cu giusta
raxuni, / vincendu ogni potenzia, Potenzanu».
60 Sull’interpretatio nominis in Veneziano si rimanda a Carapezza (2016).
61 LS 268: «Bandu e cumandamentu a li poeti / da parti di diu Apollu e di li musi, / dopoi

chi è già passatu a la quieti / Vuscaghia e li soi yorna già conclusi; / pertantu ognunu cu soi versi
leti / canta cui adornau li Siragusi, / sub pena, preterendu sti decreti, / chi d’Helicona e Pindu
sianu esclusi».
62 Cfr. Carapezza (2016: 217).
Un nuovo manoscritto di canzoni siciliane con ottave inedite 113

Quandu lu suli nexi


naxi la pena sua, lu dolu internu;
quandu è autu e sta in pernu
vughi lu cori so, nè mai quiexi;
quandu stramunta e scura
si senti vivu intra la sepultura.

Ricordiamo infine che i riferimenti pseudo-biografici e nella fattispecie


cronologici sono caratteristici e anzi strutturali nel ‘canzoniere’ di Venezia-
no63: l’immagine del ciclo temporale conchiuso di XXI-XXII s’incontra per
esempio in un’ottava della Celia, LP 61 (Torna sempri a lu principiu di li soi
guai)64, presente pure in CG (176vb) con attribuzione a Venett[iano].
nella prefazione al Libro delle rime siciliane (ed. Rinaldi 2012), C. Di
Girolamo scriveva: «E poiché abbiamo insinuato che il libro, così come ci è
giunto, contiene forse qualcosa di troppo (i capitoli) e qualcosa ancora fuori
posto (le canzoni della sezione anepigrafa, vaste aree del «Libru secundu») ri-
spetto all’ideale canzoniere che l’autore, si suppone, progettava, possiamo
anche chiederci se qualcosa sia rimasto fuori. […] Abbiamo insomma motivi
per credere che l’autografo definisca il canone dell’autore, la sua produzione
siciliana autentica e approvata, al di fuori della quale, fino a prova contraria,
non dovrebbe esserci altro»65. Ora a noi pare che nel caso in esame, dove la
vistosa attribuzione del ciclo ad Antonio Veneziano in un ms. generalmente
restio alle attribuzioni (se si eccettua la sezione centrale di Ottave) è confor-
tata da dati storico-biografici e da elementi stilistici stringenti, l’onere della
prova spetti a chi volesse negarne la paternità del Veneziano. Va infatti con-
statato che il carattere occasionale del ciclo avrà determinato una sua circola-
zione extra-canonica e limitata, come suggerisce la testimonianza isolata di
CG, sicché il suo eventuale problema attributivo non sarebbe assimilabile a
quello, assai delicato, di ottave sparse con attribuzione al Veneziano per auc-
toritatem, che è invece endemico nella tradizione manoscritta e a stampa di
canzuni siciliane e che sostanzia la riflessione di Di Girolamo66.
Il ritrovamento del manoscritto CG rappresenta in conclusione una sco-
perta filologica di non poco conto, che allarga significativamente il reparto
encomiastico e occasionale dell’opera poetica in siciliano di Antonio Vene-
ziano gettando nuova luce sugli ultimi anni della sua travagliata vicenda esi-
stenziale.

63 Cfr. ancora Carapezza (2016), in part. a p. 142.


64 «Su fattu horloggiu, chi lu motu cuntu / chi fa lu celu e quanti voti duna; / numeru
ogn’hura, ogni quartu, ogni puntu / di quandu inalba fina a quandu imbruna. / Comu mi tegnu
a la iornata iuntu / chi staia in grazia di la mia patruna, / tandu, meschinu mia, scuru e tramun-
tu: / sonati vintiquattru, tornu ad una».
65 Di Girolamo ([2012] 2019: 417).
66 Cfr. Rinaldi (1980) e ([2005] 2012).
114 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio

APPEnDICE
Tavola del ms. CG
Indichiamo capoverso (in edizione interpretativa) e rima pari (normaliz-
zata) delle singole ottave. Se si tratta di parole-rima le sottolineiamo (cfr.
4ra, 180rb, 191ra-va). Per la sezione di Ottave (II) indichiamo solo il capo-
verso della prima ottava della serie e, tra parentesi, quello della mastra. nella
colonna a destra segnaliamo le corrispondenze con PR10 (ed. Rinaldi 2012,
da cui si riprendono le sigle).

[0]r: Libro di canzoni siciliani da mandarsi per / Lelio a Paolo Pozzobonello suo
Padrone
I. Prima sezione anepigrafa di canzoni (cc. 1r-42r) [166 ottave]
1ra A un raiju di bellicza ch’in vui appari -ia LP 283
1rb Amuri lu mortiferu to mali -iti LP 31
1va Amuri si tu poi com’è chi poi -ita LP 100
1vb Ausu l’ochi a lu celu e radiari -uri
2ra Benchi la vista l’amuri nutrixi -alma LP 153
2rb A li belliczi toi non c’è né pari -ori LP 144
2va Da poi ch’in frunti pari chi portassi -ia
2vb Quantu grazia e bellicza antica e nova -ui LS 199
3ra Di li vostri capiłłi la naurata -antu
3rb Hoimé, stu chiantu miu n’è bon signali -ori LP 239
3va Di nułłu tempu la mia facci è axiutta -uri LP 113
3vb Lu sonnu infini autru non è chi sonnu -enti LP 179
4ra Di lu bramanti fonti chi m’infocu / siti
4rb Si parli, beni miu duci, ducizza -acia
4va Mi è forcza, donna, ch’iu ti serva e stima -ovu
4vb Iu puru tornu di novu a provari -assi LS 69
5ra Privu, patruna bełła, di vui absenti -icu Ca 57
5rb Mentri alma lena e spiritu havirò -enti LP 48
5va Mentri chi campu e di poi chi si mori -ui
5vb Veru e curtisi diu di li conohorti -ia Ca 74
6ra Si contemplandu l’ochi e l’aura tricza -ati
6rb n’è chista chiłła beata finestra -arsi LP 133
6va non meritu, patruna, stu faguri -iti LS 263
6vb Di la menti ostinata cu’ chi v’amu -uru Ca 19
7ra Mentri happi in corpu vostra matri a vui -atu LP 259
7rb Quandu ti fici Amuri e ti compliu -oi LP 66
7va Sempri sarrò in serviciu quali fui -atu
7vb Ferma lu cursu di la navi a mari -atu
8ra Suspiru tu chi nexi di lu pettu -atu LP 46
8rb Talmenti Amuri mi travaglia e sbersa -atu LP 260
Un nuovo manoscritto di canzoni siciliane con ottave inedite 115

18va Qualchi fiata essenduti presenti -ittu LP 214


18vb Ochi chi quandu vi vitti per sorti -enti LP 244
19ra Ritira, ircana tigri, l’impia branca -eni LS 206
19rb Speru a dispettu di lu miu destinu -ari LP 231
19va Certu chi tantu e tantu chiancirò -antu LP 97
19vb Quantu meli mai d’Ibla happiru l’api -orti Ca 75
10ra L’immensa curtisia chi già m’apriu -ali Ca35
10rb Cu tuttu ch’autru procura d’intrari -acia
10va Per mia cu vui non trovu spedienti -usa LS 46
10vb Cosa propria d’amuri è lu miu pettu -isi LP 9
11ra Iu chiancia forti et a lu chiantu miu -ì LP 224
11rb noijusa xamma, fulmina e surrusca -iłłu
11va D’horrenda gelusia crudili impacci -assi
11vb non t’abaglia la menti e non t’offusca -iłłu
12ra O divina bełłicza, o bełła facci -assi
12rb Chi fussi ogn’ochiu cecu quandu appari -ettu
12va Gutti di l’ochi mei, gutti chi siti -erni
12vb Suffrixa cui suffriri lu porrà -arti
13ra Gelusu amanti apru mill’ochi l’hura -iu
13rb Mali per mia s’inalba e peiu scura -entu LP 128
13va Su chisti l’ochi ch’abampatu m’hannu -eri LP 116
13vb A li bełłiczi angelichi e sereni -ali LP 176
14ra È la memoria mia la mia nemica -itti LP 63
14rb Supra li noti fermi di lu cori -ai LP 73
14va Puru łłà, puru łłà lu cori gira -ana LS 85
14vb nascirà in vui perchì non ci è difettu -omu LP 257
15ra n’è maraviglia si vui siti dura -iglia LP 162
15rb non è la pena mia pena a misura -atu LP 82
15va Benchì la vista l’amuri nutrixi -alma LP 152
15vb Disperata spartenza che m’allevi -avi LP 185
16ra Troppu contra di mia vi incrudeliti -ati LP 194
16rb L’origi a la Canicula s’inclina -elu LP 1
16va Parsi ad Amuri chi lo focu miu -ali
16vb Quandu accasu t’incontra et non ti guarda -ivu
17ra Quandu †traniu† mortali in terra appari -uri
17rb Comu cervu veloci ogni fururi -ori
17va Squagliu ndi spinnu e si si basta a fari -iłła Ca 66
17vb Forcz’è, cui si tormenta in peni amari -uri
18ra Si a li vostri bełłiczi prisu fui -elu
18rb Poi chi servendu una celesti dia -ancu
18va Parla tu, beni miu, ch’iu n’aiu ardiri -uri
18vb Suli chi trasi a la finestra und’iu -uru
19ra Littra, chi porti di la mia patruna -ovu LS 134
19rb nblatula a darmi morti ti lambichi -idi LP 18
19va Comu speczati un spechiu per fortuna -iłłi
19vb Poi chi cu summu studiu la natura -anti
116 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio

20ra Quantu ti foru e su li celi amici -iłła


20rb La xamma mia, l’ardenti miu disiu -anciu
20va L’aspettu to ch’eterna gioija e paci -oglia
20vb Arsu tra l’ossa e senza cori in pettu -idi
21ra Mi giuvau, mi giuvau l’essiri liccu -iu LS 16
21rb O natu di bełłicza o fantasia -eri
21va Amandu mai si spera per firmicza -anti
21vb In chi m’odij, in chi m’ami, in chi ti penti -ernu
22ra Comu sferrata navi chi consenti -anti
22rb Mentri la bełła e duci mia nimica -ari
22va Comu firiri pottiru e chiagari -iti
22vb Mentri la musa mia si forcza e spera -antu Ca 42
23ra Supra di mia, patruna, a un to sul’attu -ai LP 232
23rb Vurria lu cori miu, donna, vurria -utu LP 90
23va Iu puru tornu di novu a provari -assi LS 91
23vb Gira lu celu e mentri gira intornu -iłłi LP 79
24ra Spara pri na faiłła na bumbarda1 (-esti) LP 87
24rb Criu chi mentri la bella dormia -uri
24va Restu confusu e stupefattu assai -iu
24vb n’essiri, beni miu, d’un sguardu avara -ai LS 49
25ra Iu chi moru pensandu ch’iu dissi -ia LS 229
25rb Cui passa cogli e non ti dici nenti -ica LS 121
25va Ssu neu, patruna mia, ch’in facci porti -uri Ca 68
25vb È veru chi lu cori invininatu -ari LS 37
26ra Procura a posta tua novu disficiu -anza LS 232
26rb Ch’iu suspira, ch’iu sbruffa e chi m’afflija -enti LS 102
26va S’iu su, patruna mia, di vui zelanti -arti LP 67
26vb Di lu chiù acutu e d’ogni strali acutu -ortu LP 227
27ra Contra di mia lu beni si ribełła -oli
27rb Diri sì e nu l’attendiri è virgogna -usa Ca 17
27va Copru la manu cu l’anguantu ad arti -ia LS 310
27vb Trema, nu basta fuijri, si spagna -iu LS 243
28ra Dintra lu beni miu m’annegu e affundu2 -atu LS 19
28rb Rispittusu liutu chi t’accordi -antu
28va Di cui lu cori m’ha ferutu e offisu -à
28vb Tu m’ami, iu t’amu, ntrambu ndi amamu -emu
29ra A tanta curtisia non si disdici -asti
29rb Su paczu e tanta grandi è la paczia -aczu
29va Tu mi maltratti et iu t’haiu rispettu -attu
29vb Pensa si stassi mali infirmu a lettu -ici
30ra Und’è, ingrata, la fidi chi mi dasti -ari
30rb A tortu mi fai stracij, vita mia -oi LS 308

1 Solo capoverso sotto Mentri alma lena e spiritu havirò, copiata a 5rb.
2 ms. offendu.
Un nuovo manoscritto di canzoni siciliane con ottave inedite 117

30va Un pumu russu la bełła mi detti -era LS 280


30vb M’offendi, accussì in gracia si sia -ai LS 115
31ra Torna mariulotta e pri darreri -enti LS 55
31rb Chi amati ad autru ed a mia disamati -icza LS 6
31va non negu, vita mia, chi troppu avanti -ura
31vb Cui t’ama a tanta imprisa ci conveni -ari
32ra Amu per miu destinu a cui si ridi -enti
32rb Sai perchì mi maltratti? perchì vidi -ettu
32va Incagn’a lu pettu miu nun ha chui locu -eni LS 281
32vb Schifiusełła patruna e magnusa -aci
33ra Comu purrò stu Proteu firmari -ortu LS 24
33rb Perchì, perchì sta tirannia m’usati -ortu
33va Mai di lu cori miu ti partirai -iu LS 11
33vb A gilusia, l’amica mia chui cara -ignu LS 17
34ra Ridi la bella qualchi volta o fingi -iglia LS 13
34rb Dicinu chi non c’è firmicza in tia -ai LS 14
34va Tant’haiu fattu e tant’haiu cercatu -ari
34vb Aiutu, si temp’è ch’iu su a lu fini -enta LP 201
35ra no lassa, beni miu, lu muscaloru -umu Ca 96
35rb Zoccu è bełłu in tia naxi e tuttu è to -enti LP 273
35va Occhi, non ochi, veri archi d’amuri -annu LS 285
35vb Mai cosa fici tali la natura -ici
36ra La mia nimica chi stu pettu inchiaga -ali
36rb Cosa vacanti fu st’arsu miu pettu -uri
36va Mentri ssi toi belliczi miru moru -aru
36vb non è lu sonnu imagini di morti -iju LS 179
37ra niuri e dogliusi panni chi vestiti -una
37rb Lavati la testucza, vita mia -antu LP 287
37va Foru l’Egitij di scriviri auturi -ati Ca 24
37vb Quantu chui lenta e fridda cu mia siti -ati Ca 60
38ra Iustu castiju ventagliu ti detti -iri LP 279
38rb Cuva lu mali e dintra mi magagna -ari LS 223
38va Un iornu Amuri far’apa si vosi -iłłi
38vb E lu suli3 e la luna e ogni planeta -ia LS 220
39ra Letu lu cori miu di piniari -iglia LS 264
39rb Tardu e tremanti m’accostu a tuccari -oglia LS 45
39va Ha lu suli in Liuni chui cocenti -ala LS 59
39vb Davanti l’autu e santu tribunali -iu LS 116
40ra Iu su di lu miu cori sepultura -enti LP 24
40rb Mi gira intornu a la menti un pinzeri -anti LP 246
40va Di toi belliczi un ortu tegnu in pettu -oru LP 247
40vb Senz’opra di natura né di celu -ocu LS 252
41ra Se non ti oiju sentu un ijelu eternu -ati LP 56

3 ms. sulu.
118 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio

41rb Ben ricanuxu, ben dixernu apuntu -enti LS 304


41va Di munti in munti di speranza ijvi -ocu LP 160
41vb Si per natura lu focu va in autu -ina LP 85
42ra Veni a la giustra sdegnu ijra e fururi -ori
42rb Mentri su absenti et a la menti stampu -iju Ca 45

II. Sezione di Ottave intestate a vari autori (cc. 42v-150r) [56 Ottave, 433 ottave]
42v: Le seguenti sono tutte ottave di / Poeti Valenti in questa lingua siciliana
43r Ottava di sdegno / Ioanni Bonasira
Poi chi di sdegnu vitti l’alta insegna -iti
(Chi torna o npincia chiù a la vostra riti -antu)
45r Ottava / Ioanni Bonasira
Pena infinita mia sorti contraria -encia
(Per disperatu e privu di paciencia -ita)
47r Ottava / Ioanni Bonasira [4 ottave]
Petra iettata ad un puczu profundu -ivi
(Sepultura di vivi mali vivi -orti)
49r Ottava / Batti Cani 4
Iu chianciu, donna, chi tu causa fusti -isti
(Chianchi, miseru amanti, chi perdisti -asti)
51r Ottava / Batti Cani
Quandu chi guardu l’alma tua figura -iju
(Iu t’amu tantu chi per tia peniju -amu)
53r Ottava / Batti Cani
Chianciu lu locu a ntrambu dui ricettu -assu
(Chianciu chi partu, chianciu chi ti lassu -atu)
55r Ottava / Batti Cani
Mentri cecu campava senz’amuri -iri
(Di chi vitti ncuminzai ad ardiri -ettu)
57r Ottava / Batti Cani
Comu una navi di commossu mari -iri
(Su fattu privu di festa e placiri -orta)
59r Ottava / Petru di Palermu
Mentri lu cecu e faretratu diu -ettu
(Di quandu ti guardai ti fu sugettu -attu)
61r Ottava / Tubiolu Benfari
Sent’un un cutełłu chi per mia s’ammola -uri
(Łłà und’è la vita mia vattindi, Amuri -ali)
63r Ottava / Petru Principatu
Chiancinu di continu l’afflitt’ochi -ari
(Poi chi non haiu di cui mi fidari -eni)

4 Andrea Vatticani.
Un nuovo manoscritto di canzoni siciliane con ottave inedite 119

65r Ottava / Don Marc’Antonio Balsamo


Divinu focu et agiacciata nivi -avi
(Undi formavi passi, undi speravi -ura)
67r Ottava / Don Marc’Antonio Balsamo
Filichi mia, chi d’adorati xuri -enti
(Pentiti, beni miu, pentiti, penti -oi)
69r Ottava / Ottavio Riczari
Canuxiu e viju per signi evidenti -annu
(Di pena in pena, d’affannu in affannu -atu)5
71r Ottava / Ottavio Riczari
Manca l’imperiu a Giovi e l’altu honuri -ari
(Quandu la mia signura leta appari -ori)
73r Ottava / Ottavio Riczari
Quantu fu brevi lu iocu e lu cantu -assu
(Addiu siati, non vogliu chiù spassu -ia)
75r Ottava / Ottavio Riczari
In dura pena e passïoni strangia -andu
(Lacrimi chui non haiu lacrimandu -itti)
77r Ottava di sdegno / Ottavio Riczari
Cessau la vampa, lu focu s’ha estintu -entu
(Donna, criata per lu miu tormentu -andu)
79r Ottava / Ottavio Riczari
Di Dedalu lu figliu autu volandu -untu
(Di lu miu audaci e timirariu assuntu -enti)
81r Ottava di sdegno / Don Vincencio di Ioanni
nenti li mei servicij foru grati -iti
(Lassamu6 adunca l’antiqui partiti -antu)
83r Ottava / Don Carlo Ficarola
Cu tantu affannu di cori e di menti -assu
(La consumata carni e spirtu lassu -eni)
85r Ottava / Don Carlo Ficarola
Comu turtura o cerva chi si priva -ettu
(Luntanu essendu di lu vostru aspettu -azzu)
87r Ottava / Giovanni Bonasira
Cintu di focu ijettatu ad un cantu -ivi
(Com’ad un puntu di beni nexivi -ocu)
89r Ottavio Potenzano / Ottava
nemica dintra et amica di fori -ari
(Tiranna, chi ti vogliu abandunari -isti)
91r Ottava / Vincenczo Salvario
D’un felici et adduluratu pettu -ori
(Iu partu, anzi si sparti a mia lu cori -ettu)

5 Seconda e terza ottava invertite: un segno di richiamo ristabilisce l’ordine.


6 ms. cassamu.
120 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio

192r Ottava
Si non havissi andatu a passu curtu -empu
(Quandu lu tempu mi detti lu tempu -ocu)
194r Ottava / Vicenczu Salvario
Arsi un tempo per tia per tia mi sfici -atu
(Quantu per disamarti su beatu -utu)
196r Ottava
Comu vedisti per signu apparenti -antu
(Per tia fichiru st’ochi eternu chiantu -idi)
198r Ottava / Balseca 7
Fra scuri sassi e tenebrusi grutti -angia
(Iu chianciu e lu miu chiantu è cosa strangia -ita)
100r Ottava
Mentri chi l’autu diu cecu et audaci -ici
(La bella donna mia, nova fenici -aci)
102r Ottava
Vui ch’abitati in abissi profundi -endi
(Chianciu et invitu a chiantu a cui m’intendi -undi)
104r Ottava / Gerolamo Grasso
L’occultu focu d’amuri supremu -amu
(Ti vogliu si mi voi, si m’ami t’amu -aci)
106r Ottava / Lu Cecu di Mazzara 8
Per mia non ci su chui piaciri e spassi -au
(Miu patri in focu, oimé, mi generau -inni)
108r Ottava / Polito Chiotta
Morti infiniti ogn’hura provu e sentu -ocu
(Alcuni chi su fora di lu iocu -eni)
110r Ottava / Cola Burgarella
Ad huri ad huri, quandu mi guardati -iti
(Su in dubiu, donna, si sempri amiriti -orti)
112r Ottava / Cola Burgarella
non sentu chui, su paczu e vaiu erranti -enti
(Pentiti, beni miu, pentiti, penti -oi)9
114r Antonio Veneciani magiore / Ottava
Gioija ch’a nullu eccettu a ttia assimigli -iju Ott III
(Iu t’amu tantu chi per tia peniju -amu)
116r Antonio Venetiani magiore / Ottava
Turri d’auti belliczi ornata e varia -iju Ott I
(Iu t’amu tantu chi per tia peniju -amu)
118r Antonio Veneciani magiore / Ottava
Quantu varij formi ogn’hura cangi -iju Ott II
(Iu t’amu tantu chi per tia peniju -amu)

7 Ludovico o Andrea Valseca.


8 Segue groviglio esornativo o compendio (indecifrato).
9 Stessa mastra dell’Ottava a 67r.
Un nuovo manoscritto di canzoni siciliane con ottave inedite 121

120r Antonio Venetiani magiore / Ottava


Gravi peni in amuri ogn’hura nsaiju -iju Ott IV
(Iu t’amu tantu chi per tia peniju -amu)
122r <anepigrafa> [6 ottave]
A li sfurgiati noczi chi facistivu -astivu
(Vurria sapiri quantu nchiusa stastivu -istivu)
123v Ottava / Merchioni Generi [6 ottave]
Impireu all’autu supra l’auti scanni -inni
(Tali fortuna m’hai livatu e pinni -anni)
125r Ottava / Lu Conti di Vicari 10
A tempu e a locu, benchì s’intratennu -anni
(Si Diu mi duna iorna quantu un annu -onnu)
127r Ottava / Giovanni Bonasira
Hora chi t’haiu sigillatu e scrittu -assi
(Partiti, littra mia, movi li passi -indi)
129r Ottava
Quali tirannu indomitu e tremendu -andu
(Lacrimi chui non haiu lacrimandu -itti)11
130r Ottava
Cui chiancirà cu mia lu discuntenti -atu
(Viju e canuxiu chi su malu natu -untu)
132r Ottava
Quandu è mal tempu sta in solaczu e festa -ertu
(L’homu selvagiu chi sta a lu desertu -empu)
134r Ottava / Giovanni Bonasira
Cu tuttu chi di mia non vi sa forti -ari
(Chi non mi sianu chui di l’ochi cari -icza)12
136r Ottava
Poi chi fu privu di l’ardenti siti -usi
(Toccai poi chi trovai li porti chiusi -iti)
138r Ottava [1 ottava]
Cu tuttu chi di mia non vi sa forti -ari13
138v Ottava
non dormiri chui, donna, tantu tantu -ai
(O tu chi dormi et a riposu stai -entu)
140v Ottava
Ardu per cui non lu dirrò per nenti -uri
(M’ha misu in tantu focu lu to amuri -andu)
142v Ottava
Essendu st’afflitt’ochi guida e luchi -ì
(Dimmi per vita tua, dimmi perchì -à)

10 Vincenzo del Bosco, I conte di Vicari (ob. 1583).


11 Stessa mastra dell’Ottava a 75r.
12 Segue un segno di chiusura (135v) in corrispondenza di un cambio d’inchiostro.
13 Ottava già copiata a 134r. La metà inferiore di 138r resta bianca.
122 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio

144v Ottava
Cui li mei peni misurando va -ù
(Chianci la turturełła e dichi “ù!” -à)
146v Ottava
Autru pinzeri gravi, autru mi dogliu -ortu14
(non su comu ti penzi, non su mortu -ampu)
148v Ottava
Intra caverni e disperati abissi -assi
(Per aspri munti adriczu li mei passi -etra)
150v <bianco>

III. Seconda sezione anepigrafa di canzoni (cc. 151r-194v) [183 ottave]

151ra Quandu lu dulci labru mi dunati -iti


151rb Cridia vidiri la donna custanti -unda
151va Mentri tu mi volisti et iu ti vosi -asi
151vb Ora t’affacci un pocu, hora t’intani -isi
152ra Mentri di lu miu fonti non gustasti -isti
152rb Resposta. Gustai lu fonti di sublimi ingasti15 -isti
152va non chianciu, non mi dogliu né m’affliju -atu
152vb Tali è l’amuri miu veru e perfettu -ari
153ra Mi trovu per to amuri sfattu sfattu -ittu
153rb ninfa, la vostra tenaci curina -icza16
153va La mia disgracia tua disgracia fu -ò LP 71
153vb Straczai la nigra e tenebrusa vesta -usta
154ra Si per li effetti estrinsechi di fori -attu
154rb La chiaga mia lu miu gran focu avanza -ita Ca 34
154va O si volissi la vintura mia -assi
154vb Con tuttu chi lu spechiu è ruttu e sfattu -ettu
155ra Vitti lu cori e li pinni d’Amuri -arti
155rb non sugnu basiliscu s’iu ti guardu -ori
155va S’iu non ti vogliu amari non sta a mia -attu
155vb Quandu naxivi parsi lu miu fatu -ogli
156ra Mala fortuna mia, chi t’haiu fattu -ia
156rb Sai perchì causa la morti non cura -ova
156va Di poi chi mortu e saijettatu afattu -ori
156vb Com’uno chi si trova in malatia -ori
157ra Cessati, ochi dulenti, tantu quantu -arti : -orti
157rb Chianchiu, patruna, chi ti parti et iu -è
157va Cui sa si chui la tramuntana spera -ura
157vb S’amandu errasti, erruri si pò diri -ai

14 La rima dispari è -agliu: mi dogliu nel capoverso è erroneo.


15 ms. ingesti.
16 Copiata a 135rb all’interno di un’Ottava.
Un nuovo manoscritto di canzoni siciliane con ottave inedite 123

158ra Poi chi sequendu l’amurusu iocu -iri


158rb Mentri non canuxivi li toi tratti -ettu
158va Poi chi su certu chi t’è manifestu -ardu
158vb Benchì legatu, prisu, arsu e distruttu -entu
159ra Di poi chi vitti lu to bellu aspettu -antu
159rb Staiju chi su quasi vicinu a morti -isu
159va Xatu di la natura fusti bellu -ura
159vb L’aspettu supra l’autri unicu e raru -intu
160ra Vintu di peni e carricu di guai -oni
160rb Quanti fiati ti vorria parlari -ia
160va Undi affacciasti, stiłła mia lucenti -ampa
160vb Quandu, ninfa celesti, non ti viju -atu
161ra Fermu a l’amuri to iu sempri -ò
161rb Iu inpastu e spastu, impastandu scanandu -ila
161va Iusticia di dui latri mi fachiti -aru
161vb Quandu naxivi pigra fu la luna -ati
162ra Cinta di virdi panni è la mia dia -etra
Mamma 17
162rb Fortuna mi baxau di l’alta intinna -amma
162va La consumata carni e st’afflitt’alma : -amma -inna
162vb nova riti d’amuri e nova binna -amma
163ra Cui facia st’ochi e sti membri beati -alma : -amma
163rb Di lu chiù acutu, donna, strali acutu -ortu LP 227
163va Sta vita ad una navi l’assimigliu -eri
163vb Lu duci risu vostru e sguardu auteru -oru18
164ra Pensa s’iu fussi mortu infirmu a lettu -ici
164rb A li lamenti mei l’ursi e li tiri -uri
164va Aiutu non si pò perchì lu sai -ittu
164vb Quandu la bella a spassu si trateni -anu LP 286
165ra nixuna vechia o nova lingua basta -isi
165rb Comu per disperatu non m’impendu -utu
165va Amica dintra e nimica di fori -ari
165vb L’ochi, la menti e lu cori disponi -assi
166ra Donna, mi partu e lu miu cori in pettu -ori
166rb Cussì, tu havendu lu miu cori in pettu -ori
166va Cori, chi ti cridivi sempri stari -orti
166vb Cori, mischinu cui t’havissi dittu -eni
167ra Girai per li paisi Indi e Caldei -ia
167rb Un giornu, standu cu li mei pinseri -ari
167va Poi chi per gilusia d’aspra ferita -oi

17 Parola in rima delle successive quattro ottave, che condividono l’ultimo o il penultimo

verso variato (verso-chiave): «ben poczu diri chi non ci è chui mamma» (162rb, v. 8), «ijrrò gri-
dandu cha non c’è chui mamma» (162va, v. 7), «gridati tutti cha non ci è chui mamma» (162vb,
v. 8), «poczu gridari cha non ci è chui mamma» (163ra, v. 8).
18 Sotto Quandu l’auti belliczi unichi e rari, che non risulta copiata altrove.
124 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio

167vb Quandu assenti contemplu nella menti -ati


168ra Priguliandu faczu comu un nigliu -amma
168rb Un giornu, un giornu a fè vi aduniriti -ia
168va Iu moru e lu sai s’iu moru a tortu -omu
168vb Sintinella di st’alma, ochi, guardati -iti
169ra Mi limu, smangiu, laceru e devoru -iju
169rb Paris non vitti a tia menzu li tri -ia
169va Su stupefattu di la tua bellicza -ia
169vb Ti vogliu tantu beni chi mi pari -ia
170ra Moru sequendu una tiranna pacza -ina
170rb Bella, chi fai li genti pacziari -ia19
170va Donna, lu cori non si duna a tanti -enti
170vb Va’, cori, accumpagnatu di doluri -ali
171ra S’iu vegnu cà undi vui ci fu mandatu -eni
171rb Senz’isca, senza petra né ficili -ova
171va L’ardenti amuri et l’unicu respettu -atu
171vb Chianchiu scrivendu li mei disconforti -ivi
172ra Chianchinu li ochi mei li tanti torti -ivi
172rb Tutta di niuru la mia fachi oscura -andu
172va Quand’infruntgi quist’ochi cu quist’ochi -itti
172vb Lu faretratu diu privu di l’ochi -ettu
173ra Li fauni semidei ninfi e silvani -uni
173rb narcisu ingratu l’acqua resguardandu -isu
173va Arca di gracia e di belliczi fonti -unti
173vb Ferma li passi, ninfa, all’airu estinti -unti
174ra Ti fichiru li dei spechiu d’amuri -ori
174rb O tu chi porti li dorati triczi -uni
A la s.ra di Carini
174va Quantu chui prestu poczu auzu lu pedi -ata
174vb Laura sugn’iu di illustri sangu nata -annu
175ra Consorti fui di quillu chi m’ha misu -atu ( finis)
175rb non fu né sarrà mai, troppu sarria -arsi LS 66
175va Comu homu persu e persuna confusa -isa
175vb Luntanu essendu di lu vostru aspettu -aczu
175bisra Quandu non viju a vui non sentu focu -ui
175bisrb Occhiu, tu chianchi e non sachiu per cui -ori
175bisva Crudili vita e dispietata morti20 -ura
175bisvb Venettiano. Com’Olimpia infelici in aspri tani -eni
176ra Mi viju senza morti essiri mortu -ivi
176rb Comu cui, di la frevi suttamisu -ura
176va Amuri o morti, l’unu di vui dui -ai
176vb Venett:. Su fattu rlogiu chi li moti cuntu -una LP 61

19 Sotto Di poi chi vitti lu to bellu aspettu, copiata a 159ra.


20 sorti prima di morti.
Un nuovo manoscritto di canzoni siciliane con ottave inedite 125

177ra Lu alburu chi fa lu fruttu amaru -ia


177rb Donna, si cridi e pensi chi di tia -ari
177va Iu fu falcuni, vui cavallu e cani -uri
177vb Ogni reposu et ogni leta sorti -ivi
178ra Si mi sentiti ogn’hura lacrimari -orti
178rb Aspra fortuna, crudili e malvasa -ina
178va Mi placi, va cun Diu macari puru -aru
178vb Resposta. È usanza 21 fari guerra li dui amici -achi
179ra Mentr’era fora, cu prosperitati -utu
179rb Venett:. Mentri su assenti et a la menti stampu -iju Ca 45
179va non chianchiu li martelli chi mi dasti -eni
179vb Poi chi non haiu di cui mi fidari -eni LP 235
180ra Fortuna, benchì absenti e separati -eni
180rb Benchì demustri portarim’amuri / locu
180va In vivu focu, senza fini, ogn’hura -uma
180vb Umbra gentili all’affannatu ingegnu -uttu
181ra Venett:. Tegnu a lu cori miu chiaghi mortali -ocu
181rb Venett:. Comu speczatu spechiu per fortuna -iłłi
181va Venett:. Stu pettu teni una sciamma allumanti -ocu
181vb Venett:. Iu chianchiu forti et a lu chiantu miu -ì LP 224
182ra Cu gran silentiu t’haiu amatu et amu -andu
182rb Paguni 22. Di poi ch’invanu affanna, invanu penza -ori
182va Principatu 23. Dui bell’ochi videnti undi si fannu -icza
182vb Undi passi, undi vai, undi scalpisi -ersi
183ra Si vidi scrittu cu rima sequenti -anti
183rb Fachiti, vita mia, quantu vuliti -ui
183va Venett:. Fichi la tanta disiata pachi -ici
183vb Fachemu pachi, beni miu, fachemu -amu
184ra Quantu chui t’amu e t’aduru per dia -anti
184rb non mi privari, gioija, di lu aspettu -attu
184va Benchì quandu ti viju sfingiu e sfaczu -ari
184vb Morti, perchì non veni, acerba e dura? -eni
185ra Troppu vulati, in autu troppu ijti -ati
185rb <bianco>
185va Antoni Venettiano carcerato. All’Ill.mo et Ecc.mo S.r Marco Antonio Colon-
na…
185vb S’a la vostra eccellencia torna in menti -uni
186ra Fra li dudichi heroi famusi heredi -uni
186rb A tia di l’aureu vellu lu decoru -enti
186va Eccu di Giovi l’aucellu benignu -era
186vb non t’ammirari si Philippu ancora -ura

21 ms. usuanza.
22 Pietro Pavone.
23 Pietro Principato.
126 Francesco Carapezza - Gianluca Vecchio

187ra La trumba di li gesti chi tu fai -enti


187rb Principi notu per marmi e per carti -ovi
187va Undi farsi immortali ogn’unu trama -oria
187vb Quilla chi di li dui fu matri e balia -ilia
188ra D’Ugo, d’Ugoni Uguettu e Calurandu -uri
188rb Si Carlu l’ortu e l’occasu acquistau -oni
All’una e l’altra Ecc.a
188va Lassu di Benevides la radici -aci
A la Ecc.ma S.ra
188vb Di la Cathuna a la superba testa -edi
Alla Istessa
189ra non ha d’acqua lu mari tanti sticzi -ati
All’Ill.mo S.ri
189rb Si di pietati in cui pietà ridossa -ona
Supra la sua carceratione
189va Sepultu vivu in viva sepultura -ocu
189vb Sepultu vivu a li mei stissi panni -orna
190ra Sepultu vivu in viva sepultura -ixi
190rb Su vivu, ma la vita non mi vali -eni
190va Ingrati mura, discurtisi tetti -orti
190vb La causa di li mei tanti duluri -isi
191ra Hoij fui carceratu, hoi è lu giornu / annu ( finis)
191rb Di quandu mi venistivu ntra l’ochi / cori
191va Di li peni ch’iu patu per amari / cori LS 141
191vb Vui canuxiti si iu m’ardu et allumu -amu (finis)
192ra Manca lu abentu e crixi lu travagliu -ogliu
192rb Anchora chi tu leijri non sai -andu
192va S’iu cantu o chianchiu, s’iu caminu o seiju -iju
192vb Versu di st’ochi chiantu tutti l’huri -antu
193ra Chui d’ogni autra scontenti e maltrattatu -ai
193rb Curra ogni xumi mortali venenu -ai
193va Amuri a lacrimari mi convita -ori
193vb Un giornu avintu di lu miu gran chiantu -entu
194ra Hoimé, hoimé, hoimé, ch’è tantu e tantu -entu
194rb Ardu, distillu, abruxu, vaiju in fumu -ervu
194va Aspettu gloriusu, alma presencia -aczu
194vb Mortu è stu cori pr’un cori tirannu -uci LP 41

Università di Palermo Francesco Carapezza


francesco.carapezza@unipa.it
Randazzo (CT) Gianluca Vecchio
amedeomiller@libero.it
Un nuovo manoscritto di canzoni siciliane con ottave inedite 127

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Un nuovo manoscritto di canzoni siciliane con ottave inedite 131

VS = Giorgio Piccitto / Giovanni Tropea / Salvatore C. Trovato (a cura di), Voca-


bolario siciliano, 5 voll., Palermo-Catania, Centro di studi filologici e linguistici
siciliani, 1977-2002 [vol. I (A-E) a cura di G. Piccitto, 1977; vol. II (F-M) a
cura di G. Tropea, 1985; vol. III (n-Q) a cura di G. Tropea, 1990; vol. IV (R-
Sgu) a cura di G. Tropea, 1997; vol. V (Si-Z) a cura di S.C. Trovato, 2002].
VSES = Alberto Varvaro, Vocabolario Storico-Etimologico del Siciliano (VSES), 2
voll., Palermo-Strasbourg, Centro di studi filologici e linguistici siciliani - Édi-
tions de linguistique et de philologie, 2014.
Zapperi, Roberto, 1960. «Alba de Liste, Diego Enríquez de Guzmán conte di», in
Dizionario biografico degli Italiani, vol. 1, Roma, Istituto della Enciclopedia Ita-
liana.

Riassunto / Abstract
Si presenta una nuova antologia manoscritta di canzoni siciliane, conservata a
Catania presso un privato e databile intorno al 1600, che contiene una cospicua se-
zione di più di cinquanta ‘ottave’ intestate a vari autori accanto a 349 canzuni in
massima parte adespote. Il manoscritto fu donato da un certo Lelio, da identificare
probabilmente con Lelio Pavese (ob. 1608), a Paolo Pozzobonelli (1572-1630), en-
trambi nobili savonesi. nel segmento finale del manoscritto si rinviene una prege-
vole serie di ventidue ottave encomiastiche e di prigionia attribuite ad Antonio Ve-
neziano “carcerato” e indirizzate a Francesco Santapau, principe di Butera, tra il
1588 e il 1590: se ne dà l’edizione commentata e si discute l’attribuzione, da ritene-
re attendibile sulla base di argomenti storici e filologici.

We present a new manuscript anthology of Sicilian canzuni now preserved in


Catania in a private collection and dating back to around 1600. It contains a large
section of more than fifty ottave attributed to various authors, alongside 349 mostly
anonymous canzuni. The manuscript was given by a certain Lelio, presumably Le-
lio Pavese (ob. 1608), to Paolo Pozzobonelli (1572-1630), both cultivated noble-
men from Savona. The last section of the manuscript contains the transcription of
a valuable series of twenty-two octaves of praise and imprisonment attributed to
Antonio Veneziano and addressed to Francesco Santapau, prince of Butera, be-
tween 1588 and 1590. We present a commented edition of them, arguing that the
attribution is to be considered reliable on the grounds of historical and philological
arguments.
PROCESSI DI PLURALIZZAZIOnE In SICILIAnO:
CLASSI FLESSIVE, STAMPI PROSODICI
E RAPPRESEnTAZIOnI MORFOLOGICHE*

In ricordo dei miei nonni siciliani

1. Plurali e classi flessive

In questo lavoro desidero affrontare un problema di morfologia nomina-


le del siciliano, da tempo ben noto agli studiosi di dialettologia italiana e ai
romanisti, che solleva interessanti questioni storiche e di teoria morfologica.
Si tratta della peculiare struttura dei paradigmi del nome plurale, che in sin-
cronia presenta, per il Singolare, una diversificazione di morfi -u / -i / -a, i
primi due associati a nomi soprattutto maschili1, il terzo a nomi femminili,
in entrambi i casi sia animati che inanimati, mentre per il Plurale i morfi al-
ternanti sono -i / -a, il primo associato a nomi maschili e femminili, sia ani-
mati che inanimati, il secondo soprattutto a nomi maschili inanimati, talora
con un valore collettivo, o di massa non numerabile, e ad un piccolo nume-
ro di nomi maschili con i tratti [+Animato] e [+Umano]. Ritorneremo tra
poco sui problemi di analisi della categoria di Genere che comporta questa
peculiare relazione di solidarietà tra morfi del Plurale e tratti di Animatezza e
numerabilità. È opportuno tuttavia fare subito alcune considerazioni. La
prima riguarda il fatto che a prima vista il sistema flessivo ha un certo grado
di sincretismo, per via della polifunzionalità di -a e di -i come morfi sia del
Singolare che del Plurale (situazione rappresentabile con la Fig. 1).

* Ringrazio Giovanni Abete, Pierluigi Cuzzolin, Elisa D’Argenio, Daniela Mereu, Mario
Pagano per la lettura di questo lavoro e per osservazioni e commenti che mi sono stati molto uti-
li. Ad Elisa D’Argenio devo anche la preziosa assistenza nella preparazione di tabelle e grafici. Di
ogni errore assumo piena responsabilità.
1 Esiste però un piccolo sottogruppo di nomi femm. in -i al sg., come a fauci ‘la falce’.
134 Rosanna Sornicola

Figura 1 - Distribuzione dei morfi flessivi rispetto ai valori di numero.

La seconda considerazione, ovvia per gli specialisti di siciliano, ma forse


meno ovvia per chi si accosta al problema da non sicilianista, riguarda l’in-
terfaccia tra sistema di morfologia flessiva nominale e sistema fonetico, in
particolare il sistema del vocalismo atono finale del siciliano ([i], [u], [a]). La
sostanza fonica dei tre morfi di numero coincide con i tre foni che possono
comparire in posizione finale di parola (Fig. 2).

Figura 2 - Vocalismo atono finale del siciliano.

Il paradigma flessivo sopra descritto deve essere considerato in rapporto


alla distribuzione dei morfi per classe nominale, intesa come la classe definita
da proprietà flessive e proprietà di Genere 2, che riporto in Fig. 3.

Numero I classe II classe III classe nomi IV classe


nomi femm. nomi masch. masch. e femm. nomi femm.
SG -a -u -i -u
PL -i -i -i -u

Numero I classe II classe III classe IV classe


SG Fimmina masculu pisci nuci manu
PL Fimmini masculi pisci nuci manu
Figura 3 - Classi nominali del siciliano.

2 Effettuo qui una distinzione terminologica e concettuale tra “classe nominale” e “classe

flessiva”: con il secondo termine mi riferisco a classi di elementi definite unicamente dalla condi-
visione di un medesimo schema flessivo, in maniera indipendente dalle proprietà di Genere (si
veda qui § 12.).
Processi di pluralizzazione in siciliano 135

Come è facile vedere, le proprietà flessive e di Genere delle classi nominali


sono fortemente caratterizzate dal punto di vista diacronico: la prima classe 3
raccoglie un buon numero di nomi che in latino si flettevano secondo lo
schema della prima declinazione, la seconda principalmente nomi che in la-
tino seguivano lo schema della seconda declinazione, la terza principalmente
nomi che in latino seguivano la III declinazione, la quarta, del tutto relittuale,
nomi che in latino seguivano la quarta declinazione, come manu e, in manie-
ra eteroclita, ficu. Si noti che nella II e III classe flessiva sono presenti nomi
con suffissazione, che costituiscono formazioni romanze, nonostante i suffis-
si siano riconducibili a tipi di formazione nominale latini (-ariu-, -tor-, -on-).
Al Plurale i continuatori dei nomi di III declinazione parisillabi (o parisilla-
bizzati per tempo) hanno l’uscita -i, quasi sempre omofona rispetto al singo-
lare: i cani, i cruci, i fauci, i frati, i frevi, i luci, i lumi, i matri, i munti, i nuci,
i notti, i paisi, i parienti, i patri, i pieri (i pedi), i pipi (u pipi, u pipu), i pisci
(SG pisci / pisciu), i ponti, i pulici, i sciumi, i sciuri, i surci (i surgi), i turri, i
viermi. Una relativa continuità tra classi flessive del siciliano e del latino si
può osservare per quanto riguarda le corrispondenze di forma flessiva. La
forma flessiva latina infatti è conservata o comunque ben riconoscibile, sia
pur attraverso le modificazioni morfologiche e fonetiche comuni all’italoro-
manzo e gli sviluppi vocalici tipici del siciliano. Come vedremo, più com-
plesso è stabilire continuità per quanto riguarda i valori di Genere.
Il quadro sinora descritto momentaneamente prescinde da alcune rilevan-
ti caratteristiche relative a nomi che ho raggruppato sotto 1a, 1b e 2a, 2b, 2c 4:
Gruppo 1a. numerosi nomi del siciliano, esiti di nomi della II declina-
zione latina maschili e neutri, hanno un comportamento flessivo che non si
conforma a quello della II classe (Plurale in -i). Essi hanno la seguente gam-
ma di uscite flessive:
-a, -i, -ura (-ira)
Questi nomi non di rado si caratterizzano per spiccato polimorfismo de-
sinenziale del singolo lessema, che ammette varianti flessive multiple correla-
te a fattori diatopici e diastratici. Le varianti multiple compaiono spesso an-
che nel singolo parlante.

il suffisso -áru: [-Animato] vuccularu / vucculara, masciḍḍaru / masciḍḍara,


Gruppo 1b. Assumono frequentemente il Plurale in -a anche i nomi con

sularu / sulara, pagghiaru / pagghiara, panaru / panara, filaru / filara, tilaru /


tilara. [+Animato, +Umano] burdunaru / burdunara.

3 Con il termine “classe” mi riferisco qui unicamente alla classe flessiva del siciliano.
4 Le regolarità qui descritte si basano sul consenso delle trattazioni grammaticali del sicilia-
no, che collimano in pieno con le osservazioni da me condotte nel corso degli anni, in contesti
di parlato spontaneo, sulle strutture di flessione nominale prodotte dai parlanti di diverse varietà
siciliane.
136 Rosanna Sornicola

Gruppo 2a. Alcuni nomi, esito di nomi maschili della III declinazione
latina, non si conformano al comportamento flessivo della III classe, dal mo-
mento che assumono pressoché regolarmente il Plurale in -a: dutturi / duttu-
ra, piscaturi / piscatura, latruni / latruna. Seguono questo schema flessivo an-
che nomi derivati, spesso deverbali, non pochi dei quali costituiscono for-
mazioni romanze. Si tratta di:
Gruppo 2b. nomi con suffisso -turi: [-Animato] caliaturi / caliatura, ra-
scaturi / rascatura; [+Animato, +Umano] pirriaturi / pirriatura.
Gruppo 2c. nomi con suffisso -úni: [-Animato] buffittuni / buffittuna,

zicuni / muzzicuna, cuḍḍuruni / cuḍḍuruna, casciuni / casciuna, vastuni / va-


strantuliuni / strantuliuna, maccarruni / maccarruna, muluni / muluna, muz-

stuna, nnangularruni / nnangularruna, cugghiuni / cugghiuna, fittiuni / fittiu-


na, pipituni / pipituna (nel senso di ‘cumulo di pietre’) liccuni / liccuna, li-
muni / limuna. [+Animato] pipituni / pipituna (nel senso di ‘upupa’), scurzu-
ni / scurzuna, saittuni / saittuna, rasuni / rasuna. [+Animato, +Umano] pa-
truni / patruna, latruni / latruna, minchiuni / minchiuna, mmiriacuni / mmi-
riacuna.
I gruppi di nomi sopra individuati non hanno la stessa regolarità di com-
portamento flessivo. I nomi con suffisso -túri e quelli con suffisso -úni han-
no assoluta regolarità di uscita in -a. Del tutto eccezionalmente, e forse co-
me variante flessiva italianizzata, compare il Plurale in -i: u rummuliuni, i
rummuliuni / i rummuliuna. I nomi con il suffisso -áru hanno il Plurale in
-a in maniera tendenzialmente regolare, ma non mancano le eccezioni, come
putiaru / putiari (raccolto da informatori palermitani), caravigghiaru / cara-
vigghiari, ed inoltre ciaramitaru / ciaramitari, maiaru / maiari. Il lessema
burdunaru ammette sia il plurale in -a che il plurale in -i.

2. Problemi di rappresentazione morfologica

Le caratteristiche flessive dei nomi dei gruppi 1. e 2. sollevano alcuni in-


teressanti problemi di rappresentazione morfologica. Un primo problema ri-
guarda l’individuazione delle classi nominali. Le proprietà di alternanza al
Singolare e al Plurale di morfi flessivi dei nomi dei gruppi 1. e 2. sono suffi-
cienti a giustificare l’esistenza di altre classi nominali del siciliano in aggiunta
a quelle qui denotate con I-IV? E in tal caso, quante e quali sarebbero? Si
potrebbe, ad esempio, postulare che esistano almeno altre due classi nomina-
li individuate dal comportamento flessivo, che per comodità denoteremo co-
me classe V e classe VI (Figg. 4 e 5).
Tuttavia, se per la classe VI il livello di regolarità flessiva del Plurale è
molto alto, per la classe V la situazione è diversa. non si tratta però solo di
un minore livello di regolarità dell’alternanza di morfi, ma anche della com-
Processi di pluralizzazione in siciliano 137

Numero V classe
SG -u
PL -a
Figura 4 - Schema di nomi a sg. in -u e pl. in -a.

Numero VI classe
SG -i
PL -a
Figura 5 - Schema di nomi a sg. in -i e pl. in -a.

presenza di allomorfi del Plurale in competizione con -a. D’altra parte, la de-
terminazione del Genere che concorre a individuare le classi V e VI è an-
ch’essa problematica. Se il Genere è definito tradizionalmente rispetto alla
concordanza sintattica con un modificatore aggettivale e/o un determinato-
re, allora l’identità di forma aggettivale con quella dei maschili porterebbe a
concludere che si tratti sempre di nomi di Genere Maschile, nonostante le
differenze semantiche rispetto ai tratti di Animatezza. Ritornerò su questo
problema in § 12. da una prospettiva diversa.
Questa conclusione non è del tutto soddisfacente e richiede di riflettere
su un secondo problema, ovvero la rappresentazione della categoria di Gene-
re in siciliano. Si deve ipotizzare che, nonostante la conformazione del para-
digma del Plurale, il Genere in siciliano si articoli in maniera bipartita, se-
condo l’opposizione Maschile / Femminile, o è lecito pensare ad una artico-
lazione tripartita in Femminile / Maschile / neutro? La domanda sembra di
un certo interesse per un duplice motivo: a) costringe a riflettere sulla cate-
goria di Genere come categoria inerente o sintattica, e in particolare sul con-
cetto di Genere neutro; b) solleva la questione di rappresentare in sincronia
un polimorfismo dovuto a residui di una situazione più antica. Anche se le
considerazioni al riguardo che avanzeremo in questa sede non potranno che
essere provvisorie, cercheremo di sviluppare alcune risposte parziali nelle
conclusioni (si veda § 12.).
Un terzo problema riguarda l’interfaccia di morfologia e semantica. Il
rapporto tra le proprietà flessive e le proprietà di Animatezza mostra una pe-
culiare non biunivocità. Ciò ha delle implicazioni, tra l’altro, anche per
l’eventuale identificazione di un Genere neutro del siciliano, dal momento
che da un punto di vista teorico il valore neutro dovrebbe avere una “solida-
rietà” con il valore di non Animatezza. non isomorfismi di proprietà di fles-
sione e di Genere sono ben evidenti in molte lingue, ma la casistica del sici-
liano solleva interessanti questioni al riguardo.
138 Rosanna Sornicola

3. Gli studi sul Plurale del siciliano


I dati sinora descritti e i problemi che essi pongono per l’analisi linguisti-
ca sia storico-empirica che teorica hanno attratto l’attenzione di vari studio-
si. Già nella seconda metà dell’Ottocento Guastella aveva osservato la cospi-
cua presenza di plurali in -a del siciliano e la difficoltà a sottoporli a regole
grammaticali ben definite:
Copiosissimi sono i nomi maschili che nel plurale escono in -a, ma a conside-
rarli con diligenza, per quattro quinti appartengono a nomi che nel latino sono
neutri, nel modo stesso che i nostri antichi scrissero le castella, le coltella, le pec-
cata, e altrettanti derivati del neutro […] Non potrebbe però assegnarsi una regola
invariabile detratta sia dai nodi sillabici, sia da nessi grammaticali, essendo che le
eccezioni (se pure son tali) divoran spesso la regola, che se ne vorrebbe dedurre
(Guastella 1876: XVIII, corsivo mio).

Tuttavia la descrizione della fenomenologia del polimorfismo dei plurali


del siciliano è stata posta in secondo piano rispetto all’obiettivo di trovare
spiegazioni di una casistica che, già nelle sue grandi linee descrittive, appare
molto sfaccettata. Le principali ipotesi esplicative, avanzate in epoche diverse
della riflessione linguistica, sono segnate da motivi che, a vario titolo, si pos-
sono definire funzionalistici. Sul finire del XIX secolo, nella Historische
Grammatik der romanischen Sprachen Meyer-Lübke (1890-1902: I, § 307)
osservava che «das Sizilianische ist auf dem besten Wege dazu, -a überhaupt
als Pluralzeichen der Maskulina auf -u und -i durchzuführen». L’interesse
per la casistica del siciliano da parte dello studioso svizzero era ben presente
sin dalla sua dissertazione di dottorato sulla sorte del neutro latino nelle lin-
gue romanze, di qualche anno precedente il primo volume della grammatica
comparata. In questo lavoro egli aveva sostenuto che la collisione omofonica
del Maschile e del Femminile Plurale in siciliano avrebbe favorito il ricorso
alla flessione -a per differenziare i due Generi, un processo lento e inavverti-
to, iniziato in epoca relativamente moderna5. Si tratta di una prospettiva ba-
sata su alcune assunzioni, più o meno esplicite, di una certa rilevanza, anche
dal punto di vista teorico: a) che la proliferazione della flessione -a abbia avu-
to come punto di partenza un fenomeno del livello fonetico, l’innalzamento
della vocale media anteriore, “esponente”6 del morfo flessivo -e del Femmi-
nile Plurale di molte aree italoromanze); b) che il processo morfologico di

5 «Ihre Zahl ist… sehr bedeutend grösser; da lautgesetzlich m. und f. im pl. zusammen fal-

len, so benutzt man offenbar das -a, das einige masc. zeigen, um allmählich die beiden Genera
wieder ganz zu scheiden; und zwar erst in neuerer Zeit» (Meyer-Lübke 1883: 171, corsivo mio).
6 Uso questo termine nell’accezione di Firth (1957: 183-184), poi seguita dalla successiva

linguistica britannica. Esso denota qualunque elemento grammaticale che contrae una relazione
di realizzazione con un morfema.
Processi di pluralizzazione in siciliano 139

proliferazione del morfo flessivo -a sia relativamente recente; c) che il Genere


debba sempre essere codificato grammaticalmente in una parlata romanza, as-
sunzione quest’ultima che rimane implicita; d) che il siciliano abbia due valo-
ri di Genere, Maschile e Femminile. Ebbene, nessuna di tali assunzioni è del
tutto incontrovertibile, benché come vedremo b) non sia priva di plausibilità.
In epoca più recente, l’intera questione è stata ripresa in un importante
articolo di Edward Tuttle, che ha preso posizione rispetto ai problemi di
cause strutturali e cronologia con un approccio in buona parte diverso da
quello di Meyer-Lübke. Per quanto riguarda le cause strutturali, si può esse-
re del tutto d’accordo con l’opinione di Tuttle secondo cui il paradigma fles-
sivo del neutro latino di II declinazione, con il Plurale -a, non può essere
stato né l’unico né il più importante punto di innesco del cambiamento fles-
sivo dei nomi siciliani delle classi che qui abbiamo identificato come II e III,
cambiamento condiviso anche dal corso meridionale:

latino in -UM → pl. -A come se fornisse la molla principale che avesse scatena-
[P]er l’evoluzione della -a è tutt’altro che sufficiente indicare il modello neutro

to un processo di ristrutturazione morfologica. Quel modello, a cui mancava


una netta coesione semantica, mostrava già in epoca classica segni di sgretola-
mento incipiente: più spesso lo si ritrova amalgamato coi maschili formalmente
affini come preludio dell’esito maggioritario romanzo (p. es. it. filo, foglio, frut-
to, grano, legno), mentre in una decisa minoranza di forme neutre plurali l’even-
tuale significato collettivo unitario sarebbe stato rianalizzato come femminile
singolare, p. es. it. fila, foglia, frutta, grana, legna, menda, rapa), ripetendo in
senso inverso quel medesimo passo semantico che l’opinio communis riterrebbe
essere stato alla sua origine paleolatina. Quindi si trattava di un paradigma no-
minale relativamente esiguo, periferico e destinato a venire sempre più emargi-
nato nella stragrande maggioranza delle lingue progenite, il quale, operando di
per sé solo, non sarebbe stato minimamente capace di fecondare quell’estensio-
ne in cui lo si ritrova nel siciliano e nel corso del sud (e per sviluppi analoghi
nell’umbro) (Tuttle 1990: 82-85).

Il parallelismo con il corso meridionale (e più indirettamente con l’um-


bro) è un punto chiave dell’argomentazione dello studioso statunitense, dal
momento che corrobora la sua tesi dell’esistenza di un motore poligenetico
profondo a fondamento della propagazione strutturale dei Plurali in -a nelle
varietà romanze che presentano il fenomeno, tesi su cui torneremo tra poco.
Tuttle discute anche il rapporto tra il tipo di Plurale in -ora (> ira) di fon-
do italo- e daco-romanzo comune, ben rappresentato in siciliano come in al-
tri dialetti meridionali, e il Plurale innovativo in -a del siciliano, giustamente
distinguendo i due tipi flessivi7. Egli ritiene infatti che «[m]entre per i plurali

7 «Seppure i dialetti siciliani conservino un buon novero di plurali in -ora… questi non

rappresentano l’essenza delle innovazioni isolane con -a» (Tuttle 1990: 100).
140 Rosanna Sornicola

in -ora (> ira) la Sicilia non fece sostanzialmente altro che tramandare un pa-
trimonio centro-meridionale ereditato, compì con quelli in -a un’innovazio-
ne morfologica di portata notevole»8. A questo proposito Tuttle effettua delle
considerazioni che sembrano in parte convergere con le assunzioni di Meyer-
Lübke relative alla cronologia e alla spiegazione funzionale: «non si parla qui
di uno sviluppo che risalga alle nebbie della tarda antichità, ma che si sareb-
be iniziato in epoca alto-medievale e rinascimentale, proprio nell’epoca che
seguì la chiusura vocalica, la quale avrebbe creato le note ambiguità a cui si è
voluto addebitare l’estensione analogica di -a come strategia di “disambigua-
zione”»9. In realtà la posizione di Tuttle si allontana da quella di Meyer-
Lübke in un punto decisivo, che concerne la causa strutturale del fenomeno:
La poligenesi a lunga distanza (l’estensione del morfema -a ai plurali maschili)
sarebbe paragonabile piuttosto all’ologenesi che ammette… che lo stesso tratto
nuovo possa prodursi indipendentemente anche su aree discontigue e lunga-
mente separate purché vigano ancora gli eredi dell’antica specie di base (qui
semplicemente una grammatica profonda neolatina con distinzioni di genere oltre-
ché di numero [opposizioni profonde che avranno tendenza a provocare
un’espressione anche in superficie]) (Tuttle 1990: 108, corsivo mio).

Tuttle riconosce dunque, come Meyer-Lübke, che la categoria di Genere


ha una necessità di espressione immanente, in siciliano come in altre parlate
romanze, e che il processo di estensione di -a ai Plurali Maschili ha come
motivo propulsore la funzione differenziatrice di valore di tale categoria, ca-
ratterizzata in siciliano da una struttura bipartita Maschile / Femminile. La
concezione funzionale di Tuttle è tuttavia più sofisticata. Essa si rifà al mo-
dello di una grammatica profonda (genotipo linguistico) che continua a pla-
smare la formazione di strutture linguistiche di superficie (fenotipi) anche
sull’arco di lunghi periodi cronologici. Tale concezione permette di giustifi-
care il carattere poligenetico dell’innovazione (che come si è detto riguarda
sia il siciliano che il corso), ma lascia irrisolto (o quanto meno non affronta)
il problema di trovare ragioni per il forte polimorfismo delle marche flessive
del Plurale in siciliano, variabile da lessema a lessema, da una micro-area ad
un’altra, e persino da parlante a parlante, in un quadro apparentemente cao-
tico. nella sua generalità, il modello non rende conto dello “sfrangiamento”
di flessione nominale del siciliano in varianti multiple. Inoltre, lo stesso
principio generale proposto non persuade sino in fondo. L’ambiguità di Ge-
nere, che effettivamente colpisce alcune isolate forme del Plurale di lessemi
del siciliano, per via della chiusura vocalica di /e/ in /i / (i pali = ‘i pali’ e ‘le
pale’, i porti = ‘i porti’ e ‘le porte’, i punti = ‘i punti’ e ‘le punte’), è un feno-

8 Tuttle (1990: 100).


9 Ibidem.
Processi di pluralizzazione in siciliano 141

meno troppo esiguo come incidenza lessicale e testuale per poter essere invo-
cato come spiegazione di natura funzionale della sensibile avanzata della fles-
sione -a, che è diventata il morfo regolare del Plurale di un cospicuo numero
di tipi lessicali, o una delle varianti morfiche di molti altri. Se non si tratta di
una spiegazione di natura funzionale (come ritenuto da Meyer-Lübke)10,
quale sarebbe la ragione del perpetuarsi di un “cripto-tipo” romanzo che de-
ve sempre codificare il Genere in aggiunta al numero? Una sorta di “mano
invisibile”? E d’altra parte davvero nel complesso l’associazione dei tratti di
Genere Maschile e di numero Plurale dà luogo in siciliano (e in corso) a for-
me che neutralizzano l’opposizione dei valori delle due categorie? A me pare
proprio di no. I micro-paradigmi della classe II, sg. -u / -pl. -i (scifu / scifi,
panaru / panari), e della classe III, sg. -i, pl. -i (pisci / pisci, munti / munti)
possono garantire benissimo su larga scala la codifica di Genere e numero,
anche al Plurale, senza che ci sia bisogno di ricorrere ad una flessione -a che
preservi l’opposizione dei valori delle due categorie, persino nel caso della
omofonia flessiva tra Singolare e Plurale, come nei nomi della III classe. La
ragione di ciò non è solo sintattica, ovvero la codifica espressa dalla forma
dell’articolo (u pisci vs i pisci, u munti vs i munti), ma anche una più astratta:
il Genere è una caratteristica intrinseca dei singoli lessemi, di cui i parlanti
nativi hanno piena consapevolezza e controllo, indipendentemente dal mar-
camento esplicito differenziale (altrimenti anche l’omofonia di sg. masch. -i
e sg. femm. -i dovrebbe causare ambiguità, il che non avviene mai). In altri
termini, il marcamento di Genere nelle lingue romanze è sempre realizzato,
quale che sia la sua forma. Lo stesso vale per il numero. Del resto, l’ipotesi
teorica della poligenesi in rapporto al cripto-tipo romanzo non spiega perché
ci sia il micro-paradigma sg. pisci / pl. pisci ma non sg. dutturi / pl. *dutturi,
o sg. mattuni / pl. *mattuni. Infine, la tesi di Meyer-Lübke secondo cui in si-
ciliano il pl. in -a sarebbe sulla buona strada di diventare la marca del Ma-
schile Plurale non è comprovata dai dati empirici (lo vedremo in §§ 6.-10.),
come dimostra proprio il forte polimorfismo.
C’è un altro ordine di considerazioni che a mio avviso rende problemati-
ca la pur suggestiva ipotesi della poligenesi di Tuttle. Siciliano, corso e altri
dialetti centro-meridionali mostrano di avere un fondo comune di pl. in -a,
in buona parte riconducibile alla continuazione di antiche forme di Plurali
neutri del latino (i tipi braccia, ciglia, calcagna, etc.), che avrebbero agito da
modello per la diffusione della forma flessiva ad altri tipi lessicali. Ma il con-
fronto tra i tipi del siciliano e del corso a proliferazione innovativa di -a sem-
bra indicare che tra di essi sussistono differenze strutturali notevoli (per il
corso rinvio agli elenchi di Tuttle 1990: 85-86). Ad esempio, i nomi che in

10 Tuttle (1990: 85) sembra accogliere la tesi di Meyer-Lübke al riguardo solo in parte.
142 Rosanna Sornicola

siciliano hanno la maggiore regolarità di pl. in -a sono quelli in cui è presen-


te un suffisso derivazionale, di varia natura, caratteristica che non sembra
trovare riscontro in corso. D’altra parte, i tipi frati ‘fratelli’, v(u)oi ‘buoi’, vi-
telli, ed altri ancora non compaiono mai in siciliano con il pl. in -a. È lecito
quindi il sospetto che possano esserci ragioni diverse che hanno influito nei
processi innovativi delle due varietà romanze, ed è ciò che cercheremo di ve-
rificare nei prossimi paragrafi.

4. Criteri per una strategia di ricerca


Sembra dunque opportuno impostare una strategia di ricerca che si basi
su due criteri. Il primo riguarda una considerazione dell’estremo polimorfi-
smo del Plurale della classe nominale V, che pone delle sfide descrittive pre-
liminari. Si corre il rischio infatti di riportare elenchi di lessemi con le relati-
ve caratteristiche flessive, non di rado come frammenti di grammatiche di
parlanti diversi11. Il secondo riguarda un riesame della regolarità di compor-
tamento flessivo della classe VI, che tuttavia costituisce una peculiarità di
morfologia flessiva in ambito italoromanzo, per via della selezione della fles-
sione -a, caratteristica dei nomi con il tratto [-Animato], anche per nomi
con i tratti [+Animato, +Umano]12. A questo scopo si può tentare una rico-
gnizione di fattori diversi da quelli funzionali tradizionalmente presi in esa-
me, che siano correlati con la casistica del siciliano.
Ricapitolo qui brevemente alcuni risultati a cui ero pervenuta in un lavo-
ro precedente, condotto con una inchiesta di questionario somministrato ad
un unico parlante anziano dell’area siciliana di Mistretta13, allo scopo di chia-
rire i presupposti da cui è partito il presente lavoro. Tali risultati infatti han-
no sollevato problemi e indicato nuove direzioni di lavoro da cui ripartire.
1. La flessione -a del Plurale non è generalizzata a tutti i nomi [-Animati].
2. Un certo numero di nomi con il tratto [-Animato] ha Plurale polimor-
fico: -a / -ira (< -ora). Un certo numero di nomi presenta Plurale polimorfi-
co -a / -i, soprattutto per effetto di processi di italianizzazione (ma si veda il
punto 4.). Alcuni nomi ammettono le varianti flessive del Plurale -i / -ira (si
veda §§ 6.-9.), e un piccolo numero di nomi ammette le varianti -a / -ira / -i.

11 Si veda quanto osserva Caltabiano (1966-1967: 228) «[nel dialetto di Linguaglossa] i

sostantivi che escono in -u formano il plurale in -i, oppure in -a, senza che sia possibile stabilire
una regola o comunque una norma costante. In alcuni casi il plurale esce indifferentemente sia
in -i che in -a (…) ne risulta l’impossibilità di darne elenchi completi, anche a prescindere da al-
cune inevitabili oscillazioni, perché sarebbero lunghissimi e anzi praticamente impossibili».
12 È di speciale interesse per lo studio del Genere e del numero in una prospettiva romanza

comparativa la casistica dei Plurali del rumeno, per cui si veda Maiden (2015), Maiden (2016a),
Maiden (2016b).
13 Per una analisi più dettagliata rinvio a Sornicola (2010).
Processi di pluralizzazione in siciliano 143

3. La maggior parte dei Plurali in -i di nomi con caratteristiche semanti-


che di non Animatezza, e appartenenti ad uno strato lessicale latino (o gre-
co), risultano non meno patrimoniali di quelli in -a e la distinzione delle due
flessioni si presenta come un tratto idiosincratico dei singoli lessemi, con un
notevole grado di corrispondenza nelle rispettive basi etimologiche. Si po-
trebbe dunque sostenere che la varietà siciliana esaminata rifletta una situa-
zione latina in cui le distinzioni di forme flessive correlate al Genere Maschi-
le e neutro sarebbero state relativamente ben conservate.
4. Il polimorfismo -a / -i, raro (al di fuori di casi di italianizzazione),
esprime regolarmente opposizione in termini di Plurale collettivo vs Plurale
singolativo14, come in altre aree italiane.
5. Il polimorfismo -i / -ira si manifesta in un numero non trascurabile di
lessemi15.
nel complesso, il quadro emerso dalla ricerca precedente mostra in qual-
che misura la conservazione di antiche proprietà di forma flessiva della base
etimologica dei lessemi considerati. I risultati indicano la presenza in sicilia-
no di resti non trascurabili di una forma flessiva caratteristica dei nomi latini
di Genere neutro, cristallizzati nella flessione del Plurale. È ben chiaro inol-
tre che tali forme costituiscono nell’odierna sincronia proprietà dei singoli
lessemi nettamente sentite dai parlanti16. Si tratta specialmente, ma non so-
lo, dei tipi lessicali carcagnu ‘calcagno’ (pl. carcagna), ciariveddu ‘cervello’
(pl. ciarivedda), c(u)ornu ‘corno’ (pl. corna), gigghiu ‘ciglio’ (pl. gigghia) etc.,
che hanno riscontri in dialetti moderni e documentazione letteraria antica di
altre aree centro-meridionali e, al di là di queste, di altre aree italoromanze17.
Oltre a questo strato antico, abbastanza ben conservato, è possibile rico-
noscerne uno diverso, quello dei Plurali in -ora, forma che nell’area di Mi-
stretta dà luogo alla variante -ira e altrove -ura (le due forme hanno una di-
versa distribuzione areale nell’isola)18. Ricordo che si tratta di un tipo flessivo
presumibilmente tardo-latino (attestato a partire dal IV sec. d.C.), che ha go-
duto di una certa fortuna in area italo- e daco-romanza. Come è noto, il mor-

14 Retaro (2013: 198-199) ha discusso in maniera dettagliata i valori di Plurale collettivo e

Plurale singolativo di alcuni lessemi nelle aree della Sicilia centrale da lei indagate. Rinvio alla
sua trattazione anche per la bibliografia relativa ad altre aree del Meridione.
15 Sornicola (2010: 561).
16 Sornicola (2010: 561-562)
17 Si veda Rohlfs (II: § 368); Tuttle (1990: 92-96), Retaro (2013: 180-181). Per la diffu-

sione di questo tipo in altre aree centro-meridionali rinvio a Loporcaro (1988: 231-234), Ledge-
way (2009: 143-150) con una ampia panoramica sincronica e diacronica del tipo in area italiana
(specialmente sul napoletano), Avolio (2002: 619), De Blasi (2009: 56).
18 Il polimorfismo fonetico di queste forme è stato variamente giustificato, da alcuni anche

considerando l’ipotesi di effetto metafonetico (si veda Salvioni 1906-1910 [2008, IV]: 657, Sal-
vioni 1910 [2008, II]: 331; cfr. Tuttle 1990: 97-98, nota 79, Retaro 2013: 192-197ss). La que-
stione merita un ulteriore approfondimento, su cui mi riservo di intervenire altrove.
144 Rosanna Sornicola

fo -ora è stato estratto dal Plurale dei neutri di III declinazione ed è prolifera-
to in lessemi originariamente di II e di IV declinazione19. La presenza in alcu-
ni lessemi con il tratto [-Animato] di flessioni varianti -a / -ira potrebbe testi-
moniare la permanenza in sincronia di una antica stratificazione in rapporto
a nomi che in latino erano “neutri” (uso questa caratterizzazione tra virgolet-
te perché, come vedremo in § 12., è tutt’altro che pacifico che tale valore di
Genere sia presente in siciliano). Tuttavia, i risultati della ricerca che qui pre-
sento mostrano che entrambi i morfi in questione hanno subìto notevoli pro-
cessi di espansione lessicale, su cui ci soffermeremo in § 6. La flessione -a, ad
esempio, si trova anche con nomi per i quali non è invocabile la conservazione
del neutro. Sia pure in misura minore, infatti, essa si presenta con lessemi la
cui base latina aveva il tratto di Genere Maschile e mostra un ulteriore avan-
zamento in nomi di formazione romanza con i tratti [+Animato] e persino
[+Umano]. Per quanto riguarda la dimensione diatopica, il tipo -ora presenta
una forte espansione nelle aree centrali della Sicilia, mentre la diffusione areale
di -a nell’isola è ad ampio raggio. È opportuno, in ogni caso, tenere separate
le trafile delle flessioni in -a e in -ira / -ura, dal momento che esse hanno ca-
ratteristiche diverse sia in diacronia che nella sincronia delle fasi moderne.
Altri problemi sorgono con la distribuzione della flessione -i. In molti
casi essa non è giustificabile a partire dalle proprietà di Genere della base eti-
mologica (si trova con nomi che in latino erano neutri). Arabismi, francesi-
smi, italianismi e altri lessemi nominali si presentano spesso con la flessione
-i (l’occorrenza di -i quindi potrebbe essere parzialmente in rapporto a cor-
renti di prestito riconducibili a epoche diverse)20, ma anche in questi casi esi-
stono varianti flessive in -a, che sembrano riconducibili all’alternanza più o
meno regolare dei valori di Plurale collettivo vs singolativo.
Più difficile è giustificare per via semantica il polimorfismo -i / -ira, la
cui ragione va individuata, a mio avviso, nei fattori prosodici di allungamen-
to della parola per motivi di bilanciamento del “peso” sillabico complessivo.
Esistono, del resto, altri fattori, il cui rilievo si precisa sempre di più grazie
agli studi di morfologia prosodica, che giocano un ruolo fondamentale a li-
vello di struttura fonologica e di struttura morfologica dei lessemi. Si tratta di
fattori prosodici alla base di processi morfologici che danno luogo a “stampi”
(templates) produttivi21. Anticipo subito come esempio una delle casistiche su
cui tornerò in avanti, che riguarda il rapporto tra lessemi a formazione suffis-

19 Si vedano al riguardo i classici lavori di Aebischer (1933), Aebischer (1934), in cui si di-

mostra, tra l’altro, che la fortuna del tipo -ora in area italoromanza è testimoniata anche dalla
sua folta presenza nella toponomastica. Si vedano inoltre Tuttle (1990: 96-100), Faraoni
(2012), Formentin / Loporcaro (2013), Faraoni / Gardani / Loporcaro (2013).
20 È noto che le varietà siciliane hanno una facies relativamente moderna e che hanno subì-

to un rimodellamento a partire dall’italiano nei livelli stilistici più elevati.


21 Sornicola (2010: 562).
Processi di pluralizzazione in siciliano 145

sale (antica o moderna) e lessemi a tema semplice (o sentito come tale nei
pochi casi in cui si ha una parola etimologicamente fornita di suffisso deriva-
zionale). Poiché la gran parte delle parole a flessione del Plurale in -a sono
trisillabiche (o tetrasillabiche), indipendentemente dalla flessione di nume-
ro, mentre la gran parte delle parole a flessione del Plurale in -i sono bisilla-
biche al Singolare, è possibile pensare ad una attrazione delle parole a suffis-
so derivazionale, sempre almeno trisillabiche, nello schema del Plurale in -a.
In base alle considerazioni ora ricapitolate, ritengo che si possa avanzare
l’ipotesi che siano questi stampi a costituire gli attrattori più potenti della
diffusione della flessione -a a nomi con il tratto [+Animato] e [+Umano],
piuttosto che la conservazione di una opposizione Maschile vs Femminile o
Singolare vs Plurale dei nomi come tratto funzionale profondo. Ritengo
inoltre possibile che tali stampi agiscano indipendentemente dai tratti se-
mantici di Animatezza e di Genere naturale assegnabili ai lessemi. Ovvia-
mente, non si vuole qui escludere l’incidenza di fattori semantici come
l’Animatezza, o di fattori funzionali come l’opposizione di valori di Genere,
ma solo ridimensionarli nella loro portata di cause della proliferazione della
flessione -a del Plurale in siciliano. La verifica di queste ipotesi ha costituito
l’obiettivo iniziale del presente lavoro.

5. La metodologia dell’inchiesta

Per verificare l’impatto dei fattori di conservazione delle forme flessive ri-
spetto alla base etimologica e dei fattori prosodici sulla propagazione della
flessione -a, ho raggruppato le parole di cui volevo osservare le proprietà fles-
sive in due macro-insiemi: a) un insieme caratterizzato dalla presenza di -a
anche in altre aree italoromanze in fasi medievali e/o moderne (si veda § 6.);
b) un insieme caratterizzato da proprietà di stampo morfo-prosodico, ulte-
riormente ripartito in sotto-insiemi organizzati secondo proprietà di struttu-
ra fonologica più fini. Ho poi somministrato un questionario con le liste di
parole così suddivise a otto parlanti siciliani dialettofoni, di aree diverse della
Sicilia e di età diversa, chiedendo per ogni parola di formare il Plurale. Ri-
porto l’età e la provenienza di ciascuno:
Informatore A, 92 anni, donna, Santo Stefano di Camastra (ME);
Informatore B, 35 anni, uomo, Cesarò (ME);
Informatore C, 37 anni, uomo, Cesarò (ME);
Informatore D, 75 anni, uomo, Terrasini (PA);
Informatore E, 80 anni, donna, Palermo;
Informatore F, 40 anni, donna, Palermo;
Informatore G, 70 anni, donna, Terrasini (PA);
Informatore H, 70 anni, uomo, Ioppolo (AG);
146 Rosanna Sornicola

La scelta degli informatori non è stata operata con l’intenzione di garan-


tire una rappresentatività della dimensione areale, ma solo di ottenere una
prima ricognizione indiziaria delle possibili variazioni nell’isola. I risultati ot-
tenuti sono stati confrontati con quelli del lavoro di Retaro (2013) sull’area
del nisseno, che mostrano un quadro articolato della morfologia del Plurale
per la Sicilia centrale. Retaro ha osservato una certa “turbolenza morfologi-
ca” (il termine è ripreso da Ruffino 1991) delle forme flessive in alcune loca-
lità più che in altre, precisando inoltre:
In particolare, presentano un ricco polimorfismo endogeno, con alternanza
-a/-i/ e varie forme di -ora, le località di Alimena e, in misura minore, Cipam-
pini per la parte più settentrionale dell’area selezionata; Pietraperzia, Milena e
Montedoro (soprattutto quest’ultima), San Cataldo e Serradifalco, per la parte
centrale. Per contro, località situate più a sud, come Riesi e Mazzarino, non
presentano alcuna forma di -ora. A tal proposito, si ricordi che nell’area prescel-
ta si evidenzia un aumento progressivo nella frequenza dei tipi riconducibili ad
-ora da sud verso nord. Mentre la località di Alimena presenta circa ventiquat-
tro forme di -ora, a Sommatino se ne registrano due soli casi, a San Cataldo
quattordici (Retaro 2013: 210)22.

I parlanti da me intervistati hanno quasi tutti, tranne uno (F), un livello


di istruzione medio o alto, con situazioni di vita diverse. Quasi tutti, tranne
uno (ancora F), hanno competenza molto sviluppata anche dell’italiano. In
alcuni casi si sono verificate esitazioni nelle risposte, o non sono state fornite
risposte. Questa casistica sembra essere dovuta talora alla rarità della parola,
più spesso all’effetto-ombra dell’italiano. Più in generale le esitazioni e le in-
capacità a fornire una risposta inducono a riflettere sullo statuto di non piena
regolamentazione (sistematicità) della morfologia del Plurale in siciliano23.
Le interviste sono state condotte in più sedute per parlante, con un que-
stionario diretto, in cui si dava la forma del Singolare di ogni lessema e si
chiedeva la forma corrispondente del Plurale.
nelle tabelle che seguono riporto le risposte fornite dai vari informatori
sulle forme del Plurale, e i relativi commenti. nei casi in cui l’informatore
ha fornito più varianti come risposta, la prima è quella considerata prevalen-
te, ma si è prestata attenzione anche alla variante indicata come secondaria24.

22 Retaro (2013: 210) aggiunge anche che «sulla distribuzione diatopica di tali forme oc-

correrebbe in futuro procedere con una verifica sistematica su aree più ampie, in particolar mo-
do nell’area trapanese e agrigentina».
23 Questi dati collimano con quelli di Retaro (2013: 201-202), che ha osservato un caratte-

re “evanescente” del sapere linguistico dei suoi informatori per quanto riguarda la flessione di di-
verse forme del Plurale.
24 nelle tabelle che seguono con “ * ” indico che l’informatore ha subito dichiarato di non

poter dare una risposta, con “–” che la risposta non è stata elicitata per l’indisponibilità dell’in-
Processi di pluralizzazione in siciliano 147

L’esame dei dati così ottenuti è stato organizzato in sezioni diverse, in qual-
che caso anche tenendo conto della regolarità di scelta flessiva da parte degli
informatori. In §§ 6.1.-6.2. quindi ho discusso i risultati relativi a tutti i no-
mi con plurale in -a fortemente regolare, sia i tipi lessicali del siciliano la cui
morfologia del plurale in -a ha corrispondenti italoromanzi antichi e moder-
ni, sia quelli che, pur privi di tali riscontri comparativi, presentano una fa-
cies del tutto uniforme in questo senso.

6. Nomi siciliani con Plurale in -a pressoché regolare

6.1. Tipi lessicali la cui morfologia del Plurale ha corrispondenti italoromanzi


antichi
6.1.1. Considerazioni diacroniche sul rapporto tra basi latine e formazioni ro-
manze
Il primo gruppo di lessemi somministrati nel questionario è composto
da parole siciliane che hanno corrispondenti con Plurale in -a di epoca anti-
ca in altre aree italoromanze. Si tratta quindi di un gruppo definito in base a
criteri misti, strutturali e diacronici25. Tuttavia, nonostante alcune notevoli
affinità di casistica flessiva, rese evidenti dalla comparazione, si deve osserva-
re che i nomi di questo gruppo presentano tra loro differenze morfologiche e
semantiche, riconducibili a strati cronologici diversi, che è opportuno men-
zionare brevemente.
Rientrano in questo gruppo per la maggior parte nomi le cui basi latine
erano neutri di II o IV declinazione. Emblematica è la casistica dei nomi di
frutta, neutri in latino, che nei testi italoromanzi antichi hanno l’uscita -a
come una delle varianti del Plurale. In tali testi e in vari dialetti odierni esi-
stono peraltro anche dei nomi con il medesimo comportamento flessivo, la
cui base latina era di Genere Maschile (lăquĕus, pugnus): laccia, lacci, pu-
gna, pugni, pugne. Altri tipi lessicali non sono direttamente riconducibili a
basi latine neutre (o maschili). Il nome fosso (allotropo di fossa), che ammet-
teva una variante fossora (si veda GDLI 6, 255bss.), è una formazione tarda a
partire dal participio di fŏdĭo. Tronu ‘tuono’, voce di ampia diffusione ro-

formatore a condurre la seduta di intervista in cui era prevista la domanda. A parte sono state in-
dicate le reazioni di esitazione, sia che queste precedessero una risposta positiva sia che precedes-
sero la dichiarazione di non sapere. Sulle numerose incertezze dei parlanti intervistati in merito
al questionario somministrato si vedano le osservazioni di Retaro (2013: 200).
25 Il gruppo in esame presenta qualche disomogeneità al suo interno per quanto riguarda la

struttura prosodica della parola. Benché la maggioranza dei lessemi che ne fanno parte sia costi-
tuita da bisillabi parossitoni, sussistono anche alcuni trisillabi e un tetrasillabo, anch’essi paros-
sitoni.
148 Rosanna Sornicola

manza (REW 8780; FEW 13, 27-29), è deverbale di tronari (trunari), for-
mazione dal lat. tŏno con /r / dal derivato tŏnĭtrus (DEI 5, 3915). Il tipo
nominale e quello verbale hanno numerosi corrispondenti nel resto dell’area
italoromanza (GDLI 21, 426ss. s.v. truòno, GDLI 21, 401, sv. tronare). I pl.
tròna, trònora sono ben attestati nella documentazione antica e moderna, co-
me del resto la forma pl. tuona dell’allotropo tuono, deverbale di tuonare
(GDLI ll. cc.).
Con i seguenti tipi lessicali nei testi letterari antichi di varia area tosca-
na e centro-merid. -a era una delle varianti possibili, spesso predominante,
ma non unica: braccio (< bracchĭum), pl. bracci e più spesso braccia; budello
(< bŏtellus), pl. budella, budelle, budelli; calcagno (< calcānĕum, forma ra-
ra da calx), pl. calcagna, calcagne, calcagni; cervello (< cĕrĕbellum), pl. pre-
valente cervella, ma anche cervelli; ciglio (< cĭlĭum), pl. prevalente ciglia, ma
anche cigli; ginocchio (< gĕnĭcŭlum), pl. ginocchi, ginocchia, ginocchie; filo
(fīlum), pl. fili e fila; pomo (< pōmum), pl. pomi, poma, etc.26. Il polimorfi-
smo si può giustificare, almeno in parte, con il carattere eteroclito della fles-
sione e dei valori di Genere delle basi latine. Questa eteroclisia era spesso,
anche se non sempre, in rapporto a differenze di significato27. Il neutro
calcānĕum aveva una variante masch. calcānĕus, -ii; il neutro cornū, -us
‘corno di animali’ è affiancato dalle varianti minoritarie cornum, -i e cor-
nus, -us28; oltre a gĕnĭcŭlum, -i ‘piccolo ginocchio, ginocchio’ si trova la
forma gĕnĭcŭlus, -i ‘curva ad angolo di due tubi che si riuniscono’ (termine
tecnico dell’architettura)29; accanto al neutro sg. pār, păris esisteva la forma
neutra pl. parĭa, e un masch. sg. pār, păris ‘compagno’30. Sono peraltro da
segnalare diversi casi in cui le varianti alternative sono sinonime, come
fīlum e fīlus (quest’ultima forma è minoritaria).
Il carattere eteroclito dei lessemi italoromanzi a pl. in -a / -i si accompa-
gna anch’esso a volte a differenze di significato. Due esempi interessanti so-
no forniti dai testi siciliani antichi31. Cornu ‘corno di un animale’ può avere
un pl. corni (ValMaxXIVU, pag. 41.30: «[…] Ca in la capu sua se irssiru su-
bitamenti commu duy corni»; EneasXVS, ms. B, 7.44: «Lo quali cervu si
transtullava tucto lo iorno in quilli prati et la sira venendo, si ndi tornava in

26 Per le varianti dei testi letterari antichi di altra area italiana e la loro frequenza rinvio al

Corpus TLIO.
27 Per un esame del problema teorico dell’eteroclisia con differenziazione di significato rin-

vio ad Acquaviva (2008: 33).


28 Su queste varianti si veda LL IV.0.962.741-IV.0.963.7.
29 Del resto il neutro gĕnu, -ūs ‘ginocchio’ aveva le forme allotropiche masch. gĕnus e

neutra gĕnum, -i (si veda Ernout / Meillet: 273).


30 Anche il lat. tŏnĭtrus, -ūs, masch., aveva un paradigma flessivo eteroclito, con la va-

riante neutra tŏnĭtruum, -ii.


31 Rinvio ancora una volta alla documentazione del TLIO e di GDLI ss.vv.
Processi di pluralizzazione in siciliano 149

casa et la iuveni li adornava li corni cum soi belli churlandi») oppure corna
(EneasXIVF, ms. A, pag. 90.13: «[…] in menzu li corna di killu vitellu»;
EneasXIVF, ms. A, pag. 136.24: «[…] la iuvini li adurnava li corna cum soy
belli iurlandi»). Tuttavia nel significato di strumento musicale (‘corno da
caccia’) si trova solo il pl. corni (EneasXIVF, ms. A, pag. 145.4: «[…] et li
corni sunaru»). Lignu nel significato di ‘pezzo di legno’ presenta la forma pl.
ligna con valore collettivo e indefinito, preceduta o meno dall’articolo (Con-
questaXIVRT, pag. 138.8: «[…] prindianu lingna di terra»; ValMaxXIVU,
pag. 115.29: «[…] di sarcini e di ligna siki per ben ardiri»; VitiiVirtuti-
XIVB, pag. 256.9: «illu havia ricoltu una pocu di ligna lu sabatu»; Alfa-
betìnXVS, pag. 27.9: «Li [occhi mei] vidinu li ligna arrigati e lu focu allu-
matu a lu jjornu de lu qorbàn meu»). Il plurale ligni si mostra frequente-
mente associato al nome con valore singolativo, quando cioè ogni singolo
pezzo di legno è individuato da una sua specificità e in questo caso è presen-
te un determinatore o un modificatore di varia natura (SposizioneXIVP,
pag. 122.10: «[…] li autri ligni portanu frundi»; ValMaxXIVU, pag. 45.7:
«[…] di li ligni d’una barketta rutta»; VitiiVirtutiXIVB, pag. 172.18: «L’ar-
cha fu facta di ligni quadrati»; Bresc /2014 (488) - 1455 Inventario, pag.
1470.26: «Item una caxecta di lignu cum dui ligni dintru, videlicet di pixi»;
Bresc/2014 (488) - 1455 Inventario, pag. 1476.12: «Item saccu unu cum
certi ligni dintru»).
Altri casi notevoli sono riconducibili alle oscillazioni di Genere e delle
forme nominative e accusative del latino tardo e alla facies della sovraesten-
sione dell’uscita -um. Ciò potrebbe rendere conto della coesistenza dei pl. fili
e fila, e dei già menzionati lacci e laccia, pugni e pugna. Il polimorfismo di
questi due ultimi lessemi è ben rappresentato sia nei testi letterari antichi to-
scani che in quelli siciliani (EneasXIVF, pag. 220.20: «[…] baptendusi lu
pectu cum li pugna»; SposizioneXIVP, pag. 118: «[…] di pugni et colpi viyu
amaccatu»).
Un altro fattore attivo nella sovraestensione dell’uscita -a tra latino tardo
e fasi romanze potrebbe essere stato il valore duale intrinseco al Plurale di al-
cuni lessemi, come per l’appunto pugno. Emblematica al riguardo mi sembra
la differenza tra il passo di EneasXIVF sopra citato, in cui si fa riferimento ai
due pugni delle mani di un dato individuo, e il passo della SposizioneXIVP,
in cui il nome ha un valore di Definitezza generico32. È opportuno osservare,
del resto, che già in latino (e nelle lingue indoeuropee antiche) il valore dua-
le era uno dei nuclei di significato fondamentali del Genere neutro, e che
questo valore era caratteristico, tra l’altro, di alcune parti del corpo (si pensi

32 Il pl. in -i compare anche quando il nome ha il valore di unità di misura ed è preceduto

da un numerale (MascalciaR1XVF, I.18: «et bagnalu cum radichi di affodilli pistati et miscati
cum vinu dulchi quantu tri pungni et non sia multu liquidu»).
150 Rosanna Sornicola

ai già ricordati bracchĭum e gĕnu). nel polimorfismo -a / -i dei nomi di


questo gruppo dunque potrebbero essere stati attivi fattori morfologici e se-
mantici di lungo periodo.
In altri casi esistono oscillazioni prive di differenze semantiche. nei testi
letterari siciliani del XIV e XV sec. si riscontrano alcune allomorfie flessive
rilevanti. È il caso, ad esempio, del pl. di brazzu (braczu), in cui si alternano
brazza (bracza) e brazzi (braczi, brazi): SposizioneXIVP, pag. 72.3: «li brac-
za di la Dei misericordia»; SposizioneXIVP, pag. 72.7: «a li braczi di la tua
santa misericordia»; ValMaxXIVU, pag. 46.30: «lu avia purtatu in braza a li
soy triumphy»; ValMaxXIVU, pag. 80.7: «purtandu dananti li brazi muza-
ti»; ValMaxXIVU, pag. 101.2: «di la quali virtuti la gravusissima forza et li
soy efficacissimi brazza consistenu in furtizza»; ValMaxXIVU, pag. 221.27:
«per tal que issa vinissi plù tostu in li brazzi di Tarquinu».
Una ricognizione statistica effettuata sul Corpus ARTESIA, che compren-
de testi dei sec. XIV-XVI, indica che le forme in -a costituiscono circa l’85%
delle occorrenze del pl. del lessema, mentre quelle in -i il 15% (86 occorren-
ze totali, 73 con forme in -a e 13 con forme in -i). Questi rapporti numerici
confermano che, come in altre aree della penisola italiana, anche in quella si-
ciliana il lessema brazzu appartenga ad un gruppo di nomi il cui comporta-
mento flessivo si è orientato per tempo in maniera consistente (anche se non
esclusiva) verso il pl. in -a.
nel complesso, tuttavia, il polimorfismo riscontrato nei lessemi sinora
considerati induce a ipotizzare che nei testi siciliani dei sec. XIV-XVI, e forse
anche nei registri della lingua d’uso coeva, le caratteristiche morfologiche del
Plurale fossero ancora in via di strutturazione e consolidamento33. È una
ipotesi che permette una proiezione diacronica retrospettiva dei risultati che
emergono per l’odierna sincronia. Come vedremo in § 6.1.3., la compattez-
za dei dati ottenuti nella nostra inchiesta potrebbe indicare che la morfolo-
gizzazione dell’uscita -a nei lessemi del gruppo in esame sia oggi un processo
del tutto compiuto, anche se non è facile determinare in maniera più precisa
tempi e caratteristiche con cui è iniziato e si è sviluppato il processo di stabi-
lizzazione del pl. -a.
È ben chiaro che la situazione odierna del siciliano presenta somiglianze
e differenze rispetto a quella dell’italiano moderno. Per quanto riguarda le
somiglianze, come in italiano, i pl. braccia, budella, corna, ciglia sono piena-
mente morfologizzati nel senso di parti del corpo34, e analogamente del tutto
morfologizzato è paia. Per altri tipi lessicali, l’italiano mantiene però uno
stato di oscillazione dei morfi del Plurale che il siciliano moderno ha perso,

33 L’ipotesi converge con le conclusioni di Kupsch (1913: 16) e di Tuttle (1990: 100-101).
34 In it. il pl. budelli è usato in rapporto alla camera d’aria della bicicletta e agli insaccati.
Processi di pluralizzazione in siciliano 151

come nel caso di ginocchia e ginocchi. nei testi letterari siciliani antichi sono
regolari le forme «ginochi», «genochi», mentre il pl. in -a è oggi pansiciliano
(con l’eccezione di alcuni punti galloitalici)35, un dato pienamente confer-
mato dalle risposte al nostro questionario (si vedano qui i paragrafi che se-
guono). Altre differenze riguardano i tipi calcagno e cervello, le cui forme si-
ciliane hanno uniformemente il pl. in -a, laddove in it. prevale calcagni, e
calcagna rimane in espressioni cristallizzate (alle calcagna). In it. cervello ha
anch’esso un pl. cervella in alcune frasi fisse come si è fatto saltare le cervella.
Come in siciliano, quest’ultimo è un plurale collettivo, con valore unitario
in riferimento ad una sola persona (‘l’insieme di ciò che è interno alla scatola
cranica’), o al cervello degli animali. La forma pl. comune dell’it. cervelli, ca-
ratteristica di sottocodici scientifici o saggistici, mi sembra che non abbia ri-
scontro nelle parlate siciliane. Lo scarto forse più vistoso riguarda i nomi di
frutta, che in siciliano moderno hanno sempre regolarmente il pl. -a (i pu-
ma, i pira), mentre in italiano contemporaneo le forme antiche poma, pera,
sono uscite dall’uso.

6.1.2. Le risposte degli informatori


Le risposte degli informatori hanno mostrato una forte compattezza del-
la flessione -a, con qualche oscillazione minore -i / -a e -a / -ura (-ira). Que-
ste variazioni si concentrano soprattutto nelle risposte relative al lessema
fuossu, che esibiscono una lieve prevalenza della flessione -a rispetto a -i. Il
primo tipo è tuttavia in competizione con il tipo flessivo (-i / -u)ra, che in
un solo caso viene dato come unica risposta, dal parlante di area agrigentina.
La prevalenza netta della flessione -a è evidente anche nelle risposte che ri-
guardano un lessema a struttura bisillabica CCVCV come tr(u)onu. Il tipo -
ira è ammesso come scelta flessiva secondaria da due parlanti.
Il parlante F, di Terrasini, mostra il maggior grado di polimorfismo (la
doppia possibilità di -i e -a viene data per una parola tetrasillabica e una
trisillabica), mentre la parlante anziana E di Palermo ha il maggior grado
di incertezza, peraltro relativo, con una risposta non data, una in cui asse-
risce di non sapere, e una in cui dà in maniera esitante la forma flessiva -i.
nel complesso, tuttavia, si può dire che i risultati raccolti confermano un al-
to grado di lessicalizzazione dell’uscita -a nei nomi di questo gruppo, in pie-
na corrispondenza con altre aree italoromanze, specialmente meridionali
(Tab. 1a).

35 Per i testi antichi si veda SposizioneXIVP, pag. 45.6; Conf3XVB, pag. 177.30; ValMax-

XIVU, pag. 92.14, 102.9, 128.11. I punti galloitalici con il pl. in -i sono Fantina, San Fratello e
Sperlinga (così risulta da AIS 162).
152 Rosanna Sornicola

Tabella 1a - nomi siciliani con Plurale in -a e corrispondenti italoromanzi antichi.


Processi di pluralizzazione in siciliano 153

6.2. Tipi compattamente a pl. in -a privi di riscontri italoromanzi


Alcuni nomi che non fanno parte del gruppo con riscontri italoromanzi
di caratteristiche flessive hanno presentato una alta regolarità di risposte in
cui per il Plurale è stato indicato il morfo -a. Sono i nomi bisillabi j(u)ornu
‘giorno’, pusu ‘polso’, c(u)orpu ‘colpo’, pilu ‘pelo’ e cocciu ‘chicco; foruncolo’.
Per quanto riguarda j(u)ornu si deve rilevare un cospicuo scarto tra la si-
tuazione dei testi letterari antichi, che hanno uniformemente il pl. i(u)orni
(nel Corpus ARTESIA su 581 occorrenze del pl. del lessema, si ha solo una
forma in -a) e la compattezza della situazione delle varietà di siciliano mo-
derno riflessa nelle risposte (Tab. 1b). Ci si può chiedere quanto quest’ulti-
mo risultato sia da mettere in rapporto ad un fattore etimologico ( j(u)ornu <
diurnum (tempus)) e quanto sia invece dovuto ad una sovraestensione e ge-
neralizzazione della flessione -a, che non trova riscontro in parole della stessa
struttura fonologica (si veda § 6.3.). nella prima ipotesi, il siciliano sarebbe
molto più conservativo di altre varietà italoromanze, ma la compattezza di
i(u)orni nei testi antichi mi sembra una circostanza che rende problematica
questa soluzione.
Il lessema pusu, riconducibile ad una base pulsus, -us ‘urto, spinta, col-
po; il battere’ ha acquistato il significato di parte del corpo in epoca tarda.
non è privo di interesse che nei testi italoromanzi antichi esso si ritrovi talo-
ra con un pl. pólsora, soluzione comunque diversa da quella del pl. in -a
compattamente raccolto dalla nostra inchiesta. È possibile che tale forma si
sia generalizzata in questo lessema in rapporto al valore semantico di duale, e
forse per attrazione da parte del pl. pugna (Tab. 1c).
Uno scarto notevole rispetto alle forme dei testi antichi riguarda anche
c(u)orpu e pilu. nei testi antichi infatti questi lessemi hanno uniformemente
un pl. in -i, che si conforma al genere maschile delle rispettive basi
cŏlăphus, -i e pīlus, -i 36 (Tabb. 1d, 1e).

Tabella 1b - nomi siciliani con Plurale in -a. Il tipo J(U)ORnU.

36 A eccezione di 3 occ. di culpu in ValMaxXIVU, che, notoriamente, è latore di grafie sue

proprie (cfr. Rinaldi 2005, II: 346, n. 2), la forma del primo lessema in sic. ant. è colpu. Per
quanto riguarda il secondo, non ho riscontri dai testi sic. ant., ma quelli di altre aree italoroman-
ze non mostrano mai la variante pila.
154 Rosanna Sornicola

Tabella 1c - nomi siciliani con Plurale in -a. Il tipo PUSU.

Tabella 1d - nomi siciliani con Plurale in -a. Il tipo C(U)ORPU.

Tabella 1e - nomi siciliani con Plurale in -a. Il tipo PILU.

etimologica, il gr. *κόκκιον diminutivo di κόκκος ‘Kern’ (LGII 250)37, ma è


Le risposte ottenute per cocciu sono forse giustificabili a partire dalla base

possibile pensare anche all’effetto della semantica del lessema, riferito ai frut-
ti di piante (ad esempio ‘chicco’ di oliva e ‘acino’ di uva), il cui plurale ri-
manda spesso ad un insieme cumulativo. Il fatto che gli informatori A e D
concordino nel differenziare un pl. in -i per il significato ‘foruncolo’ confer-
ma l’esistenza di una consapevolezza della opposizione sistemica tra plurale
collettivo e plurale singolativo (Tab. 1f ).

37 Secondo DEI 2, 993, s.v. coccio 4 ‘granello, acino; foruncolo, pustola’, dato come tipo

dialettale di area panmeridionale, la forma sg. coccio sarebbe stata rifatta su un pl. *cocci, a partire
da coccus o coccum con cui il termine greco è stato preso in prestito in latino. La forma
masch. coccus è però tarda (Ernout / Meillet: 129) e la trafila ipotizzata presuppone una pala-
talizzazione del tema davanti alla flessione -i del pl.
Processi di pluralizzazione in siciliano 155

Tabella 1f - nomi siciliani con Plurale in -a. Il tipo COCCIU.

6.3. Altri tipi di bisillabi parossitoni: una considerazione etimologica


Gli altri nomi bisillabi parossitoni inseriti nel questionario presentano
caratteristiche diacroniche che richiedono una diversa organizzazione di ana-
lisi dei risultati. Possiamo raggrupparli in cinque gruppi principali:
1. parole di antica patrimonialità latina in area italoromanza e in alcuni
casi romanza (caddu, campu, cantu, cuoddu, culu, furnu, iaddu, liettu, mulu,
palu, partu, piettu, p(u)orcu, puzzu, rizzu, sciatu, suonnu, tiettu, uocchiu);
2. Parole greche entrate in latino in epoca antica, che si caratterizzano
come regionalismi (scifu) o come tecnicismi di più ampia diffusione (ittioni-
mi: purpu, scurmu, termini della tecnica vasaria: t(u)ornu);
3. Parole la cui base (considerata nelle sue caratteristiche di struttura
morfologica e/o semantica) risale a strati del latino tardo e dei volgari delle
origini (catu, c(u)oppu, funciu, iattu, lampu, mazzu, micciu, m(u)orvu, piez-
zu, puntu ‘punto (del cucito’);
4. Formazioni deverbali con varia diffusione (italo-)romanza (cuntu,
f (i)etu, picchiu, scantu, susciu);
5. Parole entrate come prestito diretto o indiretto da altre lingue, in par-
ticolare:
5a1. Parole latine di altro tramite (sbiergiu < lat. persĭca ‘pesca’ attra-

5a2. Arabismi (giummu < ar. ǵumma-t ‘ciuffo’);


verso la mediazione dell’arabo)38;

5b. Germanismi ad ampia diffusione italoromanza (ciancu < germ.


hlanka, cfr. fr. ant. flanc, cr(u)occu < franc. *krok, gruppu < germ. kruppa,

38 Per l’etimologia di sbiergiu si veda VSES 2, 913, che però mette la forma femm. sbergia

come esponente della trattazione. Esiste tuttavia una variazione allomorfica della voce in rappor-
to al Genere (sbergia / sbergiu, quest’ultimo col valore sia dell’albero che del frutto), per cui rin-
vio a VSES 2, 914.
156 Rosanna Sornicola

già entrato nel lat. tardo cruppa, sciascu < germ. *flasko, flaska, voscu <
germ. *busk / *bosk)39;
5c. Gallicismi (normannismi come bagghiu ‘cortile’ < fr. ant. bail(e)
‘idem’)40;
5d. Parole di possibile origine settentrionale, come scraccu ‘sputo’)41;
5e. Ispanismi sia diretti che indiretti (sfrazzu)42;
5f. Parole di non chiara provenienza, che hanno però corrispondenti
in altre aree del Meridione e/o del bacino del Mediterraneo (cuozzu, lem-
mu, sceccu)43.
Per i lessemi del gruppo 1. in via preliminare è possibile porre il proble-
ma della corrispondenza tra forma del Plurale e del Genere della base latina,
e le forme raccolte nelle risposte al nostro questionario. notiamo che anche
per questo gruppo la base è quasi sempre un lessema che seguiva lo schema
flessivo della II o della IV declinazione (ad eccezione di piettu < pectus,
-ŏris). Ebbene, i continuatori dei tre nomi neutri latini che seguivano la II
declinazione (caddu < callum, c(u)oddu < collum, t(i)ettu < tectum) han-
no tutti riportato una totale o quasi totale prevalenza della flessione -i. Lo
stesso risultato è stato ottenuto per il continuatore di pectus. Questi risulta-
ti non sono diversi da quelli emersi per alcuni lessemi di questo gruppo con
base latina di Genere Maschile: campu < campus, iaddu < gallus, palu < pa-
lus, p(u)orcu < porcus, sciatu < flātus, uocchiu < ŏcŭlus. Pertanto, diver-
samente da quanto si è osservato per i tipi lessicali discussi in § 6.1. e § 6.2.,
non è ipotizzabile una sopravvivenza, sia pur relittuale, di caratteristiche fles-
sive delle basi latine, con la relativa cristallizzazione di forma del Plurale.
Tutti i lessemi di questo gruppo sono stati coinvolti nel processo di ristrut-
turazione morfologica dei nomi che originariamente seguivano la II e la IV
declinazione, processo che ha condotto alla flessione -i del Plurale italoro-
manzo.

39 Per gli etimi dei lessemi in 5b rinvio al DELIN, sotto le rispettive voci. Il significato ‘no-

do’ del lessema gruppu, con cui ho posto la domanda agli informatori, è caratteristico non solo
del siciliano ma anche dei testi letterari italiani antichi.
40 Si veda VSES 1, 104.
41 La questione è controversa. Alessio (1962) pensa ad un francesismo (mette in rapporto la

voce con il fr. ant. escrachier), e già Flechia (1878: 121-125) aveva sostenuto l’appartenenza di
scraccu al fondo francoprovenzale del siciliano, mentre DELIN 1458 propende per una base
onomatopeica, come VSES 2, 946. Si veda anche REW 4752, con forme di vari dialetti setten-
trionali, del logudorese e del galloromanzo. La carta 1, 172 dell’AIS, ‘lo sputo’, mostra il tipo in
questione in alcuni dialetti del Piemonte sudocc. della Liguria occ., della Toscana, oltre che in
grigionese, mentre in Sicilia esso appare solo a Mistretta, anche se è registrato da numerosi voca-
bolari sic. (si veda VSES 2, 947).
43 Per c(u)ozzu si veda DEI 2, 1144, cozzo2, LGII 273, s.v. κουτσός. Il tipo lemmu è discusso
42 Si veda VSES 2, 969.

da LGII 298, s.v. λίμπα e VSES 1, 518-519. Per scifu rinvio a LGII 469, s.v. σκύφος.
Processi di pluralizzazione in siciliano 157

Tracce di una situazione più antica potrebbero forse essere individuate a


partire dalle risposte ottenute per i lessemi liettu, puzzu, suonnu, che presen-
tano uno spiccato polimorfismo -a / -i / -ira 44. Le basi latine di questi lesse-
mi infatti avevano polimorfismo di Genere e allomorfie flessive, sia pur mi-
noritarie e in qualche caso documentate per un’epoca tarda: lectus, -i, ma
anche lectum, -i (nel Digesto) e lectus, ūs (in Plauto e Seneca), puteus,
-i, ma anche pl. putea (Varrone cit. in nonio). Un caso speciale è poi quel-
lo delle forme somnus, -i ‘sonno’ e somnium, -i ‘sogno’, la cui confusione
antica, documentata già in latino, permane nei continuatori romanzi45 ed è
testimoniata dallo stesso siciliano, in cui suonnu vale sia ‘sonno’ che ‘sogno’
ed ha sviluppato inoltre in maniera pervasiva il significato ‘tempia’. Questo
significato affiora a macchia di leopardo anche in altre aree della penisola di

odierne parlate neogreche (LGII 529, s.v. ὕπνος).


più ridotta estensione46 e il suo sviluppo trova interessanti paralleli nelle

I tipi culu e mulu, con la preponderanza della flessione in -a, certamente


non imputabile alla base latina, confermano che in siciliano è intervenuta
una rilevante ristrutturazione del Plurale, in cui non incide il tratto di Ani-
matezza e le cui ragioni non sono da ricercare per via etimologica (si veda
più avanti la Tab. 2 e § 7.5).
In base alle osservazioni svolte sinora, si possono riassumere le seguenti
conclusioni: (a) per i nomi del gruppo 1. non sussiste una forte correlazione
con le caratteristiche di schema flessivo e di Genere della base; (b) non è rile-
vante il tratto di Animatezza; (c) sussiste isolatamente una correlazione con
il polimorfismo della base.
Anche per i lessemi dei gruppi 2.-5. non esiste correlazione con le pro-
prietà di schema flessivo del Plurale e di Genere delle basi, dal momento che
si tratta di formazioni tarde di varia epoca o di prestiti. Anticipo subito che
per la maggior parte di questi lessemi predomina nettamente la flessione -i.
Ciò farebbe pensare che tale flessione sia stata applicata in maniera indiscri-
minata a tutte le parole di formazione più tarda e ai prestiti entrati in sicilia-
no. Alcune conferme, per quanto è dato vedere nei testi letterari e nei docu-

44 Si deve notare peraltro che anche le basi callum, collum, ammettevano varianti ma-
schili, sia pure minoritarie.
45 Si veda REW 8085, REW 8086; DEI 5, 3544; FEW 12, 91 e 95. somnus ha il doppio si-

gnificato di ‘sonno’ e ‘sogno’ già in Plauto, Cicerone e Virgilio (Alessio 1947: 191); somnium

529, s.v. ὕπνος.


‘sonno’ è già in Silio Italico (FEW 12, 91). Cfr. Alessio (1947: 191), Alessio (1953: 293), LGII
46 Si veda AIS 1, 100, da cui risulta che questo sviluppo è presente con numerosi focolai, a

nord in Veneto (nei dialetti vicentini, trevigiani, bellunesi), in area trentina, emiliana; a sud lo
si riscontra in Molise (punti 666, 658, 668), in alcuni punti della Campania (casertani, irpini,
salernitani), nonché in un’area della Basilicata di una certa ampiezza (punti 731, 732, 733, 735,
740), in Puglia (punti 706, 707, 708, 717, 737, 738, 739, 749) e in Calabria (punti 752, 760,
71, 772, 780).
158 Rosanna Sornicola

menti antichi, ci sono fornite in merito a dei lessemi che in queste fonti han-
no il plurale in -i (l’arabismo giummu ha spesso il pl. giummi, si veda VSES
1, 449, 1490, Catania «dui jumbi di oru», etc.), benché – a giudicare dalle
risposte ottenute – in seguito alcuni di essi possano essere stati implicati in
processi di cambiamento di schema flessivo, tra loro disomogenei, in manie-
ra differenziata a seconda delle aree e delle scelte dei parlanti (si vedano più
avanti i dati relativi al pl. giumma riportati nella Tab. 8). Le risposte raccolte
per lemmu presentano lemmi come forma principale e lemma come forma
minoritaria (si veda Tab. 8), un risultato che, per la fase moderna, trova
conferma indipendente nell’esistenza del composto conzalemmi ‘chi restaura
i vasi di creta rotti’47.
In alcune parole dei gruppi 2.-5 si riscontrano oscillazioni di scelta flessi-
va da parte degli informatori.
I seguenti lessemi hanno spiccato polimorfismo di flessione del Plurale,
ed -a è tendenzialmente flessione minoritaria. Il polimorfismo sembra dovu-
to a ragioni diverse: cruoccu ‘gancio, uncino’, cuozzu ‘nuca; sommità di una
forma di pane’; cuoppu ‘recipiente di carta avvolta a forma di cono’; furnu
‘forno’; gruppu ‘nodo’; lemmu ‘catino, vaso di terracotta smaltata’; scifu ‘tro-
golo; bacinella con vari usi; scodella di terracotta’. Per quanto riguarda il po-
limorfismo -i / -a di questi lessemi, si tratta forse di una avanzata della fles-
sione -a relativamente recente, in cui possono aver giocato un ruolo fattori
di natura semantica, come l’indicazione di una quantità non numerabile.
Il polimorfismo -i / -a va tenuto distinto da quello per cui entrano in
gioco le varianti flessive -ira, -ura, che potrebbero risalire a strati cronologici
diversi. In alcuni casi potrebbe trattarsi di una continuazione di uno dei te-
mi della base etimologica, come nel caso del possibile rapporto di piettira e
pectora. In altri si tratta di ristrutturazioni di varia epoca. Ad esempio, la
maggiore frequenza di scelte dei pl. -ira / -ura con l(i)ettu potrebbe giustifi-
carsi con l’esistenza di una variante lectus, -us (non è raro che in latino tar-
do i nomi di IV declinazione abbiano seguito lo schema pl. in -ora)48. Che
tali flessioni si ritrovino associate ai lessemi suonnu e tiettu è anch’esso un da-
to congruente con una facies tardo-latina, come induce a pensare la diffusio-
ne di forme pl. del tipo -ora con questi due lessemi in altre aree della peni-
sola (tipi s(u)onnora, s(u)onnira e t(i)ettora, t(i)ettira: si veda v. AIS 1, 100
‘la tempia’; GDLI 20, 1020a, s.v. tetto). Per il lessema furnu il tipo flessivo in
esame è indicato dagli informatori come la variante preferibile e in tre come
variante di seconda scelta. È un dato che si presta ad interpretazioni diverse:
considerato isolatamente potrebbe essere la spia di un residuo di una situa-
zione più antica, o al contrario indizio di uno sviluppo piuttosto recente. In

47 L’etimologia di questo lessema pone alcune difficoltà (si veda VSES 1, 518).
48 Sciatura da flatus, -us ha ottenuto una risposta con la forma flessiva -ura.
Processi di pluralizzazione in siciliano 159

generale, si deve notare il carattere non regolare, debolmente sistemico di


questa flessione negli informatori a cui ho sottoposto il questionario. Io stes-
sa ho sentito l’informatore A usarla in maniera alquanto più estesa nel parla-
to spontaneo ( filira, gruppira, t(u)ornira, etc.)49, il che fa pensare che, indi-
pendentemente dalla antichità accertata del tipo flessivo, si tratti di una scel-
ta sempre potenzialmente disponibile, a seconda di condizioni contestuali e
soprasegmentali, con lo statuto sociolinguistico di una variante al di sotto
della soglia di consapevolezza.
Tenuto conto delle considerazioni sinora svolte, ho raggruppato i lesse-
mi e le risposte ottenute dagli informatori per ciascuno di essi secondo crite-
ri puramente relativi alla struttura fonologica, per verificare l’eventuale effet-
to di quest’ultima sulla scelta dei morfi del Plurale.

7. Gruppi di parole definiti in base alla struttura fonologica: i bisillabi parossi-


toni
7.1. Bisillabi a struttura CVCV
I lessemi mulu e scifu hanno dato luogo ad un evidente fluttuazione tra i
tipi -a e -i, i lessemi culu, f (i )etu, sciatu tra i tipi -a, -i, (-i / -u)ra. La flessio-
ne -a tuttavia predomina tendenzialmente, specie nel caso di mulu, rispetto a
cui viene data come risposta più frequente, e dalla maggioranza dei parlanti
come unica (inoltre, laddove è in competizione con -i costituisce in due casi
su tre la prima scelta). Uno scarto interessante riguarda i lessemi catu, palu,
sciatu, rispetto a cui predomina nettamente la flessione -i. Ciò vale anche per
f (i)etu, benché a proposito di questo lessema alcuni parlanti osservino che è
parola esclusivamente sg., mentre gli informatori D e G danno, rispettiva-
mente come flessione secondaria e unica, -ura (Tab. 2).

7.2. Bisillabi a struttura XNCV, XMCV, XRCV


Le risposte ottenute per i bisillabi a struttura XNCV, XMCV, XRCV
mostrano una tendenziale compattezza di scelte flessive in rapporto al tipo
-i, più spiccata e regolare per i tipi a struttura in cui è presente una nasale,
XNCV e XMCV (Tabb. 3, 4).

49 Lo stesso risultato è emerso nella ricerca di Retaro (2013: 210): «Dal punto di vista so-

ciolinguistico, alcuni lessemi in -ora sono accompagnati da giudizi espliciti relativi alla loro ar-
caicità o uscita dall’uso. Tuttavia si assiste poi ad un comportamento del tutto opposto, poiché,
soprattutto nelle fasi di parlato spontaneo, le forme dipendenti da -ora sono molto frequenti, al
punto che in alcuni parlanti esse coinvolgono, come già riferito, anche italianismi di recente for-
mazione».
160 Rosanna Sornicola

Tabella 2 - Bisillabi a struttura CVCV.

Tabella 3 - Bisillabi a struttura XNCV.


Processi di pluralizzazione in siciliano 161

Tabella 4 - Bisillabi a struttura XMCV.

Il tipo XRCV ha ottenuto risposte in cui tre parlanti hanno indicato co-
me scelta primaria la flessione -a, in rapporto a più lessemi (Tab. 5). In par-
ticolare, tre parlanti convergono su tale flessione per il lessema furnu, che
tuttavia ammette, a loro avviso, polimorfismo con -ira e con -i. G è l’intervi-
stata con il maggior numero di risposte a favore di -a. nel complesso, questo
tipo di struttura di parola fonologica ha mostrato una maggiore frammenta-
zione delle risposte e un maggior numero di incertezze (le informatrici E e F
e in misura minore gli informatori C e H, non sono stati in grado di rispon-
dere in merito al plurale di numerosi lessemi). Si potrebbe ipotizzare che la
sequenza di sillaba chiusa seguita da sillaba aperta (sillaba pesante + sillaba
leggera) provochi una qualche propensione alla flessione -i o -ira, e comun-
que una certa indecisione o confusione nella scelta di morfologia flessiva.

Tabella 5 - Bisillabi a struttura XRCV.


162 Rosanna Sornicola

7.3. Bisillabi a struttura XSCV


Un comportamento simile a quello osservato per le strutture XRCV, in
termini di frammentazione delle risposte, polimorfismo, incertezza, si rileva
anche per le strutture XSCV, nei medesimi parlanti di cui si è detto poc’anzi
(Tab. 6):

Tabella 6 - Bisillabi a struttura XSCV.

7.4. Bisillabi in cui è presente una consonante geminata


D, G e H indicano senza esitazioni la flessione -a per due bisillabi a
struttura XVP:V (Tab. 7), in cui la prima sillaba è una struttura pesante.

Tabella 7 - Bisillabi a struttura XVP:V.

Molto più spiccato e trasversale tra gli intervistati è il polimorfismo che


emerge per strutture fonologiche XVM:V e XVN:V (Tab. 8). nonostante la
prevalenza numerica delle risposte a favore della flessione -i (come variante
primaria o secondaria), si registra infatti, in quasi tutti i parlanti una notevo-
le incidenza della risposta a favore di -a. La flessione -ira è presente come
primaria o secondaria in cinque parlanti su otto per il lessema s(u)onnu 1 =
‘tempia’ e per s(u)onnu 2 = ‘sonno’. Meritano qualche osservazione le rispo-
ste in controtendenza di E e F. Entrambe le intervistate sono palermitane, di
diversa età e classe sociale, con una conoscenza del dialetto in diverso modo
alterata dall’esposizione all’italiano regionale, che spesso sembra provocare
incertezze. L’intervistato H, di area agrigentina, non conosce s(u)onnu 1 e
dichiara che s(u)onnu 2 è parola solo di numero singolare.
È degna di nota la differenza tra le risposte ottenute per i bisillabi a strut-
tura XVT:V e quelli a struttura XVD:V. Per i primi, pur nella tendenziale
Processi di pluralizzazione in siciliano 163

Tabella 8 - Bisillabi XVM:V e XVN:V.

predominanza della flessione -i, le risposte dei parlanti mostrano un forte


polimorfismo relativo a l(i)ettu, p(i)ettu: la flessione più consistente dopo -i
è -ira (-ura), mentre -a risulta marginale (Tab. 9). Viceversa per i bisillabi a

Tabella 9 - Bisillabi a struttura XVT:V.


164 Rosanna Sornicola

te a propendere per -a e ciò unicamente per il lessema coḍḍu (Tab. 10):


struttura XVD:V sono state date risposte molto uniformi. H è il solo parlan-

Tabella 10 - Bisillabi a struttura XVD:V.

I bisillabi a struttura XVK:V mostrano risposte uniformi tra i parlanti a


vantaggio del pl. -i in tre dei quattro tipi lessicali (sceccu, scraccu, zuccu). Il
polimorfismo -a / -i (del tutto minoritario -i / -a) caratterizza invece le rispo-
ste di cinque degli otto parlanti51 (Tab. 11). L’oscillazione tra -a e -i come
morfo del plurale predominante è ben chiara anche nel gruppo di bisillabi a
struttura XVT:SV, in cui -a entra in competizione con -i e -ura relativamen-
te a cozzu, con -i relativamente a rizzu, mentre puzzu mostra oscillazione -i /
-ura e mazzu, piezzu, sfrazzu hanno un pl. in -i fortemente maggioritario
(Tab. 12). Questo spiccato polimorfismo di alcuni tipi lessicali, a parità di
struttura sillabica, non è facile da giustificare.

Tabella 11 - Bisillabi a struttura XVK:V.

50 Rappresento con “DD” [ ɖɖ ] oppure [ ʈɽ ].


51 Si noti che H non risponde a nessuna delle domande di questo gruppo, mentre E e F so-
lo ad alcune. La maggior parte dei parlanti non conosce il lessema zuccu.
Processi di pluralizzazione in siciliano 165

Tabella 12 - Bisillabi a struttura XVT:SV.

Per il tipo lessicale susciu, unico esponente nel campione del questiona-
rio per la struttura fonologica XV∫:V, le risposte hanno dato l’uscita -i in
netta preponderanza, benché affiori anche la presenza di -a come variante
del tutto minoritaria (Tab. 13):

Tabella 13 - Bisillabi a struttura XV∫:V.

Il tipo strutturale XVT:∫ V, rappresentato da mecciu (micciu), mostra una


chiara divergenza delle risposte. La parola però non è conosciuta da tutti i
parlanti (E e F la ignorano; D e G la sentono come un singularis tantum).
Essa ha soprattutto un pl. in -i (Tab. 14):

Tabella 14 - Bisillabi a struttura XVT:∫ V.


166 Rosanna Sornicola

Infine, è interessante la compattezza delle risposte ottenute per i lessemi


delle strutture XVK ':V e XVG ':V: l’uscita -i è generale (Tabb. 15 e 16). La
struttura fonologica XVK ':V, che presenta un elemento palatalizzato, può
aver favorito la selezione del suffisso palatale -i per un effetto che si potrebbe
chiamare “armonia di tratto”, ma è possibile che un fattore concomitante sia
la struttura fonologica in cui una sillaba chiusa e quindi “pesante” è seguita da
una sillaba aperta e quindi “leggera”. Questo fattore sembra all’opera del resto

fonologica, con geminata /k:/, /t:s/, /ʃ:/, /t:ʃ / (rinvio ancora alle Tabb. 11-14).
anche in parole precedentemente osservate aventi la medesima configurazione

Tabella 15 - Bisillabi a struttura XVK j:V.

Tabella 16 - Bisillabi a struttura XVG j:U.

7.5. Correlazioni tra struttura fonologica e scelta flessiva

di correlazione tra tipo di struttura della prima sillaba (σ1) e scelta flessiva.
I risultati ottenuti per questo gruppo di nomi mostrano un certo grado

Benché il numero di lessemi con sillaba tonica aperta sia piuttosto esiguo ri-
spetto a quello dei lessemi con sillaba tonica chiusa, il confronto delle per-
centuali qui sotto riportate può dare una idea della rilevanza della struttura
della sillaba tonica come fattore che influenza la scelta del morfo del Plurale:
Lessemi con sillaba tonica aperta = 7
Risposte attese = 56
Risposte ottenute = 42 -i = 58 % second. = 4
-a = 33 % second. = 3
-ira / -ura = 2 % second. = 3
Lessemi con sillaba tonica chiusa = 45
Risposte attese = 360
Risposte ottenute = 260 -i = 83 % second. = 11
-a = 11 % second. = 22
-ira / -ura = 6 % second. = 19
Processi di pluralizzazione in siciliano 167

Un dato interessante riguarda il fatto che l’indice di polimorfismo è più


alto per i lessemi con sillaba tonica chiusa, così come molto più alto è il nu-
mero di risposte non ottenute.
Proviamo ora a riorganizzare i dati sottoclassificando le tipologie di
struttura bisillabica rispetto al tipo di vocale presente nella prima sillaba: /a /,
/(i)e /, /e /, /i /, /(u)o /, /o /, /u / e correlando i sottogruppi così ottenuti e le
frequenze dei tipi lessicali che ne fanno parte con i tipi di forma flessiva e le
loro frequenze ottenute sommando le risposte di tutti gli informatori52. In
base a ciò si sono ottenute le seguenti correlazioni:
V (σ1) = /a /
V (σ1) = /a /
Fr lessicale = 17 Forma flessiva = -i Fr ff = 8953

V (σ1) = /a /
Fr lessicale = 17 Forma flessiva = -a Fr ff = 154
Fr lessicale = 17 Forma flessiva = -ira Fr ff = 1
Risposte attese = 136
Risposte ottenute = 91
-i = 97,82 % -a = 1,09% -ira = 1,09%

V (σ1) = /(i)e/ Fr lessicale = 6


V (σ1) = /(i)e/ Fr lessicale = 6
Forma flessiva = -i Fr ff = 3355

V (σ1) = /(i)e/ Fr lessicale = 6


Forma flessiva = -ira /-ura Fr ff = 556
Forma flessiva = -a Fr ff = 057
Risposte attese = 48
Risposte ottenute = 38
-i = 86,84% -a = 0 -ira / -ura = 13,16%

V (σ1) = /e /
V (σ1) = /e /
Fr lessicale = 2 Forma flessiva = -i Fr ff = 11

V (σ1) = /e /
Fr lessicale = 2 Forma flessiva = -ira Fr ff = 1
Fr lessicale = 2 Forma flessiva = -a Fr ff = 058
Risposte attese = 16
Risposte ottenute = 12
-i = 91, 66% -a = 0 -ira / -ura = 8,33%

52 Lo scarto tra frequenze attese e frequenze ottenute è ovviamente dovuto alle risposte che

gli informatori non hanno saputo o potuto dare. Con “Fr” si denota la frequenza, con “Fr ff ” la
frequenza della forma flessiva.
53 Si noti che 87 casi sono dati come unica opzione, in due come prima opzione rispetto

ad -a.
54 In due casi -a è indicata come forma flessiva di seconda scelta.
55 In 27 casi si tratta dell’unica forma indicata, in sei della forma preferita rispetto ad -a,

-ura / -ira.
56 In cinque casi queste forme sono date come varianti secondarie.
57 In quattro casi la forma è variante secondaria.
58 In due casi -a è variante secondaria.
168 Rosanna Sornicola

V (σ1) = /i/ Fr lessicale = 5


V (σ1) = /i/ Fr lessicale = 5
Forma flessiva = -i Fr ff = 18

V (σ1) = /i/ Fr lessicale = 5


Forma flessiva = -a Fr ff = 1459
Forma flessiva = -ira / -ura Fr ff = 0
Risposte attese = 40
Risposte ottenute = 32
-i = 56,25% -a = 43,75% -ira / -ura = 0

V (σ1) = /(u)o/ Fr lessicale = 9


V (σ1) = /(u)o/ Fr lessicale = 9
Forma flessiva = -i Fr ff = 34

V (σ1) = /(u)o/ Fr lessicale = 9


Forma flessiva = -a Fr ff = 1260
Forma flessiva = -ira / -ura Fr ff = 561
Risposte attese = 56
Risposte ottenute = 51
-i = 66,66% -a = 23,52% -ira / -ura = 9,80%

V (σ1) = /o / Fr lessicale = 1
V (σ1) = /o / Fr lessicale = 1
Forma flessiva = -i Fr ff = 5

V (σ1) = /o / Fr lessicale = 1
Forma flessiva = -a Fr ff = 0
Forma flessiva = -ira / -ura Fr ff = 062
Risposte attese = 8
Risposte ottenute = 5
-i = 100% -a = 0 -ira / -ura = 0

V (σ1) = /u / Fr lessicale = 12
V (σ1) = /u / Fr lessicale = 12
Forma flessiva = -i Fr ff = 4663

V (σ1) = /u / Fr lessicale = 12
Forma flessiva = -a Fr ff = 2164
Forma flessiva = -ira / -ura Fr ff = 365
Risposte attese = 96
Risposte ottenute 70
-i = 65,71% -a = 30% -ira / -ura = 4,28%

Risulta dunque evidente che mentre la presenza della vocale /a / nella


prima sillaba tende fortemente a bloccare la scelta della forma di pl. -a,

59 In due casi -a è data come variante secondaria.


60 In tre casi -a è data come variante secondaria.
61 In quattro casi queste forme sono date come secondarie.
62 Due forme di questo tipo sono date come secondarie.
63 In nove casi questa forma è data come primaria rispetto alle altre -a, -ira / -ura. In 4 è

forma secondaria.
64 In 14 casi -a è data come forma assoluta, in sette è forma primaria rispetto a -i, -ira /

-ura. In sei casi -a è data come forma secondaria di -i.


65 In cinque casi queste forme sono date come secondarie rispetto a -i o a -a.
Processi di pluralizzazione in siciliano 169

quando la vocale della prima sillaba è alta (/i /, /u /) la frequenza della flessio-
ne -a aumenta in maniera significativa. Il “peso” del timbro vocalico è perciò
un altro fattore rilevante nella selezione del morfo del Plurale. Incide in mi-
nore misura la presenza di un dittongo nella prima sillaba (/ie /, /uo/) nella
selezione di -ira / -ura, forme che allungano la parola, convertendo il bisilla-
bo in trisillabo.

8. Gruppi di parole definiti in base alla struttura prosodica: i trisillabi parossi-


toni
8.1. Osservazioni preliminari sulla etimologia dei lessemi
Considerazioni analoghe a quelle avanzate in 6.3., sulla irrilevanza o rile-
vanza marginale delle trafile etimologiche per lo studio delle strutture flessive
del Plurale valgono anche per le parole che qui abbiamo raggruppato in due
classi, i trisillabi e tetrasillabi parossitoni e i trisillabi proparossitoni. Tali pa-
role hanno una notevole eterogeneità di basi e sviluppi storici, ma nonostan-
te ciò mostrano proprietà flessive nettamente diverse correlate alle due classi
di struttura prosodica. Osservazioni sulle trafile etimologiche saranno avan-
zate per i pochi lessemi per i quali risultano casi di polimorfismo.

8.1.1. Trisillabi parossitoni a struttura X'CVCV


Con la formula X'CVCV si rappresentano le strutture trisillabiche paros-
sitone la cui seconda e terza sillaba hanno la configurazione CVCV, mentre
X rappresenta una prima sillaba avente qualunque configurazione. In gene-
rale, si può osservare una forte preponderanza della flessione -a. Per sei lesse-
mi su diciassette (cann(u)olu, cuppinu, cuscinu, linz(u)olu, panaru, pirtusu)
essa è emersa come variante unica o primaria in sette degli otto informatori,
per due lessemi (cufinu, tabbutu) in sei informatori, per tre lessemi (armalu,
catusu, fas(u)olu) è la variante unica o primaria in cinque informatori, per
due lessemi (cantaru, trappitu) è la variante unica o primaria in quattro in-
formatori. Resta il dato importante che per molti di questi tipi lessicali i testi
e documenti antichi presentano sia Plurali in -i che in -a, indipendentemen-
te dalle caratteristiche della base, e ciò confermerebbe di nuovo che l’avanza-
ta di -a sia un fenomeno relativamente moderno.
nei testi e documenti antichi l’arabismo di tramite iberico cantaru ‘mi-
sura di peso pari a 100 rotoli’66 ha in maniera preponderante il pl. cantara
(1373, SposizioneXIVP, pag. 127.22: «dananti lu sepulcru di Cristu omni

66 Si veda VSES 1, 184-186.


170 Rosanna Sornicola

iornu si ardi plui di dui cantara di ogliu»; 1607, «da circa cantara otto di li-
gna», Elefante 40) e il pl. cantari come forma minoritaria67. Oscillazioni di
forma del Plurale nei testi antichi si hanno anche per cannolu ‘internodio
della canna; oggetti simili all’internodio’ (cannoli e cannola: VSES 1, 180),
per catusu ‘recipiente della noria; tubo di terracotta o piombo per condurre
acqua’ (< ar. qādūs ‘idem’) (catusi e catusia: VSES 1, 229; cfr. il maltese katu-
sa pl. ‘idem’, rilevato da Aquilina 630), cufinu ‘cesta di vimini e listelli di
canna’ (< cŏphĭnus ‘idem’, grecismo entrato in latino) (cufini e cufina;
VSES 1, 335-336). Analogamente linzolu ‘lenzuolo’ e pirtusu ‘buco’ sono ti-
pi ad ampia diffusione italoromanza, che presentano oscillazioni di forma pl.
-i / -a in varia epoca ed area (per ‘lenzuolo’ si veda AIS 8, 1531, da cui risul-
ta che il pl. in -i è nettamente prevalente nei dialetti settentrionali, mentre il
pl. in -a prevale in area toscana e in maniera assoluta nel Meridione). non è
facile stabilire se la forma in -a di linzolu sia dovuta alla conservazione della
forma di pl. della base lat. lintĕŏlum o se si tratti di un processo flessivo in-
dipendente, determinatosi in uno strato già romanzo.
Per tabbutu ‘cassa da morto, bara’ (< arabo tābūt ‘idem’) il Plurale in -i
potrebbe essere il più antico, come farebbe pensare il fatto che esso è pre-
sente in documenti dell’inizio del XVII sec. (1625, Palermo, tavuti, Archi-

latino in epoca antica (gr. *τράπητον ‘idem’, lat. trapētum, Alessio 1947:
vio Storico Siciliano 30, 1905, 230). Trappitu ‘frantoio’, grecismo entrato in

493, VSES 2, 1082-1083), è registrato da Senisio 135 come un nome di Ge-


nere variabile, con differenziazione di significato: una forma masch. trappetus
è definita come «prelum … torcular, vel est proprie locus, quo olive pre-
muntur”», il neutro trapetum è «domus ubi teruntur olive vel mortarius ubi
teruntur herbaē», il femm. trapeta «mola olearia vel conca ubi teruntur oli-
ve». Il Genere neutro è attestato anche in documenti palermitani e mar-
chigiani del XV e XVI sec. (trapedum, trapetum ‘frantoio’, Sella 591). L’al-
lomorfia flessiva in rapporto al Genere potrebbe essere stata un fattore in-
fluente sull’odierno polimorfismo del Plurale. non si può escludere però
che anche in questo caso come in altri ad una forma trappiti, risultato di
una ridefinizione come maschile della base latina neutra, si sia venuta ad ac-
costare una forma trappita per effetto dell’attrazione analogica da parte di
altre parole trisillabe parossitone. Le varianti -i / -a per viddicu (vuddicu)
‘ombelico’ potrebbero aver avuto una trafila simile per quanto riguarda le
fasi romanze. Quale che possa essere stata la permanenza del Genere ma-
schile della base lat. umbilīcus, questa ha subìto per certo notevoli ri-
modellamenti nei registri popolari, che hanno dato luogo a numerose for-
me romanze, tra cui l’allotropo it. bellico, da confrontare alle forme sici-

67 nel Corpus ARTESIA su 177 occorrenze del lessema si hanno 174 forme in -a e solo tre
in -i.
Processi di pluralizzazione in siciliano 171

liane68. Quanto i fattori di struttura fonologica possano aver influito sullo


sviluppo, relativamente tardo, di un polimorfismo del Plurale, lo si può ve-
dere anche nella casistica relativa a parrinu ‘prete; padrino’, un normanni-
smo (< fr. ant. parrin ‘padrino’) che nei testi e documenti antichi ricorre fre-
quentemente col Plurale in -i (si veda la documentazione in VSES 2, 745-
746). La frequenza rilevante di scelte -a, sia primarie che secondarie, per il
Plurale di questo nome [+Animato] e [+Umano] conferma l’ipotesi che sia-
no in gioco fattori di morfologia prosodica che prendono il sopravvento su
quelli semantici.
Soltanto il tipo lessicale cat(u)oiu presenta una netta preponderanza della
flessione -i (quattro casi su sei)69. Il polimorfismo di quest’ultimo tipo po-
trebbe essere dovuto alla trasmissione di forme multiple del Plurale indotte

o di sostantivo (κατάγειος (agg.) / κατάγειον (sost.), κατώγαιος, κατώγειος 70 /


dall’oscillazione della base etimologica in funzione di aggettivo sostantivato

κατώγειον.

8.1.2. Le risposte degli informatori al questionario per i trisillabi parossitoni a


struttura X'CVCV
Riporto nella Tab. 17 le risposte ottenute per i lessemi trisillabi parossi-
toni con la sillaba tonica aperta.
Si noti che anche un nome a struttura X'CVCV animato e umano come
parrinu, con X = sillaba chiusa, presenta uno spiccato polimorfismo. L’uscita
-a è la variante unica in tre risposte su otto, è la variante secondaria rispetto
ad -i in tre su otto. Soltanto F dà come variante unica -i, mentre B accom-
pagna la sua risposta effettuando una distinzione che con terminologia lin-
guistica è riformulabile mediante l’opposizione tra un Plurale singolativo in
-i e un Plurale collettivo in -a. Il ventaglio di risposte degli informatori, in
ogni caso, sembra indicare che nella selezione della flessione del Plurale di
questo lessema entrino in gioco sia fattori fonologici che fattori semantici (si
veda Tab. 18).

68 Per la prima parte della parola l’oscillazione imb-, forma stigmatizzata, in luogo della for-

ma corretta umb- è attestata dall’Appendix Probi: si veda REW 9045; DEI 4, 2646; DELIN
1070; Caldarini Molinari 1970: 163). La forma it. aferetica bellico è già presente in Ristoro
d’Arezzo (DELIN 1070).
70 Κατώγαιος è glossato come ‘οἴκημα’, κατώγειος come ‘τόπος’ (Liddell / Scott 931). Per i
69 L’informatore B non conosce la parola.

numerosi continuatori del sostantivo neutro κατώγειον nelle parlate neogreche e romanze del
Meridione si veda LGII 227; De Bartholomaeis 1901: 337.
172 Rosanna Sornicola

Tabella 17 - Trisillabi parossitoni a struttura X'CVCV.


Processi di pluralizzazione in siciliano 173

Tabella 18 - Trisillabi parossitoni X'CVCV (PARRInU).

8.2. Trisillabi e tetrasillabi parossitoni con la sillaba tonica chiusa


Le parole che si conformano a questa struttura generale, pur con alcune
variazioni minori, tendono nettamente ad avere un pl. in -i. È dunque possi-
bile che, a differenza di quanto è emerso per i bisillabi parossitoni a sillaba
tonica chiusa, per i trisillabi e tetrasillabi parossitoni con le caratteristiche di
struttura fonologica menzionate esista una correlazione tra sillaba chiusa e
selezione del morfo del Plurale.
Sono però opportune alcune osservazioni preliminari. Anche in questo
caso ci troviamo davanti a basi di diversa origine e strato. Il tipo an(i)eddu,
panitaliano, occorre in testi letterari toscani antichi e di altra area talora con
un pl. anella, come del resto il tipo cut(i)eddu 71. Si noti ad ogni modo che
nel Corpus ARTESIA su 25 occorrenze di pl. del lessema anellu c’è una sola
forma in -a e 24 in -i. nel medesimo corpus su sette occorrenze del pl. di
cutellu si hanno solo forme in -i. Le risposte dei nostri informatori (Tab. 20)
che hanno indicato forme di pl. in -a sembrano dunque testimoniare l’avan-
zata di tali forme come una innovazione a partire da un più antico strato di
forme in -i. Del resto, tutto lascia pensare che le forme in -a, minoritarie,
per i nomi di animali cunigghiu e palummu (Tab. 20) siano delle innovazio-
ni a partire da forme in -i. Il pl. palumbi infatti è attestato da EneasXIVF e
da ConquestaXIVRT ed è l’unica forma attestata nel Corpus ARTESIA (21
occorrenze). In epoca moderna è un plurale del tutto regolare (si vedano i
punti sic. di AIS 1151 in cui compare il tipo lessicale).
Aggiungo qualche ulteriore dato etimologico su rastieddu (< rastellus,

vorare la terra’)72, cannistru (< cănistrum grecismo latino da κάναστρα ‘ca-


-i, diminutivo di raster / rastrum ‘rastro, rastrello a due o più rebbi per la-

nestro, cestello intrecciato di giunchi, per frutta, pane, fiori’, di Genere neu-

71 Per la documentazione delle forme anella, coltella, rinvio al Corpus TLIO, e inoltre a

GDLI 1, 462c, GDLI 3, 328c.


72 Si noti che anche rastrum è nome che segue un doppio schema di Genere e flessione:

masch. o neutro al sg., masch. al pl. (rastri).


174 Rosanna Sornicola

tro, pl. canistra, ma pl. canistri, Pall. nov. 17, 1); cannarozzo ‘canna della
gola; esofago’, formazione a partire dal lat. canna, panitaliana (VSES 1,
174-177; LEI 10, 1100-1103). Per le forme del pl. in -a si veda AIS 1033, al
punto cal. 762 e ai punti sic. 803, 821, 826, 836, 873, 896, in cui si osser-
vano forme pl. con valore di Singolare (sono da segnalare anche il punto cal.
765 con la forma pl. -i e il punto 771 con la forma -e).

8.2.1. Trisillabi parossitoni a struttura XVC:V


Per i trisillabi parossitoni a struttura XVT:S V sono state elicitate risposte
in cui prevalgono nettamente le uscite in -i, con l’uscita -a fortemente mino-
ritaria (4 su 16) e localizzata a due parlanti, E e G (Tab. 19):

Tabella 19 - Trisillabi parossitoni a struttura XVT:S V.

La stessa spiccata preferenza per l’uscita -i si riscontra per altre parole tri-
sillabiche parossitone in cui la penultima sillaba è chiusa dall’onset di una
geminata, con diverse caratteristiche della consonante doppia (Tab. 20). Si
possono riconoscere alcune tendenze relative alla provenienza geografica de-
gli informatori. I parlanti della Sicilia occidentale hanno tendenzialmente
una maggiore ricorrenza di scelte -a, come variante unica o secondaria, ri-
spetto a quelli del messinese. D’altra parte, i lessemi cutieddu, rastieddu han-
no ottenuto risposte -a trasversali alla suddivisione areale.
Una parola come cannistru (Tab. 21) ha una diversa struttura fonologica
rispetto ai lessemi dei gruppi precedenti, in virtù della seconda sillaba chiusa
da /s/ e della terza sillaba costituita da una sequenza di Consonante occlusi-
va + /r/ + Vocale. Come si può vedere, le risposte sono state fortemente po-
larizzate tra le due flessioni -i e -a. Si osservi tuttavia che esiste una asimme-
tria tra di esse: -i è stata elicitata tre volte come variante primaria, una come
variante secondaria, mentre -a tre volte come variante secondaria, una come
variante unica. Da rilevare anche l’incertezza di tre informatori, che non
danno alcuna risposta, un segno, di nuovo, della non compiuta morfologiz-
zazione delle forme del Plurale in siciliano.
Processi di pluralizzazione in siciliano 175

Tabella 20 - Trisillabi parossitoni XVC ( j):V.

Tabella 21 - Trisillabi parossitoni a struttura XVSCRV.


176 Rosanna Sornicola

Le risposte elicitate per i tetrasillabi parossitoni a struttura XVC:V sono


pressoché compattamente a favore dell’uscita -a 73 (Tab. 22). Si tratta di les-
semi le cui sillabe non finali hanno timbri vocalici diversi, e ciò induce ad
escludere che il timbro vocalico abbia qui una qualche influenza sulla scelta
del morfo del Plurale. Piuttosto, si potrebbe ipotizzare che la struttura paros-
sitona della parola, insieme al peso prosodico complessivo di quest’ultima,
formata da quattro sillabe, abbiano favorito la vocale finale -a, più pesante,
per una sorta di “bilanciamento” prosodico dei costituenti fonologici della
parola (si veda 10.1. e nota 84).

Tabella 22 - Tetrasillabi parossitoni a struttura XVC:V.

9. I proparossitoni
notiamo preliminarmente che, come per il gruppo dei parossitoni, sono
riunite in questo gruppo parole eterogenee dal punto di vista della loro storia:
1. Grecismi di mediazione latina o meno, sulla forma delle cui basi non
sempre possiamo avere certezze e che comunque, come altri grecismi e latini-
smi, potrebbero aver subìto sensibili perturbazioni di Genere in epoca tarda:

re fresca l’acqua’ (< lat. *bombyla ‘idem’, da un gr. βομβύλη ‘oil flask; casket for
bummulu ‘vaso di creta di forma panciuta e a collo lungo e stretto, per conserva-

unguents’)74, caccamu ‘albero da frutto, Celtis australis’ (< gr. bizant. κάκκαβος

bere’, dal gr. κάνϑαρος ‘idem’)76, (i)ammaru ‘gambero’ (< lat. gammărus,
‘nome di un albero’)75, cantaru ‘vaso da notte’ (< lat. canthărus ‘coppa per

forma iperurbana di cammărus ‘idem’ a sua volta dal gr. κάμμαρος)77.

73 Mancano le risposte di B a cui non è stato possibile somministrare questo gruppo di do-
mande.
74 Si veda VSES 1, 129-130; LGII 89.
75 Si veda VSES 1, 153-154; LGII 196.
76 Si veda VSES 1, 182-186; LGII 208.
77 Si veda DEI 3, 1757.
Processi di pluralizzazione in siciliano 177

2. Latinismi con metaplasmi di schema flessivo: ciciru (potrebbero essersi


confusi il tipo cĭcer, -ĕris e il tipo cĭcera, -ae, il primo denotante propria-
mente il cece, il secondo la cicerchia)78, trispitu ‘treppiede’ (< *trespĕde, for-
mazione popolare dall’agg. trĭpēs, -ĕdis ‘di tre piedi’, dovuta all’influenza
del numerale trēs)79.

perfici)’ (< ar. ṯumm ‘l’ottava parte’)80 e forse zaccanu ‘recinto per animali;
3. Arabismi, come tumminu (tummulu) ‘misura (di grano, legumi; di su-

fango; luogo sporco e disordinato’ (da confrontare all’ar. sakan ‘dimora’)81.


4. Formazioni deverbali, come r(i)epitu ‘pianto’ (da ripitari ‘piangere)82,
scaccanu ‘risata rumorosa o sgangherata’ (da scaccaniari ‘ridere rumorosamen-
te o sgangheratamente’)83, trivulu ‘travaglio, molestia, dolore, tribolazione’
(da trībulāre ‘trebbiare’ e nel lat. ecclesiastico ‘opprimere, tormentare’)84.
I risultati ottenuti con le risposte degli informatori confermano ancora
una volta che la scelta di flessione è poco o per niente influenzata dalle carat-
teristiche morfologiche e semantiche della base (si veda Tab. 23). Rispetto al
quadro sfaccettato emerso per i trisillabi parossitoni, in cui come si è visto un
ruolo significativo nella selezione del morfo del Plurale è giocato dalle pro-
prietà di peso della seconda o terza sillaba, le risposte ottenute per i propa-
rossitoni mostrano una notevole regolarità tendenziale a favore dell’uscita -i,
se si prescinde dalla propensione dell’informatore H a selezionare l’uscita -a.
Per i lessemi bummulu, trispitu, tummulu gli informatori mostrano una
propensione alla flessione -a, scelta preferenziale relativamente agli ultimi
due lessemi, più ridotta per quanto riguarda il primo. Questa propensione
non trova riscontro nei documenti antichi, in cui le parole in esame occorro-
no con il pl. in -i (si vedano le attestazioni raccolte da VSES, ss.vv.: bummu-
li, trispiti, tummini). È interessante che nel Corpus ARTESIA, a fronte di ben
204 occorrenze di pl. t(h)um(m)ini nel Caternu di Angelo Senisio (Caternu-
XIVR) e in altri documenti della fine del XIV secolo, ci siano 24 occorrenze
di t(h)um(m)ina, tutte (tranne una) più tarde di alcuni decenni. Ancora una
volta ciò farebbe pensare che l’avanzata della flessione -a non sia uno svilup-
po consolidato in una fase antica (si vedano anche le attestazioni del pl. cac-
cami in VSES, s.v. caccamu). Altra ragione sembra quella che sottostà alle più
sporadiche scelte delle forme cicira e e r(i)epita, per le quali si può pensare

78 AIS 1384 ‘i ceci’ presenta ciciri come il pl. diffuso quasi ovunque in Sicilia, ma al P. 838

registra insieme a questa forma a cicera, un sg. con valore di quantità multipla non numerabile,
che trova riscontro anche in Calabria al P. 752.
79 Si veda Alessio (1947:210); VSES 2, 1092.
80 Si veda VSES 2, 1119-1120.
81 Si veda VSES 2, 1198-1199.
82 Si veda VSES 2, 875-876.
83 Su questa voce rinvio a Sornicola (in c.s. [1]) e bibliografia ivi citata.
84 REW 8885; Alessio (1947: 210).
178 Rosanna Sornicola

all’espressione del valore semantico di quantità non numerabile, e alla scelta


di luvara effettuata dal solo informatore H, che come si è visto tende a so-
vraestendere la flessione -a.

Tabella 23 - Trisillabi proparossitoni.


Processi di pluralizzazione in siciliano 179

10. La struttura metrica delle parole e i suoi effetti sulla selezione del morfo del
Plurale

10.1. Stampi morfo-prosodici dei bisillabi


I risultati sinora emersi possono essere rappresentati facendo ricorso a
modelli di fonologia metrica, che permettono di pervenire a nuove genera-
lizzazioni85. I diagrammi utilizzati rappresentano degli stampi morfo-proso-
dici, in cui alla configurazione di struttura metrica sono associati i parametri
morfologici di forma flessiva della parola. La struttura della sillaba è organiz-
zata in O = onset e R = rima, articolata in n = nucleo (vocalico) e Co = coda
(quest’ultimo non è un costituente necessario, così come non lo è l’onset).
Queste rappresentazioni consentono di osservare meglio la correlazione tra
distribuzione del peso dei costituenti sillabici della parola e configurazione
metrica complessiva di quest’ultima, da un lato, e selezione di forma flessiva

I bisillabi a struttura metrica trocaica –́ ∪, con σ1 aperta, presentano una


dall’altro.

gamma di flessioni che ammette -a o -i. Per alcuni lessemi sono possibili en-
trambe le flessioni (catu, culu, scifu), mentre per altri solo, o preponderante-
mente, -a (filu, mulu, pilu, pusu), e per altri ancora solo -i, o eccezionalmen-
te -ira (sciatu, fietu)86 (Fig. 6):
σ1 σ2

O R O R

n n

C(C) V C V

Plurale -a/-i V(σ2) = -a/-i


Figura 6.

I bisillabi a struttura metrica trocaica –́ ∪ in cui σ1 è chiusa e ha la con-


sonante in coda diversa da quella in onset di σ2, presentano la -i finale, che
talora alterna con -ira ( furnu, muorvu, tuornu, cuntu, sciascu) (Fig. 7).

85 In questa sede non entro nel merito della questione teorica di come si debba rappresen-

tare l’unità metrica del piede, se con una rappresentazione bisillabica o trisillabica. Adotto qui
una rappresentazione semplificata.
86 Come si è visto, tr(u)onu ammette come pl. sia -a che -ira (si veda Tab. 1a).
180 Rosanna Sornicola

σ1 σ2

O R O R

n Co n

C(C) V C C V

Plurale -i/-ira V(σ2) = -i (-ira)


Figura 7.

metrica trocaica –́ ∪ con la coda di σ1 costituita dall’attacco di una conso-


La stessa selezione di morfi del Plurale è emersa per i bisillabi a struttura

nante geminata, la cui seconda fase è l’onset di σ2 (cuoppu, gruppu, giummu,


lemmu, suonnu) (Fig. 8):
σ1 σ2

O R O R

n Co n

C(C) V C: V

Plurale -i/-ira V(σ2) = -i (-ira)


Figura 8.

Il fatto che le parole con la struttura metrica data in Figg. 7 e 8 tendano


a non selezionare il morfo -a del Plurale (o a selezionarlo con minore fre-
quenza) non sembra fortuito. Abbiamo visto in 7.5. che la sillaba tonica
chiusa e il timbro della sua vocale del nucleo con valori alti di apertura sono

strutture sono caratterizzate da una σ1 pesante ed è possibile che ciò com-


fattori che tendono a impedire la selezione del morfofonema -a. Queste

porti una intolleranza ad una σ2 a sua volta “appesantita” da una vocale di


massimo grado di apertura come quella del morfo flessivo -a.
A questo riguardo si può ricordare l’esistenza di caratteristiche diverse del
peso prosodico delle qualità vocaliche, riscontrate in varie lingue del mondo,
che sono pertinenti all’analisi dei fenomeni che qui discutiamo. È stato in-
fatti riconosciuto da qualche tempo negli studi di fonologia prosodica (ben-
Processi di pluralizzazione in siciliano 181

ché la questione meriti ulteriori ricerche) che l’altezza della vocale è tenden-
zialmente correlata al peso prosodico di questa, in maniera che le vocali più
basse sono più pesanti di quelle alte87. nelle lingue in cui la quantità vocali-
ca non è fonologica questa tendenza universale trova articolazione secondo
una gerarchia di peso del nucleo sillabico, gerarchia alla cui estremità supe-
riore ci sono le vocali basse (più pesanti) e alla cui estremità inferiore ci sono
le vocali centrali (più leggere). Le vocali alte occupano la penultima posizio-
ne di rango inferiore88. Come ha osservato Gordon (2006: 128), “[this] pho-
nological hierarchy … may be regarded as a hierarchy of duration, since lo-
wer vowels characteristically are longer than higher vowels”. Queste caratte-
ristiche potrebbero aiutarci a comprendere perché nei bisillabi in presenza di
una sillaba iniziale pesante si tenda ad evitare un segmento fonologico finale
pesante, come / a /. In altri termini, il peso di qualità vocalica del segmento
fonologico finale sarebbe in rapporto alle caratteristiche di peso strutturale
complessivo della sillaba iniziale. Il modello che si può ricavare è che, a livello

Che la pesantezza di σ1 richieda un “contrappeso” in maniera da distri-


fonologico, la vocale finale sia un “contrappeso prosodico” sull’intera parola.

buire il carico prosodico complessivo della parola su ulteriore materiale fone-


tico sembra confermato dall’aggiunta di sillaba che si determina con l’uscita
-ira, allomorfo del Plurale caratteristico dei nomi in esame. L’alterazione di
struttura fonologica che interviene nella formazione del Plurale in -ira dei
nomi che hanno la struttura data nelle Figg. 7 e 8 può essere rappresentata

dattilica –́ ∪∪ (Fig. 9):


come una trasformazione dei bisillabi trocaici in trisillabi a struttura metrica

σ1 σ2 σ3

O R O R O R

n Co n

C(C) V C C V C V
Figura 9.

La trasformazione di struttura da bisillabi trocaici che hanno la configura-


zione in Fig. 6 a trisillabi dattilici è possibile, ma molto sporadica (Fig. 10).

87 Si veda Kenstowicz (1997), Gordon (2006: 90-95, 123-128, 154-158), Gordon (2016:
184).
88 Si veda Gordon (2006: 90-95), Gordon (2016: 184).
182 Rosanna Sornicola

σ1 σ2 σ3

O R O R O R

n n n

C(C) V C V C V

Plurale -i V(σ3) = -i
Figura 10.

quentemente con i bisillabi che presentano σ1 con una coda consonantica dà


Che la propagginazione di una terza sillaba si determini molto più fre-

ulteriore fondamento all’ipotesi che esista un peso prosodico complessivo della


parola che richiede delle “compensazioni” di equilibrio metrico89, ferme re-
stando le caratteristiche accentuali (in questo caso l’accento rimane sulla prima
sillaba, ma il risultato è che la parola diventa un trisillabo proparossitono)90.

10.2. Differenze tra i trisillabi parossitoni e i trisillabi proparossitoni nella sele-


zione dei morfi del Plurale
10.2.1. Stampi morfo-prosodici dei trisillabi parossitoni
Come si è visto in § 8., dall’analisi delle risposte al questionario è emer-
so che i trisillabi parossitoni e i trisillabi proparossitoni hanno proprietà di
selezione del plurale con tendenze nettamente differenziate. Esamineremo
ora queste proprietà in rapporto agli stampi prosodici dei rispettivi gruppi di
parole.
I trisillabi parossitoni si distinguono nei seguenti gruppi individuati dalla
configurazione sillabica complessiva:
1. C(C) V + CV + CV (cufínu, panàru, etc.);
2. V + CVC + CV (tipo: anieddu);

89 Per una prima discussione di questi fenomeni di morfologia prosodica rinvio a Sornicola

(2006: 405-407). Intendo ritornare altrove su questo problema in maniera più dettagliata e si-
stematica.
90 Che il fenomeno riguardi specialmente i bisillabi è stato segnalato anche da Tuttle (1990:

97) e da Retaro (2013: 210) nella sua ricerca sulla formazione del Plurale nelle varietà della Sicilia
centrale. Al riguardo Retaro (2013: 210) osserva: «Dal punto di vista prosodico, si è evidenziata
una preferenza per le basi bisillabiche ad acquisire il morfo -ora (…), ma non mancano nelle in-
terviste forme in -ora in lessemi che al singolare hanno struttura trisillabica». Interessante è anche
la sua osservazione che l’alternanza -a/-ora sia correlata all’alternanza − metafonia/+ metafonia.
Processi di pluralizzazione in siciliano 183

3. CV + CVC + CV (tipi: capicchiu, capiddu, cavaddu, cutieddu, rastied-


du, cunigghiu, palummu);
4. (C)CCV + CVC + CV (tipi: scravagghiu, travagghiu) (con la conso-
nante nella coda della seconda sillaba diversa o uguale rispetto alla
consonante nell’onset della terza sillaba);
5. (C)VC + CV + CV (armàlu, sintòmu, pirtúsu, etc.);
6. CVC + CVC + CV (tipi: curtigghiu, marruggiu, virticchiu).
Il gruppo 1. quindi ha parole costituite da sole sillabe aperte, il gruppo
2. ha parole la cui prima sillaba è aperta e la sillaba tonica è chiusa, i gruppi
3. e 4. hanno parole con la prima sillaba aperta e la sillaba tonica chiusa, i
gruppi 5. e 6. hanno sia la prima sillaba che la sillaba tonica chiuse. Pertan-
to, per quanto riguarda le caratteristiche della prima sillaba, esistono delle
affinità tra i gruppi 1., 2., 3. e 4., a struttura (C) (C) (C) V, in contrapposi-
zione ai gruppi 5. e 6., a struttura (C) V C. D’altra parte, per quanto riguar-
da le caratteristiche della seconda sillaba, portatrice di accento, esistono delle
affinità tra il gruppo 1. e il gruppo 5., a struttura C V, in contrapposizione
ai gruppi 2., 3., 4. e 6., a struttura C V C. Come vedremo, è questo secondo
tipo di affinità di struttura fonologica a giocare un ruolo di rilievo nella co-
stituzione dello stampo morfo-prosodico. nella discussione che segue l’esa-
me delle rappresentazioni morfo-prosodiche sarà dunque organizzato secon-
do l’ordine dei gruppi 1. e 5. e poi 3., 2., 4. e 6.

tabile con una struttura metrica anfibraca ∪ –́ ∪. Essi selezionano pressoché


I trisillabi del gruppo 1. hanno una configurazione fonologica rappresen-

regolarmente il morfo del plurale -a, come è rappresentato dallo stampo


morfo-prosodico in Fig. 11a:
σ1 σ2 σ3

O R O R O R

n n n

C(C) V C V C V

Plurale -a V(σ3) = -a
Figura 11a.

struttura metrica anfibraca ∪ –́ ∪ rappresentabile con uno stampo morfo-


I trisillabi del gruppo 5. (armàlu, sintòmu, pirtúsu) hanno anch’essi una

prosodico a Plurale in -a (Fig. 11b).


184 Rosanna Sornicola

σ1 σ2 σ3

O R O R O R

n Co n n

C V C C V C V

Plurale -a V(σ3) = -a
Figura 11b.

trica anfibraca ∪ –́ ∪ e selezionano pressoché regolarmente il Plurale in -i, per


I trisillabi del gruppo 3. (capicchiu, capiddu, etc.) hanno una struttura me-

cui si ha lo stampo morfo-prosodico rappresentato in Fig. 12a. È uno stam-


po che differisce minimamente da quelli che si possono porre per i gruppi 2.
e 4, diversi solo nella configurazione della sillaba pretonica (Figg. 12b, 12c).
Infine, le parole del gruppo 6. (tipo marruggiu) hanno lo stampo morfo-
prosodico rappresentato in Fig. 13.
σ1 σ2 σ3

O R O R O R

n n Co n

C V C V C: V

Plurale -i V(σ3) = -i
Figura 12a.

σ1 σ2 σ3

O R O R O R

n n Co n

(C)(C)C V C V C: V
Figura 12b.
Processi di pluralizzazione in siciliano 185

σ1 σ2 σ3

R O R O R

n n Co n

V C V C: V
Figura 12c.

σ1 σ2 σ3

O R O R O R

n Co n Co n

C V C: V C V
Plurale -i V(σ3) = -i
Figura 13.

evidenza che, quale che sia il peso della sillaba pretonica σ1, esiste un rappor-
Le rappresentazioni delle Figg. 11a, 11b, 12a, 12b, 12c e 13 mettono in

to tra peso della sillaba portatrice dell’accento (la seconda) e selezione del
morfo del Plurale. In particolare, se la sillaba portatrice di accento è aperta (e
quindi leggera), la vocale della sillaba finale tende ad essere -a in maniera as-

sante, la vocale della sillaba finale σ3 è in maniera assoluta o di gran lunga


soluta o di gran lunga preponderante, se la sillaba portatrice di accento è pe-

preponderante -i. Questa regolarità presenta della interessanti differenze ri-


spetto a quanto è emerso per i bisillabi parossitoni. In quel caso infatti se la
prima sillaba, portatrice di accento, è chiusa (e quindi pesante), la tendenza
alla selezione di un Plurale in -i è meno netta. Una ulteriore differenza tra le
due casistiche consiste nel fatto che per i trisillabi parossitoni la cui sillaba
portatrice di accento è pesante non si riscontra l’allomorfo compensativo
-ira. Ciò farebbe pensare che la struttura trisillabica sia di per sé una confi-
gurazione più “in equilibrio” prosodico e che non richieda quindi una com-
pensazione mediante aggiunta di una propaggine sillabica.
Il fatto che i tetrasillabi parossitoni come vavar(u)ozzu tendano ad assu-
mere il morfo -a in maniera piuttosto regolare, nonostante la sillaba tonica
sia chiusa, induce a riflettere sul possibile rapporto tra pesantezza della silla-
ba tonica, sua posizione, struttura metrica complessiva della parola e pro-
186 Rosanna Sornicola

prietà fonologiche della forma flessiva. Una sequenza di sillaba tonica che (a)
occupa la penultima casella sillabica, (b) è preceduta da due sillabe, di cui la
prima ha accento secondario, (c) è seguita da una sillaba finale che contiene
una vocale pesante -a come forma flessiva, potrebbe avere un equilibrio pro-
sodico che una struttura metrica trisillabica non ha.

10.2.2. Stampi morfo-prosodici dei trisillabi proparossitoni

dattilica –́ ∪∪. Essi sono riconducibili a tre gruppi rispetto alla struttura fo-
I trisillabi proparossitoni sono rappresentabili con una struttura metrica

nologica:
7. C(C)V + CV + CV (nòlitu, líninu);
8a. C(C)VC + CV + CV (tríspitu, nfànfaru);
8b. medesima struttura di 8a, ma con la consonante della coda della pri-
ma sillaba che è l’onset di una geminata la cui fase finale è l’onset della se-
conda sillaba (scàccanu, zàccanu).
La rappresentazione del gruppo 7. è data in Fig. 14:
σ1 σ2 σ3

O R O R O R

n n n

C(C) V C V C V
Plurale -i V(σ3) = -i
Figura 14.

La rappresentazione del gruppo 8a è data in Fig. 15a:


σ1 σ2 σ3

O R O R O R

n Co n n

C(C) V C C V C V
Plurale -i V(σ3) = -i
Figura 15a.
Processi di pluralizzazione in siciliano 187

La rappresentazione del gruppo 8b è data in Fig. 15b:


σ1 σ2 σ3

O R O R O R

n Co n n

C(C) V C: V C V
Plurale -i V(σ3) = -i
Figura 15b.

Le rappresentazioni delle Figg. 14-15a, 15b rendono evidente che, quale


che sia la struttura della sillaba portatrice di accento, il morfo del Plurale se-
lezionato è sempre -i. Ciò induce a ipotizzare che sia attiva una condizione
prosodica indotta dall’accento in posizione di sillaba iniziale di parola trisil-
labica che non favorisce il plurale in -a.

11. L’influenza dell’identità di schemi prosodici sulla formazione di stampi fles-


sivi regolari
11.1. Il Plurale in -a come regolarità assoluta: uguaglianza di stampo flessivo tra
tipi nominali con suffissazione e tipi a conguaglio tra flessione e derivazione
Consideriamo ora i nomi trisillabi e tetrasillabi la cui morfologia è analiz-
zabile in una base nominale o verbale + suffisso, come nei tipi caliaturi, muz-
zicuni, putiaru, o come una struttura con conguaglio di flessione e derivazio-
ne (tipi dutturi, latruni, patruni). È evidente che le storie etimologiche dei
due gruppi sono diverse, dal momento che nel secondo gruppo ciò che oggi
potrebbe essere analizzato dai parlanti come un elemento suffissale è parte
della base etimologica del continuatore romanzo in cui il suffisso si è lessica-
lizzato (la casistica è ulteriormente differenziata in sede etimologica rispetto
a basi che in latino erano il risultato di processi derivazionali, come doctor,
patrōnus, piscātor, e basi la cui forma risale ad un tema alternante in rap-
porto a processi flessivi, come latron-, tema dei Casi obliqui di latro).
Molti dei tipi a suffisso derivazionale sono di formazione più o meno recen-
te. Si tratta di formazioni con un certo grado di produttività e con caratteri-
stiche semantiche diverse del suffisso e del derivato a cui questo dà luogo:
-turi si unisce a basi verbali, ha valore strumentale e denota oggetti (caliaturi,
rascaturi, etc.), -uni si salda a basi verbali e dà luogo a nomi astratti che de-
188 Rosanna Sornicola

notano il risultato dell’azione espressa dalla base verbale (muzzicuni), -aru si


salda a basi nominali (pagghiaru, tilaru). Come è chiaro, queste diverse carat-
teristiche semantiche comportano tratti diversi della gerarchia di Animatez-
za, una diversità che aumenta ulteriormente quando si considerano i nomi
che in diacronia hanno lessicalizzato un suffisso etimologico o un tema alter-
nante (si tratta spesso infatti di nomi con i tratti [+Animato], [+Umano]).
Ebbene, nonostante le diversità di natura etimologica e semantica ora di-
scusse, tutti i nomi dei gruppi menzionati presentano una assoluta regolarità
della flessione -a, come hanno compattamente confermato le risposte degli
otto informatori a cui ho somministrato il questionario. Si conformano a
questo stampo anche i nomi a struttura trisillabica parossitona, privi del tut-
to di elemento suffissale, come culuri, duluri. Vediamo qui una delle caratte-
ristiche di flessione più originali del siciliano. Come si può giustificare que-
sta regolarità? In base alle correlazioni individuate tra struttura fonologica e
prosodica della parola e flessione del Plurale, è possibile a mio avviso avanza-
re una ipotesi che chiama in causa l’influenza degli schemi di struttura fono-
logico-prosodica sulla selezione di forme flessive. Tutti i nomi qui menzio-
nati sono trisillabi o tetrasillabi parossitoni con la sillaba tonica aperta. Essi
si conformano quindi agli stampi morfo-prosodici 11a o 11b, che come ab-
biamo visto presentano una regolarità estremamente alta di scelte di flessione
-a del Plurale.
L’accettazione di questa ipotesi ha implicazioni piuttosto generali, per-
ché conferma che gli schemi flessivi, il cui insieme è tradizionalmente ritenu-
to uno dei sottosistemi morfologici a più alta autonomia, possono essere
controllati in maggiore o minore misura da sottosistemi linguistici indipen-
denti dal livello morfologico. Sebbene nelle teorie “non autonomistiche”
della morfologia flessiva, abbia ricevuto molta attenzione l’interfaccia di
morfologia e semantica, rimangono ancora da esplorare diversi aspetti relati-
vi all’interfaccia di morfologia e fonologia, e in particolare di morfologia e
prosodia.

12. Problemi di rappresentazione morfologica


12.1. Alcune questioni teoriche
Possiamo a questo punto riconsiderare i due problemi sollevati all’inizio
del lavoro: 1. Quante e quali sono le classi flessive del siciliano? 2. Come è
strutturato il paradigma di Genere del siciliano e, in particolare, esistono le
condizioni per individuare un Genere neutro?
Comincio con l’osservare che, come è stato giustamente sostenuto nella
bibliografia di morfologia teorica, il rapporto tra classe flessiva e Genere non
è di corrispondenza biunivoca, in altri termini, ad una medesima classe fles-
Processi di pluralizzazione in siciliano 189

siva possono appartenere lessemi con diverso valore di Genere e, per conver-
so, un medesimo Genere può essere associato a classi flessive diverse 91. Inol-
tre, come è stato sostenuto da Aronoff (1994: 71), mentre le classi flessive
«neither mediate between morphology and another linguistic level nor have
any sustantial properties characteristic of another», e quindi fanno parte di
quel livello di morfologia autonoma che egli definisce “morphology by it-
self ”, i Generi sono delle “proprietà morfosintattiche”, che giocano un ruolo
per certi versi indiretto in morfologia, quello di attivare le regole morfosin-
tattiche che assegnano la classe flessiva a nomi e aggettivi (Aronoff 1994:
71). Sorgono qui alcune questioni interessanti ma spinose di teoria morfolo-
gica, la cui ricaduta sulla casistica del siciliano di cui ci siamo occupati solle-
va più problemi di quanti ne risolva. La prima riguarda la definizione di
“classe flessiva” come «a paradigm of pairs of particular morphosyntactic
property arrays and particular realizations» (Aronoff 1994: 79-80). Questa
definizione implica un punto importante: affinché ci sia una classe flessiva la
distribuzione degli affissi nella lingua deve essere paradigmatica (ciò è affer-
mato esplicitamente da Aronoff 1994: 78, a proposito della casistica del-
l’ebraico moderno, che non soddisfa questa condizione). Se interpreto bene
la concezione dello studioso statunitense, dunque, affinché si possa contem-
plare una classe flessiva deve esserci una corrispondenza regolare di realizza-
zioni flessive (gli affissi) definita su un insieme di lessemi 92.
Per quanto riguarda il Genere, è comunemente accettata la definizione
di questa categoria in base alle proprietà sintattiche di concordanza di un
controllore, il nome, e di una unità target, l’aggettivo (si veda Corbett 1991:
145-188). Questa definizione, per molti versi tradizionale, non è esente da
difficoltà di natura teorica. La questione richiederebbe un esame più ampio e
dettagliato di quanto qui mi sia consentito 93. In questa sede mi limito ad os-
servare che, anche se esistono sue rilevanti manifestazioni sintattiche come la
concordanza, tipologicamente determinate, il Genere è una proprietà intrin-
seca del controllore. Il fatto che esso sia difficilmente prevedibile o riconosci-
bile in assenza di queste manifestazioni non deve far dimenticare che la sua
natura più profonda risiede in un complesso intreccio di caratteristiche se-
mantiche e fonologiche inerenti al nome, e che il rapporto con caratteristi-
che morfologiche come la classe flessiva e sintattiche come la concordanza è
solo una correlazione (manifestazione) secondaria che riguarda il livello della
realizzazione.

91 Si veda Aronoff (1994: 63, 105, 121). Cfr. il punto di vista in parte diverso di Corbett

(1991: 49-50 e 146-147).


92 Si veda Aronoff (1994: 64): «An inflectional class is a set of lexemes whose members

each select the same set of inflectional realizations».


93 Ho discusso in maniera più articolata questi problemi in Sornicola (in c.s. [2]).
190 Rosanna Sornicola

12.2. Le classi flessive del siciliano


nei paragrafi precedenti abbiamo provvisoriamente individuato i seguen-
ti gruppi di parola in base a criteri multipli, fonologici, semantici e morfolo-
gici e in qualche caso (A1, A2) tenendo conto anche di proprietà diacroniche:
A1. nomi bisillabici parossitoni con il tratto [-Animato], che regolar-
mente hanno sg. in -u e pl. in -a (sono nomi che hanno corrispondenti
nell’area italoromanza antica e moderna).
A2. nomi trisillabi parossitoni con il tratto [-Animato], che regolarmen-
te hanno sg. in -u e pl. in -a (sono nomi che hanno corrispondenti nell’area
italoromanza antica e moderna).
B. nomi trisillabi parossitoni con sillaba tonica aperta e a schema proso-
dico anfibraco, a pl. in -a.
C. nomi trisillabi con sillaba tonica aperta e a schema prosodico anfibra-
co, che hanno regolarmente sg. in -i e pl. in -a. Confluiscono qui sotto-classi
ibride dal punto di vista dei tratti semantici (alcuni presentano valori elevati
nella gerarchia di Animatezza, altri valori bassi) e delle caratteristiche di
struttura morfologica (parole con suffisso derivazionale diverso).
D. nomi trisillabi proparossitoni a schema dattilico, che hanno regolar-
mente il sg. in -u e il pl. in -i.
Tra questi gruppi sussistono differenze di criterio di individuazione: i
nomi in A1 e A2 sono individuati in base a criteri diacronici, e mostrano un
certo ibridismo di proprietà fonologiche (prevalgono i bisillabi proparossito-
ni in A1 rispetto ai trisillabi proparossitoni in A2); i nomi in B e C, che pur
condividono le proprietà di forma flessiva con quelli in A1 e A2, sono però
individuati esclusivamente su base fonologica, trattandosi come si è detto in
entrambi i casi di trisillabi parossitoni con sillaba tonica aperta e a schema
prosodico anfibraco. Esistono inoltre differenze di cronologia, in base a cui
si possono distinguere lessemi di uno strato antico rispetto a lessemi di uno
strato relativamente moderno. I nomi in A1 e A2 appartengono ad uno strato
italoromanzo conservativo, nel suo nucleo originario in rapporto alla conti-
nuazione di forme del neutro Plurale latino, benché non privo di innovazio-
ni romanze. Il siciliano moderno ha infatti regolarizzato le fluttuazioni -i / -a
ancora visibili nei testi letterari antichi, come del resto nei testi letterari anti-
chi di altre aree, e ha esteso lo stampo flessivo in -a ad ulteriori lessemi ri-
spetto alle varietà peninsulari moderne 94. È presumibile invece che lo strato
di nomi in B sia relativamente moderno (forse successivo al XIV secolo, se la
testimonianza della documentazione letteraria si può assumere come indizio
diretto, il che non è scontato). Questo strato, fondamentalmente composto
da nomi con il tratto [-Animato], può avere esercitato una attrazione sui no-

94 Su questo problema si veda Kupsch (2013: 16-17), Tuttle (1990: 95).


Processi di pluralizzazione in siciliano 191

mi trisillabici di altra configurazione morfologica e con il tratto [+Animato],


ma con la medesima struttura prosodica e sillabica (gruppo C).
A partire dai raggruppamenti provvisori sopra effettuati, bisogna ora
porre il problema della determinazione delle classi flessive. Si tratta di un
procedimento che richiede la creazione di tassonomie sincroniche (lo abbia-
mo visto considerando la concezione di Aronoff ), operazione che di per sé
esclude il ricorso a criteri diacronici e che non è incontrovertibile. Un pro-
blema rilevante che si pone, infatti, è la possibile sovra- o sotto-rappresenta-
zione delle classi.
In base alla tesi di fondo qui sostenuta, ovvero che la determinazione
delle classi flessive del siciliano debba tenere conto in maniera congiunta del-
le proprietà di forma flessiva e di quelle di struttura fonologica della parola
(si veda avanti), è lecito concludere che il gruppo A1 formi una classe flessiva
V, mentre i gruppi A2 e B formino nella odierna sincronia una unica classe
flessiva (VI). Il gruppo C potrebbe costituire una classe flessiva a sé, articola-
ta in diverse sottoclassi in base a criteri morfologici (classe VII).
Altre conclusioni sono quelle relative ai nomi del gruppo D. Pur essendo
contraddistinti da proprietà di forma flessiva uguali rispetto alla classe II ini-
zialmente definita in § 1., si può pensare che essi formino una ulteriore clas-
se (VIII) in virtù delle loro caratteristiche morfo-prosodiche peculiari.
Da questo quadro restano fuori i bisillabi a varianti flessive multiple e
più in generale i nomi di varia struttura fonologica a spiccato polimorfismo,
la cui assegnazione a classi flessive definite in senso paradigmatico è quanto-
meno problematica. È evidente che queste casistiche, che mostrano un non
trascurabile stato di fluidità dinamica della selezione di morfi del Plurale nel-
la odierna sincronia del siciliano, non si conformano in maniera soddisfa-
cente ai modelli morfologici correnti. Ciò è tanto più vero se si considerano
le numerose incertezze emerse nelle risposte degli informatori soprattutto ri-
guardo ai nomi di questi gruppi, possibile spia, a seconda dei casi, tanto di
un lento dissolversi di stati più antichi, di cui i parlanti hanno pur memoria,
tanto di sviluppi innovativi. Come sempre, la considerazione delle dinami-
che sia sincroniche che diacroniche pone delle sfide alle teorie strutturali95.
Ci dovremmo rassegnare a trattare i casi sopra menzionati alla stregua di ir-
regolarità lessicali, come tali non prevedibili da parte della teoria e quindi
rappresentabili da un marcamento idiosincratico dei singoli lessemi? Sareb-
be, a mio avviso, anche questa una soluzione poco soddisfacente, tanto più

95 Si veda ad esempio Corbett (1991: 310-318). Lo studioso britannico sottolinea la neces-

sità di studi del Genere che tengano conto delle dinamiche diacroniche, riconoscendo che la
comprensione di queste permette anche una migliore intelligenza delle proprietà non sempre
chiare di individuazione della categoria in situazioni sincroniche. Un richiamo alla rilevanza di
considerazioni diacroniche si trova anche in Acquaviva (2003: 159).
192 Rosanna Sornicola

che si tratterebbe di contrassegnare i singoli lessemi come polimorfici nel


Plurale, il che aggiungerebbe poco alla semplice descrizione dei dati.
nel complesso, dal punto di vista puramente fonologico, l’insieme dei
micro-paradigmi delle classi flessive I-VIII mostra una peculiare ipodifferen-
ziazione di forme al Singolare, che ammette solo i morfi -u e -i, -a, e ancor
di più al Plurale, con i soli morfi -i e -a, il che è un effetto della ipodifferen-
ziazione del sistema del vocalismo atono finale.
Maschile / neutro? Femminile
SG -u / PL -i SG -u / PL -a SG -a / PL -i
SG -i / PL -i SG -i / PL -a SG -i / PL -i
Si può sostenere, ad ogni modo, che la rappresentazione morfologica
delle classi flessive del siciliano richieda una descrizione più complessa del
semplice appaiamento paradigmatico di uscite flessive del Singolare e del
Plurale, e della mera lista di irregolarità flessive trattate come proprietà idio-
sincratiche del lessico. Sia pure con margini di fluttuazione la cui portata de-
ve essere ulteriormente compresa a partire da ricerche sul campo, si può dire
che esistano classi flessive del siciliano individuate da una rappresentazione
morfologica multistratica che accoppia uscite flessive del Singolare e del Plu-
rale e proprietà di stampo prosodico. Sembra particolarmente interessante
che questa rappresentazione, oltre a offrire dei criteri di riconoscimento e
previsione della classe flessiva, possa ricapitolare anche la diacronia di alcune
delle classi flessive individuate.

12.3. I valori di Genere del siciliano


Se si accetta il quadro teorico di una definizione del Genere in termini
morfosintattici, dovremmo concludere che non c’è dubbio che il siciliano
presenti una struttura dei valori di Genere bipartita in Maschile e Femmini-
le, così come è stato sostenuto da Meyer-Lübke e da altri studiosi, dal mo-
mento che sono solo questi tratti del nome a indurre delle marche di accor-
do congruenti sul target aggettivale 96.

96 notiamo che l’insieme di micro-paradigmi di forme flessive di concordanza del target è

asimmetrico rispetto al numero: come l’insieme di micro-paradigmi flessivi del controllore è


ipodifferenziato al Singolare, ma si distingue perché è del tutto indifferenziato al Plurale:
Singolare
-u (per tutte le classi di Genere Maschile del controllore e per tutti i targets aggettivali della
I classe)
-a (per tutte le classi di Genere Femminile del controllore e per tutti i targets aggettivali del-
la I classe)
-i (per tutte le classi di Genere Maschile e Femminile del controllore e per tutti i targets ag-
gettivali della II classe).
Processi di pluralizzazione in siciliano 193

Tuttavia la soluzione di un Genere bipartito Maschile / Femminile, ol-


tre ad essere fondata su una assunzione teorica che si è già dichiarata non
inoppugnabile (il carattere morfosintattico del Genere), non può rendere
conto di una serie di risultati emersi in questo lavoro. Si è visto infatti che la
maggior parte dei molti nomi a Plurale in -a hanno un tratto semantico in-
trinseco di non Animatezza, tratto che si associa a sua volta in numerosi ca-
si alle caratteristiche di struttura prosodica esaminate in § 10. Gli informa-
tori sono ben consapevoli di questo tratto, così come di un valore collettivo
(o talora duale) dei nomi a Plurale in -a. Ebbene, i tratti semantici [non
Animato], [Collettivo], [Duale] formano una ben nota costellazione di valo-
ri del neutro in diverse lingue del mondo97. Si potrebbe dunque sostenere
che i tratti semantici menzionati, e specialmente la non Animatezza e il va-
lore collettivo, siano il nucleo di un terzo Genere, latente in siciliano, che ha
affinità con il neutro. Questa tesi riceve sostegno dalla già osservata consa-
pevolezza dei valori in esame dimostrata dagli informatori per quanto ri-
guarda i nomi a Plurale in -a. naturalmente, il carattere latente del valore
neutro non è facilmente gestibile in teorie del Genere che privilegiano gli
aspetti compiutamente codificati, e perciò discreti e stabili, della rappresen-
tazione categoriale. Tutto sommato però mi sembra che prevalgano le ra-
gioni per ritenere che in siciliano il Genere neutro non sia semplicemente
relittuale.
La soluzione ora avanzata è comunque a mio avviso preferibile ad un’al-
tra, quella che fa ricorso al concetto di “inquorate Gender” definito da Cor-
bett (1991: 170) come il Genere «postulated on the basis of an insufficient
number of nouns, which should instead be lexically marked as exceptions».
Una soluzione simile potrebbe forse essere prospettata soprattutto per i no-
mi sopra etichettati in A1 e A2 (classi V e VI), che come si è detto apparten-
gono ad un fondo italoromanzo antico a Plurale in -a obbligatorio o opzio-
nale. Il fatto è però che questi nomi non costituiscono un insieme esiguo, e
in siciliano moderno formano un gruppo ancora più folto che in altre aree
italiane (assumendo tra l’altro la flessione -a in maniera del tutto regolare)98.
L’“inquorate Gender”, semmai, può essere invocato per i nomi dell’italiano
moderno come braccio / braccia, calcagno / calcagna, etc. (il che non è scon-
tato, dato il carattere opzionale della flessione -a e l’alternarsi di questa con

Plurale
-i (per tutte le classi di Genere Maschile e Femminile del controllore e per tutte le classi di
target aggettivale).
97 Si vedano, oltre ai classici articoli di Meillet (1921), (1958), le discussioni di Acquaviva

(2003: 149-161) e Loporcaro (2018: 26-29, 145-154).


98 Lo stesso Corbett (1991: 170-175) riconosce la difficoltà di postulare l’“inquorate Gen-

der” in casi in cui i lessemi con un determinato comportamento morfologico non siano un nu-
mero del tutto esiguo.
194 Rosanna Sornicola

la flessione -i in maniera differenziatrice di significato)99. Questa soluzione


mi sembra però improponibile per il siciliano, tanto più che lo schema flessi-
vo -u / -a ha avuto una notevole diffusione attraverso il lessico.
Rimangono indubbiamente sul tappeto alcuni problemi. Il primo riguar-
da il fatto che un ruolo importante nella proliferazione della flessione pl. -a a
lessemi nominali l’hanno avuto in diacronia i fattori fonologici e che tali fat-
tori siano nella odierna sincronia del siciliano parte integrante della confor-
mazione sistemica delle classi flessive, come si è cercato di dimostrare. Si è ri-
cordato precedentemente che Genere e classe flessiva hanno una intersezione
parziale. I dati del siciliano rivestono un notevole interesse teorico nella mi-
sura in cui (a) confermano il carattere problematico della intersezione di Ge-
nere e classe flessiva; (b) permettono di studiare in dettaglio la natura ibrida
del Genere, con la sovrapposizione di fattori semantici e fattori fonologici
che può dar luogo a sistemi categoriali dinamici; (c) mostrano la possibilità
di una forte interazione dei fattori prosodici sulle strutture flessive, che sono
considerate in molte teorie tipiche della morfologia autonoma.
Il secondo problema riguarda il fatto che ciò che abbiamo chiamato “neu-
tro latente” in siciliano si manifesta in maniera asimmetrica nell’associazione
di Genere e numero. Una parte rilevante di questa conformazione sistemica
è il risultato di processi fonetici in diacronia, ma ciò esaurisce solo in parte la
spiegazione dell’odierno stato del sistema. Anche in questo caso il Genere,
una categoria i cui contorni non sono del tutto chiari e che merita nuova at-
tenzione, mostra la sua caratteristica di formare paradigmi irregolari.
Università di napoli Federico II Rosanna Sornicola
sornicol@unina.it

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99 Di questo avviso sono Acquaviva (2003: 160), Loporcaro (2018: 86-87).


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Riassunto / Abstract
Questo lavoro esamina in prospettiva sincronica e diacronica la morfologia del
Plurale di alcune classi di nomi del siciliano: (1) i nomi che al sing. hanno la forma
flessiva -u e al pl. -a o -i e talora -ira (-ura), e (2) i nomi con varia suffissazione
(-àru, -túri, -úni), che presentano con elevata regolarità il pl. in -a. Gli schemi mor-
fologici sono analizzati tenendo conto delle proprietà di Animatezza dei nomi. Due
problemi di natura teorica sono posti in via preliminare: la determinazione delle
classi flessive e la struttura della categoria di Genere in siciliano. Dopo un riesame
critico di alcune spiegazioni avanzate sugli schemi di pluralizzazione, caratterizzati
da spiccato polimorfismo e apparente irregolarità, si presentano i risultati di una in-
chiesta condotta su otto informatori di diversa area, che ha avuto lo scopo di elicita-
re le forme del plurale di una lista di lessemi che appartengono alle classi flessive
considerate. In base ai dati ottenuti emerge che nelle varietà del siciliano moderno
esistono processi flessivi piuttosto regolari che differenziano i lessemi a struttura bi-
sillabica da quelli a struttura tri- e tetrasillabica e, all’interno di questo gruppo, i les-
semi parossitoni rispetto ai proparossitoni. Una delle tesi centrali qui sviluppate è
che alcune proprietà prosodiche giocano un ruolo rilevante nella selezione dei morfi
del Plurale. nella sincronia odierna, tali proprietà si possono rappresentare attraver-
so stampi di morfologia prosodica, cioè coppie di proprietà fonologico-prosodiche e
di flessione di numero, che caratterizzano i processi di pluralizzazione. Le risposte
ottenute per i lessemi esaminati sono state confrontate con i dati disponibili per i
medesimi lessemi in siciliano antico: Ciò permette: a) di individuare gruppi di les-
200 Rosanna Sornicola

semi con diverse caratteristiche in diacronia; b) di desumere che la sensibile diffu-


sione di -a, uno dei morfi flessivi di plurale, sia presumibilmente in siciliano un fe-
nomeno successivo al XIV-XV secolo e che in tale diffusione le caratteristiche pro-
sodiche siano state fondamentali. Il lavoro si conclude con delle considerazioni sulla
rappresentazione delle classi flessive del siciliano, di cui si propone un modello tas-
sonomico, e con una discussione sulla categoria di Genere del siciliano, per la quale
si avanza la nozione di “neutro latente”.

This paper deals with the morphology of the plurals of some Sicilian noun
classes in both a synchronic and a diachronic perspective: (1) the nouns with the
ending -u in the singular and the endings -a / -i / -ira (-ura) in the plural; (2) the
nouns with various suffixes (-àru, -túri, -úni), which almost regularly show the end-
ing -a in the plural. These morphological patterns are considered also taking into
account the Animacy features of the nouns. Two theoretical problems are prelimi-
narily posed, i.e. the partition of the inflectional classes and the structure of the cat-
egory of Gender in Sicilian. After a critical survey of some explanations of the pat-
terns of plurals that are highly polymorphic and apparently irregular, the results of
an investigation based on interviews to eight native speakers from various areas are
presented. The interviews were structured asking the speakers to supply the forms
of the plural of a list of words representing the noun classes mentioned above. The
results are the following: 1) in modern varieties of Sicilian there are rather regular
inflectional processes that differentiate bysillabic from tri- and tetrasyllabic words;
2) tri- and tetrasyllabic words behave in different ways according to their property
of being paroxyton or proparoxyton; 3) some prosodic properties are highly rele-
vant to the selection of the morphs of plural; for the synchronic state of contempo-
rary Sicilian they can be represented by means of morphologic-prosodic templates,
i.e. pairs of a) phonologic-prosodic properties, and b) inflectional features of num-
ber. These pairs characterise the formation of plurals.
The data obtained from the informants have been compared with the data
available for Old Sicilian. This comparison brings to light the following results: a)
there are groups of words with different developments in diachrony; b) the out-
standing spreading of one of the inflectional morphs of plural, i.e. -a, is a phenom-
enon that presumably took place after the XIV-XV centuries; c) the prosodic fea-
tures of the words are likely to have been crucial to its spreading.
Finally, some considerations are put forward that concern the partition of the
inflectional classes of Sicilian, for which a taxonomy is proposed. A discussion on
Gender in Sicilian is presented, for which the notion of “Latent neuter” is pro-
posed.
“TIRARE AL SELVATICO”: MODALITÀ.
UnA VOCE DEL VOCABOLARIO-ATLANTE
DELLE PRATICHE VENATORIE SICILIANE *

0. Introduzione

Ormai da tempo è stata teorizzata, in seno al cantiere dell’Atlante Lingui-


stico della Sicilia (ALS ), una nuova organizzazione atlantistica che prevede la
costruzione di un Vocabolario-atlante attraverso una serie di moduli autono-
mi e al tempo stesso concepiti all’interno di un’unica strategia progettuale
(cfr. Ruffino et al. 2009).
Con particolare riferimento alla sezione etnodialettale dell’ALS, una tale
prospettiva determina un avvicinamento dei vocabolari agli atlanti linguisti-
ci, favorito da diversi fattori tra i quali rivestono un ruolo fondamentale a) la
dimensione diatopica; b) la molteplicita delle prospettive (non solo diatopi-
ca, ma anche diafasica, etnolinguistica, storica), con il conseguente incre-
mento della fraseologia e della componente “enciclopedica”. Il Vocabolario-
atlante (della cultura dialettale siciliana) si configura, dunque, come uno
strumento costruito sulla base di archivi interrelati, un archivio multifunzio-
nale in grado di assicurare una molteplicità di prospettive e soluzioni (cfr.
Sottile 2018).
Uno strumento così concepito ha già trovato una propria rappresenta-
zione ‘editoriale’ in una serie di saggi di voci di interesse etnodialettale (di
volta in volta riguardanti la cultura alimentare – Ruffino et al. 2009 –, la
cultura marinara e peschereccia – Ruffino 2014; Ruffino 2016 –, le pratiche
venatorie, – Ruffino et al. 2011; Ruffino 2018; Ruffino / Sottile 2020). Si
tratta di ‘esperimenti’ di vocabolario-atlante finalizzati a fornire: a) (in pro-
spettiva ‘interna’ all’ALS ) modelli di soluzioni adottabili per ciascuno dei

* Ringrazio Mario Pagano e Giovanni Ruffino per i preziosi suggerimenti dispensati nel
corso della stesura di questo articolo.
202 Roberto Sottile

‘moduli’ – corrispondenti ai settori della cultura dialettale di volta in volta


assunti a oggetto d’analisi; b) (in prospettiva ‘esterna’ all’ALS ) modelli di so-
luzioni utili alla lessicografia etnografica come alla dialettologia areale.
Tra i diversi moduli spicca quello sulle pratiche venatorie, per il quale, al
momento attuale, sono state già pubblicate le seguenti voci di saggio:
– Coniglio selvatico non ancora adulto (Ruffino 2009a);
– Alloggiamento del furetto durante la caccia (Ruffino 2009b);
– Abbaiare (sull’usta e sulla preda) (Ruffino 2011);
– Furetto giovane/adulto (Rizzo 2011);
– La pietraia (Sottile 2011);
– Usta, effluvio, passata (Ruffino 2018);
– Nomi dello schioppo (Ruffino / Sottile 2020);
– Tane (Ruffino in c.s.);
– Stormo (Ruffino in c.s.).

Ora, occuparsi di pratiche venatorie pone non pochi problemi di ordine


etico. Eppure il lessico venatorio resta di grande interesse, giacché permette
di accostarsi a un settore della cultura dialettale decisamente interessante e
producente per almeno due ragioni:
1) indagare sulla caccia permette di raccogliere informazioni anche su
altri settori etnodialettali particolarmente importanti come la geo-
morfologia, la fauna, la flora;
2) il lessico venatorio, più di ogni altro vocabolario settoriale, lascia
emergere una forte componente creativa per la quale un ruolo crucia-
le è giocato dalla metafora.

Dunque, si propone qui un ulteriore saggio sulle numerose locuzioni ri-


ferite ai diversi modi di tirare alla preda. Esse pertengono al solo tipo dialet-
tale sparari e pertanto questo lavoro si pone come ideale ampliamento e pro-
secuzione della voce sparari, pubblicata da Giovanni Ruffino quarant’anni fa
sul Bollettino del Centro di studi filologici e linguistici siciliani (Ruffino
1980) come una delle Tre voci del Lessico venatorio siciliano.
Il saggio di Ruffino venne pubblicato a seguito di una impegnativa cam-
pagna di inchieste sul campo, svolta «nel corso del triennio 1973-1975, in
settantantré comuni di tutte le province siciliane»1 allo scopo di approntare
un Lessico venatorio siciliano (LVS ) da porre «accanto alle due grosse imprese
del Vocabolario Siciliano (VS ) e del Vocabolario Etimologico Siciliano
(VES ) promosse dal Centro di Studi filologici e linguistici siciliani» 2.

1 Ruffino (1980: 450).


2 Ivi, p. 447.
“Tirare al selvatico”: modalità 203

Si sarebbe trattato di un’iniziativa rientrante


in un più ampio progetto lessicografico, complementare rispetto al VS e al
VES, articolato in una serie omogenea di lessici speciali riguardanti i settori più
importanti della vita e del lavoro in Sicilia: l’agricoltura, la pastorizia, la pesca, i
mestieri, ecc. Tali lavori [si sarebbero configurati], al di là della loro imposta-
zione lessicografica, come vere e proprie monografie di taglio linguistico-etno-
grafico, frutto di ricerche sistematiche condotte sul terreno in una fitta rete di
punti sufficientemente rappresentativa 3.

Lo scarto tra la voce sparari pubblicata in Ruffino (1980) e il lavoro che


qui si presenta riguarda da un lato il notevole incremento del materiale in
ragione delle ulteriori inchieste sul campo che nel frattempo sono proseguite
pressoché ininterrottamente, dall’altro la stessa struttura della voce, che pre-
senta significative modifiche per obbedire ai criteri adottati per la (nuova)
rappresentazione lessicografica concepita all’interno della struttura del Voca-
bolario-atlante (cfr. supra).
Quanto al primo aspetto, si considerino le numerose tesi di laurea asse-
gnate, durante gli anni successivi, agli studenti e alle studentesse dei Corsi di
Filologia italiana e Italianistica della Facoltà di Lettere e Filosofia di Palermo
e le inchieste sulla caccia effettuate da un gruppo di rilevatori e rilevatrici ap-
positamente addestrati durante un Corso di formazione organizzato dal-
l’Università di Palermo nell’anno accademico 2001-2002 4.
Quanto al secondo aspetto, come è stato più volte sottolineato (cfr., in
ultimo, Ruffino / Sottile 2020), l’impianto di ciascun saggio di Vocabolario-
atlante obbedisce ai seguenti criteri comuni:
a. Struttura complessiva
PREMESSA: l’articolo si apre con notazioni di carattere generale relative al con-
cetto trattato, alla sua sfera semantica e alla distribuzione areale.
LESSICO: i lessotipi sono ordinati alfabeticamente. Per ciascun lessotipo, dopo
la variante prescelta come lemma a esponente (in grassetto), seguono le altre varian-
ti in stretto ordine alfabetico.
Per ciascuna variante vengono indicati i punti nei quali la voce è stata raccolta 5,
procedendo per provincia da ovest verso est. Il rinvio agli etnotesti è reso col simbo-
lo Ⓣ, seguito da un numero progressivo se gli etnotesti sono più d’uno. Con il sim-
bolo ♦ si introducono gli alterati, i derivati, i sintagmi e le locuzioni.

3 Ivi, pp. 447-448.


4 I rilevamenti furono tutti condotti mediante un questionario di ben 417 quesiti (cfr. Ruf-
fino et al. 2009: 135-136).
5 L’indicazione del punto in cui è stata raccolta una voce non esclude che essa possa essere

presente anche in altri punti o che sia pansiciliana. La localizzazione si riferisce esclusivamente al
fatto che, nel punto indicato, una certa voce o una certa variante è stata raccolta nel corso delle
inchieste sulla caccia.
204 Roberto Sottile

Seguono gli etnotesti in corpo minore e in corsivo, con il costante richiamo alla
località di riferimento. Si tratta sempre di testi tratti dalle conversazioni libere regi-
strate nel corso dei rilevamenti. Tra parentesi quadra, viene data la traduzione lette-
rale nei casi ritenuti necessari. Talvolta si opta per traduzioni parziali, inserite nel
contesto o in nota.
Gli etnotesti sono seguiti dal commento (preceduto dal simbolo •), che si svi-
luppa più o meno ampiamente, puntando a evidenziare sia le questioni storico-lin-
guistiche ed etimologiche 6, sia la dimensione etnografica e areale.
In ultimo le note, riferite alle tre sezioni dell’articolo, che si conclude con gli
eventuali rinvii (→).
b. Grafia
Si adotta una grafia semplificata e in larga misura provvisoria, che si ispira – an-
che se ancora non interamente – ai modelli proposti da Matranga 2007.
c. Carte 7

Ma, in aggiunta, la speciale ‘vocazione fraseologica’ della voce qui rap-


presentata (tirare al selvatico: modalità) ha indotto a ‘forzare’, in parte, la
struttura prototipica della voce. Essa, quindi, si differenzia dai nove saggi
sulla caccia già pubblicati e da quelli in corso di pubblicazione per il fatto
che le diverse locuzioni non sono raccolte nella sezione delle varianti che
precede il commento e l’insieme degli etnotesti (cfr. supra): ogni locuzione
appare, altrimenti, come ‘voce a sé’ (una sorta di sottolemma), seguita, volta
per volta, dagli (eventuali) etnotesti e dal commento. Inoltre, quando una o
più locuzioni presentano il medesimo significato di un’altra locuzione che,
precedendo nell’ordine alfabetico, è stata già trattata nelle sue accezioni, esse
presentano un segno di rimando a quest’ultima. Infine, si consideri che spes-
so le locuzioni qui raccolte recano anche un segno di rimando ad altre voci
del lessico venatorio (diverse da quelle qui considerate); in questo caso il ri-
mando è segnalato mediante una freccetta posta tra parentesi e in genere col-
locata alla fine della sezione in cui sono trattate le accezioni.

1. Tirare al selvatico: modalità

Va osservato preliminarmente che, per il concetto ‘tirare al selvatico’, in


Sicilia si registrano due tipi lessicali principali: sparari e tirari 8. È vero però
che solo il tipo sparari genera un gran numero di locuzioni relative alle sva-
riate modalità con cui il cacciatore tira alla preda, nel tentativo di colpirla.

6 nel commento, gli aspetti storico-etimologici sono specialmente trattati per le voci costi-

tuite da lessotipi diversi da quelli dell’italiano.


8 Si escludono qui (almeno) cafuḍḍari e fucuniari che sono voci decisamente connotate.
7 Le carte del Vocabolario-atlante sono ora restituite anche in ambiente web, cfr. § 3.
“Tirare al selvatico”: modalità 205

Ma le locuzioni, pur numerosissime e di grande interesse dal punto di vista


motivazionale, non sembrano presentare una particolare rilevanza sul piano
diatopico, giacché appaiono per lo più diffuse ora a macchia di leopardo ora
su tutta l’area siciliana, con una distribuzione, dunque, che non consente, se
non in pochi casi, di ricondurle di volta in volta a specifiche aree dialettali.
Questa condizione va probabilmente letta in connessione con le caratteristi-
che stesse della voce tirare: facendo riferimento a un concetto ‘basilare’ della
cultura e delle pratiche venatorie, le locuzioni che ne predicano le diverse
modalità da un lato si riconducono a un core di vocabolario talmente ‘comu-
ne’ da inibire qualunque tentativo di caratterizzazione diatopica, dall’altro
rispecchiano più che mai la componente straordinariamente creativa del les-
sico venatorio che in questo caso amplifica le neoformazioni le quali, di con-
seguenza, assumono spesso un carattere esclusivamente locale o microlocale
(se non addirittura, in qualche caso, idiolettale).
Molto più producente appare, semmai, il tentativo – come quello che
qui si propone – di classificare le locuzioni venatorie in rapporto a ciò che
esse ‘descrivono’ rispetto alle azioni o alla posizione del cacciatore o della
preda sul terreno di caccia. La prospettiva sembra interessante sia per l’anali-
si delle ‘immagini’ e le metafore che esse richiamano sia per il forte rapporto
che le locuzioni venatorie intrattengono con altre espressioni (anche figura-
te) del linguaggio comune.
In questa prospettiva, pare possibile distinguere gran parte delle locuzio-
ni sui diversi modi di tirare al selvatico in due macrocategorie:
A) locuzioni riferite all’azione o alla posizione del cacciatore rispetto al
terreno di caccia (e /o alla preda);
B) locuzioni riferite all’azione della preda rispetto al terreno di caccia
(e/o al cacciatore).

nella prima categoria possono farsi rientrare sette sotto-categorie di cui


due connesse agli specifici modi di tirare alla preda (in rapporto alla mira, in
rapporto al tempo); due riferite alla posizione del cacciatore (sul terreno di
caccia, rispetto alla preda); due relative al tiro (distanza e traiettoria); una,
infine, riferita al tipo di bersaglio.
nella seconda categoria possono farsi rientrare tre sotto-classi riferite al
comportamento della preda (rispetto al terreno di caccia e/o al cacciatore),
con particolare riguardo all’avvistamento da parte del cacciatore; al modo di
muoversi; all’entrare e uscire dalla tana.
L’elenco riportato di seguito propone in forma schematica la classifica-
zione proposta.
206 Roberto Sottile

Locuzione riferite alla:


A) Azione o posizione del cacciatore rispetto al terreno di caccia (e/o alla
preda):
1. Tiro in rapporto alla mira
a. Prendendo la mira/seguendo la preda nel mirino
b. Senza mirare normalmente
c. ‘Al rumore’
2. Tiro in rapporto al tempo
a. Al momento propizio
b. Fuori tempo
3. Posizione/equilibrio del cacciatore (sul terreno di caccia)
a. Precaria
b. Ruotante sul proprio asse
4. Posizione del cacciatore (rispetto alla preda)
a. Più in alto
b. Più in basso
c. Di fronte
d. Alle spalle
5. Traiettoria del tiro
a. Perpendicolare (vedi 4.a)
b. Rettilinea (vedi 4.c., 4.d)
c. Obliqua/Trasversale (vedi anche 3.b)
6. Distanza del tiro (in rapporto alla preda)
a. Ravvicinata
b. Media
c. Lunga
7. Tipo di bersaglio
a. Stormo
b. Punto del terreno

B) Azione o posizione della preda rispetto al terreno di caccia (e/o al caccia-


tore):
18. Comportamento della preda in rapporto alla vista /avvistamento del cac-
ciatore
a. Appare e scompare
b. Sta per sottrarsi alla vista del cacciatore
c. È ben in vista/è al varco
19. Comportamento della preda in rapporto al movimento
a. È ferma o in leggero movimento
b. È accovacciata nel giaciglio (coniglio; lepre)
c. È in corsa
10. Comportamento della preda in rapporto alla tana
a. Esce/schizza fuori
b. Vi fa ritorno
“Tirare al selvatico”: modalità 207

1.1. Quanto alla prima categoria, come si nota nello schema e come
già accennato, le due sottoclassi riferite alle specifiche modalità di tiro al
selvatico possono essere distinte in base ai seguenti criteri: a) rapporto con
la mira; b) rapporto con il tempo che ‘si coglie’ o ‘si perde’ nel tirare alla
preda.
Le locuzioni connesse con l’azione di tirare in rapporto alla mira si riferi-
scono anzitutto alle espressioni dialettali che esprimono, appunto, il ‘concet-
to’ di ‘tirare prendendo la mira /dopo avere seguito col fucile la preda nel
mirino’ (cfr. elenco, sub 1.a, in Quadro sinottico, alla fine di questo paragra-
fo): s. a ccanniari (con il verbo canniari ‘prendere la mira’, denominale di
canna ‘canna del fucile’); s. ârringari (con il verbo arringari ‘prendere la mi-
ra’); s. di puntata (basata su sic. punta/puntu ‘mirino del fucile’)9. In questa
serie rientra anche la forma s. dâ testa (a Gela, Cl) ‘premere il grilletto mi-

linguaggio venatorio, come, per es. pigghiari u mussu e ṭṛuvari u mussu (an-
rando alla testa del selvatico’, che appare ricollegabile ad altre espressioni del

ch’esse raccolte a Gela) che valgono entrambe ‘colpire con la schioppettata la


testa del selvatico’.
Ma il cacciatore può anche sparare senza mirare normalmente (cfr. elen-
co, sub 1.b, in Quadro sinottico). Le locuzioni che fanno riferimento a questa
modalità sono assai numerose; alcune di esse appaiono rifatte su vrazzu
‘braccio’: s. a bbrazzu 10, s. a ccorpê razza 11, s. â grazzata 12, s. a sbracciari 13; al-
tre sull’italianismo di stoccata (s. di sticcata, s. ë stoccata / ri stoccata, s. di stuc-
cata, s. ri stuccata); altre ancora sulla forma avverbiale italiana a volo (s. a
bbùolu, s. a vvòlu, s. a vvuolu, a lu vulu)14; a queste si aggiungono espressioni
basate sulla parola colpo (s. a ccoppu, s. i coppu, s. a ccoppu pessu, s. a ccoppu
tunnu)15; sulla voce occhio (s. a òcchiu 16, s. a pprim’òcchiu 17); su sic. a scoppu
‘improvvisamente’ (s. a scoppu e varr.)18.
Altre forme sono di natura metaforica, come la locuzione s. a bbusunata 19
che appare rifatta sulla parola dialettale per ‘bolzone, sorta di freccia con capoc-
chia grossa’, o quelle che richiamano l’immagine del lampo (s. a llampiari 20,

19 Le tre le locuzioni si registrano in area palermitana-madonita e la terza anche in area

orientale (con le varianti s. i punta / puntu / puntarìa ecc.).


10 Locuzione raccolta a Mazzarino, Cl.
11 Raccolta a Gela, Cl.
12 Registrata a Prizzi, Pa.
13 Raccolta a Vicari, Pa.
14 Tutte di area centro-occidentale.
15 Espressioni tutte di area orientale.
16 Raccolta a Termini Imerese, Pa.
17 Raccolta ad Aragona, Ag.
18 Di area prevalentemente centrale.
19 Registrata in area centro-orientale.
20 Raccolta a Vìcari, Termini Imerese, Caltavuturo.
208 Roberto Sottile

“non meditata” del tiro (a rrunziḍḍuni ‘frettolosamente’, a ṭṭṛùgghia lett. ‘a


s. a llampu 21) o del flash (s. a ffoto lampu)22, o, ancora, la natura imprecisa e

intruglio’ = ‘a casaccio’)23. Altre unità lessicali richiamano l’idea di un’azione


compiuta alla cieca (s. a ttannuni 24, s. all’uivvina 25, s. all’urvina 26), altre anco-
ra all’idea di fretta (s. a ffricarusu)27 o di casualità (s. a ppaventu)28. Di grande
interesse resta, infine, la locuzione s. a ppruvulenu (Riesi, Cl), verosimilmen-
te connnessa a sic. pruvinu ‘semenzaio’ (< pulvinus) e, di conseguenza, al-
l’unità fraseologica del linguaggio comune siminari a ppruvulinu ‘seminare a
spaglio’, che rimanda all’idea di un’azione abborracciata, disordinata.
Se il cacciatore tira a un selvatico di cui intuisce la presenza dentro un
cespuglio (cfr. elenco, sub 1.c, in Quadro sinottico), le locuzioni che descrivo-
no questa specifica modalità – corrispondenti grosso modo all’italiano vena-

zioni nonché s. a la nṭṛasatta ‘sparare all’improvviso’ e s. â sfrattinata (rifatta,


torio tirare al rumore – includono l’espressione italianeggiante s. alla ddirez-

nṭṛasatta, che presenta anche un’apprezzabile grado di polimorfia, è ben dif-


quest’ultima, su fratta che vale, appunto, ‘cespuglio’). La locuzione s. a la

fusa, coprendo un’area che abbraccia la porzione centro-orientale della Sici-


lia con l’esclusione del messinese; la forma s. â sfrattinata si registra, invece,

ulteriori forme s. a lu scuru, s. a la mira, s. a ṣṭṛàscinu. Per questa serie si con-


solo in un punto dell’ennese, mentre di esclusiva provenienza nissena sono le

sideri anche il caso della forma s. a ṣṭṛaccu (Messina), basata su una delle pa-
role dialettali per ‘stormo’ e che compare (per due punti orientali, uno del
messinese, uno del catanese) anche nella serie di locuzioni riferite, appunto,
all’azione di tirare allo stormo (cfr. elenco, sub 7.a). Senonché, mentre in
quest’ultimo caso la locuzione assume un valore ‘letterale’, nell’esempio qui
considerato essa presenta un senso figurato corrispondendo, grosso modo, a
it. sparare nel mucchio.

1.2. L’azione di tirare al selvatico può anche essere distinta a seconda che
il colpo, rispetto alla fuga della preda, sia o no esploso al momento propizio.
nel primo caso (cfr. elenco, sub 2.a, in Quadro sinottico) si registrano due lo-
cuzioni: s. a ccorpu sicuru 29 (che appare semanticamente assai trasparente) e

21 Registrata a Vallellunga e Sommatino Cl; Partinico e Misilmeri, Pa.


22 Raccolta a Partinico.
23 La prima di area palermitana; la seconda di diffusione panregionale.
24 Registrata a Vallelunga, Cl.
25 Raccolta a Corleone, Pa.
26 Registrata a Cammarata, Ag e Vallelunga, Cl; si confronti la variante all’urbisca a Mon-

terosso Almo.
27 Raccolta a Cammarata, Ag.
28 Registrata a Mazara, Tp, e Sciacca, Ag.
29 Registrata a San Giuseppe Jato, Pa.
“Tirare al selvatico”: modalità 209

s. a ccoglirisillu 30, forse collegata metaforicamente all’idea della morte sicura


della preda: cogghirisilla significa, infatti, ‘morire’; ma, d’altra parte, poiché il
clitico della locuzione è qui maschile, non è da escludere che la forma possa
essere rifatta su cògghiri nell’accezione di ‘cogliere nel segno’ se non più ba-
nalmente su cògghiri nel senso di ‘raccogliere (la preda dal terreno di caccia)’:
il clitico maschile farebbe pensare, in effetti, a un ‘oggetto sottinteso’ che po-
trebbe essere quello designato dalla locuzione venatoria pezzu di caccia ‘la
preda’, sicché la forma s. a ccoglirisillu potrebbe semplicemente spiegarsi co-
me ‘sparare in modo tale da (poter) raccogliere la preda dal terreno’.
Per ‘sparare fuori tempo’ (cfr. Quadro sinottico, sub 2.b) è interessante,
infine, notare come l’unica locuzione registrata, s. primu (Caltavuturo, Pa),
sia di tipo crononimico.

1.3. Quanto alle locuzioni venatorie relative alla posizione o all’equili-


brio del cacciatore sul terreno, queste fanno riferimento da un lato alla con-
dizione di equilibrio precario in cui spesso si trova chi impugna l’arma,
dall’altro al movimento rotatorio che il cacciatore compie rispetto all’asse del
suo corpo quando la preda si sposta o fugge trasversalmente.
nel primo caso (cfr. elenco, sub 3.a, in Quadro sinottico), al di là della
forma assai trasparente s. malu mesu, lett. ‘messo male’ (raccolta a Riesi, Cl),
si registrano due locuzioni, motivazionalmente simili, basate sull’idea di un
movimento altalenante: s. a bbàźźica (Sperlinga, En) e s. mmalanza (Alto-
fonte, Pa), rifatte rispettivamente sul tipo bbàźźica ‘altalena’ e sulla voce va-
lanza ‘bilancia’.

locuzioni s. a ṣṭṛuppiḍḍari / a ṭṭṛippeḍḍu / a ṭṭṛuppeḍḍu (di diffusione panre-


Quanto al secondo caso (cfr. elenco, sub 3.b, in Quadro sinottico), tra le

gionale) e s. di ṭṛuncu (Mazara, Tp) particolarmente interessante appare la


prima, rifatta sulla parola dialettale per ‘drappello’ (cfr. anche sub 5.c).

1.4. Una cospicua serie di locuzioni rimanda alla posizione del cacciatore
sul terreno di caccia rispetto alla preda. Se egli è collocato più in alto (cfr.
elenco, sub 4.a, in Quadro sinottico), i modi di tirare sono descritti con una
serie di forme accomunate dalla presenza di un contenuto deittico, oppure
con una serie di forme a contenuto metaforico. nel primo caso abbiamo s. a
scìnnëri lett. ‘sparare a scendere’, s. supramesu ‘sparare da una posizione ele-
vata’; nel secondo caso si rileva invece una ricca serie di espressioni a motiva-
zione meccanica (molte della quali tratte dal lessico delle pratiche domesti-
che o lavorative): s. a llavaturi (Cammarata, Ag), con lavaturi che, valendo
‘pietra usata dalla lavandaia per lavarvi su’, rimanda all’idea del piano incli-

30 Raccolta a Serradifalco, Cl.


210 Roberto Sottile

nato; s. âttuzzari (Termini Imerese, Pa), con il verbo che, valendo ‘squadrare
o sagomare la pietra col martello’, riconduce al movimento dello scalpellino
che batte dall’alto verso il basso; sparari a ppicu (Sciacca, Ag) che, riprenden-
do il nome del piccone, richiama il movimento del picconiere (a meno di
non ammettere che la forma a ppicu valga qui semplicemente ‘a picco, a per-
pendicolo’); s. âppizzari (area centro-occidentale), con il verbo che, valendo
‘piantare, infiggere, conficcare’, richiama ancora una volta un movimento
dall’alto verso il basso; sparari a cchiummu che riprende l’idea del filo a

per caduta’ (Misilmeri, Pa) e le espressioni s. conṭṛa pinninu, s. a ttest’appin-


piombo. A questi si aggiunge inoltre il perspicuo s. pi ccaruta lett. ‘sparare

ninu (Madonie e Valle del Torto) e s. a ttest’appuzzuni (Pettineo, Me), rifat-


te su locuzioni del linguaggio comune che valgono ‘in discesa, verso il basso’
oppure ‘a testa in giù’.
Quanto alle locuzioni che si configurano come veri e propri antonimi di
quelle appena considerate (cfr. elenco, sub 4.b, in Quadro sinottico), anche in

ovvero con espressioni metaforiche (s. a ncastiḍḍari)32 a cui si aggiunge infi-


questo caso si trovano forme costruite con elementi deittici (s. ri nzutta)31

ne, la forma s. a ttest’a mmuntata 33 che rappresenta il perfetto contrario della


locuzione, vista sopra, s. a ttest’appinninu.
Se, al momento dello sparo, la preda si trova di fronte al cacciatore (cfr.
elenco, sub 4.c), questa “frontalità” è espressa con una serie di locuzioni rife-
rite alla parte anteriore del corpo della preda: s. di facci / nfacci (panregiona-
le), s. di piettu (Cammarata, Ag), s. ô ravanzi (Mazara, Tp); altrimenti le lo-
cuzioni presentano sensi traslati come nel caso di s. a nfila fecu 34 – che ri-
chiama la maniera in cui si infila lo spago nella filza di fichi secchi – e s. a
spècchiu (Casteltermini, Ag)35.
Se il cacciatore si trova alle spalle del selvatico perché questo sta fuggen-
do in direzione opposta a quella del tiro (cfr. 4.d, in Quadro sinottico), si re-
gistrano locuzioni che fanno riferimento alla parte posteriore del corpo della
preda (praticamente il contrario di 4.c., cfr. supra): s. di cuda (locuzione rac-
colta in area centro-occidentale e nel messinese), s. rittu nculu (Vallelunga,
Cl), s. r’arretu (Valle del Torto), s. di pizz’e cculu (Palazzolo Acreide, Sr); a
queste si aggiunge s. a nfilari (di area madonita)36 che corrisponde alla locu-

31 Registrate a Villarosa, En e a Misilmeri, Pa, rispettivamente.


32 Raccolta a Gangi, Pa.
33 Registrata a Gangi e Termini Imerese, Pa.
34 Raccolta a Gangi.
35 Ma, in questa serie, espressioni come s. rittu sembrano fare riferimento alla traiettoria del

tiro ancor più che alla posizione frontale del cacciatore rispetto alla preda. Si tratta di una condi-
36 Con le ulteriori forme s. di mbilata (Sommatino, Cl), s. di ḍḍṛittu filu (Cianciana, Ag), s.
zione molto interessante che sarà descritta poco più oltre.

di ḍḍṛettu felu (Villalba, Cl), s. di filu (Sciara, Pa e Àssoro, En), s. di felu / drittu filu (Alimena, Pa).
“Tirare al selvatico”: modalità 211

zione italiana sparare d’infilata. Si noti infine come alcune delle espressioni
quali s. rittu nculu sembrino fare riferimento anche alla traiettoria (rettilinea)
del tiro, analogamente a quanto è stato notato per una delle espressioni (s.
rittu) connesse alla posizione fontale del cacciatore rispetto alla preda (cfr.
nota 35 e 4.c. in Quadro sinottico).

1.5. E, a proposito della traiettoria del tiro, le locuzioni che descrivono


‘esplicitamente’ l’azione di tirare in rapporto alla direzione dello sparo, sono
quelle che fanno riferimento al tiro con traiettoria trasversale. Altrimenti, nel
caso in cui il cacciatore tiri dall’alto in basso (cfr. 4.a e 4.b) o in posizione
frontale/posteriore rispetto alla preda (cfr. 4.c. e 4 d.), il fatto che il tiro ab-
bia una direzione rispettivamente perpendicolare o rettilinea resta per lo più
implicito (non è, cioè, linguisticamente ‘predicato’). Altrettanto implicito
resta (dal punto di vista dell’espressione linguistica) il fatto che, nel caso in
cui il cacciatore prema il grilletto ruotando sull’asse del proprio corpo, il tiro
abbia una traiettoria obliqua.
Le locuzioni con uno specifico contenuto lessicale che descrive ‘esplicita-
mente’ la traiettoria trasversale del tiro (cfr. elenco, sub 5.c) vanno dalle
‘semplici’ s. di traversu 37 e s. a ttàgliu 38 a quelle – a contenuto metaforico e
riscontrabili anche nel linguaggio comune – fondate rispettivamente sull’oc-
chio sghembo (s. a sgualèrciu)39 e sul fianco del corpo (s. hianchinu)40.

1.6. Le espressioni che descrivono il modo di tirare in rapporto alla di-


stanza della preda, si distinguono tra quelle riferite al tiro da distanza ravvici-
nata, da distanza media, da distanza lunga.
nel primo caso (cfr. elenco, sub 6.a, in Quadro sinottico) si registrano le
forme s. a scuppu vicinu, s. a ttiru curtu (entrambe di area centrale) e s. ncuttu
lett. ‘vicino’ (di area nord-orientale); queste forme, come si nota, fanno per
lo più riferimento alla prossimità spaziale tra cacciatore e preda. Ma ad esse
si aggiunge una ricca serie di espressioni metaforiche che possono essere di-
stinte tra quelle riferite all’effetto del tiro a bruciapelo (s. a ppurtusu, s. a spi-

gnavièstia, s. a ssegnacavaḍḍu (di area nisseno-agrigentina), s. a ttimpulata


cignàrisi 41), quelle fondate su una motivazione di tipo meccanico – s. a ssa-

(Bagheria), s. a ppunci puḍḍitru (Castellana Sicula) – e, infine, quelle connes-


se all’immagine di una sfera, come s. a bbaḍḍa, (Madonie e Valle del Torto)

37 Registrata a Vittoria, Rg.


38 Raccolta a Casteltermini, Ag.
39 Raccolta a Melilli, Sr.
40 Registrata a Sommatino, Cl.
41 La prima forma è stata raccolta a Geraci, Pa e a Vittoria, Rg; la seconda a Tusa, Me.
212 Roberto Sottile

che riconduce all’idea della mancata formazione della rosata a causa della di-
stanza ravvicinata del colpo esploso: i pallini non fanno in tempo ad allar-
garsi e giungono sulla preda in modo compatto. Altre locuzioni come s. a

Quanto al tiro da distanza media, si registra la locuzione s. rinṭṛa tiru


bbruçiapilu sono, invece, meri italianismi.

lett. ‘dentro tiro’42, mentre per il tiro da lunga distanza – al limite dell’effica-
cia per colpire il selvatico – si registra la locuzione, abbastanza perspicua, s.
stiratu 43.

1.7. Le unità fraseologiche che descrivono l’azione di tirare in rapporto al


tipo di bersaglio, sono particolarmente ricche, se riferite al tiro allo stormo

nano, appunto, le parole dialettali che valgono ‘stormo’: s. a ṣṭṛaccu (di area
(cfr. elenco, sub 7.a) e presentano soluzioni lessicali che in molti casi selezio-

orientale), s. ô sbardu (raccolta a Serradifalco, Cl), s. a ttoccu (di area centro-


orientale); altre richiamano l’idea di moltitudine o mucchio: s. a ffrotta
(‘flotta’)44, s. ntô menzu (propr. ‘nel mucchio’)45. Ma, in questa serie, parti-
colarmente interessanti appaiono s. a bbròçia e s. a ssiminari (rispettivamente
di area agrigentina e mazarese), locuzioni fondate metaforicamente sull’im-
magine della semina possibilmente per richiamare l’idea che, sparando allo
stormo nel suo insieme, i volatili colpiti cadono al suolo come semente. Ma
non si può neanche escludere che l’immagine della semina valga qui nella
specifica modalità di semina, ‘a spaglio’ che richiama un’azione paragonabile
a quella di ‘sparare nel mucchio’: azione non specificamente ‘mirata’ e preci-

la locuzione s. a ṣṭṛaccu).
sa e, quindi, compiuta a casaccio (cfr. 1.c, in Quadro sinottico, in particolare

Ma, sul terreno di caccia, il bersaglio del cacciatore non sempre o non
necessariamente corrisponde con una preda (cfr. elenco, sub 7.b); se, per
esempio, il cacciatore (inesperto) sbaglia mira e colpisce il suolo davanti al
selvatico, pur considerando che si tratta di un bersaglio involontario, esso
corrisponde comunque con uno specifico punto del terreno di caccia fun-
gente da ‘destinatario’ del colpo esploso. In questo caso, si registra la locu-
zione s. nzutta (Alimena, Pa) il cui contenuto deittico è riferito al suolo che
viene raggiunto dai pallini (in maniera del tutto involontaria). Altrimenti, il
cacciatore può direzionare volutamente il suo tiro verso uno specifico punto
del terreno di caccia (un masso,), se la sua azione è funzionale a verificare
l’efficacia delle cartucce. Per questa condizione si registra la locuzione s. â
merca (raccolta a Caltavuturo, Pa, ma versosimilmente panregionale), con la

42 Raccolta a Marsala, Tp.


43 Raccolta a Gangi, Pa.
44 Di area orientale.
45 Raccolta a Messina.
“Tirare al selvatico”: modalità 213

voce merca che nel lessico venatorio vale ‘bersaglio di vario tipo contro cui il
cacciatore spara per collaudare le cartucce’46.
1.8. La seconda macrocategoria di locuzioni accorpa le forme riferite ai
modi di sparare in rapporto all’azione o alla posizione della preda rispetto al
terreno di caccia (e/o al cacciatore).
Alcune locuzioni sono anzitutto riferite al modo di tirare in rapporto
all’avvistamento della preda da parte del cacciatore. In questo caso si registra
una triplice serie di espressioni che descrivono i modi in cui il cacciatore spa-
ra a seconda che la preda appaia e scompaia sul terreno; si sottragga alla vi-
sta; sia bene in vista e quindi facilmente esposta al tiro.
Se il cacciatore preme il grilletto mentre la preda compare e scompare sul
terreno (cfr. elenco, sub 8.a), le locuzioni corrispondenti rendono conto del

(Bronte, Ct), s. nṭṛ’affàccia e ccoḍḍa (Sambuca, Ag) e sono rifatte sui verbi
fatto che il selvatico risulta visibile a intermittenza: s. a ccolla e nnon colla

cuḍḍari ‘tramontare, scomparire alla vista’ e affacciari ‘spuntare; sorgere, del


sole’. L’ulteriore locuzione s. a ṭṭṛasi e nnesci (Alimena, Pa) appare invece
fondata sul movimento della preda (spec. il coniglio) che, apparendo e
scomparendo alla vista, ‘entra’ ed ‘esce’ a intermittenza dal campo visivo di

de). Il verbo cuḍḍari ritorna anche tra le locuzioni che si riferiscono all’esplo-
chi impugna l’arma (o entra ed esce dalla macchia arbustiva che la nascon-

sione del colpo nel momento in cui la preda (anche un volatile) sta per sot-

ccuḍḍari 47 oltre che s. mmacanti propr. ‘a vuoto’48.


trarsi alla vista (cfr. elenco, sub 8.b): in questa serie si registrano, infatti s. a

Infine, le locuzioni riferite al modo di sparare quando la preda è bene in


vista (cfr. elenco, sub 8.c) sono s. a ppassaluoru (Cammarata, Ag), forma che
appunta il proprio contenuto semantico sul fatto che il cacciatore avvista la

a ppurtiḍḍu ‘sparare al varco’ (Àssoro, En), espressione che richiama una sor-
preda mentre passa su un terreno dal campo visivo particolarmente ampio, e s.

ta di ideale “quadrante visivo” dentro il quale la preda entra, allorché, duran-


te la sua corsa nella fitta sterpaglia, giunge in un punto in cui è ben visibile.
1.9. I modi di tirare in relazione ai movimenti del selvatico sono resi da
una serie di locuzioni che variano a seconda che la preda sia ferma o in leg-

46 Si tratta generalmente di una pietra di grosse dimensioni, o comunque di un diametro

tale da consentire al cacciatore di verificare l’ampiezza e la compattezza della rosata e quindi l’ef-
ficacia della chiummata; Quest’ultima, in effetti, può dirsi efficace se il piombo appare stagnatu,
cioè ben spiaccicato sulla pietra. In questo caso si dirà che la cartuccia è ddusata, ‘dosata’, ovvero
è una cartuccia efficace, risultando da un rapporto equilibrato tra la dose di polvere da sparo e la
dose di piombo. Si tratta comunque di una pratica oggi in disuso, poiché ormai nessun cacciato-
re suole preparare da sé le cartucce.
47 L’espressione sembra panregionale.
48 Registrata a Misilmeri, Pa e Cianciana, Ag.
214 Roberto Sottile

gero movimento; sia accovacciata nel suo giaciglio (e ciò vale per il coniglio
o per la lepre); sia in corsa o in volo.
nel primo caso (cfr. elenco, sub 9.a, in Quadro sinottico) le espressioni
corrispondenti sono: s. a ffermu 49 (dal contenuto semantico ben trasparente);
s. â posta 50 – che si connette, però, al comportamento del cacciatore più che
a quello del selvatico; s. â spinzirata 51 che richiama la condizione d’animo
del cacciatore il quale, se la preda è immobile, spara con la certezza di man-
dare a segno il colpo.
Se il cacciatore spara al coniglio o alla lepre mentre riposano accovacciati
in un giaciglio (cfr. elenco, sub 9.b), la locuzione corrispondente è s. a
gghiazzu 52, rifatta su iazzu, nome dialettale, appunto, del giaciglio.
Infine, per le espressioni riferite al tiro mentre la preda è in movimento
(9.c), si registra l’espressione, ben trasparente, s. a la cursa.

1.10. L’ultima serie di locuzioni, riferite ai modi di sparare in rapporto


all’azione o alla posizione della preda sul terreno di caccia, riguardano, infi-
ne, i suoi movimenti per entrare e uscire dalla tana.
Se il cacciatore preme il grilletto nel momento in cui la preda esce dalla
tana (cfr. elenco, sub 10.a), le corrispondenti locuzioni, s. a l’affacciata, s. a
bbucca di tana, s. a lu sàisdu (tutt’e tre di area centrale), fanno riferimento ri-
spettivamente al momento in cui il coniglio spunta, esce, schizza velocemen-
te (perché inseguito dal furetto) dall’apertura della tana53.

alla tana (10.b), si registrano le forme s. a ṭṭṛàsiri ‘nell’istante in cui entra’54 e


Infine, se il colpo è esploso in corrispondenza con il ritorno della preda

s. a la riconta ‘al ritirarsi, al rincasare’55.


A conclusione di questa rassegna, si riporta di seguito, per ragioni di
completezza, una tabella che ripropone sinotticamente le locuzioni venatorie
fin qui considerate.

49 Raccolta a San Giuseppe Jato, Pa.


50 La locuzione è stata registrata a a Termini Imerese, Pa, ma, come tante altre tra quelle ri-
portate in questo lavoro, è di diffusione panregionale. Essa fa riferimento a una specifica tecnica
di caccia (sparare alla posta) – che riguarda tanto il coniglio quanto la beccaccia – che si pratica
all’alba o all’imbrunire. Se nel caso del coniglio si tratta di un tiro facile (e infatti gli stessi cac-
ciatori precisano che esso è “riservato” al tiratore inesperto), nel caso della beccaccia si tratta di
un tiro assai complesso perché presuppone una grande abilità da parte del cacciatore che deve
prevedere da quale punto del terreno e in quale direzione si alzerà in volo la preda.
51 Raccolta a San Giuseppe Jato.
52 Registrata a Marsala, ma verosimilmente di diffusione panregionale.
53 Queste unità lessicali si riferiscono al modo di tirare anche in rapporto alla visibilità della

preda (cfr. 1.8). Tuttavia, la specificità connessa al loro essere spazialmente riferite alla tana ha
indotto a classificarle separatamente.
54 Registrata ad Alimena.
55 Di area nisseno-agrigentina.
“Tirare al selvatico”: modalità 215

QUADRO SInOTTICO
locuzioni venatorie in rapporto alle azioni
o alla posizione del cacciatore o della preda sul terreno di caccia

A) Azione o posizione del cacciatore rispetto al terreno di caccia (e/o alla preda)

1. Tiro in rapporto alla mira


1.a. tirare prendendo la mira, 1.b. tirare senza 1.c. ‘tirare al rumore’
seguendo la preda nel mirino (troppo) mirare
[- metaforica] s. a ccanniari s. a bbrazzu s. a la nṭṛasatta
s. ârringari s. a bbùolu s. â sfrattinata
s. dâ testa s. a ccoppu s. alla ddirezzioni
s. di puntata s. a ccorpê vrazza
s. â grazzata
s. a òcchiu
s. a pprimùocchiu
s. a sbracciari

s. a ṣṭṛuzzu
s. a scoppu

s. di bbùottu
s. di sticcata
s. ntô menzu
[+ metaforica] s. a bbusunata s. a la mira

s. a ṣṭṛaccu
s. a ffoto lampu s. a lu scuru

s. a ṣṭṛàscinu
s. a ffricarusu
s. a llampiari
s. all’uivvina
s. a ppaventu

s. a rrunziḍḍuni
s. a ppruvulenu

s. a ṭṭṛùgghia
s. a ttannuni

2. Tiro in rapporto al tempo


2.a. al momento propizio 2.b. fuori tempo
[- metaforica] s. a ccorpu sicuru s. primu
[+ metaforica] s. a ccoglirisillu

3. Posizione/equilibrio del cacciatore


3.a. precaria 3.b. ruotante sul proprio asse
s. a ṣṭṛuppiḍḍari / a ṭṭṛippeḍḍu
s. di ṭṛuncu
[- metaforica] s. malu mesu

[+ metaforica] s. a bbàźźica
s. mmalanza
216 Roberto Sottile

4. Posizione del cacciatore rispetto alla preda


4.a. più in alto 4.b. più in basso 4.c. di fronte 4.d. alle spalle
[- metaforica] s. a scìnnëri s. a ttest’a mmuntata s. di facci/nfacci s. a nfilari
s. conṭṛa pinninu
s. a ttest’appinninu s. ri nzutta s. di piettu s. di cuda
s. ô ravanzi s. di culu
s. supramesu s. rittu s. r’arretu
[+ metaforica] s. a cchiovu s. a ncastiḍḍari s. a nfila fecu
s. a cchiummu s. a spècchiu
s. a llavaturi
s. a ppicu
s. âppizzari
s. a ttest’appuzzuni
s. âttuzzari
s. pi ccaruta

5. Traiettoria del tiro


5.a. perpendicolare 5.b. rettilinea 5.c. obliqua/trasversale
[- metaforica] VEDERE 4.a., 4.b VEDERE 4.c., 4.d. VEDERE AnCHE 3.b.
s. di traversu
[+ metaforica] s. a sgualèrciu
s. hianchinu
s. a ttàgliu

6. Distanza del tiro rispetto alla preda


6.a. ravvicinata 6.b. media 6.c. lunga
[- metaforica] s. a scuppu vicinu s. rinṭṛa tiru s. stiratu
s. a ttiru curtu
s. ncuttu
[+ metaforica] s. a bbaḍḍa

s. a ppunci puḍḍitru
s. a bbruçiapilu

s. a ppurtusu
s. a spicignàrisi

s. a ssegnacavaḍḍu
s. a ssagnavièstia

s. a ttimpulata
7. Tipo di bersaglio
7.a. stormo 7.b. punto del terreno

s. a ṣṭṛaccu
[- metaforica] s. a ffrotta s. nzutta

s. a ttoccu
s. ô sbardu
[+ metaforica] s. a bbròçia s. â merca
s. a ssiminari
s. ntô menzu
“Tirare al selvatico”: modalità 217

B) Azione o posizione della preda rispetto al terreno di caccia (e/o al cacciatore)


8. Comportamento della preda in rapporto alla vista
8.a. appare e scompare 8.b. sta per sottrarsi alla 8.c. è ben in vista / è
vista del cacciatore al varco
s. a ccuḍḍari
s. a ṭṭṛasi e nnesci
[- metaforica] s. a ccolla e nnon colla s. a ppassaluoru

s. nṭṛ’affàccia e ccoḍḍa
s. mmacanti

[+ metaforica] s. a ppurtiḍḍu

9. Comportamento della preda in rapporto al movimento


9.a. è ferma o in leggero 9.b. è accovacciata nel 9.c. è in corsa
movimento giaciglio (coniglio/lepre)
[- metaforica] s. a ffermu s. a gghiazzu s. a la cursa
s. â posta
[+ metaforica] s. â spinzirata

10. Comportamento della preda in rapporto alla tana


10.a. esce/schizza fuori 10.b. vi fa ritorno
[- metaforica] s. a bbucca di tana s. a ṭṭṛàsiri
s. a l’affacciata
s. a lu sàisdu
[+ metaforica] s. a la rriconta

2. Lessico
sparari (102 Paceco, 110 Marsala, 112 sutt., 414 S. Cat. V., 415 S. Cat., 417
Mazara, 121 Vita Tp; 204 Terras., Sommat.Ⓣ, 418 Riesi, 419 Mazzar.,
206 Partin., 209 Montel., 214 Monr., 421 Gela Cl; 502 Villar., 503 Calasc.,
219 Chiusa S., 223 Corl., 225 S. 504 Sperl., 507 Àssoro, 512 Troina,
Gius. J., 235 Misilm., 239 Cefalà D., 514 Centur., 519 Piazza A. En; 601
247 Vìcari, 248 Prizzi Ⓣ1, 250 Lerca- Messina, 602 Tusa, 604 Pettineo, 608
ra, 254 Termini I., 255 Sciara, 256 Mistretta, 637 Ucria, 638 Raccuja,
Cerda, 259 Àlia, 262 Caltav., 266 Là- 648 Montalb. E., 649 Rocc. V., 653
scari, 269 Isnello, 271 Castell. S., 273 Francav. S., 661 Barcell. Me; 703
Alim., 274 Bompietro, 276 Petr. Sott., Bronte, 707 Linguagl., 718 Adrano
277 Gangi, 278 Geraci, 279 Castelb. Ct; 802 Lentini, 806 Buscemi, 807
Pa; 305 Sambuca, 306 Sciacca, 313 Pal. Acr., 808 Càssaro, 811 Melilli Sr;
Bivona, 315 Aless. R., 316 Cianciana, 903 Vittoria, 909 Mòdica Rg) tr. tira-

fuḍḍari, → tirari). ♦ in (Ⓣ 417 Som-


325 S. Ang. M., 327 Cammar., 329 re, esplodere uno o più colpi. (→ ca-
Castelt., 330 Arag., 335 Castrof., 336
Canic. Ag; 401 Caltan., 403 Mus- mat. Cl) cerca di sparà latinu o lu cu-

li fara aḍḍumati pp’acchiappallu espr.


som., 408 Monted., 409 Serrad., 410 nìgliu ava iessi quantu n’autobbussu ccu
Vallel. Ⓣ2, Ⓣ3, 411 Villalba, 413 Re-
218 Roberto Sottile

rivolta al cacciatore maldestro: cerca superare i venti, trenta metri, dopo i quali la
di sparare dritto o il coniglio deve es- rosata comincia ad allargarsi].
sere [grande] quanto un autobus con i • Si connette alla voce → bbaḍḍiari con
fari accesi per poterlo prendere! ♦ spà- rif. alla rosata che non si espande per-
racci (262 Caltav. Pa) sparagli!, incita- ché il colpo è sparato a distanza ravvi-
mento a sparare, per il compagno di cinata: i pallini non fanno in tempo
caccia. ♦ spàracci un curpu! (419 Maz- ad allargarsi per formare la rosata,
zar. Cl) sparagli un colpo!
patto; bbaḍḍiari (con -i- iterativa) è
giungendo sulla preda in modo com-

denominale di bbaḍḍa ‘proiettile, pal-


Ⓣ1 (248 Prizzi Pa) neca sparammu tutti i

modo], cc’è chiḍḍu chi spara chi ccamina,


stessi [non è che spariamo tutti allo stesso
lettone, pallottola’ (cfr. VS, s.v.), che
ìu per esèmpiu sparu di stoccata, a cchi ssu- DELI riconduce a fr. a. balle, a sua
Ⓣ2 (410 Vallel. Cl) u cuacciaturi […] chiḍḍu
gnu accussì, a cchi sparu.
volta, dal francone balla.

Ⓣ3 (410 Vallel. Cl) […] di ṭṛavìarsu […] s. a bbàźźica (504 Sperl. En) sparare in
chi spara all’urvina un vidi chi spara […].

chiḍḍu è ṭṭṛuppìaḍḍu […] mpacci è cchiù


ddifficili. […] Iḍḍu ti parti di davanti rittu
equilibrio precario.
[…] “cci sparàiu rittu nculu!”. • La locuzione è documentata per Sper-
linga (En) in Ruffino (1980) che la ri-
• numerose e di grande interesse, anche conduce a sic. vòzzica ‘altalena’ (con
in rapporto alla componente metafo- numerosissime varianti locali); la voce
rica o espressiva, sono le locuzioni ri- rientra, quindi, in un’ampia famiglia
ferite alle modalità di esplosione del- lessicale che comprende «it. a. bazzi-
l’arma da fuoco, cfr. infra: care ‘dimenare, dondolare’, corso baz-
s. a bbaḍḍa (262 Caltav. Ⓣ Pa; 410 Val-
zigà ‘cullare’, genov. bässigà ‘dondola-
lel. Cl), s. a bbaḍḍiari (254 Termini
re’, bässigu, bansigu ‘altalena’, parole
tutte di origine imitativa per VEI 117;
I., 256 Cerda, 262 Caltav. Ⓣ, 273
per contaminazione del merid. voca
Alim., 277 Gangi Pa; 414 S. Cat. V.
‘altalena’ (‘voga’) col tipo centro-me-
Cl), s. a ppalla (410 Vallel. Cl) spara-
rid. nazzicare ‘cullare’ per DEI 5,
re a bruciapelo, da distanza ravvicina-
4092» (Ruffino 1980: 451).
ta; ~ (254 Termini I. Pa; 330 Arag.
s. a bbrazzu (419 Mazzar. Ⓣ Cl) sparare
Ag), s. a ppallittuna (254 Termini I.
Pa) sparare con una sola grossa cartuc-
cia; si usa solitamente per la caccia al a volo, d’imbracciata, senza mirare
cinghiale. normalmente.
Ⓣ (262 Caltav. Pa) A bbaḍḍa è qquannu cci
Ⓣ (419 Mazzar. Cl) A bbrazzu jè nna cosa
arriva a bbaḍḍa, a bbaḍḍa è, per esèmpiu, si veloci. [(sparare) … è un’azione veloce].
ttu, è bbicinu […] tu per esèmpiu, a bbaḍḍia- • Si connette a sic. vrazzu ‘braccio’, qui
t… t’arriva a bbaḍḍa […] p’allargàrisi a
ri u… u chiummu… o pùostu d’allargàrisi, con betacismo di v- in fonosintassi.
chiummata av’a ssuperari i vinti meṭṛi, i ṭṛen-
ta meṭṛi e ccumìncia âllargàrisi a rrusata. [A s. a bbròçia (313 Bivona, 315 Aless. R.,
bbaḍḍa è quando (il piombo) gli arriva (al 316 Cianciana Ag) sparare allo stormo.
selvatico) a bruciapelo; a bbaḍḍa è, per
esempio, se è vicino […] a bbaḍḍiari il • Va con sic. bbròçia, bbròscia nel senso
di ‘solco direttivo nella striscia di terre-
bbaḍḍa […] per estendersi, la rosata, deve
piombo, al posto di allargarsi, arriva a
no su cui si procede nel seminare’, ‘sol-
“Tirare al selvatico”: modalità 219

co fatto dall’aratro’ (cfr. VS, s.vv.) sot- pìgghia u pìgghia, se nô pìgghia si nni va! [Se
tintendendo che, mirando allo stormo è nel bosco gli devi sparare a bbusunata,
nel suo insieme, «i volatili colpiti ca- senza mirare. Se lo colpisce bene, altrimenti
se ne va!].
dano al suolo come semente» (Ruffino
1980: 451); semanticamente la locu- • La locuzione si riconduce a sic. bbusu-
zione corrisponde dunque a → s. a ssi- ni ‘bolzone: sorta di freccia con capoc-
minari documentata per Mazara (Tp). chia grossa’ (cfr. VS, s.v.) e si collega a

s. a bbruçiapilu (206 Partin., 247 Vìcari


«forme che vanno con l’it. bolzone
‘ariete, rompimuro, freccia con capoc-
Pa; 410 Vallel. Cl), s. a bbruciapilu chia in punta’, ant. bolcione, sp. bozon
(278 Geraci Pa; 903 Vittoria Rg), s. dall’a. fr. bouzon, boujon (DEI 1, 555)

tin., 254 Termini I. Pa) → s. a bbaḍḍa.


âbbruçiapilu (112 Mazara Tp; 206 Par- la cui radice è il long. *bultjo ‘caviglia’»
(Ruffino 1980: 452).

s. a ccanniari (254 Termini I. Ⓣ Pa)


• It. a bruciapelo.

s. a bbucca di tana (259 Àlia, 278 Geraci sparare dopo avere seguito col fucile il
Ⓣ Pa; 316 Cianciana Ag; 418 Riesi selvatico per poterlo bene inquadrare
Cl) sparare al selvatico nell’istante in nel mirino.
Ⓣ (254 Termini I. Pa): Picchì, çetti voti, u
cunìgghiu si ṭṛova mmenz’ê cannizzoli / e al-
cui esce dalla tana.
Ⓣ (278 Geraci Pa) su cci spara propria ca un
niamu tantìcchia / pigghiamu ḍḍu àttimu di
lura u nnu viremu bbonu e, allura, nû can-
ci duna u timpu, ca cci spara avanti a tana,
dici “cci sparàiu a bbucca i tana, un cci detti tempu / e ppoi cci lassamu iri a scupittata! …
mancu u timpu ca s’arrassà”. [Se si spara Si cc’è, ggiustamenti, u tempu … va … cc’è u
(all’animale) senza neppure dargli il tempo spazio ri putiri … putiri … putiri vìriri u
(di scappare), se gli si spara davanti alla tana cunìgghiu e pputillu seguiri cu ll’occhi. Se,
si dice “gli ho sparato… non gli ho dato ccomu riçevu antura, u spàzziu un c’è, si spa-
nemmeno il tempo di fuggire”]. ra. [A volte, il coniglio si trova in mezzo alle
• Propr. ‘a bocca di tana’; corrisponde a canne / allora non riusciamo a vederlo bene
it. sparare allo schizzo (cfr. Farini / Asca- e, così, lo seguiamo un po’ con il mirino /
ri 1941: 227; Ruffino 1980: 452). prendiamo un po’ di tempo / e poi gli tiria-
mo la schioppettata! … in questo modo c’è
s. a bbùolu (262 Caltav. Pa), (408 Mon-
il tempo … c’è il modo di potere … potere
… potere vedere il coniglio e poterlo seguire
ted. Cl), s. a lu vulu (415 S. Cat. Cl), con gli occhi. Se, come dicevo prima, lo
s. a vvolo (327 Cammar. Ag), s. a vvo- spazio non c’è, si spara…].
lu (329 Castelt. Ag), s. a vvulu (414 S. • Va con → canniari ‘prendere la mira’,
Cat. V. Cl), s. a vvuolu (419 Mazzar. ‘accompagnare con la mira il volo o la
Cl) sparare a volo, di stoccata, nel- corsa della selvaggina’, ‘seguire con le
l’istante stesso in cui si mira. (→ but- canne del fucile i movimenti del selva-
tiari, curpiari, lampiari). tico guardando nel mirino’ (→ arrin-
• Lett. ‘a volo’, ‘al volo’. gari, canniari, signari). Denominale di

s. a bbusunata (903 Vittoria Ⓣ Rg), s. a


canna ‘canna del fucile’, corrisponde a
it. venat. accompagnare (Farini / Asca-
bbuźźunata (418 Riesi Cl), s. di bbusu- ri 1941: 83).
nata (903 Vittoria Rg) → s. a bbrazzu.
Ⓣ (903 Vittoria Rg) Si è ndâ uòscu cci â s. a cchiovu (112 Mazara Tp), s. a cchiuo-
sparari a bbusunata, senza ammirari: se u vu (327 Cammar. Ⓣ Ag) sparare dal-
220 Roberto Sottile

l’alto in basso ad un selvatico che fug- s. a ccoppu / s. i coppu (601 Messina), s.


ge in discesa. a ccoppu pessu (703 Bronte Ct), s. a
Ⓣ (327 Cammar. Ag) A cchiuovu, in pochi
ccoppu tunnu (649 Rocc. V., 653 Fran-
paroli si minti ccà, cc’è na peṭṛa, si minti ccà cav. S. Me), s. a ccorpu tunnu (707
ncapu, na peṭṛa gàuta e u cunìgliu per esèmpiu Linguagl. Ct), s. a ccuoppu (909 Mò-
nesci di ḍḍà ssutta, nn’è ca cci pò sparari diver- dica Rg), s. a ccuorpu tunnu (514 Cen-
samenti in chianu, av’a sparari ad accurzari. tur. En), s. a ccurpiari (206 Partin. Pa),
[A chiodo praticamente (il cacciatore) si met- s. a ccurpu tunnu (718 Adrano Ct)
te qua, c’è una pietra, vi si mette sopra, una
pietra alta, e il coniglio per esempio esce da
sparare senza troppo mirare.
là sotto (dal basso), non è che gli puoi spara- • Propr. ‘a colpo’, ‘di colpo’, ‘a colpo per-
re in orizzontale, deve sparare ad accorciare]. so’, ‘a colpo tondo’. Le locuzioni sono
• Lett. ‘a chiodo’; la seconda delle va- in Ruffino (1980) che le pone in corri-
rianti presenta esito metafonetico del- spondenza con it. tirare a l’inzecca tra-
la vocale medio-bassa. endolo da Farini / Ascari (1941: 227).
Quanto alla variante s. a ccurpiari, VS
s. a cchiummu (327 Cammar. Ag), s. a (s.v.) documenta per curpiari il senso
cciummu (903 Vittoria Rg) → a cchiovu. di ‘ferire, colpire ripetutamente, spec.
con arma da taglio’. Ma la locuzione
• Propr. ‘a fil di piombo’; la seconda del- potrebbe considerarsi variante del-
le varianti mostra l’esito palatale affrica-
dello della coppia → s. a bbaḍḍa / s. a
l’espressione a ccorpu secondo il mo-
to di cl-, tipico dell’area siciliana sud-
orientale (cfr. Ruffino 1991: 109-110). bbaḍḍiari.
s. a ccoglirisillu (409 Serrad. Cl) sparare s. a ccorpa dë vrazza (421 Gela Cl), s. a
nell’attimo più propizio. ccorpê vrazza (421 Gela Ⓣ Cl), s. a ccor-
pî vrazza (421 Gela Cl) → s. a bbrazzu.
• È da spiegare, con ogni probabilità, in
relazione a cògghiri nel senso di ‘colpi- Ⓣ (421 Gela Cl) Unn è cû cunìgghiu nesci a

menzu i macchi […] chiḍḍu si chiama a ccor-


ttërrenu lìbbëru, è ddiffìcilë, si ìu sugnu am-
re, cogliere nel segno’ (VS, s.v.) e ‘col-
pire la preda’ (→ cògliri), ma anche nel pê vrazza, â èssiri bbravu dë vrazza, senza
senso di ‘morire’ (cfr. sic. cugghìrisi i
ṭṛova sùbbitu u cespùgliu. [non è che il coni-
mërari […] cchì u cunìgghiu è bbicinu, u
pupi, i pezzi, li stigghi, cugghìrisi lu cot-
tu e lu crudu, cogghirisilla o cugghirisil- glio esce su un terreno sgombro, è difficile,
la ‘andar via, svignarsela’, ‘morire’. se io sono in mezzo ai cespugli […] questo
(modo di sparare) si chiama a ccorpê vrazza,
s. a ccolla e nnon colla (703 Bronte Ct)
devi essere bravo con le braccia, senza mira-
re […] perché il coniglio è vicino, lo trova
sparare al selvatico che, nel cercare subito, il cespuglio].

le asperità del terreno. (→ cuḍḍari,


scampo, ora appare ora scompare tra
• Lett. ‘a colpi di braccia’.
ṭṛacuḍḍari). s. a ccorpu sicuru (225 S. Gius. J. Pa)
• Si connette a sic. cuḍḍari ‘tramontare; sparare avendo un’alta probabilità di
scomparire dalla vista’; da cŏllis ‘col- colpire il selvatico.
le’ (REW), qui con mantenimento di • Lett. ‘a colpo sicuro’.
s. a ccuḍḍari (273 Alim. Pa; 327 Cam-
-ll-, tipico delle colonie galloitaliche

ccuḍḍari).
della Sicilia nord-orientale (cfr. s. a
mar. Ag; 411 Villalba, 418 Riesi Cl),
“Tirare al selvatico”: modalità 221

s. a ccullari (703 Bronte Ct), s. a ṣṭṛa-


cuḍḍari (223 Corl. Pa; 316 Cianciana
posta [Ci sono quelli […] che non sanno
sparare e se ne vanno alla posta 56 ], e cci spà-
Ag), s. a ṭṭṛaccuḍḍṛari (419 Mazzar. ranu a ffermu, […] un tiru bbabbu [un tiro
Cl), s. a ttracuḍḍu (414 S. Cat. V. Cl),
facile], a ffermu praticamenti, gli spari a ffer-
s. ô ṭṛacùaḍḍu (507 Àssoro En), s. ô
mo, […] [(il coniglio)] di sòlitu nesci dâ tana

tracuḍḍu (414 S. Cat. V. Cl), s. ô ṭṛa-


e sta ffermu, […] cc’è quando cammina, c’è

coḍḍu (269 Isnello Pa), s. ô ṭṛacùoḍḍu


quando… quindi non corre veloce, o si ferma
o cammina piano, perchè non è inseguito da
(409 Serrad. Cl) sparare al selvatico nessuno.
nel momento in cui sta per sottrarsi • Connessa a fermu ‘fermo, che non è in
alla vista del cacciatore. movimento’ (cfr. VS, s.v.), la locuzio-
ne rimanda alla tecnica di caccia, tipi-
ducono tutte a sic. cuḍḍari (→ s. a ccol-
• Le diverse unità fraseologiche si ricon-
ca del cacciatore di posta, che prevede
non già di andare in cerca della preda,
ne, si devono ṣṭṛacuḍḍari ‘scomparire
la e nnon colla) a cui, per prefissazio-
ma di appostarsi nell’attesa che la sel-

ṭṭṛarimentu, càccia all’aspetto, posta).


alla vista oltrepassando la linea del- vaggina sbuchi fuori. (→ càccia a

(cfr. VS, s.v.) e ṭṛaccuḍḍari ‘tramonta-


l’orizzonte, scollinare’, ‘tramontare’

re’, ‘scomparire dall’orizzonte visivo, s. a ffoto lampu (206 Partin. Pa) sparare
sottrarsi alla vista per il fatto di allon- in maniera precipitosa.
tanarsi’ (cfr. VS, s.v.). Ai due verbi si • Propr. ‘in un flash’.
ṭṛacoḍḍu ‘tramonto’ e ṣṭṛacoḍḍu ‘ciò
connettono, a loro volta, i deverbali
s. a ffricarusu (327 Cammar. Ag) spara-
che si trova oltre la linea dell’orizzonte re senza avere un bersaglio fisso.
e che non può essere visto’ (cfr. VS,
• La locuzione si connette a sic. frica-
zioni ô traccoḍḍu (VS, s.v. traccoḍḍu)
s.vv.); in sic. esistono anche le locu-
cariḍḍusu e fricaloru, cfr. VS, s.vv.),
rusu ‘frettoloso, impulsivo’ (anche fri-

ṣṭṛacoḍḍu ‘oltre la vista, al riparo, a ri-


‘fuori dall’orizzonte visivo’ e a lu
voce che appartiene a una ricca fa-
dosso’ (VS, s.v. ṣṭṛacoḍḍu). Si noti, tra
so’, ‘fretta’, fricareḍḍa ‘fretta, smania
miglia lessicale: frica ‘desiderio inten-
le varianti, l’esito laterale di -ll- (a
Bronte, cfr. s. a ccolla e nnon colla), ti- di far presto’, fricari ‘sfregare, strofina-
pico delle colonie galloitaliche della re’, ma anche ‘smaniare per desiderio;
Sicilia nord-orientale. aver la fregola’ (cfr. VS, s.vv.). Da lat.
frĭcare.
s. a ccuorpi di pala (327 Cammar. Ag)
→ s. a bbaḍḍa. s. a ffrotta (808 Càssaro Sr), s. a ffruttu-
ni (608 Mistretta Me), s. ntâ frotta
s. a ffermu (225 S. Gius. J. Ⓣ Pa) spara- (703 Bronte Ct) → s. a bbròçia.
re alla preda quando questa meno se • La locuzione è documentata in Ruffi-
lo aspetta ed è quindi ferma, o in leg- no (1980: 452), che riconduce la voce
gero movimento. all’a. fr. «flotte (Olivieri 300; DEI 3,
Ⓣ (225 S. Gius. J. Pa) Cci su cchiḍḍi […] 1723; MiglDuro 232) forse per un
ca… un ciâ fìranu a sparari e ssi nni vannu â tramite iberico (VEI 440)», avverten-

56 Vedi sub 9.a, in Quadro sinottico.


222 Roberto Sottile

do che «l’accostamento a flotta è, però, s. a la mira (419 Mazzar. Cl) sparare a


“una tentazione” per Battaglia 6, 390». un selvatico di cui si intuisce la pre-

s. a gghiazzu (110 Marsala Ⓣ Tp; 225


senza dentro un cespuglio.
• Lett. ‘alla mira’; corrisponde a it. ve-
S. Gius. J. Pa) sparare al coniglio ac- nat. tirare al rumore (Farini / Ascari
covacciato nel suo giaciglio. 1941: 227).
Ⓣ (110 Marsala Tp) u cunìgghiu u viri a
s. a la nṭṛasatta (707 Linguagl. Ct), s. a
ddelicatezza quannu iḍḍu si šta accussì a ddu
gghiazzu? cci špara ntešta, / pe mmaggiore
nṭṛasattu (403 Mussom. Cl), s. a ṣṭṛa-
meṭṛi e u viri, u punta na ll’occhio / Pà! si
štappa sulu a tešta […] tàgghia a lliveḍḍu sartu (503 Calasc. En), s. a sṭṛasattu
dunni fu mmacinatu e cchiḍḍu c’arrešta è ssa-
ciana Ag; 410 Vallel. Cl), s. di ṣṭṛasat-
(259 Àlia Pa; 306 Sciacca, 316 Cian-
nu. è šparari a gghiazzu, quannu cci špara
nnô iazzu štessu. [il coniglio lo vedi accovac- tu (411 Villalba Cl) → s. a la mira.
ciato? Gli spari in testa, per maggior delica-
tezza, quando lui (il coniglio) sta così a due • Tutte le forme sono in Ruffino (1980:
metri (di distanza) e lo vedi, lo punti (all’al- 453), che rimanda a «sic. ântrasatta,
tezza) degli occhi Pà! (e spari). Salta solo la all’antrasatta ‘all’improvviso’ (VS), a
testa […] (il cacciatore) taglia “a livello”, strasattu ‘a cottimo’ (Traina)» ricon-
dove è stato spappolato e quello che resta è ducendo le voci all’a. fr. entresait ‘in
intatto. È sparari a gghiazzu, quando gli
spari nel giaciglio stesso].
ogni caso’, ‘immediatamente’, da lat.
in transactu.
• Si connette alla locuzione pansic. a
gghiazzu riferita al coniglio o alla le- s. a la rriconta (335 Castrof. Ag; 409 Ser-
pre che stanno accovacciati in un gia- rad. Cl) sparare al coniglio che, nelle
ciglio all’aperto. Da *iacium < iacēre ore mattutine, fa ritorno nella sua tana.
‘giacere’.
• Il significato primario di rriconta / rri-
s. â grazzata (248 Prizzi Pa) → s. a
cota è quello di ‘raccolta, raccolto, ri-
bbrazzu. ferito a prodotti agricoli’. Ma tra i va-
lori di rricota VS (s.v.) riporta ‘il riti-
• Rifatta su grazzu, variante di sic. vraz- rarsi, il rincasare’, ‘il ritirarsi in casa’
zu ‘braccio’ (cfr. VS, s.v.). (anche a la rricota ‘al ritirarsi in casa’,

s. a la cursa (415 S. Cat. Cl) tirare alla


‘al tempo del raccolto’) e la locuzione
di ambito venatorio (raccolta nell’en-
preda mentre corre. nese) mittìrisi â rriconta ‘appostarsi,
• Lett. ‘alla corsa’. la locuzione corri- del cacciatore nelle ore mattutine,
sponde a it. venat. tirare a corsa (Fari- quando i conigli rientrano nelle tane’;
ni / Ascari: 1941: 278). in VS (s.v. rriconta) si trova, inoltre,
per il punto nisseno di Montedoro, ‘il
s. a l’affacciata (335 Castrof. Ag; 409 ritirarsi dei conigli nelle tane, sul far
Serrad. Cl) sparare al coniglio quando del giorno’. (→ rriconta, rricota).

s. alla ddirezzioni (507 Àssoro En) → s. a


esce dalla tana, la sera.
• Si connette a sic. affacciari ‘spuntare, la mira.
comparire’ (VS, s.v.), con rif. all’uscita
dei conigli dalla tana, sul far della se- s. a llampiari (247 Vìcari, 254 Termini
ra. (→ affacciata). I., 262 Caltav. Ⓣ Pa), s. a llampu
“Tirare al selvatico”: modalità 223

(206 Partin., 235 Misilm. Pa; 410 • Propr. ‘al (momento del) salto’, con rif.
Vallel., 417 Sommat. Cl) sparare con all’istante in cui il selvatico schizza fuo-
mira precipitosa. (→ nfruçiuniari). ri dal rifugio (cfr. Ruffino 1980: 453).

s. a lu scuru (417 Sommat. Cl) → s. a la


Ⓣ (262 Caltav. Pa) A llampiari è accussì. Cc’è
quannu u cunìgghiu parti e ttu ai u tiempu di
signaritillu e cci spari; cc’è quannu u tiempu mira.
un ll’ai e cci spari accussì a llampiari [A llam-
piari è così (significa questo): c’è quando il • Propr. ‘al buio’ (cfr. VSES, s.v. scúru).

s. â merca (262 Caltav. Pa) sparare con-


coniglio scappa e tu hai il tempo di mirare,
e gli spari; c’è quando il tempo non ce l’hai
e gli spari così, con mira precipitosa]. tro una pietra, presa come bersaglio,
• Propr. ‘a lampeggiare’, ‘in un lampo’. per saggiare l’efficacia delle cartucce
(→ merca). Propr. ‘sparare al bersaglio’.
s. a llatina (254 Termini I. Pa) ‘sparare • nel linguaggio venatorio, merca (an-
in modo eccellente’. che → mecca, mèicca) vale ‘bersaglio di
• Da lat. latīnus ‘latino’, nel senso di vario tipo contro cui il cacciatore spa-
‘facile, pronto, svelto’ (DEI, s.v.). ra per collaudare le cartucce’. VS atte-
sta la voce al femminile (merca) e al
s. a llavaturi (327 Cammar. Ag) → s. a maschile (mercu) col valore di ‘mar-
cchiovu. chio, marchiatura; segno’ ma anche di
‘bersaglio, mira’ (VS, s.v. merca 1; cfr.
• È da connettere alla voce sic. lavaturi anche nzirtari o pigghiari a merca ‘im-
(cfr. VS, s.v.) ‘pietra usata dalla lavan- broccare il bersaglio’, mèttiri â merca
daia per lavarvi su’, ‘parte della pila, ‘mettere al bersaglio’, a la merca ‘al
fatta a scanalature, su cui si stropiccia- bersaglio’ e ‘gara fra cacciatori consi-
no i panni durante la lavatura’. La lo- stente nel colpire un bersaglio di lat-
cuzione venatoria è dunque motivata ta’. Per la storia e l’origine della paro-
dalla collocazione in obliquo della pie- la, cfr. VSES (s.v. mércu).
tra o della tavola; cfr. anche la forma
(pan)sic. a llavaturi ‘a piano inclinato, s. a mmètiri (219 Chiusa S. Pa) → s. a
a pendio’. bbròçia.
s. all’uivvina (223 Corl. Pa), all’urbisca • Lett. ‘a mietere’.

s. a mmiṭṛàgghia (254 Termini I. Ⓣ Pa),


(907 Mont. A. Rg), s. all’urvina (327
Cammar. Ag; 410 Vallel. Cl) → s. a
ccoppu. s. a mmiṭṛàglia (330 Arag. Ag) nella
caccia alla volpe o all’istrice, sparare “a
• La locuzione vale propr. ‘alla cieca’ pallettoni”, usando, cioè, cartucce con
(cfr. Ruffino 1980: 454). nel caso piombo zero o doppio zero.
Ⓣ (254 Termini I. Pa) A mmiṭṛàgghia si
della variante corleonese, si noti l’esito
spara â vurpi, ô porcospinu [a mmiṭṛàgghia si
palatalizzato di r preconsonantica (ti-
pico dell’area palermitana e della Sici- spara alla volpe, all’istrice].
lia occidentale costiera).

s. a lu sàisdu (316 Cianciana Ag), s. a


• Lett. ‘a mitraglia’.

ssatu (219 Chiusa S. Pa), s. ô satu (273 s. a ncastiḍḍari (277 Gangi Pa) sparare
Alim. Pa) → s. a bbucca di tana. dal basso verso l’alto.
224 Roberto Sottile

• Si connette a casteḍḍu ‘castello’ da cui


il parasintetico ncastiḍḍari (cfr. VS,
può capitare che se ne va in linea retta e al-
lora tiri a nfilari].
s.v.) che vale non soltanto ‘ammassa- Ⓣ2 (507 Àssoro En) Di filu, quannu è ddi-
rittu, quannu è ddirittu davanti a mmia [da-
re’, ‘ammucchiare’, ma anche ‘solle- vanti a me].
varsi in aria con rapido volo, della Ⓣ3 (417 Sommat. Cl) Quannu cci spara di
pernice’ e ‘impennarsi, ad esempio del n’arriri [da dietro] unu cci spara di mbilata.

s. a òcchiu (254 Termini I. Pa), s. a


cavallo’, accezioni, queste ultime, che
sembrerebbero giustificare lo specifico
valore che qui la locuzione assume. pprim’òcchiu (330 Arag. Ⓣ Ag) → s. a

s. a ncupirchiari (417 Sommat. Cl) spa-


llampiari.
Ⓣ (330 Arag. Ag) sparari a pprim’òcchiu, co-
rare allo stesso selvatico, da più caccia- mu unu u viri pum… o u nzerti o lu sbagli, e
tori contemporaneamente. cchissu è sparari a pprim’òcchiu [sparare a
prima vista, non appena si vede il selvatico
• La locuzione trova la propria motiva- pum… o lo prendi o lo sbagli, questo è spa-
zione in una delle accezioni della voce rare a prima vista].
ncupirchiari la quale, oltre a ‘mettere
il coperchio’, vale anche ‘sovrapporre, • Lett. ‘a occhio’, ‘a prim’occhio’; a pri-
mettere un oggetto sopra un altro’ ma vista.
(cfr. VS, s.v.); il verbo è formazione s. â posta (254 Termini I. Pa) sparare al
parasintetica da cupèrchiu. coniglio dopo averlo atteso in aggua-
s. a nfila fecu (277 Gangi Pa) sparare al
to. Cfr. Commento s.v. s. a ffermu.
selvatico che avanza frontalmente ri- s. a ppassaluoru (327 Cammar. Ag) spa-
spetto al cacciatore. rare al selvatico, in fuga in un percor-
• La locuzione è in Ruffino (1980: so abituale, nel momento in cui si tro-
452): «propr. ‘a infilar (lo spago) nella va alla vista del cacciatore.
filza di fichi secchi’». • La locuzione è rifatta su sic. venat.
s. a nfilari (273 Alim., 278 Geraci Ⓣ1
passaluoru (anche passaturi, passiaturi)
Pa), s. di ḍḍṛettu felu (411 Villalba
‘percorso del coniglio visibile nell’er-
Cl), s. di ḍḍṛittu filu (316 Cianciana
ba o tra le stoppie’, cioè lo stretto pas-
saggio che si forma su una striscia
Ag), s. di felu (273 Alim. Pa), s. di filu d’erba calpestata, che il coniglio per-
(255 Sciara Pa; 507 Àssoro Ⓣ2 En), s. corre abitualmente per entrare e uscire
di mbilata (417 Sommat. Ⓣ3 Cl), s. dalla tana.

s. a ppaventu (112 Mazara Tp; 306


drittu filu (273 Alim. Pa) sparare alla
preda d’infilata, cioè mentre fugge, se-
guendo una traiettoria rettilinea ri- Sciacca Ag) sparare a un selvatico che,
spetto a chi impugna l’arma. avvertendo il pericolo e fuggendo con
Ⓣ1 (278 Geraci Pa) Sparari chiḍḍu jè ssecun- corsa (o volo) irregolare e affannosa,
nu cumu sata u pizzu â càccia, quannu scap- obbliga a una mira precipitosa.
pa, assecunnu cumu scappa, u tirrenu ca avi • VS (s.v. paventu) riporta in prima ac-
lìbberu, pò ccapitari ca si nni va a llìnea di-
retta e cci spari a nfilari [questo modo di cezione ‘timore, paura’ e dà anche la
sparare dipende da come salta il pezzo di locuzione a ppaventu ‘per intimorire’,
caccia (il selvatico), quando scappa, a secon- gen. nelle locuzioni sparari a-ppaven-
da del terreno libero che ha a disposizione, tu, amminazzari a-ppaventu, e ‘a caso’.
“Tirare al selvatico”: modalità 225

Per il lessico venatorio, l’unità fraseo- no in pendio, spara dall’alto a un sel-


logica s. a ppaventu è in Ruffino vatico che si trova più in basso.

s. a pprimùocchiu (409 Serrad., 418 Rie-


(1980: 453), che la connette a sic. pa-
ventu «propr. ‘timore’ e anche ‘urlo,
grido’ (Traina); cfr. it. paventare ‘te- si Cl), a pprimùacchiu (411 Villalba
mere’ < *paventare dal lat. pavēns - Cl) → s. a bbùolu.
entis di pavēre (DEI)». • In Ruffino (1980: 453): «propr. ‘a pri-
s. a pperciabbuffa / s. a pperciavisazza
mo occhio’ vale a dire ‘nell’istante
stesso in cui si mira’».
(273 Alim. Pa) sparare dall’alto in
basso e a bruciapelo. s. a pprimu puntu (306 Sciacca Ag) → s.
• La locuzione si trova in Ruffino (1980: a ccoppu.
253), che, per essa, precisa: «propr. ‘a • Lett. ‘a prima mira’; mirando e imme-
fora-rospo’, ‘a fora-bisaccia’». È rifatta ditamente sparando.
sul verbo pirciari ‘forare, bucare’ per
cui cfr. VSES (s.v. pirciári). s. a ppruvulenu (418 Riesi Cl) sparare

s. a ppicu (110 Marsala Tp) → s. a cchio-


senza troppa convinzione, a casaccio.
vu; ~ (306 Sciacca Ag) → s. a pperciab- • La locuzione è in Ruffino (1980) che la
buffa. riconduce alla voce pruvulinu / purvu-
linu ‘moltitudine di insetti moventisi
• Propr. ‘a picco, a perpendicolo’ (cfr. confusamente e quasi rammontando-
Ruffino 1980: 453), per cui si veda VS, si’ (Traina), senza escludere un possibi-
s.v. picu1 dove si trova la locuzione a le nesso con sic. pruvinu ‘semenzaio’
ppicu ‘a piombo, a perpendicolo’. Ma (< pulvinus). Questa seconda eventua-
non è da escludere un incrocio con sic. lità, confortata dall’esistenza della locu-
picu nel senso di ‘piccone’ (cfr. VS, s.v. zione siminari a ppruvulinu ‘seminare
picu 2), che indurrebbe a ipotizzare che a spaglio’ (VS, s.v. pruvulinu), permet-
essa richiami, in qualche modo, anche terebbe di accostare plausibilmente la
il movimento del picconiere (dall’alto locuzione alla stessa classe motivazio-
in basso), analogamente ad altre locu- nale di → s. a bbròçia e → s. a ssiminari.

s. a ppunci puḍḍitru (271 Castell. S. Pa)


zioni venatorie fondate su motivazioni

→ s. a bbaḍḍa.
di tipo meccanico (cfr. supra, s. a pper-

s. a ssagnavièstia e s. a ssegnacavaḍḍu).
ciabbuffa e s. a pperciavisazza, e sotto,

puḍḍiṭṛu ‘puledro di asino, di cavallo


• Lett. ‘a pungi puledro’; si connette a
s. âppizzari (110 Marsala Tp; 271 Ca-
o di mulo, che segue ancora la madre’
stell. S. Ⓣ Pa) → s. a cchiovu.
(VS, s.v.), che è il corrispettivo meri-
Ⓣ (271 Castell. S. Pa) tu pò sparari âppizza-
púṭṛu). Pùnciri vale anzitutto ‘punge-
dionale di it. puledro (cfr. VSES, s.v.
ri quannu tu si mpustatu [puoi sparare a ap-
pizzari quando sei appostato].
re’, anche nel senso di ‘spronare’, ma i
• Per sic. appizzari, VS (s.v.) riporta in valori (gergali) di ‘ferire col coltello’ e
prima accezione il valore ‘piantare, in- ‘trafiggere’ (cfr. VS, s.v.) potrebbero
figgere, conficcare’. Il verbo, quindi, indurre ad accostare la locuzione alla
medesima classe motivazionale di → s.
a ssagnavièstia e → s. a ssegnacavaḍḍu.
esprime metaforicamente l’azione del
cacciatore che, trovandosi su un terre-
226 Roberto Sottile

s. a ppurtiḍḍu (507 Àssoro En) sparare al


«gli ho sparato a rrunziḍḍuni», se (la preda)
[poi c’è quel colpo (di fucile) che uno dice
varco, aspettando che, nella sua corsa
nella fitta sterpaglia, la preda arrivi nel cade, bene, se non cade, pazienza, tanto per
sparargli un colpo, che magari non è ben
punto in cui sarà ben visibile, prima preciso, ma intanto il cacciatore per istinto,
di sparire nuovamente. appena vede un pezzo di caccia (un selvati-
• Propr. ‘a sportello’. La voce purtiḍḍu è co), spara].

metafonetico, di purteḍḍu ‘sportello’.


qui variante, con vocalismo tonico • La locuzione, che vale ‘sparare con
mira precipitosa’, è da connettersi al

s. a ppurtusu (278 Geraci Pa; 903 Vitto-


verbo (a)rrunzari (cfr. VS, s.v. rrunza-

ria Rg) → s. a bbaḍḍa.


ri 1), che reca tra i suoi significati quel-
lo di ‘raffazzonare, sbrigare male, in
• Propr. ‘a foro’, ‘a pertugio’ (purtusu / fretta e grossolanamente qualsiasi la-
pirtusu ‘buco’, ‘foro’ < pertūsus < voro’, ‘lavorare disordinatamente e in
pertŭndĕre, cfr. VSES, s.v. pirtúsu). tutta fretta’ (cfr. anche in VS: rrunza-
ta ‘atto o effetto dell’eseguire disordi-
s. ârringari (206 Partin. Pa), s. a rringu natamente e in fretta un lavoro’; rrun-
(279 Castelb., 281 Pòllina Pa) → s. a zaturaru e rrunzuni ‘chi fa le cose in
ccanniari. (→ arringari, canniari). fretta e senza cura’). Per l’origine di
arrunzari cfr. VSES (s.v. arrunzári)
• nel lessico venatorio siciliano il verbo che lo considera, in forma dubitativa,
→ arringari con le varianti rringari, verbo denominale formato sul lat.
ringaniari, rringuniari, vale ‘prendere rŭmex -icis ‘giavellotto’.
la mira, seguire la selvaggina attraver-
so il mirino prima di sparare’, corri- s. a sbracciari (247 Vìcari Pa) → s. a
spondendo, dunque, a it. venat. ac- bbrazzu.
compagnare. Per l’origine e l’etimo
della voce cfr. VSES (s.v. ríngu). s. a scìnnëri (421 Gela Cl) → s. a cchiovu.
Lo stesso valore e la stessa origine di
arringari ha la loc. venatoria a rringu • Propr. ‘a scendere’.

s. a scoppu (315 Aless. R. Ag), s. a


– che nel lessico comune vale invece
‘in fila, uno dopo l’altro’ (cfr. VS, s.v.).
La locuzione s. a rringu è in Ruffino scùappu (411 Villalba Cl), s. a scuoppu
(1980: 453) il quale documenta per (259 Àlia, 279 Castelb. Pa), s. a scup-
essa anche il proverbio Lu cacciaturi piari (277 Gangi Pa), s. a scuppu (519
nun fallisci quannu arringa ‘il caccia- Piazza A. En) → s. a bbùolu; s. a scùap-
tore non fallisce il colpo quando ac- pu (410 Vallel. Cl) sparare d’improv-
compagna’, tratto da Pitrè (1880). viso; s. a scùoppu (262 Caltav., 273
Alim., 274 Bompietro Ⓣ1, 278 Gera-
s. a rrunziḍḍuni (266 Làscari Ⓣ Pa) → s. ci Ⓣ2; 327 Cammar. Ag) → s. a bbraz-
a llampiari. zu; ~ (262 Caltav. Pa) → s. a bbùolu; s.
a scuppiari (271 Castell. S. Ⓣ3 Pa) →
Ⓣ (266 Làscari Pa) poi cc’è ḍḍu cuorpu chi:: s. a bbrazzu; → s. a bbùolu; ~ (277
unu riçi “cci sparàiu accuḍḍì, a rrunziḍḍuni”, Gangi Pa) → s. a llampiari; s. a scuppu
se ccari cari, s’un cari nenti, tantu pi:: s’az-
zarda di sparàricci un cuorpu, ca magari unn (277 Gangi Pa; 401 Caltan., 414 S.

Cat. V. Cl) → s. a bbaḍḍa.


eni bbellu precisu, ma ntantu u cacciatori per Cat. V. Cl), s. a scuppu vicinu (414 S.
istintu appena viri un pezzu ri caccia spara
“Tirare al selvatico”: modalità 227

Ⓣ1 (274 Bompietro Pa) A scuòppu cchi ssi- viva’, ‘fuscelli, stoppie’, ‘erbe di cui
gnìfica? A scuppu signì(fica) ca tu un è câ vidi viene ripulita l’aia prima della trebbia-
a salvaggina [non è che la vedi, la selvaggi- tura’ (cfr. VS, s.v.). Esiste anche fratti-
na], un è che non ài:: unn a u tièmpu di mi-
na (VS, s.v.) che, per alcune delle sue
cci stinnicchie i vrazza e ccafu(ḍḍi) “bbom!” si
ra(llu) [non hai tempo di prendere la mira],
accezioni, si configura come sinonimo
bbeni veni, s’um meni ne(nti) [stendi le brac- di fratta: ‘terreno impervio per la pre-
cia e spari “bbom!” se il colpo va a segno, be- senza di cespugli e rovi’, ‘sterpi cespu-
Ⓣ2 (278 Geraci Pa) Chiḍḍu è scùoppu, chiḍḍu
ne, altrimenti pazienza]. gli’ (con valore collettivo). VS docu-
menta anche frattiatina (denominale
che non cerca mira, quannu unu spara a
scùoppu è ca non l’arringa, un cci nni pìgghia
di fratta) e sfrattatina (deverbale di
mira, jè mùodu, un sistema, per ddire, uno sfrattari ‘disboscare, effettuare il taglio
scatto, è un dono di natura, mira u nni pìg- di un bosco’), ‘fruscio, rumore che fa
ghia, isa i razza, tam e cci spara. [Quello l’uomo o l’animale muovendosi tra le
(sparo) a … è quello senza una mira precisa, frasche’ nonché sfrattiatina e sfrattina-
quando qualcuno spara a … e non prende ta ‘lo stormire che fanno le piante al-
la mira, è un modo, un sistema, quasi un lorquando vi passa qualcuno: fruscio’,
dono di natura, non prende la mira, alza le
braccia, tam e gli spara].
‘rumore che fa il vento o checchessìa
Ⓣ3 (271 Castell. S. Pa) […] cci-â sparari a fra le frasche: frascheggio’. La loc. s. â
sfrattinata trova, dunque, la sua base
scupetta ê manu, a ccuorpu tâ mitti a spaḍḍa
scuppiari […] a scuppiari significa ca tu câ
ultima nella voce sic. fratta, con nu-
e spari […] a scuppiari ieni a cchi ll’a ê mani merosi corrispondenti in diversi dia-
TUM! [(alla preda) gli devi sparare a scup- letti, dal nord al sud d’Italia (cfr.
piari […] a scuppiari significa che tu con il DEI) e nell’italiano ( fratta ‘luogo sco-
fucile in mano, in un attimo te lo metti in
spalla (lo imbracci) e spari […] a scuppiari sceso e impervio ricoperto da una
significa che un secondo prima ce l’hai in macchia intricata di pruni e sterpi’).
mano (e un secondo dopo) TUM! (spari)]. L’etimologia è incerta: DELI la indi-
vidua in lat. frācta ‘rami rotti’ <
• La storia della voce scoppu – che nel frăngere, mentre DEI (s.v. fratta 1)
linguaggio venatorio vale propriamente propende per un incrocio tra greco
‘colpo, tiro di schioppo’ – è ricostruita phráctes ‘recinto, siepe’ (da phrásso
in VSES (s.v. scóppu) che la riconduce a ‘munisco, circondo per sicurezza’) e
«lat. stloppus ‘rumore prodotto tiran- lat. frācta.
do verso la gota un dito introdotto nel-
s. a sgualèrciu (811 Melilli Sr) sparare
la bocca’, da cui it. scoppio e altri» (ivi:
945). In Sicilia i suoi significati rilevan-
ti sono ‘serratura’ (e i suoi collegati), con traiettoria obliqua.
‘caduta’ e ‘apparizione improvvisa’ per
• Cfr. Ruffino (1980: 453) che ricon-
cui si confrontino alcuni dei valori di
duce la locuzione alla famiglia lessi-
scuppari quali ‘sopravvenire’ e ‘arrivare
cale di sic. sguèrciu ‘strabico’, «parola
all’improvviso’ (documentato rispetti-
di chiara origine it. sett.: crem. sguèrz,
vamente in del Bono e VS, s.v. scoppu).
chi non vede da un’occhio (Peri),
s. â sfrattinata (507 Àssoro En) → s. a la
mil. sguèrc ‘sghembo’ (Cherubini),
lig. zberču ‘storto’ (Plomteux), pis.
mira. ∫bilèrcio ‘di vista difettosa’ (Malago-
• VS documenta la voce fratta col valo- li); cfr. DEI, s. vv. bìrcio, gualèrcio,
re di ‘fratta, roveto’, ‘cespuglio’, ‘siepe guèrcio».
228 Roberto Sottile

s. a spècchiu (329 Castelt. Ag) → s. a s. a ssegnacavaḍḍu (417 Sommat. Cl) →


nfila fecu. s. a bbaḍḍa.
• Lett. ‘sparare a specchio’. • Propr. ‘sparare alla maniera in cui si

s. a spicignàrisi (602 Tusa Me) → s. a


salassa un cavallo’ (cfr. supra, s. a ssa-

bbaḍḍa.
gnavièstia), con il verbo sagnari ‘salas-
sare’ reinterpretato qui, probabilmen-
te, su signari / segnare ‘segnare’.
• Sic. spicignàrisi (VS, s.v.) vale ‘staccar-
s. a ssiminari (112 Mazara Tp) → s. a
si, allontanarsi’, ‘essere definitivamen-
te estirpata da un terreno, di erba in- bbròçia.
festante’; si aggiunge spicignari (VS,
s.v.) ‘nettare, liberare ad es. un campo • Lett. ‘sparare a seminare’; la locuzione
dalle erbe infestanti’, ‘scomparire, ad è in Ruffino (1980: 453).

s. a ṣṭṛaccu (638 Raccuja Me; 707 Lin-


es. di erbe infestanti o di insetti noci-

guagl. Ct), s. ô ṣṭṛaccu (601 Messina)


vi’, ‘distruggere, mandare in rovina’. Il
valore della locuzione venatoria ‘spa-
rare a bruciapelo’ si connette, dunque, sparare allo stormo, nell’istante in cui
all’idea di distruzione e rovina del cor- si leva in volo; ~ (601 Messina) → s. a
po della preda che viene colpita da di- la mira; ~ (110 Marsala) sparare a
stanza ravvicinata. vuoto, probabilmente con l’intento di
spaventare la preda e indurla a muo-
s. â spinzirata (225 S. Gius. J. Ⓣ Pa) → versi, a venir fuori dal suo nascondi-
s. a ffermu. glio.
Ⓣ (225 S. Gius. J. Pa) Cci su cchiḍḍi […]
è basata su sic. ṣṭṛaccu che vale ‘stor-
• La locuzione (cfr. Ruffino 1980: 453),

mo’ ed è forma deverbale di → ṣṭṛac-


ca… un ci-â fìranu a sparari e ssi nni vannu
â posta [Ci sono quelli […] che non sanno
sparare e se ne vanno alla posta], e cci spàra- quari ‘cacciare animali riuniti in un
nu a ffermu, […] un tiru bbabbu [un tiro fa-
cile], a ffermu praticamenti, gli spari a ffer-
luogo, disperdere’. L’origine del verbo
mo, […] [(il coniglio)] di sòlitu nesci dâ tana è generalmente ricondotta a *extra-
e sta ffermu, […] cc’è quando cammina, c’è quāre (forma parasintetica basata su
quando… quindi non corre veloce, o si ferma extra + aqua).

s. a ṣṭṛàscinu (415 S. Cat. Cl) → s. a la


o cammina piano, perché non è inseguito da
nessuno, […] â spinzirata, cci spàranu.
• Propr. ‘sparare spensieratamente’. mira.

s. a ssagnavièstia (327 Cammar. Ag) →


• La locuzione è in Ruffino (1980: 453),
s. a bbaḍḍa.
che la scioglie come ‘tirare al rumore’.

s. a ṣṭṛoppu (648 Montalb. E. Me), s. a


ṣṭruoppu (604 Pettineo Me) → s. a
• Propr. ‘sparare alla maniera in cui si
salassa una bestia’. La locuzione si ri-
conduce a sic. sagnari ‘salassare a sco- bbròçia.
po terapeutico, ad es. gli animali am- • Sic. ṣṭṛoppu, che vale ‘stormo; branco
malati; ferire, colpire così da provo- di pecore’, potrebbe essere, secondo
care una perdita di sangue’ (cfr. VS, Ruffino (2008: 41), un gallicismo che
s.v.) e vèstia ‘animale da soma’ (VS, richiama «voci lig. (cfr. ströpa in Plom-
s.v.). teux), ma anche di area galloromanza
“Tirare al selvatico”: modalità 229

(REW 8938 thorp; FEW 17, 399), te una connessione con l’it. truppello
partic. prov. (trop ‘gruppo di animali’, ‘drappello’, a. fr. e prov. tropel, DEI 5,
Rohlfs s.v. truoppu)». 2922». Ruffino (ibidem) cita anche il

s. a ṣṭṛuppiḍḍari (248 Prizzi Pa), s. a


proverbio tratto da Pitrè (1880: 435)

ṣṭṛuppieḍḍṛu (336 Canic. Ag), s. a


megghiu sparari a ttruppeddu chi a

ṭṭṛippeḍḍu (661 Barcell. Me), s. a ttrip-


scoppu ‘meglio sparare accompagnan-

piḍḍari (278 Geraci Pa), s. a ṭṭṛip-


do (il selvatico) piuttosto che di stoc-

pìeḍḍu (418 Riesi Cl), s. a ṭṭṛuppeḍḍṛu


cata’.

s. a ṣṭṛuzzu (502 Villar. En) sparare alla


Cianciana Ag), s. a ṭṭṛuppeḍḍu (225 S.
(112 Mazara Tp; 306 Sciacca, 316
cieca, a casaccio.
Gius. J., 239 Cefalà D. Pa; 305 Sam- • La locuzione è in Ruffino (1980:
S. Me), s. a ṭṭṛuppiḍḍari (707 Lin-
buca Ag; 601 Messina, 653 Francav. 453).
guagl. Ct), s. a ṭṭṛuppieḍḍṛu (335 Ca- s. a ttàgliu (329 Castelt. Ag) → s. a sgua-
strof. Ag), s. a ṭṭṛuppieḍḍu (602 Tusa
Me), s. a ṭṭṛuppiellu (648 Montalb. E.
lèrciu.
Me), s. a / i / ri ṭṛuppieḍḍu (204 Ter- • Propr. ‘a taglio’.

s. a ttannuni (410 Vallel. Cl) sparare


ras., 209 Montel. Pa; 514 Centur. En;
608 Mistretta Me; 802 Lentini, 806
d’istinto, alla cieca.
Sr), s. a / pi ṭṭṛuppiḍḍu (277 Gangi Pa;
Buscemi, 807 Pal. Acr., 808 Càssaro,
• Lett. ‘a tentoni’.
Adrano Ct), s. di ṣṭṛuppeḍḍu (219
415 S. Cat. Cl; 502 Villar. En; 718
s. a ttest’a mmuntata (254 Termini I.
Chiusa S.), s. di ṣṭṛuppìeḍḍu (409 Ser-
rad. Cl), s. di stuppieḍḍu (417 Som- ci Pa) → s. a ncastiḍḍari.
Pa), s. a ttesta a mmuntata (278 Gera-

mat. Cl), s. di ṭṛuppellu (649 Rocc. V.


Me; 703 Bronte Ct), s. di ṭṛuppìeḍḍṛu • VS (s.v. muntata) registra a-mmuntata
‘verso sopra, in alto’ e ammuntata ‘in
ba Cl), s. di truppieḍḍu (273 Alim. Pa;
(403 Mussom., 410 Vallel, 411 Villal-
alto, nella parte alta’, ‘in salita’ (cfr.
903 Vittoria Ⓣ1 Rg), s. ô ṭṛippieḍḍu anche agghiammuntata ‘su per un ripi-
do pendio’, VS, s.v.). La locuzione,
ṭṭṛuppìaḍḍu (507 Àssoro Ⓣ2 En) spa-
(253 Alim. Pa; 512 Troina En), s. ppi
che si riconnette a sic. munti ‘monte,
rare al selvatico che, spostandosi tra- montagna’, fa riferimento alla traiet-
sversalmente, costringe chi impugna toria dello sparo, dal basso verso l’alto.

s. a ttest’appinninu (254 Termini I. Ⓣ,


mantenere la mira. (→ truppiḍḍari).
l’arma a ruotare sul proprio asse per

Ⓣ1 (903 Vittoria Rg) Quann’è di ṭṭrup-


278 Geraci Pa) sparare, su un terreno
pieḍḍu, cci pìgghia i parti vitali, ca veni di
in pendio, a un selvatico che si trova
più in basso rispetto a chi spara. → s. a
ciattu, ca passa a ṭṭra… a ṭṭraversuni! (chi
ṭṭraversa) [(la preda) passa di traverso].
cchiovu.
Ⓣ2 (507 Àssoro En) Ppi ṭṭṛuppìaḍḍu signifi- Ⓣ (254 Termini I. Pa) Ggiustamenti, a spa-
ca cô pigghi daccussì, ndê hianchi! […signifi- rata a ttest’appinninu s’av’a ccarculari unu
ca che lo colpisci così, ai fianchi]. unni ci av’a sparari picchì cetti voti, si cci spa-
ra r’arretu e ffaciva u puttusu! S’av’a ccarcu-
• La locuzione è in Ruffino (1980: 454)
iḍḍu cari! [Giustamente, nello … nello spa-
lari ri sparàricci antìcchia un parmu avanti e
per il quale «[è] abbastanza trasparen-
230 Roberto Sottile

rare verso il basso si deve calcolare, uno, do- ‘seggio, adunanza, assemblea’ (DEI, 5:
ve deve sparargli (al coniglio, al selvatico), 3808)». Cfr. anche le locuzioni (docu-
perché a volte si spara dietro (al coniglio) e mentate in VS, s.v. toccu) a ttoccu e ti-
si fa solamente un buco (nel terreno)! Si de-
ve calcolare di sparargli un poco più avanti rari a ttoccu ‘sparare nel mucchio’.

s. a ṭṭṛasi e nnesci (273 Alim. Pa) sparare


di un palmo, e così viene colpito57.
• La locuzione si costituisce come anto- nell’attimo in cui il selvatico (solita-
nimo di → s. a ttest’a mmuntata e va mente) passa da un cespuglio a un al-
con sic. pinnina / pinninu ‘terreno in tro.
pendio o strada in discesa’ (anche pi-
gninu, pindina, pindinu, pindinata, • Cfr. Ruffino (1980: 454).

s. a ṭṭṛàsiri (273 Alim. Pa; 327 Cammar.


pinninata, cfr. VS, s.vv.).

s. a ttest’appuzzuni (604 Pettineo Me) → Ag) sparare nell’istante in cui il selva-


s. a cchiovu. tico si appresta a entrare nella tana o
in un occasionale rifugio.
• Sic. testappuzzuni, a ttest’appuzzuni,
ṭṛàsiri, cfr. VSES (s.v. ṭṛásiri).
ccu la testa appuzzuni valgono ‘a testa • Cfr. Ruffino (1980: 454); per sic.
in giù’ (cfr. VS, s.v. testa). La locuzio-
s. a ṭṭṛùgghia (507 Àssoro En), s. a ṭṭṛùg-
ne è anche documentata nei sintagmi
nàsciri a-ttesta appuzzuni ‘nascere con
ghiu (110 Marsala Ⓣ Tp) → s. a
bbrazzu. ~ (102 Paceco Tp), s. a ṭṭrò-
la camicia’ (cfr. VS, s.v. nàsciri) e stari
gliu (411 Villaba Cl), s. a ṭṭṛùgliu (329
a-ppuzzuni stare a capo chino (VS, s.v.
puzzuni). Rifatta su sic. puzzu ‘pozzo’.
Castelt. Ag) → s. a ccoppu.
s. a ttimpulata (232 Bagheria, 235 Mi- Ⓣ (110 Marsala Tp) “cci sparai a ṭṭṛùgghiu e
silm. Pa) → s. a bbaḍḍa.
[gli ho sparato a ṭṭṛùgghiu e l’ho colpito, altre
ccarìu, a li voti cci sparai bbonu e un carìu”
• La locuzione, registrata in Ruffino volte gli ho sparato bene e non l’ho colpito].
• La locuzione a ṭṭṛùgghiu reca diversi
(1980: 454), va con sic. timpulata che
vale ‘schiaffo’ ed è documentata esat-
tamente con lo stesso valore anche in valori tra i quali ‘disordinatamente,

saccio’ (cfr. VS, s.v. ṭṛugghju 3). Ruffi-


VS (cfr. s.v. timpulata). senza alcun ordine; alla carlona; a ca-

s. a ttiru curtu (209 Montel. Pa) → s. a no (1980: 454) – che richiama anche
bbaḍḍa. il verbo ntrugghiari ‘pasticciare, con-
fondere’ e il nome ntrugghieri ‘pastic-
• Propr. ‘a tiro corto’. cione, cofusionario’ – ne accosta l’eti-
s. a ttoccu (248 Prizzi Pa), a ttuoccu
mo a quello delle voci italiane introia-
re e intrugliare (cfr. DEI, s.vv.).
(802 Lentini, 807 Pal. Acr. Sr), ô
tuoccu (223 Corl. Pa) → s. a bbròçia. s. âttuzzari (254 Termini I. Ⓣ Pa) → s. a
• Va con siciliano toccu ‘branco di peco- cchiovu.
re; stormo di uccelli’, ma anche ‘mol- Ⓣ (254 Termini I. Pa) Si sparu ri ddà supra
titudine, folla’ la cui base è ricondot- nterra, sparu âttuzzari [se sparo dall’alto ver-
ta da Ruffino (1980: 454) «a gr. thôkos so il basso, sparo âttuzzari].

57 Il cacciatore si riferisce qui a ciò che tecnicamente si chiama anticipo, vantaggio.


“Tirare al selvatico”: modalità 231

• VS (s.v.) documenta il verbo attuzzari s. di bbùottu (262 Caltav. Pa) → s. a


(per l’area orientale) col significato di bbùolu.
‘squadrare o sagomare la pietra col • Propr. ‘sparare di botto’.
martello’. La motivazione della locu-
zione venatoria è quindi, anche in que- s. di çiancu (604 Pettineo Me) → s. a
sto caso, di natura meccanica: come sgualèrciu.
nel caso di → s. âppizzari, il verbo si
riferisce metaforicamente al cacciatore • Pror. ‘sparare di fianco’.

s. di cuda (327 Cammar. Ag; 502 Vil-


che, per lo più in posizione precaria su
un terreno in pendio, spara dall’alto
verso il basso, dove si trova la preda. lar., 514 Centur. En), di cura (255

s. a vventu (110 Marsala Tp) sparare al


Sciara Pa), s. di cura e ccura (121 Vita
Tp), s. i cuda (335 Castrof. Ag; 409
vento, espressione ironica riferita al Serrad. Cl; 601 Messina), s. pi ccura
cacciatore inesperto che non riesce (235 Misilm. Pa), s. ri cura (254 Ter-
colpire le prede. mini I. Pa) → s. a nfilari.
s. bbotta nṭṛa bbotta (608 Mistretta, 638
• Lett. ‘sparare di coda’.

s. di culu (219 Chiusa S. Pa; 604 Petti-


Raccuja Me) → s. a ncupirchiari.
• Propr. ‘colpo su colpo’. La locuzione è neo Me), s. rittu nculu (410 Vallel.
in Ruffino (1980: 451) che l’accosta Cl), s. di pizz’e cculu (807 Pal. Acr. Sr)
all’it. bottare (cfr. DEI e VEI, s.v.). → s. a nfilari.
s. cannunati (247 Vìcari Pa) sparare col- • Lett. ‘ sparare di culo’, ‘dritto in culo’,
pi rumorosi ed efficaci. ‘di pizzo e culo’.

s. di facci (604 Pettineo Me), s. di mbac-


• La locuzione è riferita all’azione di
sparare usando cartucce caricate con il
massimo di polvere da sparo; solita- ci (417 Sommat. Ⓣ1 Cl), s. i facci
mente cartucce supercorazzate, che ga- (601 Messina), s. mpacci (411 Villal-
rantiscono il massimo della gittata. ba, 418 Riesi Cl; 502 Villar., 507 Às-

s. conṭṛa pinninu (502 Villar. En), s. a


soro En), s. nfacci (254 Termini I. Pa;
410 Vallel. Cl; 903 Vittoria Ⓣ2 Rg),
ṭṭṛuncu pinninu (279 Castelb. Pa) → s. s. nfàcciu (235 Misilm. Pa), s. ppi
a cchiovu. nfacci (327 Cammar. Ag), s. ri nfacci
• Cfr. Ruffino (1980: 452). (254 Termini I., 256 Cerda, 266 Là-
scari, Pa) → s. a nfila fecu.
s. cuorpu nṭṛa cuorpu (273 Alim. Pa) → Ⓣ1 (417 Sommat. Cl) Quannu il selvatico
s. a ncupirchiari. viene di fronte, cci sparàiu di mbacci.
• Propr. ‘colpo su colpo’. Ⓣ2 (903 Vittoria Rg) Si cci pò sparari di la-

s. dâ testa (421 Gela Cl) sparare miran-


tu, si cci pò sparari di culu, si cci pò sparari di
çiancu, quarcunu tenta di sparàricci nfacci se
ssâ fira ri corpillo nfacci picchì cciâ ssapiri cal-
[u mussu], ṭṛuvari [u mussu]).
do alla testa del selvatico. (→ pigghiari
colare a distanza 58 [… se è capace di colpirlo
di fronte, perché deve saperci calcolare la di-
• Propr. ‘sparare alla testa’. stanza].

58 Cfr. nota 57.


232 Roberto Sottile

• Propr. ‘in faccia’, ‘di fronte’. La locu- • Italianismo: ‘di stoccata’; cfr. anche
zione è in Ruffino (1980: 452) che la Ruffino (1980).

s. di traversu, s. di traviersu (903 Vitto-


fa corrispondere a it. tirare a livella.

s. di ncapu (262 Caltav. Pa) ‘tirare alto’, ria Rg), s. ri ṭṛaversu (254 Termini I.
mancando il selvatico. Pa), s. ô riviersu (602 Tusa Me) → s. a
sgualèrciu.
• Lett. ‘sparare da sopra’. (→ ncravac-
cari). • Italianismo: ‘di traverso’.

s. di piettu (327 Cammar. Ag) → s. a nfi- s. di ṭṛuncu (112 Mazara Tp) → s. a


la fecu. ṣṭṛuppiḍḍari.
• Lett. ‘sparare di petto’. • La locuzione è in Ruffino (1980: 454).

s. di puntata (254 Termini I. Pa), s. di s. hianchinu (417 Sommat. Cl) → s. a


puntirìa (903 Vittoria Rg), s. i punta / sgualèrciu.
puntu / puntarìa (601 Messina) → s. a • Propr. ‘di fianco’.

s. malu mesu (418 Riesi Cl) sparare in


ccanniari.
• Le locuzioni vanno tutte con sic. punta
/ puntu nell’accezione venatoria di ‘mi- posizione precaria.
rino del fucile’ e, per estensione, ‘mira’, • Propr. ‘in posizione precaria’; cfr.
significato, quest’ultimo, proprio delle Ruffino (1980: 452).
voci venatorie → puntarìa e punta.
s. mmacanti (235 Misilm. Pa; 316 Cian-
s. di sticcata (807 Pal. Acr. Sr), s. ë stoc- ciana Ag) → s. a ccuḍḍari.
cata / ri stoccata (225 S. Gius. J. Ⓣ • Propr. ‘a vuoto’. Da in + vacante,
Pa), s. di stuccata (112 Mazara Tp), s. cfr. Ruffino (1980: 452).
ri stuccata (248 Prizzi, 254 Termini I.
Pa) → s. a bbùolu. s. mmalanza (228 Altof. Pa) → s. a
Ⓣ (225 S. Gius. J. Pa) U cunìgghiu intantu bbàźźica.

tura, quindi si cci sunnu peṭṛë, si cci sunnu al-


curri, forti, poi è àbbilë puru a sfruttari la na- • Lett. ‘sparare in bilancia’.

s. mmìenzu cùriu e ppeḍḍi (409 Serrad.


berelli, çiuffi r’erba, riesce a ffare delle gginca-
Ⓣ Cl), s. nṭṛa còriu e ppeḍḍi (306
ne incredìbbili, […] anche per questo rrende u

ta, nuaṭṛi chiamamu, di sòlitu si spara ë stoc-


tiru abbastanza ddiffìçilë, si cci spara ri stocca-
Sciacca Ag) sparare con una cartuccia
cata… appuntu quannu si cci spara all’im- mal dosata (→ acchiummata), i cui
provviso, s’avi picca tempu [si ha poco tem- pallini non possiedono sufficiente for-
po], picchì si cci spara nnê passalora [stretto za di penetrazione
calpestata], picchì fra na màcchia e nn’àvuṭṛa Ⓣ mìenzu cùriu e ppeḍḍi, cioè u chiummu un
passaggio che si forma su una striscia d’erba

ci ṭṛasi [cioè il piombo (per metonimia i


un meṭṛu, du meṭṛi, quindi… spazi molto
[fra un cespuglio e l’altro] cci pò èssiri anchi
pallini) non penetra].
pìccoli, percorsi a ḍḍa velocità si a… pochissi-
mo tempo pi sparàricci e qquindi si spara… ri
• Lett. ‘tra cute e pelle’, cfr. Ruffino
stoccata si riçi, ch’è ttipu d’istintu, un zi mira, (1980: 452).

s. ncuttu (601 Messina) → s. a bbaḍḍa.


un z’arriva manc’a mmërarë [non si mira,
non si ha neanche il tempo di mirare].
“Tirare al selvatico”: modalità 233

• Ncuttu è voce avverbiale e vale ‘vicino, s. pi ccaruta (235 Misilm. Pa) → s. a


che è a poca distanza’. Sulla sua origi- cchiovu.
ne cfr. VSES (s.v. ncúttu) che la ripor- • Propr. ‘per caduta’.
s. primu (262 Caltav. Pa) mancare il sel-
ta a cōctu, part. forte di cōgĕre ‘co-
stringere’, ‘spingere insieme’, ‘riunire’,
‘raccogliere’. vatico anticipandolo con il colpo di

s. ntô menzu (601 Messina) sparare allo


fucile.
• Lett. ‘sparare prima’.
s. r’arretu (254 Termini I. Ⓣ, 256 Cer-
stormo, senza prendere la mira.
• Propr. ‘sparare nel mucchio’.
da Pa) → s. di cuda.
s. nṭṛ’affàccia e ccoḍḍa (305 Sambuca Ⓣ (254 Termini I. Pa) quannu u cunìgghiu
Ag) → s. a ccolla e nnon colla. passa, significa ca cci spari r’arretu, cô sègui, /
u pò mirari, va! / Chistu è sparari r’arretu

‘spuntare’, ‘sorgere, del sole’ e cuḍḍari


• La locuzione – basata su affacciari [quando il coniglio passa, significa che gli
spari da dietro, che lo segui, lo puoi mirare
‘tramontare’, ‘scomparire dalla vista’ – va! Questo è sparari r’arretu].
è in Ruffino (1980: 451). • Propr. ‘dietro, da dietro’.

s. nzutta (273 Alim Pa) sparare con mira s. rinṭṛa tiru (110 Marsala Tp) ‘a tiro
sbagliata, e colpendo il suolo davanti utile’, ovvero a una distanza nella qua-
le il selvatico può essere colpito.
(235 Misilm. Pa) → s. a ncastiḍḍari.
al selvatico. (→ scapizzari); s. ri nzutta
• Lett. ‘dentro tiro’.
s. rittu (410 Vallel. Cl) → s. a nfila fecu.
• Propr. ‘al di sotto, dal di sotto’; cfr.
Ruffino (1980: 453).
• Propr. ‘sparare dritto’.
s. ô ravanzi (112 Mazara Tp) → s. a nfila
s. stiratu (277 Gangi Pa) sparare da lun-
fecu. ga distanza, al limite dell’efficacia del
• Lett. ‘sparare sul davanti’. La locuzio- tiro per colpire il selvatico.
ne è in Ruffino (1980: 453). • Cfr. Ruffino (1980: 453).
s. ô sbardu (409 Serrad. Cl) → s. a bbròçia. s. supramesu (411 Villalba Cl) sparare
• La locuzione è rifatta sul catalanismo da una posizione elevata rispetto al
esbart ‘stormo, di uccelli’, ‘stuolo’ (cfr. selvatico.
Michel 1986, s.v. sbàrdu). • Cfr. Ruffino (1980: 453).

3. Carte
Per la cartografazione della voce tirare al selvatico e delle locuzioni relati-
ve alle diverse modalità, cfr. la Carta geo-etnoliguistica interattiva dell’Atlante
Linguistico della Sicilia (ALS on line), consultabile e interrogabile al seguente
link: <https://www.als-online.gwi.uni-muenchen.de/carta/>.
Università di Palermo Roberto Sottile
Email: roberto.sottile@unipa.it
234 Roberto Sottile

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mo-Strasbourg, Centro di studi filologici e linguistici siciliani - Éditions de Lin-
guistique et de Philologie, 2014.
236 Roberto Sottile

Riassunto / Abstract
Viene presentato un saggio di voce del Vocabolario-atlante delle pratiche venato-
rie siciliane, secondo il modello elaborato in seno all’Atlante Linguistico della Sicilia
(ALS ). Con una nuova messe di dati e tenendo conto del modello di voce elaborato
per il Vocabolario-atlante, in questo contributo, che vuole essere un ideale amplia-
mento della voce sparari pubblicata nel 1980 da Giovanni Ruffino in questo stesso
Bollettino, sono prese in esame le numerose locuzioni venatorie relative alle modali-
tà di ‘tirare al selvatico’, concetto che nel lessico venatorio siciliano è generalmente
espresso con il tipo sparari.

A sample of the entry of the Vocabolario-atlante delle pratiche venatorie siciliane


is presented, according to the model developed within the Atlante Linguistico della
Sicilia (ALS ). With a new set of data, and taking into account the entry model
elaborated for the Vocabolario-atlante, in this paper, which aims to be an ideal ex-
tension of the entry sparari published in 1980 by Giovanni Ruffino in this same
Bollettino, the numerous hunting locutions related to the modality of ‘shooting at
the wild’ are examined, a concept which in the Sicilian hunting lexicon is generally
expressed with the type sparari.
“In QUELLE MOnTAGnE LÌ PARLAnO DIALETTO”.
DEISSI E FUnZIOnI DEITTICHE
nEI DISCORSI SULLA DIFFEREnZA LInGUISTICA:
I DATI DELL’ATLANTE LINGUISTICO DELLA SICILIA (ALS )

1. Oggetto e struttura dell’articolo


Il presente contributo si occupa della deissi1 nel Corpus dell’Atlante Lingui-
stico della Sicilia (ALS) e ne propone la definizione di forme e funzioni. Sul
tema i primi resoconti sono in Pinello (2016: 161-169) e in Pinello (2017:
205-206, 216-226, passim). I sopra citati lavori proponevano, presuntiva-
mente, un completo quadro teorico e prendevano in considerazione una par-
te quantitativamente significativa di dati; qui si è costruito un corpus dati più
esteso dimensionato all’intero campione grazie all’utilizzo dello strumento
campionario della rete pilota (v. § 2.1). Il contributo si articola in tre sezioni:
a) la prima si apre con un breve resoconto sui precedenti studi ALS sulla
deissi (§ 2). Entro poi nel merito della nuova ricerca oggetto di questo arti-
colo: descrivo la rete dei centri d’inchiesta (rete pilota), quindi illustro le do-
mande-input del questionario e la composizione del corpus dati (§ 2.2).
b) la seconda sezione (§ 3) è dedicata all’illustrazione degli strumenti
teorici mutuati dalla linguistica cognitiva e in particolare dalla semantica

1 La bibliografia sulla deissi è molto ampia. Questa ricerca si colloca all’interno del quadro

teorico, delineato in specie da Lyons (1977: 637) e Levinson (1983: 54), secondo il quale gli ele-
menti linguistici deittici (lessicali, morfologici, sintattici) svolgono la funzione di codificare le
informazioni su luogo, tempo e protagonisti dell’enunciazione e sono indispensabili per inter-
pretare tali informazioni. Chiaramente nel presente lavoro faccio riferimento soprattutto alla
deissi spaziale e ai verbi di movimento (per i quali si veda Ricca 1993). Tra i contributi pioneri-
stici va ricordato Halliday / Hasan (1976: 1-76); una trattazione approfondita ed esaustiva sulla
deissi nelle singole lingue romanze è nel Manual of Deixis in Romance Languages curato da Jun-
gblut / Da Milano (2015: 17-332); in particolare, per le Varieties in Italy, cfr. Da Milano (2015:
59-74); Ledgeway (2015: 75-114); Prandi (2015: 76-115); sulla deissi nell’italiano, cfr. anche
Cinque (1976: 101-126) e Vanelli (1992).
238 Vincenzo Pinello

della concettualizzazione, per definire sia il quadro teorico della deissi nei di-
scorsi metalinguistici, sia l’apparato metodologico utile all’analisi e all’inter-
pretazione. Si tratta dunque di un approfondimento specifico del rapporto,
a mio avviso molto fruttuoso, tra scienze della cognizione e dialettologia per-
cettiva.
c) oggetto della terza sezione (§ 4, 4.1) sono i dati, ovvero le modalità e
le tipologie deittiche nel Corpus ALS. Questa parte si apre con la esplicitazio-
ne degli strumenti teorici ALS utilizzati per l’analisi e l’interpretazione della
deissi e sulle ragioni della sua importanza in seno al corpus (§ 4). Una parte
di questa sezione è dedicata al concetto di dicotomia oppositiva o interazio-
nale ALS e a quello di spazio vissuto, uno dei fondamenti teorici della dialet-
tologia percettiva. nel § 4.1 presento una rassegna di interazioni deittiche o
discorsi interazionali deittici con relative schede di analisi, sulla base delle sei
tipologie (o ambienti linguistico-pragmatici) individuate. nel § 5 concludo
e ragiono sulle correlazioni funzionali tra incidenza deittica e variabili com-
plesse. Questa parte è introdotta da una discussione sulle funzioni deittiche
individuate nella ricerca (§ 5.1). Vengono poi analizzate le variabili che si
sono dimostrate sensibili all’incidenza della deissi: fattori morfo-territoriali
(§ 5.2) e profilo degli informatori (§ 5.3).

2. La deissi nel Corpus ALS: stato dell’arte

Come sopra illustrato, la deissi nel Corpus ALS è stata già oggetto di trat-
tazione. nelle medesime sedi ne sono state individuate le specifiche funzioni
linguistiche ed extra-linguistiche: ancoraggio tra spazio fisico e spazio cogni-
tivo; contestualizzazione spaziale; proclamazione di identità ideologico-lin-
guistiche; aggancio al contesto reale linguistico ed extra-linguistico 2. Inoltre
si è evidenziato che il campo indicale ‘persona-luogo-tempo’, in generale,
ma anche in particolare per il Corpus ALS, deve essere integrato con l’ele-
mento “lingua”. In ogni caso, negli studi sopra citati risultava confermata la
funzione fondamentale degli atti deittici di legare spazi, ridurre o dilatare di-
stanze ideologiche, affermare identità e infine raccontare fatti di lingua e
pratiche socio-comunitarie, posizionati in spazialità di spessore fisico-territo-
riale ma anche cognitivo.
La ricerca che qui si presenta, come detto, si fonda su di un corpus dati
più esteso e sistematico, costruito mediante la rete pilota (rappresentativa
dell’intero campione ALS) e le risposte degli informatori alle tre domande
del questionario dedicate alla percezione e rappresentazione della differenza
lingustica.

2 Pinello (2017: 205-206, 216-226, passim).


“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 239

2.1. La rete pilota


La rete ALS nella sua interezza è composta da 96 comuni distribuiti in 33
centri e 22 microaree per un totale di 55 punti d’inchiesta 3. La rete pilota 4
utilizzata per questa indagine è costituita da 26 comuni: 9 centri e 6 microaree
per un totale di 15 punti d’inchiesta (in appendice, la Carta 1 - Rete pilota).
Le interazioni prese in esame sono 2555 (17 per ogni punto d’inchiesta). La
Tab. I mostra il confronto tra rete completa e rete pilota, i dati sono espressi
in valori assoluti e percentuali e attestano che per ogni 100 informatori della
rete completa, la rete pilota ne prevede poco meno di un terzo.
Valori assoluti %
Rete completa Rete pilota Completo/Pilota
Comuni 96 26 27,09 6
Punti d’inchiesta 55 15 27,27
Centri 33 9 27,27
Microaree 22 6 27,27
Informatori 935 255 27,27
Tab. I - ALS. Rete completa e rete pilota: rapporti percentuali.

La Tab. II mostra i comuni della rete pilota nelle tipologie campionarie


“centri” e “microaree” (v. nota 3) elencati da occidente a oriente. I comuni
di una microarea sono inscritti in una medesima riga.

3 I “centri” sono aree urbane dinamiche o mediamente dinamiche (città capoluogo, centri

medi caratterizzati da mobilità sociale e produttività economica), ogni centro corrisponde a un


singolo comune. Invece le “microaree” sono costituite da due o tre paesi contigui associati da co-
stanti socioeconomiche che presentano criticità demografica (perdita e invecchiamento di popo-
lazione) e fenomeni di recessione economica. Per l’articolazione della rete dei punti di inchiesta
si veda D’Agostino / Ruffino 2005: 95-123).
4 La rete pilota che ho costruito per questa ricerca rappresenta la fase più recente di un pro-

cesso di studio, riflessione, elaborazione, iniziato dal gruppo ALS a metà degli anni novanta. Ec-
cone di seguito le tappe bibliografiche: Ruffino (1991); D’Agostino (1995a: 177); Pinello / Ruf-
fino (2005: 130-369); Pinello (2017); Pinello / Scaglione (2018). nel 2010 il gruppo ALS ha
operato una profonda riflessione sul tema delle caratteristiche di una sub-rete capace di essere
rappresentativa dell’intera articolazione dei comuni che costituiscono il campione.
5 Infatti ogni punto d’inchiesta (sia esso centro o microarea) è rappresentato da 17 infor-

matori. Questi sono distribuiti in cinque Famiglie all’interno di ciascun centro d’inchiesta. Ogni
Famiglia comprende 3 informatori: nonno, Genitore, Figlio. I tre informatori della Famiglia 1
presentano il grado di istruzione più basso e gli usi linguistici sono esclusivamente dialettali, in-
vece i tre informatori della Famiglia 5 fanno registrare il più alto grado di istruzione e compe-
tenza attiva e passiva dell’italiano. Completano il campione due Adolescenti: Adolescente 1 di
contesto familiare dialettofono; Adolescente 2 di contesto familiare italofono. Una compiuta di-
samina del campione ALS è in D’Agostino / Ruffino (2005: 83-93).
6 Il valore è lievemente più basso rispetto a tutti gli altri rapporti percentuali in quanto una

microarea è composta da 2 comuni (Campobello di Mazara e Castelvetrano) invece che da 3.


240 Vincenzo Pinello

Centri e Microaree
I. Trapani
II. Campobello di Mazara - Castelvetrano
III. Alcamo
IV. Palermo
V. Misilmeri
VI. Caltavuturo - Sclafani Bagni - Scillato
VII. Mussomeli - Vallelunga Pratameno - Villalba
VIII. Agrigento
IX. Canicattì
X. Tusa
XI. Mistretta - Reitano - Caronia
XII. Capo d’Orlando
XIII. Catania
XIV. Gravina di Catania - Mascalucia - San Giovanni La Punta
XV. Chiaramonte Gulfi - Giarratana - Monterosso Almo
Tab. II - La rete pilota ALS. Centri e microaree.

La Tab. III riporta la classificazione ALS dei comuni della rete pilota te-
nendo conto dei due parametri individuati (Pinello 2005; Pinello 2010; Pi-
nello 2017; Pinello / Scaglione 2018): densità di urbanizzazione e posiziona-
mento territoriale.
La densità di urbanizzazione di ciascun comune è legata a specifici para-
metri7 espressi dagli indicatori Istat sulla demografia, dalla consistenza dei

7 Di seguito, l’elencazione analitica e la descrizione di tali parametri. Dipendenza per i ser-

vizi (da altri comuni): Assente, Bassa, Media, Alta, Molto Alta; Mobilità pendolare: Molto Alta,
Alta, Media, Bassa; Saldo di pendolarismo: Positivo, Mediamente positivo, Pari, Mediamente
negativo, negativo; Mobilità di flusso (è la mobilità non pendolare): Molto alta, Alta, Media,
Bassa, Assente; Ampiezza Mobilità di Flusso: Extra-regionale, Regionale, Di Area, Assente (que-
st’ultima, associata anche alla Mobilità di Flusso Bassa); Andamento demografico: Crescita, Sta-
bilizzazione, Perdita; Invecchiamento della popolazione: Alto, Medio, Basso; Indice di dipen-
denza per i servizi: Alto, Medio, Basso. L’associazione di un valore a una categoria è stata effet-
tuata sulla base di valori soglia. Il grado di dipendenza per i servizi di un comune misura la den-
sità di insediamento nel suo territorio di strutture al servizio della persona; sono stati censiti 27
tipi di servizi (Pinello / Ruffino 2005: 130); densità di insediamento dei servizi e autonomia da
essi, quindi, sono in rapporto di proporzionalità diretta. Quanto alle mobilità pendolare, sono
considerati gli spostamenti giornalieri sia scolastici che lavorativi. L’andamento demografico, su
scala decennale, rileva le percentuali di crescita o perdita di popolazione residente; il valore me-
dio è il contenimento demografico, ovvero la curva tendente alla stabilizzazione. L’invecchia-
mento della popolazione, o indice di vecchiaia, è il rapporto tra popolazione oltre i 64 anni di
età e popolazione fino a 14 anni. Il quadro dei parametri che definiscono il profilo dei comuni è
completato dalla mobilità di flusso, la capacità del comune di attrarre spostamenti non pendola-
ri nel settore dell’offerta turistica, della cultura tradizionale e religiosa.
“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 241

flussi di mobilità, dalla qualità e quantità dei servizi. Essa esprime il grado di
dinamismo o di recessione dei comuni per il quale sono state individudate le
cinque cinque tipologie della tabella III: polo regionale; comune dinamico;
mediamente dinamico; mediamente recessivo; recessivo.
Comune Tipologia Area Montagna Città Grande Piccolo
Costiera / o interno metropolitana centro centro
Subcostiera
Palermo Polo regionale + +
Catania Polo regionale + +
Trapani Dinamico + +
Alcamo Dinamico + +
Canicattì Dinamico + +
Capo d’Orlando Dinamico + +
Agrigento Mediamente + +
dinamico
Tusa Mediamente + +
dinamico
Gravina di Catania Mediamente + +
dinamico
Mascalucia Mediamente + +
dinamico
San Giovanni Mediamente + +
La Punta dinamico
Castelvetrano Mediamente + +
recessivo
Misilmeri Mediamente + +
recessivo
Mussomeli Mediamente + +
recessivo
Campobello di Mazara Recessivo + +
Caltavuturo Recessivo + +
Sclafani Bagni Recessivo + +
Scillato Recessivo + +
Vallelunga Pratameno Recessivo + +
Villalba Recessivo + +
Mistretta Recessivo + +
Reitano Recessivo + +
Caronia Recessivo + +
Chiaramonte Gulfi Recessivo + +
Giarratana Recessivo + +
Monterosso Almo Recessivo + +
Tab. III - Confronto tra indice di ‘dinamicità vs recessività’,
‘costa vs montagna/interno’, ‘grande vs piccolo’.
242 Vincenzo Pinello

Veniamo adesso al posizionamento territoriale. Esso è espresso dall’in-


crocio dei parametri relativi ad altimetria e vicinanza dalla costa (‘area costie-
ra o subcostiera’, ‘montagna o interno’) e a grandezza del comune per nume-
ro di abitanti (‘grande centro’, ‘piccolo centro’). Accanto ai grandi centri è
stata prevista una specifica tipologia per Catania e Palermo, città metropoli-
tane con profili di urbanicità molto specifici.
I parametri descritti in questo paragrafo hanno consentito di elaborare
fisionomie di comuni utili per indagare la deissi.

2.2. Il Corpus e le domande del questionario


Sono state prese in considerazione le tre domande del questionario ALS
finalizzate a sollecitare gli informatori a fornire risposte, rispettivamente, sul-
la generica differenza tra il dialetto del proprio comune e quello dei paesi
“vicini”, su quali siano questi paesi, sui tratti linguistici in cui si evidenzia la
differenza8. Sono classiche domande di dialettologia percettiva. La presa in
conto di questa sezione di dati non è stata casuale. Infatti, fin da quando so-
no stati stabiliti i caposaldi del programma di ricerca sulla deissi, è divenuto
palese che l’ambiente ideale per l’osservazione della deissi nel nostro corpus
si determina quando il parlante è sottoposto a input della differenza lingui-
stica su dimensione diatopica. Tali stimoli cognitivi sollecitano l’informatore
a stabilire distanze e vicinanze nello spazio, fissare confini di separazione spa-
ziale, istituire relazioni ‘sotto vs sopra’ (‘pianura vs montagna’), indicare po-
sizionamenti e direzioni nello spazio.
In tale contesto, gli atti verbali deittici si qualificano quali reazioni del
parlante a input volti a raccogliere opinioni sulla differenza linguistica i quali
ottengono anche dati di tipo extra-linguistico.
Il corpus è composto sia da espressioni deittiche puntuali (stringhe di
parole), sia da narrazioni. Infatti, le risposte degli informatori agli input dei
raccoglitori sopra specificati (v. nota 8) non si esauriscono con la semplice
enucleazione di paesi e fenomeni linguistici, bensì consistono spesso in di-
scorsi interazionali (interazioni informatore/raccoglitore) con al centro le
esperienze di vita.
Per tale motivo, nell’ambito di questa indagine, viene utilizzata anche
l’etichetta “deissi interazionale” e, per altro verso, “deissi rappresentazionale”
per sottolineare la qualità dell’input previsto dal questionario ALS il quale,
non contenendo specifici elementi di lingua ma un invito a riflettere sulla

8 D. 16: “Lei nota delle differenze tra il siciliano che si parla nel Suo paese/città e il sicilia-

no che si parla nei paesi /città vicini?”; D. 17: (Se ha risposto sì alla D. 16) “Saprebbe dirmi per
quali paesi specialmente Lei nota delle differenze?”; D. 18: “Saprebbe indicarmi qualche partico-
larità (pronuncia, parole, espressioni) che non è usata nel dialetto del Suo paese/città ed è invece
tipica del dialetto di qualche paese/città vicini?”.
“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 243

generica differenza linguistica, sollecita nell’informatore la rappresentazione


di concetti 9. È all’interno di tali concetti che sono codificati i tratti linguisti-
ci della differenza.
Tutte le interazioni raccoglitore/informatore dei centri della rete pilota
sono state sottoposte a spoglio sistematico. Con l’analisi di tale corpus (co-
me visto, costituito da 255 interazioni di altrettanti informatori) si sono in-
dividuate 131 interazioni, pari al 51,37% del corpus, con fenomeni di deissi
spaziale prodotti dagli informatori.

3. Modelli e teorie cognitive per la deissi percettivo/rappresentazionale

La teoria della deissi alla quale qui si fa riferimento è quella formulata in


seno alla dialettologia e agli studi sulla pragmatica; inoltre, utilizzo gli stru-
menti della linguistica cognitiva e in particolare la semantica della concet-
tualizzazione.
La linguistica cognitiva definisce la deissi come processo di costruzione,
rappresentazione, concettualizzazione10. La concettualizzazione è il riferi-
mento sovraordinato del frame. Il frame è la struttura di dati che realizza la
rappresentazione mentale degli oggetti, la via di accesso alle mappe cognitive
della mente 11. In tale ambito molto stimolante risulta il quadro teorico pro-
posto da Croft / Cruse (2010: 75, 91-95). I due linguisti cognitivi mettono
a frutto i lavori di Langacker 12, che ha fatto ampio utilizzo dei principi della
psicologia della Gestalt, assegnando la deissi alla classe degli “aggiustamenti
focali” sotto il tetto categoriale della “Prospettiva”. Vanno adesso evidenziati
i valori semantici di queste due ultime qualificazioni. Esse pongono in rilie-
vo la qualità visiva e spaziale degli elementi che entrano in relazione con il
campo indicale. A sua volta l’elemento visivo contempla le “immagini”, ov-

19 È questo un tema cardine dei Language Attitudes Studies e della Dialettologia percettiva
per quanto riguarda la raccolta del dato e le condizioni di elicitazione. Input privi di campioni di
lingua, come ad esempio una mappa vuota, secondo questa stimolante prospettiva raggiungono
e sollecitano le risorse interne degli informatori, cioè le zone culturali e cognitive dei concetti.
Viceversa, la ostensione di tratti linguistici sollecita l’innesco di percezioni puntuali. nella fase
attuale, la Dialettologia percettiva tende a superare la separazione fra tecniche d’indagine orienta-
te sui concetti o sulle percezioni, interpretando i due settori come parte del continuum ‘creden-
ze/valutazioni’; sul tema, oltre a Preston (2010a) mi permetto di rinviare anche a Pinello (2017:
107-109).
10 Ponendosi in tal maniera in diretto contrasto con le posizioni tradizionali della semanti-

ca vero-condizionale fondata sul principio di ‘verità vs falsità’ e sull’indipendenza del significato


dalla realtà cognitiva e quindi sul significato come realtà oggettiva e assoluta.
11 Difatti in questa sede consideriamo il frame sia nelle sue proprietà di schema di rappre-

sentazione (Fillmore 1985), sia in quelle di struttura di dati (Minsky 1974) e nella sua organiz-
zazione in slot prototipici articolati in più reti semantiche.
12 In particolare Langacker (1987).
244 Vincenzo Pinello

vero le rappresentazioni, le quali sono anche spaziali. Croft / Cruse (2010:


91-94), aderendo pienamente alla prospettiva langackeriana, specificano le
tre proprietà fondamentali delle costruzioni deittiche: a) spazio-temporale
(espressa con i dimostrativi “questo”, “quello” e con gli avverbi di tempo
passato e presente); b) sensibilità al contesto (gli enunciati deittici dipendono
dalla “base comune” di conoscenza degli interlocutori); c) empatia, che foca-
lizza il partecipante all’evento espresso dall’enunciato (focalizzazione di sog-
getto o oggetto e diatesi attiva o passiva).
Con la traslazione di tale apparato teorico nel campo della dialettologia
percettiva, possono individuarsi le seguenti corrispondenze: il punto a) può
esprimere quegli atteggiamenti e quei comportamenti del parlante votati
all’edificazione di confini territoriali e finalizzati alla separazione (‘noi vs al-
tri’) e alla distinzione (‘mare vs montagna’, ‘città vs paesi’, ‘grande vs picco-
lo’); il punto b) interpreta il sentimento e la consapevolezza di appartenenza
a una comunità di lingua, di cultura, di territorio anche nelle manifestazioni
agonistiche nei confronti della o delle alterità; il punto c) qualifica le dinami-
che ideologiche e identitarie mediate dalle salienze pragmatico-linguistiche.
Sempre ai fini della perimetrazione di paradigmi cognitivi efficaci per
l’analisi e l’interpretazione dei fenomeni di tipo metalinguistico, richiaman-
do ancora Croft / Cruse (2010: 91-94), vanno qui riepilogate quelle concet-
tualizzazioni di esperienze di tipo basico (“schemi di immagini”13) che a ben
guardare sono anche proprietà non accidentali della deissi (per ciascuna si
specificano, tra parentesi, i domini): ‘sotto-sopra’, ‘vicino-lontano’, ‘centro-
periferia’ (spazio); ‘dentro-fuori’ (contenitore); ‘parte-tutto’ (unicità /moltepli-
cità); ‘spazio delimitato’ (esistenza)14. Si vedrà adesso che le connessioni, o
espansioni, o reinterpretazioni dialettologico-percettive degli schemi di im-
magini appena elencati coincidono in larghissima misura con quelle delle tre
proprietà fondamentali delle costruzioni deittiche viste sopra. E, difatti, gli
schemi di immagini dello “spazio” sono inerenti in prevalenza alle dicotomie
deittiche interazionali del tipo ‘costa vs montagna’, ‘centro dinamico vs paese
dell’interno’, e simili, le quali risultano interrelate alla opposizione di livello
linguistico ‘Italiano vs Dialetto’: «noi siamo di una città di mare parliamo e
bene in italiano, quelli che sono della montagna e dell’entroterra parlano ma-
le e dialetto». In alcuni casi tale opposizione ‘Italiano vs Dialetto’ viene rea-
lizzata nel livello del lessico con l’auto-attribuzione di lessemi dell’italiano o
del dialetto italianizzato o non arcaico contrapposti a lessemi dialettali arcai-
ci chiaramente attribuiti al repertorio linguistico delle comunità individuate
come “diverse” (‘pantaluna vs cazi’, ‘scialle vs mantìgghia’, etc.; cfr. § 4). Gli

13 Elementi centrali del concetto sono le “immagini”, le quali sono rappresentazioni di

esperienze all’interno di specifici domini di fondo o embodied.


14 Croft / Cruse (2010: 74-75).
“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 245

schemi di immagini dello spazio sono le concettualizzazioni di esperienze


che più vanno considerate ai fini della chiarificazione di una teoria della
deissi nell’ambito del settore dello studio delle opinioni dei parlanti sulla lin-
gua. Tuttavia risulta utile evidenziare le altre connessioni sicuramente profi-
cue per altri ambiti dialettologico-percettivi. Gli schemi di immagini del
“contenitore” sono inerenti in prevalenza alle dinamiche identitarie di ap-
partenenza e distinzione di cui sono elementi importanti: l’agonismo ideolo-
gico-linguistico; i tratti bandiera; i processi di stereotipizzazione. Gli schemi
di immagini della ‘unicità/molteplicità’ sono inerenti in prevalenza ai con-
cetti di comunità linguistica e sentimento linguistico del parlante per come
definiti nella teoria di Benvenuto Terracini15. Gli schemi di immagini dello
“spazio delimitato” sono, infine, inerenti in prevalenza al concetto di confine
nelle sue declinazioni (territoriale; linguistico; pragmatico-ideologico).

4. Perché la deissi negli studi ALS su meta-lingua e meta-varietà

nelle narrazioni o discorsi interazionali ALS l’ancoraggio deittico è


espresso in forme di contestualizzazione spaziale esercitanti le due seguenti
funzioni: orientamento cognitivo (negli atti linguistici e negli enunciati at-
traverso i quali sono indicati i tratti di lingua della differenziazione); anco-
raggio al contesto reale (sia linguistico, sia extra-linguistico).
È qui opportuno rilevare che il sintagma “espressione indicale” si deve a
Peirce ([1931-1935] 1980) che lo ha utilizzato per quei segni (es. pronomi
dimostrativi) la cui funzione unica è indicare qualcosa. L’ipotesi di Peirce si
rifà alla teoria classica di Bühler ([1934] 1965) che aveva definito origo il
centro di un “campo indicale” occupato dal parlante quando fa un’enuncia-
zione. Il campo indicale è la somma di persona-luogo-tempo, cui si riferisco-
no le parole indicali “io”, “qui”, “adesso”. Da ciò deriva lo schema del “cam-
po indicale del linguaggio umano”, la ben nota croce marcata da un cerchio
racchiudente le tre parole indicali.
Il classico campo indicale di persona-luogo-tempo, nelle interazioni ALS,
per un verso va integrato con la componente linguistica con particolare ri-
guardo al contatto italiano/dialetto e al modo in cui tale contatto è vissuto,
interpretato e rappresentato dai parlanti; per altro verso realizza l’ancoraggio
tra il livello cognitivo della situazione intervista e la rappresentazione dello
spazio circostante. “Circostante” ha sia spessore fisico, sia densità esperien-
ziale declinata nei fatti extralinguistici ma anche linguistici.
Il rapporto fra parlante, tempo, spazio, o “ancoraggio deittico” (Rom-
metveit 1968; Fillmore 1975) nelle interazioni ALS è dunque l’ancoraggio

15 Della sua vasta opera, qui è sufficiente citare Terracini (1936: 1-31 e 134-150).
246 Vincenzo Pinello

fuzzy, non discreto, marcato da diversi livelli di consapevolezza, tra spazio


cognitivo e spazio fisico. La deissi, quindi, è un atto di riferimento tra un
“qui” e un “altrove”. Ci sono alcune buone ragioni per occuparci della deissi
in sede di analisi e interpretazione dei dati ALS:
a) gli informatori usano gli elementi deittici, in particolare la deissi spa-
ziale o topodeissi (avverbi di luogo, dimostrativi, verbo andare e varianti);
b) la deissi personale incarna la dimensione egocentrica dell’interazione;
c) il campo indicale della deissi fantasmatica (o modo analogico) è evo-
cato dal ricordo ed è di pertinenza della memoria e dell’immaginazione (Bü-
hler [1934] 1965; Gaudino-Fallegger 1992: 27). nella fenomenologia delle
interazioni metalinguistiche ALS, la deissi fantasmatica co-occorre con la
deissi spaziale, temporale e personale nelle forme di astrazione emotiva dal
contesto, richiami biografici, narrazioni di vissuti di carattere linguistico e
pragmatico. In tal modo si determina un ancoraggio di secondo livello tra la
situazione intervista e la dimensione spaziale, sia essa territoriale che cogniti-
va (cfr. Pinello 2017: 206-207, 216-226ss). Tutti questi elementi compon-
gono la dimensione discorsiva delle narrazioni interazionali ALS. La deissi
fantasmatica nella nostra prospettiva è interpretata dal concetto di “spazio
vissuto”16 il quale pone in rilievo la stretta connessione delle opinioni sulle
varietà di lingua con la sfera esperienziale del parlante (eventografia persona-
le e familiare, rete sociale e familiare, mobilità, ambiente lavorativo, etc.),
piuttosto che con la prossimità territoriale e geografica in cui egli è collocato.
nel solco di questa prospettiva, assume rilievo la dimensione cognitiva dello
spazio rispetto a quella fisica, lineare, monodimensionale. Un altro aspetto
della spazialità vissuta, riferita e quindi verbalizzata dal parlante in concomi-
tanza di input che richiedono specifici paesi e tratti della differenza linguisti-
ca, è l’astrazione dal contesto intervista, un concetto codificato in contesto
ALS come “fattore emotivo” (Lo nigro / Paternostro 2006);
d) la deissi è elemento centrale delle “dicotomie oppositive” o “interazio-
nali”, rappresentazioni categoriali dicotomiche 17. Le dicotomie interazionali,
come evidenziato al paragrafo precedente, sono della specie delle “opposizio-
ni categoriali”. Queste ultime nel complesso hanno un’incidenza nel cam-
pione ALS pari al 38,14% (Pinello 2017: 178). Le opposizioni dicotomiche
sono caratterizzate da densità rappresentazionale di eccezionale spessore la
quale coinvolge i tre livelli fondamentali dei processi di categorizzazione del
mondo: ‘lingua’, ‘spazio/territorio’, ‘ideologia’ (Pinello 2017: 43-49). Esse
sono censite nella misura del 6,91% nel Corpus ALS. Di seguito, con valore

16 Krefeld (2002a), (2002b), (2002c), (2006); Krefeld / Pustka (2010a), (2010b); un

(2002); D’Agostino (2006); Pinello (2017).


17 Sulle dicotomie nel Corpus ALS, cfr. Pinello (2017: 165-226).
“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 247

esemplare, uno stralcio interazionale dicotomico (in appendice la Carta 2 -


Comuni citati nelle interazioni):
I6: = Paternò non parlano propia: sicilia+ | Paternò propia parla quella: paro-
la come gli ho detto incalcata18 proprio a paturnisa 19 o altrimenti parla
l’italiano
R7: quindi lei ha notato delle differenze [sì sì] tra: | e altri paesi per cui ha no-
tato delle differenze col siciliano che si parla qua a Catania quali sono ol-
tre Paternò altri paesi?
I8: sì ma: u sicilianu quasi quasi non è che u sicilianu 20 | è bellissimo però bi-
sogna saperlo parlare [e però] Catania non è che | Catania è bello come ri-

in piazza ci sono quelli: i tamburelli siciliani ci sono ḍḍri 22 bestie [sì] ecco
peto | le ho detto poco fa ppì dirici 21 a me mi piace motto vedere quando

e quello è il vero pa+ cioè il vero parlare siciliano e allora sì ma


R9: ma lei ha detto che ci sono delle differenze tra il siciliano [ci sono] che si
parla a Catania e quello che si parla nei paesi viçini no?
[…]
I20: no certo Cata+ | e: può essere anche: diciamo Adrano [occhei] c’ha un
dialetto propia di paese un dialetto propia paisano però
R25: ma e e lei ha detto: cioè per+ | dove lei vede queste differenze dove le vede
le differenze lei
I26: le differenze | l’italiano
R27: no. il siciliano siciliano
I28: siciliano? u sicilianu u parranu 23 di ppiù nei paesi
R29: no. lei ha detto che | allora tra il siçiliano che si parla qua a Catania no? e
quello che si parla nei paesi viçini ha detto che ci sono delle differenze no?
e lei mi ha detto anche un’espressione tipica: del Paternò no? lei ha detto
I30: sì sì
R31: e oltre a questa espressione si ricorda altre espressioni particolari di questi
paesi che sono diverse da quelle che si usano qui a Catania
I32: diverse quasi: direi no perché:=
R33: allora cosa cambia

18 Resa fonetica dell’italiano della parola dialettale ncarcata ‘rozza’, ‘volgare’. Riporto il si-
gnificato del VS per ncarcari: «4. rifl. (ME IV) parlare con un accento e/o una cadenza personali
o tipici di un determinato dialetto o di una varietà sociale di esso». E per ncarcata: «3. Particola-
re cadenza personale o tipica di un determinato dialetto o di una varietà sociale di esso, che ca-
ratterizza il modo di parlare di una o più persone […]». nei parlanti ALS è attestata l’associazio-
ne “tipicità di una parlata” con “volgarità”, “rozzezza” (e in misura minore con “stranezza”, “in-
comprensibilità”, etc.). Il fenomeno va inquadrato nelle procedure di opposizione linguistico-
cognitiva nelle quali ruolo fondamentale svolge la salienza del contrasto fonologico e dell’oppo-
sizione lessicale.
19 Alla patornesa, cioè ‘alla maniera di Paternò’.
20 ‘Il siciliano quasi quasi … non è che il siciliano’.
21 ‘Per dirle’.
22 ‘Quelle’.
23 ‘Il siciliano lo parlano’.
248 Vincenzo Pinello

I34: = io ripeto questo. può cambiare che: u parlare dei paesi un siciliano se si
parla bene siciliano e allora è un siciliano che è bello però se incomincia a
essere: eh: confusa tra u parlare siciliano e u parlari: stile di paesi del dia-
letto
R35: eh. ma cosa cambia tra il paese e la çittà | lei dove le vede lei queste diffe-
renze
I36: fra il paese e la città c’è: ripitemu se noi pigliamu 24 Paternò vabbene e Ca-
tania cc’è na bella differenza
R37: eh. e dov’è questa differenza
I38: tra l’italiano | l’italiano Catania vabbene si parla bene anche per i giovani
di oggi
[…]
R45: e che | com’è?
I46: = no il siciliano perché [che cosa] perché a parola comu dissi poco fa ppi di-
ri: unu n’italianu dici: comu dici 25 in italiano [no ma anche in si+] in ita-
liano la persona dice: a tavola / «stati manciannu?» «manciàstivu» ecco u
paturnisi dice così «manciàstevu» «vivìstevu»26 ecco qua (nF2, Catania)

L’informatore istituisce opposizioni categoriali nel livello della lingua e


dello spazio/territorio. Tali opposizioni si basano sul binomio di operazioni
associative fondamentali: città = italiano; paese = dialetto.
L’appena descritto sistema di opposizioni per riunioni può essere tra-
scritto così in matrice sequenziale semplice:
città = +italiano +dialetto bellissimo -dialetto vs paesi = +dialetto -italiano +dia-
letto volgare (‘incalcato’) +dialetto paesano +dialetto confuso

La matrice è costituita dai due caposaldi “città” e “paesi” e dai rispettivi


attributi. Alla città risultano associati «italiano», «dialetto bellissimo» e «mi-
nore presenza del dialetto». Alla campagna, «dialetto», «minore presenza del-
l’italiano», «dialetto volgare», «paesano», «confuso».
Tutti gli elementi della matrice sono in relazione tra di loro e le relazioni
sono vigenti anche tra gli item a destra e a sinistra del sintagma marcatore di
opposizione vs. Le relazioni sono della natura dell’opposizione su base riuni-
tiva per cui la direzione oppositiva determina anche direzione associativa.
Ciò significa che il sistema è pluridimensionale.
Come si vede, nella interazione proposta lo spessore ideologico della di-
cotomia sembrerebbe saturare il solo livello linguistico, incarnato dall’asso-
ciazione tra la parola paturnisa (del paese di Paternò) e l’attributo «incalca-

24 ‘Ripetiamo: se noi prendiamo Paternò’.


25 ‘La parola, come ho detto poco fa, per dire… uno in italiano dice… come dice’.
26 ‘Stati manciannu? [‘state mangiando’], manciàstivu? [‘avete mangiato?’. Lett. ‘mangia-

ste’]. Ecco, il paternese dice così: manciàstevu [‘mangiaste’], vivìstevu [‘beveste’]’.


“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 249

dialettale: ’ncarcata → incalcata). A prima vista, quindi, sembrerebbe rima-


ta», ‘volgare’ (si tratta di un adattamento alla fonetica dell’italiano di parola

nere fuori dal raggio di coinvolgimento dicotomico la dimensione “compor-


tamentale” o pragmatica delle comunità linguistiche bersaglio, tipicamente
espressa da attribuzioni fortemente marcate del tipo «arretrati», «incivili»,
«villani», etc. In effetti, però, tale affrancamento parrebbe più che altro ascri-
vibile al livello della mera verbalizzazione esplicita del parlante, sussistendo
invece la caratterizzazione ideologica pure riguardo alla qualifica socio-prag-
matica dei parlanti cui sono associati le caratterizzazioni linguistiche sopra
specificate («parlano solo dialetto», «hanno la parola incalcata»). Essa, infatti,
per un verso parrebbe collocata nel livello della implicitezza cognitiva, confi-
gurandosi quindi come atteggiamento coperto 27. Per altro verso, l’accumulo
dei livelli di lingua (‘Italiano vs Dialetto’) e di spazio/territorio (‘città vs pae-
si’) della dicotomia, determina una potente caratterizzazione ideologica che
non può non coinvolgere nella rete anche la comunità linguistiche obiettivo
(i paesi Paternò e Adrano).
Peraltro, nel corpus non mancano i casi di aperta verbalizzazione della
dimensione pragmatico-ideologica della dicotomia:
R1: nota delle differenze tra il siciliano che si parla qui a Mmisilmeri e il sici-
liano invece che si parla nei paesi vicini?
I2: sì. si nota benissimo.
R3: potrebbe farmi qual+ | cioè potrebbe dirmi: quale: | in quali paesi?
I4: ca:: come:: Marineo:, Bbelmonte:, Villabbate:, inzomma Bbagheria: sono
tutti paesi:
R5: qualche esempio?
I6: quelli parlano: diçiamo::
R7: ad esempio | un esempio: di come si parla a Vvillabbate e invece di co-
me:…
I8: a Vvillabbate si parla:: come diçiamo: parlano a Ppalermo cioè borgate
però: xxx
R9: eh. un esempio. magari qualche parola che le viene in mente.
I10: che mi viene in mente. || a Vvillabbate diçiamo come:: diçiamo::: ci-anno
un’altra lingua di parlare diçiamo: rozza a ccompleto.
R11: mh. ad esempio? un esempio. || lei mi diceva che viaggia=
I12: certo.
R13: = per motivi di lavoro quindi. è a contatto con diverse persone.
I14: ca:: come:: a Vvillabbate diçiamo:: parlano diçiamo:: con una “z” diçiamo
ppiù: ppiù accanita diçiamo ppiù rozza. come a Bbelmonte: ci-anno un
altro dialetto. inzomma sono: tanti dialetti:.
[…]

27 Pe un resoconto completo e approfondito sugli atteggiamenti, anche con particolare rife-

rimento agli atteggiamenti linguistici, rimando primariamente ad Albarracin et al. (2005).


250 Vincenzo Pinello

I26: come noi: noi diçiamo «prendi la ruota!» invece a Villabbate «pìgghia a

R27: aspe+ | è in dialetto | nuaṭṛi a Mmisilmeri comu riçemu? 28


rrùota!» inzomma è: u: u:

I28: «pìgghia na rrota!»


R29: invece [là a Vvillabbate?]
I30: [invece a Vvillabbate] «pigghìami a rrùuoota!»
R31: a rrùota.
I32: ggià cc’è là come la “a” ppiù llunga:. diçiamo: queste:
R33: ho ccapito. e invece tipo un esempio di Marineo? (GF1 Misilmeri)
Di seguito, l’analisi dell’interazione, nella quale è focalizzato il processo
dicotomico, muovendo proprio dalla dimensione dell’ideologia:
ideologia: «lingua rozza al completo» (I10); «una z più accanita, più
rozza» (I14). L’informatore imita (I30) e definisce (I32) l’allungamento vo-
calico, un tratto tipico del dialetto palermitano molto stereotipizzato in tutta
la Sicilia (v. nota 31 e commento a interazione 3).

si») → Misilmeri vs Belmonte, Villabate, Bagheria; città vs borgate → Misil-


spazio/territorio: città (centro medio 29) vs paesi (I4: «sono tutti pae-

meri vs Villabate (I8: «borgata di Palermo»)


lingua: Italiano vs Dialetto → frase italiana vs frase dialettale («noi di-
ciamo prendi la ruota», «invece a Villabate pìgghia a rrùota»). Solo dopo l’in-
put del raccoglitore (R27: «e in dialetto noi a Misilmeri come diciamo») l’in-
formatore riferisce la forma dialettale in uso nella comunità linguistica di ap-
partenenza (I28): l’input del raccoglitore determina il trasferimento del com-
portamento verbale del raccoglitore in ambiente cognitivo molto controlla-
to, caratterizzato da aperta consapevolezza (Preston 2010b; Preston 2010c).

4.1. Gli ambienti linguistico-pragmatici della deissi


Come ho già specificato, l’indagine tiene conto di: dati puntuali (centri
della differenza e tratti linguistici indicati dagli informatori); interazioni at-
tese e non attese (narrazioni di fatti extralingusitici a partire dai centri della
differenza e dai tratti di lingua, spesso con astrazione dal contesto intervista).
Va precisato che, con un corpus dati più esteso rispetto alle prime indagini
di cui si è detto nel paragrafo iniziale, si è potuto arricchire anche il sistema
delle classificazioni. nelle precedenti indagini si era pervenuti alla individua-
zione di quattro tipologie deittiche e alla definizione di forme e funzioni del-
la deissi all’interno delle procedure rappresentazionali alimentate da opposi-
zioni dicotomiche di tipo linguistico-pragmatico-territoriale (‘Italiano vs
Dialetto’, ‘centri emancipati vs centri arretrati’, ‘mare vs montagna’).

28 ‘noi a Misilmeri come diciamo?’.


29 Sulla classificazione dei comuni in Centri dinamici, medi e recessivi, v. § 2.1.
“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 251

nell’elenco sono dettagliate le sei tipologie deittiche individuate, ovvero


gli ‘ambienti linguistico-pragmatici’ della deissi, tutte appartenenti all’uni-
verso della spazialità; in questo senso, tutti i fenomeni sono riconducibili alla
deissi spaziale:
– Topodeissi con verbi di movimento: sono andato; sono stato; allonta-
nandosi, etc.;
– Topodeissi con espressioni di posizionamento e orientamento: da …
a…; vicino; verso; etc.;
– Deissi ipotetica o analogica del tipo reale: se vai a …; se ci spostiamo;
vai a …; etc.;
– Topodeissi con dimostrativi, riferiti a parlanti, a comunità linguistica
o a elementi territoriali ad esempio: “montagna”;
– Topodeissi con avverbi indicatori di luogo: qua; qui; là; lì; etc.;
– Deissi della trattativa sullo spazio, espressioni linguistiche enunciate
dal Raccoglitore per ricondurre l’attenzione dell’Informatore al terri-
torio e ai paesi “vicini” al centro d’inchiesta: più vicino; troppo lontano;
così ci allontaniamo troppo; etc.

nella prima fase della ricerca avevo previsto un’unica categoria per i fe-
nomeni adesso distribuiti nelle due tipologie Topodeissi con verbi di movi-
mento e Topodeissi con espressioni di posizionamento e orientamento. Allo
stesso modo, a un’unica categoria erano assegnati i dimostrativi e gli avverbi
indicatori di luogo. Queste nuove categorizzazioni, come detto, sono conse-
guenza dell’ampliamento dei punti d’inchiesta e, quindi, del campione e del
corpus dati, rispetto alla fase precedente.
nelle pagine seguenti propongo una raccolta di testi interazionali suddi-
visi nelle sei tipologie deittiche qui individuate. Tali interazioni vogliono es-
sere rappresentative dei sotto-corpora nella loro completezza.
Preciso che in alcune interazioni sono presenti più fenomeni deittici, co-
me risulterà chiaro dalla lettura; in questi casi per assegnare l’interazione a
una sola specifica tipologia si è seguito il principio della prevalenza qualitati-
va di un fenomeno rispetto agli altri co-occorrenti e relativamente accidenta-
li benché non privi di rilievo.
nel corpo del testo interazionale, il fenomeno che ha determinato l’asse-
gnazione alla tipologia è enfatizzato in grassetto, gli eventuali fenomeni co-
occorrenti sono segnalati con il sottolineato grassetto ed elencati in calce allo
stralcio interazionale. Le rappresentazioni cognitive ‘lingua’, ‘spazio-territo-
rio’, ‘ideologia’, ovvero rispettivamente dicotomie, spazio vissuto, stereotipi
linguistici, nel testo sono segnalate in maiuscoletto, inoltre la loro descrizio-
ne segue la sezione dei fenomeni deittici co-occorrenti. Una scheda di com-
mento conclude l’analisi dell’interazione.
252 Vincenzo Pinello

topodeissi con verbi di movimento: è realizzata con i verbi deittici,


ovvero le espressioni verbali che pongono rilievo semantico all’organizzazione
dello spazio nel quale i parlanti sono collocati e/o rispetto al quale essi si rela-
zionano. I verbi più utilizzati pertengono al tipo interlinguistico itivo 30. Infat-
ti, frequente è il verbo “andare”, ma sono attestati anche “allontanarsi”, “spo-
starsi”, “girare”, “arrivare”, “stare”, “essere stato” e simili. Svolgono la funzione
di posizionamento diatopico di un luogo nello spazio, a partire dal quale l’in-
formatore raggiunge mentalmente altri luoghi vicini o lontani (la “meta”). Dal
punto di vista cognitivo, rappresentano il corrispettivo verbalizzato della map-
pa mentale dell’informatore, anche quando il verbo di movimento è utilizzato
in forma negativa (“non sono mai andato”, “non sono mai stato”, e simili).
1.
R17: ecco. perfetto. quindi Cammarata, Agrigento, queste ddifferenze, poi
qualche altro paese eh:: il cui dialetto differirebbe dalle dalle | [da quello
palermitano.]
I18: [Palermo.] ma ho ttrovato ddifferenze anche in quelli di Ggiuliana e in
quelli di RRocca Palumba [dove sono stata. le ddifferenze | sì. ho ttrovato
ddifferenze in tutti i paesi]=
R19: [ecco in tutti quelli in cui ha trovato delle ddifferenze. ecco specialmente
delle ddifferenze sostanziali anche.]
I20: = dove sono andata.
[…]
I30: ho avuto a che fare con persone che immischiano palermitano e si-
ciliano. / e specialmente perché a Ppalermo son venuti tante persone
dai paesi. ognuno porta un proprio bagaglio, [di parole]= (nF5 Palermo)
Deissi co-occorrente: Topodeissi con dimostrativi.
Rappresentazioni cognitive Lingua Spazio-territorio Ideologia: Dicotomia intera-
zionale ‘Gente di città (Italiano) vs Gente di paese (Siciliano)’.
In I18, con il dimostrativo «quelli» l’informatore di Palermo fa riferimento agli
abitanti di Giuliana e Roccapalumba e indica questi due paesi con il verbo di movi-
mento «sono stata». Si tratta di due piccoli centri in posizione molto più interna ri-
spetto a Palermo verso i quali l’informatore rileva una differenza linguistica di tipo
generico e istituisce la opposizione dicotomica ‘Città vs Paesi’.
Tale dicotomia, per la verità, nel prosieguo dell’interazione risulta arricchita
della componente dialettale. Infatti, in I30, con il verbo di movimento del tipo in-
terlinguistico ventivo l’informatore, nel narrare l’incontro con «tante persone» pro-
venienti dai paesi, associa ad essi l’uso di una varietà caratterizzata dall’incidenza del
dialetto. Con il verbo di movimento, in I20, l’informatore aveva rievocato le sue
esperienze di mobilità intercomunale attraverso le quali ha incontrato e sperimenta-
to la differenza linguistica.

30 Faccio qui riferimento all’opposizione prototipica interlinguistica itivo vs ventivo, per la

quale si veda Ricca (1993) per intero, o anche solo le pp. 15-33.
“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 253

2.
I2: sì. certo.
R3: <eh::> con quali paesi lei soprattutto nota delle ddifferenze? paesi vicini.
I4: paesi vicini, <eh:>
R5: cioè?
I6: Cammarata,
R7: sì,
I8: / <eh:> Favara,
R9: <mh>,
I10: / Palermo.
R11: più: rimanendo in zona. paesi vicini.
I12: <eh> anche Villalba.
R13: <mh> / quindi Cammarata, Villalba, Favara, poi ci sarebbero altri paesi
con cui nota delle ddifferenze?
I14: <eh:> Caltanissetta noi lo definiamo città o paese?
R15: città.
I16: allora con la città di Caltanissetta.
R17: anche con Caltanissetta. <eh> qualche esempio, / potrebbe farmelo? o di
pronunzia, o di parole o di espressioni che [lei nota]=
I18: [<mah!> su],
R19: = siano ddiverse [dalla],
I20: [sulla] pronuncia. / sulle parole, // proprio per il fatto che / non c’è: l’im-
mediatezza della verifica.
R21: <mh>,
I22: cioè io ogni che vado a Cammarata capisco che / c’è qualcosa che: mi fa
sforzare nella: / nella: nel capire=
[…]
R37: questa di Cammarata come mai l’ha ricordata?
I38: <eh:> picchì n’campagna ce+ | la nostra campagna quand’ero
piccolo ero sempre là=
R39: <mh>,
I40: = contrada Tumarrano. / <eh> la la è pien di di / [cammaraesi.]
[…]
I62: = quand’ero a scuola: <eh:> in italiano. con tutti quelli che: /
pparlavano: in siciliano pparlavo mussomelese. <beh!> pensavo
di essere | anche loro non è che c’erano diciamo che tra Cam-
marata e Mussomeli, la differenza è più marcata. ma tra Mus-
someli e Vallelunga un po’ meno.
[…]
I70: poi: cioè non riesco a fare una traduzione. se uno si sposta a pparlare / e
trova un referente che parla: io il mussomelese e lui il cammaratese maga-
ri / <eh:> magari la differenza per lì la vado:: a rilevare, ma andarmi a ri-
cordare qualche cosa che usano loro per qualificare qualcosa che già io
stento a qualificare come siciliano. non c’è l’immediatezza del riferimen-
to. (GF5 Mussomeli)
254 Vincenzo Pinello

Deissi co-occorrente: Deissi della trattativa sullo spazio; Deissi ipotetica o analo-
gica del tipo reale.
Rappresentazioni cognitive Lingua Spazio-territorio Ideologia: Spazio vissuto Do-
mini “Vicinato”, “Scuola”.
L’interazione si apre con la deissi della trattativa sullo spazio. Essa si sviluppa
nei turni da I10 a I12 e ha il suo epicentro in R11 con l’espressione deittica attra-
verso la quale il raccoglitore sollecita l’informatore a “rimanere in zona” e a prende-
re in considerazione i paesi vicini. L’inserimento da parte del raccoglitore di questo
elemento fisico della spazialità determina la reazione di accomodamento o livella-
mento fisico-cognitivo dell’informatore (I12).
In I22 la deissi ipotetica ha per oggetto Cammarata, piccolo comune confinan-
te con il centro dell’informatore e al quale questi associa l’incomprensione linguisti-
ca, tratto a forte rischio di stigma e segnalatore di dialettalità. A questi due elementi
(deissi e tratto linguistico) sono legate le rappresentazioni cognitive dello spazio vis-
suto, entrambe connotate in diacronia: l’una (R37-I40) del dominio del “Vicinato”
(l’informatore rievoca le residenze estive della giovinezza nella casa di campagna
ubicata vicino Cammarata), l’altra del dominio “Scuola” (I62) per la quale viene ri-
badita la distanza linguistica con Cammarata, comune coinvolto anche nella deissi
ipotetica con il verbo deittico (I70).
3.
I2: ma già andando verso, come dire verso San’Agata, | già arrivato a Ssanto
Stefano un siciliano | un diale+ | un siciliano diverso dal nostro. Santo Ste-
fano che è a vventi chilometri
[…]
R7: qualche altro paese con cui noti delle ddifferenze.
I8: ma paesi che noto ddifferenze, l’ho detto::, andando verso Palermo::, an-
dando verso Palermo ecco spostandoti un po’ verso la provincia di Paler-
mo tu senti parlare un po’ un altro tipo di dialetto. un altro tipo di dialet-
to magari con accenti ddiversi insomma::. l’ho detto, per me è più rroz-
zo. sempre andando verso Palermo, è un siciliano più rrozzo rispet-
to al nostro sicuramente. magari loro che ci abbitano, ci hanno vissuto
sempre, per loro va bbene così.
[…]
I12: un esempio, ecco, magari sarebbero forse delle parole… noi qua a Tusa se
ci abbiamo da dire a un altro “cornuto” (ci dicimu) “curnutu”, andando
verso Palermo “CUINNUUUTU,” (ci dìciunu) “CUINNUUUTU.” che poi cioè,
non vorrei che ffosse un’offesa per nessuno però… | già ecco, già c’è una
grande (GF2 Tusa)
Deissi co-occorrente: Topodeissi con espressioni di posizionamento e orienta-
mento; Topodeissi con avverbi indicatori di luogo.
Rappresentazioni cognitive Lingua Spazio-territorio Ideologia: Stereotipo ‘Il dia-
letto di Palermo è rozzo, volgare’. L’imitazione riguarda un lessema che contiene la
palatizzazione di /r / preconsonantica e l’allungamento vocalico, tratti tipici e molto
stigmatizzati della varietà palermitana: curnutu > cuinnuuutu.
“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 255

L’anafora dell’espressione deittica costituita da verbo di movimento (“andare”)


+deittico di posizionamento e orientamento (“verso”) caratterizza lo stralcio intera-
zionale (è presente 1 volta in I2, 3 volte in I8, 1 volta in I12). In un caso il medesi-
mo deittico di posizionamento risulta combinato con il verbo di movimento “spo-
starsi” (I8). Vanno inoltre evidenziati: deittico di stima di distanza chilometrica
«venti chilometri» (I2); avverbio indicatore di luogo «qua» (I12).
L’informatore, di Tusa, centro costiero posto all’estremo ovest dell’area messi-
nese al confine est dell’ex provincia palermitana, per due volte indica Palermo cen-
tro della differenza con interessanti osservazioni linguistiche. In particolare: in (I8)
attribuisce il tratto della “rozzezza” al dialetto del capolugo di regione; in I12 si ci-
menta in una imitazione (cuinnuuutu) non priva di enfasi.
Le indicazioni dell’informatore risultano in linea con i risultati delle indagini di
settore le quali attestano nei confronti del dialetto di Palermo radicati e perduranti
fenomeni di stereotipizzazione 31. Questi ultimi possono essere utilmente interpreta-
ti alla luce di tratti linguistici del dialetto palermitano per i quali il Corpus ALS atte-
sta un elevato grado di salienza. Ad esempio, in un recente studio (Pinello 2017:
136-140) viene osservato che laddove i parlanti di altri centri fanno riferimento alla
volgarità o alla rozzezza del dialetto palermitano, in realtà si starebbero riferendo,
senza averne consapevolezza, a due specifici fenomeni fonetici: l’allungamento voca-
lico e la palatizzazione di [r] preconsonantica. Così è nell’informatore di Tusa di cui
ci occupiamo il quale propone il lessema cuinnuuutu (I12) come esempio della
“rozzezza” segnalata in I8, una imitazione che per l’appunto contiene i due tratti fo-
netici bandiera della varietà palermitana sopra indicati.
Il fatto che la percezione acustica di tali tratti abbia un ruolo nella determina-
zione del giudizio stigmatico sul dialetto (fatta salva l’ampia risonanza di saghe ci-
nematografiche di successo, per tutte valga ricordare Il padrino), sembrerebbe con-
fermato dalla altrettanto diffusa attribuzione alla varietà palermitana con valore
stigmatico dello “strascico”: «hanno lo strascico», «strascicano», «trascinano», «stra-
scichìanu», etc.). Alla richiesta dei raccoglitori di chiarire questo concetto, gli infor-
matori si sono lanciati in imitazioni del tipo cuinnuutu. In buona sostanza, lo “stra-
scico” altro non sarebbe che la descrizione di parlanti non specialisti di due specifici
tratti fonetici del dialetto palermitano.

topodeissi con espressioni di posizionamento e orientamento:


espressioni deittiche del tipo “da … a …”, “più avanti”, “verso”, “nelle par-
ti”, “più dentro”, “più vicino”, “a x chilometri”, e simili, a volte in combina-
zione con i verbi di movimento (“andare”, “entrare”, “spostarsi” e simili).
Esse segnalano la totale immedesimazione dell’informatore nella dimensione
spaziale. La loro funzione per tanti aspetti è assimilabile a quella dei verbi di
movimento: posizionamento diatopico ai fini della mobilità reale o ipotizza-
ta; elementi integrati nella mappa mentale del parlante.

31 Su atteggiamenti, comportamenti linguistici, stereotipizzazioni, associati a Palermo, si ve-

da Pinello (2017: 136-140) dedicato ai tratti tipici del dialetto palermitano: allungamento voca-
lico, dittongamento non condizionato di /e / /o / toniche, palatizzazione di [r] preconsonantica.
256 Vincenzo Pinello

4.
I2: ricemu 32 Messina, Catania:,
R: [ecco.]
I2: [oppure] i paesi vicino xx Palermo.
R3: rimaniamo più vicini a Palermo.
I4: / cuomu 33 Monreale,=
[…]
I18: /// invece tantu riri “spicciati” rìcinu “bbrèscia” 34.
R19: ddove ddove?
I20: a Bbagheria.
R: eh.
I20: “BBRÈSCIA” RICIAMU “SPICCIATI”. NATRI RICIAMU “spicciati”, IḌḌI RÌCINU
“BBRÈSCIA.” poi chi ppozzu riri. e CCI AIU TRAVAGGHIATU cu sta ggienti 35.
R21: poi qualche altra cosa? è interessante. anche negli altri paesi che mi ha

[nuaṭṛi] per esempio riciemu | u muraturi xx picchì IO FAZZU U MURATURI


detto. / o anche a Bbagheria [stesso.]
I22:
CCI SENTI RIRI, «PÌGGHIA LU PICU» INVECE NUAṬṚI RICEMU «PÌGGHIA U PI-
CU» 36 già…
R23: è questo dove “pìgghia lu picu”
I24: sempre a [Bbagheria.]
R: [ah.] ecco.
I24: che superi a Casteldazzu diciamu hanno a stessa::, picchì o sunnu | distanu
quacchi chiluometru, pensu che là è u stissu. poi…37

pìgghia “lu panë”, nuaṭṛi riçiamu pìgghia “u panë”, pìgghia la fru+, annu
R25: poi altre cose vediamo.
I26:
tutti sti [cosi ccà.]
R27: [ah “lu” “lu” annu stu “lu”.]
I28: poi chi ppozzu riri.38
R29: stiamo rrimanendo sempre a Bbagheria.
I30: sempre a Bbagheria. / poi se ne ne entriamo cchiù ddintra 39 quello…
R31: per esempio dove più ddentro.
I32: / per e+ pa+ // passando tanto per dire Colleonë.
R: eh.

32 ‘Diciamo’.
33 ‘Come Monreale’.
34 ‘Invece di dire spicciati dicono bbrèscia [“fretta”].
35 ‘Bbrèscia lo diciamo spicciati. noi diciamo spicciati, loro dicono bbrèscia. Poi che posso

dire … Con questa gente ci ho lavorato’.


36 ‘noi per esempio diciamo … il muratore … perché io faccio il muratore, senti dire loro:

pìgghia u picu [‘prendi il piccone’], invece noi diciamo pìgghia lu picu’.


37 ‘Che superi Casteldaccia diciamo hanno la stessa … perché o sono … distano pochi chi-

lometri, penso che là è lo stesso. Poi…’.


38 I: ‘Prendi lu panë [‘il pane’], noi diciamo prendi u panë, prendi la fru … hanno tutte

queste cose qua R: ah, lu [‘il’], lu, hanno questo lu’.


39 ‘Più dentro’.
“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 257

I32: nuaṭṛi ricemu “u lumë” e iḍḍi rìcinu “u lu::më” 40, e sempre più::, e hannu
su per giù e [una…]

I34: nuaṭṛi ricemu “lumë” e iḍḍi rìcinu “lu lu:më”,


R32: [xx] il lumë il lumë.

[…]
I48: a Bbagheria. sempre puru Castiḍḍazzu ste zone ri ccà 41, / cc’è la festa. / poi
chi ppozzu riri 42. su per giù CC’È SSEMPRE UNA COSA:: CUBBA 43 (sic) (GF1
Palermo)
Deissi co-ocorrente: Deissi della trattativa sullo spazio; Topodeissi con dimostrati-
vi; Topodeissi con avverbi indicatori di luogo; Topodeissi con verbi di movimento.
Rappresentazioni cognitive Lingua Spazio-territorio Ideologia: Spazio vissuto Do-
minio ‘Lavoro’; Dicotomia interazionale ‘Città vs Paesi dialetti con elementi (tono,
accento) cupi’ (cc’è ssempre una cosa:: cubba).
L’interazione si apre con la trattativa sullo spazio (I2-I4): indicazione dell’infor-
matore di due centri molto distanti da Palermo (Catania e Messina); input di avvi-
cinamento spaziale somministrato dal raccoglitore ‘rimaniamo più vicini a Paler-
mo’; livellamento fisico-cognitivo dell’informatore (individuazione di Monreale,
comune confinante con Palermo). nel Corpus ALS è frequente la designazione dei
centri metropolitani di Catania e di Palermo da parte di informatori residenti in
aree molto lontane da essi. Il fenomeno è interpretato alla luce dei ‘saperi ideologici’
innescati dai due centri metropolitani la cui forza di pressione determina «l’astrazio-
ne emotiva e l’allontanamento spaziale-cognitivo dell’informatore dal momento in-
tervista, dal suo oggetto e dalle sue modalità» (Pinello 2017: 136).
nella fase successiva alla trattativa spaziale con livellamento all’input del racco-
glitore, la narrazione dell’informatore di Palermo è un viaggio di esplorazione lin-
guistica del territorio attraverso l’utilizzo dei verbi di movimento e degli indicatori
di orientamento e posizionamento spaziale. Il percorso inizia da Bagheria, continua
con la vicina Casteldaccia, si inoltra nell’interno fino a Corleone. Alle tre tappe spa-
ziali ne corrispondono due dal punto di vista linguistico in quanto, sotto questo
profilo, l’informatore di Palermo assimila Casteldaccia a Bagheria (I24, I48). Ecco

Per Bagheria: ‘spicciati vs bbrèscia’ (I18-I20) → opposizione lessicale tra tipo


di seguito tali tratti della differenza linguistica:

italiano e parola dialettale; ‘u panë vs lu panë ’ (I26) → opposizione nel livello della

Per Corleone: ‘u lumë vs u lu::më ’ (I32) → livello fonologico, opposizione tra


morfologia dei diversi esiti dell’articolo determinativo.

assenza/presenza di allungamento vocalico.


Veniamo ai deittici. Il dimostrativo in I20 con oggetto di riferimento +umano
(sti ggenti) co-occorre alla rappresentazione cognitiva dello spazio vissuto del domi-

40 ‘noi diciamo u lumë e loro dicono u lu::më ’.


41 ‘Pure Casteldaccia, queste zone di qua’.
42 ‘Che posso dire’.
43 ‘Cupa’: uso metaforico che rimanda alle aree semantiche dell’oscuro, dell’angoscia, del-

l’inquietudine.
258 Vincenzo Pinello

nio del “Lavoro” (I20, I22). Il verbo di movimento e di posizionamento “superi” il


deittico di stima di distanza chilometrica distanu quacchi chiluometru, l’avverbio in-
dicatore di luogo «là» (I24), tutti riferiti a Casteldaccia, con la funzione di orienta-
mento cognitivo e ancoraggio spaziale, indicano “spostamento” verso, distanza da,
posizionamento in. L’approdo a Corleone è realizzato ancora dalla deissi del verbo
di movimento e dall’espressione di posizionamento e orientamento (entriamo cchiù
ddintra (I30), passando I32).
I già visti elementi linguistici della differenza e le parole ed espressioni deittiche
si saldano con i potenti nuclei ideologici dell’interazione. Questi possono essere
schematizzati nelle fondamentali e connesse opposizioni dicotomiche ‘Città vs Pae-
si’ (‘Palermo vs i piccoli comuni Bagheria, Casteldaccia, Corleone’44) e ‘Italiano vs
Dialetto’ (‘l’italiano utilizzato a Palermo vs i dialetti dei suddetti piccoli comuni’).
In continuità tematica con tali opposizioni è l’associazione da parte dell’informatore
dell’attributo ‘cupa’ alle varietà linguistiche di questi piccoli centri, in particolare a
Bagheria e Casteldaccia (I48).
Una notazione infine. L’attribuzione della forma arcaica dell’articolo determi-
nativo (lu) a un centro diverso dal proprio (appunto: l’informatore di Palermo alla
comunità di Bagheria) non deve essere fatta rientrare nei casi di un’opposizione di
tipo ideologico. Se così non fosse, bisognerebbe presupporre nell’informatore un sa-
pere scientifico sulla lingua che invece è estraneo al parlante non specialista, tipolo-
gia alla quale deve appartenere l’infornatore prescelto dallo studioso.
5.
R1: noti delle ddifferenze tra il siçiliano che si parla a Ccapo d’Orlando e il si-
çiliano che si parla nei paesi vicini?
I2: logico. (P ride)
R3: qualche paese…
I4: (P ride) vabbè se vvai a Ssan Fratello non capisci non è che: | è una lin-
gua non è un ddialetto. proprio::: | perché::: mh::: /// [x]
R5: [innanzitutto] per quali paesi a pparte scusami | San Fratello
I6: poi cc’è questa ddifferenza tra Sicilia orientale e occidentale che si ssente. //
esempio:: classico:: Sicilia orientale “carusi” eh esempio classico di Sicilia
occidentale “picciotti”
R7: picciotti. (EX: tono basso)

44 Per Corleone vale la pena di richiamare la forte salienza socio-cognitiva determinata


dall’alta frequenza dell’associazione tra questo comune e Cosa nostra. È una salienza di tipo
stigmatico che si trova espressa in immagini, caricature, stereotipi, diffusi sia nella cultura po-
polare, sia nei mezzi di comunicazione di massa, sia nelle forme d’arte quali in particolare il ci-
nema e la letteratura. Corleone rientra in quei casi, presenti in maniera significativa nel Corpus
ALS, di sovrapposizione tra fattori linguistici ed extra-linguistici a motivo della forte valenza co-
gnitiva di questi ultimi. In presenza di siffatti processi cognitivi, si generano comportamenti di
“iconizzazione” (Irvine 2001): gli informatori, interrogati su fatti linguistici, si riferiscono invece
a fatti demografici, territoriali, economici, per esempio: «Quelli di quel paese parlano strano e
volgare perché sono montanari». Tale processo può realizzarsi in verbalizzazioni esplicite o nella
forma di atteggiamento o stereotipo coperto. L’argomento è trattato in Pinello (2017: 162-163,
passim).
“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 259

I8: mh. se diçi “carusi 45 ” a Ppalermo capiscono che tu sei eh::: mh::
R9: messinese, [catanese,] (P ride)
I10: [da Enna] / a Mmessina. si può quella zona lì orientale. è ccosì. eh::: poi
alcuni termini:: Barcellona, Messina “figghioli:::46 ” così, “mannaia 47, man-
naia” si capisce no? eh:::
R11: scusa “mannaia, mannaia” di dove sarebbe?
I12: ma::: [di solito…]
R13: [x] (P ride)
I14: la mia | cioè la maggior parte delle persone che ddicono così::: mh:: che
ho cconosciuto io sono di Messina oppure:: Barcellona. non eh:: non
più:: ad ovest di llì.
[…]
I30: anche dei:: dei termini. mi:: ad esempio l’altra volta una mia compa-
gna in facoltà:: eh::: “inquietare 48 ”, “inquieti ” non zo mh:. a mme mh:
io: ho ddetto «forse è italiano» però dico io non mh:: non lo sentivo ma+
(P accenna a ridere) cioè capivo quello che diceva però:: è un termine che
[si usa soltanto]
R31: [che si usa magari…]
I32: soltanto a Ppalermo. magari se io vado a Roma e gli dico inquietare la
ggente lo capisce, non è cche non lo capisce. // però tipo m’è suonato
strano cci ho ppenzato cci ho | non ho ddormito la notte quasi quasi pen-
zavo a quell’inquietare. // eh::: niente queste cose qqua:: tipo:: | ci sono
dei termini:: / più usati i:: in alcune zone e termini meno usati in altri zo-
ne. è ccosì. (FF5 Capo d’Orlando)
Deissi co-occorrente: Deissi ipotetica o analogica del tipo reale; Topodeissi con
dimostrativi; Topodeissi con avverbi indicatori di luogo; Deissi ipotetica o analogi-
ca del tipo reale.
Rappresentazioni cognitive Lingua Spazio-territorio Ideologia: Spazio vissuto Do-
minio ‘Istruzione’.
Per due volte, attraverso i deittici di orientamento e posizionamento, l’informa-
tore traccia i confini e definisce l’estensione delle aree geografiche in cui colloca i fe-
nomeni linguistici nel primo caso (I6-I10) individua le aree dei diversi esiti per
‘bambino’, picciotto (I6: Sicilia orientale carusi, esempio classico di Sicilia occidenta-
le picciotti) e, utilizzando anche la deissi del dimostrativo e l’avverbio indicatore di
luogo, indica il confine ovest dell’area di carusu (I10: «Da Enna a Messina, quella
zona lì orientale»). Dato che le sue opinioni (le percezioni del parlante) coincidono

45 ‘Ragazzi’. Si noti il tono ironico dell’informatore, peraltro raccolto nel turno successivo

dal raccoglitore (R9), motivato proprio dalla geosinonimia per ‘bambino’, ‘ragazzo’. Infatti, a
Palermo la variante carusu, estranea per tale concetto alla varietà locale, viene associata a jarrusu
(‘omosessuale’) non senza connotazioni semantiche di tipo ludico-espressivo e anche disfemici in
alcuni contesti.
46 ‘Ragazzi’.
47 ‘Mannaggia’.
48 ‘Disturbare’.
260 Vincenzo Pinello

con i confini individuati dai linguisti49 (le rappresentazioni dello specialista) si può
anche sostenere che l’informatore ha individuato e riferito le isoglosse per gli esiti
dialettali di ‘bambino’, ‘ragazzo’.
nell’altro caso (I10-I14) descrive la collocazione dei lessemi figghioli e mannaia
anche questa volta utilizzando l’avverbio di luogo marcatore di distanza spaziale
(«Barcellona Pozzo di Gotto, non più ad ovest di lì»).
Va anche segnalata, in due punti, la deissi ipotetica o analogica del tipo reale.
In I4, per il tratto dell’incomprensione associato al centro linguistico gallo-italico San
Fratello, dato, questo, molto presente nel campione. In I30-I32, in connessione con
lo spazio vissuto del dominio dell’“Istruzione”: l’informatore ipotizza che anche a Ro-
ma probabilmente comprenderebbero il significato del verbo “inquietare” (traduzio-
ne italiana del siciliano ’ncuitari), sentito a Palermo da una compagna di università,
malgrado a lui sia sembrato così strano tanto da “non dormirci quasi la notte” (I32).
6.
R3: mh. allora per esempio qualche ppaese per cui lei nota queste ddifferenze
se lo rricorda?
I4: sì. ma sono tanti [eh. eh.] tipo:: eh: As+ Assoro Asso+ | in provincia non
so di dove si trova Assoro [non lo so] ci sono dei viçini:: di qua dei…
R5: eh. ma è provincia di Catania?
I6: questo non non me lo rricordo se Assoro fa pprovincia di Catania oppure
provincia di Enna | proprio che parlano sembra che: che vvengono chissà
da dove e poi alla fine so+ insomma sono cinquanta chilometri | quanti so-
no? | cinquanta sessanta chilometri da Catania però: c’è questa ddifferenza
R7: e dove la: la nota lei questa ddifferenza?
I8: più nei paesi dell’entroterra:: siçiliana ho nnotato proprio… […]
I30: ad esempio la verdura [eh.] io una volta una signora in provincia di
Enna vicino casa di mia mamma | eravamo dal fruttivendolo che cerca-
va i “SACCHI ”
R31: mh. i “sacchi?”
I32: i sacchi. dico: alla fine erano i i | il fruttivendolo ha risposto che non ce li
aveva queste cose che: diçe «no signora io::» diçe «no ma lei ce li ha. eh: ce
li ha.» alla fine erano i sedani (GF3 Catania)
Rappresentazioni cognitive Lingua Spazio-territorio Ideologia: Dicotomia intera-
zionale ‘Grande città Italiano vs Paesi dell’entroterra Dialetto’ (‘sedani vs sacchi ’);
Spazio vissuto Dominio ‘Vicinato’.
I deittici di posizionamento e orientamento «sono cinquanta chilometri» e «cin-
quanta sessanta chilometri da Catania» (I6), vengono utilizzati dall’informatore di
Catania per descrivere la distanza linguistica con il comune di Assoro, con i comuni
dell’entroterra in generale (I8) e della provincia di Enna in particolare (I30). Tale
opposizione si presenta nelle forme e nelle modalità della dicotomia interazionale

49 «Carusu non raggiunge le zone occidentali delle province di Palermo ed Agrigento ed è

del tutto assente nel trapanese, essendo qui stabilmente usati picciriddu/picciutteddu» (Ruffino
1991: 115).
“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 261

‘Grande città vs Paesi dell’entroterra’ interrelata all’opposizione ‘Italiano vs Dialet-


to’, ‘sedani vs sacchi’. La stereotipizzazione è espressa anche con il giudizio che coin-
volge sia livello della lingua, sia il livello extra-linguistico in particolare quella della
provenienza territoriale (I6: «parlano sembra che che vvengono chissà da dove»). In
merito all’esperienza linguistica dell’opposizione italiano e dialetto nel livello del
lessico, va infine rilevato l’innesco dello Spazio vissuto del dominio del “Vicinato”.

deissi ipotetica o analogica del tipo reale: la produzione dell’infor-


matore presenta la sintassi del periodo ipotetico. La protasi contiene la for-
ma morfologica dell’ipotesi retta dal verbo ‘andare’ (ed in misura minore, al-
tri verbi di movimento) e il comune dove l’informatore ritiene sia utilizzato
il tratto linguistico. Le costruzioni più comuni sono: ‘se vai a …’; ‘se vai

ḍḍà…; ca puru ca vai a…; vai a…; comu vai a…). È stata rilevata anche la
là …’; ‘anche se vai a …’; ‘vai a …’; ‘quando vai a …’ (si vai a…; si vai

costruzione con il verbo “arrivare”, ad esempio: ‘se arriviamo per dire a…’
(se arrivamu pi diri a …). Soggetto e oggetto sono spostati dal campo indi-
cale strettamente deittico in uno spazio altro popolato da oggetti esterni ad
esso (Bühler [1934] 1965). Tuttavia il periodo ipotetico è del tipo “reale” in
quanto esprime un fatto di lingua ritenuto dall’informatore certo piuttosto
che probabile. L’apodosi contiene il tratto linguistico della differenza:
‘… vedrai che parlano strano’ (… vidi ca parranu stranu); … ‘sentirai che di-
cono pantaloni’ (sinti ca diciunu canzi); etc.
7.
I6: eh:: mh: ma anche andando verso Marineo è ccompletamente diverso. se
ppoi ci allontaniamo dalla provincia e andiamo verso Prizzi eh:: addirit-
tura si parlano l’agrigentino il dialetto si avvicina ppiù | il siciliano si avvi-
cina ppiù al all’agrigentino che al palermitano come::
R7: teniamoci qui [nelle vicinanze.]
I8: [sì. nelle vicinanze] sì. esistono le differenze. per esempio eh:: il baghere-
se:, il::: villabbatese parlano un dialetto completamente diverso da quello
che si [parla a Mmisilmeri.]
[…]
I16: mh:: in questo momento i:: io ti posso fare come differenza di pronunzia
sia il bagherese che il villabbatese ha un: una certa cantilena.
R17: mhmh.
I18: mentre il: misilmerese ha un: | non ha cantilena inzomma. parla:…
R19: mi faccia un esempio pratico proprio.
I20: mh:: /// non te lo so ddire. quando deve fare: u:: | le:: | il: bagherese ha
pproprio quando parla una cantilena. non non parla invece il
misilmerese:: // || «stai veneeennuuu? 50» questo è il bagherese. invece il mi-
silmerese dice “stai venennu?” proprio detto… (GF5 Misilmeri)

50 ‘Stai venendo?’.
262 Vincenzo Pinello

Deissi co-occorrente: Topodeissi con verbi di movimento; Topodeissi con espres-


sioni di posizionamento e orientamento; Deissi della trattativa sullo spazio.
Rappresentazioni cognitive Lingua Spazio-territorio Ideologia: Stereotipo lingui-
stico “Il mio dialetto non ha cantilena, il dialetto degli altri ha la cantilena”.
La deissi ipotetica è espressa dalla combinazione dei verbi di movimento “anda-
re” e “allontanarsi” e l’indicatore di posizionamento e orientamento «verso» (I6).
L’intervento deittico dell’informatore finalizzato al ridimensionamento dell’area da
prendere in considerazione (R7), determina il livellamento fisico-cognitivo dell’in-
formatore (I8). Il medesimo informatore riferisce di una generica differenza lingui-
stica, sia con i centri mediamente distanti (Marineo) e distanti (Prizzi) (I6), sia con
i comuni confinanti Villabate e Bagheria (I16 e seg.). In merito a questi due ultimi,
in particolare, l’informatore indica la ‘differenza di pronunzia’ che subito dopo
equipara alla cantilena (I16). In generale, in relazione quindi all’intero campione, la
differenza linguistica generica risulta denominata dagli informatori come «pronun-
zia» o «accento» e descritta con «cantilena», «tono», «intonazione», «strascico». Con
essi gli informatori ALS esprimono una percezione acustica di tipo olistico costitui-
ta da fenomeni fonetici e prosodici che, in alcuni casi riconoscono, raramente san-
no denominare, sempre avvertono strani, particolari, o volgari, rozzi. nei confronti
di essi, comunque, hanno maturato un atteggiamento di distanza, o di rifiuto, o di
stigma, o di aperta stereotipizzazione. In sede di analisi e interpretazione del dato
questo tipo di risposte sono state registrate con l’etichetta “soprasegmentale”. Con
1003 occorrenze pari al 34% degli items linguistici dell’intero campione, è risultata
la dimensione più saliente dei dati percettivo-rappresentazionali.
8.
I2: ggià cioè a Ppolizzi ggià c’è una tonalità insomma:: eh… poi Petralia::,
mio marito cioè chiddu avi ora già trentadue anni che siamo sposati:::, e
qquel parlare, cioè quella voce di Petralia, quel tono cce l’ha sempre!
R3: mh:: si [sente.]
I4: [sì.] però che io mi n’avissi â gghiri a n’at. .ru païsi, e parrari cioè il mio
dialetto di Caltavuturo io non lo+:: non | lo… | mittemu a Ppolizzi | io pi
mmia non lo cambierei.51

I14: u “sciallë” diciemu e ḍḍà a chiamano “a MANTÌGGHIA”.52


[…]

R15: [a::]
I16: [a] Valledolmo. (GF1, Caltavuturo)
Deissi co-occorrente: Topodeissi con dimostrativi; Topodeissi con verbi di movi-
mento; Topodeissi con avverbi indicatori di luogo.
Rappresentazioni cognitive Lingua Spazio-territorio Ideologia: Spazio vissuto Do-
minio “Famiglia”; ‘Parole italianeggianti e comunque non arcaiche (sciallë) vs Paro-
la dialettale o del dialetto arcaico (mantìgghia)’.

51 ‘Però che dovrei andare in un altro paese e parlare … cioè il mio dialetto di Caltavuturo io

non lo… non lo … ad esempio a Polizzi [‘con quello di Polizzi’] io da parte mia non lo cambierei’.
52 ‘Diciamo lo sciallë e là la chiamano a mantìgghia’.
“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 263

Attraverso la deissi ipotetica (I4) l’informatrice di Caltavuturo proclama lealtà


di ideologia e di lingua alla propria varietà locale («anche se dovessi andare in un al-
tro paese io parlerei sempre in dialetto»). La percezione della differenza linguistica
(il «tono») è avvertita in primo luogo nel contesto familiare (I2), ovvero nei con-
fronti del marito (Spazio vissuto del dominio della “Famiglia”), per indicare il quale
l’informatrice utilizza il dimostrativo di distanza (come già rilevato, questo tipo di
deittici viene utilizzato per segnalare la distanza sia con l’elemento +umano ovvero il
parlante o una comunità linguistica, sia con la dimensione geografica e territoriale).
Invece, con Valledolmo, comune distante 16 chilometri di strada provinciale da
Caltavuturo, in I14 l’informatrice istituisce una differenza di tipo lessicale con oppo-
sizione ‘parola italiana vs parola dialettale arcaica’ (infatti sciallë è parola italiana con
resa fonetica del dialetto locale). nel campione ALS, e per la verità in diverse altre
indagini sugli atteggiamenti linguistici, comportamenti spia di pregiudizio antidia-
lettale più o meno coperto sono attestati anche in parlanti le cui dichiarazioni aperte
invece esprimono stima. Tale tipo di fenomeno (un classico tema di psicologia so-
ciale, nel campo dialettologia percettiva tematizzato con il concetto di “contradditto-
rietà del parlante” per il quale si rinvia a Telmon 2005: 229-254; Pinello 2017: 86-
104) è riscontrato anche in soggetti con prima lingua dialetto o comunque dialetto-
foni o prevalentemente dialettofoni, come è il caso dell’informatrice qui considerata.
9.
I6: va a Ppatti e cc’è la ddifferenza / va: a Llibbrizzi e cc’è la ddifferenza, va:::
a Oliveri e cc’è la ddifferenza, va: a Ttortorici e cc’è la ddifferenza, va: a
San Salvatore e cc’è la ddifferenza
R7: cioè nota lei | [quando va in un altro paese lo sente]=
I8: [sì. sì. sì. sì.]
R9: = che il siciliano è ddiverso rispetto magari a qquello che usa lei, a qquello
[che parla lei?]
I10: [sì. sì. sì.] cc’è. cc’è. / e ccome non cc’è.
R11: lo ssente. eh. (P accenna a ridere)
I12: mh.
R13: e mmi saprebbe indicare qualche particolarità di questi che llei sente ma-
gari una parola, una [pronuncia…]
I14: [è ] a ppronunciarla la parola diciamo: / per modo di dire uno va a Ttor-
torici // sembra che ha qualcosa in bocca. / è vvero o non è vvero?
R15: sì è vvero. infatti anche altre persone me [lo hanno detto.]
I16: [a Ccastel’Umberto] a Ccastell’Umberto è la stessa cosa / diciamo. no? al
posto di avere qualcosa in bocca dicono::: | manca qualche sillaba.
R17: ah! taglia la parola.
I18: taglia la parola. manca qualche sillaba. a Llibrizzi è la stessa cosa.
R19: ma Libbrizzi dov’è scusi?
I20: supra 53::: supra Patti.
R21: ah.
I22: fra Patti e *San Piero Patti.* (GF1 Capo d’Orlando)

53 ‘Sopra’.
264 Vincenzo Pinello

Deissi co-occorrente: Topodeissi con espressioni di posizionamento e orienta-


mento.
Rappresentazioni cognitive Lingua Spazio-territorio Ideologia: Dicotomia intera-
zionale ‘Centro urbano medio dinamico vs Paesi parlano male’ (come se avessero
«qualcosa in bocca», «tagliano la sillaba»).
La deissi ipotetica con il verbo di movimento ripetuta sei volte (cinque in I6 e
una in I14) disegna due direttrici nel territorio coinvolto nelle percezioni dell’infor-
matore: l’una costiera verso occidente (Patti, Librizzi e, in posiziona appena un po’
più interna, Oliveri); l’altra direzione dell’interno (San Salvatore di Fitalia, Tortori-
ci). Rispetto a questi centri l’informatore riferisce una differenza linguistica generica
che caratterizza con le descrizioni «sembra che ha qualcosa in bocca» riguardo a
Tortorici (I14) e «manca di qualche sillaba» per Librizzi (R19). Quest’ultimo com-
mento è riferito anche per la varietà di Castell’Umberto (I16), comune posto tra
Capo d’Orlando (centro dell’informatore) e Tortorici. nel Corpus ALS i commenti
o le caricature di questo genere sulla varietà bersaglio sono stati sottoposti a spoglio
sistematico e successivamente classificati con 21 etichette o tipi di attributi («aggres-
siva», «assurda», «orrenda», «parlata male», «strana», «a sonfasò», etc.). Infine, le
considerate associazioni tra lingua, territorio, ideologia, rientrano nel caso della di-
cotomia interazionale ‘Centro urbano medio dinamico vs Paesi piccoli’ alle cui ri-
spettive varietà dialettali sono associati gli attributi «parlata male», «strana».
Il deittico di posizionamento e orientamento supra è utilizzato per indicare il
comune di Librizzi dietro richiesta del raccoglitore. Si tratta di una collocazione
spaziale con punto di riferimento (Patti).

topodeissi con dimostrativi: spesso nella forma ‘in questi paesi’, ‘in
quei paesi’, e simili. Il tipo più produttivo è associato alla dicotomia lingui-
stico-pragmatica con “montagna” e più raramente “interno” a elementi del
livello spazio/territorio: ‘in queste montagne’, ‘in quelle montagne’, ‘in que-

ḍḍi muntagni; nta ssi muntagni; ni ssi paisa ’ntirnati). Quindi, sono presenti i
sti paesi di montagna’, ‘in questi paesi dell’interno’ (nta ssti muntagni; nta

l’uno da chi parla (ssa), l’altro sia da chi parla, sia da chi ascolta (ḍḍa)54.
due dimostrativi del sistema tripartito del siciliano che indicano distanza,

Chiaramente, siamo all’interno della funzione esoforica del dimostrativo


(Klajn 1986: 118; Lücking 2018: 255-284) con inclusione dell’esofora men-
tale o fantasmatica (come già evidenziato al § 4).
In questa sede, si farà riferimento alla funzione esoforica dell’indicazione.
Anche il riferimento alle persone, piuttosto che alla componente territoriale,
esprime distanza linguistica e ideologica (“quelli”, o anche “questi” con valore
semantico di distanziamento). Come già detto, le dicotomie oppositive lin-
guistico-pragmatiche hanno una forte caratterizzazione ideologica associando
elementi dello stigma facenti parte dei livelli dello spazio fisico e della lingua.

54 Rohlfs (1968: 207); Varvaro (1988: 722); Ruffino (2001: 61), Trovato (2002: 844).
“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 265

10.
I1: nta sti PAISI DI MUNTAGNA: / per esempio. / eh: nta: // nta li paisi / eh:: a
Ppiana di Greca. / di: Grica mi pari chi si chiama 55.
R: eh::
I2: sì. pàllanu lu so ddialettu / grecu. c’un zi capisci nenti.56
R3: eh: e dicemu, nta sti paisi | chissi chi disse – diciamu – chi ci su cca [vicinu]57
I4: [sì.]
R5: nota cacchi ddifferenza, cacchi cosa, chi niatri per esempio unn usamu e
chid. d. i usano? 58
I6: sì. anchi: a: | anche a Ppalermu. puru =59
R7: eh: [e ccà vicinu]60
I8: =[c’è sta] ddifferenza.61
R9: e ccà vicinu dicemu / ni nota:: cose: chi: | ddifferenze che magari per esem-
pio certi paisi ccà vicinu usanu e niat..ri nvece campubbid.d.isi unn zi usa.62

chid. d. i chi nèscinu quannu chiove | a li “muntuna”. eh: e ḍḍà ci dìcinu:


I10: u-NNI LI CAPIMU. sì: la noto la ddifferenza. per esempio. niatri ccà / a li: |

n’atra cosa. / u-mmi ricordu comu ci dìcinu. nta stu momentu. / eh: “cap-
pid. d. uzzi” 63
R11: e cchissu agghiri dunni signora? 64
I12: NTA SSI MUNTAGNË. / NTA SSI MUNTAG+ | NTA SSI PAISI DI MUNTAGNË. / GGIB-
BELINA, SALAPARUTA, nta sti paisi accussì.65 (nF2 Campobello di Mazara)

Deissi co-occorrente: Deissi della trattativa sullo spazio; Topodeissi con avverbi
indicatori di luogo.
Rappresentazioni cognitive Lingua Spazio-territorio Ideologia: Dicotomia intera-
zionale ‘Centro urbano medio dinamico Dialetto comprensibile non arcaico vs Pae-
si di montagna dialetto incomprensibile’.
La topodeissi col dimostrativo di distanza sti è l’elemento costitutivo della dico-
tomia interazionale ‘Costa vs Montagna’ (I1) con chiara funzione esoforica della

55 ‘In questi paesi di montagna … per esempio, eh, in … nei paesi eh a Piana di Greca

[Piana degli Albanesi], di Greca mi pare che si chiama’. Piana dei Greci è l’antico toponimo del-
l’attuale Piana degli Albanesi, comunità alloglotta arbëreshe.
56 ‘Sì parlano il loro dialetto greco che non si capisce niente’.
57 ‘Eh e diciamo, in questi paesi … questo che ha detto – diciamo – che ci sono qua vicino’.
58 ‘nota qualche differenza, qualche cosa, che noi per esempio non usiamo e quelli usano?’.
59 ‘Sì sì anche a Palermo, pure’.
60 ‘Eh … qua vicino’.
61 ‘C’è questa differenza’.
62 ‘E qua vicino diciamo ne nota cose che … differenze che magari per esempio certi paese

qua vicino usano e noi invece campobellesi [abitanti di Campobello di Mazara] non si usa’.
63 ‘non li capiamo, sì noto la differenza per esempio noi qua ai … quelli che escono quan-

do come li chiamano in questo momento, eh cappiḍḍuzzi’.


do piove i muntuna [un tipo di lumaca] eh … e là li chiamano in un altro modo, non mi ricor-
64 ‘E questo verso dove signora?’.
65 ‘In queste montagne, in queste montagne, in questi paesi di montagna, Gibellina, Sala-

paruta, in questi paesi così’.


266 Vincenzo Pinello

procedura indicale. La dimensione linguistica della dicotomia è fondata sul tratto


dell’incomprensione (I2). La deissi della trattativa sullo spazio si sviluppa da R3 a
I12 con tre input deittici finalizzati all’avvicinamento spaziale somministrati dal rac-
coglitore (R3, R7, R9) a quali fa seguito da parte dell’informatore, dopo un primo
rifiuto (I6), il livellamento fisico-cognitivo (I12). In tale contesto, sempre in I12,
questa volta con i più vicini comuni Gibellina e Salaparuta, si sviluppa un’ulteriore
dicotomia rappresentazionale ‘Costa vs Montagna’ per la quale il dimostrativo uti-
lizzato è per tre volte del tipo ssa /chissa e per una volta del tipo sti/chisti. Per quanto

lessico coinvolge due lessemi dialettali (I10, muntuna, cappiḍḍuzzi) e quindi non
concerne la dimensione linguistica di tale dicotomia, l’opposizione nel livello del

può essere ipotizzato un agonismo linguistico ‘Italiano vs Dialetto’. Piuttosto sem-


bra trattarsi del caso della generica percezione di stranezza e di inusualità attribuita
al lessema associato alla comunità bersaglio. Secondo questa lettura, invero parec-
chio produttiva, alla salienza di un elemento linguistico, oltre a precisi fattori lin-
guistici, concorrono anche fattori extralinguistici di differenti tipologie, nel caso in
specie la bassa frequenza del lessema nel territorio facente parte della disponibilità
percettiva dell’informatore (su questi temi in relazione ai dati ALS si rinvia a Pinello
2017: 141-149, 228-230).
11.
I2: è ddiverso sì:. [è diverso.]
R3: [per esempio] cu quali paisi [no::ta:],
I4: [anchi] Vallelunga.
R5: <eh.>
I6: Vallelunga è la prima cosa. e simmu a [du passi.]
[…]
I10:[I RESUTTANISI], PI DIRI, [PPARLANU MALISSIMO].

lu sicchiu lu chiamanu lu ṬṚAITURI. la pateḍḍra, la padella. la chiamanu


R11: [vidimu vidimu anchi li resuttanisi.]
I12:
la PATEḌḌRA, iannu un linguaggio::… CHISSI LI SACCIU PIRCHÌ CC’È MA CU-
GNATA CA IÈ DI [RESUTTANO]=
R13: [<ah ah>] cc’è questa persona xxx
I14: = E NNA MUGLIERI DI MA NIPUTI GIANNUZZU =
[…]
I22: PPARLANU ṬṚOPPO MALI. LI RESUTTANISI PPARLANU MALISSIMO. <EH> LI CATA-

R23: chiḍḍri di Santa Caterina?


RINARI MIGLIU NUN NNI PPARLARI.

I24: la criapra, no no.


R25: chi iè ca dicinu?
I26: la criapra.

I28: la capra. la capra. nuaṭṛi dicimmu la capra.


R27: pi ddiri:?

R29: si.
I30: e chid. d. ri dicinu la [criapra.]
R31: [criapra.] (nF3 Villalba)
“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 267

Deissi co-occorrente: Topodeissi con espressioni di posizionamento e orienta-


mento.
Rappresentazioni cognitive Lingua Spazio-territorio Ideologia: “Parlano male,

tale (pateḍḍra) e attribuzione al centro della differenza di forma dialettale arcaica


troppo male, malissimo”; Opposizione lessema italiano (‘padella’) vs lessema dialet-

( ṭṛaituri). Spazio vissuto Dominio “Famiglia”.


Il dimostrativo di distanza (chiḍḍri) con oggetto di riferimento +umano (gli
abitanti di Santa Caterina Villarmosa, comune ricadente nell’ex provincia di Calta-
nissetta, come Villalba sede dell’inchiesta) è anche segnalatore di conflitto linguisti-
co. Infatti l’informatore oppone la parola dell’italiano ‘la capra’ (I28) all’esito locale
criapra (I24, I28, I31), tentativo di imitare la palatizzazione in [ J] di /r/ preceduta
da consonante (Ruffino 1991: 112). Si tratta di una opposizione ideologica priva di
ancoraggio territoriale (caratteristica che la distingue dalla dicotomia) connotata an-
che dal giudizio espresso in I22 («Gli abitanti di Santa Caterina!? Meglio non par-
larne!»). Lo Spazio vissuto del dominio Famiglia (I12, I14) è la cornice dell’opposi-

(‘sicchiu vs ṭṛaituri’) e ‘lessema Italiano vs lessema dialettale’ (‘padella vs pateḍḍra’),


zione tra lessema dialettale fonologicamente vicino all’italiano e lessema dialettale

attribuiti a Resuttano, comune vicino posto nella direttrice ovest. (I12). Le due in-
dicazioni di differenza linguistica sono introdotte dal giudizio ideologico (I10). Il
deittico co-occorrente di posizionamento e orientamento a du passi (I6) è utilizzato
per tracciare la distanza con la vicina Vallelunga Pratameno (I4, I6) e per enfatizza-
re la frizione tra vicinanza fisica e distanza linguistica.
12.
I2: sì. sì. no. mi è capitato diverse volte. per dire sono andato:: che sso. a [Ssan::]
R3: [in qualche paese in particolare]
I4: sì. San Cataldo per dire. mi ricordo:: non lo so. lì:: | qua quando diciamo::
“uovo”. cioè in italiano “uovo”. in canicattinese “uevu” forse àvi nna speci
di tendenza spagnola. non lo so com’è. eh:: e quelli di San Cataldo invece
“uvu”. cioè ggià cci livàvanu la “ue”. che era nna cosa:: [a noi faceva]=
R5: [ho ccapito.]
I6: = un po’ gli [amici…]= (GF3 Canicattì)
Deissi co-occorrente: Topodeissi con verbi di movimento; Topodeissi con avver-
bi indicatori di luogo.
Rappresentazioni cognitive Lingua Spazio-territorio Ideologia: Spazio vissuto Do-
minio “Amici”.
Il dimostrativo con oggetto di riferimento +umano (“quelli”) segnala la distanza
con la comunità di San Cataldo esemplata dall’opposizione fonologica presenza /as-
senza del dittongo ue (I4). I dati ALS raccolti in area attestano l’elevata salienza di
tale tratto. Va inoltre ricordato che la letteratura di settore riconosce all’opposizione
fonologica una elevata salienza percettiva (si veda, per tutti, Trudgill 1986, Kerswill
/ Williams 2002. nel nostro corpus l’opposizione fonologica, insieme al lessico, è la
dimensione linguistica dotata di maggiore salienza). Il verbo di movimento (I2) e lo
Spazio vissuto del dominio “Amici” (I6) costituiscono l’architettura, rispettivamen-
te linguistica e cognitiva, della marrazione del parlante.
268 Vincenzo Pinello

topodeissi con avverbi indicatori di luogo: le costruzioni più fre-


quenti:
– “qua /qui diciamo…”, “invece là dicono…”, a volte con elisione del
primo o del secondo avverbio o con sostituzione del secondo avverbio
con il toponimo;
– “qua”, “qui”, “là”, “lì” + Topodeissi con espressioni di posizionamen-
to e orientamento;
– in associazione con un dimostrativo, per esempio: “questi /quelli là
qua parlano strani”.
Si riscontrano casi di utilizzo con le dicotomie linguistico-pragmatiche e
soprattutto con “montagna”.
13.
I6: / vabbè per esèmpiu cci sunnu i Pulizza+ | di Pulizzi, puru hannu sta cosa di
èsseri:: 66 =

I8: = ḍḍa cosa pulizzana i cartavutrisi cci su ppuru 67=


R7: eh: quindi

I8: = di èssiri | ne ca su ttutti cchi pparra+ | e cci su chiḍḍi chi su d. d. a NTÊ MUN-
R: eh.

TAGNI MI PARI A MMIA CA SUNNU CCHIÙ NCARCATI 68=


[…]

di chiamalli “picciriḍḍi”, i chiàmanu “ad. d.ivuzzi.69


I14: [a Polizzi] io sulu per esempio ci pozzu diri per esempio “piccirid. d. i” o postu

I14: l’aḍḍièvulu, chistu, sti cosi ma poi io ne ca [pozzu…]70 (nF2 Scillato)


R: mh.

Deissi co-occorrente: Topodeissi con dimostrativi;


Rappresentazioni cognitive Lingua Spazio-territorio Ideologia: Dicotomia intera-
zionale ‘Paese vs Paese di montagna Dialetto rozzo’ (ncarcatu).
Il deittico indicatore di luogo e il dimostrativo con oggetto di riferimento
+umano (I8) sono elementi costituivi della dicotomia ‘Paese vs Paese di montagna’
(Scillato, comune dell’informatore, occupa una posizione molto meno interna ri-
spetto a Polizzi Generosa. Caltavuturo, sebbene molto vicino a Scillato, è in posi-
zione altimetrica superiore). La dimensione linguistica dell’opposizione dicotomica
è costituita dal tratto della rozzezza e della volgarità (I8: ’ncarcati), giudizio ideolo-
gico il quale, molto spesso, è un segnalatore di differenze fonetiche e prosodiche
delle quali il parlante non ha consapevolezza.

66 ‘Va bene per esempio ci sono i polizzani … di Polizzi, anche hanno questa cosa di es-

sere …’.
67 ‘Quella cosa polizzana, i caltavuturesi [abitanti di Caltavuturo] ci sono pure’.
68 ‘… di essere … non sono tutti che parlano … e ci sono quelli che sono là nelle monta-

69 ‘A Polizzi … io solo per esempio le posso dire per esempio picciriḍḍi [‘bambini’] invece
gne mi pare a me che sono più rozzi, volgari’.

di chiamarli picciriḍḍi li chiamano aḍḍivuzzi’.


70 ‘l’aḍḍièvulu, questo, queste cose, ma poi io non è che posso …’.
“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 269

Inoltre, sempre riguardo a Polizzi, l’informatore indica un lessema (aḍḍivuzzi)


utilizzato solo in questo paese (in area ricorre il tipo picciriḍḍi). A tal proposito, i
dati ALS attestano che un tratto linguistico molto poco diffuso e utilizzato in pochi
punti linguistici tra di loro lontani, finisce per essere associato in maniera forte e
persistente al punto e agli utilizzatori, divenendone un tratto bandiera molto espo-
sto a processi di stereotipizzazione, come nel caso qui riferito.
14.
I25: [cioè] quando una vede | scontra una persona che è di Fvavara, si capisce
a un [miglio]
R26: [<eh> da] che cosa lo capisci? per esempio.
I27: è perché loro hanno::: tipo::: un accento strano. per esempio devo-
no dire:: <eh:::> «vai a prendere:: a quel bambino.»=
R28*: <mhmh>
I29: = «vai a prendere (a u carusu 71.)»
R30*: <mhmh>
I31: c’è. poi quando devono dire “cosa?” “ah?”
[…]
I37: [per] esempio:, qqua noi ad Agrigento, quando dobbiamo dire:: | che ne
so. parliamo, e diciamo: «certo! lui per esempio, ha ragione.» invece quel-
li di Montallegro xx «certo! lui xx cioè gli dai ragione perché:: pensi che
lui l’abbia.»
[…]
I43: = / <eh:> / cioè io lo noto ssubito quando una persona è di qua. tra dal-
l’accento, da | dalla:: | come si esprimono, subito me ne [accorgo.]
[…]
I49: [per esempio::] <eh::> “le albicocche.” noi qqua in siciliano, diciamo “i
percoca.”
R50: <ahah>
I51: mentre a Mmontallegro a Mmontallegro, dicono “i carcopi 72.”
[…]
I57: = qqua noi in siciliano, noi diciamo «pìgliami i cosetti.73»=
R58: <mhmh>
I59: = mentre a Ffavara, «pìgliami i cazetti.»
R60: <mhmh>
I61: / a Mmontallegro, la stessa cosa. p+ per::: “le ca+ le calzette,” qqua noi
diciamo “i cosetti,” là “i canzetti.”
R62: <mhmh>
I63: “le orecchie.” noi qqua come diciamo in siciliano? “l’orìcchia.74 ” = (FF2
Agrigento)

71 ‘Il bambino’.
72 Percoca e carcopi sono geosinonimi per ‘albicocca’.
73 ‘Prendimi le calze’.
74 ‘Le orecchie’.
270 Vincenzo Pinello

Rappresentazioni cognitive Lingua Spazio-territorio Ideologia: Stereotipo lingui-


stico associato al dialetto di Favara (comune distante 15 chilometri da Agrigento)
molto stigmatizzato in zona. L’informatore ne imita un tratto a forte stereotipizza-
zione: la interiezione ah?.
L’interazione dell’informatore si apre con la stereotipo linguistico su Favara,
centro distante 15 chilometri da Agrigento, che nei dati ALS risulta molto saliente
in area proprio per i tratti riferiti dall’informatore: la prosodia (esemplata con l’imi-
tazione in I29) e la interiezione propria ah (I31). Con il medesimo comune l’infor-
matore istituisce anche un’opposizione di tipo fonetico (‘cosetti vs cazetti’, I57-I59)
nella quale è anche coinvolto Montallegro (canzetti, I61): in un fitto conversare di
sette turni l’avverbio indicatore di luogo ricorre tre volte (I57-I63) per segnalare la
relazione di alterità territoriale e linguistica del comune dell’informatore rispetto ai
paesi citati. Complessivamente, questo deittico è utilizzato sei volte (nei casi già vi-
sti e in I37, I43, I49). Uno di questi turni (l’I49) dà il via allo stralcio interazionale
nel quale l’informatore riferisce dell’opposizione di percoca con carcopi (Montalle-
gro), riconducibili rispettivamente al tipo lessicale dello strato latino pircocu, pricco-
cu e al tipo lessicale dello strato arabo varcocu, fraccocu.

I4: <eh.> ma ma niauṭṛi / se: senti parrari u: giarratanisi / ccu u Muò+ | ccu u
15.

Monterussanu naṭṛi facimu“iù” “iù” e chiḍḍi fanu “iò” 75.


R5: <ah.>“iò”
I6: “iò”
R7: “tò” “tu”
I8: “tò” “tu” “tè” e inzomma tutti tutti sti:: | “u: U stunnardu” per esèmpiu
che ssarebbe a bbannera ca xx quannu nnièscinu i santi=76
R: <mhmh.>
I8: = stentardo. in sostanza. in italiano è stendardo. ccà NIAṬṚI RICEMU
“STENNARDU” ddà fanu “u bbaiardu” 77
R9: a Ggiarra+ | a Mmonterosso.
I10: a Mmonterrussu. A MMONTERRUSSU FANNU “U BBAIARDU”
R15: e con Cchiaramonte se: cc’è qualche ddifferenza?
I16: <beh:> ci sarà magari ddifferenza. IO EBBI DA FARE CCANI FÌCIMU STI SCOLI
CHISTI MEDI / E: U:COSA COMY SI CIAMA? L’APPALTATURI ERA CIARAMUNTANU.
D’Avula MI PARI CA SI CIAMAVA. IDDU POVERIEDDU ERA: / COSA ERA? PIRRIA-
TURI. CA SPACCAVA PETRI MACARI IDDU. poi S’AVÌA CCATTATU un camion in-
zomma S’AVÌA un POCU | POI U CAMION AMMAZZAU A UNU INZOMMA S’INCEP-
PARU A UNU, AMMAZZARU A UNU 78 (nF3 Giarratana)

75 ‘Eh ma noi … se senti parlara il giarratanese [dialetto di Giarratana] … con il monteros-

sano [dialetto di Monterosso Almo] noi diciamo iù [‘io’], iù e quelli dicono iò’.
76 ‘Tò, tu, tè, e insomma tutti tutti questi … u stunnardu [‘lo stendardo’] per esempio che

sarebbe la bandiera che … quando escono si santi’.


77 ‘Qua noi diciamo stennardu là dicono u bbaiardu’.
78 ‘Beh ci sarà magari la differenza. Io ho avuto l’esperienza … qua abbiamo costruito la

scuola media … e il cosa come si chiama? L’appaltatore era di Chiaramontanu [abitante di Chia-
“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 271

Deissi co-occorrente: Topodeissi con dimostrativi.


Rappresentazioni cognitive Lingua Spazio-territorio Ideologia: “Parola italiana dia-
lettalizzata vs Parola dialettale”; Spazio vissuto Dominio “Lavoro”.
In I8 il binomio deittico ccà … ddà segnala la distanza linguistica e ideologica
con il comune di Monterosso Almo. A quest’ultimo, infatti, l’informatore attribui-
sce il lessema dialettale bbaiardu, I8, I10) a cui oppone la parola italiana di uguale
significato nella forma fonetica del dialetto (stunnardu, I8). Di tale opposizione l’in-
formatore ha piena consapevolezza come si evince dalla dichiarazione in I8 («in ita-

oggetto +umano chiḍḍi (I4) introduce l’opposizione nel livello della morfologia tra i
liano è stendardo»). Con riguardo ancora a Monterosso Almo il dimostrativo con

diversi esiti, entrambi del tipo italiano, del pronome personale di prima persona
singolare. Invece rimangono non chiarite le opinioni in merito al pronome di se-
conda persona. Lo Spazio vissuto del dominio del “Lavoro” è la narrazione della
differenza linguistica di tipo generico nei confronti della comunità di Chiaramente
Gulfi.

deissi della trattativa sullo spazio 79: oggetto della trattativa è il


confine e quindi l’ampiezza del territorio all’interno del quale considerare
“vicino” il centro al quale l’informatore associa la differenza linguistica. È
utilizzata all’interno di quegli scambi interazionali determinati, da una parte
dall’esigenza del raccoglitore di far rispettare il protocollo d’inchiesta che
con la domanda 16 invita ad assumere notizie solamente sui paesi “vicini” al
centro sotto indagine, al cospetto di un informatore che si astrae dal conte-
sto intervista e segue il corso delle esperienze personali, ovvero si abbandona
alla spazialità cognitiva o vissuta; e dall’altra dalla richiesta di chiarimenti
dell’informatore sull’ampiezza dell’area da potere prendere in considerazio-
ne. Riguardo al raccoglitore, sono state rilevate, ad esempio, le seguenti
espressioni deittiche: ‘troppo lontano’, cchiù bicinu 80, unn’alluntanamu as-
sai 81, no troppu luntanu 82. La trattativa sullo spazio è una modalità dell’inter-
vista sociovariazionale studiata nel Corpus ALS (Pinello 2017: 252-257) e
nella dimensione dell’analisi interazionale sono state osservate e interpretate
anche le reazioni dell’informatore agli input deittici del raccoglitore, che so-
no di accomodamento (livellamento fisico-cognitivo) o di rifiuto di questi
ultimi, oppure di disorientamento cognitivo-spaziale 83.

ramonte Almo]. D’avola mi pare che si chiamasse, Lui poveretto era … cosa era? Cavatore, che
spaccava piete anche lui. Poi ha comprato un camion insomma un po’ … poi il camion ha ucci-
so una persona, insomma hanno ucciso uno, hanno ucciso uno’.
79 Per una specifica trattazione di questo fenomeno si veda Pinello (2017: 252-257).
80 ‘Più vicino’.
81 ‘non ci allontaniamo troppo’.
82 ‘no, troppo lontano’.
83 Sull’asse polare ‘accomodamento vs rifiuto’ degli input del raccoglitore sono state indivi-

duate 6 tipologie di reazioni dell’informatore Pinello (2017: 252-257).


272 Vincenzo Pinello

16.
I4: le dico una cosa che da: / da Palermo / a Ccarini c’è ddifferenza pure di: /
di dialetto siciliano. difatti i dialetti / in Zicilia sono diversi.
R5: sì

stesso / di quelle palermitane. / come noi qui chiamiamo “u attu” 84 ḍḍa


I6: a Ccatania / si parla siciliano ma ci sono certe parole che non / sono lo

chiamano “a iatta”.
R7: dove? a Ccatania [dice?]
I8: [a] Ccatania.
R9: e pperò e e e rimaniamo ppiù viçini a Palermo. ecco.
I: eh.
R9: lei mi parlava di Carini.
I10: sì.
R11: ecco. poi qualche altro paese: vicino: a Ppalermo: [per cui] lei noterebbe
delle [differenze:.]
I12: [no. come pae+ | ] si può notare un po’ di differenza: parlando come: Vil-
labate,
R13: / ecco [quindi ggià lei nota una]=
I14: [Bbagheria,] -livellamento
R15: = una ddifferenza tra [Bbagheria e Ppalermo.]
I16: [cc’è una differenza] che si parla ppiù: / come si dice
R: mh.
I16: // di Palermo. // certe parole sono quasi lo stesso ma certe parole sono
R17: perfetto. eh: altri paesi lei: lei: n:+ | inzomma noterebbe queste differenze
anche per altri paesi? / non so…
[…]
I18: sì. perché ogni: | noi abbiamo per modo di dire / Palermo, allontanando-
si ci sono delle parole diverse / di quelle che:
R19: lei si ricorda qualche pparola, qualche ffrase particolare, che so di Bbaghe-
ria che non si usa da noi e e mmagari…
I20: no io mi posso rricordare qualche pparola da Carini che ci sono stato=
R21: eh [eh mi dica Carini.]
I22: = / [tempo di guerra.]
I23: dovevano dire “mi: chi si ppazzu” 85

I29: eh: “ivi chi ssì infuḍḍutu.”86 (nF2 Palermo)


R: eh.

Deissi co-occorrente: Topodeissi con espressioni di posizionamento e orienta-


mento; Topodeissi con avverbi indicatori di luogo; Topodeissi con verbi di movi-
mento.
Rappresentazioni cognitive Lingua Spazio-territorio Ideologia: Dicotomia intera-
zionale ‘Grande Città’ vs ‘Paese dialetto rozzo’; Spazio vissuto Dominio “Militare”.

84 ‘Il gatto’.
85 ‘Mih che sei pazzo!’.
86 ‘Che sei pazzo!’.
“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 273

La trattativa sullo spazio si svolge da I6 a I14 con i deittici tipici di questa tipo-
logia: due di avvicinamento (R9: «rimaniamo ppiù viçini a Palermo»; R11: «qual-
che altro paese: vicino: a Ppalermo») e uno di posizionamento spaziale (R9: «lei mi
parlava di Carini»). Il livellamento fisico cognitivo dell’informatore, esito di tali in-
put deittici, è in I14. Per quanto riguarda la dimensione linguistica, l’informatore di
Palermo indica due tratti: a Catania, comune oggetto della trattativa, attribuisce
l’esito iatta rispetto al locale atta (I6), quindi un’opposizione nel livello fonetico tra
presenza /assenza della prostesi; per Bagheria, comune meta della trattativa, segnala
la generica differenza connotata ideologicamente con l’attributo «più rozzo» (I16).
Da evidenziare, infine, la deissi di posizionamento e orientamento (in I4, per indi-
care la generica differenza con Carini) e la dessi con i verbi di movimento (I18,
I20), in un caso per associare l’allontanamento fisico dalla propria comunità alla
differenziazione linguistica, nell’altro per contestualizzare la narrazione in uno stra-
to diacronico (Spazio vissuto del dominio “Militare”).
17.
I6: tipo Palermo.
R7: ah. troppo lontano. ti chiedo zone più viçine | forse con il fatto che lla-
vori possibilmente li senti arrivare anche da altri paesi qui viçino cioè che
ti posso dire: da Paternò sino a Ccatania, sino:: a Ggiarre,
I8: vabbè sì. da Paternò normale sì. quell’accento: paternese che ssem-
bra: strano.
R9: vabbè tu fai conto che io non lo so potrei anche | cioè sei tu che ddevi
spiegarmi appunto com’è. qua la situazione cioè quali paesi qqui viçino
hanno un dialetto più strano, diverso rispetto a [questo.]
I10: [sì.] tipo: Paternò è strano. oppure eh: Messina.
R11: troppo lontano. ti chiedo | troppo lontano. ppiù viçino.
I12: mh::
R13: proprio nella provincia di Catania.
I14: provincia di Catania (P ride) che so. (FF1 Mascalucia)
Rappresentazioni cognitive Lingua Spazio-territorio Ideologia: Dicotomia intera-
zionale ‘Centro urbano medio dinamico vs Paese Dialetto strano’.
La trattativa sullo spazio si svolge nell’intero stralcio interazionale proposto. I
comuni oggetto della trattativa indicati dall’informatore sono Palermo e Messina
(su salienza Palermo e Catania si veda la scheda della interazione 4) ai quali fanno
riscontro gli input deittici di avvicinamento spaziale del raccoglitore: «ah. troppo
lontano. ti chiedo zone più viçine» (R7); «troppo lontano. ppiù viçino» (R11); «pro-
prio nella provincia di Catania» (R13). In un caso viene utilizzato il binomio deitti-
co di posizionamento e orientamento “da … a…” per perimetrare l’area da prende-
re in considerazione (R7). Sul versante dell’informatore, le reazioni alla deissi se-
guono il seguente schema: astrazione dal contesto (Palerno); livellamento fisico-co-
gnitivo (I8); astrazione dal contesto fisico (Messina); spaesamento cognitivo (I14).
Per il comune individuato nella fase di livellamento fisico cognitivo (Paternò), l’in-
formatore riferisce una generica differenza linguistica connotata ideologicamente
(«strano») riguardo alla quale può affermarsi che egli utilizza uno stereotipo lingui-
274 Vincenzo Pinello

stico attestato dai dati ALS. Tale opposizione ideologica è espressa nella forma della
dicotomia interazionale ‘Centro urbano medio dinamico vs Paese dell’interno’.
18.
R5: eh::: per quali paesi soprattutto noti delle ddiferenze?
I6: / Catania, Palermo, sono del tutto ddifferenti rrispetto a Ccapo d’Orlan-
do. [Agrigento…]
R7: [ma anche i::] ma anche ad esempio i paesi vicini? i paesi magari:: non
so, i paesi che cconfinano con Capo d’Orlando, noti delle ddifferenze tu?
I8: in alcune parole / può essere.
R9: e pper quali paesi in modo particolare? se::: cci hai fatto caso.
I10: // non lo so (EX: tono basso) Sant’Agata, eh:: oppure::: paesini di mon-
tagna, (FF3 Capo d’Orlando)
Rappresentazioni cognitive Lingua Spazio-territorio Ideologia: opposizione ideolo-
gica ‘Centro dinamico vs Paesini di montagna’.
Concludo la serie di esempi con questa interazione appartenente a una tipolo-
gia un po’ diversa da quelle finora presentate. In alcuni casi la dimensione linguisti-
ca della trattativa rimane del tutto coperta e quindi se ne colgono soltanto le tracce
nella rappresentazione dello spazio che l’informatore dimostra di possedere. Come
in questo caso, dove la dichiarazione è specifica per la dimensione territoriale («pae-
sini di montagna», I10) e pienamente olistica nella dimensione della lingua (I6).
Tale circostanza sembrerebbe rientrare nel caso della iconizzazione (v. nota 44) con
riferimento esplicito a fatti demografici, territoriali, economici, e implicito o coper-
to a fatti di lingua.

5. Conclusioni

Questa ultima parte è dedicata alle proposte di interpretazione dei dati


ponendo particolare attenzione al complesso di fattori, fenomeni e variabili
coinvolti. In primo luogo, saranno indicate e discusse le funzioni deittiche
emerse nei processi di rappresentazione delle differenze linguistiche (§ 5.1).
Gli ultimi due paragrafi sono dedicati alla individuazione e alla trattazione
delle variabili per le quali è attestata una correlazione altamente sensibile con
l’occorrenza della deissi. Trattasi in entrambi i casi di variabile complessa, in
un caso esterna al campione (il profilo territoriale del comune), nell’altro in-
terna (il profilo degli informatori)

5.1. Le funzioni della deissi


Dai testi interazionali analizzati emergono le funzioni della deissi nei dei
processi di rappresentazione delle differenze linguistiche:
a. aggancio tra spazio-territorio e spazio cognitivo: spazio vissuto; dicotomie
oppositive interazionali;
“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 275

b. inclusione della componente ideologica nell’ancoraggio classico tra lingua e


spazio-territorio;
c. puntatore linguistico di direzione sugli assi variazionali ‘sopra vs sotto’ – ‘su-
periore vs inferiore’, quindi con inferenza nella dimensione dello spazio-ter-
ritorio e dello spazio cognitivo: dicotomia oppositiva interazionale;
d. proclamatore di ideologia linguistica e vettore di identità linguistica;
e. orientamento spaziale (era f );
f. separazione e delimitazione delle spazialità;
g. introduttore di eventi salienti: spazio vissuto;
h. orientamento narrativo (funzione testuale);
i. introduttore di elementi linguistici della differenza.

Per tali funzioni va confermata la inerenza alle concettualizzazioni di


esperienze di tipo basico o schemi di immagini (§ 3). In particolare possono
essere individuate le seguenti connessioni tra domini di fondo degli schemi
di immagini e funzioni della deissi per come si evincono in azione nei testi
interazionali ALS: sotto-sopra, vicino-lontano centro-periferia (‘spazio’),
funzioni deittiche segnate in elenco con a, c, e; dentro-fuori (‘contenitore’),
funzioni deittiche b, f ; parte-tutto (‘unicità /molteplicità’), funzioni deittiche
b, d; spazio delimitato, funzione deittica f.
Le funzioni g, h, i esprimono i ruoli testuali dei segnali deittici e ineri-
scono a tutti e quattro i domini schematici appena citati (trasversalità testua-
le-cognitiva).
Per altro verso, le funzioni deittiche dell’elenco sono inerenti, tutte e in
ogni modo, alla lingua, allo spazio, all’ideologia, ovvero alle tre dimensioni
canoniche della dialettologia percettiva. Le medesime dimensioni alimenta-
no i processi di opposizione dicotomica ALS che il parlante istituisce tra il sé
linguistico e le alterità cognitivamente circostanti (§§ 3, 4, e passim negli
stralci interazionali del § 4.1).
Tale co-occorrenza di dimensioni, e nel concetto sovraordinato (dialetto-
logia percettiva), e nelle individuate procedure di designazione linguistica
(deissi; dicotomia interazionale), è raffigurato in Fig. I in un modo che ne ri-
marca la natura epistemica. Detta co-occorrenza, in definitiva, è l’oggetto di
analisi di questo articolo.
La rete relazionale rappresentata in Fig. I rende anche conto della ragio-
ne per la quale la forza del deittico emerge con eccezionale evidenza proprio
nel co-testo narrativo delle dicotomie interazionali.

5.2. Deissi e correlazione con i fattori morfo-territoriali


Veniamo adesso ai fattori extralinguistici e alle correlazioni con la fre-
quenza dei deittici. In primo luogo consideriamo il profilo dei comuni (i da-
ti sono nelle Tabb. IV e V). Il confronto tra i valori delle aree estreme sul-
276 Vincenzo Pinello

Fig. I - Dialettologia percettiva, Deissi, Dicotomia interazionale:


Rete relazionale Lingua-Spazio-Territorio.

Comune Tipologia N. Informatori Occorrenze deittici


Palermo Polo regionale 17 16
Catania Polo regionale 17 11
Trapani Dinamico 17 6
Alcamo Dinamico 17 7
Canicattì Dinamico 17 8
Capo d’Orlando Dinamico 17 13
Totali 102 61 60%
Tab. IV - Occorrenze deittici Poli regionali e Comuni Dinamici.

Comune Tipologia N. Informatori Occorrenze deittici


Castelvetrano Mediamente recessivo 7 2
Campobello di Mazara Recessivo 10 3
Misilmeri Mediamente recessivo 17 11
Caltavuturo Recessivo 17 3
Sclafani Bagni Recessivo 3
Scillato Recessivo 1
Mussomeli Mediamente recessivo 6 3
Vallelunga Pratameno Recessivo 7 5
Villalba Recessivo 4 1
Mistretta Mediamente recessivo 17 6
Reitano Recessivo 0
Caronia Recessivo 3
Chiaramonte Gulfi Recessivo 17 2
Giarratana Recessivo 3
Monterosso Almo Recessivo 3
Totali 102 49 48%
Tab. V - Occorrenze deittici Comuni Mediamente recessivi e Recessivi.
“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 277

l’asse virtuale concettuale ‘recessione vs dinamismo’ attesta il maggior rilievo


dell’incidenza deittica nei centri più dinamici ma con uno scarto contenuto
(60% vs 48%). La prevalenza contenuta della correlazione dei processi deit-
tici con le aree urbane più sviluppate sembrerebbe confliggere con due varia-
bili di indubbio valore di prognosi, riconducibili rispettivamente alla dimen-
sione territoriale (a) e a quella ideologico-identitaria (b):
a) i centri dinamici sono quasi tutti costieri o sub-costieri e, di converso,
i comuni recessivi sono posizionati in larga prevalenza nelle aree mon-
tane o interne;
b) ancora i dati ALS attestano la costante di direzione del processo ideo-
logico-linguistico, che parte dall’epicentro dinamico e giunge alla me-
ta recessiva; esso è espresso dallo stereotipo, dall’opposizione dicoto-
mica e dall’ideologia linguistica di primo livello87.

Oltre a queste due variabili va però considerata anche la dimensione del-


la lingua. I tratti linguistici della differenza intercomunale sono partecipi
della dinamica ‘epicentro vs meta’. nella dimensione micro-areale, le mete
del flusso differenziatore sono i comuni che esibiscono fenomeni linguistici
bandiera, ovvero tratti il cui conclamato status di stereotipo è impetrato dal
consenso intra-areale, fattori rilevabili dal ricercatore attraverso l’analisi di
atteggiamenti cognitivi e comportamenti sociali.
Tale dinamica intra-areale è stata studiata in sede ALS con specifici stru-
menti di interpretazione e ha condotto alla definizione dello “spazio avvici-
nato”. È la categoria rappresentazionale che attesta e interpreta la corta gitta-
ta della retta ideale che collega l’epicentro di un fenomeno alla sua meta:
«Questo può accadere perché nello spazio avvicinato le caratteristiche geo-
socio-economiche del centro bersaglio alimentano negli informatori [della
meta] un patrimonio di rappresentazioni comunitarie che ha la caratteristica
di essere legato al territorio da una serie di relazioni molto strette. Tali infor-
matori, pertanto, dimostrano di possedere, a livello di struttura cognitiva, la
competenza di discernimento delle strutture spaziali di una fetta di territorio
‘pronto per l’uso’»88.
L’elevatissima salienza dei tratti linguistici bandiera in sede micro-areale
e la pressione della spazialità avvicinata e delle interrelate pulsioni ideologi-
co-identitarie, determinano le condizioni ideali per l’innesco del processo
deittico. Ciò potrebbe anche essere detto sostendendo che nella dimensione
micro-areale v’è una reduplicazione “avvicinata” del processo macro-areale.
Ecco perché la naturale predisposizione delle aree dinamiche ad essere epi-

87 L’ideologia linguistica di primo livello è l’opposizione linguistica senza un aggancio spa-

ziale (Pinello 2017: 178).


88 Pinello (2017: 176-177).
278 Vincenzo Pinello

centro del processo deittico, non determina l’univocità di occorrenza del fe-
nomeno.
Le descritte dinamiche linguistico-ideologiche di spazio avvicinato con il
correlato innesco del processo deittico sono ampiamente attestate nel Corpus
ALS e se ne leggono nella rassegna qui presentata (§ 4.1). La proposta della
interazione seguente con riguardo a un centro ALS non compreso nel cam-
pione di questa ricerca, credo possa costituire testimonianza esemplare ed ul-
teriore della diffusione del fenomeno nel campione intero:
R1: senti ma tu noti delle ddifferenze, // tra il siçiliano che si parla qua a Gan-
gi, e il siçiliano che si parla nei paesi o nelle città vicine.
I2: sì. ce n’è tante differe+ | tanti termini sono diversi, anche::: l’accento, <eh::>
la durezza delle parole tante volte. tipo a Gangi è morbido il sici-
liano, molto dolce. Petralia è ggià molto più aggressivo:: il parla-
re:: di Petralia. // e siamo a diciassette chilometri. non cc’è tanta differenza.
R3: // perfetto. quindi soprattutto Petralia. questa [ddifferenza…]
I4: [Petralia,] Geraci è::: più:: più aggressivo <diçiamo> come parlato.
R5: <mh> poi qualche altro paese, secondo te del…
I6: come diverso sì. San Mauro e pure ci sono tanti termini diversi /
<eh::> poi Sperlinga non ne parliamo! <eh:> già si parla <così>
francese, non si capisce (manco una parola) quando ‘parlano’ <P
ACCENNA A RIDERE > il dialetto: proprio stretto. // e quindi::… cioè
a me quello di Gangi piace. È molto morbido come dialetto.
R7: // senti potresti farmi | hai elencato Petralia Sottana, Geragi <sic>, Sper-
linga, come paesi. <eh> qualche:: | sa+ | sapresti indicarmi qualche partico-
la+ | tipo qualche pronunzia, qualche parola, in cui tu | qualche espressio-
ne in cui noti: / [ad esempio delle differenze particolari.]
I8: [cioè la ddifferenza] | ma forse a Gangi <diciamo::> per dire la maniglia
della porta di+ | diciamo “a maniglia” // invece a Petralia si dice “a manig-
ghia” quindi già è più duro <diciamo.> <eh::> stesso a Geraci. a Sperlinga
non lo so. <P ride> non lo so proprio.
R9: però ad esempio poco fa hai detto ‹‹a Sperlinga parlano…»
I10: un specie di francese, mi+ | misto a tedesco, forse dalle doni+ | dominazio-
ni passate. quindi sarà questo… (GF4 Gangi)

Solo poche parole di analisi. L’informatrice individua la cinta territoriale


della differenza costituita da comuni vicinissimi e vicini (Geraci Siculo e Pe-
tralia Sottana sul versante occidentale; San Mauro Castelverde sul versante
nord; Sperlinga sul versante est). Con questi comuni nel dettaglio, e con il
territorio circostante in generale, istituisce opposizioni di tipo ideologico-
linguistico, vuoi per il tratto della ‘dolcezza vs aggressività’ (I2 e segg.), vuoi
per il tratto dell’«incomprensione» (I6) che raggiunge il moto dell’ironia
(«accenna a ridere»). L’informatrice, inoltre, nello stigmatizzare il dialetto di
uno dei centri vicini (Petralia Sottana) lo associa a uno dei tratti d’area ad al-
tissima salienza, una bandiera linguistica “pronta per l’uso”, potente marca-
“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 279

tore di differenziazione: l’opposizione fonologica tra approssimante laterale


palatale a Gangi (maniglia) e approssimante laterale alveopalatale (manig-
ghia), tratto prevalente in area e attestato anche a Petralia Sottana.
Il processo di opposizione con la cinta comunitaria individuata e con i
singoli atomi d’essa muove da un preciso posizionamento deittico (I2: «è
ggià molto più aggressivo:: il parlare:: di Petralia. // e siamo a diciassette chi-
lometri») il quale assume anche la funzione di punto di orientamento nella
trama geo-spaziale di tipo avvicinato.

5.3. Deissi e correlazione con il profilo degli informatori


Veniamo adesso alla variabile che esprime il profilo degli informatori e
quindi la tipologia campionaria. Sotto questo aspetto risulta confermata la
prevalenza di informatori della tipologia nonni (già emersa nella precedente
fase della ricerca, v. §§ 1, 2), fenomeno probabilmente associabile alla predi-
sposizione alla narrazione dimostrata da questo tipo di parlanti (Castiglione
/ Giammanco / Tomasello 2006; Paternostro in c.s.). Infatti, quasi la metà
dei deittici sono prodotti dagli informatori più anziani del campione
(45,90%), il 34,42% dai Genitori e il 19,68% dai Figli). A tal proposito de-
ve rilevarsi la stretta correlazione tra dialettofonia e deissi, dato armonico
con la correlazione appena vista tra età e incidenza deittica.
I dati in Tab. VI mostrano come più della metà dei deittici siano pro-
dotti da informatori della prima e della seconda famiglia, ovvero dai parlanti
delle reti familiari più dialettofone del campione. Il profilo di questi infor-
matori chiarisce che si tratta di parlanti con prima lingua il dialetto e im-
mersi in un contesto sociale e antropologico facente capo all’“universo dia-
lettale”. Con quest’ultimo concetto si intende un sistema di cultura in cui
l’insieme di modelli e valori, strumenti, riti, parole e cose, è riconducibile a
quattro categorie fondamentali: della cultura materiale; della cultura orale;
della religiosità, riti, superstizione; della sfera domestica (Ruffino 2000: 13-
14). In esso, cultura popolare e cultura dialettale sono l’una parte dell’altra e
costituiscono è qualcosa di profondo, inscritto nella storia personale e fami-
liare del parlante e nel suo sistema di referenti, rispetto agli usi linguistici
praticati o esibiti (cfr. Ruffino 2000; Sottile 2019)89. Infatti, la cultura della

89 «Il quadro descritto presenta spinte divergenti alla persistenza e alla variazione, facendo

registrare, tuttavia, sintomi di “declino” piuttosto che di “agonia”». Infatti, avverte Ruffino, è fa-
cile rendersi conto di quanto «le strutture profonde siano ben più resistenti di certe espressioni
esplicite della cultura tradizionale» (Ruffino 2000: 13). Il tema è stato riproposto nel recente
Sottile (2019) il quale, tra gli altri meriti, ha quello di riattualizzare e ricondurre alla situazione
di contatto linguistico della Sicilia contemporanea, quella «trama di cultura materiale»,
quell’«ordito», descritti da Tullio De Mauro, su cui un tempo poggiava il dialetto (Camilleri /
De Mauro 2013: 124, cit. in Sottile 2019).
280 Vincenzo Pinello

popolarità e della dialettalità è riscontrata anche in alcuni informatori che,


d’altro canto, fanno registrare un uso ampiamente prevalente della lingua
nazionale.
Tipologia Famiglia Uso deittici
Famiglia 1 32,79%
Famiglia 2 24,59%
Famiglia 3 15,12%
Famiglia 4 11,47%
Famiglia 5 16,03%
Tab. VI - Frequenza d’uso dei deittici per tipologia familiare ASL.

La considerazione di tutti questi fattori suggerisce l’ipotesi che la tenden-


ziale predominanza alla deitticità in parlanti avvolti in ambiente dialettale,
ovvero in reti e contesti facenti capo all’universo dialetto, sia espressione del-
la loro abitudine a fare riferimento ai contesti immediati, agli oggetti delle
interazioni quotidiane nelle reti sociali di immersione, ai manufatti, alle pra-
tiche, ai riti, di quel sistema di simboli e valori che gli antropologi chiamano
«mondo della vita quotidiana» (Berger / Luckmann 1991).
Questo conduce a potere sostenere che la referenza immediata a contesti,
oggetti, simboli, pratiche, valori dell’universo dialettale (universo antropolo-
gico), e l’ancoraggio deittico tra lingua, spazio-territorio, ideologia (universo
lingua), sarebbero modalità specifiche del medesimo processo rappresenta-
zionale, attraverso il quale, avendone o non avendone consapevolezza, il par-
lante esprime e dialoga con l’ambiente circostante, sia esso vicino o lontano,
anzi costruendo e rielaborando vicinanza e distanza. Sono queste ipotesi che
emergono con decisione dai dati ALS in materia.
Università di Palermo Vincenzo Pinello
vincenzo.pinello@unipa.it
APPEnDICE
282 Vincenzo Pinello

Carta 1 - Rete pilota.

Carta 2 - Comuni citati nelle interazioni.


“In quelle montagne lì parlano dialetto”. Deissi e funzioni deittiche 283

ELEnCO DEI COMUnI CITATI nELLE InTERAZIOnI

Trapani 25. Scillato 44. Castell’Umberto


11. Campobello di Mazara 26. Villabate 45. Librizzi
12. Gibellina 46. Messina
13. Salaparuta Agrigento 47. Oliveri
14. Trapani 27. Agrigento 48. Patti
28. Cammarata 49. San Fratello
Palermo 29. Canicattì 50. San Piero Patti
15. Bagneria 30. Favara 51. San Salvatore di Fitalia
16. Belmonte Mezzagno 31. Montallegro 52. Santo Stefano di Camastra
17. Caltavuturo 53. Sant’Agata di Militello
18. Carini Enna 54. Tortorici
19. Casteldaccia 32. Assoro 55. Tusa
10. Corleone 33. Enna
11. Gangi 34. Sperlinga Catania
12. Geraci Siculo 56. Adrano
13. Giuliana Caltanissetta 57. Catania
14. Marineo 35. Caltanissetta 58. Giarre
15. Misilmeri 36. Mussomeli 59. Paternò
16. Monreale 37. Resuttano 60. Mascalucia
17. Palermo 38. San Cataldo
18. Petralia Soprana 39. Santa Caterina Villarmosa Ragusa
19. Petralia Sottana 40. Vallelunga Pratameno 61. Chiaramonte Gulfi
20. Piana degli Albanesi 41. Villalba 62. Giarratana
21. Polizzi Generosa 63. Monterosso Almo
22. Prizzi Messina
23. Roccapalumba 42. Barcellona Pozzo di Gotto
24. San Mauro Castelverde 43. Capo d’Orlando
284 Vincenzo Pinello

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Riassunto / Abstract
Tema del contributo, che si articola in tre sezioni, è la deissi nel corpus del-
l’Atlante Linguistico della Sicilia (ALS ). nella prima sezione, dopo un breve reso-
conto sui precedenti studi ALS sulla deissi, viene descritta la rete dei centri d’inchie-
sta (“rete pilota”) e vengono illustrate domande-input del questionario e composi-
zione del corpus dati. La seconda sezione è dedicata all’illustrazione degli strumenti
teorici mutuati dalla linguistica cognitiva e, in particolare, dalla semantica della
concettualizzazione, per definire sia il quadro teorico della deissi nei discorsi meta-
linguistici, sia l’apparato metodologico utile all’analisi e all’interpretazione. I dati
costituiscono il focus della terza sezione, in cui vengono illustrate le modalità e le ti-
pologie deittiche rilevate nel corpus. Questa parte si apre con l’esplicitazione degli
strumenti teorici ALS utilizzati per l’analisi e l’interpretazione e sulle ragioni del-
l’importanza della deissi in seno al corpus. Vengono illustrate e discusse le variabili
complesse collegate funzionalmente con le tipologie deittiche individuate.

The theme of this paper, which is divided into three sections, is deixis in the
corpus of the Atlante Linguistico della Sicilia (ALS ). In the first section, after a brief
account of previous ALS studies on deixis, the network of survey centres (“pilot
network”) is described, questionnaire input questions and the composition of the
data corpus are illustrated. The second section is devoted to the illustration of the
theoretical tools borrowed from cognitive linguistics and, in particular, from the se-
mantics of conceptualization in order to define both the theoretical framework of
deixis in metalinguistic discourse and the methodological apparatus useful for
analysis and interpretation. The data constitute the focus of the third section, in
which the deictic modes and typologies detected in the corpus are illustrated. This
section opens with an explanation of the ALS theoretical tools used for analysis and
interpretation and the reasons for the importance of deixis within the corpus. The
complex variables functionally related to the detected deictic types are illustrated
and discussed.
«MA IL PROFESSORE GIACEVA SOTTO GRAVE MORA
DI ROSTICCI».
SU PURG. 3, SCIASCIA E DInTORnI

La bibliografia su Purg. 3 (il canto di Manfredi di Sicilia), come su ogni


aspetto della Commedia dantesca, è – lo sappiamo – sterminata: e tuttavia
vorrei provare a proporre qualcosa di non risaputo, muovendomi intorno a
una questione generale (e metodologica) che, in quanto formatore e forma-
tore di formatori, mi sta particolarmente a cuore: come proporre oggi ai gio-
vani nella Scuola e nell’Università la poesia della Commedia e, più in genera-
le, la lettura di testi letterari (e dunque complessi) del passato? A mio avviso,
una delle possibili strade – se non la strada maestra – per rispondere a questo
interrogativo è quella della dialettica attualizzazione/storicizzazione: o, se si
preferisce – come oggi usa dire prendendo in prestito tale nomenclatura
dall’antropologia –, tra emic (‘emico’, ciò che si riferisce al punto di vista de-
gli attori sociali, alle loro credenze e ai loro valori: l’ottica del nativo) ed etic
(‘etico’, ciò che si riferisce alla rappresentazione dei medesimi fenomeni ad
opera dell’osservatore).
Mi occuperò dunque di un episodio particolare della ricezione contem-
poranea del Manfredi di Sicilia dantesco: un’allusione intertestuale nascosta
nel romanzo di Leonardo Sciascia, A ciascuno il suo 1. La trama ruota intorno
all’uccisione del dottor Roscio e del farmacista Manno, di fronte alla quale
solo il professor Laurana (un insegnante di lettere di liceo) si è avvicinato al-
la verità, intravedendo le collusioni politico-mafiose attraverso le quali si eser-
cita il potere. nel corso della sua personale inchiesta, condotta con gli stru-
menti dell’intellettuale puro, Laurana si reca a Palermo per far visita al padre
di uno dei due uccisi. Ecco come Sciascia descrive l’incontro (cap. viii 2):

1 Sciascia (1966). L’anno successivo il regista Elio Petri firmò una splendida versione cine-

matografica del romanzo.


2 Qui e in seguito cito da Sciascia (2012).
290 Giuseppe Noto

Il vecchio professore Roscio, la cui fama di oculista ancora durava nella Sicilia
occidentale e anzi già volgeva nel mito, da circa vent’anni aveva lasciato la catte-
dra e la professione. Più che novantenne, per ironia della sorte o perché meglio
si inverasse nel mito di uomo che aveva sfidato la natura ridando ai ciechi la vista
e dalla natura nella vista era stato colpito, era afflitto da una quasi totale cecità: e
stava a Palermo, in casa di un figlio che, come oculista, probabilmente era altret-
tanto valente, ma viveva sulla rendita del nome paterno nel pregiudizio dei più.
Laurana annunciò per telefono la sua visita: per il giorno e l’ora che più facesse
comodo al professore. Il professore, cui la cameriera era andata a riferire, venne
al telefono: rispose che venisse subito. non che, dai contrassegni che gli diede
Laurana, fosse riuscito a ricordarsi di quel vecchio compagno del figlio: ma era
avidissimo di compagnia, nella oscura solitudine in cui ormai viveva.
Erano le cinque del pomeriggio. Il professore stava in terrazza, seduto in poltro-
na, un giradischi a lato da cui veniva ora stentorea ora tremula e sospirata la vo-
ce di un attore famoso che declamava il trentesimo dell’Inferno.
«Vede come sono ridotto?» disse il professore porgendogli la mano. «A sentire da
costui la Divina Commedia» quasi che l’attore fosse presente e che il professore
avesse altre e più personali ragioni di disprezzarlo. «Preferirei me la leggesse mio
nipote, che ha dodici anni, o la cameriera, o il portiere: ma hanno altro da fare.»
Oltre il parapetto della terrazza, sotto i veli di scirocco Palermo splendeva. «Bel-
la vista» disse il professore; e con sicurezza indicò: «San Giovanni degli Eremiti,
palazzo d’Orleans, palazzo reale». Sorrise. «Quando siamo venuti ad abitare in
questa casa, dieci anni fa, vedevo un po’ di più. Ora vedo soltanto la luce, ma
come una lontana fiamma bianca. Per fortuna a Palermo ce n’è tanta, di luce…
Ma lasciamo stare le nostre personali sventure… Lei, dunque, è stato compa-
gno del povero figlio mio.»
«Al ginnasio, al liceo: poi lui è entrato in medicina, io in lettere.»
«In lettere. E fa il professore, no?»
«Sì, di latino e storia.»
«Ma sa che io rimpiango di non aver fatto il professore di lettere? A quest’ora,
almeno, saprei a memoria la Divina Commedia.»
‘È una fissazione’, pensò Laurana. «Ma lei, nella vita ha fatto ben altro che leg-
gere e spiegare la Divina Commedia» disse.
«Crede che quello che ho fatto io abbia più senso di quello che fa lei?»
«no. Voglio dire che quello che faccio io possono farlo migliaia di altre perso-
ne; mentre quello che ha fatto lei possono farlo pochissime, dieci o venti perso-
ne nel mondo.»
«Storie» disse il vecchio: e sembrò assopirsi. Poi improvvisamente domandò «E
mio figlio, in questi ultimi tempi, com’era?»

È probabile che Sciascia scelga Inf. 30 come oggetto di attenzione del


«vecchio professore Roscio» (un oculista) per via dei dettagli medici ivi con-
tenuti:
Sin dall’inizio, per rendere la varietà delle malattie che puniscono i falsari e il lo-
ro sterminato numero, il poeta si rifà da una parte alla comune vicina esperien-
«Ma il professore giaceva sotto grave mora di rosticci» 291

za (agli ospedali della Valdichiana, alle malattie di Maremma e di Sardegna), e


dall’altra rievoca una pestilenza lontana e favolosa, quella dell’isola di Egina 3.

Ed è altrettanto probabile che si tratti di una sorta di messaggio per il


lettore da parte dell’autore, giacché la decima bolgia – quella che si colloca
tra la seconda metà di Inf. 29 e tutto Inf. 30 – ospita i falsari: e A ciascuno il
suo è (anche) un romanzo sulle falsità e sulle falsificazioni messe in atto dal
potere costituito per autoconservarsi.
non si dimentichi che il romanzo insiste sul fatto che al sistema cui in-
genuamente Laurana si oppone non sono estranei, e anzi ne sono organici,
uomini di Chiesa: e non sarà casuale il fatto che il titolo stesso allude (essen-
done la traduzione letterale) a uno dei due motti che aprono L’Osservatore
romano, quotidiano in lingua italiana pubblicato nella Città del Vaticano:
«Unicuique suum» (l’altro motto è «non praevalebunt»): è infatti con ritagli
provenienti da una copia di questo giornale che viene composta la lettera
anonima che tanta importanza ha nella trama del romanzo. Si veda in parti-
colare quel che si racconta nel cap. iv:
Laurana aveva aperto il giornale, si era incantato sulla testata. Eccolo qui
l’UnICUIQUE, tale e quale quello che era affiorato dal rovescio della lettera.
UnICUIQUE SUUM, a ciascuno il suo. Bei caratteri di stampa, la coda della
q elegantemente falcata. Poi le chiavi incrociate e il triregno e, con gli stessi ca-
ratteri, nOn PRAEVALEBUnT. A ciascuno il suo: e anche al farmacista
Manno e al dottor Roscio. Quale parola c’era dietro l’UnICUIQUE che la
stessa mano che aveva spento poi due vite aveva ritagliato e incollato sul foglio?
La parola condanna? La parola morte? Peccato non poter più dare un’occhiata
alla lettera, ormai chiusa nel segreto fascicolo giudiziario.

In questa sede mi preme tuttavia attirare l’attenzione soprattutto sul fat-


to che Sciascia, citando esplicitamente Dante nel cap. viii, fornisce al lettore
un indizio fondamentale per comprendere il finale del romanzo. Difatti
Laurana, invaghitosi della bella vedova Roscio, complice degli assassini, cade
in trappola: sequestrato, viene eliminato (lupara bianca, si potrebbe dire, con
linguaggio giornalistico) e il suo corpo scaricato in una «zolfara abbandona-
ta». La scomparsa viene collegata subito a una «relazione fortuita o di dura-
ta» con una donna, ma le cose stanno diversamente, come ci informa la
chiusa del cap. xvii (e il penultimo) del romanzo:
Il commissario si alzò. «Mi fuma la testa» disse. […] Va’ a cercarle, tutte le don-
ne che potevano avere col professore una relazione fortuita o di durata! Per co-
minciare, tutte le alunne: ragazze tra i quindici e i diciotto anni oggi capaci di

3 Bosco / Reggio (1993), Inferno, p. 424; si veda in particolare Bartoli / Ureni (2002); e

cfr. comunque infra.


292 Giuseppe Noto

tutto. Poi le colleghe. Poi le madri degli alunni e delle alunne, almeno quelle
meglio conservate e piacenti. E poi le donne facili, quelle baldracche che come
in antico si possono dire honeste e quelle invece da poco, a tariffa. Un lavoro che
non sarebbe finito più. A meno che, si capisce, il professore non venisse fuori
tra oggi e domani, come un gatto che è andato a passare qualche notte sui tetti.
Ma il professore giaceva sotto grave mora di rosticci [corsivo mio], in una zolfara
abbandonata, a metà strada, in linea d’aria, tra il suo paese e il capoluogo.

Il professore, intellettualmente curioso e razionalmente indagatore, fini-


sce dunque per essere ucciso. Ma che significa «sotto grave mora di rosticci»?
E perché Sciascia si serve di una perifrasi di non proprio semplice decifrazio-
ne per indicare la fine di qualcuno che ha tentato, con strumenti ingenui, di
opporsi agli intrecci di potere che gravano sulla Sicilia?
Se il lemma rosticcio non pone soverchi problemi, corrispondendo (come
ci informa il GDLI ) a «residuo della fusione di minerali o delle ceneri di
combustibili solidi; scoria della combustione»4, il lemma mora, invece, meri-
ta qualche parola in più. Infatti l’intero sintagma grave mora è citazione dal
v. 129 di Purg. 3, dal momento che il Manfredi dantesco, allorquando vuole
ricordare come il cardinale Bartolomeo Pignatelli – «pastor [ovvero arcive-
scovo] di Cosenza» (v. 124), tra il 1254 e il 1266 –, infierendo sui suoi resti
umani, li avesse fatti disseppellire e spargere al vento, esclama (vv. 124-129)5:
Se ’l pastor di Cosenza, che a la caccia
di me fu messo per Clemente allora,
avesse in Dio ben letta questa faccia,
l’ossa del corpo mio sarieno ancora
in co del ponte presso a Benevento,
sotto la guardia de la grave mora.

Lo stesso GDLI, s.v. mora, aiuta a istituire questo nesso tra il romanzo di
Sciascia e l’episodio di Manfredi nel Purgatorio, anche se curiosamente il ri-
ferimento intertestuale di cui stiamo discutendo trova un esplicito riconosci-
mento da parte della critica, a quanto mi consta, solo in un articolo di Ga-
spare Giudice del 1991 (si veda infra, nota 20): difatti, il GDLI, dopo aver
chiarito che il termine va inteso nel significato di «mucchio, ammasso, cu-
mulo di sassi o di altri oggetti o materiali; muro di pietre, sbarramento o ar-
gine fatto con sassi», indica come prime tre attestazioni col significato di
«mucchio, ammasso, cumulo di sassi o di altri oggetti o materiali» proprio
Dante, Purg. 3-129, […] G.[iovanni] Villani, 7-9: [Manfredi] appiè del ponte
di Benivento fu soppellito e sopra la sua fossa per ciascuno dell’oste gittata una
pietra, onde si fece grande mora di sassi. M.[atteo] Villani, 3-57: Tante gliene

4 GDLI, s.v. (ove si cita, tra l’altro, anche il luogo sciasciano di cui si stiamo discutendo).
5 Qui e poi dopo cito da Petrocchi (19942).
«Ma il professore giaceva sotto grave mora di rosticci» 293

gittarono addosso [delle pietre]…, che bene due braccia s’alzò la mora delle pie-
tre sopra il corpo morto del loro senatore6
(con Dante e Giovanni Villani chiaramente collegati tra loro: ma in quale
rapporto di dipendenza?); e fornisce come ultimo esempio, sempre per il
medesimo significato, proprio «Sciascia […]: Il professore giaceva sotto gra-
ve mora di rosticci, in una zolfara abbandonata».
I commentatori danteschi spesso hanno ritenuto il termine mora inven-
zione dantesca7, ma – come ha dimostrato Michele Barbi in un articolo del
1921 – esso è attestato in una carta dell’Archivio di Stato fiorentino del
1255 («mora lapidum», ‘cumulo di sassi’)8; e precedentemente, in una nota
del 1894 ospitata dal Bullettino della Società dantesca italiana, lo stesso Barbi
aveva ricostruito una breve storia del lemma in volgare col significato di
‘monte’, ‘mucchio’, ‘cumulo’ (e simili) di sassi, anche in riferimento ad am-
massi che ricoprono cadaveri e in uso ancora ai suoi tempi nel contado to-
scano9. nella nota appena citata, peraltro, Barbi afferma:
in Toscana vi sono parecchi luoghi che si chiamano mora (o macìa) dell’uomo o
della donna morta: e così è detto quel cumulo che è dirimpetto al castello di Ro-
mena, dov’è fama sorgesse il rogo di mastro Adamo, e sul quale chi passa, ed
anche noi quando ci passammo, suol gittare una pietra, o per istinto di pietà o
perché lo spirito del defunto vi resti sotto come aggravato e ben impedito dal
sorgerne su a tormento dei viventi10.

È ovviamente impossibile provare che Sciascia avesse letto questa nota di


Barbi; e però colpisce il fatto che in A ciascuno il suo, il romanzo che denun-
cia le falsificazioni e le falsità del potere e l’impossibilità per l’uomo di op-
porsi a tale potere, l’autore siciliano collega strettamente tra di loro proprio
Inf. 30, il canto in cui Dante introduce a simbolo dei falsari «maestro Ada-

16 Matteo Villani si riferisce a «Come i Romani uccisono colle pietre Bertoldo degli Orsini,

il loro Senatore». La prima ed. del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612), s.v. mora
propone la definizione «Monte di sassi. Lat. acervus, congeries»; e riporta i tre esempi già visti nel
GDLI, ma nell’ordine: Giovanni Villani, Matteo Villani, Dante.
17 Cfr. Bosco / Reggio (1993), Purgatorio, nota al v. 129. Si veda inoltre infra, nota 9.
18 Barbi (1921: 134-135).
19 Barbi (1896-1897). Si corregga il refuso «V [1897-98]», che si trascina dall’Enciclopedia

dantesca, s.v. mora, ai principali commenti, scolastici e non. Si vedano al riguardo anche il
TLIO, s.v. móra (2), con prima attestazione del lemma col significato di «mucchio di sassi» nel
1295 (Documenti per le fonti di Siena e i loro aquedotti dal 1294 al 1375); e il DEI, s. v. móra e s.
v. mórra, che ricostruisce un lat. «*murra, presunto relitto del sostrato mediterraneo» e che ri-
manda anche al «sic. murra roccia». A questo proposito sarà da ricordare che il lemma è oggi as-
sai usato nell’area centrale siciliana con il significato sia di “accumulo” sia di “roccia scoscesa”: si
potrebbe anche ipotizzare che in Sciascia, che visse a lungo a Caltanissetta, la suggestione dante-
sca possa aver consuonato con la murra di l’ànciuli, il nome con cui i nisseni chiamano il Castel-
lo di Pietrarossa (nella cui cappella, peraltro, venne seppellita Adelasia, nipote del re Ruggero).
10 Barbi (1896-1897), p. 133.
294 Giuseppe Noto

mo» (v. 61, unitamente alla descrizione della sua idropisia, ovvero la malattia
che fa gonfiare enormemente il ventre, a causa dell’«omor che mal converte»,
v. 53; e cfr. i vv. 73-75: «Ivi è Romena, là dov’io falsai / la lega suggellata del
Batista; / per ch’io il corpo sù arso lasciai»), e Purg. 3, il canto in cui Man-
fredi deve cedere di fronte all’alleanza di potere tra la politica e il clero.
Tornando al finale di A ciascuno il suo, a mio parere è proprio la citazio-
ne dantesca con la quale l’autore di Racalmuto svela al lettore la morte del
professor Laurana ad autorizzarci a sostenere che non solo (come vorrebbe
Ricciarda Ricorda in un bel saggio del 1977 dedicato alla «retorica della cita-
zione» in Sciascia11) le «vicende del Giorno della civetta, del Consiglio d’Egit-
to, della Recitazione», ma anche quelle del romanzo di cui stiamo discutendo
sono «altrettante manifestazioni di sconfitta della ragione»12; e che anche A
ciascuno il suo – come quegli altri scritti sciasciani – va riletto «in funzione di
un processo di progressivo e costante ridimensionamento della fiducia delle
forze razionali», anticipazione di Il contesto (1971) e soprattutto di Todo mo-
do (1974), opere nelle quali
avviene definitivamente quella sorta di apologetica indiretta per cui la sconfitta
della ragione, da dato storico, carattere peculiare della Sicilia, diviene fatto uni-
versale: la realtà tutta sfugge al controllo razionale, si rivela dominata da forze
che l’uomo non può padroneggiare e la cui esistenza ripropone, pascalianamen-
te, il problema di Dio13.

Intendo dire che a mio avviso già il rimando alla morte del Manfredi
dantesco in A ciascuno il suo ha la medesima funzione che la «retorica della
citazione» avrà poi, secondo Ricorda, coi romanzi sciasciani degli inizi degli
anni Settanta, ove a suo parere Sciascia, attraverso, appunto, l’intertestualità,
crea «nella narrazione, un secondo piano che corre parallelo a quello del-
l’azione e che, costituendone una sorta di controcanto, la proietta in uno
spazio più ampio, in un tempo più duraturo», dando vita in questo modo a
un meccanismo che «rimanda a problemi assai complessi e nodali all’interno
della produzione dello scrittore»14. Più in particolare,

11 Ricorda (1977).
12 Ivi, p. 85.
13 Ivi, p. 86.
14 Ivi, p. 59. Secondo la studiosa, nelle opere che Sciascia scrisse prima del 1971 le citazioni

sono sì presenti, ma «entro limiti assai modesti» (p. 63), e il dato quantitativo «trova conferma
nel relativo peso che esse assumono all’interno delle strutture narrative» (ibidem); in ogni caso a
suo parere la citazione non riveste ancora la funzione che avrà in Il contesto e in Todo modo, ov-
vero di essere «portatrice di un surplus di senso, in quanto non solo designa un pensiero, lo co-
munica, cioè lo denota», ma vi aggiunge anche «una dimensione connotativa» (p. 74). Impor-
tante per comprendere come le citazioni costituiscano una sorta di architrave della narrativa
sciasciana («Scascia si regge tutto sulle pagine degli altri scrittori», p. 329) un breve ma intenso
«Ma il professore giaceva sotto grave mora di rosticci» 295

una situazione cronologicamente databile (anni Settanta), dai contorni geogra-


fici ben definiti (l’Italia) è, allora, di continuo riportata ad una dimensione esi-
stenziale, per cui quella sconfitta della ragione che Sciascia aveva visto caratte-
rizzare la storia della Sicilia o, forse, dell’Italia tutta, finisce per coincidere con il
riconoscimento della limitatezza dell’uomo, fino a confondersi, in ultima anali-
si, con il problema della morte e dell’eternità15.

Con la sua scelta intertestuale (narrativa e soprattutto lessicale), Sciascia


dimostra di avere colto un aspetto essenziale di Purg. 3, dal momento che
l’architettura complessiva del canto ruota intorno alla «riflessione sulle pro-
fondità del mistero divino inaccessibile alla ragione umana»16. E si tenga
conto che una delle questioni fondamentali qui trattate da Dante è quella
della sepoltura come indice dei possibili esiti del destino «di fronte alla giu-
stizia umana e divina»17: difatti, le indicazioni che Virgilio fornisce ai vv. 25-
27 sul luogo della propria sepoltura («Vespero è già colà dov’è sepolto / lo
corpo dentro al quale io facea ombra; / napoli l’ha, e da Brandizio è tolto»)
sono interamente funzionali a un discorso poetico e narrativo: questa informa-
zione, infatti, oltre a introdurre il dramma personale di Virgilio (che troverà
spazio proprio nelle terzine immediatamente successive), crea […] una precisa
simmetria con la sepoltura del re Manfredi18.

Le spoglie mortali di Virgilio e Manfredi, come suggerisce Fiorilla,


furono trasportate in luogo diverso da quello della morte, per ragioni differenti
s’intende: quelle di Virgilio, per volontà di Augusto furono portate da Brindisi
a napoli (perché potessero essere onorate degnamente); quelle di Manfredi da
Benevento furono gettate in una imprecisata zona lungo il fiume Verde (a per-
petua damnatio memoriae). I loro corpi finirono incredibilmente con il giacere a
pochi chilometri di distanza. E cosí alla fine il lettore non può non vedere i due
personaggi vicini, rispecchiarsi l’uno nell’altro nel diverso esito del loro destino
di fronte alla giustizia umana e divina19.

intervento di Giudice (1991), che però – curiosamente – sembra non tenere conto in alcun mo-
do dello studio di Ricorda.
15 Ricorda (1977), p. 60.
16 Fiorilla (2014), p. 78.
17 Ivi, p. 83.
18 Ivi, p. 70.
19 Ivi, p. 83. «Certo è che D.[ante] dice che il vescovo di Cosenza (Bartolomeo Pignatelli)

volle disseppellire quel corpo e trasferirlo di fuor dal regno […]; volle infierire, con quell’estre-
mo bando, contro chi aveva osato contendere il regno di Sicilia, sul quale la Chiesa esercitava la
sua alta sovranità: dissepolto, dunque, non perché sepolto in terra consacrata, o comunque sacra
in quanto terra della Chiesa (Benevento città pontificia e il regno di Sicilia avvassallato a s. Pie-
tro), ma cacciato fuori del regno che aveva preteso suo. Trasmutate, quelle ossa, a lume spento,
come si doveva nel trasporto dei corpi di eretici e di scomunicati. L’odio politico contro l’avver-
sario si era così concluso e confuso con la censura della Chiesa, nel lugubre corteo “sine cruce,
sine luce”» (Frugoni 1970-1978: 802).
296 Giuseppe Noto

Ecco: a me pare che Sciascia ci suggerisca di collocare vicino a Virgilio e


Manfredi – certo con un posticino minimo, ma insieme a loro – anche il po-
vero professor Laurana 20.
Università di Torino Giuseppe noto
giuseppe.noto@unito.it

BIBLIOGRAFIA

Barbi, Michele, 1896-1897. Recensione a «Lodovico Zdekauer, La “grave mora”


(Purg. III, 129), Bullettino senese di storia patria, a. III, 1897, fasc. 4», in Bullet-
tino della Società dantesca italiana, 4, pp. 132-133.
—, 1921. «‘Sotto la guardia de la grave mora’ (Purg., III, 129)», in Studi danteschi,
4, pp. 134-135.
Bartoli, Vittorio / Paola Ureni, 2002. «La malattia di Maestro Adamo», in Studi
danteschi, 67, pp. 99-116.
Bosco, Umberto / Giovanni Reggio, 1993. Dante Alighieri, La Divina Commedia.
Con pagine critiche, a cura di U. B. / G. R., Firenze, Le Monnier [19881].
DEI = Carlo Battisti / Giovanni Alessio, Dizionario etimologico italiano, 5 voll., Fi-
renze, Barbèra, 1950-1957.
Enciclopedia Dantesca = Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto della Enciclopedia
italiana, 6 voll., 1970-1978.
Fiorilla, Maurizio, 2014. «“State contenti umana gente al quia”: Virgilio e Manfredi
tra mondo degli uomini e vita ultraterrena», in Cento canti per cento anni. II.
Purgatorio. 1. Canti I-XVII, a cura di Enrico Malato e Andrea Mazzucchi, Ro-
ma, Salerno Editrice, pp. 65-87.
Frugoni, Arsenio, 1970-1978. «Manfredi», in Enciclopedia Dantesca, vol. iii, pp.
802-804 (poi in Id., Scritti su Manfredi, Roma, Istituto italiano storico per il
Medioevo, 2006, pp. 109-112).
Giudice, Gaspare, 1991. «Le citazioni di Leonardo Sciascia», in Belfagor, 46, pp.
329-332.
GDLI = Salvatore Battaglia / Giorgio Bàrberi Squarotti (a cura di), Grande Dizio-
nario della Lingua Italiana, 21 voll., Torino, UTET, 1961-2002 (supplemento:
2004).

20 Divergo qui dall’interpretazione fornita da Giudice (1991), a parere del quale in questo

caso Sciascia si limiterebbe a una sorta di involontaria (inconscia?) compartecipazione all’«ironia


del coro paesano» nei confronti di Laurana, per il suo ingenuo «contrapporsi alla mafia» (p.
332): «È significativo che l’ironia corale di quei paesani, e compaesani di Sciascia, trovi una cor-
rispondenza nello scrittore. Egli infatti, senza proporsi di fare questo, ha costruito un tale ruolo
ridicolo del protagonista e, senza desiderarlo, finisce col ritrovarsi nel coro. Ce ne accorgiamo
anche attraverso l’individuazione, nel testo, di una citazione che diventa una spia stilistica. […]
La “grave mora” che è citazione dantesca, è un lapsus, non appartiene al coro che non legge i
classici, è un connivente, diretto ed equivoco commento dell’autore. Malgré lui» (ibidem).
«Ma il professore giaceva sotto grave mora di rosticci» 297

Petrocchi, Giorgio, 1994. Dante Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, a


cura di G. P., 4 voll., Firenze, Le Lettere (1967-19681).
Ricorda, Ricciarda, 1977. «Sciascia ovvero la retorica della citazione», in Studi nove-
centeschi, 6, pp. 59-93.
Sciascia, Leonardo, 1966. A ciascuno il suo, Torino, Einaudi.
—, 2012. A ciascuno il suo, Milano, Adelphi, 2012 [in Opere. Volume I. Narrativa,
Teatro, Poesia, a cura di Paolo Squillacioti].
TLIO = Tesoro della lingua italiana delle origini, fondato da Pietro G. Beltrami e
continuato da Lino Leonardi. Direttore, Paolo Squillacioti, Firenze, Istituto
Opera del Vocabolario Italiano-Consiglio nazionale delle Ricerche, <http://
tlioweb.ovi.cnr.it>.
Vocabolario degli Accademici della Crusca, 1612 = Vocabolario degli Accademici della
Crusca, con tre indici delle voci, locuzioni, e proverbi Latini, e Greci, posti per
entro l’Opera. Con privilegio del Sommo Pontefice, del Re Cattolico, della Se-
renissima Repubblica di Venezia, e degli altri Principi, e Potentati d’Italia, e
fuor d’Italia, della Maestà Cesarea, del Re Cristianissimo, e del Sereniss. Arci-
duca Alberto, in Venezia, Appresso Giovanni Alberti, 1612 (consultato nella
«Biblioteca virtuale» all’URL <http://www.accademiadellacrusca.it>).

Riassunto / Abstract
L’intervento si interroga su come proporre oggi ai giovani nella Scuola e nel-
l’Università la poesia della Commedia e, più in generale, la lettura di testi letterari (e
dunque complessi) del passato; e indica come strada maestra la dialettica attualizza-
zione/storicizzazione. In questa prospettiva, si presenta l’analisi di un episodio parti-
colare della ricezione contemporanea del Manfredi di Sicilia dantesco Attraverso
l’analisi della presenza intertestuale di Dante in A ciascuno il suo (in particolare, ma
non solo, per quanto riguarda l’espressione “sotto grave mora”), si propone una
nuova interpretazione complessiva del romanzo e del suo finale.

The paper examines how to introduce the poetry of the Commedia and, more
generally, the reading of literary (and therefore complex) texts from the past to
young people in schools and universities nowadays, and points to the dialectic of
actualisation/historicalisation as the main road to follow. In this perspective, the
analysis of a particular episode in the contemporary reception of Dante’s Manfredi
di Sicilia is presented. Through the analysis of Dante’s intertextual presence in A
ciascuno il suo (in particular, but not only, with regard to the expression “sotto
grave mora”), a new overall interpretation of the novel and its ending is proposed.
La diffusione del Bollettino
è curata dal Centro di studi filologici e linguistici siciliani
Sito web: www.csfls.it
Finito di stampare nel mese di novembre 2020 dalla tipolitografia A.&G., Catania.
Impaginazione: , Grafica editoriale di Pietro Marletta, Misterbianco (CT),
E-mail: emmegrafed@tiscali.it - Tel. 095 7141891

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