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studI lInguIstIcI ItalIanI

fondatI da arrIgo castellanI


dIrettI da luca serIannI e luIgI matt

volume xxxIx
(xvIII della III serIe)

fascIcolo I

salerno edItrIce • roma


mmxIII
Direttore responsabile
Luca Serianni

Condirettore
Luigi Matt

Redazione
Daniele Baglioni, Maria Rita Fadda

Comitato scientifico
Giancarlo Breschi (firenze), Paola Manni (firenze),
Aldo Menichetti (firenze), Michael Metzeltin (vienna),
Giuseppe Patota (roma), Max Pfister (saarbrücken),
Edgar Radtke (Heidelberg), Pietro Trifone (roma)

gli articoli e le note proposti per la pubblicazione negli slI


sono sottoposti al parere vincolante di due revisori anonimi

Issn 0394-3569

autorizzazione del tribunale di roma n. 229 del 9.5.1996

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produzione, la traduzione, l’adattamento, anche parziale o per estratti, per qualsiasi
uso e con qualsiasi mezzo effettuati, compresi la copia fotostatica, il microfilm, la
memorizzazione elettronica, ecc., senza la preventiva autorizzazione scritta della
salerno editrice s.r.l. ogni abuso sarà perseguito a norma di legge.
ITALIANO LETTERARIO E LESSICO MERIDIONALE
NEL QUATTROCENTO SALENTINO*

1. Nota introduttiva

Il presente contributo prende in esame le modalità di diffusione dell’ita-


liano letterario nella cultura cortese salentina del Quattrocento, sotto lo spe-
cifico punto di osservazione del lessico.
le dinamiche della ricezione dei testi della grande tradizione letteraria
nell’estremo meridione continentale innescano un’interazione, non scon-
tata né prevedibile a priori, tra un modello linguistico sopralocale, dotato di
maggiore prestigio ma acquisito essenzialmente per via libresca, e tradizioni
regionali ancor vive, benché in stato recessivo. la presenza, in testi letterari
e paraletterari orientati verso l’imitazione della lingua dei grandi autori, di
ben individuabili correnti di lessico a diffusione locale e regionale rappre-
senta un elemento di indubbia vitalità della civiltà municipale, e può indi-
rettamente fornire preziose informazioni sui circuiti culturali coinvolti nel-
la trasmissione delle opere, nonché sul rapporto tra scriventi e pubblico.
In quest’ottica assume un rilievo particolare il caso di un testo salentino co-
me lo Scripto sopra Theseu re (ante 1487). si tratta di un voluminoso commen-
to al Teseida di giovanni Boccaccio,1 pervenuto in tradizione monotestimo-
niale senza indicazioni su autore e ambiente di provenienza, nel ms. Paris,
Bnf, It. 581 appartenuto ad angilberto del Balzo, duca di ugento e conte di
nardò.2 Il commento, praticamente ignorato dagli studi su Boccaccio e tut-
tora inedito,3 assorbe al suo interno e modifica vari testi di provenienza tosca-

* ringrazio i colleghi francesco Bianco, vito luigi castrignanò e angelo variano per
utili osservazioni e contributi puntuali su alcuni degli argomenti trattati in queste pagine.
esprimo inoltre la massima gratitudine a max Pfister e Wolfgang schweickard per avermi
consentito il proficuo accesso agli archivi del LEI presso l’università del saarland, nonché a
rosario coluccia e luca serianni per aver letto e postillato il presente contributo. la respon-
sabilità di omissioni ed errori è unicamente mia.
1. nel presente studio si fa riferimento per i passi del Teseida (d’ora in avanti anche abbre-
viato Tes.) al testo critico fornito da alberto limentani, Teseida delle nozze d’Emilia, in Tutte le
opere di Giovanni Boccaccio, a cura di vittore Branca, 10 voll., milano, mondadori, 1964-1998, vol.
ii pp. 251-664.
2. cfr. rosario coluccia, Migliorini e la storia linguistica del Mezzogiorno (con una postilla sulla
antica poesia italiana in caratteri ebraici e in caratteri greci), slI, xxxv 2009, pp. 161-206 (p. 185 n. 77);
marco maggiore, Lo ‘Scripto sopra Theseu re’: un commento al ‘Teseida’ di provenienza salentina (ii
metà del XV secolo), « medioevo letterario d’Italia », vii 2010, pp. 87-122.
3. l’edizione critica del testo corredata di uno studio sulle fonti, di un profilo linguistico e

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marco maggiore

na (come il volgarizzamento delle Metamorfosi ovidiane di arrigo siminten-


di), ma si serve anche in misura notevole di fonti latine sottoposte a un adat-
tamento in volgare, integrale o parziale. la relativamente cospicua quantità
di meridionalismi osservabili anche in brani dipendenti da originale latino,
oltre a caratterizzare fortemente il testo, offre indicazioni preziose sulle pe-
culiari modalità di diffusione della cultura scritta: voci popolari sono chiama-
te a glossare cultismi discendenti dai testi latini o, infiltrandosi nelle chiose
a brani trascritti dalle fonti volgari, interagiscono coi concorrenti tipi lessicali
di matrice toscana, destinati a imporsi nella lingua nazionale, ora subendone
fortemente la concorrenza, ora invece contrastandola vivacemente.
dall’analisi di alcuni episodi di particolare interesse risulterà evidente co-
me sia lo stesso genere del commento, mediatore per intrinseca vocazione
tra il testo e i suoi utenti, a facilitare il confronto e il conflitto tra elementi di
diversa origine, che si proiettano nella stratificazione del lessico. l’adozione
di una prospettiva incentrata sull’analisi lessicale permetterà inoltre l’allar-
gamento dell’indagine dal singolo episodio significativo all’insieme della do-
cumentazione tre-quattrocentesca del meridione continentale e della sici-
lia, che rivela così la comune pertinenza a circuiti sopralocali di produzione,
irradiazione e ricezione della cultura scritta medievale.

2. Sul lessico dello Scripto sopra Theseu re (ante 1487, Paris, BnF, It.
581)

si può partire da un’annotazione astrologica che sembra ricondurre spe-


cificamente al salento: 4
onde queste Yades sono sei stelle, | le quali la gente comune li ànno posto n(ome)
| li fauchi (24v a 20-22).

Interessa in questa sede la testimonianza sulla denominazione popolare del


gruppo di stelle: li fauchi, cioè ‘le falci’. oltre a essere foneticamente conno-
tato da un esito meridionale come la velarizzazione della laterale preconso-
nantica,5 l’astronimo designa sei stelle denominate Yades, che possono coin-

di un glossario è stata allestita da chi scrive nell’àmbito di una tesi di dottorato in linguistica
storica e storia linguistica Italiana presso l’università degli studi di roma « la sapienza » (xxv
ciclo, tutori rosa anna greco e luca serianni).
4. un primo cenno alla forma in esame è già in marco maggiore, Lo ‘Scripto sopra Theseu re’,
cit., pp. 114-15.
5. cfr. gerhard rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, 3 voll., tori-

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italiano letterario e lessico meridionale nel quattrocento

cidere tanto con le Iadi quanto con le Pleiadi effettivamente nominate nel-
l’ottava del Teseida oggetto del commento.6 le due costellazioni, entrambe

no, einaudi, 1966-1969, § 243. l’opera è citata d’ora in avanti mediante l’abbreviazione rohlfs,
Gramm. stor., seguita dal numero di paragrafo. si offrono di séguito le altre sigle e indicazioni
bibliografiche utilizzate nel presente contributo, oltre a quelle normalmente in uso negli slI:
ADAMaP = Archivio Digitale degli Antichi Manoscritti della Puglia. Censimento e ricostituzione della
Biblioteca, a cura di rosario coluccia e antonio montinaro, lecce, Pensa multimedia, 2012;
ALI = Atlante linguistico italiano, a cura dell’Istituto dell’atlante linguistico italiano, roma, Isti-
tuto Poligrafico e Zecca dello stato-libreria dello stato, 1997; andreoli = raffaele andreo-
li, Vocabolario napoletano-italiano, napoli, Berisio, 1966; ARTESIA = Archivio testuale del siciliano
antico, diretto da mario Pagano e margherita spampinato, www.progettoartesia.it; Bigalke =
rainer Bigalke, Dizionario dialettale della Basilicata: con un breve saggio sulla fonetica, un’introduzione
sulla storia dei dialetti lucani e note etimologiche, Heidelberg, carl Winter universitätsverlag, 1980;
DAM = ernesto giammarco, Dizionario abruzzese e molisano, 4 voll., roma, edizioni dell’ate-
neo, 1968 e sgg.; d’ambra = raffaele d’ambra, Vocabolario napolitano-toscano domestico di arti e
mestieri, Bologna, forni, 1969 [rist. anast. dell’ed. napoli, a spese dell’autore, 1873]; DEDI =
manlio cortelazzo-carla marcato, Dizionario etimologico dei dialetti italiani, torino, Utet, 2005;
DES = max leopold Wagner, Dizionario etimologico sardo, 3 voll., Heidelberg, Winter, 1960-
1964; DETI = teresa cappello-carlo tagliavini, Dizionario degli etnici e dei toponimi italiani, Bo-
logna, Pàtron, 1981; faré = Paolo a. faré, Postille italiane al ‘Romanisches Etymologisches Wörter-
buch’ di W. Meyer-Lübke. Comprendenti le ‘Postille italiane e ladine’ di Carlo Salvioni, milano, Istitu-
to lombardo di scienze e lettere, 1972; FEW = Walther von Wartburg, Französisches etymolo-
gisches Wörterbuch, 25 voll., Bonn-Heidelberg-leipzig-Berlin-Bâle, Klopp-Winter-teubner-
Zbinden, 1922-2002; GAVI = giorgio colussi, Glossario degli antichi volgari italiani, 20 voll., fo-
ligno, editoriale umbra, 1983-2006; GIA = Grammatica dell’italiano antico, a cura di giampaolo
salvi e lorenzo renzi, 2 voll., Bologna, Il mulino, 2010; NDC = gerhard rohlfs, Nuovo dizio-
nario dialettale della Calabria. nuova edizione interamente rielaborata, ampliata e aggiornata,
ravenna, longo, 1977; TGL = Thesaurus graecae linguae ab Henrico Stephano constructus, graz,
akademische druck- und verlagsanstalt, 1954 (fac-simile dell’ed. Paris, firmin-didot, 1865);
TLIO = Tesoro della lingua italiana delle Origini, redatto presso l’Istituto cnr « opera del voca-
bolario Italiano », www.ovi.cnr.it (la dicitura TLIOCorpus indica l’archivio testuale su cui si
basa la redazione del vocabolario, interrogabile in rete dallo stesso sito web); VDS = gerhard
rohlfs, Vocabolario dei dialetti salentini (Terra d’Otranto), 3 voll., galatina, congedo, 1976 (rist.
anast. dell’ed. münchen, verlag der Bayerischen akademie der Wissenschaft, 1956-1959);
VES = alberto vàrvaro, con la collaborazione di rosanna sornicola, Vocabolario etimologico si-
ciliano, vol. i (a-l), Palermo, centro di studi filologici e linguistici siciliani, 1986; VS = Vocabo-
lario siciliano, fondato da giorgio Piccitto, poi diretto da giovanni tropea e salvatore c. tro-
vato, 5 voll., catania-Palermo, centro di studi filologici e linguistici siciliani-opera del voca-
bolario siciliano, 1977-2002.
6. si fornisce il testo completo dell’ottava Tes., iv 1: « Quanto può fare il tempo più guazzo-
so, / cotanto allora il faceva orione, / molto nel cielo allora poderoso / con le Pliade in sua
operazione; / e eol d’altra parte più ventoso / il faceva che mai, in quella stagione / ch’uscì
d’attena il doloroso arcita / senza speranza mai di far reddita ». ma il v. 4 è trascritto colle Yade
in sua operatione 24r a 25-26, e la denominazione Yade o Yades è costantemente mantenuta dal
commento.

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marco maggiore

composte di sette stelle anziché sei,7 si trovano spesso confuse tra loro, e le
designazioni onomastiche delle più celebri Pleiadi passano facilmente al
gruppo delle Iadi, secondo modalità piuttosto comuni nell’astronimia po-
polare (e non popolare).8
una rispondenza alquanto precisa per questo astronimo si registra nei
dialetti salentini, entro i quali si rinvengono forme raccolte dal rohlfs come
li trè ffáuci (oria), li fáuci (latiano, erchie, torre s. susanna), col significato di
‘bastone di giacobbe, cintura d’orione, costellazione boreale che si compo-
ne di tre stelle (‘le falci’, ‘le tre falci’)’ e, con identico valore, la fagge a cursi,
galatina, Parabita (VDS, s.v. fáuce).9 non crea problemi il fatto che la deno-
minazione attestata per il salento si riferisca a un diverso gruppo di astri, in
questo caso le tre stelle che compongono la cintura di orione: lo sposta-
mento onomastico tra le costellazioni di orione e delle Pleiadi, entrambe
composte di sette stelle e « per reciproca posizione assai vicine »,10 non deve
stupire.
l’accostamento di una costellazione a una falce non è esclusivo del salen-
to, trovando paralleli in aree non contigue del dominio romanzo: per i dia-
letti veneti è da segnalare il pad.a. le falze (‘le falci’) che ricorre nel Dialogo
facetissimo del ruzante (pubblicato a venezia nel 1554), dove designa « una

7. Il fatto si può spiegare con la ben nota difficoltà di scorgere a occhio nudo la settima
delle Pleiadi (atlante, unica stella di terza grandezza del gruppo), « donde l’antichissima ed
universale storia della Pleiade perduta » (carlo volpati, Nomi romanzi degli astri Sirio, Orione, le
Pleiadi e le Jadi, « Zeitschrift für romanische Philologie », lii 1932, pp. 152-211, a p. 189).
8. In generale « sono frequenti, nella denominazione degli astri, casi di spostamento per cui
una denominazione è usata in riferimento a diversi corpi celesti. tale fenomeno è in parte […]
segnale di un funzionamento sistemico. lo studio delle occorrenze dei casi di spostamento
permette infatti di individuare coppie minime oppositive, ossia coppie di corpi celesti tra i
quali più frequentemente si realizzano scambi di nome » (Paola capponi, Lessico astronomico
popolare: procedimenti onomastici ricorrenti nelle denominazioni dei corpi celesti in Italia e in Spagna,
« artifara », vii 2007, consulabile nel sito http://www.artifara.unito.it/nuova%20serie/arti-
fara-n--7-/monographica/default.aspx?oid=87&oalias=). nello specifico caso delle Iadi, esse
« hanno in comune con le Pleiadi i caratteri più salienti: il numero, lo spiccare di una stella
maggiore, la forma triangolare dell’insieme, l’appartenenza alla costellazione del toro, che
vuol dire la grande vicinanza e l’eguaglianza dei tempi del sorgere e del tramontare. le Jadi si
potrebbero quindi chiamare un duplicato delle Pleiadi » (volpati, Nomi romanzi degli astri, cit.,
p. 208).
9. l’alternanza tra la denominazione al singolare (rimandante alla forma evocata dagli astri
nel loro insieme) e quella al plurale, sovente accompagnata da un numerale (che prende in
considerazione, cioè, i singoli elementi della costellazione), è un carattere normale dell’astro-
nomia in ogni epoca e cultura (cfr. ivi, p. 165 e passim).
10. Ivi, p. 193.

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italiano letterario e lessico meridionale nel quattrocento

costellazione situata sulla destra del carro di Boòte »,11 mentre fa riferimento
alla cintura di orione il trevig.a. le falcette in un’egloga di messer Paolo da
castello del sec. xvI.12 denominazioni popolari che accostano la cintura di
orione a una falce, proseguendo una tradizione la cui testimonianza più
antica risale al De stellarum cursu ratio di gregorio di tours (vI sec.),13 si incon-
trano anche in varietà moderne della « regione alpina (ladinia, trentino,
veneto) »:14 il classico studio di volpati (vd. n. 7) riporta per l’area italoro-
manza la forma le falsi ad anguillara veneta (prov. di Padova),15 il trent. le
fauç, anche al singolare la falz,16 il lad.anaun. (fondo) fauÙć, il tic.alp.or. (dal-
pe, val leventina) fauÙć; in un contributo del 1983 giovanni frau, attingendo
a dati dell’ALI, aggiunge le attestazioni d’area emiliana « il fals, cologna di
Berra, il fàləe f.pl., motte di mésola, il fels, comacchio, in provincia di ferra-
ra, al félσi, Bellaria, forlì »;17 il tipo è inoltre presente in alcune varietà ladi-
ne18 e nella parlata friulana di collina (comune forni avoltri, prov. udine)
nella variante falčuel>; o>s pl. ‘falcelle’.19 l’assenza di attestazioni di questa acce-
zione astronomica per il tipo ‘falce’ nei vocabolari dialettali e nei testi di altre
aree del mezzogiorno dimostra che la sua distribuzione è oggi ristretta al
salento, nelle forme viste sopra: nella breve notazione su li fauchi, che deve

11. ruzante, Teatro, a cura di ludovico Zorzi, torino, einaudi, 1967, p. 1444.
12. cfr. carlo salvioni, Illustrazioni sistematiche all’Egloga pastorale e sonetti [1902-1905], in Id.,
Scritti linguistici, a cura di michele loporcaro, lorenza Pescia, romano Broggini e Paola vec-
chio, 5 voll., locarno, edizioni dello stato del canton ticino, 2008, vol. iii. Testi antichi e dialet-
tali, pp. 633-720 (p. 688); volpati, Nomi romanzi degli astri, cit., p. 186 n. 1. ne riportiamo i vv.
319-20: « el scomenzava a sborir fòra el dì / che fa che le falcette no se ue; cfr. carlo salvioni,
egloga pastorale e sonetti in dialetto bellunese rustico » (in salvioni, Scritti linguistici, cit., vol. iii
pp. 597-632, a p. 620).
13. cfr. volpati, Nomi romanzi degli astri, cit., p. 172 n. 7. « Haec stellae kal. augustis oriuntur
primum, quas quidem falcem vocant […]. Istae verum stellae falcem secuntur, in hoc discre-
pantes, quod duabus tantum horis post tergum secuntur, ipsam tenentes viam, quam sol vel
in septembre vel in aprile; lucent primo sero, set parum » (S. Georgii Florentii Gregorii Turonensis
episcopi liber ineditus de cursu stellarum ratio qualiter ad officium implendum debeat observari sive de cur-
sibus ecclesiasticis, a cura di friedrich Haase, Bratislava, Ios. max et soc., 1853, p. 22).
14. volpati, Nomi romanzi degli astri, cit., p. 173.
15. da confrontare con l’attestazione ruzantiana richiamata sopra (vd. n. 11).
16. la forma al singolare e quella al plurale risultano attestate in due proverbi trentini, ri-
spettivamente: de gener - la falz mett le donne a poler; da Nadal - le brave filandare - le manda - le fauç
a poussar (volpati, Nomi romanzi degli astri, cit., p. 185 nn. 5-6).
17. giovanni frau, I nomi ladini della costellazione di Orione: contributo allo studio del lessico ro-
manzo, in Scritti linguistici in onore di Giovan Battista Pellegrini, 2 voll., Pisa, Pacini, 1983, vol. i pp.
251-71 (p. 255).
18. cfr. volpati, Nomi romanzi degli astri, cit., p. 185; frau, I nomi ladini, cit., pp. 255, 265 n. 51.
19. frau, I nomi ladini, cit., p. 265.

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marco maggiore

esserne considerata la più antica attestazione, è dunque possibile vedere un


piccolo contributo personale dell’ignoto copista.
un altro probabile tratto lessicale di connessione con la cultura locale si
può forse individuare in un passo dedicato al mito di teseo e arianna in cui
si legge un elenco dei « principali nove vini » ( 5v b 14), assimilati alle nove
pietre preziose del diadema di arianna:

li quali fratelli [= vini], secondo | alcuni, àuno tali nomi, scilicet : greco, guarnacczo,
| Gallioppo, latino, mantonico, morroa, mu|scatello, malvasia, et nono et ultimo
trubia|no, et cetera (5v b 19-23).

le denominazioni vitivinicole qui presenti fanno in gran parte riferimento


a vini diffusi un po’ ovunque in Italia, ma non mancano quelle che rinviano
a vitigni di diffusione e coltivazione precipuamente centro-meridionali.20
merita una particolare attenzione la forma gallioppo, che evoca un confronto
con un importante testo di area contigua, trascritto solo pochi decenni più
tardi del nostro commento al Teseida, il Trattato d’igiene dell’anonimo taran-

20. « Il greco era probabilmente un vitigno importato dai greci nell’Italia meridionale. È
più o meno diffuso in tutta l’Italia meridionale e si spinge verso nord fino alla toscana e nel-
le marche. I vini classici che derivano dallo stesso vitigno sono il greco di somma e il greco
di tufo, tutti e due della zona del vesuvio, vecchio centro della coltivazione nonché vinifica-
zione dell’uva greca » (thomas Hohnerlein-Buchinger, Per un sublessico vitivinicolo: la storia ma-
teriale e linguistica di alcuni nomi di viti e vini italiani, tübingen, niemeyer, 1996, p. 21). Il Mantoni-
co in età moderna è vitigno tipico della sicilia e della calabria (cfr. girolamo molon, Ampelo-
grafia. Descrizione delle migliori varietà di viti per uve da vino, uve da tavola, porta-innesti e produttori
diretti, milano, Hoepli, 1906, pp. 763-65). meno specifica la localizzazione delle denominazio-
ni restanti: il Guarnacczo del nostro testo, così come il guarnaze menzionato dall’anonimo ta-
rantino (vd. oltre), rinvia alla vernaccia, vino di colore bianco, nero o rosso, noto sin da epoca
antica e ampiamente diffuso in varie zone d’Italia (cfr. Hohnerlein-Buchinger, Per un sublessico,
cit., pp. 156-73); da un punto di vista grafo-fonetico l’attestazione dello Scripto si lascia ricon-
durre in particolare al « tipo guarnaccia dell’Italia centro-meridionale », attestato sin dal xIv
secolo (ivi, p. 171). rinvia a un tipo ad ampia diffusione anche Muscatello, facilmente collegabi-
le a moscatello ‘specie di uva, di vitigno e di vino’ (attestato sin dal 1303: cfr. ivi, p. 190). non ha
alcunché di misterioso neppure la Malvasia, ‘vino bianco e liquoroso che veniva dall’isola di
creta; a volte anche vino rosso’ (dal 1353, Boccaccio: GDLI; cfr. Hohnerlein-Buchinger, Per un
sublessico, cit., p. 82). Il Trubiano del nostro testo andrà accostato al trebbiano, ‘specie di vino
bianco, di color paglierino, sapore asciutto, prodotto un po’ dappertutto in Italia’ (dal 1375 ca.,
Boccaccio: cfr. ivi, p. 152). Più generica la denominazione di vino Latino, che si riferisce a un
procedimento di lavorazione dell’uva differente da quello utilizzato per il vino Greco, in anti-
tesi al quale è spesso menzionato (cfr. ivi, pp. 19, 26 e passim). meno perspicua è la dicitura
Morroa, che forse fa riferimento a vini prodotti nelle marche (è oggi nota la varietà Lacrima di
Morro, prodotta a morro d’alba, prov. di ancona: cfr. DETI, s.v. Morro d’Alba).

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italiano letterario e lessico meridionale nel quattrocento

tino.21 anche nel brano del Trattato di igiene si legge una lista di nomi di vini,
ma l’autore si sofferma in particolare su uno di essi:
Pret(er)ea saperay che li vini dulci et grossi | et negri, in om(n)e tempo se devino
evitare, excepto in le prenar-|rat(e) cose; ma più in lo tempo de la pest(e), sincome
sonno malva-|sie, greco, guarnaze, novam(en)t(e) fact(i), tribiano, fayano, man-
gia- // guerra, robola et da nuy tarentini ‘galioppo’ chyamato, lo quale in q(u)esta
cit-|tà più che in part(e) del mundo perfecto se fa et certam(en)te è potu ameno | et
delectab(i)le, presertim de verno, ché veram(en)te scalda le orechie, q(ua)n(do) | re-
gna gran tramontana. ma no(n) se allegrani li tar(enti)nj de la sua | bontà quanto
alla conservatio(n)e de la sanità, che ià hay inteso como | per quella conservato deve
lo vino e(ss)er (189v 25-190r 6).

Il galioppo coincidente col gallioppo del nostro testo, ‘specie di uva nera del-
l’Italia meridionale e il vino che se ne ricava’,22 è citato nel Trattato d’igiene in
quanto vino tipico tarantino. nel preciso riscontro col testo pugliese si può
leggere un significativo collegamento del commento con la cultura enoga-
stronomica meridionale.
Il caso di voci localizzabili con tanta precisione è poco frequente; non so-
no però rari meridionalismi di un certo interesse, relativi ai più svariati cam-
pi semantici. dopo i settori astronomico e vitivinicolo, l’esempio che segue
sposta l’attenzione su quello dell’avifauna:
ella [= scilla] fo piena | di piuma, et culle penne se mutò nellu ucello chi se | chiama
loda, ziò ène guicçarda (65r b 5-7);
[…] el smerillione, zoè el niso, è gran nemico de la loda, zoè de la guizarda;
onde tanto la have in odio, che multe volte lo smerillione prende la morte per fare
vendetta de la dicta guizarda per lo male ch(e) ip(s)a li feche (65v b 14).

la forma guizarda/guicçarda corrisponde all’ornitonimo cucciarda ‘allodola’,


oggi diffuso in abruzzo, molise, lazio meridionale, campania, Puglia e ca-
labria23 e presente anche in una sezione marginale del salento settentriona-

21. cfr. anonimo tarantino, Trattato di igiene e dietetica inedito dell’inizio del ’500, a cura di
salvatore gentile, vol. i. Testo, siponto, centro residenziale di studi pugliesi in siponto, 1979.
Il testo è oggetto della tesi di dottorato di marco mazzeo, Trattato di igiene e dietetica, Anonimo
Tarantino (cod. XII E 7 Biblioteca Nazionale di Napoli), università degli studi di roma « la sapien-
za », 2011, da cui si cita.
22. cfr. Hohnerlein-Buchinger, Per un sublessico, cit., p. 183.
23. cfr. AIS, 497 ‘la lodola’; DEDI, s.v. cucciàrda; d’ambra; andreoli; DAM; NDC; si veda-
no in proposito anche giovanni abete-francesco montuori, Per un repertorio dei nomi dialettali
degli uccelli in testi campani, in Dialetto, memoria e fantasia. atti del convegno di sappada-Plodn,
28 giugno-2 luglio 2006, a cura di carla marcato, Padova, unipress, 2007, pp. 229-36 (p. 231 n.

9
marco maggiore

le sottoposta all’influsso della vicina area apulo-barese: VDS attesta infatti


salent. cucciarda a Brindisi e carovigno, ma l’effettiva designazione popolare
dell’allodola, uniformemente diffusa nella subpenisola, è taragnula (cfr. VDS,
s.v.; AIS, 496, 497). Il tipo lessicale cucciarda, che a detta di giovanni alessio
« l’uscita in -ard […] denunzia come un francesismo »,24 ha un importante
antecedente mediolatino nel cozardus ‘allodola cappelluta’ del De arte venandi
cum avibus di federico II.25 Piena coincidenza semantica e morfologica con
questo meridionalismo presentano le tre occorrenze di guizarda/guicçarda,
differenziate semmai sotto l’aspetto grafo-fonetico. l’esito in affricata den-
tale è già del fridericiano cozardus, e in esso l’alessio non vede più che una
ambiguità della grafia.26 l’ipotesi che le grafie ‹z›/‹cç› rappresentino anche
in questo caso una retroscrizione dietro cui leggere l’esito palatale dei tipi
odierni può trovare conforto nello stato di oscillazione generalizzata della
resa delle affricate nello Scripto come negli altri testi antichi dell’area;27 per le
forme del nostro testo si potrebbe tuttavia anche invocare un incrocio pare-
timologico con guizzare (1262 ca., B. latini, Tesoretto, TLIOCorpus), che var-
rebbe nello stesso tempo a spiegare la risoluzione iniziale gui-, completa-
mente inedita.
non sono altrettanto indicative le altre denominazioni ornitologiche ri-
correnti nel secondo brano. se loda ‘allodola’ (che l’anonimo glossa in due
casi col meridionalismo guizarda/guicçarda) si può considerare non più che
un comune continuatore italoromanzo di lat. alauda (LEI 1, 1451-64) e se
niso ‘falco’ è un cultismo letterario che trae origine proprio dal mito di niso
e scilla oggetto di questi brani del commento al Teseida (cfr. GDLI, s.v. 1niso),
appena più interessante è il caso di smerillione, da fr.a. esmeril, esmerillon o da
prov. esmerilh, esmerilhon (franco *smiril, cfr. FEW, 17, 157; REW, n° 8043);28

8); giovanni abete-adriana cascone, Elicitare i nomi popolari degli uccelli. Una ricerca condotta su
aree marginali della città di Napoli, in Parole. Il lessico come strumento per organizzare e trasmettere gli et-
nosaperi, a cura di nadia Prantera, antonio mendicino, cinzia citraro, rende, centro edi-
toriale e librario dell’università della calabria, 2010, pp. 21-35 (p. 26 n. 13). alle voci dialettali
offerte dalle fonti si può aggiungere il sic. cucciarda, che però passa a indicare un tipo di lucerto-
la a diffusione isolana (Lacerta sicula sicula) e, nella variante cucciarda tignusa, il geco o la taranto-
la (Tarantula mauritanica): cfr. VS.
24. giovanni alessio, Note linguistiche sul ‘De arte venandi cum avibus’ di Federico II. L’origine di
Livercinus = Norm. Livergin, « archivio storico Pugliese », xvi 1963, pp. 84-149 (p. 101 n. 51).
25. cfr. ibid.
26. cfr. ibid.
27. cfr. rosario coluccia, Scripta mane(n)t. Studi sulla grafia dell’italiano, galatina, congedo,
2002, p. 63.
28. cfr. riccardo ambrosini, Stratigrafia lessicale di testi siciliani dei secoli XIV e XV, Palermo,

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italiano letterario e lessico meridionale nel quattrocento

la voce, che può essere considerata panitaliana (cfr. GDLI, s.v. 2smeriglio), è
attestata sin dall’Elementarium di Papia (1041 ca.) nella veste latina smirilium
(« alietus: a graeco alietos, avis qui vulgo smirilium dicitur vel sparaverius »), e
dalle Derivationes di uguccione da Pisa (1150-1210), dove ricorre per la prima
volta in veste volgare: « hic alietus, -ti, lo smerilio »;29 in area meridionale essa
si ritrova nel sic.a. smiriclu del Declarus 30 e inoltre nel trattato di falconeria del
Moamin, nella forma smiriglio.31
a volte è possibile osservare la concorrenza di una voce dialettale e del
corrispettivo in italiano. In un passo incentrato sull’episodio mitico della de-
risione di atena da parte delle altre dee per il suo aspetto nell’atto di suona-
re il flauto, incontriamo una denominazione anatomica di un certo interes-
se:
et sonandonci la | dicta Pallas colla dicta za(m)ponia che essa avea | trovata novella-
mente, per lo forte sonare et | sufflare le ganghe le infiavano soverchiam(en)te (113v
a 6-9).

si tratta dell’antico germanismo meridionale ganga ‘guancia’, ‘mascella’ (per


cui tradizionalmente viene proposto l’etimo got. wango ‘id.’,32 di tramite pro-
venzale a detta di ambrosini,33 ampiamente documentato in testi meridio-
nali antichi.34 nei moderni dialetti dell’estremo mezzogiorno la voce tende

centro di studi filologici e linguistici siciliani, 1977, p. 53; Die Falkenheiltunde des ‘Moamin’ im
Spiegel ihrer volgarizzamenti, a cura di martin-dietrich glessgen, 2 voll., tübingen, niemeyer,
1996, vol. ii p. 493; roberta cella, I gallicismi nei testi dell’italiano antico (dalle origini alla fine del sec.
XIV), firenze, accademia della crusca, 2003, p. 549.
29. cfr. alessandro aresti, The Lexicography of Ancient Italian, in Multi-disciplinary Lexico-
graphy: Traditions and Challenges of the XXI st century. Proceeding acts of the ixth International
school on lexicography, september 8-10, 2011, Ivanovo, Ivanovo state univ., 2011, pp. 37-40
(pp. 37-38).
30. cfr. ambrosini, Stratigrafia lessicale, cit., p. 53.
31. cfr. glessgen, Die Falkenheiltunde, cit., vol. ii pp. 492-93. la forma smeriliunj 36v 2 ricorre
anche nella trascrizione salentina del volgarizzamento del Tresor di Brunetto latini (coperti-
no 1459, ms. Paris, Bnf, It. 440).
32. cfr. REW, n° 9499; Henry Kahane, Designations of the cheek in Italian dialects, « language »,
xvii 1941, pp. 212-22 (p. 213); giuliano Bonfante, Note sui nomi della guancia e della mascella in
Italia, « Biblos », xxvii 1952, pp. 361-96 (pp. 377-79); GDLI, s.v. 4ganga. tale ipotesi, cui si allinea
got. *waggo ‘wange’ proposto da FEW, 17, 450b, non convince però alberto varvaro, che pre-
ferisce « limitarsi a dichiarare ignoto l’etimo della parola » (VES, s.v. gánga).
33. cfr. ambrosini, Stratigrafia lessicale, cit., p. 55.
34. cfr. salent.a. ganga ‘ganascia’ nel Balzino di rogeri de Pacienza di nardò (1498): cfr. ro-
geri de Pacienza di nardò, Opere (cod. per. F 27), a cura di mario marti, lecce, milella, 1977, p.
366; Gangata 101v 13 ‘schiaffo’ nell’inedito Confessionale salentino (ugento-nardò, ante 1487, ms.

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marco maggiore

piuttosto ad assumere il significato di ‘dente molare’:35 così salent. anga, can-


ga, ganga (VDS),36 sic. ganga (VS, VES),37 cal. ganga anche col valore di ‘guan-

Paris, Bnf, It. 595). si ricordano inoltre nap.a. ganghe ‘mandibole’ in mario Pelaez, Un nuovo testo
dei ‘Bagni di Pozzuoli’ in volgare napoletano, « studj romanzi », xix 1928, pp. 49-134 (p. 128), ganga
‘mascella’ in glessgen, Die Falkenheiltunde, cit., p. 944; Giovanni Brancati traduttore di Vegezio. Edi-
zione e spoglio lessicale del ms. Vat. Ross. 531, a cura di marcello aprile, galatina, congedo, 2001, p.
347; Il libro viii del Plinio napoletano di Giovanni Brancati, a cura di marcello Barbato, napoli, li-
guori, 2001, p. 394; per il significato ‘guancia’ cfr. Libro de la destructione de Troya, a cura di nicola
de Blasi, roma, Bonacci, 1986, p. 421 (il testo è richiamato in séguito anche sotto la sigla Destr.
de Troya); per nap.a. ganghe/gange ‘guance’ cfr. loise de rosa, Ricordi, a cura di vittorio formen-
tin, 2 voll., roma, salerno editrice, 1998, vol. ii p. 777. nell’Esopo del Brancati ganga « rende sia
gena sia malis » (marcello aprile-debora de fazio-marco mazzeo, Giovanni Brancati e Francesco
Del Tuppo traduttori di Esopo, in Volgarizzare, tradurre, interpretare nei secc. XIII-XVI. atti del conve-
gno internazionale Studio, archivio e lessico dei volgarizzamenti italiani, salerno, 24-25 novembre
2010, a cura di sergio lubello, strasbourg, eliPhi, 2011, pp. 101-21, a p. 118). si tenga inoltre
conto di sic.a. ganga ‘dente’ in Il ‘Thesaurus pauperum’ in volgare siciliano, a cura di stefano rapisar-
da, Palermo, centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2001, p. 182, ma anche di sic.a. ganga
‘guancia’ e gangata ‘schiaffo’: cfr. ambrosini, Stratigrafia lessicale, cit., p. 61; Meditacioni di la vita di
Christu, a cura di giuliano gasca Queirazza, Palermo, centro di studi filologici e linguistici
siciliani, 2008, p. 322; si ha inoltre cal.a. ganghi ‘guance’ nelle testimonianze studiate da giusep-
pe falcone, Demoiatria e farmacopea, in Atti del xiii Convegno per gli Studi dialettali italiani, catania-
nicosia, 28 settembre-2 ottobre 1981, 2 voll., Pisa, Pacini, 1984, vol. ii. Etnografia e dialettologia. In
memoria di Hugo Plomteux, pp. 113-65 (p. 137). la voce è attestata anche negli statuti di Barletta
del xv secolo: cfr. marcello aprile-francesca danese, La produzione statutaria e notarile in terra
di Bari e terra d’Otranto come fonte dialettologica, in I dialetti meridionali tra arcaismo e interferenza. atti
del convegno internazionale di dialettologia, messina, 4-6 giugno 2008, a cura di alessandro
de angelis, Palermo, centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2008, pp. 237-65 (p. 250). In
particolare, la forma vi sarebbe « usata per indicare la foce del fiume, e rappresenterebbe l’uni-
ca attestazione di questo significato metaforico » (ibid.). tuttavia il contesto di ricorrenza lo
pesce pigliato alla ga(n)ga del fiumo e del pa(n)tano (52v 12) non impedisce di intendere ganga nel si-
gnificato consueto di ‘guancia’, qualora si intenda lo pesce pigliato alla ga(n)ga nel senso di ‘il pesce
pigliato con l’amo’ (che, com’è noto, si conficca nella bocca dell’animale), tenendone distinto
del fiumo che si accosterebbe a del pa(n)tano a formare una coppia di complementi di moto da
luogo introdotti da de: ‘il pesce preso alla guancia [= con l’amo] dal fiume e dal pantano’. Quan-
to allo specifico contesto di ricorrenza, può essere utile richiamare la voce sarda (log. e campid.)
ganga, per lo più pl. ‘le cavità del collo sotto gli orecchi; gorgozzule; branchie dei pesci’ (DES,
1, 569), oltre alla glossa sic.a. « gangui di pixu: branchia » di scobar 46r riportata da VES, s.v. gánga.
l’interpretazione potrebbe rimuovere le difficoltà poste da un sintagma la ga(n)ga del fiumo, che
costringe a ipotizzare un impiego metaforico della voce.
35. cfr. ernst gamillscheg, Sprachgeschichtlicher Kommentar zur Karte ‘guancia’ des AIS (1.113),
in Studia philologica et litteraria in honorem L. Spitzer, a cura di anna granville Hatcher e Karl-
ludwig selig, Bern, francke, 1958, pp. 189-210 (p. 205).
36. coi derivati, ripresi da VDS, angale ‘dente molare’, angalieḍḍu ‘mento’ (cfr. luc. γəŋgalìəḍḍə
‘id.’: Bigalke), sgangatu ‘senza denti’.
37. l’accezione ‘guance’ non è del tutto scomparsa dalle parlate siciliane, stando a VES (s.v.
gánga).

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italiano letterario e lessico meridionale nel quattrocento

cia’ (NDC). nel brano in questione è invece evidente il mantenimento del


senso originario di ‘guancia’, riscontrabile nel nap. ganga (d’ambra).
occorre rilevare che il corrispettivo it. guancia conta a sua volta una ricor-
renza in un altro brano, che si scopre tuttavia dipendente da una delle fonti
toscane usate dall’esegeta, il volgarizzamento trecentesco dalle Metamorfosi
di arrigo simintendi: 38
li nascose le deita nell’occhi, et | cusì li trasse li occhi da le guantie (108r b 22-23),

che è evidentemente una trascrizione, con lievi modifiche, dell’originale:


nascosegli le dita negli occhi, e trassegli li occhi delle guancie (Ovidio volg., xiii).39

l’influsso della fonte toscana spiega perciò la convivenza di un tipo lessicale


indigeno col “concorrente” della lingua letteraria.40 l’episodio è rappresen-
tativo del costante sforzo di approssimazione al modello dell’italiano.
una tipica denominazione popolare della strega o fattucchiera si trova
poi impiegata in riferimento alla maga circe:
onde la ditta circe foi una famosissi(m)a | magiara, et per la scientia de l’arte ma-
gica et | per li operatiuni de l’erbe et altre cause, fingea|no che ip(s)a era dea (57r a
28-31).

Il tipo lessicale conosce ampia e uniforme diffusione nelle aree meridionali


estreme, giungendo fino al gargano e a parte della campania a sud di na-
_ara ‘me-
poli (cfr. AIS, 814 ‘la strega’): salent. masciara ‘strega’ (VDS), sic. mag

38. cfr. marco maggiore, Volgarizzamenti e fonti latine nel commento al ‘Teseida’ di provenienza
salentina (ii metà del XV secolo), in Volgarizzare, tradurre, interpretare, cit., pp. 123-41 (pp. 125-29).
39. sotto la sigla Ovidio volg., in assenza di un’edizione critica più affidabile, si cita qui e oltre
da I primi cinque libri. Cinque altri libri. Gli ultimi cinque libri delle ‘Metamorfosi’ d’Ovidio volgarizzate
da ser Arrigo Simintendi da Prato, a cura di casimiro Basi e cesare guasti, 3 voll., Prato, guasti,
1846-1850.
40. Per un precedente, cfr. la pericope le guange ovvero le ganghe nel volgarizzamento in
prosa del De balneis puteolanis (cfr. Pelaez, Un nuovo testo, cit., p. 129). anche il secondo tipo è
rappresentato, benché in modo secondario, nei dialetti odierni: si consideri salent.centr. (vèr-
nole) wancèḍḍa de l’anca f. ‘polpaccio della gamba’ (‘piccola guancia’): VDS. esso si riconduce
allo stesso remoto etimo germanico, attraverso *wankja o *wangja (cfr. adolf Zauner, Die roma-
nischen Namen der Körperteile. Eine onomasiologische Studie, « romanische forschungen », xiv 1903,
pp. 339-530, a p. 340); Kahane, Designations of the cheek, cit., p. 219; francesco sabatini, Riflessi
linguistici della dominazione longobarda nell’Italia mediana e meridionale, firenze, olschki, 1963, p.
240 n. 1). secondo altri autori, tuttavia, la trafila della voce meridionale sarebbe « indipendente
dalla storia del longobardo wangia, romanizzato in gwankia nell’ambito del ducato di spoleto »
(ambrosini, Stratigrafia lessicale, cit., p. 55).

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marco maggiore

gera’, ‘fattucchiera’ (VS), cal. magara ‘donna immorale’, ‘prostituta’ (NDC),


luc. mašyę;r m./f. ‘lo stregone’/‘la strega’ e mašyā́rə ‘la libellula’ (Bigalke),
abr. maharə (DAM ). Il magiara del nostro testo è grafo-foneticamente affi-
ne alla forma /ma’šara/ dei dialetti salentini (che conoscono nelle varietà
otrantine e meridionali anche una variante in velare sorda: cfr. la makā́ra a
salve, punto 749, in AIS, 814),41 ben distinto dalle forme magara, pl. -e ‘strega’,
‘streghe’ coi maschili magaro ~ magaru, pl. magari ~ magarj ‘mago’, ‘maghi’ di
cui il corpus ARTESIA offre un buon numero di attestazioni in sic.a. (dalla
prima metà del sec. xIv, Iohanni campulu, Libru de lu Dialagu de sanctu Gre-
goriu).
nei testi antichi dell’area non è raro imbattersi in un grafema ‹gi› che,
come nel caso di magiara, si colloca in corrispondenza dell’esito dialettale
moderno [ʃ] (< ge, i, j, dj):42 già mario d’elia intravedeva in forme quali ma-
gnoligiati, calcigiando e carrigiare dei quattrocenteschi Capitoli della Bagliva di
Galatina « il risultato della sovrapposizione di un modello ideale toscaneg-
giante (-eggiare) sul tipo salentino -išare »;43 analogamente marcello aprile, a
proposito dell’ind.pres. petrigiano del Libro dei baroni ribelli 44 può a buon dirit-
to evocare il confronto con salent. pitrišciare ‘lapidare’ (VDS).45
analoga identificazione può istituirsi per la voce rugiare 80r a 10, 100r a 4,
ind.pres. rugi 57v b 20, che ricorre nel testo con le stesse accezioni delle voci
salentine rusciare ~ rùscere ‘brontolare, gorgogliare, grillare (bollendo), bor-
bottare, ruggire’ (< *rugere: cfr. VDS, s.vv.), con un riflesso nell’it.reg.salent.
rusciare ‘ronzare’ delle Lettere da una tarantata.46 a seconda dei contesti la voce
può riferirsi al borbottio del fuoco:

41. la voce è passata anche ai dialetti romaici, come mostra la medesima carta al punto 748
(corigliano d’otranto): i makā́ra; e cfr. inoltre grico macára ‘strega’, macári m. ‘stregone’
(VDS).
42. cfr. Il ‘Libro di Sidrac’ salentino. Edizione, spoglio linguistico e lessico, a cura di Paola sgrilli,
Pisa, Pacini, 1983, pp. 93 sgg.
43. Capitoli della bagliva di Galatina, a cura di mario d’elia, Bologna, commissione per i
testi di lingua, 1968, pp. 55-56.
44. l’edizione di questo prezioso documento, ancora in attesa di uno studio linguistico
integrale, è offerta da santa sidoti olivo, Per il ‘Libro dei baroni ribelli’. Informazioni da Nardò,
« Bollettino storico di terra d’otranto », ii 1992, pp. 137-74.
45. cfr. marcello aprile, Frammenti dell’antico pugliese, « Bollettino dell’atlante lessicale degli
antichi volgari italiani », i 2008, pp. 97-147 (p. 139).
46. manlio cortelazzo, Avviamento critico allo studio della dialettologia italiana, vol. iii. Linea-
menti di italiano popolare, Pisa, Pacini, 1986, p. 25; cfr. tullio de mauro, Per lo studio dell’italiano
popolare unitario, in Lettere da una tarantata, a cura di annabella rossi, Bari, de donato, pp. 43-
75.

14
italiano letterario e lessico meridionale nel quattrocento

como lu sulfo alluma, me|na la vampa sua acutessema ora cqua ora llà con | grande
rugiare, così la dicta lingua de la femi(n)a | non fay altro che grillare (100r a 2-5),

oppure al verso dei colombi:


Poi pone che s(opra) ’l tempio | vide passar(e) volitari et rugiare colombi (80r a
9-10),

o, ancora, al muggito bovino, come nella frase che il padre di Io rivolge alla
figlia divenuta vacca:
et no(n) potendo parlare, rugi alle mei parole (57v b 20).

si noti che quest’ultimo passo sembra rappresentare un adattamento a par-


tire dal luogo simintendiano «e, non potendo altrimenti parlare, rimugghi al-
le mie parole » (Ovidio volg., i). non è l’unico caso in cui un elemento di les-
sico locale si inserisce nel tessuto di un brano trascritto da una fonte tosca-
na. In un passo tratto dal volgarizzamento delle Heroides del ceffi47 in corri-
spondenza del congiuntivo riscaldasse dell’originale si trova il meridionale
scalfasse.48 casi analoghi si osservano in altri luoghi dipendenti dal siminten-
di: laddove l’edizione ottocentesca del volgarizzamento reca la voce verbale
anatrisce ‘nitrisce’, pertinente al tipo nitrire, il commento salentino propone
una lezione annichisse 46v a 45 che risente in modo vistoso del meridionali-
smo annicchiare ‘nitrire’ < hi n ¨ ni t¨ ulare,49 che conta altre due attestazioni.50
nella sequenza relativa al mito di Progne e tereo si legge la similitudine co-
me trae la Cangetica tigre lo lattante vitello d’alcuna cerbia per le oscure selve (Ovidio
volg., vi). nel nostro testo la Cangetica tigre (che rendeva la gangetica tigris ovi-
diana, Met., vi 638-39) lascia il posto a un animale ben più domestico: como
trahe la gencha lo vetello lactante per le oscure selve 32r a 2-4. la forma gencha ‘gio-
venca’, cui si connette la variante ienca 43r b 21 di un brano indipendente da
fonti toscane,51 coincide col « tipo che copre tutta l’Italia centro-meridiona-

47. Il testo si legge in Ovidio. Heroides. Volgarizzamento fiorentino trecentesco di Filippo Ceffi, a
cura di massimo Zaggia, vol. i. Introduzione, testo secondo l’autografo e glossario, firenze, Sismel-
edizioni del galluzzo, 2009.
48. cfr. maggiore, Volgarizzamenti e fonti latine, cit., pp. 129-30.
49. cfr. REW, n° 4138; DEI; aprile, Giovanni Brancati traduttore di Vegezio, cit., p. 247; Barba-
to, in Il libro viii del Plinio napoletano, cit., p. 316.
50. di séguito le occorrenze: « l’aspro cavallo annichisse » 46v a 45 (simintendi: « l’aspro
cavallo anatrisce »); in brani indipendenti da fonti toscane: « del dicto cavallo, de lu annicchare
et tempestare che ipso giva fando » 56r b 60-61; « quello cavallo giva minando la sua testa […]
et anche annichiava » 57r a 13-16.
51. « europa transmutata in ienca per Iunone » 43r b 20-21.

15
marco maggiore

le »,52 documentato sin dal Codex diplomaticus cavensis (genca nel 1028, gencu nel
1042).53 la modifica, probabilmente propiziata dalla concomitanza della vo-
ce vitello nell’originale, determina l’espunzione del sintagma d’alcuna cerbia;
in questo caso, più che un’occasionale svista di copia, sembra di poter intra-
vedere gli effetti di un intervento congetturale dello scrivente a partire da
una lezione d’antigrafo probabilmente oscura.
Potrebbe derivare dal Fiore di virtù attribuito a frate tommaso gozzadini54
un passo sulla moderazione in cui si riscontra la voce nachiro ‘nocchiere’:
onde la moderan|cça è como lo nachiro, lu quale guida et | guarda lu navilio da
om(n)e periculo: così | la moderancça guida li altri virtuti (38v a 29-32).

a livello formale l’aggancio più diretto è con salent. nachiru < lat. tardo nau-
clerius < gr. ναύκληρος ‘padrone di nave’ (cfr. VDS, s.v.) e col pugliese nag-
ghirë 55 che però nei dialetti moderni hanno perso l’accezione originaria, as-
sumendo il significato di ‘capo dei frantoiani’ in virtù del « non infrequente
passaggio dal lessico del mare a quello della terra ».56 Il valore legato al cam-
po semantico della navigazione si conserva invece nel sic. nacheri, naghièri
(VS) e nel cal. nacheri, nagghiere ‘capo della ciurma di una barca’ che ricopre
anche la stessa accezione salentina di ‘capo degli operai del frantoio’ (NDC);

52. aprile-danese, La produzione statutaria e notarile, cit., p. 245; cfr. AIS, 1047; ambrosini,
Stratigrafia lessicale, cit., p. 18; salent. scièncu, scènca (VDS).
53. cfr. vincenzo de Bartholomaeis, Spoglio del ‘Codex diplomaticus cavensis’, « archivio glot-
tologico italiano », xv 1901, pp. 247-74, 327-62 (pp. 259, 345); Barbato, in Il libro viii del Plinio na-
poletano, cit., p. 141.
54. In assenza di un’edizione critica moderna, alla cui realizzazione aveva posto mano
maria corti, si propone un confronto meramente indicativo con la vetusta trascrizione di
agenore gelli (Fiore di virtù. Testo di lingua ridotto a corretta lezione per Agenore Gelli, firenze, le
monnier, 1856 2): « sicché la virtù della moderanza è come il nocchiero che governa la nave, e
la ordina e si la mena; così la moderanza è guida e maestra di tutte le virtù » (p. 99). alle spalle
di questo capitolo del Fiore di virtù (nel testo fornito dal gelli si tratta del cap. xxxvii, Della
moderanza appropriata all’ermellino) sono state individuate come fonti le quaestiones cxliii, cxliv
e cxlv della Summa theologiae di tommaso d’aquino: cfr. maria corti, Le fonti del ‘Fiore di virtù’
e la teoria della « nobiltà » nel Duecento, « giornale storico della letteratura italiana », cxxxvi 1959,
pp. 1-82 (p. 11). sulla controversa attribuzione dell’opera al gozzadini cfr. carlo frati, Ricerche
sul ‘Fiore di virtù’, « studi di filologia romanza », vi 1893, pp. 247-447 (pp. 250 sgg.); gabriella
milan, Tommaso Gozzadini, in Dizionario biografico degli Italiani, vol. lviii, roma, Istituto della
enciclopedia Italiana, 2002, consultabile in rete all’indirizzo www.treccani.it/biografie/.
55. cfr. marcello aprile-rosario coluccia-franco fanciullo-riccardo gualdo, La Puglia,
in I dialetti italiani: storia, struttura, uso, a cura di manlio cortelazzo et alii, torino, Utet, 2002,
pp. 679-756 (p. 699).
56. Ibid.; VDS, s.v. nachiru annota che la voce nagghjirə attestata per martina franca (provin-
cia di taranto, dialettologicamente pugliese) « nel significato di ‘padrone di barca’ […] non
esiste ».

16
italiano letterario e lessico meridionale nel quattrocento

per le fasi antiche, si considerino nap.a. nauchero ‘nocchiero’ in masuccio


(ante 1475, Novellino, v 1)57 e sic.a. nacheri ‘id.’ (1358, Conquesta di Sichilia, ARTE-
SIA).58 l’esempio richiede qualche cautela in più, essendo particolarmente
arduo stabilire l’effettiva natura testuale e linguistica del florilegio utilizzato
come fonte dall’esegeta,59 ma è comunque possibile aggiungerlo alla serie
dei casi in cui una voce a diffusione locale affiora in una sezione di prove-
nienza allotria.
simili rideterminazioni nella trasmissione di testi letterari sono da tenere
in debito conto, data la minore permeabilità del livello lessicale agli effetti
della commutazione linguistica attuata dagli scribi che si può tendenzial-
mente osservare rispetto a quanto accade per la fonetica e la morfologia.60
Importanza anche maggiore riveste la presenza di traducenti diatopicamen-
te connotati in brani dipendenti da un originale latino: in altra occasione61
chi scrive ha avuto modo di evidenziare traduzioni come arceas - che tu stuti
(traduzione “libera”), diescit - allucesce, exul - sperto, garruli - parlecteri, ingredien-
tem - trasire. simili rese offrono preziosi indizi circa la coloritura linguistica
originaria del commento, indipendentemente dalle modifiche imputabili
all’azione del copista salentino.
ulteriori ricognizioni lessicali in brani indipendenti da fonti toscane o
latine possono arricchire significativamente il quadro. due notevoli esem-
pi riconducono al campo semantico dei nomi di recipienti, che rappresenta
« un settore particolarmente esposto all’attualizzazione, volontaria o invo-
lontaria che sia ».62 una denominazione meridionale del ‘recipiente per ac-
qua’ è impiegata in un caso per glossare il cultismo urna:

57. cfr. masuccio salernitano, Il novellino. Con appendice di prosatori napoletani del ’400, a cura
di giorgio Petrocchi, firenze, sansoni, 1957, p. 720.
58. cfr. ambrosini, Stratigrafia lessicale, cit., p. 42 n. 94; Testi d’archivio del Trecento, a cura di
gaetana maria rinaldi, 2 voll., Palermo, centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2005,
vol. i p. 561.
59. non è possibile affrontare qui le complesse problematiche ecdotiche legate al Fiore di
virtù (cfr. n. 54), opera che ha goduto di una diffusione vastissima e multiforme, caratterizzata
da un numero non ancora precisato di varianti redazionali. di recente ne è stato segnalato
perfino un adattamento in latino, trasmesso col titolo di Liber florum virtutum da un codice
della Biblioteca civica « angelo mai » di Bergamo (cfr. laura ramello, « Legitur de barbastelo in
luxuria »: una retroversione latina del ‘Fiore di virtù’, « la parola del testo », ii 2000, pp. 263-94).
60. cfr. rosario coluccia, L’edizione dei documenti e i problemi linguistici della copia (con tre ap-
pendici un po’ stravaganti intorno a Guglielmo Maramauro), « medioevo romanzo », xxiv 2000, pp.
231-55 (p. 233).
61. cfr. maggiore, Volgarizzamenti e fonti latine, cit., pp. 134-36, 139-40.
62. aprile-de fazio-mazzeo, Giovanni Brancati e Francesco Del Tuppo traduttori di Esopo, cit.,
p. 117; cfr. anche aprile, Giovanni Brancati traduttore di Vegezio, cit., p. 67.

17
marco maggiore

a lloru li tolse l’acqua la quale dimora i(n) la | urna, scilicet i lla lanchella (105v a 39-
40).

la forma può essere ricondotta al lat. tardo lancella,63 i cui continuato-


ri romanzi si concentrano esclusivamente nell’Italia meridionale:64 sic., ca-
lab. lančeḍḍa, nap., abruz. lanǧellə, campob. ranǧellə, runǧiellə, tarant. ranǧeḍḍə
(REW, n° 4881),65 cui si aggiunga salent. lancèlla (VDS).66 da segnalare la ri-
correnza del plurale lancelle ‘vasi’ nel salentino Librecto di pestilencia di nicolò
di Ingegne (1448).67
alla stessa area semantica riconduce un’altra voce, forse più strettamente
legata alle varietà salentine:
onde quella sventurata [ecuba], avendo stratiati li | canuti capelli, con uno ursolo
in mano p(er) por|tar(e) acqua, ella trovò Pallidoro gectato nel | lito, con grandi fe-
dite facte da quella di tratia (108r b 7-10).

l’ursolo per portare acqua recato in mano da ecuba richiama infatti molto da
vicino, per caratteristiche fonetiche, « il caratteristico ’rsulu o ursulu, boccale
panciuto per vino o acqua, con manico e becco trilobato »68 (cfr. VDS, s.v.
rsulu).

63. REW, n° 4881, indica come ricostruito l’etimo, che è però attestato in latino come di-
mostra manfred Bambeck, Lateinisch-romanische Wortstudien, Wiesbaden, franz steiner verlag,
1959, p. 31; VES, s.v. lancéḍḍa (ripreso da DEDI, s.v. lancella) suggerisce inoltre un incrocio a
livello semantico con un’altra voce latina, lagoe\na ‘bottiglia’, ‘brocca’.
64. cfr. AIS, 967; ambrosini, Stratigrafia lessicale, cit., p. 22.
65. Il vocabolo ha rare attestazioni in italiano antico, oltre che in testi meridionali: GDLI,
s.v. lancella ne riporta una ricorrenza in Zanobi da strada, da considerare un recupero dotto
della voce del latino tardo. cfr. inoltre sic.a. lanchella (1348, senisio, Declarus: TLIOCorpus).
66. si deve tuttavia considerare con qualche sospetto l’assetto fonetico della forma a espo-
nente, ricavata da una fonte (il Vocabolario dialettale di francesco d’Ippolito stampato a taranto
nel 1896, siglato B8 in VDS) segnalata per scelte grafiche italianizzanti (cfr. VDS, pp. 11-12). ad
ogni modo sotto la stessa entrata sono registrate anche le varianti ancèḍḍa e langèddə (tarant.).
67. ne è attualmente in corso di stampa l’edizione critica: Il ‘Librecto di pestilencia’ di Nicolò
di Ingegne (1448), « cavaliero et medico » di Giovanni Antonio Orsini del Balzo, a cura di vito luigi
castrignanò, roma, Istituto storico italiano per il medio evo-centro di studi orsiniani.
68. aprile-coluccia-fanciullo-gualdo, La Puglia, cit., p. 699; alberto a. sobrero, Nomi di
recipienti in Salento, in Le solidarietà. La cultura materiale in linguistica e in antropologia. atti del semi-
nario di lecce, novembre-dicembre 1996, a cura di salvatore d’onofrio e riccardo gualdo,
galatina, congedo, 1998, pp. 291-302. oltre che in lanchella e ursolo, si può forse ravvisare un
meridionalismo nella forma mencçina 41v a 39, pl. mencçine 42r b 17, che potrebbe risultare da un
incrocio di salent. menźa ‘brocca di creta o di latta’ (VDS; AIS, 967; sobrero, Nomi di recipienti,
cit., pp. 292 sgg.) con it. mezzina ‘brocca di rame usata per attingere acqua alla fonte o per con-
servarla in casa’ (GDLI), da un *medie\na, stando a REW, n° 5460.

18
italiano letterario e lessico meridionale nel quattrocento

di àmbito genericamente meridionale risulta poi una voce verbale che


s’incontra in una sequenza testuale consacrata alle astuzie degli avvocati: 69
lu homo […] pò co(n)t(ra) | ip(s)i [avvocati] prevalere, et de loro nocumenti chi
tractano | gavetarsene (114r b 38-42).

l’infinito pronominale gavetarsene si può confrontare col salent.a. gavitare


‘evitare’, ‘usare cautela’ della grammatica latino-volgare di nicola de aymo
(1444)70 come col nap.a. gavitare ‘evitare’ dei Bagni di Pozzuoli e del Regimen
prima che della Cronaca del ferraiolo,71 e inoltre con continuatori dialettali
come nap. gavetà, gavetare ‘evitare’ (d’ambra), sic. gavitari ‘risparmiare’ (VS),
cal. gavitare ‘evitare’, ‘mettere da parte’ (NDC), salent.sett. (provincia di Brin-
disi) javitare ‘scansare’ (VDS), cui si accosterà luc. yavìtatǝ imp. ‘scànsati’ regi-
strato come voce autonoma da Bigalke, nonché l’it.reg.pugl. gavitare ‘rispar-
miare’ rinvenuto in lettere di emigranti pugliesi del xx secolo.72
una voce del mezzogiorno pervenuta alla lingua letteraria per il solo tra-
mite della scuola poetica siciliana è abentare v. intr. ‘trovar pace, trovar quie-
te, riposare’ (< adventare, con esito locale del nesso -dv-), col deverbale
abento,73 di cui si offrono le seguenti ricorrenze:
onde questi peccaro p(er) luxuria, la quale no(n) lassa mai lu h(om)o abentar(e), et
cossì sono poniti ch(e) no(n) posano mai (32r b 28);

per Iove muta|to in ucello prendimo lu homo innamorato, lu q(ua)le | è inmobile et


non abenta may, ancçi semp(re) va vo|lando ad modu di uccello (50r b 40-43);

69. Il passo si colloca nel commento a Tes., xi 63, dove il mito di Perseo e delle gorgoni
è corredato di una serie di interpretazioni allegoriche derivanti in gran parte dal commento
di Pierre Bersuire alle Metamorfosi ovidiane (sia consentito in proposito il rinvio a maggiore,
Volgarizzamenti e fonti latine, cit., pp. 137-41).
70. cfr. La grammatica latino-volgare di Nicola de Aymo (Lecce, 1444): un dono per Maria d’Enghien,
a cura di rosa anna greco, galatina, congedo, 2008, p. 245.
71. cfr. ferraiolo, Cronaca, a cura di rosario coluccia, firenze, accademia della crusca,
1987, p. 159.
72. cfr. alberto a. sobrero-Immacolata tempesta, Puglia, roma-Bari, laterza, 2002,
p. 50.
73. cfr. LEI, 1,901-2; VES, s.vv. abbintari, abbentu; DEDI, s.v. abbéntu; vittorio formentin,
Note sulla rappresentabilità grafica degli allofoni, « contributi di filologia dell’Italia mediana », ix
1996, pp. 169-96 (p. 173); rosario coluccia, Introduzione, in I poeti della Scuola siciliana, op. diretta
da roberto antonelli, rosario coluccia e costanzo di girolamo, 3 voll., milano, mondado-
ri, 2008, vol. iii. Poeti siculo-toscani, pp. v-cii (p. lxxiii n. 129). VDS, s.v. abbǝntá ne registra con-
tinuatori anche negli odierni dialetti apuli meridionali e salentini settentrionali: abbǝntá nel
tarantino e in particolare a martina franca, abbǝndà a ostuni, bbintari a manduria; risulta ec-
centrica rispetto a questa distribuzione areale la sola voce bentare segnalata a maglie.

19
marco maggiore

incom(en)czò | ad volare ad m(odo) de ucello, ciò ène a no(n) abentar(e) may (50r
b 57-58);
sì como li ucelli sono a(n)i(m)ali chi | poco riposano, che ora vanno cqua et ora llà, |
così li homini innamorati mai non à(n)no abe(n)|to (65v a 10-13).

la lista delle voci notevoli potrebbe continuare ancora a lungo,74 ma è


forse meglio concentrare l’attenzione, in chiusura, su un gruppo di entità
lessicali soggette a dubbi interpretativi, e tuttavia tali da lasciarsi ricondurre
a tradizioni locali, sia pure con qualche margine di dubbio. Presenta non in-
sormontabili difficoltà di natura grafo-fonetica il verbo evidenziato nella se-
guente sentenza, tratta da un brano che verte sul tema dei benefici e della gra-
titudine e dell’invidia che ne derivano:
nissiuna | c(aus)a è più de amochare all’animo de lu h(om)o che l|lu beneficiu re-
cheputo (73r b 43-44).

In questo caso il contesto aiuta a ricollegare la forma amochare al gallicismo a


diffusione panmeridionale ammucciare ‘nascondere’, da fr.a. mucier (a sua vol-
ta risalente all’etimo celtico *mu\kya\re: REW, n° 5723): tale interpretazione
non crea problemi sul piano semantico (il passo ammonirebbe a nasconde-
re il beneficio ricevuto all’animo altrui, allo scopo di non suscitare invidie),
mentre da un punto di vista formale la sua accettazione è agevolata dal con-
fronto con sic.a. amuchari, amuchatu ~ amochatu di identico valore,75 e com-

74. meriterebbero un cenno almeno le voci sanguelentò 26r b 29, sangulentata 33r b 40, sangui-
lento 46v b 23, sanguilenta 76v b 14, pertinenti ai lessemi sanguilentare ‘ridurre al sangue’ e sangui-
lento ‘sanguinolento’. Il tipo lessicale è attestato nei volgari centro-meridionali a partire dal sec.
xIII, data dell’attestazione di sanguilentu nelle Glosse cassinesi (cfr. Ignazio Baldelli, Medioevo
volgare da Montecassino all’Umbria, Bari, adriatica, 1971, p. 53); per l’area napoletana si segna-
la l’aggettivo sanguelenta (spata tutta sanguelenta 146.3) in Destr. de Troya (cfr. nicola de Blasi,
in Libro, cit., p. 440). ne raccogliamo continuatori anche in dialetti della provincia di lecce:
[sangulen'tare], [sanɡu'lɛntu] a squinzano, [sanɡulin'tare], [sangulin'tatu] a nardò. tali forme
non sembrano essere state raccolte dal rohlfs, né risultano comprese nelle postille al VDS di
franco fanciullo, Aggiunte e postille al ‘Vocabolario dei dialetti salentini’ di G. Rohlfs, « l’Italia dialet-
tale », xxxvi 1973, pp. 7-38. gli episodi di interesse lessicale non si limitano naturalmente a
voci strettamente localizzabili nel mezzogiorno. tra i moltissimi esempi che si potrebbero
segnalare, si può offrire una piccola menzione della forma beordare ‘far baldoria’, infinito so-
stantivato (fuoro incomencçate le gran feste mescolate col beordare 47v b 1-2), foneticamente affine al
fr.a. behorder: cfr. cella, I gallicismi, cit., p. 344; ottavio lurati, Lavorare sulla lingua è anche scoprire
sé stessi, in Nuove riflessioni sulla lessicografia. Presente, futuro e dintorni del ‘Lessico etimologico italiano’.
atti del seminario di lecce, 21-22 aprile 2005, a cura di marcello aprile, galatina, congedo,
2007, pp. 19-38 (pp. 22-25).
75. cfr. ambrosini, Stratigrafia lessicale, cit., p. 92.

20
italiano letterario e lessico meridionale nel quattrocento

porta solo poche precisazioni. vi sarebbe anzitutto da notare l’impiego del


grafema ‹ch› per l’affricata palatale (in questo caso intensa), tratto tipico
delle scritture meridionali estreme,76 della cui alta diffusione nel nostro te-
sto77 hanno già offerto testimonianza le voci fauchi e lanchella viste in prece-
denza.78 Infine non rappresenta un serio ostacolo neppure il grado medio-
alto della vocale protonica, che si può riportare ad un’ampia casistica forse
soggiacente a pulsioni iperurbane, come di norma nei testi meridionali an-
tichi:79 la medesima apertura nel vocalismo atono interessa un altro ben noto
gallicismo tipico delle varietà meridionali nella voce del participio allomate
116r b 44, 119r a 27 ‘accese, illuminate’ (da confrontare col nap.a. allomate nel-
la Cronaca del ferraiolo),80 che insieme alle forme alluma 100r a 2, allumato
100r a 9-10, allumati 116r b 48, allumata 4v b 8, si riporta al tipo ‘allumare’ ‘accen-
dere’ (LEI, 2 177-79), dal fr.a. alumer < *allu\mi n ¨ are (REW, n° 372), panmeri-
dionale ma penetrata per tempo in it.a. « grazie anche all’influsso della poe-
sia cortese provenzale ».81
In un’altra voce a prima vista non perspicua si può apprezzare uno svilup-

76. cfr. coluccia, Introduzione, cit., p. xxx.


77. cfr. maggiore, Lo ‘Scripto sopra Theseu re’, cit., p. 115 n. 1.
78. non crea problemi neppure la mancata rappresentazione delle consonanti intense, in
particolar modo per quanto riguarda [m:], la cui resa scempia potrebbe reagire alla geminazio-
ne delle nasali intervocaliche, sistematica in napoletano e frequente nei dialetti salentini; cfr.
vittorio formentin, in de rosa, Ricordi, cit., vol. i p. 255; giovan Battista mancarella, Salento.
Monografia regionale della ‘Carta dei dialetti italiani’, lecce, edizioni del grifo, 1998, pp. 133-34;
adam ledgeway, Grammatica diacronica del napoletano, tübingen, niemeyer, 2009, pp. 88-89.
del fenomeno non mancano esempi nello Scripto: ammicitia 106v a 40, cummencça 45r b 4-5 ‘co-
mincia’, commari 64r a 37 ~ commatri 33r b 6; cennere 25v b 1, 11-12, 105v a 48, dessonnore 81r a 36,
gennero 57v b 23, 93v a 39-40, gienneri 44v b 64, innique 76r a 11, honnore 115v b 36, 55, ecc.
79. ne sono esempi abrogiaria 25v b 13-14, ammorò 25r b 33 ~ amorò 25r b 33, ammorata 57r b
16-17 (< murum), arroffati 68v b 51, aventorato 7r a 5, aventorata 61v a 46, 64v b 9, aventorosi 54r b 7-8,
commotò 30r a 33-34, consomare 64v a 19, consomato 40v b 11, 67v b 29, consomata 69r b 4-5, destroctio-
ni 1v b 42, incosò 22r a 33 ‘accusò’, inponito 31r b 31-32, radonate 53r a 42, tegomento 6v a 2, tosorate 53v
b 27, transmotati 44v a 38, 75v a 11-12, transmotata 65v b 14, 75r b 45 ~ trasmotata 23r a 45-b 1. già nel
vocalismo atono del Sidrac salentino « i vari dorata, motare, stotare, […] e dechia, gerare, terare, […]
sembrano delineare una situazione in cui, mentre i napoletani si sforzano di commutare le
loro [o], [e] con le [u], [i] del toscano, nel salento si correggono le [u], [i] locali (e anche toscane)
con [o], [e] di tipo napoletano » (Paola sgrilli, in Il ‘Libro di Sidrac’ salentino, cit., p. 72). Per lo
stesso fenomeno in nap.a., cfr. Pietro Jacopo de Jennaro, Rime e lettere, a cura di maria corti,
Bologna, commissione per i testi di lingua, 1956, p. cii; formentin, in de rosa, Ricordi, cit.,
vol. i pp. 169-70.
80. coluccia, in ferraiolo, Cronaca, cit., p. 127.
81. VES, s.v. aḍḍumári; cfr. poi ambrosini, Stratigrafia lessicale, cit., p. 92; cella, I gallicismi, cit.,
pp. 233-35; GDLI, s.v. allumare; TLIO, s.v. allumare; DEDI, s.v. allumare.

21
marco maggiore

po di tipo genuinamente meridionale. essa ricorre in un brano incentrato


sulle vicende di semiramide e in particolare sull’episodio, menzionato an-
che da Boccaccio (De mulieribus claris, ii),82 secondo cui la regina avrebbe ap-
preso della ribellione di Babilonia mentre era intenta a pettinarsi, e sarebbe
accorsa a sedare i disordini coi capelli ancora acconciati per metà:
onde la ditta semera|mis, no(n) avendu acconcçu la sua testa, como se trovò, | colla
mencça capo sghectata et dissordinata se partio | a sseccorrere la ditta sua t(er)ra
(82v b 33-36).

l’aggettivo sghectata, associato al tipo morfologico meridionale ‘la capo’ f.,83


è da intendere col valore di ‘spettinata’, ‘in disordine’, e si lascia ricollegare
piuttosto agevolmente ai continuatori di *flecta ‘treccia’ (REW, n° 3364)
attestati solo in varietà meridionali:84 luc. ñę;tt, yę;tt ‘treccia di capelli’ (Bigal-
ke), luc.-cal., cal.sett. e merid. χetta, jetta ‘id.’ (NDC), salent. jètta ~ gliètta ~
gnètta ‘id.’ col tarant. jèttə (VDS, s.vv. gnètta, jètta); in tutte queste varietà, oltre
al significato di base, sono presenti le accezioni traslate ‘treccia, resta di agli’
e ‘serto di fichi secchi legati a treccia, intreccio di fichi secchi infilzati’ (cfr.
Bigalke, NDC, VDS); solo in questi ultimi significati si incontrano prosecu-
tori di *flecta anche negli abruzzi e in sicilia: abr.occ. e or., teram. flèttə
‘filza di fichi secchi’, ‘resta di agli e cipolle’ (DAM), catan.-sirac. scetta ‘filza di
fichi secchi’, catan. e niss.-enn. (Àssoro) ccetta ‘piccia di fichi secchi’ (VS, s.vv.
ccetta2, scetta1). l’accezione di base si mostra particolarmente produttiva nelle
varietà salentine, che presentano anche le forme verbali gnettare (a lecce,
san cesario, maglie) con le varianti gnittare (Brindisi, mesagne, sava, nar-
dò), nghiettare (aradeo) e nghittare (in un testo di ostuni, al confine con l’area
apulo-barese) ‘pettinare (particolarmente detto di donne)’ < *flectare col
sostantivo gnettatura ‘pettinatura’ (a cavallino e muro leccese: VDS, s.vv.
gnettare, nghiettare, gnettatura). rispetto alle voci pervenute ai dialetti odierni,

82. nessuna più stringente attinenza è dato rintracciare tra il passo boccacciano e il nostro
testo. l’anonimo compilatore del commento non sembra aver conosciuto le opere erudite
latine del Boccaccio (cfr. maggiore, Lo ‘Scripto sopra Theseu re’, cit., p. 107 n. 4).
83. cfr. rohlfs, Gramm. stor., § 394. già in testi antichi siciliani e napoletani (accurso da
cremona, 1321-1327, e Destr. de Troya, sec. xIv: TLIO, s.v. capo) e nel Sidrac salentino, il femmi-
nile dialettale è attualmente comune « nel salento come in Puglia, lucania, calabria e cam-
pania » (sgrilli, in Il ‘Libro di Sidrac’ salentino, cit., p. 127; cfr. anche AIS, 93; VDS, s.v. capu; for-
mentin, in de rosa, Ricordi, cit., vol. i p. 298 n. 867).
84. lo sviluppo di fl si lascia ricondurre al multiforme quadro degli esiti dei nessi di con-
sonante + l nelle varietà meridionali; si rinvia in proposito al lavoro di marcello Barbato,
« Turpiter barbarizant ». Gli esiti di cons. + l nei dialetti italiani meridionali e in napoletano antico, « re-
vue de linguistique romane », lxix 2005, pp. 405-35.

22
italiano letterario e lessico meridionale nel quattrocento

la forma sghectata del nostro testo evidenzia l’aggiunta di un s- sottrattivo.


Bisognerà poi osservare che una voce probabilmente riconducibile alla stes-
sa famiglia lessicale è attestata nelle Glosse criptensi (secc. xIv-xv ca.), docu-
mento in volgare romanzo e in caratteri greci collocabile in area salentina a
detta di rocco distilo.85 al n° 114 la voce ἄμπυξ che in greco classico « indi-
cava un oggetto non meglio precisato che serviva a tenere composti i capel-
li delle donne »86 è glossata col sintagma λου κουνγετταμέντου δε λι καπίλλι,
per il quale l’editore lucio melazzo propone la traslitterazione lu cunghetta-
mentu de li capilli.87 non è azzardato intravedere per tale attestazione un col-
legamento con la forma sghectata del nostro commento così come col salent.
gnettare, nghiettare < *flectare, pertinente al medesimo campo semantico
delle acconciature femminili.88
tutte le voci sin qui considerate si caratterizzano per una diffusione al-
quanto bassa, spesso limitata a una sola attestazione. Il caso seguente invece,
che pure presenta non pochi aspetti enigmatici, si connota per un numero
non irrilevante di occorrenze. compare infatti ben nove volte nel commen-
to al Teseida una congiunzione nora impiegata per introdurre una proposi-
zione subordinata dopo verbi ed espressioni indicanti timore, nelle medesi-
me funzioni di lat. ne: 89

85. cfr. rocco distilo, Tradizioni greco-romanze dell’Italia meridionale, in Id., Káta latìnon. Prove
di filologia greco-romanza, roma, aracne, 1990, pp. 43-81. Per gli studi su questo documento si
rinvia alla sintesi tracciata da francesco giannachi nella scheda filologica Glosse scritte per eser-
cizio grammaticale, in ADAMaP.
86. lucio melazzo, Le glosse volgari nel codice criptense gr. Z. α IV, « Bollettino del centro di
studi filologici e linguistici siciliani », xiv 1980, pp. 37-112 (p. 73); cfr. anche TGL, s.v.
87. Pur senza opporsi a tale interpretazione, si osserverà che la grafia non impedirebbe una
lettura alternativa [kuɲ:et:a'mεntu]. In altri testi romanzi in caratteri greci i grafemi ‹νγ›, ‹νγγ›
possono infatti intervenire nella resa della nasale palatale: cfr. τένγιουλου al v. 8 del componi-
mento Λ’άουκα, per cui cfr. rocco distilo, Scripta letteraria greco-romanza. Appunti per due nuovi
testi in quartine di alessandrini, « cultura neolatina », xlvi 1986, pp. 79-99; o ancora la voce verba-
le ινσινγγιαβα 35 nel volgarizzamento del Miracolo dell’indemoniato studiato da oronzo Parlan-
geli, Storia linguistica e storia politica nell’Italia meridionale, firenze, le monnier, 1960, pp. 175-80.
88. Per la forma cunghettamentu l’editore propone come etimo cumiecta(re) + -mentum,
leggendovi l’accezione di ‘oggetto che serve a gettare insieme tutti i capelli verso un unico
punto della testa allo scopo di comporli in una pettinatura’. Per corroborare tale interpretazio-
ne, non priva di elementi di antieconomicità, egli evoca l’accostamento a « una stessa voce
verbale ghettu » ‘getto’, ‘scaglio’ ricorrente nel medesimo apparato di glosse, al n° 186 (cfr. me-
lazzo, Le glosse volgari nel codice criptense, cit., pp. 73, 85).
89. la forma latina è saltuariamente utilizzata in contesto volgare: « de la quale pena ip(s)o
demone non si nde cura | nulla c(aus)a, per la invidia che lui tormenta ne forte el ditto | h(o-
m)o acquista quella gl(ori)a dal quale ip(s)o fo p(ri)vato » (60v b 31-33). Più spesso l’anonimo
preferisce volgere alla stessa funzione l’avverbio negativo non: « el dicto | re suspecò no(n)

23
marco maggiore

et fugendo | p(er) istrani sentieri, p(er) paura nora el frate lo | fecesse appostare (11v
a 11-13);

vedi figliuola nora alcu|no te inganna in spetie de Iuppiter (25v a 29-30);

va’ da lungi, nora la tua gl(ori)a a te sia | morte (47v b 18-19);

nora gli corregie|turi el ditto furto cognossessera, Iove indux(e) nuovoli | et fumosi
coprimenti (58r b 38-40);

Iuno nora cognossesse el ditto furto, mu|tò la bella Yo in bella iovencha (58r b 41-
42);

a Iunone, scilicet ab Eccl(es)ia, | nora sia cognoscuta et tolta dal ditto peccato, co(n)-
verte(n)|dose in buono essere el ditto demone muta essa i(n) vac|cha (58r b 49-52);

no(n) volentieri volea parlare, però che ti|mea nora mulliasse como vacca (59r a 21-
22);

et per questo deveno timere de par|lare, p(er)ò nora parlano sincomo vacche (59r a
26-27);

se vergonnia, et à pensieri nora lo suo i(n)na|morato90 sia palesato (100r a 47-48).

dai controlli effettuati tanto sulla documentazione antica quanto in fon-


ti dialettali moderne non sono per ora emerse altre tracce della voce o di
forme a essa direttamente accostabili. nulla di certo è inoltre possibile dire
circa la sua origine. una somiglianza meramente formale si individua con
gli avverbi sic. annora, allannora ‘l’anno scorso’ (annus + hora: faré, n° 487;
VS, s.v. annora), in rapporto ai quali nora dovrebbe tuttavia essere considerata
alla stregua di una variante aferetica;91 in alternativa, la forma potrebbe esse-
re ricondotta a una base *ne hora(m) che ne giustificherebbe molto meglio
la funzione. occorre notare la somiglianza tra l’uso documentato nel testo
antico e una struttura caratteristica dell’odierno italiano regionale pugliese

Perseo gli togliesse el regno » (2v a 5-6), « et tucto q(ue)|sto è p(er) la invidia ch(e) ip(s)o àve
no(n) lu h(om)o acq(ue)|sta quella b(ea)titudine ip(s)o fo privato » (37v a 39-41), « et om(n)e
grana parte lu assuctu da lu molle, no(n) faça | i(n)frachedare lu assuctu, et caccialu allu sole »
(54v b 24-25), « li quali pisci, no(n) | fosseru mangiati per li huomini, fuoru trans|lati al cielo »
(100v b 40-42).
90. Probabile aplografia per innamoramento, forma peraltro ben attestata: innamoramento 4v
a 36, 5r a 47, 15r a 23-24 ~ ·namoramento 65r b 41, pl. innamoramenti 19r b 24, 106r a 37.
91. da non confondere con urb.a. annora (GAVI; TLIOCorpus), da ricondurre a ognora
(l’esito [n:] nei continuatori di omne è normale in antico: cfr. rohlfs, Gramm. stor., § 500; sul
passaggio ad [a] in protonia di sillaba iniziale, cfr. ivi, §§ 130-31).

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italiano letterario e lessico meridionale nel quattrocento

e salentino,92 in cui si incontra un impiego peculiare del connettore ancora:


stai attento, ancora cadi; togliti dalla strada, ancora ti investono; prendi l’ombrello, an-
cora piove.93 I dati in nostro possesso non consentono di formulare ipotesi
incontrovertibili circa un eventuale rapporto tra la forma antica e la struttu-
ra moderna, né offrono appigli alla suggestiva idea che la seconda possa de-
rivare da un raccostamento dell’originario nora, in séguito scomparso dal-
l’uso, al più diffuso ancora. In mancanza di riscontri probanti è comunque op-
portuno valutare la questione con la massima cautela.
un’ultima particolarità riguarda il sistema degli avverbi di luogo: se altri
testi meridionali si caratterizzano per la presenza del tipo loco < *illoco,94
il nostro commento al Teseida si distingue per la ricorrenza di una forma
monosillabica lò , che nella scrizione ‹lo› del ms. risulta indistinguibile dalle
omografe forme atone dell’articolo determinativo e del pronome accusati-
vo m.sg.: « incominçiò a volare fieni al monte Parnaso, et lò stecte sopra de
quello capo che si chiama elicona » 2v a 33-35; « lo quale stava al cartiage-
ne, ove mò se chiama tunesi, et lò fechia gran mali » 6v a 46-47; « epsa an-
dò così iscaciata allo re ligurgo, e llò si fé baglia de uno suo figlio » 11v b 50-
12r a 1; « per uno pertuso chi ène entra la celula de mecço e lla postrema la
manda alla celula de la memoria, e llò l’anima exerce la memoria » 19v a 36-
38; « andòsinde al nascimento del patre, e llò seppe da ley ca li era veragio fi-
gliuolo » 21r b 40-42; « alli versi dicti di sopra […], lò avea domandato el ditto
arcçita se epsa Palamone vedea » 21v b 18-22; « andando il templo de apollo
in primieri, et lò fé sua oratione et prieghi allo ditto apollo » 29v b 2-3; « om-
ne sera si nde andava a dormire in uno boschecto, e llò cantava e llamentava-
se al suo volere » 33v b 26-29; « andò ad accostare alli parti de oriente, et lò se

92. In quest’àmbito d’uso le varietà dialettali salentine ricorrono alla locuzione cristallizza-
ta cunussìa (lett. ‘che non sia’); cfr. luciano graziuso, Sull’uso del congiuntivo presente nel dialetto di
Vernole (Lecce), in Problemi di morfosintassi dialettale. atti dell’xi convegno del csdI, cosenza-
reggio calabria, 1-4 aprile 1975, Pisa, Pacini, 1976, pp. 259-64 (pp. 262-63).
93. cfr. sobrero-tempesta, Puglia, cit., p. 45; annarita miglietta, Fra dialetto e lingua in Salen-
to. Scuola, gioco, conversazioni, interviste, lecce, manni, 2004, p. 46; antonio romano, Norma e va-
riazione nel dialetto salentino di Parabita, in neoΠΡΟΤΙΜΗΣΙΣ. Studi in memoria di Oronzo Par-
langeli a 40 anni dalla scomparsa (1969-2009), a cura di mario spedicato, galatina, congedo, 2010,
pp. 237-68 (p. 246). la popolarità dell’uso in terra pugliese è sottolineata dalla sua penetrazione
nelle varietà francoprovenzali di celle e faeto, come segnalato da alessandro Bitonti, Luoghi,
lingue, contatto. Italiano, dialetti e francoprovenzale in Puglia, ivi, id., 2012, p. 104.
94. cfr. Baldelli, Medioevo volgare, cit., p. 28; francesco avolio, Bommèsprǝ. Profilo linguistico
dell’Italia centro-meridionale, san severo, gerni, 1995, p. 54; formentin, in de rosa, Ricordi, cit.,
vol. i pp. 282, 342; Barbato, in Il libro viii del Plinio napoletano, cit., p. 196 n. 107; Id., La lingua del
‘Rebellamentu’. Spoglio del codice Spinelli (parte i), « Bollettino del centro di studi filologici e lin-
guistici siciliani », xxi 2007, pp. 107-91 (p. 145).

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marco maggiore

innamorò colla aurora » 33v b 38-39; « venne in aito de l’avo con grande exer-
cito de gente, e llò fenì sua vita » 33v b 47-48; « ritinecte gl’inchinivoli carri
nel mecço de lu imferno, et lò si posa la raputa Proserpina » 40r b 20-22; « se
puose ad servire uno tempio, et lò finio sua vita » 49r a 30-31; « la dicta festa si
fecea de quinto in quintum annum, et lò si feciano di grandi giochi et feste »
(115v b 53-54). Questa forma avverbiale monosillabica trova un diretto ante-
cedente nel pugliese antico lò di identico valore in una lettera del braccian-
te angelo da Bari del 1417,95 e non è privo di precedenti in antico salentino:
l’inedita trascrizione del volgarizzamento del Tresor di Brunetto latini ver-
gata dal copista giovanni russo da copertino entro il 1° marzo 1459 (Paris,
Bnf, It. 440) ne reca esempi come « et poy se pa(r)tero da llo et fondaro |
unalt(ra) citate » 5v 11-12, « pilliano uno uitello mo(r)to et bacteno | forte sua
ca(r)ne et q(ua)n(do) lu suo sangue e fracito da llo nascono li api » 37r 6-7.
Questo complesso di attestazioni antiche è da ricollegare alla forma ddo ‘qui’
di alcune moderne varietà dialettali pugliesi (Bari, molfetta, ruvo), in cui il
rohlfs ha visto un isolato continuatore del latino illoc (senza contamina-
zione con locus).96

3. Conclusioni, con qualche considerazione sulla banca dati ADA-


MaP

tirando le somme, la presenza di lessico meridionale in una notevole va-


rietà di àmbiti semantici (dall’avifauna alla vitivinicoltura, dalle denomina-
zioni somatiche all’astrologia, dal lessico “astratto” alla cultura materiale) è
un elemento di primario interesse nella valutazione linguistica di questo
come di altri documenti inediti del salentino e del pugliese antichi. l’analisi
del lessico, corroborata dal confronto sistematico con le testimonianze me-
dievali e moderne relative all’intero territorio meridionale, permette di di-
schiudere percorsi di ricerca poco battuti e talvolta perfino inediti nel qua-
dro della storia linguistica del mezzogiorno. si profila l’emersione di tradi-
zioni a lungo trascurate e rimaste ai margini degli studi di settore, le cui di-
namiche di contatto e di conflitto con l’avanzante modello unitario a base
toscana attendono ancora in buona parte di essere messe in luce.
In quest’ottica è di notevole interesse la conclusione della prima fase del
progetto Archivio Digitale degli Antichi Manoscritti Pugliesi, diretto da rosario

95. Tra scritto e parlato. Venti lettere mercantili meridionali e toscane del primo Quattrocento, a cura di
nicola de Blasi, napoli, liguori, 1982, pp. 102-4.
96. rohlfs, Gramm. stor., § 909.

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italiano letterario e lessico meridionale nel quattrocento

coluccia e realizzato da un gruppo di ricerca operante presso l’università del


salento.97 la pubblicazione dell’ADAMaP pone infatti le basi per un signifi-
cativo accrescimento delle conoscenze e delle risorse messe a disposizione
degli studiosi. l’auspicabile evoluzione futura del progetto (con tutte le dif-
ficoltà che si possono preventivare) verso la costituzione di un corpus digitale
di testi, preludio alla messa in cantiere di un glossario degli antichi volgari di
Puglia e salento, potrebbe aprire prospettive interessanti, di cui si spera con
questo contributo di aver offerto una sia pur modesta anticipazione.

Marco Maggiore

l’articolo prende in esame le dinamiche della diffusione e della ricezione dei grandi
testi letterari del trecento nelle regioni periferiche del mezzogiorno medievale. l’atten-
zione è portata principalmente sul lessico dei testi letterari e paraletterari, espressione
della cultura cortese salentina del secondo Quattrocento. la stratigrafia lessicale di que-
sti documenti si connota per la significativa persistenza di correnti di lessico a diffusione
locale nei campi semantici più disparati. l’adozione di una prospettiva incentrata sull’ana-
lisi lessicale consente l’allargamento dell’indagine all’insieme della documentazione tre-
quattrocentesca del meridione continentale e della sicilia.

The paper examines the ways of diffusion and reception of the most important Trecento literary
texts in the outlying areas of Medieval Southern Italy. It mainly draws attention to the vocabulary of
literary and para-literary texts representing most of the Salento courtly literature of the second half of
Quattrocento. The lexical “stratigraphy” of such documents reveals a meaningful endurance of locally
connoted words in the most varied semantic fields. So, by introducing a viewpoint based on lexical
analysis, this study allows to extend the research to the entirety of Trecento and Quattrocento southern
Italian documentation (both from the mainland and Sicily).

97. una prima organica presentazione del progetto e dell’annesso sito internet è offerta da
rosario coluccia-antonio montinaro, Uno strumento di ricomposizione e di studio della tradizione
manoscritta in antico pugliese (secc. XIII-XV): ADAMaP, in corso di stampa negli atti del xii con-
gresso della società Internazionale di linguistica e filologia Italiana, Dal manoscritto al web:
canali e modalità di trasmissione dell’italiano. Tecniche, materiali e usi nella storia della lingua, Helsinki,
18-20 giugno 2012. del gruppo di ricerca coordinato da rosario coluccia fanno parte antonio
montinaro (responsabile dell’attuazione), sabrina Bini, vito luigi castrignanò, francesco
giannachi, stella trazza e chi scrive in qualità di redattori, diego Bergamo e tonia Bruno in
veste di responsabili informatici.

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