Sei sulla pagina 1di 7

Review

Reviewed Work(s): The Codex Faenza 117: Instrumental Polyphony in Late Medieval
Italy, (I: Introductory Study, II: Facsimile Edition), («Ars Nova», n.s. III) by Pedro
Memelsdorff
Review by: Maria Caraci Vela
Source: Il Saggiatore musicale , 2015, Vol. 22, No. 1 (2015), pp. 111-116
Published by: Casa Editrice Leo S. Olschki s.r.l.
Stable URL: https://www.jstor.org/stable/24642716

JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide
range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and
facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact support@jstor.org.

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at
https://about.jstor.org/terms

Casa Editrice Leo S. Olschki s.r.l. is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend
access to Il Saggiatore musicale

This content downloaded from


132.229.92.100 on Tue, 29 Aug 2023 07:29:39 +00:00
All use subject to https://about.jstor.org/terms
RECENSIONI

Pedro Memelsdorff, The Codex Faenza 117: Instrumental Polyphony in Late Me


eval Italy, 2 voll. (I: Introductory Study, II: Facsimile Edition), a cura di Pedro Me
melsdorff, Lucca, LIM, 2012-13 («Ars Nova», n.s. III), 254-216 pp.

Il codice 117 della Biblioteca Comunale Manfrediana di Faenza è uno straor


dinario manoscritto pergamenaceo redatto agli inizi del Quattrocento e rielaborato
negli anni '70 dello stesso secolo, che contiene repertorio strumentale di grandis
mo interesse storico-musicale e di non semplice contestualizzazione, così come u
suo peculiare patrimonio di pensiero teorico. Studiato nel Novecento da uno stu
lo di musicologi medievisti - tra cui Gino Roncaglia, Nino Pirrotta, Gilbert Reaney,
Adriano Cavicchi, Oscar Mischiati, ma soprattutto Dragan Plamenac, che ne avev
fatto uno dei suoi interessi di ricerca prediletti -, esso è stato oggetto di ipotesi in
terpretative svariate, anche perché non è un manufatto semplice: è infatti chiaramen
te articolato su due livelli, che si intersecano però a motivo degli interventi di rior
dino cui il codice fu sottoposto.
Faenza 117 è un manoscritto in movimento: uno degli esempi migliori di come i
reperti del passato non siano blocchi immobili e sempre identici a sé stessi, ma pos
sano documentare di aver vissuto vite complesse, di essere stati rielaborati, adattati
a nuove esigenze, mutilati e arricchiti nello stesso tempo; e possano pertanto spalan
carci grandi scenari anche quando - come in questo caso - non siano all'apparenz
né lussuosi né ben conservati, ma problematici e poco appariscenti.
Nella storia materiale di Faenza 117 due sono le fasi principali, entrambe pertur
bate; con la seconda che, per di più, già riguarda il processo di recezione della p
ma. Il livello più antico reca 50 intavolature senza testo verbale o talvolta con so
incipit, e con estese diminuzioni strumentali, redatte nel primo decennio del secolo
XV e pervenuteci in unicum. Questo patrimonio di musica strumentale che elabora
originali vocali trecenteschi - secolari e liturgici, alcuni dei quali, prima sconosciuti
sono stati individuati dal curatore dell'edizione facsimilare, Pedro Memelsdorff - ci
fornisce preziosissime informazioni sulla prassi dell'intavolatura, sullo sviluppo del
le diminuzioni necessarie alla tecnica strumentale, sull'impiego liturgico del rep
torio, l'uso dell'alternatim, le funzioni e le tipologie della notazione; ma anche sulla
frequenza degli adattamenti da un àmbito a un altro (polifonia d'arte di argome
to profano / musica organistica legata alla devozione e alla liturgia) e da un mez
espressivo a un altro (scrittura vocale, che conta sulle strategie espressive delle voci
possibilità tecniche e limiti dello strumento, che dispone di altri effetti quali, sopr
tutto, le diminuzioni).
Il livello più recente, allestito negli anni 1473-74, è costituito dagli intervent
autografi del frate carmelitano, compositore, teorico e maestro di Gaffurio, Johan
nes Godendach, latinizzato in Bonadies, che occupò le carte vuote e recuperò p
ziali spazi palinsesti. (Con ogni evidenza, i contenuti del livello precedente no

This content downloaded from


132.229.92.100 on Tue, 29 Aug 2023 07:29:39 +00:00
All use subject to https://about.jstor.org/terms
112 RECENSIONI

gli interessavano.) Bonadies inserì 16 trattati teorici di cui 5 esplicitamen


ti a frati carmelitani, e 22 composizioni polifoniche sue, di John Hotby,
dus Ycart, Johannes de Erfodia e anonime. Dei trattati, 6 sono in unicum
prescinde dalla copia a uso personale che nel 1753 ne redasse padre Giam
sta Martini); delle composizioni, 18. Questo primo processo di adattamen
to a Bonadies - essenziale per la conservazione del codice che, divenuto
re di contenuti appetibili in un mutato contesto storico, si sottrasse perciò ai
dell'oblio o dello smembramento e riuso per altri generi di scritture - è
dal pensiero teorico e dalla prassi compositiva di John Hotby, maestro d
dies, e della sua scuola: ciò costituisce un ulteriore, importante motivo di
se per Faenza 117.
Il manoscritto ebbe varie vicissitudini, delle quali il tomo I dell'edizione dà
piamente notizia. Il suo luogo di origine è ancora discusso, e il motivo per
1889 riaffiorò nella Biblioteca Comunale Manfrediana di Faenza grazie al
cario Antonio Cicognani rimane oscuro. Nel secolo XVIII si trovava nella B
ca del Convento di S. Paolo a Ferrara, ove fu studiato dal bibliotecario, il
litano Giambattista Archetti, che ne analizzò la struttura, ne progettò un rio
interno e una paginazione e lo mandò per consulenza a padre Martini, che
una copia per sé e lo indagò con grande interesse. Conobbero l'esistenza d
ce Marpurg Burney Forkel Fétis Ambros; poi se ne persero le tracce; nel 1939
Roncaglia scoprì che fosse da identificarsi col manoscritto riemerso nella
ca Comunale di Faenza.
Il codice reca tre paginazioni, nessuna delle quali coeva, e tutte rispondenti
potesi ricostruttiva di chi di volta in volta le propose: una a penna del secolo
attribuibile à padre Martini, e due a matita, del secolo XX, di cui una pr
te l'analisi di Gino Roncaglia e l'altra di Dragan Plamemac. Il facsimile r
ne quest'ultima, in maniera inequivoca e non invasiva, nel margine inferiore d
esterno alle riproduzioni delle carte.
La ricerca di Memelsdorff si è dipanata a lungo negli anni, e ha seguito un
corso complesso. Studiare Faenza 117 vuol dire infatti trovarsi di fronte,
nuo, a mutevoli prospettive, confrontarsi con nuovi problemi, essere sollecita
dagini nelle più varie direzioni; e l'edizione di un facsimile corredato da un vo
di studi mira a rendere accessibile il testimone, dotandolo di quanto necessari
sua interpretazione e contestualizzazione. Nel caso di Faenza 117 ciò signifi
terne la genesi e le vicissitudini; i problemi codicologici e quelli paleografici c
guardano la scrittura dei testi verbali e musicali; il rapporto delle intavolatur
loro modelli, e i procedimenti operativi che regolano i passaggi dalla scrittura
a quella strumentale; le tecniche di variazione; la natura e le funzioni degli int
di Bonadies; la contestualizzazione del pensiero teorico fissatosi nel secondo liv
e, infine, i mutamenti nell'ordine interno introdotti dalla recezione settecent
da quella del secolo XX, ripercorrendo gli studi moderni dai quali può ripartir
nuovo progetto di lettura e analisi del codice e della sua storia.
L'indagine paleografico-codicologica su un codice è un po' come la ricog
di un sito archeologico: si prende coscienza della sua realtà fisica, della sue
condizioni, dei suoi problemi di sopravvivenza; ci si interroga sui vari livelli d
zione nel tempo e sulle vicende che lo hanno interessato nei secoli; si mettono

This content downloaded from


132.229.92.100 on Tue, 29 Aug 2023 07:29:39 +00:00
All use subject to https://about.jstor.org/terms
RECENSIONI 113

processi interpretativi per comprenderne la portata culturale e storica e favorirne la


comprensione; si formulano progetti per la sua conservazione; si elaborano strategie
per la sua fruibilità oggi. Ovvero: ci si attiva in molte direzioni.
E ricerche in più direzioni aveva appunto compiuto Memelsdorff, in funzione
del lavoro intrapreso, con inattesi risultati raggiunti ben prima di formalizzare l'e
dizione del facsimile e il relativo studio introduttivo, e pubblicati in diverse sedi.
Tra i suoi contributi più importanti in proposito andranno dunque ricordati: «Mot
ti a motti»: Reflections on a Motet Intabulation of the Early Quattrocento, «Recer
care», X, 1998, pp. 39-68 (sul mottetto contenuto in Faenza 117, da lui identificato
e attribuito all'ambito di Ciconia); New Music in the Codex Faenza 117, «Plain
song & Medieval Music», XIII, 2004, pp. 141-161 (circa le nuove identificazioni);
John Hotby, Lorenzo il Magnifico e Robert Morton in una nuova fonte manoscrit
ta a Mantova, «Acta Musicologica», LXXVIII, 2006, pp. 1-32 (sulla riscoperta del
codice 518 della Biblioteca Teresiana di Mantova, e le numerose, importanti nuo
ve informazioni che ne derivano anche per la comprensione di Faenza 117); "Ars
non invenienài": riflessioni su una "Straw-man" Fallacy e sul contratenor quale pa
ratesto, «Acta Musicologica», LXXXI, 2009, pp. 1-22; Echi d'influenze pirrottiane
in sessantanni di ricerca musicologica, in Musicologia fra due continenti: l'eredità di
Nino Pirrotta, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 2010, pp. 185-208 (riguarda
il frammento di Verona, segnalato da Nàdas, di notevole importanza come termine
di confronto per la notazione di Faenza 117). In stretta relazione con il saggio del
2006 uscì l'anno successivo, sullo stesso periodico, l'articolo di James Haar e John
Nàdas, Johannes de Anglia (John Hotby): Notes on His Career in Italy, «Acta Musi
cologica», LXXIX, 2007, pp. 291-358, con nuovi dati e indicazioni sulla "scuola"
italiana (e in particolare lucchese) di Hotby. Sono poi in corso di stampa altri con
tributi di Memelsdorff su argomenti che toccano il codice di Faenza, di recente pre
sentati in convegni internazionali: The Codex Faenza 117 and Alternatim Practice
in Late Medieval Italy (Venezia 2007); "Fiortise". Riflessioni preliminari per l'analisi
delle intavolature di Faenza 117 (Certaldo 2009); "Cantus grecus": Again on Codex
Faenza (Venezia 2012), e si attende il lavoro in corso per Brepols (Faenza in Con
text. Codex Faenza 117: The Filiation and Transmission of Instrumental Polyphony
in Late Medieval Italy), che rappresenterà la logica continuazione sul versante sto
rico-filologico del lavoro qui recensito.
Il tomo dedicato allo studio introduttivo, in cui una materia molto vasta e al
quanto sfuggente doveva essere presentata e discussa, ha una organizzazione in
terna ispirata a criteri di chiarezza e funzionalità di esposizione. Punto di partenza
è lo stato degli studi ("Early scholarship", pp. 21-25); seguono le tre parti centra
li nell'economia del discorso: "Codicological survey" (pp. 27-105); "The notation
and repertoire of the early layer" (pp. 107-137); "Historical context, origin, and
dating" (pp. 139-179). Si segnala inoltre l'importanza, ai fini dell'utilità del tomo
come strumento di lavoro, di un inventario che presenta i singoli contenuti musi
cali e teorici del codice secondo i due livelli, visualizzando in parallelo, per ogni
occorrenza, i riferimenti alle tre numerazioni e a quella adottata nel facsimile, la
menzione di elementi identificativi, le attestazioni in altri testimoni e le eventua
li osservazioni e rinvii bibliografici (pp. 181-197). Si apprezza inoltre l'aggiunta
di sei utili appendici e di sei indici che facilitano l'accesso ai contenuti del codi

This content downloaded from


132.229.92.100 on Tue, 29 Aug 2023 07:29:39 +00:00
All use subject to https://about.jstor.org/terms
114 RECENSIONI

ce; anche se certo, in un lavoro musicologico tanto denso e rigoroso, è un pec


che manchi un indice analitico completo, sussidio fondamentale per gli stud
che avrebbe permesso di rintracciare immediatamente nomi e dati di grande
tà per ulteriori ricerche.
Prima di questo lavoro, Faenza 117 non disponeva di una disamina codicol
ca completa, condotta e argomentata col sussidio di strumenti metodologici e
nologici moderni: un compito certamente difficoltoso, perché il codice è torment
to, segnato dalle tracce di interventi stratificati nel tempo. Nel tomo di studi, co
logico, il primo e il secondo livello elaborativo del manoscritto sono trattati separ
tamente, sia sotto l'aspetto codicologico-paleografico sia sotto quello dei conte
e della contestualizzazione.
Per quanto concerne l'aspetto paleografico, l'indagine è analitica e si giova
piamente dell'attuale progresso delle ricerche nel campo. Diversamente dall'op
ne a lungo corrente secondo la quale l'omogeneità di scrittura nel livello più antic
di Faenza 117 farebbe pensare a un solo scriba, Memelsdorff individua quattro m
per le (scarse e brevi) attestazioni di scrittura verbale, e altre quattro per la mus
(a, b, c, D: ma ipotizza - probabilmente a ragione - che A e c potrebbero corrispo
dere alla stessa persona in tempi diversi). Gli scribi musicali a, b, d avrebbero
to un piano originario, poi abbandonato da c o di fatto confuso dai suoi inter
ti. Memelsdorff ritiene comunque che gli scribi non fossero disomogenei fra loro
non nelle tipologie di correzione (con rasura destitutiva o istitutiva, o con correz
ne sovrapposta all'errore, senza rasura).
Per il secondo livello, Memelsdorff propone una ricostruzione dettagliata degl
interventi e del modus operandi di Bonadies, ovviamente ipotetica e basata sulla d
samina di indizi non sempre perspicui, ma argomentata con rigore. Individua
tre tracce di una rilegatura che potrebbe risalire non al primo o al secondo li
- in entrambi il codice ne sarebbe stato sprovvisto -, bensì a padre Martini, o ess
re di poco successiva ma comunque funzionale alla riorganizzazione del codic
lui proposta.
A conclusione della densissima parte dedicata al "Codicological survey" son
chiamate le vicissitudini del manoscritto dopo Bonadies, le osservazioni e le infor
zioni lasciate da Giambattista Archetti, la corrispondenza relativa all'invio di Faen
117 a padre Martini, il lavoro svolto da quest'ultimo e la documentazione relativa;
avanza inoltre qualche ipotesi sulle vicende che dovettero portare il codice all
blioteca Manfrediana di Faenza.
Al centro del lavoro si collocano l'analisi del repertorio trasmesso nel primo li
vello del codice, e una disamina della notazione in cui interagiscono i paramet
diastemazia, ritmo, segmentazione, rubricazione e paratesti (molto utile è leggere
tavole nelle pp. 116-118, in parallelo a quelle, relative agli usi scrittorii dei singol
tatori, a p. 43 del "Codicological survey"). Le identificazioni si sono susseguite
tamente nel tempo, da Plamenac in poi (e anche a questo proposito Memelsdorff h
offerto un importante contributo). Il repertorio del primo livello ammonta, com
detto, a 50 intavolature. Di queste (cfr. la tavola a p. 125), 30 sono su polifonia pr
fana italiana o francese, 15 su tenores liturgici o di sostegno alla danza, 2 da estam
de\ di 3 composizioni il modello non è stato ancora riconosciuto. Tra le musiche d
tempo identificate con certezza c'è anche «Imperiai sedendo fra più stelle» di

This content downloaded from


132.229.92.100 on Tue, 29 Aug 2023 07:29:39 +00:00
All use subject to https://about.jstor.org/terms
RECENSIONI 115

tolino da Padova, e stupisce un poco trovare anche qui (come già in saggi di qual
che altro musicologo) un'attribuzione insostenibile: siccome il madrigale figura nel
codice Modena a.M.5.24 sotto la rubrica Dactalus de Padua fecit, si è di recente dif
fusa l'idea che proprio quella composizione - che in Squarcialupi apre la sezione di
Battolino con relativa miniatura (cosa di norma riservata alle composizioni più fa
mose di ciascun polifonista) - sia da considerare opera di un non meglio identifica
to Dactalus. (Nel volgare italiano tardo-medievale si incontra - di rado - solo come
variante di 'dattero' o è attestato come nome o epileto solo in àmbito ebraico.) La
spiegazione più chiara ed economica della rubrica di Modena a.M.5.24 è che siamo
semplicemente in presenza di una errata trascrizione da un antigrafo che recava un
Bartolus (di cui Cartolino era il normale ipocoristico), in cui la B iniziale, panciuta, si
poteva facilmente confondere con una D con ricciolo, una r minuscola con c, e una
o attaccata al corpo della lettera seguente con a.
La presenza di musica connessa alla liturgia accanto agli adattamenti strumentali
di musica profana (pure spiegabili in funzione liturgica) lascia pensare che a dispor
re la redazione del primo livello del codice possa essere stata un'istituzione religio
sa; restano aperti, comunque, gli interrogativi su datazione e provenienza: dibattuta,
quest'ultima, in passato, con grande disparità di vedute (Lucca? Ferrara? Padova?
Venezia? centri minori di àmbito padano-veneto?). L'opinione di Memelsdorff, ben
argomentata sulla scorta di una serie di evidenti affinità paleografiche e mensurali
con testimoni musicali e teorici settentrionali (il manoscritto 553 di S. Giustina; il
codice Reina; le Regule di Antonio da Leno; alcune indicazioni del trattato di Ver
celli; l'importante - ancorché brevissimo - frammento della Biblioteca Capitolare di
Verona, ampiamente riprodotto con buona leggibilità alle pp. 152-155 del tomo I),
è che il livello più antico del codice sia stato allestito in un arco temporale fra 1400
e 1425 in una comunità conventuale o monastica (carmelitana, o forse benedettina)
dell'Italia del nord-est.
Anche per il livello di Bonadies le ricerche di Memelsdorff hanno prodotto risul
tati nuovi, soprattutto attraverso la riscoperta e l'analisi del codice 518 della Bibliote
ca Teresiana di Mantova, allestito dal frate carmelitano Luca Lanfranchini, probabi
le allievo di Hotby e corrispondente di Bonadies. Il codice teresiano contiene cinque
composizioni polifoniche, di cui quattro (di Hotby) figurano in versione strumenta
le anche in Faenza 117: un Magnificat, due composizioni in onore di Lucca («Diva
panthera per cui fido, possa» e «Ave sublim' e triumphal vessillo»), e una ballata su
testo di Lorenzo de' Medici («Amor ch'ay visto ciascun mio pensieri»). La scoper
ta del codice teresiano - esso ha anche il merito di restituirci l'intonazione musica
le della ballata di Lorenzo, inizialmente commissionata, tramite Piero de' Medici, a
Dufay, il quale dovette poi passare l'impegno a Hotby - è di grande importanza per
la comprensione del secondo livello di Faenza 117 e per il discorso, che apre nuove
prospettive alla ricerca del prossimo futuro, sulla diffusione italiana degli "hotbisti"
in un'ampia rete di città d'àmbito lombardo-veneto e romagnolo, e sulle loro impli
cazioni con l'Ordine carmelitano. Fissare l'attenzione su questo milieu molto con
notato consente a Memelsdorff di definire meglio anche gli orientamenti di pensiero
(di matrice boeziana) e i gusti musicali di Bonadies (assai più incline al contrappun
to semplice che non alle complessità del mensuralismo, e poco interessato alla tec
nica strumentale e alle possibilità dell'organo); ma anche di formulare qualche ipo

This content downloaded from


132.229.92.100 on Tue, 29 Aug 2023 07:29:39 +00:00
All use subject to https://about.jstor.org/terms
116 RECENSIONI

tesi convincente sul perché il contenuto del primo livello avesse per lui un'attrat
tanto scarsa.

La prospettiva in cui Memelsdorff pone Faenza 117 si fonda su una docu


tazione attenta, su una esercitata competenza e sul ricorso - quando necessa
quella di altri, entro il contesto interdiscipinare che compete a un'impresa così
plessa. Il fatto che in Memelsdorff convivano e si sostengano reciprocamen
diversi modi di accostarsi alla musica - quello del musicista, direttore di un
plesso specializzato e interprete raffinato, e quello del musicologo dotato
formazione pienamente consona agli interessi che persegue - deve aver gioc
ruolo non indifferente nel lavoro di esegesi su Faenza 117. Lavoro che non
to finito, ma dovrà procedere, secondo le intenzioni di Memelsdorff, in altre s
attraverso un'analisi filologica sistematica che prevede: dapprima la ricostr
della prima facies e l'indagine su tutte le composizioni (compresi - ove leggibili
palinsesti), tramite l'edizione delle musiche, che permetterà di seguire per ciasc
l'iter nel tempo e nello spazio, di capire da quale antigrafo fosse entrata nel cod
a quali esigenze rispondesse la sua rielaborazione, di che natura fossero le es
ni della scrittura strumentale e con quale scopo si fosse disposta la sua collocazi
nella liturgia; e poi l'analoga ricostruzione della seconda facies, con l'edizio
le musiche e dei trattati inediti e la riflessione sui contenuti e la recezione di t
quelli che ne rappresentano i referenti, per definire compiutamente quali debb
considerarsi gli aspetti specifici e qualificanti del progetto di Bonadies. Anc
terpretazione di padre Martini (che interferì pesantemente sull'organizzazi
terna del manoscritto) è un capitolo importante della vita di Faenza 117, così co
lo è per noi anche quella di Plamenac (che ha condizionato a lungo gli orien
ti della ricerca musicologica).
Se il volume di facsimile offre il vantaggio (e l'emozione) di poter prendere
mano e leggere con agio Faenza 117, lo studio introduttivo valuta con filtro cri
discute, re-interpreta e ripropone, in una aggiornata contestualizzazione, un pa
monio musicale e una tradizione di studi che costituiscono una materia ricc
plessa, problematica. Così che l'edizione, nel suo complesso, si presenta come un
lissimo strumento per la ricerca futura.
Maria Caraci Vela
Cremona

T. Carter - R. A. Goldthwaite, Orpheus in the Marketplace: Jacopo Peri & the Econ
omy of Late Renaissance Florence, Cambridge, Ma. - London, Harvard University
Press, 2013 («I Tatti Studies in Italian Renaissance History»), xiv-479 pp.

Perché un libro su Jacopo Peri? Che cosa se ne può scrivere ancora oggi? Que
sto è forse ciò che musicologi e storici dello spettacolo avranno pensato, nel leggere
il titolo della monografia qui recensita. Ma gli archivi a volte riservano grandi sorpre
se. Ed è proprio da una di queste, ossia il ritrovamento di una serie di libri contabi
li redatti da Jacopo Peri e dai suoi discendenti, che ha avuto origine il volume. Un
contributo scientifico di notevole interesse, reso possibile dalla proficua collabora
zione tra due eminenti studiosi provenienti da àmbiti disciplinari molto diversi: Tim

This content downloaded from


132.229.92.100 on Tue, 29 Aug 2023 07:29:39 +00:00
All use subject to https://about.jstor.org/terms

Potrebbero piacerti anche