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Reviewed Work(s): The Codex Faenza 117: Instrumental Polyphony in Late Medieval
Italy, (I: Introductory Study, II: Facsimile Edition), («Ars Nova», n.s. III) by Pedro
Memelsdorff
Review by: Maria Caraci Vela
Source: Il Saggiatore musicale , 2015, Vol. 22, No. 1 (2015), pp. 111-116
Published by: Casa Editrice Leo S. Olschki s.r.l.
Stable URL: https://www.jstor.org/stable/24642716
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tolino da Padova, e stupisce un poco trovare anche qui (come già in saggi di qual
che altro musicologo) un'attribuzione insostenibile: siccome il madrigale figura nel
codice Modena a.M.5.24 sotto la rubrica Dactalus de Padua fecit, si è di recente dif
fusa l'idea che proprio quella composizione - che in Squarcialupi apre la sezione di
Battolino con relativa miniatura (cosa di norma riservata alle composizioni più fa
mose di ciascun polifonista) - sia da considerare opera di un non meglio identifica
to Dactalus. (Nel volgare italiano tardo-medievale si incontra - di rado - solo come
variante di 'dattero' o è attestato come nome o epileto solo in àmbito ebraico.) La
spiegazione più chiara ed economica della rubrica di Modena a.M.5.24 è che siamo
semplicemente in presenza di una errata trascrizione da un antigrafo che recava un
Bartolus (di cui Cartolino era il normale ipocoristico), in cui la B iniziale, panciuta, si
poteva facilmente confondere con una D con ricciolo, una r minuscola con c, e una
o attaccata al corpo della lettera seguente con a.
La presenza di musica connessa alla liturgia accanto agli adattamenti strumentali
di musica profana (pure spiegabili in funzione liturgica) lascia pensare che a dispor
re la redazione del primo livello del codice possa essere stata un'istituzione religio
sa; restano aperti, comunque, gli interrogativi su datazione e provenienza: dibattuta,
quest'ultima, in passato, con grande disparità di vedute (Lucca? Ferrara? Padova?
Venezia? centri minori di àmbito padano-veneto?). L'opinione di Memelsdorff, ben
argomentata sulla scorta di una serie di evidenti affinità paleografiche e mensurali
con testimoni musicali e teorici settentrionali (il manoscritto 553 di S. Giustina; il
codice Reina; le Regule di Antonio da Leno; alcune indicazioni del trattato di Ver
celli; l'importante - ancorché brevissimo - frammento della Biblioteca Capitolare di
Verona, ampiamente riprodotto con buona leggibilità alle pp. 152-155 del tomo I),
è che il livello più antico del codice sia stato allestito in un arco temporale fra 1400
e 1425 in una comunità conventuale o monastica (carmelitana, o forse benedettina)
dell'Italia del nord-est.
Anche per il livello di Bonadies le ricerche di Memelsdorff hanno prodotto risul
tati nuovi, soprattutto attraverso la riscoperta e l'analisi del codice 518 della Bibliote
ca Teresiana di Mantova, allestito dal frate carmelitano Luca Lanfranchini, probabi
le allievo di Hotby e corrispondente di Bonadies. Il codice teresiano contiene cinque
composizioni polifoniche, di cui quattro (di Hotby) figurano in versione strumenta
le anche in Faenza 117: un Magnificat, due composizioni in onore di Lucca («Diva
panthera per cui fido, possa» e «Ave sublim' e triumphal vessillo»), e una ballata su
testo di Lorenzo de' Medici («Amor ch'ay visto ciascun mio pensieri»). La scoper
ta del codice teresiano - esso ha anche il merito di restituirci l'intonazione musica
le della ballata di Lorenzo, inizialmente commissionata, tramite Piero de' Medici, a
Dufay, il quale dovette poi passare l'impegno a Hotby - è di grande importanza per
la comprensione del secondo livello di Faenza 117 e per il discorso, che apre nuove
prospettive alla ricerca del prossimo futuro, sulla diffusione italiana degli "hotbisti"
in un'ampia rete di città d'àmbito lombardo-veneto e romagnolo, e sulle loro impli
cazioni con l'Ordine carmelitano. Fissare l'attenzione su questo milieu molto con
notato consente a Memelsdorff di definire meglio anche gli orientamenti di pensiero
(di matrice boeziana) e i gusti musicali di Bonadies (assai più incline al contrappun
to semplice che non alle complessità del mensuralismo, e poco interessato alla tec
nica strumentale e alle possibilità dell'organo); ma anche di formulare qualche ipo
tesi convincente sul perché il contenuto del primo livello avesse per lui un'attrat
tanto scarsa.
T. Carter - R. A. Goldthwaite, Orpheus in the Marketplace: Jacopo Peri & the Econ
omy of Late Renaissance Florence, Cambridge, Ma. - London, Harvard University
Press, 2013 («I Tatti Studies in Italian Renaissance History»), xiv-479 pp.
Perché un libro su Jacopo Peri? Che cosa se ne può scrivere ancora oggi? Que
sto è forse ciò che musicologi e storici dello spettacolo avranno pensato, nel leggere
il titolo della monografia qui recensita. Ma gli archivi a volte riservano grandi sorpre
se. Ed è proprio da una di queste, ossia il ritrovamento di una serie di libri contabi
li redatti da Jacopo Peri e dai suoi discendenti, che ha avuto origine il volume. Un
contributo scientifico di notevole interesse, reso possibile dalla proficua collabora
zione tra due eminenti studiosi provenienti da àmbiti disciplinari molto diversi: Tim