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LA VOCAZIONE ORIGINARIA

Uccelli e linguaggio nella macchina antropologica

“Se il linguaggio è sempre, nelle sue profondità,


fisicamente e sensorialmente risonante, allora non si
può mai definitivamente separare dall’evidente
espressività del canto degli uccelli.”
David Abram1

1. (PRELUDIO) OGGI: GENESI

Il sospetto che il linguaggio non sia cosa del tutto umana ha sempre acceso l’immaginazione delle
culture del mondo. Perché allora quella occidentale si mette al mondo reprimendo questa ipotesi? Nel
momento in cui l’Uomo (nel senso che a questa parola danno Michel Foucault e Sylvia Wynter 2)
definisce sé stesso attraverso e in funzione del linguaggio come sua prerogativa, le voci più-che-
umane che partecipano alla polifonia del mondo diventano echi sbiaditi, ricordi che più prova a
sopprimere più il loro (inevitabile) ritorno minaccia di sgretolarne l’identità. Pensandosi coincidente
con il linguaggio, l’Uomo immagina che risalendo alla sua origine troverà sé stesso. Più spesso
invece, trova tutt’altr3.
Per comprendere la di questo sospetto originale dovremo forse partire dalla fonte di quella che, più a
torto che a ragione, chiamiamo “cultura occidentale”3, e prestare attenzione a come essa immagina la
genesi del linguaggio – e quindi anche di sé stessa. Se la Grecia antica è davvero la culla di questo
Uomo, è in effetti in ambiente ellenistico che troviamo sia l’ipotesi dell’origine non-umana del
linguaggio, che la sua risoluta confutazione. In questo contesto – che si rivela particolarmente
interessante anche in virtù della sua commistione di logica e mito, e del suo ruolo nell’evoluzione del
rapporto tra oralità e scrittura4 –, una figura in particolare cattura (o è catturata da) l’immaginazione
dell’Uomo. Specchio acustico della voce umana, nei canti degli uccelli sente l’eco del proprio
linguaggio. Ma un dubbio lo assilla: e se fosse il contrario?

2. IV SECOLO a.C.: MIMOLOGICHE

Democrito è il primo ad immaginare che la poesia sia stata appresa per imitazione degli uccelli.
Questa idea però sopravvive nel pensiero successivo solo come refutazione, o nel migliore dei casi in
forma latente. Per Aristotele, la questione del linguaggio degli uccelli è complessa e degna di
attenzione, ma risolta con l’affermazione dell’articolazione come facoltà esclusiva dell’umano 5.

1
David Abram, The Spell of the Sensuous: Perception and Language in a More-than-Human World. Vintage
Books, 1997. p.80.
2
Quello moderno, razionale, bianco, eterocis.
Michel Foucault, Le parole e le cose. Rizzoli, 1967.
Sylvia Wynter, “Unsettling the Coloniality of Being/Power/Truth/Freedom: Towards the Human, After Man, Its
Overrepresentation–An Argument.” in CR: The New Centennial Review, 3 (3), 2003.
3
Martin Bernal, Atena nera: Le radici afroasiatiche della civiltà classica. Pratiche Editrice, 1991.
In questo classico della storia della cultura l’autore dimostra come l’”invenzione della Grecia” classica sia
avvenuta attraverso la soppressione volontaria delle influenze fenicie ed egizie in seno alla storiografia
occidentale e sotto gli influssi del colonialismo ed imperialismo europeo riverberatisi a tutti i livelli della
produzione culturale a partire dall’età moderna.
4
Eric A. Havelock, Cultura orale e civiltà della scrittura: Da Omero a Platone. Laterza, 2019.
5
Patrizia Laspia, “Il linguaggio degli uccelli: Aristotele e lo specifico fonetico del linguaggio umano” in
Sebastiano Vecchio (cur.), Linguistica impura: Dieci saggi di filosofia del linguaggio fra storia e teoria.
Quando nella Politica distingue la voce umana (phoné semantiké) da quella animale in virtù della sua
facoltà esclusiva di articolarsi in linguaggio, fonda il modello di ogni futura comunità politica
occidentale sull’incapacità dell’Uomo di ascoltare oltre sé stesso 6. Così la “macchina antropologica”7
si mette in moto alimentata dalla forza violenta con cui il logos assoggetta alla propria struttura ogni
altra forma di espressione. È attraverso l’espulsione delle voci che ritiene in-significanti (non solo di
animali ma di donn3, bambin3, schiav3, e barbar3) che la società umana si costituisce come dialogo
fra soli uomini.
Prima di Aristotele ma dopo Democrito, quello platonico si afferma come modello ideale di
questa forma esclusiva di dialogo. In uno di questi, il Cratilo, è il mondo naturale intero ad essere
evocato, solo per essere escluso, dalla scena primaria del linguaggio 8. Socrate ed Ermogene discutono
con il personaggio che dà il nome al testo del rapporto tra linguaggio e realtà. Cratilo sostiene che le
cose e i loro nomi siano intrecciati da un legame profondo: c’è qualcosa nelle cose del mondo che
contiene in nuce il loro nome. Questa intuizione ha molte importanti conseguenze. La prima, e più
rilevante ai fini del nostro ragionamento, è che se le cose chiamano i propri nomi, l’uomo debba averli
appresi ascoltando. Si fa così strada nell’immaginazione l’ipotesi dell'origine onomatopeica del
linguaggio. L’irritazione di Socrate per la strampalata teoria di Cratilo fa eco a quella di Platone,
sostenitore della differenza tra mondo e linguaggio fondata sulla separazione ontologica tra realtà
sensibile e aldilà trascendentale. Ironicamente, non sarà tanto Socrate a spuntarla nel dibattito
moderno sulla natura del linguaggio, ma Ermogene e la sua teoria del nesso arbitrario tra significante
e significato. Senza tante cerimonie, Socrate invita Cratilo e la sua teoria “mimologica” 9 a “farsi un
giro”, letteralmente, nelle campagne circostanti. Ma cosa avrà sentito Cratilo, passeggiando tra i
boschi?10
Più avanti, in età antica e tardoantica, non solo la varietà dei nomi di uccelli, fatto già di per
sé eccezionale, ma anche la singolare corrispondenza tra il loro nome latino e i suoni caratteristici dei
loro canti, destava la curiosità dei lessicografi romani. Marco Terenzio Varrone nel I secolo a.C. e
Isidoro di Siviglia nel VI secolo d.C. notano il carattere onomatopeico della maggioranza dei nomi
delle specie di uccelli e dei verbi utilizzati per descrivere il loro canto – dato d’altronde confermato
dalle ricerche moderne: in latino circa un nome di uccello su tre ha origine onomatopeica 11. Ma
nonostante l’imitazione sonora dei canti degli uccelli fosse un’arte di strada tanto popolare quanto mal
vista, il pensiero antico era ancora lungi dal formalizzare le sue pulsioni non-umane (altrimenti diffuse
nell’immaginario popolare e religioso pagano sempre più marginalizzato) in una teoria coerente
dell’origine del linguaggio12.
Edizioni Novecento, 1996. p.59.
Laspia nota come l’elaborazione da parte di Aristotele dell’esclusività umana del linguaggio fondata
sull’articolazione sia molto più contestata e problematizzata dall’autore stesso di quanto facciano trasparire le
cronache moderne, e che al suo centro ci sia la possibilità, considerata da Aristotele, dell’estendere questa
capacità agli uccelli.
6
Aristotele, Politica, 1253a10–18.
7
Giorgio Agamben, Che cos’è la filosofia? Quodlibet, 2016 pp.30-3; Jacques Rancière, Il disaccordo. Meltemi,
2007, p.2; Adriana Cavarero, A più voci: Filosofia dell’espressione vocale. Feltrinelli. 2003. p.200; Mladen
Dolar, La voce del padrone: Una teoria della voce tra arte, politica e psicoanalisi. Ortothes, 2014. p.125.
8
Platone, Cratilo, 429a-32.
9
Gerard Genette, Mimologiques: Voyage en Cratylie. Seuil, 1976.
10
La scena è meglio descritta da Allen S. Weiss: “È proprio qui nella natura, dove la facoltà mimetica abbonda,
che i due filosofi, passeggiando tra i boschi, potrebbero aver sentito gli echi di una musica naturale che avrebbe
ispirato musicisti, poeti e filosofi di altra levatura”.
Allen S. Weiss, Varieties of Audio Mimesis: Musical Evocations of Landscape. Errant Bodies Press, 2008. p. 14.
11
Bettini, ivi. p. 565.
12
Rimando ancora a Bettini per una discussione della pratica e dell’opinione dei dotti sull’imitazione sonora
degli animali, e in particolare degli uccelli, nei mondi greco e romano antichi. In questo senso è interessante
notare la descrizione che il pseudo-Agostino fa dei culti mitraici descritti nella nota infra n. 8, e del parere di
3. 1772-1781: TEORIE CIP-CIP ALLE ORIGINI DEL LOGOS

Come nota la storica delle religioni Sabina Crippa, la prospettiva greca sulle origini della voce
articolata e del linguaggio costituisce un unicum rispetto alla quasi totalità dei sistemi di credenze
umani. In un contesto globale antico che ha teso quasi universalmente ad attribuirne la genesi a
divinità o entità non-umane, l’approccio greco al problema è risolutamente meccanicistico e
fisiologico13. Ciononostante, l’ipotesi di Cratilo ha inaugurato “una controversia di quattromila anni”
che attraversa tutta l’antichità, il Medioevo, il Rinascimento, fino ad oggi 14. Sarà solo in epoca
moderna, agli albori dell’antropologia come scienza dell’Uomo, che l’ipotesi dell’origine non-umana
del linguaggio si spoglierà definitivamente dei suoi caratteri divini e si ricorderà del canto degli
uccelli.
A causa di tutto il suo corollario di implicazioni (genesi divina o mondana, natura della
cultura umana, la sua razionalità o irrazionalità), il dibattito sull’origine del linguaggio si rianima in
maniera particolarmente vivace in un periodo, l’Illuminismo, in cui ad essere in gioco sono la
sopravvivenza e l’eredità di questi stessi sistemi di pensiero, e di quello greco in particolare. A
distanza di nove anni l’uno dall’altro, i filosofi Johann Gottfried Herder e Jean-Jacques Rousseau
pubblicano due trattati intitolati Saggio sull’origine del linguaggio (1772) e Saggio sull’origine delle
lingue (1781). Ognuno dalla propria prospettiva critica sull’imperante scientismo illuminista, i due
filosofi preromantici sono impegnati in una desacralizzazione dell’uomo in chiave antirazionalista.
Conciliando procedimenti deduttivi e la speculazione a cui è destinata ogni discussione su questo
argomento, pur non spingendosi al punto di smontare la scala naturae su cui per millenni si è retto
l’ordine (divinamente imposto) del mondo, Herder e Rousseau intuiscono la continuità tra uomo e
animale con anticipo sulla teoria della selezione naturale.
Nei loro trattati emerge un’immagine dell’uomo prelinguistico immerso in un ambiente di
comunanza sensoriale con la natura, dal cui ascolto apprende le forme elementari dei suoni che farà
propri. Pur cauti nell’estendere la facoltà del linguaggio agli animali (tra esseri umani e animali
sussiste un abisso incolmabile scavato dall’uomo con l’ingegno), per i due filosofi è comunque del
tutto possibile che il linguaggio sia sorto dall’uomo per “imitazione delle voci di una natura
incessantemente operosa”15. Da questa prospettiva, l’onomatopea, da mostruosità linguistica, diventa
emblema che contiene in germe il linguaggio tutto, evocando un passato in cui l’Uomo apprende, per

Bettini che tali moti di disapprovazione fossero atti a mettere in luce negativa e contenere pratiche pagane a
favore del progressivamente dominante cristianesimo.
Bettini, ibid. p. 56.
Utile alla presente discussione è anche rilevare che con l’avvento dell’egemonia cristiana l’uccello perde i suoi
caratteri sonori per diventare un simbolo ottico dagli attributi morali all’interno di una cornice allegorica. Per
una discussione dell’imitazione degli uccelli interna al cristianesimo in età antica, si veda Patricia Cox Miller,
In the Eye of the Animal: Zoological Imagination in Ancient Christianity. University of Pennsylvania Press,
2018.
13
Nelle rare eccezioni in cui culti associati al pantheon greco – in realtà prodotti del milieu mediterraneo
(greco-romano-egiziano) della tarda antichità – come i misteri mitraici, adducono l’origine del linguaggio a
divinità, generalmente la associano alla figura sincretica di Ermes-Thot, divinità zooantropomorfa i cui tratti di
uccello (le calzature alate nel primo, la testa di ibis nell’altro) simboleggiano il suo ruolo di intermediario tra il
mondo degli umani e quello degli dei. Ai fini della presente discussione, è interessante riportare che i Papiri
Magici Greci, codici che contengono istruzioni per gli operatori rituali, prescrivono di rivolgersi alle divinità
imitando le voci di animali: così Ermes-Thot, dio alato che “[contiene] tutto” è evocato “in ogni voce e dialetto”
(97; PGM XIII, passim.) mentre il Sole “[suo] sottoposto” è invocato “nella lingua degli uccelli: Arai … nella
lingua del falco: hi hi hi hi hi hi hi tip tip tip”.
Sabina Crippa, La voce: Sonorità e pensiero alle origini della cultura europea. Edizioni Unicopli, 2015. p. 75
14
Ivan Fónagy, Le lettere vive: Scritti di semantica dei mutamenti linguistici. Edizioni Dedalo, 1993. p. 17.
15
Johann Gottfried Herder, Saggio sull’origine del linguaggio. Nuova Pratiche Editrice, 1995. p. 78.
poi sottrarre, il linguaggio dalla natura. Per Rousseau, in fin dei conti, “il Cratilo di Platone non è così
ridicolo come sembra essere”16.
Nella storia del pensiero occidentale sul linguaggio, la teoria naturalistica di Cratilo attraversa
momenti di fortuna, di sfavore, e di vero e proprio pubblico ludibrio. Commentando le idee dibattute
in ambito evoluzionistico, il filologo tedesco Max Müller chiamerà ironicamente “teorie bau-bau”
quelle basate sul modello di Herder e Rousseau17. Oggi, dopo il viaggio compiuto attraverso una serie
di figure più e meno marginali della linguistica come Hensleigh Wedgwood 18, Otto Jespersen19,
Roman Jakobson e Linda Waugh20, e Ivan Fónagy21, questa teoria è conosciuta come fonosimbolismo.
Il lavoro di questi studiosi, e gli strumenti dell’analisi linguistica comparativa moderna hanno
contribuito a sistematizzare le ricorrenze onomatopeiche in lingue diversissime tra di loro, rilevando
costanti ed eccezioni. Nonostante questi stessi pensatori ritengano inopportuno estendere le loro idee
all’intera meccanica della significazione linguistica, il cui funzionamento ne eccede in maniera
evidente i presupposti, la teoria fonosimbolista partecipa a quella storia minore impegnata sul fronte
della risonorizzazione del logos e della riscoperta delle origini non-umane del linguaggio.

4. 2.000.000 a.C.-2005: HMMMM, PARTE I

Oggi il fonosimbolismo trova consenso non tanto all’interno della ristretta cornice della linguistica,
quanto in quella, a dire il vero sua propria, del dibattito sull’origine del linguaggio. È in questo
contesto che le voci degli uccelli svettano sulla polifonia naturale per la loro particolare affinità con le
voci umane. Oggi il fatto che il cuculo cuculi in una quantità straordinaria di lingue è più di una mera
curiosità. Questa ricorrenza, la sua perseveranza attraverso storie, lingue e culture diverse, ha portato
il paleontologo e archeologo contemporaneo Steven Mithen ad estendere il suo modello “HMMMM”,
basato sugli aspetti Olistici [holistic], Manipolativi, Multimodali, e Musicali della comunicazione
prelinguistica degli homo primitivi, al suo plausibile carattere Mimetico. Mithen costruisce la sua
proposta sulle ricerche (a sua volta ispirate da Jespersen) dell’etnobiologo Brent Berlin sui nomi che i
popoli Huambisa del contemporaneo Perù utilizzano per denotare pesci e uccelli, rilevando caratteri
onomatopeici che ne rendono possibile l’identificazione anche a chi non ne conosce la lingua,
alludendo ad un ipotetico carattere universale della meccanica onomatopeica 22.
Come se non bastasse, un aspetto per così dire “meta-epistemologico” introduce un’ulteriore
livello di complessità in un rapporto già riverberante. Secondo Mithen, ad accomunare il linguaggio di
uomini e uccelli non sarebbe solo la fonocomunicazione, cioè la condivisa abilità di combinare unità
acustiche altrimenti prive di senso inerente in sequenze codificate 23, ma le modalità di acquisizione e
sviluppo stesso di questa facoltà. L’archeologo si accoda alle sempre più numerose ricerche di
psicolog3 e antropolog3 nel notare la somiglianza, già intuita da Darwin, con cui umani e uccelli
apprendono il linguaggio imitando i propri simili progressivamente, attraversando analoghi stadi di
16
Jean-Jacques Rousseau, Saggio sull’origine delle lingue. Einaudi, 1989. p. 26.
17
Max Müller, Lectures on the Science of Language. Kessinger Publishing, 2003 [1864].
18
Michela Piattelli, Pleasure of imitation: naturalismo e filogenesi del linguaggio nelle teorie di Hensleigh
Wedgwood e di Charles Darwin. Edizioni ETS, 2019.
19
Otto Jespersen, Language: Its Nature, Development and Origin. Routledge, 2013 [1922].
20
Roman Jakobson & Linda Waugh, La forma fonica della lingua. Il Saggiatore, 1984.
21
Fónagy, ibid.
22
Sebbene non ci debbano sfuggire gli aspetti problematici (coloniali ed etnocentrici) della comparazione tra un
popolo indigeno moderno e gli ominidi primitivi, questa ricerca costituisce solo un caso estremo di
riconoscimento dei nomi degli animali oltre le più grandi distanze linguistiche. Questa ricorrenza si può però
notare anche attraverso lingue tra sé più prossime come l’inglese, il francese e l’italiano.
Steven Mithen, Il canto degli antenati: Le origini della musica, del linguaggio, della mente e del corpo. Codice
Edizioni. 2019, pp. 235-6.
23
ivi. nota 26, pp. 386-9.
sviluppo24. Se è dagli uccelli che l’homo apprende ad apprendere il linguaggio, è anche proprio
attraverso di esso che realizza il proprio dominio sulla natura. Alla luce di queste considerazioni, la
nozione dell’esclusività umana del logos rivela sempre di più il suo carattere unilaterale e predatorio.

5. (INTERLUDIO) 2015-2022: ESTÉE LAUDER

Quando l’Uomo si dimostra irriconoscente verso l’animale che ha espulso dalla sua comunità, è ai
suoi margini che voci umane e non-umane ridotte al silenzio possono dare forma a dialoghi più equi.
Dal 2015 al 2022, l’artista Michela De Mattei si incontra regolarmente su Skype con il merlo indiano
Estée Lauder25. Insieme, Michela ed Estée Lauder sperimentano approcci differenti per ragionare sulle
affinità e differenze dei rispettivi sistemi di comunicazione. Interessata alla tendenza umana ad
antropomorfizzare l’animale, Michela individua in Estée Lauder un perfetto interlocutore grazie alla
facoltà tipica della sua specie di imitare non solo il linguaggio umano e altri suoni, ma di riprodurne
fedelmente anche il timbro. Sulla base di quello che ora sappiamo a proposito della possibilità
dell’apprendimento umano del linguaggio per imitazione degli uccelli, gli uccelli imitatori
suggeriscono l’immagine sconcertante di una “imitazione dell’imitazione”.
L’abilità che ha reso merli indiani e altre specie di uccelli imitatori delle popolari attrazioni è
da sempre considerata perturbante (quindi immediatamente affascinante) perché travalica un confine
pensato insuperabile. Animali che “scimmiottano” l’umano ripetendone la voce “a pappagallo” ne
restituiscono un’immagine sonora che lo mette a confronto con quei caratteri irrazionali che a lungo
ha represso e affibbiato a non-umani come animali e macchine26. Ma nelle conversazioni transpecie di
Michela ed Estée Lauder non è tanto la voce dell’uccello a turbare, quanto la violenza di quella
umana.
Incorporando nelle loro chiamate dei video di pedagogia vocale, Michela imposta le sessioni
sfruttando il formato del tutorial per sovvertirne le premesse, che presuppongono un oggetto di
apprendimento acquisire la conoscenza di un soggetto competente imitandone i comportamenti. Ma
alle istruzioni umane Estée Lauder restituisce solo indifferenza e reazioni improvvise a stimoli
misteriosi. Infatti, ad eccezione di qualche battito di ali, le voci (maschili) dei video tutorial sono gli
unici suoni presenti in queste “conversazioni”. Mentre le voci umane invitano l’uccello a imitarle per
attirarlo nella gabbia del logos e parlare "come un “omo”, Michela tenta di mettersi in comunicazione
attraverso forme non-linguistiche come il gesto, la danza, e l’ipnosi.
Ma il punto non è tanto il successo o il fallimento dell’una o dell’altra forma di
comunicazione, dell’apprendimento o meno del linguaggio. E non lo è nemmeno l’inversione dei ruoli
normativi che le dialettiche dell’imitazione e del linguaggio prefigurano: ciò condurrebbe
inevitabilmente alla loro riaffermazione. La riproduzione del logos sulla scena del dialogo transpecie,
l’evocazione delle dinamiche di potere che ne segnano la storia, non produce che straniamento. Il
carattere radicale di queste performance non sta quindi tanto nell’inscenare impossibili quanto
ingenue conversazioni, ma nello stabilire una zona di contatto nello spazio aperto 27 in cui Michela ed

24
ibid.; Dina Lipkind et al., “Stepwise Acquisition of Vocal Combinatorial Capacity in Songbirds and Human
Infants.” in Nature 498, 104-108 (2013).
25
Michela De Mattei, Estée Lauder Series, 2015-2022.
26
Federica Timeto, Bestiario Haraway: Per un femminismo multispecie. Mimesis Edizioni, 2020. pp. 33-4; Joe
Conway, “Words are for the Birds: ‘Non-reasoning Creatures Capable of Speech’ in the Writings of Schreber
and Poe” in Christopher Gogwilt & Melanie D. Holm (cur.), Mocking Bird Technologies: The Poetics of
Parroting, Mimicry and Other Starling Tropes. Fordham University Press, 2018.
Rimando a questo prezioso volume che affronta dalla prospettiva della critica letteraria molti dei temi toccati nel
mio testo.
27
Giorgio Agamben, L’aperto: L’uomo e l’animale. Bollati Boringhieri, 2002.
Estée Lauder possono meditare sulla violenza della mimesi e del suo rapporto con il linguaggio, e
rispondere alle ingiunzioni dell’Uomo col silenzio che si merita 28.

6. 2.000.000 a.C-2005: HMMMM, PARTE II

Gli esperimenti di Michela ed Estée Lauder ci aiutano risalire alle origini profonde del
linguaggio, superando la nozione limitata di esso che ha afflitto e continua a pregiudicare le riflessioni
dell’Uomo moderno. Ma se ogni viaggio a ritroso nel tempo è destinato a deludere le aspettative, il
nostro non farà eccezione. Alla fonte del linguaggio non troveremo la comunanza tra Uomo e natura
idealizzata dai protoromantici ma un dialogo già segnato dal carattere molteplice e ambiguo della
mimesi, che si manifesta tanto nelle forme di relazione che prefigura, quanto nelle modalità specifiche
in cui si esprime. Che il linguaggio primitivo fosse parte di un più ampio sistema di comunicazione in
cui i confini tra differenti forme di comunicazione (vocale, gestuale, tecnica, musicale) erano
indistinti non è solo del tutto probabile, ma è tuttora vero del linguaggio orale contemporaneo,
indipendentemente dalle nevrotiche pulsioni classificatorie della linguistica moderna.
Mithen sottolinea questo aspetto riservando una delle “M” del suo modello di comunicazione
alla Multimodalità del linguaggio che accompagna la storia umana dall’homo ergaster di 2 milioni di
anni fa all’homo erectus contemporaneo. La gestualità del corpo, le espressioni del volto, insieme
all’aspetto sonoro del linguaggio, erano le componenti inscindibili di un sistema di comunicazione nel
quale la mimesi gioca ancora una volta un ruolo fondamentale, legando tutti questi elementi nella
pantomima come modalità espressiva privilegiata. Prima del linguaggio articolato e delle onomatopee,
dunque, l’imitazione (multimodale) degli eventi e dei fatti della natura era un aspetto di primaria
importanza nella comunicazione non solo tra gli ominidi, ma anche tra l’uomo e la natura alla quale
“fa il verso”.

7. 12.000 a.C.-2023: I CACCIATORI CELESTI

La multimodalità della comunicazione dischiude il nocciolo duro del problema della mimesi,
da cui germogliano storie di dominio sulla natura quanto di complicità nelle pratiche di significazione.
Secondo l’antropologo Michael Taussig la mimesi abbraccia due pratiche differenti ma contigue, e
spesso indivisibili: l’imitazione e il contatto29. La prima concerne tutte quelle strategie impegnate
nella riproduzione delle fattezze del suo oggetto di rappresentazione, mentre la seconda è una pratica
gestuale non-rappresentazionale che getta ponti aptici oltre la soglia tra soggetti e oggetti. Per
Taussig, compresa nella sua interezza, la mimesi ha la capacità di stabilire zone di contatto sensuali
che assottigliano la membrana che divide soggetto e oggetto, uomo e natura 30. Questa riflessione si
rivela particolarmente produttiva nell’ascolto di pratiche performative basate sull’imitazione come le
pantomime degli ominidi primitivi o le conversazioni tra Michela ed Estée Lauder (pur se l‘imitazione
è qui evocata ma mai messa in scena) non solo perché ridà corpo ad esperienze troppo spesso filtrate
dalle maglie logocentriche e disincarnanti della metafisica occidentale, ma anche perché tenta di
ricucire gli strappi interni che dividono differenti aspetti (sonori, somatici, tecnologici) di esperienze
meglio intese in un quadro multimodale.

28
Aspetti delle conversazioni tra Michela De Mattei ed Estée Lauder (donna e il merlo indiano immersi in un
silenzio contemplativo) ricordano da vicino la discussione di Madeleine Brainerd & Kaori Kitao “Yogini and
Mynah Bird: On the Poetics and Politics of Transpecies Meditation” in Christopher Gogwilt & Melanie D.
Holm (cur.), ivi.
29
Michael Taussig, Mimesis and Alterity: A Particular History of the Senses. Routledge, 1993.
30
Nicole Shukin, Capitale animale: Biopolitica e rendering. Tamu Edizioni, 2023.
Bisogna però stare in guardia dai tentativi di “reincantare” la mimesi sotto la guisa di una
tecnica rappresentazionale “simpatetica”: occorre rimanere sempre critich3 dei rapporti di potere che
l’umano quasi invariabilmente instaura a favore della propria specie 31. La mimesi e il linguaggio,
come parti di una grande pratica di comunicazione unitaria, rinunciano alla loro potenzialità
simpoietica (di significare-con) l’animale quando si frammentano e si rivoltano contro di esso 32. Dove
si colloca la caccia, ad esempio, nel sistema di comunicazione multimodale immaginato da Mithen –
il quale dà spazio alla “M” di Musica, ma non a quella di Mediale – alla luce di quello che ora
sappiamo sulla pratica diffusa della costruzione, a partire da ossa di uccelli, di strumenti acustici che
imitassero il loro canto per attirarli in trappola, che rende certa la presenza di attività “al crocevia tra
comunicazione, caccia e musica” nelle comunità umane del Mesolitico? 33
Queste storie sempre già intrecciate sono catturate nella rete letteraria di Roberto Calasso, che
ne Il cacciatore celeste scrive:

Per cacciare, occorreva prima imitare. Danzare il passo della pernice, dell’orso, del
leopardo, della gru, dello zibellino. Per diventare predatore, occorreva entrare nei gesti del
predatore e della preda. Così l’imitazione introduceva all’uccisione. E, nascosta
nell’uccisione, si incontrava l’imitazione. La preda veniva attirata e incantata perché si
sentiva chiamata nella sua lingua. In quel momento il cacciatore la colpiva. Cacciatore e
sciamano sono gli esseri più affini. Spesso parlano lo stesso linguaggio segreto, che è poi
quello degli animali34.

31
Timeto, ivi.; Shukin, ivi.
32
Donna Haraway, Chthulucene: Sopravvivere su un pianeta infetto. Nero Editions, 2019.
33
Laurent Davin et al. “Bone Aerophones from Eynan-Mallaha (Israel) Indicate Imitation of Raptor Calls by the
Last Hunter-Gatherers in the Levant.” in Scientific Reports 13, 8709 (2023).
La produzione musicale primitiva è anche il soggetto di due opere artistiche e musicali che hanno
originariamente ispirato questo mio testo, la cui discussione approfondita purtroppo eccede lo spazio concesso:
Neolithic Sunshine, di Matteo Nasini (2018) in cui l’artista mette in scena un’interpretazione personale della
musica primitiva a partire dalla ricostruzione a mezzo stampa 3D di reperti di ossa animali adibite a strumenti
musicali; e, in misura meno lineare, l’esecuzione, a Palazzo Fabroni a Pistoia in occasione della mostra
“Mezz’Aria: La strana apertura della ricerca sonora” una settimana dopo la pubblicazione dell’articolo
sopracitato, della composizione La caccia (1965) di Walter Marchetti, in cui quattro performer eseguono una
partitura per richiami per uccelli.
34
Roberto Calasso, Il cacciatore celeste. Adelphi, 2016.

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