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DIAGONALI
Collana del Dipartimento di Arti e Comunicazioni
dell’Università degli Studi di Palermo
Direttore
Michele Cometa
DIAGONALI
Collana del Dipartimento di Arti e Comunicazioni
dell’Università degli Studi di Palermo
a cura di
Roberta Coglitore
Edizioni ETS
www.edizioniets.com
© Copyright 2007
EDIZIONI ETS
Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa
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Distribuzione
PDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze]
ISBN 978-884671731-3
GRADIENTI DI RECIPROCITÀ
Roberta Coglitore
1 Per un completo esame delle possibilità di incontro tra i due ambiti si rimanda a
M. Cometa, Letteratura e arti figurative: un catalogo, in «Contemporanea», 3 (2005),
pp. 15-29.
2 Le tre modalità cui si fa riferimento vanno ricondotte alle opere di G. Didi-Hu-
berman e della scuola warburghiana, agli studi di P. Hamon sulle imageries letterarie,
quelli di J.A.W. Heffernan e di M. Krieger sulll’ékphrasis, e a quelle di J.-J. Wunenbur-
ger sull’immaginario.
8 Lo sguardo reciproco
anthologie, Paris, Macula, 1991; Id., Du Descriptif, Paris, Hachette, 1993; Id., Imagerie,
Paris, Corti, 2007.
5 R. Caillois, Approches de la poésie, Paris, Gallimard, 1978, p. 254 (trad. mia).
12 Lo sguardo reciproco
Michele Cometa
Filosofia dell’avvenire
le Idee (1787) e Dio. Alcuni dialoghi (1787) e che culmina nella ri-
vista Adrastea (1802 ss.), esempio insuperato, nella cultura tedesca
di quegli anni, di equilibrio tra istanze teoretiche e vis divulgativa.
La rivista Adrastea, al di là della sua forma, si potrebbe dire, “ro-
mantica”, è – come è stato notato – il precipitato più maturo della
“filosofia della storia”5 di Herder e con essa della sua peculiare fi-
losofia della speranza.
Un’influenza decisiva sulla formazione della filosofia della sto-
ria della Goethezeit ebbero quegli scritti di Herder che rispondo-
no, più o meno esplicitamente, alle questioni poste da un dibattito
cruciale del tardo illuminismo tedesco, quello sull’“immortalità”
(Unsterblichkeit)6, che com’è noto fu sustanziato dall’idea di un ri-
torno delle anime (Seelenwanderung) e di una palingenesi di tutte
le cose. Ci riferiamo a Titone e Aurora (1792), cui Hölderlin si ri-
chiamerà per la sua metaforica dello “schlummern”, e ai tre saggi
apparsi sui Fogli sparsi del 1797: Palingenesi. Sul ritorno dell’anima
umana (SW XVI 341-359), Del sapere e non-sapere del futuro (SW
XVI 368-381), Su sapere, presagire, desiderare, sperare e credere
(SW XVI 382-386).
È nel quadro di questa radicale filosofia del futuro che Herder
ricorre alla figura di Nemesi-Adrastea7 per disattivarne – attraverso
una complessa sequenza di risemantizzazioni che tengono conto di
5 Sulla filosofia della storia di Herder e in particolare sulla sua filosofia del futuro
si cfr. almeno M. Maurer, Nemesis-Adrastea oder Was ist und wozu dient Geschichte?, in
K. Mueller-Vollmer (a cura di), Herder Today: Contributions from the International Her-
der Conference, Nov. 5-8, 1987, Stanford, California, Berlin, de Gruyter, 1990, pp. 46-
63 e W. Koepke, Nemesis und Geschichtsdialektik, ivi, pp. 85-96; L.W. Spitz, Natural
Law and the Theory of History in Herder, in «Journal of the History of Ideas», 16.4
(1955), pp. 453-475; J. Schneider, Herders Vorstellung von der Zukunft, in «The Ger-
man Quartely», 75.3 (2002), pp. 297-307; H.D. Irmscher, Gegenwartskritik und
Zukunftsbild in Herders Schrift Auch eine Philosophie der Geschichte zur Bildung der
Menschheit. Beitrag zu vielen Beiträgen des Jahrhunderts, in «Recherches Germani-
ques», 23 (1993), pp. 33-44; E. Palti, The “Metaphors of Life”: Herder’s Philosopy of Hi-
story and Uneven Development in Late Eighteenth-Century Natural Sciences, in «History
and Theory», 38.3 (1999), pp. 322-347.
6 Su ciò mi permetto di rimandare al mio studio Il romanzo dell’Infinito. Mitolo-
gie, metafore e simboli dell’età di Goethe, Palermo, Aesthetica edizioni, 1990, pp. 11-86.
7 Sulla Nemesi nella tradizione letteraria si cfr. almeno: A. von. Premerstein, Ne-
mesis und ihre Bedeutung für die Agone, in «Philologus», 53 (1894), pp. 400-415 e, so-
prattutto, H. Psnansky, Nemesis und Adrasteia, in «Breslauer philologische Abhandlun-
gen», 5.2 (1890), pp. 1-184.
Nemesi-Adrastea 19
8 Si cfr. il capitolo Nemesis der Geschichte nell’Adrastea (SW XXIV, 326 ss.).
20 Lo sguardo reciproco
cuni dialoghi (SW XVI 468 ss.) e nel titolo della rivista che inaugu-
ra il nuovo secolo, l’Adrastea, nome attribuito alla Nemesi dalla
tradizione che fa risalire ad Adrasto la costruzione del suo tempio.
L’Adrastea fu un contenitore enciclopedico in cui Herder intende-
va proprio segnalare ciò che della cultura dei secoli precedenti era
destinato ad una palingenesi nell’incipiente Ottocento.
9 K. Kerényi, Gli dei e gli eroi della grecia, trad. it. di V. Tedeschi, Milano, Gar-
zanti, 1976, vol. I, p. 100 ss.
Nemesi-Adrastea 21
10 Il tempio della dea si trova a Ramnunte e risale al V secolo a.C. Si cfr. l’ap-
voti dei cittadini che favorirono uno dei loro contro il forestiero. Perciò Agorakritos si
dice vendesse la statua a questa condizione, che non rimanesse ad Atene, e la chiamò
Nemesis. Questa statua fu posta a Ramnunte, villaggio dell’Attica, e Marco Varrone la
preferisce a tutte le altre statue».
13 Anche l’altra grande fonte della cultura visuale emblematica, i Hieroglyphica
(1556) di Giovanni Pierio Valeriano, concorda in questo sincretismo. Cfr. Ioannis Pieri
Valeriani Bellvnensis Hieroglyphica seu De Sacris Aegyptiorvm Aliarumque Gentivm Li-
teris Commentarii, Lugduni, Sumptibus Pauli Frelon, M. DCIL, p. 575.
14 J. Pitton de Tournefort, Relation d’un voyage du Levant fait par ordre du Roy:
(Smirne) dicono che a Elena fu madre Nemesi, mentre Leda le offrì il seno e la allevò»
(Pausania, Viaggio in Grecia. Libro primo: Attica e Magaride, introduzione, traduzione e
note di S. Rizzo, Milano, BUR, 1991, p. 289). Sul nesso Nemesi-Elena si veda il bel sag-
gio di F. Jesi, L’Egitto infero nell’Elena di Euripide, in «Aegyptus», 45.1-2 (1965), pp.
56-69 che a sua volta si rifà a K. Kerényi, Die Geburt der Helena, Zürich, Rhein-Verlag,
1945 (trad. it. di A. Brelich, La nascita di Elena, in K. Kerényi, Miti e misteri, Torino,
Bollati Boringhieri, 1979, pp. 35-56).
24 Lo sguardo reciproco
Les Dieux des Grecs & des Romains, Première Partie, Paris, chez Florentin Delaulne-La
Veuve d’Hilaire Foucault-Michel Clousier-Jean-Geoffroy Nyon-Etienne Ganeau-Nico-
las Gosselin et Pierre-Francois Giffart, 1722, vol. I, p. 195, tav. CXCV.
Nemesi-Adrastea 25
Fig. 3. B. de Montfaucon,
Leda e Nemesi, 1722.
1980, p. 450 ss.: «Geflügelte Nemesis, Du des Lebens Entscheiderin,/ Göttin mit ern-
stem Blick, Tochter der Gerechtigkeit,/ Du die der Sterblichen stolz-schnaubenden
Lauf/ Mit ehernem Zügel lenkt;/ Und haßet ihren verderblichen Uebermuth,/ Und
bannt hinweg den schwarzen Neid.// Ringsum dein Rad, das immer-bewegliche,/ Spur-
lose, wendet sich um der Menschen lachendes Glück./ Verborgen gehst du ihrem Fuße
nach/ Und beugst der Stolzen Nacken.// Und mißest am Maase stets der Sterblichen
Leben ab,/ Und blickst zum Busen hinunter mit ernstem Blick,/ Indes die Hand das
26 Lo sguardo reciproco
Joch hält.// Sei gnädig, o Selige, du, des Recht Vertheilerin,/ Geflügelte Nemesis, Du,
des Lebens Entscheiderin,/ Nemesis, dich die Untrügliche singen wir,/ Und ihre Beisit-
zerin, die Gerechtigkeit.// Die Gerechtigkeit, die mit weitem Flügeln fliegt,/ Die
Mächtige, die der Sterblichen hochaufstrebendes Herz/ Der Nemesis und dem Tart-
arus selbst entzeucht». Corsivi miei.
22 J.J. Winckelmann, Versuch einer Allegorie, besonders für die Kunst, (facsimile
(33, 2-3).
28 Lo sguardo reciproco
26 J.J. Winckelmann, Description des Pierre Gravées du feu Baron de Stosch, Baden-
27 Herder stesso chiarisce che Sinnbilder, Denkbilder e Embleme sono per lui sino-
Seznec, La sopravvivenza degli antichi dei. Saggio sul ruolo della tradizione mitologica
nella cultura e nell’arte rinascimentali, trad. it. di G. Niccoli e P. Gonnelli Niccoli, Tori-
no, Bollati Boringhieri, 1990.
Nemesi-Adrastea 31
prio grazie alle immagini che stanno in due libri che determinano
tutta la tradizione emblematica ed iconologica: mi riferisco al Li-
bro degli emblemi (1531) di Andrea Alciato e a Le imagini de i dei
de gli antichi (1556) di Vincenzo Cartari, due raccolte la cui eco
iconografica resistette per alcuni secoli.
Se, come abbiamo già accennato, la Nemesi herderiana opera
un sincretismo moderno – utile alla filosofia della storia – tra ven-
detta e temperanza, nel segno della cristianizzazione, questo lo si
deve, innanzitutto a queste fonti visuali.
Alciato risente ancora pienamente dell’indecisione semantica
che sembra avvolgere l’iconografia della Nemesi. Nella prima edi-
zione conosciuta, e non autorizzata dall’autore, quella di Augusta
del 153130 (fig. 5), la dea, nell’incisione di Jörg Breu, ha ancora de-
cisamente gli attributi della Fortuna. È infatti una dea alata in
equilibrio su una ruota con i caratteristici capelli legati. Tiene in
mano le briglie mentre la mano destra, nonostante l’epigramma al-
luda al “cubito”, è libera e sembra indicare il cielo. Non a caso nel
testo della traduzione tedesca di Jeremias Held, apparsa a Fran-
corforte sul Meno nel 1567, manca il riferimento al “cubito”31.
Nel primo Alciato la Nemesi appare altre due volte, con l’attributo
della spada, oltre che della briglia e delle ali, nell’emblema 46, Illi-
citum non sperandum, dove viene declinata insieme alla Speranza:
«Spes simul & Nemesis nostris altaribus adsunt,/ Scilicet ut speres
non nisi quod liceat» e nell’emblema 11132.
In altre edizioni la pictura cambia completamente. Permane so-
lo l’attributo della briglia. Nell’edizione parigina del 1534 (fig. 6) a
quest’ultima si associa esplicitamente un cubito, l’unità di misura
che la dea brandisce con la mano destra.
Nell’edizione parigina del 154233 (fig. 7), la prima col testo te-
desco, si vede invece una donna finemente vestita, con i capelli
fermati da una cuffia che incede sullo sfondo in un paesaggio
30 Se ne può trovare una riproduzione in A. Henkel, A. Schöne (a cura di), Emble-
mata. Handbuch zur Sinnbildkunst des XVI. und XVII Jahrhunderts, Stuttgart, Metzler,
1967, col. 1811.
31 Ivi, col. 1812.
32 Cfr. Viri clarissimi d. Andree Alciati Iurisconsultiss. Meiol. Ad D. Chonradum
Fig. 5. A. Alciato, Nec uerbo nec fac- Fig. 6. A. Alciato, Nec uerbo nec fac-
to quenquam lædendum, 1531 (inci- to quenquam lædendum, 1534.
sione di J. Breu).
fundrie writers, Englished and Moralized. And Divers Newly Devised, by Geffrey Whit-
ney, Imprinted at Leyden, In the house of Christopher Plantyn, by Francis Raphelen-
gius, M D. LXXXVI, p. 19.
36 A. Politianus, Opera omnia, Venetiis, Aldus Manutius, 1498, s. p. Abbiamo ri-
di), Prints. Thirteen Illustrated Essays on the Art of Print, New York, Holt, Rinehart
and Winston, 1962, pp. 13-38.
38 A. Alciatus, Emblematum Libellus, cit., pp. 42-43: «Das ist die Göttin Nemesis,/
Die get unnß auff dem fueßtrit nach,/ Helt yren arm, tregt ein gebiß,/Lernt das wier nit
seyen so gach,/ Zu thuen aynichem menschen schmach,/ Es sey mit wortten, oder
that:/ Dan gar bald kumbt gewise rach,/Vnd puest sich alle vbelthat».
Nemesi-Adrastea 35
mio a’ buoni, conoscitrice di tutte le cose, onde la finsero gli antichi teo-
logi figliuola della Giustizia, che da certa secreta parte della eternità se ne
stesse a risguardare le opere de’ mortali […] Fu fatta Nemesi alle volte
ancora che nell’una mano tiene un freno e nell’altra un legno con che si
misura, volendo perciò mostrare che debbono gli uomini porre freno alla
lingua e fare tutto con misura39.
La strategia ermeneutica di Cartari è estremamente raffinata,
giacchè per lui si tratta di ricostruire per analogie e differenze il
campo semantico della Fortuna, applicando per così dire una sor-
ta di decostruzione delle immagini e dei simbolismi pervenuti dal-
la tradizione. Herder ne è consapevole perché anche per lui si trat-
ta di recuperare il patrimonio didattico-figurativo della grecità,
rimasto insuperato:
Nessuna nazione li [i Greci] ha eguagliati, né tantomeno superati; così
che si dovette considerare una vera perdita per l’umanità il fatto che la lo-
ro filosofia e la loro simbolica, che la loro poesia e la loro lingua furono
esiliate dal mondo e in particolare bandite dalla vista della gioventù. Io
non vedo come le si potrebbero rimpiazzare. Una prova è il concetto
figurato che ho analizzato (SW XV 423).
Non è questo il luogo per insistere sulle potenzialità di questa
metaforica. Ci limitiamo a segnalare la centralità della cultura vi-
suale greca («von den Augen der Jugend» «der bildliche Begriff»)
Basta leggere tra le righe del testo herderiano per veder compari-
re in trasparenza le immagini di Alciato e Cartari. Assolutamente
evidente è che Herder conoscesse Alciato nell’edizione parigina lati-
no-tedesca del 1542, che ci viene presentata però con una variante:
Chi è quella bella dea che avete dinnanzi? – chiede Philolaus in Dio.
Alcuni dialoghi (1787 e 1800) – Bella come l’amore e seria come la sag-
gezza: guarda in basso il seno velato e tiene il braccio sinistro come se
misurasse qualcosa; la mano compassata tiene un ramo. Vi è qualcosa di
silente nel suo procedere e una grazia sublime in tutto il suo portamento
(SW XVI 468 ss.).
La risposta di Theophron è, a sua volta, un sapiente sincretismo
creato dalle immagini di Cartari:
È seria e bella: poiché è la figlia della Giustizia che non può essere al-
tro che saggia e benevola. Per questo misura con la destra il comporta-
mento e la fortuna dei mortali e abbassa gli occhi sul seno senza prendere
38 Lo sguardo reciproco
partito; a colui però che mantiene la misura porge il ramo della ricom-
pensa. Talvolta ha anche una ruota sotto i piedi: un segno del fatto che sa
precipitare e mandare in rovina la fortuna del tracotante in un attimo con
tocco leggero […]. Il volto serio e benevolo della dea, la sua saggia misu-
ra e il ramo della fortuna che tiene in mano sono simboli sufficienti per
rammentarci l’inflessibile verità naturale: “che ogni patrimonio, ogni be-
nessere, sì l’esistenza stessa delle cose si basa sulla misura, la proporzione
e l’ordine e sussistono solo grazie ad essi” (SW XVI 469).
47 Cfr. anche Ioannis Pieri Valeriani Bellvnensis Hieroglyphica seu De Sacris Aegyp-
Castellini Romano, Per Donato Pasquardi, In Padova, MDCXXX, Parte terza, p. 118.
Nemesi-Adrastea 43
49 W. Malsch, Zur möglichen Bedeutung von Hamanns Bibeltypologie für die Ge-
schichtssicht Herders und der Goethezeit, in B. Gajek (a cura di), J.G. Hamann. Acta des
Internationalen Hamann-Colloquiums in Lüneburg 1976, Frankfurt a.M., Klostermann,
1979, pp. 93-116.
50 Che probabilmente tenne conto in particolare del Cartari, cit., p. 408 ss.
44 Lo sguardo reciproco
Tu ora sai, Winnfried – si legge nel capitolo Die Adrastea des Christen-
tums [L’Adrastea del Cristianesimo] – che cos’è la mia religione delle reli-
gioni. Una Adrastea, ma in una similitudine molto più alta di quella che
diedero i Greci. Per i Greci essa fu dapprima una dea invidiosa, poi una
dea ammonitrice e infine una dea punitrice; il suo motto sommo era: “mai
oltre misura”. La Nemesi del Cristianesimo riporta, sia nel mondo morale
che in quello fisico, equilibrio e ricompensa in tutto, sia nelle cose minime
sia nelle cose grandi, ponendole a fondamento come legge naturale; essa
esalta benignamente la missione dell’uomo nel superamento del male at-
traverso il bene, nella magnanimità perserverante. Essa fa infine dell’uma-
nità l’ago della bilancia e, come compensazione della provvidenza, la voce
decisiva del Giudice del mondo; del Giudice che sempre viene ed è sem-
pre tra noi, che tutto accoglie e tutto risarcisce (SW XXIV 58 ss.).
Scheu, Scham, Vergeltung, Gleichgewicht, Großmut, Hoffnung:
virtù definitivamente cristianizzate che Herder consacra in uno dei
suoi migliori distici che mima un epigramma dell’Antologia Palati-
na51: «Nemesi e Speranza adoro su un unico altare;/ “Spera!” m’a-
postrofa la prima; l’altra: “Mai troppo però!” (SW XV 428)52.
51 Antologia Palatina, a cura di F.M. Pontani, Torino, Einaudi, 1980, vol. III, p.
75: «Presso l’altare disposi Speranza e Nemesi: “Spera!” l’una, “Non possedere!”
l’altra dica».
52 Anche nella tarda Adrastea Herder riprende questo distico nell’ambito di una
riflessione sulla misura e sulla speranza. Cfr. SW XXIII 485 ss. (Säkularische Hoffnun-
gen). Sul nesso Nemesi-Speranza si cfr. F. H. Marschall, Elpis-Nemesis, in «The Journal
of Hellenic Studies», 33 (1933), pp. 84-86.
53 Cfr. M. Cometa, Il romanzo dell’infinito, cit., p. 28 ss.
54 Cfr. E. Polledri, „… immer besteht ein Maas“. Der Begriff des Maßes in Hölder-
55 F. Hölderli, Iperione, trad. it. a cura di G.V. Amoretti, Iperione, Milano, Feltri-
rete subito alle misure estreme, pensate alla Nemesi!”»58. Nel cor-
so del romanzo la Nemesi ricompare più volte e nella sua doppia
declinazione: come incarnazione della «vana tracotanza» (eitel
Übermut) che Diotima ad esempio rinfaccia all’esaltato Iperione
(SWB II 108), nel nome della “Lega della Nemesi”, i rivoluzionari
di Smirne (SWB II 152), ovvero come colei che punisce e restitui-
sce l’equilibrio tra l’agire e il patire: «Ma ogni azione dell’uomo
ha, in ultima analisi, la sua punizione e la Nemesi risparmia sola-
mente gli dei e i bambini»59. Fa capolino qui per altro la concezio-
ne kantiana del castigo come effetto necessario di ogni agire e sua
“misura” ex-negativo, che Hölderlin riprenderà nel saggio incom-
piuto Sul concetto di pena (1795), come vedremo più avanti.
Per il momento intendiamo concentrarci non sul significato me-
taforico che la dea e i campi semantici ad essa collegati hanno nella
poesia e nella filosofia della storia di Hölderlin, quanto segnalare un
percorso della cultura visuale del poeta che risale ad Herder, ma
mostra un’estrema vitalità anche all’altezza temporale in cui il poeta
ne affronta esplicitamente il tema. Ci riferiamo in particolare alle
uniche due liriche in cui Hölderlin cita esplicitamente la dea ricor-
rendo ad un bagaglio figurale che è necessario leggere in trasparen-
za se si vuole coglierne sino in fondo le implicazioni metaforiche.
Si tratta dell’inno Al genio dell’audacia (1793-95) e dell’ode La
pace (1799) che ci giunge in due versioni per altro di difficile resti-
tuzione testuale. Sono due testi di enorme rilevanza per la defini-
zione del rapporto tra Hölderlin e gli accadimenti storici del suo
tempo (sino alla Pace di Rastatt), ma soprattutto rappresentano un
concentrato della sua filosofia della storia proprio a partire dalla
figura della Nemesi.
L’eccezionalità della citazione esplicita della dea – altrimenti
presente nelle liriche solo per riflesso attraverso le figure dei Dio-
scuri (SWB I 760) –, non tragga in inganno: ci troviamo nel cuore
di un complesso intreccio di elementi testuali e visuali che concor-
rono alla definizione del mitologema in funzione anti-herderiana,
come vedremo, ma che nel contempo mettono Herder pure al ri-
paro dal riduzionismo grecofilo che la vorrebbe semplicemente
una “dea della vendetta e dell’invidia” (degli dèi per gli umani!)
60 G.W.F. Hegel, Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XVIII,
p. 249 ss. (trad. it a cura di E. Codignola e G. Sanna, Lezioni sulla filosofia della storia,
Firenze, La Nuova Italia, 1964, vol. II, p. 229). Cfr. Anche, ivi; trad. it. p. 294.
48 Lo sguardo reciproco
ne della tua ira;/ Invano spaventa con la sua rabbia di tigre/ L’antica tene-
bra il tuo tribunale./ Grave ascoltasti la sommessa voce dell’innocenza/
Alla sacra Nemesi tributasti sacrifici61.
61 SWB I 152: «Du wogst mit strenggerechter Schale,/ Wenn mit der Toge du das
den, München, Hanser, 1962, p. 416: «Von dem Taumelkelche des Rächers»; p. 499:
«Der Rache Taumelkelch voll»; p. 513: «mit dem Taumelkelche der Rache».
63 F. Schleiermacher, Über die Religion. Reden an die Gebildeten unter ihren Verä-
chtern, con una postfazione di C.H. Ratschow, Stuttgart, Reclam, 1980, p. 13. Anche
Schleiermacher, in queste pagine fondamentali per l’idealismo tedesco, riprende più
volte la figura della Nemesi mostrando di conoscerne le raffigurazioni emblematiche.
Nemesi-Adrastea 49
64 SWB I 228: «Die Heldenkräfte flogen, wie Wellen, auf/ Und schwanden weg,
du kürzest o Rächerin!/ Den Diener oft die Arbeit schnell und/ Brachtest in Ruhe sie
heim, die Streiter.// O du die unerbittlich und unbesiegt/ Den Feigern und den Über-
gewaltgen trifft,/ Daß bis ins letzte Glied hinab vom/ Schlage sein armes Geschlecht
erzittert. // Die du geheim den Stachel und Zügel hältst/ Zu hemmen und zu fördern o
Nemesis,/ Strafst du die Toten noch es schliefen / Unter Italiens Lorbeergärten» (trad.
it. La pace, in F.Hölderlin, Tutte le liriche, cit., p. 711 ss).
50 Lo sguardo reciproco
nicht von gestern und die zuerst/ Das Maß verloren unsre Väter/ Wußten es nicht, und
es trieb ihr Geist sie»; trad. it. La pace, in F. Hölderlin, Tutte le liriche, cit., p. 713.
Nemesi-Adrastea 51
68 Anche in una lettera al fratello del 1793, durante la stesura del primo inno dun-
que, Hölderlin insisteva sull’idea greca di Nemesi nella storia: «Che Marat, il turpe ti-
ranno è stato ucciso, a quest’ora lo sai. La santa Nemesi, quando sarà tempo, darà an-
che agli altri profanatori del popolo la ricompensa per i loro bassi intrighi e per i loro
disumani progetti» (SWB III 105).
69 D. Henrich, Der Grund im Bewußtsein. Untersuchungen zu Hölderlins Denken
70 Geheim è aggettivo presente anche nell’ode Der Frieden, proprio nei versi dedi-
cit., p. 404.
72 SWB I 228: «Strafst du die Todten noch, es schliefen/ Unter Italiens Lor-
beergärten».
Nemesi-Adrastea 53
DTV-de Gruyter, 1999, vol. V, p. 313 ss. (trad. it., Opere, a cura di G. Colli e M. Monti-
nari, Milano, Adelphi, 1976, vol. VI, tomo II, p. 275 ss).
PSICHE E LA PIRAMIDE
LE ARTI E LA MORTE NELL’ETÀ NEOCLASSICA
Elena Agazzi
1 J.G. Sulzer, Allgemeine Theorie der schönen Künste, 2 voll., Leipzig, Weidmann,
1792. La voce Denkmal si trova nel vol. I, pp. 596-600, la citazione è a p. 599. La tom-
ba di Maria Magdalena Langhans (1723-1751), di cui resta oggi solo un modello in ter-
racotta, si trovava nella chiesa parrocchiale di Hindelbank in Svizzera ed era stata rea-
lizzata da Valentin Sonnenschein (1749-1828) su disegno di August Nahl (1710-1781).
2 Sulzer, che mette mano alla sua opera nel 1763, è ancora lontano dal formulare
un giudizio sul “gusto”, che solo Kant riuscirà a esprimere in modo concreto. Conti-
nuatore nella linea Baumgarten-Meier del dibattito sul principio imitativo della classi-
cità greca e romana, Sulzer non riuscirà ancora a risolvere la sudditanza dell’immagina-
zione alla ragione e rimarrà frenato sulla soglia di un produttivo rinnovamento della
teoria estetica proprio dal tentativo di razionalizzare l’azione creativa dell’artista. No-
nostante questi limiti, l’autore offre un serio contributo critico al raffronto fra il pro-
dotto figurativo del passato e quello del presente, cercando di stimolare il lettore al re-
cupero di una prospettiva etica e morale che si faccia garante dell’imperitura validità
dell’opera d’arte come modello. I testi fondamentali cui si rifà Sulzer sono: A.G. Baum-
garten, Aesthetica, Frankfurt a.M., Klyeb, 1750; G. Fr. Meier, Anfangsgründe aller schö-
56 Lo sguardo reciproco
Fig. 1. V. Sonnenschein,
Tomba di Maria Magdalena
Langhans, II metà del XVIII
secolo.
che nel XVIII secolo univa i vivi al mondo dei defunti attraverso il
rito commemorativo. Cercando di raggruppare sotto voci specifi-
che definizioni e caratteri delle arti figurative e di quelle che, più in
generale, venivano definite arti belle, e particolarmente attento al-
l’aspetto della ricezione dell’opera artistica presso i suoi contempo-
ranei, all’efficacia conseguita nel perfezionamento della tecnica e
nell’adattemento alla richiesta del pubblico, Sulzer avverte un rin-
novamento illuminista in atto anche nel campo dell’arte funeraria.
Philippe Ariès, che ha fornito un contributo rilevante allo stu-
dio sulla morte dal Medioevo ai nostri giorni3, attribuisce al pieti-
5 Tra i contributi più validi sull’argomento cfr. H. Althaus, Laokoon. Stoff und
Form, Bern-München, Francke Verlag, 1968; D.E. Wellbery, Lessing’s Laokoon. Semio-
tics and Aesthetics in the Age of Reason, Cambridge-New York-Melbourne, Cambridge
University Press, 1984. Per un’analisi più circostanziata del mito culturale di Laocoonte
e della sua datazione cfr. B. Andreae, Laocoonte e la fondazione di Roma, Milano, Il
Saggiatore, 1988; e Id., Laokoon und die Kunst von Pergamon. Die Hybris der Giganten,
Frankfurt a.M., Fischer, 1991. Per Winckelmann in rapporto al gruppo del Laocoonte,
cfr. tra l’altro M. Bieber, Laocoon. The influence of the Group since its Rediscovery, New
York, Columbia University Press, 1942 (Detroit, 19672); W. Rasch (a cura di), Bildende
Kunst und Literatur. Beiträge zum Problem ihrer Wechselbeziehungen im 18.
Jahrhundert, Frankfurt a.M., Klostermann, 1970, pp. 59-78; H.B. Nisbet, Laokoon in
Germany: The Reception of the Group since Winckelmann, in «Oxford German Stu-
dies», 10 (1979), pp. 22-63; N.R. Schweizer, The Ut Pictura Poesis Controversy in Eigh-
teenth Century England and Germany, Frankfurt a. M.-Bern, Lang, 1972; Aa.Vv., Lao-
coonte 2000, Palermo, Aesthetica edizioni, Preprint, 35, 1992.
Psiche e la piramide 59
6 G.E. Lessing, Laokoon oder über die Grenzen der Malerey in Id., Schriften II.
Antiquarische Schriften, a cura di K. Beyschlag, Frankfurt a.M., Insel Verlag, 19863, cit.,
p. 138. Per l’edizione italiana si veda G.E. Lessing, Laocoonte, a cura di M. Cometa,
Palermo, Aesthetica edizioni, 1991, p. 102 ss.
7 G.E. Lessing, Wie die Alten den Tod gebildet, in Id., Schriften II, cit., pp. 172-
223 (trad. it. di S. Sciacca, Come gli antichi raffiguravano la morte, prefazione di A. Pes,
Palermo, Novecento, 1983). Nel 1981 è stata organizzata a Kassel una mostra dal titolo
Wie die Alten den Tod gebildet. Wandlungen der Sepulkralkultur 1750-1850 che parten-
do proprio dall’esempio di Sulzer sopra citato, illustra le tappe dei cambiamenti nella
concezione culturale cimiteriale tra la seconda metà del Settecento e la seconda metà
dell’Ottocento.
60 Lo sguardo reciproco
8 J.J. Winckelmann, Geschichte der Kunst des Altertums, Dresden, Walther, 1764;
per l’edizione italiana cfr. J.J. Winckelmann, Storia dell’arte nell’antichità, trad. it. di
M.L. Pampaloni, con uno scritto di E. Pontiggia, Milano, SE, 1990.
Psiche e la piramide 61
den-Baden-Straßbourg, Heitz, 1964; per la trad. it. cfr. Saggio sull’Allegoria, particolar-
mente per l’arte in Id., Opere di G.G. Winckelmann, prima edizione italiana, a cura di
C. Fea, Prato, Fratelli Giachetti, 1830-34, vol. VII.
12 Ivi, voll. IV, p. 76 ss. (trad. it., vol. VII, p. 423 ss).
13 Cfr. R. Fabretti, Inscriptionum antiquarum, quae in aedibus paternis osservantur,
14 J.J. Winckelmann, Versuch einer Allegorie, cit., p. 77 (trad. it., vol. VII, p. 426).
15 G.E. Lessing, Schriften II, cit., p.174 (trad. it. p. 73).
16 Sarpedonte, figlio di Giove e di Europa, fratello di Minosse, abbandonò Creta e si
recò in Licia da dove corse in aiuto di Troia contro i Greci; Patroclo lo uccise in battaglia.
64 Lo sguardo reciproco
17 Ph. D. Lippert (1702-1785) fu, a partire dal 1764, professore di arte antica pres-
19 L. Uhlig, Wie die Alten den Tod gebildet. Das Bild des Todesgenius bei Winckel-
mann, Lessing und Herder, in «Lessing Yearbook» 6 (1974), pp. 13-35. L. Uhlig ha
scritto anche un lavoro più esteso sull’argomento, dal titolo Der Todesgenius in der
deutschen Literatur. Von Winckelmann bis Th. Mann, Tübingen, Niemeyer, 1975.
66 Lo sguardo reciproco
furt a. M., Insel Verlag, 1974; delle Veglie esistono due edizioni italiane: una a cura di P.
Collini, Veglie, Venezia, Marsilio, 1990, che preferisce non optare per uno dei presunti
autori dell’anonimo libretto, e una di E. Agazzi, Veglie di Bonaventura, Parma, Guanda,
1989, in cui si accetta invece l’attribuzione dell’opera a Klingemann (1773-1831), diret-
tore teatrale noto per la sua prima rappresentazione del Faust (1829). La citazione è
tratta da questa edizione a p. 114.
Psiche e la piramide 67
23 Ivi, p. 116.
68 Lo sguardo reciproco
24 J.G. Herder, Briefe und Aufzeichnungen Über eine Reise nach Italien 1788/1789,
Berlin, Rütten & Loening, 1980, p. 53. Vale la pena di ricordare qui che Herder scrisse
un discorso commemorativo in onore di Winckelmann dal titolo Denkmal Johann
Winckelmanns. Demselben vor der Fürstl. Akademie der Alterthümer zu Cassel bei An-
laß der ersten Preisgabe im Jahre 1777 errichtet, che in realtà fu pubblicato solo nel
1842; ne apparve un’edizione ridotta sul Teutscher Merkur dell’autunno 1781 insieme ai
necrologi per Lessing e Sulzer.
25 J.G. Herder, Briefe und Aufzeichnungen. Über eine Reise nach Italien 1788/
cui vengono descritti alcuni pezzi della collezione. Tra gli altri:
«Un Romano disteso con il busto della moglie sul grembo e le
gambe incrociate l’una sull’altra. Un monumento funerario; [...]
Un grande bassorilievo: Peleo va da Teti e Amore la disvela. Sul-
l’altro lato Diana fa visita a Endimione con presente Morfeo che
ha ali di farfalla. Dev’essere presente nei Monumenti di Winckel-
mann [...]. Un bel bassorilievo che raffigura un morente; un altro
lo sorregge. Nei Monumenti di Winckelmann»27. Ma è sicuramen-
te nel Museo Capitolino che Herder può trovare il maggior nume-
ro di soggetti funerari e scoprire nuovi simboli iconografici. Nel
sarcofago numerato come primo, Herder osserva che la figura gia-
cente, probabilmente il morto, tiene nella mano destra un papave-
ro. Questo fiore è presumibilmente indicativo di una dolce dipar-
tita dalla vita, senza traumi né dolori. Il defunto è assistito da un
genio che imbecca un uccello con dei chicchi d’uva, un motivo ri-
preso da uno degli Epigrammi veneziani di Goethe, composto dal-
lo scrittore nel 1790 e intitolato Sarcofagi ed urne, in cui si dice:
«Sarcofagi ed urne ornava il pagano con espressioni di vita: intor-
no danzano fauni, e col coro delle baccanti./ Variopinta teoria for-
mano; il capripede trae, enfiando le guance, un suono roco e sel-
vaggio dell’echeggiante corno./ Cembali e tamburi rullano; il mar-
mo lo vediamo e l’udiamo. Uccelli svolazzanti, come piace al vo-
stro becco la frutta squisita! Né lo strepito vi spaventa, e ancora
meno spaventa Amore, il quale della fiaccola allora comincia a go-
dere, che si trova nel variopinto tumulto./ Così sulla morte l’opu-
lenza domina e le ceneri entro l’arca, tranquillo recinto, ancora
sembrano goder della vita./ Così, dunque, in un lontano futuro,
attorno al sarcofago del poeta questo volume si stenda, ch’egli
ornò riccamente di vita»28. Poiché il bassorilievo del sarcofago è
costruito per riquadri, avviene che alcune figure caratteristiche
diano luogo ad un vero e proprio rito narrativo: da qui derivano al
soggetto, ancorché funebre, vita e letizia. Amore e Psiche, Psiche
che regge un fuso e fila, Minerva che tiene in mano una farfalla, il
29 Sullo specifico tema del culto delle anime e della fede degli antichi Greci nel-
l’immortalità si segnala di E. Rohde, Die Religion der Griechen: Rede zum Geburtsfeste
des hochstseligen, Heidelberg, Univ.-Buchdruckerei Horning, 1895 e Psiche. Seelenkult
und Unsterblichkeitsglaube der Griechen, 1898 Heidelberg (1893; trad. it. di E. Codi-
gnola e A. Oberdorfer, Psiche: culto delle anime e fede nell’immortalità presso i Greci, 2
voll., Bari, Laterza, 1914-16), che per quanto datato, offre interessanti spunti sull’argo-
mento alla luce di un confronto con i poemi omerici.
30 C. Calame, I Greci e l’eros. Simboli, pratiche e luoghi, Bari, Laterza, 1992, p. 116.
31 N. Himmelmann, Winckelmanns Hermeneutik, in «Abhandlungen der Geistes-
und Sozialwissenschaftlichen Klasse», n. 12, 1971, Mainz, Verlag der Akademie der
Wissenschaften und der Literatur, pp. 3-22.
Psiche e la piramide 71
32 Ivi, p. 14.
33 J.W. Goethe, Viaggio in Italia, a cura di E. Castellani, Milano, Mondadori, 1983,
p. 164.
34 S. Maffei, Verona illustrata, con giunte, note e correzioni inedite dell’autore,
noi non siamo tutti immortali allo stesso modo e per potersi manife-
stare in futuro come grande entelecheia, bisogna anche esserlo»36.
A proposito del mutato atteggiamento nei confronti delle sepol-
ture dopo il 1760, Philippe Ariès ricorda: «Si rimproverava alla
Chiesa d’aver fatto tutto per l’anima e niente per il corpo, di pren-
dere i soldi delle messe e di disinteressarsi delle tombe. Si ricorda-
va l’esempio degli antichi, la loro pietà per i morti, testimoniata
dai resti delle loro tombe, dall’eloquenza della loro epigrafia fune-
raria [...]. Si va dunque a visitare la tomba di una persona cara allo
stesso modo in cui si va da un parente o in casa propria, piena di
ricordi. Il ricordo conferisce al morto una specie di immortalità,
che in principio era estranea al cristianesimo»37. Per Ariès questo
nuovo atteggiamento ritualistico può essere indubbiamente attri-
buito al fatto che proprio in questo periodo, soprattutto tra le fa-
miglie borghesi dotate di maggiori mezzi economici, viene inaugu-
rato l’uso della “sepoltura di famiglia”, attuato per mezzo di cap-
pelle e di loculi raggruppati.
Per tutto il Medioevo, al contrario, le sepolture venivano effet-
tuate individualmente, anche in virtù della convinzione che l’ani-
ma non dovesse attendere il Giudizio Finale per essere giudicata,
ma venisse rimessa alla volontà divina fin dall’istante del decesso.
La morte di un individuo, nel Settecento, rende partecipi tutti i
congiunti della sorte dell’estinto, non più affidata esclusivamente
alle preghiere in chiesa, ma anche alla pietà di coloro i quali gli fu-
rono più vicini in vita. L’archeologia moderna, che in questi anni
tra il 1750 e il 1800 è ai suoi albori, assegna alla visita dei luoghi in
uso per i culti funerari il senso di un intimo incontro con quei de-
funti che, commemorati dai loro cari molti secoli fa, possono esse-
re ancora ricordati per la semplicità degli affetti, cui rinviano i ge-
sti e i riti quotidiani scolpiti nella pietra.
Nello stesso anno in cui Goethe è in viaggio in Italia, un altro
grande tedesco assapora la gioia di visitare quei luoghi «cari agli
dei». Si tratta di Karl Philipp Moritz che, in seguito alla propria
esperienza nella penisola, dedica gran parte delle riflessioni sul
mondo mediterraneo alla mitologia greca, cioè la Mitologia o poe-
38 K. Ph. Moritz, Über die bildende Nachahmung des Schönen, in Id., Werke, a cura
di H. Günther, Frankfurt a.M., Insel Verlag, 1981, vol. II, pp. 576-577 (trad. it. in Id.,
Scritti di Estetica, a cura di P. D’Angelo, Palermo, Aesthetica edizioni, 1990, p. 89).
39 K. Ph. Moritz, Götterlehre oder Mythologische Dichtungen der Alten, in Id.,
41 Dello Spaziergang nach Syrakus im Jahre 1802 di Seume esistono quattro edizio-
ni ottocentesche del 1803, 1805, 1811, 1817-19. Si fa qui riferimento a una delle edizio-
ni più ampie delle opere, J.G. Seume, Werke in zwei Bänden, 2 voll., a cura e con un’in-
troduzione di A. Klingenberg, K.H. Klingenberg, Weimar, Volksverlag, 19623, che con-
tiene un estratto dello Spaziergang. Per l’edizione italiana, cfr. J.G. Seume, L’Italia a pie-
di 1802, a cura di A. Romagnoli e G. Garbin, introduzione di A. Romagnoli, note di F.
Marenco, Milano, Longanesi, 1973.
42 F.L. Graf zu Stolberg, Reise in Deutschland, der Schweiz, Italien und Sicilien in
opere dell’arte antica, non avrebbe mai supposto che i Greci aves-
sero solo rappresentato il bello. È vero che anche una Furia può
avere una sua spaventosa bellezza, così come le Grazie possono
dotarsi forse di terribilità [...]. Alcune delle loro Furie sono, però,
dotate di disgustosa terribilità»43. Stolberg, diversamente dagli al-
tri viaggiatori in visita in Italia, i quali per lo più circoscrivevano le
loro riflessioni sulla morte in occasione delle visite ai musei o ai
luoghi di devozione, sente aleggiare costantemente in Roma la pre-
senza di quei defunti che, nell’onore o nell’ignominia, sono stati
affidati alla memoria dei loro eredi spirituali. Una considerazione
sull’arte plastica e sulla volontà dell’artista antico di immortalare
l’uomo del suo tempo merita particolare attenzione: «Un certo
qual carattere di durezza, di mancanza di partecipazione connota
la maggior parte delle teste delle statue antiche, sia degli dei che
degli uomini, sia di sesso maschile che femminile. A condizione
che non mi sbagli, così ebbe il suo effetto la rappresentazione del-
la transitorietà e della morte, che si protende ancora sulla fantasia
dell’artista pagano [Tanelegéos thanatoìo]; ebbe vario effetto, a se-
conda che il suo carattere si piegasse a questa impressione o cer-
casse di resistervi. Agì a partire dal cuore, attraverso il braccio e lo
scalpello [...] Sui tratti stessi dell’eterna giovinezza divina aleggia,
come una nube oscura, il pensiero della morte»44.
Non si può avere un quadro più efficace del rispetto e dell’en-
tusiasmo con cui l’uomo del Settecento coltivò il proprio interesse
per il mondo antico, di quello che ci fornisce Giovanni Paolo Pa-
nini nella tela intitolata Galleria immaginaria con le vedute di Ro-
ma antica del 1756, cioè dello stesso anno in cui furono pubblicati
i Pensieri sull’imitazione di Winckelmann. Una composizione,
questa, che pur nella ricchezza dei soggetti che vi vengono raffigu-
rati (tele di celebri monumenti romani, sarcofaghi, lastre incise,
statue e vasi ornati di bassorilievi) non trascura il clima di quiete
melanconia di cui il XVIII secolo, con la nostalgia per l’antica
grandezza imperiale romana e per quella repubblicana ateniese, è
pervaso. I monumenti romani, strappati al loro contesto paesaggi-
stico e trasformati in quadri, sono incorniciati e costretti alla legge
della bidimensionalità. Sempre in quanto quadri, riempiono ogni
45 J.G. Seume, Werke, cit., vol. I, pp. 289-290. J.C. Reinhart (1761-1847), allievo di
Oeser a Lipsia e di Klengel a Dresda, entrò in rapporti di amicizia con Schiller. Il suo
stile realistico subì l’influenza di J. A. Koch e quando fu a Roma la sua pittura si con-
notò per un tono eroico-classicista. Scrisse anche saggi e poesie, permeate di forti ac-
centi satirici. K.L. Fernow (1763-1808) visse tra il 1794 e il 1797 a Roma, dove divenne
amico di Carstens e dove tenne lezioni sull’arte influenzate dalle teorie di Kant. Nel
1802 divenne professore di filosofia a Jena e nel 1804 bibliotecario della Granduchessa
Amalia a Weimar.
80 Lo sguardo reciproco
lia fino al secolo di Canova del conte Leopoldo Cicognara per servire di continuazione alle
opere di Winckelmann e di D’Agincourt, Prato, F.lli Giachetti, 1823-242, vol. VII, p. 176.
49 G. Pavanello, Antonio Canovae Veneto..., in Antonio Canova, catalogo della Mo-
stra tenutasi presso la Gipsoteca del Museo Correr di Venezia, 22 marzo-30 settembre
1992, Venezia, Marsilio, 1992, pp. 45-50.
Psiche e la piramide 81
romantici, in Arte Neoclassica, Atti del Convegno del 12-14 ottobre 1957, «Civiltà vene-
ziana di Studi», 17 (1964), pp. 39-66, citaz., p. 52.
84 Lo sguardo reciproco
59 Cfr. Fr. Noack, Das deutsche Rom, Roma, Verlag von Frank, 1912, pp. 40-49.
Psiche e la piramide 89
Tübingen, Cotta, 1805, viene qui citato nell’edizione delle Schriften zur Kunst, vol. XIII
della Gedenkausgabe (GA), a cura di Ch. Beutler, Zurigo, Artemis, 1954, pp. 407-450;
per la trad. it. si veda J.W. Goethe, Vita di J.J. Winckelmann, a cura di E. Agazzi, con
uno scritto di G. Cusatelli, Bergamo, Moretti & Vitali, 1992, citaz., p. 29.
90 Lo sguardo reciproco
alla cultura europea i suoi Inni alla Notte63. L’occasione del capola-
voro fu la scomparsa dell’amata, Sophie von Kühn, che spira a soli
quindici anni. Come si evince dalle annotazioni del diario di Nova-
lis su quei difficili giorni del maggio 1797, il rapporto con l’oggetto
della sua passione viene risolto eroticamente grazie ad una costante
visita alla tomba; là egli confessa di aver provato «selvaggi momen-
ti di gioia»64. Attraverso questo rito matura via via in Novalis un ir-
refrenabile desiderio di ricongiungersi con la cara sposa in un
mondo in cui il sacrificio della vita stessa possa avere il significato
di una purificazione universale nell’amore. Questa tensione dei
sensi e dell’anima, che potrebbe risolversi da un momento all’altro
in follia, sfocia invece nell’impareggiabile vibrazione poetica degli
Inni. Dalle evidenti contrapposizioni (giorno e notte) e implicazio-
ni (amore e morte), il poema si dipana in una sorta di viaggio attra-
verso «una sfumata pluralità di percorsi, collegamenti, risponden-
ze»65. L’osservazione di Luciano Zagari su questo magico muta-
mento di paradigma abbraccia d’un sol colpo tutto il clima cultu-
rale dell’epoca: «Solo su questa nuova base si compirà lo sviluppo
che assicura agli Inni alla Notte una posizione poetica inconfondi-
bile nell’ambito di quella grande polemica settecentesca che ha in-
vestito la densità antropologica della dimensione della civiltà. Que-
sta polemica ha dato luogo a una ripresa alluvionale dei grandi miti
culturali, solari e notturni, in cui si sono cristallizzati opposti ap-
procci al grande tema della civiltà da accettare o da respingere, in
connessione o in contrapposizione con l’affiorare incalzante della
nuova soggettività o addirittura interiorità»66.
Se il tema degli Inni alla Notte è lo spegnersi del giorno e l’ac-
cendersi delle luci segrete e interiori della notte, all’interno di que-
sto graduale passaggio vengono attratti tutti i simboli di quell’ico-
63 Degli Hymnen an die Nacht esiste un’agile edizione nei Werke in einem Band, a
cura di H.-J. Mähl e R. Samuel, München, Hanser, 1981; per i versi tradotti si fa riferi-
mento alla trad. it. curata da G. Cusatelli, Novalis, Opere, Milano, Guanda, 1982 (trad.
degli Inni a cura di A. Lumelli).
64 Novalis, Schriften, 4 voll. a cura di P. Kluckhohn, Leipzig, 1929, Bibliogr. Inst.
vol. IV, p. 386. Ne dà conto, tra gli altri, G. Schulz nella sua monografia Novalis, Rein-
bek bei Hamburg, Rowohlt, 1987, p. 69.
65 L. Zagari, «Quando sarà l’ultimo mattino». Gli «Inni alla Notte» di Novalis e la
strutturazione romantica del nulla, in Aa.Vv., Problemi del Romanticismo, Atti del Con-
vegno, Taranto, 21-23 aprile 1983, Milano, Shakespeare & Co., 1983, vol. II, p. 422.
66 Ibidem.
92 Lo sguardo reciproco
Paolo D’Angelo
Pigmalione rovesciato
dagli dèi che essa si animi e diventi una fanciulla in carne ed ossa;
un mito che dall’archetipo ovidiano, nel decimo libro delle Meta-
morfosi, trapassa nell’ultima parte del Romanzo della rosa e poi va
incontro a riprese innumerevoli, in particolare nella letteratura del
diciottesimo secolo1.
Un altro è la storia della statua antica di Venere della quale un
giovane si innamora dopo averle posto al dito, per gioco, il pro-
prio anello nuziale: una storia che si ritrova, probabilmente per la
prima volta, in una cronaca inglese del dodicesimo secolo, Le gesta
del re degli Angli di William of Malmesbury, e che poi transita in
tutte le letterature occidentali, dal Diavolo innamorato di Cazotte
al racconto di Achim von Arnim Raffaello e le sue vicine, dalla Ve-
nere d’Ille di Merimée al racconto di James L’ultimo dei Valerii, fi-
no alle riprese novecentesche di D’Annunzio, nella Pisanella, o di
Anthony Burgess, in Santa Venere2.
E c’è, quasi ad ammonire che la creazione dell’immagine dipin-
ta o scolpita cela sempre un innamoramento per la persona ritrat-
ta, il mito raccontato da Plinio sull’origine della pittura e della
scultura: la storia di Butade di Sicione, il vasaio che scorge il profi-
lo che la figlia ha tracciato con un pezzo di carbone sul muro, se-
guendo i contorni dell’ombra del suo amato, prossimo a partire,
e ne trae l’idea di forgiare in creta la medesima immagine. Così
nascono non solo le due arti, ma anche un topos che andrà incon-
tro ad infinite variazioni, quello dell’effigie come sostituto della
persona amata3.
Per rifare la storia di ognuno di questi temi non basterebbe un
libro voluminoso; di fatto ce ne sono già molti, e alcuni pregevoli,
su tali argomenti4. Non seguiremo dunque questa strada. Vorrem-
mo lasciarci alle spalle anche tutte le riprese degli stessi temi o di
temi simili nelle letterature dell’età romantica, nelle quali abbon-
dano le passioni per le immagini dipinte o scolpite (dall’Hoffmann
degli Elisir del Diavolo allo Heine delle Notti fiorentine) e gli haun-
ted portraits (dal Castello di Otranto di Walpole al Ritratto ovale di
Poe), per puntare su di una particolare declinazione del tema del
fascino dell’immagine artistica per il suo creatore in alcuni testi tra
la fine dell’Ottocento e i primi decenni del secolo scorso.
Ci occuperemo più estesamente di tre testi teatrali che presen-
tano alcune notevoli analogie tematiche: Quando noi morti ci de-
stiamo di Ibsen5, la Gioconda di D’Annunzio6 e Diana e la Tuda di
Pirandello7. Nel passare dall’uno all’altro di questi testi, dediche-
3 Per il tema della figlia di Butade e della origine della pittura e della scultura (la
cui fonte è in Plinio, Naturalis Historia, XXXV, 151), soprattutto da un punto di vista
iconografico: R. Rosenblum, The Origin of Painting: a Problem in the Iconography of
Romantic Classicism, in «The Art Bulletin», n. 39 (1957), e gli Addenda di G. Levitine,
sempre in «The Art Bulletin», n. 40 (1958).
4 In generale sui temi relativi alle immagini animate andrà visto Th. Ziolkowski,
Disenchanted Images. A Literary Iconology, Princeton, Princeton UP, 1977 (contiene tre
capitoli tematici: uno dedicato a «Venus and the Ring», uno a «The haunted Portrait»,
uno a «The magic Mirror»); D. Freedberg, The Power of Images, Chicago, University of
Chicago Press, 1989 (trad. it. di G. Perini, Il potere delle immagini, Torino, Einaudi,
1993), tratta molti temi vicini a quelli da noi toccati, in particolare nel cap. XII, «Arou-
sal by Image». Il volume di Maurizio Bettini, Il ritratto dell’amante, Torino, Einaudi,
1992, si sofferma su molti temi relativi alla passione per l’immagine dipinta o scolpita, e
tra di essi anche su quelli di Pigmalione e di Butade. Il testo di Bettini, molto ampio e
documentato, è centrato principalmente sulle letterature classiche, ma non manca di in-
teressanti aperture sulle riprese dei temi dell’amore per l’immagine nelle letterature
moderne. In più, si tratta di un testo di piacevole lettura, e ricco di segnalazioni su altra
letteratura in argomento.
5 Tutte le citazioni da Quando noi morti ci destiamo di Ibsen sono tratte dalla tra-
duzione italiana di L. Ulisse, in H. Ibsen, Tutto il teatro, con introduzione di P. Chiari-
ni, Roma, Newton Compton, 1973.
6 Citiamo da G. D’Annunzio, La Gioconda, introduzione, bibliografia e note di
I. Caliaro, Milano, Mondadori, 1990.
7 Citiamo da L. Pirandello, Diana e la Tuda. Sagra del signore della nave, a cura di
C. Simioni, Milano, Mondadori, 1980.
96 Lo sguardo reciproco
sono state notate molte volte, ma non risulta siano state fatte oggetto di una considera-
zione specifica e soprattutto allargata ai riscontri tematici nella letteratura coeva. Si può
vedere, da ultimo, A. Bisicchia, D’Annunzio e il Teatro, Milano, Mursia, 1991, pp. 40-
57; I. Caliaro, Introduzione, in G. D’Annunzio, La Gioconda, Milano, Mondadori,
1990; P. Perria, Tra applausi e fischi: “La Gioconda” di Gabriele D’Annunzio, Firenze,
Atheneum, 1992.
11 La citazione di Ceronetti sulle modelle negli studi dei pittori è tratta da G. Ce-
ronetti, in La modella elettronica, D.D. Deliri Disarmati, Torino, Einaudi, 1993. Sul te-
ma vedi anche L. Spadanuda, Le modelle di nudo, Roma, Mare Nero, 2001.
Amare una statua 97
Fig. 1. Jean-Léon Gérôme nel suo studio, fotoincisione del 1890 ca.
12 B. Cellini Vita, a cura di E. Camesasca, Milano, Rizzoli, 1985, libro II, cap.
XXXIV, p. 482.
13 La storia di Filippo Lippi e di Lucrezia Buti è narrata da Vasari nelle Vite.
14 La storia di di Apelle e Campaspe o Pancaspe si ritrova in Plinio, Naturalis Hi-
vedere N. Pevsner, Academies of Art, Past and Present, Cambridge, Cambridge UP,
1940 (trad. it. di A. Pinelli, Le accademie d’arte, Torino, Einaudi, 1982).
Amare una statua 99
21 Th. Gautier, Il vello d’oro e altri racconti, trad. it. di L. Binni, Firenze, Giunti,
1993, p. 27.
22 Ivi, p. 49.
Amare una statua 101
que diu consorte carebat»23, scrive Ovidio) così per gli scultori di
Ibsen, Louÿs o Pirandello non si sarà così ingenui dal prestare fede
alle loro giustificazioni esplicite. Tutti protestano di non poter desi-
derare l’ispiratrice delle loro opere perché hanno proiettato su di lei
quella rescissione dei legami effettuali che è necessaria perché l’ope-
ra d’arte prenda forma; ma come si fa ad essere sicuri che si tratti di
una abolizione del desiderio, e non di uno spostamento feticistico
di esso? Questi artisti ci ricordano un’altra storia che racconta del
rifiuto di una donna reale coperto dall’innamoramento per una sta-
tua, scritto proprio in quegli anni, la Gradiva di Jensen24, resa famo-
sa dalla interpretazione e dalla magistrale “riscrittura” di Freud.
Anche per Norbert Hanold, il suo protagonista, «marmi e bronzi
non erano morti minerali, ma piuttosto l’unica realtà vivente capace
di conferire scopo e valore alla vita degli uomini»25: solo che egli
non traveste la sua resistenza all’erotismo e la sua difficoltà nei rap-
porti con l’altro sesso sotto la veste del disinteresse estetico dell’arti-
sta, ma sotto il distacco dello studioso di antichità: è un archeologo,
non uno scultore. Anche Hanold può amare la sua vicina di casa
Zoe Bertgang solo uccidendola, e assimilandola all’immagine di una
morta, che abbia “il freddo aspetto del marmo”. Quando Zoe co-
mincia a mettere in atto la sua strategia psicoterapeutica, dirà «mi
sono abituata da gran tempo ad essere morta»26.
Perché l’amore per le statue confina con la necrofilia. Il prota-
gonista di un racconto che fa parte delle Notti Fiorentine di Heine,
tutto dedicato al tema dell’amore per le statue, lo confessa nel mo-
do più chiaro, quando, alla domanda stupita del suo interlocutore
«Ma voi avete amato soltanto donne scolpite o dipinte?» risponde
«No, ho amato anche donne morte»27. L’uno e l’altro aspetto, resi-
stenza verso il coinvolgimento erotico e inclinazione verso il mor-
to, così come pure le implicazioni masochistiche dell’amore per il
simulacro, saranno evidenti in tutti i testi, ma particolarmente tra-
sparenti in quelli di Ibsen e Louÿs: non avremo bisogno, dunque,
31 Ivi, p. 616.
32 Ibidem.
33 Ivi, pp. 616-617.
104 Lo sguardo reciproco
della Morale, III, 6: le citiamo nella traduzione di V. Perretta, Roma, Newton Compton,
1977.
35 H. Ibsen, Quando noi morti ci destiamo, cit., pp. 622-623.
36 Ivi, p. 617.
37 Ibidem.
38 Ivi, p. 614.
Amare una statua 105
39 Ivi, p. 630.
40 Ibidem.
106 Lo sguardo reciproco
51 Ivi, p. 627.
52 Ivi, p. 646.
53 Ibidem.
54 Ibidem.
Amare una statua 109
Afrodite
dall’artista, un confronto che per loro non può non essere schiac-
ciante «il turbamento che gli cagionava l’impressione della bellezza
vivente era una sensualità puramente cerebrale, che riduceva a nul-
la l’impulso di generazione»68. La regina non solo avverte la tra-
sformazione che si è compiuta in Demetrio, ma sa anche coglierne
la causa: «Dov’eri? Eri al tempio? Non eri per caso nei giardini,
con quelle donne straniere? No, vedo dai tuoi occhi che non hai
amato. Ma allora cosa facevi, sempre lontano da me? Eri davanti
alla statua? Sì, ne sono sicura, eri là. Adesso tu l’ami più di me. È
in tutto simile a me: ha i miei occhi, la mia bocca, i miei seni; ma è
lei che tu cerchi. Io, sono una povera abbandonata. Ti annoi con
me, lo vedo bene. Pensi ai tuoi marmi e alle tue cattive statue come
se io non fossi bella più di tutte loro, e viva, per lo meno»69.
Quando Demetrio incontra per la prima volta Criside, la bellis-
sima cortigiana che viene dalla Galilea e che ha tutta Alessandria
ai suoi piedi, può credere per un istante che il suo trasporto sia so-
lo un sentimento d’artista, una passione che non infiamma la carne
ma resta chiusa nel cerchio della contemplazione estetica: «Cre-
dette di ammirare il suo passo aggraziato per un sentimento unica-
mente estetico, si disse che ella poteva essere un agognato modello
per la Carite con il ventaglio che si proponeva di sbozzare doma-
ni»70 (una Carite col ventaglio: lo sfondo ellenistico del romanzo
di Louÿs ha la consistenza della quinta di un teatro, qua e là aperta
da piccoli squarci, come questo in cui ci vediamo trasportati da un
tempio greco in un dipinto di Alma Tadema).
Ma la passione di Demetrio, questa volta, è un vero innamora-
mento, che coinvolge i sensi non meno dello spirito. Egli tenta di
abbracciare Criside, di possederla, ma Criside rifiuta. Lei, la cor-
tigiana, non si piegherà al desiderio di Demetrio, l’uomo più ama-
to e più potente di Alessandria. L’incantamento dello scultore è
descritto come improvviso, totale; pur di avere Criside promette
di procurarle qualsiasi cosa lei voglia. Criside chiede tre cose: uno
specchio d’argento; un pettine d’avorio; una collana di perle. De-
metrio capisce che deve trattarsi di qualcosa di difficilissimo ad
ottenersi, ma non può sottrarsi alla seduzione, e giura che procu-
68 Ivi, p. 88.
69 Ivi, p. 124.
70 Ivi, p. 51.
Amare una statua 113
71 Ivi, p. 25.
72 Ivi, p. 103.
73 Ivi, p. 179.
114 Lo sguardo reciproco
75 Ivi, p. 225.
76 Ivi, p. 226.
77 Ivi, pp. 226-227.
78 Ivi, p. 227.
Amare una statua 117
La Gioconda
79 Ibidem.
118 Lo sguardo reciproco
84 Ivi, p. 117.
85 Ivi, p. 121.
120 Lo sguardo reciproco
86 Ivi, p. 45.
87 Ivi, p. 125.
88 Ivi, p. 140.
Amare una statua 121
89 Ivi, p. 52.
90 Ivi, p. 81.
91 Ivi, p. 59.
122 Lo sguardo reciproco
92 Ivi, p. 79.
93 Ivi, p. 81.
94 Ivi, p. 103.
95 Ivi, p. 118.
96 Ivi, p. 84.
Amare una statua 123
97 Ivi, p. 115.
98 Ivi, p. 116.
99 Ivi, p. 108.
124 Lo sguardo reciproco
L’opera
108 Ivi, p. 9.
109 Ibidem.
110 Ivi, p. 86.
Amare una statua 127
no così da anni la loro agonia sotto gli occhi dell’artista che aveva
trasmesso loro la sua energia; inizialmente conservate con passione
gelosa, malgrado il poco spazio, cadute in seguito nell’orrore grot-
tesco delle cose morte, fino al giorno in cui, preso un martello, le
aveva finite da sé, riconducendole in gesso, per buttarle fuori dalla
sua vita»115. E già proprio all’inizio del romanzo, quando in un im-
peto di furore Claude raschia via dalla tela la testa della donna del
plein air, quel volto che come sappiamo aveva già i tratti del viso
di Christine, è una uccisione, un omicidio quello cui assistiamo.
«Fu un autentico assassinio, un annientamento: tutto scomparve
in una poltiglia melmosa. Allora, accanto a quel signore nella sua
giacca aitante fra gli arbusti luminosi […] non rimase altro, di
quella donna nuda ormai priva della testa, che un troncone muti-
lo, vaga macchia cadaverica, carne di sogno dissolta e morta»116.
Ma è soprattutto nell’episodio agghiacciante del ritratto del figlio
morto che l’equivalenza tra l’immobilità del modello e la rigidità
del cadavere si fa completa. «Da principio resistette, il pensiero
confuso si precisava, finiva per diventare ossessivo. Alla fine capi-
tolò, andò a prendere una piccola tela, cominciò uno schizzo del
figlio morto. Poi, il lavoro gli seccò le palpebre, rese sicura la ma-
no; e presto non ebbe più davanti il figlio stecchito, ma un model-
lo, un soggetto che l’appassionò per l’insolito interesse. […]
Quando Christine si alzò, lo trovò immerso nel lavoro. Allora, ri-
presa da un accesso di lacrime, disse solamente: ah!, puoi dipin-
gerlo, non si muoverà più»117.
Nella scena conclusiva del romanzo, Christine tenta uno sforzo
supremo per riaffermare i diritti della vita sulla pittura. È notte.
Christine sente che Claude non è più accanto a lei («Il loro letto,
da molti mesi, era gelido; ci si allungavano fianco a fianco come
due estranei, dopo una lenta rottura dei vincoli che univano i loro
corpi: volontaria astinenza, castità teorizzata a cui era giunto per
offrire tutta la sua forza alla pittura»118). Si alza, lo trova davanti al
grande quadro incompiuto. Da mesi, ormai, Claude non osava ri-
mettere le mani sulla grande figura di donna che campeggia al
Diana e la Tuda
loggerà nella casa di lui, avrà tutti i diritti di una moglie. Ma en-
trambi conserveranno la loro libertà. Tuda potrà uscire con chi
vuole, Sirio continuerà a frequentare la sua amante Sara Mendel.
Un semplice affare, dunque, agli occhi di Sirio, non altrettanto a
quelli di Tuda. «Sirio: Tu avrai fatto comunque un ottimo affare,
stai sicura. Tuda: Affare! Non è affare soltanto! Sirio: Ah no, sol-
tanto. Il tuo corpo, per quel che mi deve servire. […] Tuda: Io
dovrò allora servire soltanto per la tua statua? Sirio: A me, soltan-
to per la mia statua. Tuda (sta a guardarlo un pezzo; poi, ambi-
gua, con aria di sfida): bada, oh, che io sono viva!»136. Tuda non
starà ai patti. Si innamorerà (o forse, meglio, è sempre stata inna-
morata) di Sirio, e, offesa e umiliata dal comportamento di lui,
deciderà di vendicarsi nel solo modo che ha a disposizione, deci-
dendo di tornare a posare per l’odiato Caravani. «Tuda: Perché
questo sarebbe l’unico tradimento che io potrei fargli. Sara: Sicu-
ro: da modella. Non potendo tradirlo come moglie»137. Nella sce-
na che oppone Sara Mendel a Tuda nel secondo atto, sembra che
quel che ha indignato la modella e la spinge a rifiutare tutti i van-
taggi materiali della sua nuova situazione sia la gelosia per l’aman-
te di Sirio, che continua a frequentare la casa di lui ed anzi si è
perfino fatta dare la chiave dello studio in cui Tuda posa. Nel cor-
so del terzo atto, tuttavia, comprendiamo che le cose sono più
complesse e che la vera rivale di Tuda non è una donna in carne
ed ossa, ma una statua. La sua statua, la Diana. Nel racconto che
Sara Mendel fa a Giuncano abbiamo ancora l’interpretazione più
semplice, in chiave di gelosia tradizionale. Sara racconta di come
ha spinto Tuda al ‘tradimento’, di come si è procurata la chiave
dello studio di Caravani in modo da poter far sorprendere Tuda
mentre posava nuda per il rivale, racconta il duello che ne è se-
guito fra Dossi e Caravani. Da allora, Tuda è sparita, e Sirio non è
più riuscito a lavorare alla sua statua («Giuncano: Ormai non può
più finirla, quella statua, se non con lei […] se ne accorge adesso
che sente mancarsi tra il pollice e la creta il dono con cui lavora-
va»138). La nuova modella che ha convocato, Jonella, non gli ser-
virà, e lui per primo ne è consapevole, se è andato di persona a ri-
Paolo D’Angelo
Pigmalione rovesciato
dagli dèi che essa si animi e diventi una fanciulla in carne ed ossa;
un mito che dall’archetipo ovidiano, nel decimo libro delle Meta-
morfosi, trapassa nell’ultima parte del Romanzo della rosa e poi va
incontro a riprese innumerevoli, in particolare nella letteratura del
diciottesimo secolo1.
Un altro è la storia della statua antica di Venere della quale un
giovane si innamora dopo averle posto al dito, per gioco, il pro-
prio anello nuziale: una storia che si ritrova, probabilmente per la
prima volta, in una cronaca inglese del dodicesimo secolo, Le gesta
del re degli Angli di William of Malmesbury, e che poi transita in
tutte le letterature occidentali, dal Diavolo innamorato di Cazotte
al racconto di Achim von Arnim Raffaello e le sue vicine, dalla Ve-
nere d’Ille di Merimée al racconto di James L’ultimo dei Valerii, fi-
no alle riprese novecentesche di D’Annunzio, nella Pisanella, o di
Anthony Burgess, in Santa Venere2.
E c’è, quasi ad ammonire che la creazione dell’immagine dipin-
ta o scolpita cela sempre un innamoramento per la persona ritrat-
ta, il mito raccontato da Plinio sull’origine della pittura e della
scultura: la storia di Butade di Sicione, il vasaio che scorge il profi-
lo che la figlia ha tracciato con un pezzo di carbone sul muro, se-
guendo i contorni dell’ombra del suo amato, prossimo a partire,
e ne trae l’idea di forgiare in creta la medesima immagine. Così
nascono non solo le due arti, ma anche un topos che andrà incon-
tro ad infinite variazioni, quello dell’effigie come sostituto della
persona amata3.
Per rifare la storia di ognuno di questi temi non basterebbe un
libro voluminoso; di fatto ce ne sono già molti, e alcuni pregevoli,
su tali argomenti4. Non seguiremo dunque questa strada. Vorrem-
mo lasciarci alle spalle anche tutte le riprese degli stessi temi o di
temi simili nelle letterature dell’età romantica, nelle quali abbon-
dano le passioni per le immagini dipinte o scolpite (dall’Hoffmann
degli Elisir del Diavolo allo Heine delle Notti fiorentine) e gli haun-
ted portraits (dal Castello di Otranto di Walpole al Ritratto ovale di
Poe), per puntare su di una particolare declinazione del tema del
fascino dell’immagine artistica per il suo creatore in alcuni testi tra
la fine dell’Ottocento e i primi decenni del secolo scorso.
Ci occuperemo più estesamente di tre testi teatrali che presen-
tano alcune notevoli analogie tematiche: Quando noi morti ci de-
stiamo di Ibsen5, la Gioconda di D’Annunzio6 e Diana e la Tuda di
Pirandello7. Nel passare dall’uno all’altro di questi testi, dediche-
3 Per il tema della figlia di Butade e della origine della pittura e della scultura (la
cui fonte è in Plinio, Naturalis Historia, XXXV, 151), soprattutto da un punto di vista
iconografico: R. Rosenblum, The Origin of Painting: a Problem in the Iconography of
Romantic Classicism, in «The Art Bulletin», n. 39 (1957), e gli Addenda di G. Levitine,
sempre in «The Art Bulletin», n. 40 (1958).
4 In generale sui temi relativi alle immagini animate andrà visto Th. Ziolkowski,
Disenchanted Images. A Literary Iconology, Princeton, Princeton UP, 1977 (contiene tre
capitoli tematici: uno dedicato a «Venus and the Ring», uno a «The haunted Portrait»,
uno a «The magic Mirror»); D. Freedberg, The Power of Images, Chicago, University of
Chicago Press, 1989 (trad. it. di G. Perini, Il potere delle immagini, Torino, Einaudi,
1993), tratta molti temi vicini a quelli da noi toccati, in particolare nel cap. XII, «Arou-
sal by Image». Il volume di Maurizio Bettini, Il ritratto dell’amante, Torino, Einaudi,
1992, si sofferma su molti temi relativi alla passione per l’immagine dipinta o scolpita, e
tra di essi anche su quelli di Pigmalione e di Butade. Il testo di Bettini, molto ampio e
documentato, è centrato principalmente sulle letterature classiche, ma non manca di in-
teressanti aperture sulle riprese dei temi dell’amore per l’immagine nelle letterature
moderne. In più, si tratta di un testo di piacevole lettura, e ricco di segnalazioni su altra
letteratura in argomento.
5 Tutte le citazioni da Quando noi morti ci destiamo di Ibsen sono tratte dalla tra-
duzione italiana di L. Ulisse, in H. Ibsen, Tutto il teatro, con introduzione di P. Chiari-
ni, Roma, Newton Compton, 1973.
6 Citiamo da G. D’Annunzio, La Gioconda, introduzione, bibliografia e note di
I. Caliaro, Milano, Mondadori, 1990.
7 Citiamo da L. Pirandello, Diana e la Tuda. Sagra del signore della nave, a cura di
C. Simioni, Milano, Mondadori, 1980.
96 Lo sguardo reciproco
sono state notate molte volte, ma non risulta siano state fatte oggetto di una considera-
zione specifica e soprattutto allargata ai riscontri tematici nella letteratura coeva. Si può
vedere, da ultimo, A. Bisicchia, D’Annunzio e il Teatro, Milano, Mursia, 1991, pp. 40-
57; I. Caliaro, Introduzione, in G. D’Annunzio, La Gioconda, Milano, Mondadori,
1990; P. Perria, Tra applausi e fischi: “La Gioconda” di Gabriele D’Annunzio, Firenze,
Atheneum, 1992.
11 La citazione di Ceronetti sulle modelle negli studi dei pittori è tratta da G. Ce-
ronetti, in La modella elettronica, D.D. Deliri Disarmati, Torino, Einaudi, 1993. Sul te-
ma vedi anche L. Spadanuda, Le modelle di nudo, Roma, Mare Nero, 2001.
Amare una statua 97
Fig. 1. Jean-Léon Gérôme nel suo studio, fotoincisione del 1890 ca.
12 B. Cellini Vita, a cura di E. Camesasca, Milano, Rizzoli, 1985, libro II, cap.
XXXIV, p. 482.
13 La storia di Filippo Lippi e di Lucrezia Buti è narrata da Vasari nelle Vite.
14 La storia di di Apelle e Campaspe o Pancaspe si ritrova in Plinio, Naturalis Hi-
vedere N. Pevsner, Academies of Art, Past and Present, Cambridge, Cambridge UP,
1940 (trad. it. di A. Pinelli, Le accademie d’arte, Torino, Einaudi, 1982).
Amare una statua 99
21 Th. Gautier, Il vello d’oro e altri racconti, trad. it. di L. Binni, Firenze, Giunti,
1993, p. 27.
22 Ivi, p. 49.
Amare una statua 101
que diu consorte carebat»23, scrive Ovidio) così per gli scultori di
Ibsen, Louÿs o Pirandello non si sarà così ingenui dal prestare fede
alle loro giustificazioni esplicite. Tutti protestano di non poter desi-
derare l’ispiratrice delle loro opere perché hanno proiettato su di lei
quella rescissione dei legami effettuali che è necessaria perché l’ope-
ra d’arte prenda forma; ma come si fa ad essere sicuri che si tratti di
una abolizione del desiderio, e non di uno spostamento feticistico
di esso? Questi artisti ci ricordano un’altra storia che racconta del
rifiuto di una donna reale coperto dall’innamoramento per una sta-
tua, scritto proprio in quegli anni, la Gradiva di Jensen24, resa famo-
sa dalla interpretazione e dalla magistrale “riscrittura” di Freud.
Anche per Norbert Hanold, il suo protagonista, «marmi e bronzi
non erano morti minerali, ma piuttosto l’unica realtà vivente capace
di conferire scopo e valore alla vita degli uomini»25: solo che egli
non traveste la sua resistenza all’erotismo e la sua difficoltà nei rap-
porti con l’altro sesso sotto la veste del disinteresse estetico dell’arti-
sta, ma sotto il distacco dello studioso di antichità: è un archeologo,
non uno scultore. Anche Hanold può amare la sua vicina di casa
Zoe Bertgang solo uccidendola, e assimilandola all’immagine di una
morta, che abbia “il freddo aspetto del marmo”. Quando Zoe co-
mincia a mettere in atto la sua strategia psicoterapeutica, dirà «mi
sono abituata da gran tempo ad essere morta»26.
Perché l’amore per le statue confina con la necrofilia. Il prota-
gonista di un racconto che fa parte delle Notti Fiorentine di Heine,
tutto dedicato al tema dell’amore per le statue, lo confessa nel mo-
do più chiaro, quando, alla domanda stupita del suo interlocutore
«Ma voi avete amato soltanto donne scolpite o dipinte?» risponde
«No, ho amato anche donne morte»27. L’uno e l’altro aspetto, resi-
stenza verso il coinvolgimento erotico e inclinazione verso il mor-
to, così come pure le implicazioni masochistiche dell’amore per il
simulacro, saranno evidenti in tutti i testi, ma particolarmente tra-
sparenti in quelli di Ibsen e Louÿs: non avremo bisogno, dunque,
31 Ivi, p. 616.
32 Ibidem.
33 Ivi, pp. 616-617.
104 Lo sguardo reciproco
della Morale, III, 6: le citiamo nella traduzione di V. Perretta, Roma, Newton Compton,
1977.
35 H. Ibsen, Quando noi morti ci destiamo, cit., pp. 622-623.
36 Ivi, p. 617.
37 Ibidem.
38 Ivi, p. 614.
Amare una statua 105
39 Ivi, p. 630.
40 Ibidem.
106 Lo sguardo reciproco
51 Ivi, p. 627.
52 Ivi, p. 646.
53 Ibidem.
54 Ibidem.
Amare una statua 109
Afrodite
dall’artista, un confronto che per loro non può non essere schiac-
ciante «il turbamento che gli cagionava l’impressione della bellezza
vivente era una sensualità puramente cerebrale, che riduceva a nul-
la l’impulso di generazione»68. La regina non solo avverte la tra-
sformazione che si è compiuta in Demetrio, ma sa anche coglierne
la causa: «Dov’eri? Eri al tempio? Non eri per caso nei giardini,
con quelle donne straniere? No, vedo dai tuoi occhi che non hai
amato. Ma allora cosa facevi, sempre lontano da me? Eri davanti
alla statua? Sì, ne sono sicura, eri là. Adesso tu l’ami più di me. È
in tutto simile a me: ha i miei occhi, la mia bocca, i miei seni; ma è
lei che tu cerchi. Io, sono una povera abbandonata. Ti annoi con
me, lo vedo bene. Pensi ai tuoi marmi e alle tue cattive statue come
se io non fossi bella più di tutte loro, e viva, per lo meno»69.
Quando Demetrio incontra per la prima volta Criside, la bellis-
sima cortigiana che viene dalla Galilea e che ha tutta Alessandria
ai suoi piedi, può credere per un istante che il suo trasporto sia so-
lo un sentimento d’artista, una passione che non infiamma la carne
ma resta chiusa nel cerchio della contemplazione estetica: «Cre-
dette di ammirare il suo passo aggraziato per un sentimento unica-
mente estetico, si disse che ella poteva essere un agognato modello
per la Carite con il ventaglio che si proponeva di sbozzare doma-
ni»70 (una Carite col ventaglio: lo sfondo ellenistico del romanzo
di Louÿs ha la consistenza della quinta di un teatro, qua e là aperta
da piccoli squarci, come questo in cui ci vediamo trasportati da un
tempio greco in un dipinto di Alma Tadema).
Ma la passione di Demetrio, questa volta, è un vero innamora-
mento, che coinvolge i sensi non meno dello spirito. Egli tenta di
abbracciare Criside, di possederla, ma Criside rifiuta. Lei, la cor-
tigiana, non si piegherà al desiderio di Demetrio, l’uomo più ama-
to e più potente di Alessandria. L’incantamento dello scultore è
descritto come improvviso, totale; pur di avere Criside promette
di procurarle qualsiasi cosa lei voglia. Criside chiede tre cose: uno
specchio d’argento; un pettine d’avorio; una collana di perle. De-
metrio capisce che deve trattarsi di qualcosa di difficilissimo ad
ottenersi, ma non può sottrarsi alla seduzione, e giura che procu-
68 Ivi, p. 88.
69 Ivi, p. 124.
70 Ivi, p. 51.
Amare una statua 113
71 Ivi, p. 25.
72 Ivi, p. 103.
73 Ivi, p. 179.
114 Lo sguardo reciproco
75 Ivi, p. 225.
76 Ivi, p. 226.
77 Ivi, pp. 226-227.
78 Ivi, p. 227.
Amare una statua 117
La Gioconda
79 Ibidem.
118 Lo sguardo reciproco
84 Ivi, p. 117.
85 Ivi, p. 121.
120 Lo sguardo reciproco
86 Ivi, p. 45.
87 Ivi, p. 125.
88 Ivi, p. 140.
Amare una statua 121
89 Ivi, p. 52.
90 Ivi, p. 81.
91 Ivi, p. 59.
122 Lo sguardo reciproco
92 Ivi, p. 79.
93 Ivi, p. 81.
94 Ivi, p. 103.
95 Ivi, p. 118.
96 Ivi, p. 84.
Amare una statua 123
97 Ivi, p. 115.
98 Ivi, p. 116.
99 Ivi, p. 108.
124 Lo sguardo reciproco
L’opera
108 Ivi, p. 9.
109 Ibidem.
110 Ivi, p. 86.
Amare una statua 127
no così da anni la loro agonia sotto gli occhi dell’artista che aveva
trasmesso loro la sua energia; inizialmente conservate con passione
gelosa, malgrado il poco spazio, cadute in seguito nell’orrore grot-
tesco delle cose morte, fino al giorno in cui, preso un martello, le
aveva finite da sé, riconducendole in gesso, per buttarle fuori dalla
sua vita»115. E già proprio all’inizio del romanzo, quando in un im-
peto di furore Claude raschia via dalla tela la testa della donna del
plein air, quel volto che come sappiamo aveva già i tratti del viso
di Christine, è una uccisione, un omicidio quello cui assistiamo.
«Fu un autentico assassinio, un annientamento: tutto scomparve
in una poltiglia melmosa. Allora, accanto a quel signore nella sua
giacca aitante fra gli arbusti luminosi […] non rimase altro, di
quella donna nuda ormai priva della testa, che un troncone muti-
lo, vaga macchia cadaverica, carne di sogno dissolta e morta»116.
Ma è soprattutto nell’episodio agghiacciante del ritratto del figlio
morto che l’equivalenza tra l’immobilità del modello e la rigidità
del cadavere si fa completa. «Da principio resistette, il pensiero
confuso si precisava, finiva per diventare ossessivo. Alla fine capi-
tolò, andò a prendere una piccola tela, cominciò uno schizzo del
figlio morto. Poi, il lavoro gli seccò le palpebre, rese sicura la ma-
no; e presto non ebbe più davanti il figlio stecchito, ma un model-
lo, un soggetto che l’appassionò per l’insolito interesse. […]
Quando Christine si alzò, lo trovò immerso nel lavoro. Allora, ri-
presa da un accesso di lacrime, disse solamente: ah!, puoi dipin-
gerlo, non si muoverà più»117.
Nella scena conclusiva del romanzo, Christine tenta uno sforzo
supremo per riaffermare i diritti della vita sulla pittura. È notte.
Christine sente che Claude non è più accanto a lei («Il loro letto,
da molti mesi, era gelido; ci si allungavano fianco a fianco come
due estranei, dopo una lenta rottura dei vincoli che univano i loro
corpi: volontaria astinenza, castità teorizzata a cui era giunto per
offrire tutta la sua forza alla pittura»118). Si alza, lo trova davanti al
grande quadro incompiuto. Da mesi, ormai, Claude non osava ri-
mettere le mani sulla grande figura di donna che campeggia al
Diana e la Tuda
loggerà nella casa di lui, avrà tutti i diritti di una moglie. Ma en-
trambi conserveranno la loro libertà. Tuda potrà uscire con chi
vuole, Sirio continuerà a frequentare la sua amante Sara Mendel.
Un semplice affare, dunque, agli occhi di Sirio, non altrettanto a
quelli di Tuda. «Sirio: Tu avrai fatto comunque un ottimo affare,
stai sicura. Tuda: Affare! Non è affare soltanto! Sirio: Ah no, sol-
tanto. Il tuo corpo, per quel che mi deve servire. […] Tuda: Io
dovrò allora servire soltanto per la tua statua? Sirio: A me, soltan-
to per la mia statua. Tuda (sta a guardarlo un pezzo; poi, ambi-
gua, con aria di sfida): bada, oh, che io sono viva!»136. Tuda non
starà ai patti. Si innamorerà (o forse, meglio, è sempre stata inna-
morata) di Sirio, e, offesa e umiliata dal comportamento di lui,
deciderà di vendicarsi nel solo modo che ha a disposizione, deci-
dendo di tornare a posare per l’odiato Caravani. «Tuda: Perché
questo sarebbe l’unico tradimento che io potrei fargli. Sara: Sicu-
ro: da modella. Non potendo tradirlo come moglie»137. Nella sce-
na che oppone Sara Mendel a Tuda nel secondo atto, sembra che
quel che ha indignato la modella e la spinge a rifiutare tutti i van-
taggi materiali della sua nuova situazione sia la gelosia per l’aman-
te di Sirio, che continua a frequentare la casa di lui ed anzi si è
perfino fatta dare la chiave dello studio in cui Tuda posa. Nel cor-
so del terzo atto, tuttavia, comprendiamo che le cose sono più
complesse e che la vera rivale di Tuda non è una donna in carne
ed ossa, ma una statua. La sua statua, la Diana. Nel racconto che
Sara Mendel fa a Giuncano abbiamo ancora l’interpretazione più
semplice, in chiave di gelosia tradizionale. Sara racconta di come
ha spinto Tuda al ‘tradimento’, di come si è procurata la chiave
dello studio di Caravani in modo da poter far sorprendere Tuda
mentre posava nuda per il rivale, racconta il duello che ne è se-
guito fra Dossi e Caravani. Da allora, Tuda è sparita, e Sirio non è
più riuscito a lavorare alla sua statua («Giuncano: Ormai non può
più finirla, quella statua, se non con lei […] se ne accorge adesso
che sente mancarsi tra il pollice e la creta il dono con cui lavora-
va»138). La nuova modella che ha convocato, Jonella, non gli ser-
virà, e lui per primo ne è consapevole, se è andato di persona a ri-
Federica Mazzara
nel gennaio del 1850 (i successivi tre nel febbraio, marzo e maggio dello stesso anno).
The Germ, oltre ad essere l’organo di diffusione delle idee del gruppo prerafaellita, fu
anche il luogo in cui confluirono le prime pubblicazioni letterarie di Rossetti, come i
Sonnets for Pictures e il racconto Hand and Soul.
4 D.G. Rossetti, The Early Italian Poets from Ciullo D’Alcamo to Dante Alighieri
(1100-1200-1300) in the Original Metres, Together with Dante’s Vita Nuova, London,
Smith, Elder, 1861. Rossetti rivisitò questa raccolta curandone una seconda versione
che pubblicò nel 1874 col titolo di Dante and His Circle: With the Italian Poets Prece-
ding Him (1100-1200-1300), London, Ellis and White, 1874. Questo rappresentò il pri-
mo e più autorevole tentativo di iniziare il pubblico inglese ad un’antologia di poeti
medievali italiani.
144 Lo sguardo reciproco
negli anni ’40 con l’amico artista Holman Hunt, viaggio in cui eb-
be la possibilità di visitare alcuni prestigiosi musei, tra i quali il
Louvre. Qui, ad esempio, alcuni dipinti lo colpirono al punto da
volerne scrivere una traduzione in versi, un’ékphrasis volta a ri-
creare l’immagine in termini poetici. In una lettera inviata in quei
giorni al fratello William Michael, in cui Rossetti cerca di conden-
sare l’emozione di aver visto un dipinto come La pastorale di Gior-
gione, (in realtà attribuito poi a Tiziano) si legge:
Era così straordinariamente bella che ho voluto assecondare il mio de-
siderio di sedermi di fronte ad essa per scriverne un sonetto. In realtà de-
vi avermi già sentito entusiasta dell’incisione di questo dipinto, che imma-
gino abbia visto anche tu. Da un lato c’è una donna nuda che immerge
una brocca di vetro in un pozzo; al centro due uomini e un’altra donna
nuda che sembra abbiano temporaneamente cessato di suonare i loro
strumenti7.
In realtà, quasi tutta la sua arte pittorica fu d’ispirazione lette-
raria. Rossetti, utilizzò spesso le sue tele per tradurre visivamente
alcune scene letterarie per lui particolarmente significative, tratte,
ad esempio, da Dante (Il saluto di Beatrice, 1849-63; Il sogno di
Dante nel momento della morte di Beatrice, 1856-81), da Poe (Il
corvo, 1846-48), da Goethe (Faust, 1856) e dalla Bibbia (Ecce An-
tilla Domini, 1850; L’annunciazione, 1861).
Il forte richiamo fra le arti sorelle, dunque, caratterizzava ogni
ambito artistico praticato da Rossetti, in particolare laddove i due
aspetti del verbale e dell’iconico erano inscindibili.
Jerome McGann, a questo proposito, osserva come sia l’imma-
gine sia il testo si confrontino, nell’arte di Rossetti, in una sorta di
“urgenza espressiva” che può essere considerata al contempo ico-
rivista The Germ, nel 1850, secondo questo ordine: A Virgin and Child, by Hans Mem-
meling; in the Accademy of Bruges; A Marriage of St. Katherine, by the Same; In the Ho-
spital of St. John at Bruges; For an Allegorical Dance of Women, by Andrea Mantegna;
For A Venetian Pastoral, by Giorgione (in the Louvre); For Ruggiero and Angelica I e,
For Ruggiero e Angelica II. Quando Rossetti pubblicò la sua raccolta di Poems nel 1870,
inserì anche questi sonetti, escludendo i primi due e aggiungendone di nuovi, molti di
commento ad alcuni dei suoi stessi dipinti. Intitolò questa sezione Sonnets for Pictures,
and other Sonnets. Questo rappresentò l’ultimo tentativo di tenere insieme questo grup-
po di poesie espressamente collegate all’arte sorella, la pittura.
7 W. Fredeman, The Correspondence of Dante Gabriel Rossetti, cit., p. 114 (trad.
it. mia).
146 Lo sguardo reciproco
8 J. McGann, Dante Gabriel Rossetti And The Game That Must Be Lost, New Ha-
ven, Yale UP, 2000, p. 72. Lo studio dell’arte medievale, in modo particolare dei testi il-
lustrati e miniati, e dell’arte giapponese funzionò per Rossetti certamente da stimolo a
perseguire sperimentalismi artistici caratterizzati da forme di aggregazione tra immagi-
ne e parola.
9 Ivi, pp. 67-68, 75.
10 Fu Maryan Wynn Ainsworth a definire per la prima volta questa modalità com-
binatoria di Rossetti col termine di Double Works (M.W. Ainsworth, Dante Gabriel
Rossetti and the Double Works of Art, New Haven, Yale University Art Gallery, 1976).
Un dipinto e i suoi sonetti 147
interartisticità, si rimanda, tra gli altri, agli studi di J. Hagstrum, The Sister Arts. The
Tradition of Literary Pictorialism and English Poetry from Dryden to Gray, Chicago,
University of Chicago Press, 1958; Ph. Hamon, La description littéraire: de l’antique à
Roland Barthes, Paris, Macula, 1991; M. Krieger, Ekphrasis: The Illusion of the Natural
Sign, Baltimore, London, The John Hopkins UP, 1991; W.J.T. Mitchell, Picture Theory:
Essays on Verbal and Visual Representation, Chicago, University of Chicago Press, 1994;
J. Hollander, The Gazer’s Spirit: Poems Speaking to Silent Works of Art, Chicago, Chica-
go UP, 1995; G.F. Scott, Sculpted Word: Keats, Ekphrasis, and the Visual Arts, Hanover
NH, University Press of New England, 1994; P. Wagner (a cura di), Icons-Texts-Icono-
texts. Essays on Ekphrasis and Intermediality, Berlin, Walter de Gruyter, 1996. Per il
panorama italiano si rimanda agli studi di U. Eco, “Les sémaphores sous la pluie”, (Rela-
zione al seminario presso la Scuola Superiore di Studi umanistici dell’Università di Bo-
logna, 26 marzo 2002), in «Golem-L’indispensabile» 7 (luglio 2002): http://www.gole-
mindispensabile.it; M. Cometa, Parole che dipingono. Letteratura e cultura visuale tra
Settecento e Novecento, Roma, Meltemi, 2004; Id., Descrizione e desiderio. I quadri
viventi di E.T.A. Hoffmann, Roma, Meltemi, 2005; P.V. Mengaldo, Tra due linguaggi.
Arte figurativa e critica, Torino, Bollati Boringhieri, 2005.
13 R. Stein, The Ritual of Interpretation, Cambridge Mass., Harward UP, 1975, p. 188.
Un dipinto e i suoi sonetti 149
con lui molti altri, solleverà un secolo dopo, quando nelle pagine
dedicate alla descrizione di Las Meninas, osserverà:
Il rapporto da linguaggio a pittura è un rapporto infinito. Non che la
parola sia imperfetta e, di fronte al visibile, in una carenza che si sforze-
rebbe invano di colmare. Essi sono irriducibili l’uno all’altra: vanamente
si cercherà di dire ciò che si vede: ciò che si vede non sta mai in ciò che si
dice; altrettanto vanamente si cercherà di far vedere, a mezzo di immagi-
ni, metafore, paragoni, ciò che si sta dicendo: il luogo in cui queste figure
splendono non è quello dispiegato dagli occhi, ma è quello definito dalle
successioni della sintassi14.
L’opera doppia Proserpina, che arriva nella fase più matura del-
la carriera artistica di Dante Gabriel Rossetti, offre, nella sua dia-
lettica testo-immagine, spunti critici che non si limitano alla pro-
blematica dell’incontro fra due diversi codici artistici – il sonetto e
il dipinto – ma spingono a riflessioni ben più complesse.
Proserpina, collettore di tutti gli elementi caratterizzanti la car-
riera artistica di Rossetti, apre, infatti, nuove prospettive d’indagine
riguardanti l’incontro tra i due media. È sì un’opera doppia, ma an-
cor prima è la “riscrittura” verbale e visuale di un mito pagano che
14 M. Foucault, Les mots et les choses, Paris, Gallimard, 1966 (trad. it. di E. Panai-
15 F.M. Turner, The Greek Heritage in Victorian Britain, New Heaven, Yale UP,
1981, p. 2 ss.
152 Lo sguardo reciproco
16 W. Pater, The Myth of Demeter and Persephone, in Id., Greek Studies, London,
Macmillan and Co., 1910 (trad. it. di P. Colaiacono, Studi greci, Roma, Editori Riuniti,
1994).
17 La relazione tra Rossetti e Jane Burden Morris fu molto travagliata. Nell’estate del
1868 Rossetti si trasferì nella villa dei Morris a Kelmscott, dove l’artista e Jane Burden tra-
scorsero diverso tempo insieme soprattutto durante le frequenti assenze di Morris.
Un dipinto e i suoi sonetti 153
e nascoste dai capelli, una bocca come quella dell’“Oriana” del nostro
Tennyson, un lungo collo, ornato non da collane ma da una dozzina di fili
di strane perline, raffinata nell’insieme. Sul muro vi era appeso un suo ri-
tratto di dimensione umana, eseguito da Rossetti, così strano e irreale,
che se non l’avessi vista, avrei detto si trattasse di una visione perturban-
te, e in realtà non era che un’eccezionale somiglianza19.
Rossetti sembra aver definito se stesso in rapporto ai grandi
personaggi letterari, storici o mitologici che rappresentò, imperso-
nando egli stesso, attraverso la sua pratica artistica, il ruolo dell’e-
roe che recita di fronte alle sue eroine. Si pensi a personaggi come
Beatrice, Lilith, Maria Maddalena o la stessa Proserpina, ognuna
delle quali è il soggetto di opere che divennero per Rossetti occa-
sione di esplorazione della natura e del significato della sua stessa
esperienza personale.
Pre-Raphaelites Writing, an Anthology, London, Dent & Sons, 1973, p. 97 (trad. mia).
Un dipinto e i suoi sonetti 155
Le versioni ad olio a noi giunte sono quella del 1874 (fig. 2), ce-
duta alla Tate Gallery di Londra nel 1940, che corrisponde alla set-
tima versione (quella qui presa in esame), e l’ultima copia del 1882,
conservata al Museum and Art Gallery di Birmingham (fig. 3).
20 O. Doughty, J.R. Wahl (a cura di), Letters of Dante Gabriel Rossetti, 1828-1882,
cit., vol. III, p. 1253 (trad. mia). Maria Teresa Benedetti ne chiarisce meglio i passaggi
nel commento al quadro (M.T. Benedetti, Dante Gabriel Rossetti, Milano, Charta, 1998,
p. 306): «Delle prime due versioni di questo dipinto sembra non fosse rimasto per nulla
soddisfatto, così decise di distruggerle e ritagliarle. La terza copia ebbe un simile desti-
no, e alcune parti vennero ritagliate per confluire più tardi in Blanzifiore. Howell e Par-
son acquistarono la quarta versione di Proserpina nel maggio del 1873. L’opera però ri-
mase invenduta e per questo ritornò all’artista. La quinta versione, completata nell’au-
tunno del 1873, venne promessa a Leyland, ma durante il trasporto fu misteriosamente
smarrita. La sesta copia venne inviata a Leyland in sostituzione della quinta, ma poiché
danneggiata durante il trasporto venne rispedita a Rossetti per essere ripristinata. Da
questo dipinto l’artista prelevò le parti rimaste intatte, le mani e la testa, le trasferì su di
una nuova tela, ridipinse lo sfondo e il drappeggio della veste e datò questo nuovo di-
pinto 1877, per poi venderlo a W.A. Turner. Per Leyland Rossetti eseguì una settima ver-
sione di Proserpina. Esiste anche un’ottava replica dello stesso quadro, in dimensioni ri-
dotte e ad acquerello, venduta nel 1878 a F. S. Ellis e poi passata a James Hutton. A que-
st’ultima copia Rossetti lavorò fino a pochi giorni prima di morire».
156 Lo sguardo reciproco
21 W.M. Rossetti, Dante Gabriel Rossetti. His Family-Letters with a Memoir, New
22 W.M. Rossetti, Dante Gabriel Rossetti as Designer and Writer, London, Cassell
& Company Limited, 1889, p. 80. È molto probabile che Rossetti abbia subito il fasci-
no e tratto ispirazione dalle poesie dell’amico Swinburne dedicate a Proserpina e di po-
co precedenti: Hymn to Proserpine e The Garden of Proserpine, entrambe del 1866.
158 Lo sguardo reciproco
non a caso, alle labbra che considerava la parte più sensuale del volto di una donna,
non meno di quanto gli occhi rappresentavano quella più spirituale. F. Watts-Danton,
The Truth about Rossetti, in «The Nineteenth Century», marzo, 1883, p. 412.
24 La forma stretta e allungata del quadro e la posizione della figura all’interno di
esso, come osserva la Parris, furono probabilmente suggeriti a Rossetti dal ritratto di
Smeralda Bandinelli di Botticelli, che egli aveva acquistato nel 1967 per la sua collezio-
ne privata (L. Parris, The Pre-Raphaelites, London, Tate Gallery, 1984, p. 232).
Un dipinto e i suoi sonetti 159
25 Anche al dipinto La Bella Mano del 1875, Rossetti dedica un sonetto in due ver-
sioni, inglese e italiana. Nessuno dei due sonetti però è apposto sulla cornice, né è di-
pinto all’interno del quadro.
160 Lo sguardo reciproco
26 W.M. Rossetti (a cura di), The Works of Dante Gabriel Rossetti, London, Hazell,
risemantizzazione, interpretazione) una tassonomia che forse non esaurisce tutte le pos-
sibili variazioni ecfrastiche ma che certamente disciplina il suo raggio di azione. Cfr.
M. Cometa, Letteratura e arti figurative. Un catalogo, in «Contemporanea», 3 (2005),
pp. 15-29.
Un dipinto e i suoi sonetti 161
28 M.K. Baquette, Dante Gabriel Rossetti. The Synthetis of Picture and Poem, in
33 Una copia corretta del testo italiano è conservata a Princeton, e un’altra (in ver-
sione originale) si trova alla Boston Public Library, mentre una copia del sonetto ingle-
se è conservata alla British Library. Rossetti inviò inoltre una copia di entrambi i sonetti
all’amico Stephens, in una lettera datata 10 agosto 1875.
34 I due sonetti furono poi pubblicati – assieme all’altra coppia di sonetti
Un dipinto e i suoi sonetti 165
inglese/italiana di La Bella Mano – nella rivista The Atheneum il 28 agosto 1975, col ti-
tolo di Sonnets for Pictures. Rossetti li ripubblicò, con qualche variazione, nella raccolta
Ballads and Sonnets nel 1881.
35 G. Pozzi, Sull’orlo del visibile parlare, Milano, Adelphi, 1993.
36 Ivi, pp. 441-442.
37 V.I. Stoichita, L’instauration du tableau, Paris, Méridiens Klincksieck, 1993
(trad. it. di B. Sforza, L’invenzione del quadro, Milano, Il Saggiatore, 1998, p. 65).
166 Lo sguardo reciproco
p. 441.
40 Proprio a questo proposito è importante sottolineare che l’ambientazione ad
Enna richiama la versione ovidiana del mito. È Ovido, infatti, il primo ad ambientare il
mito di Proserpina e Demetra ad Enna, nel lago di Pergusa. Precedente ad Ovidio è la
versione greca del mito, presente ad esempio negli Inni omerici, in cui si narra la storia
di Persefone e Cerere, ambientata nella valle di Nysa, in Grecia. Quasi tutti i poeti di
età vittoriana sembrano rifarsi, comunque, alla riscrittura romana del mito.
41 Nella versione del 1882, sul cartiglio è dipinta la versione inglese del sonetto, e
“fuori campo” anche a livello sonoro. È direttamente qualcuno dalla terra a parlare.
Questo verso è il momento di maggior “contatto” tra i due mondi.
45 G. Pozzi, Sull’orlo del visibile parlare, cit., pp. 447-448. In quest’ultimo caso,
dove l’artista si era trasferito proprio in quegli anni presso i Morris; qui Rossetti, come
170 Lo sguardo reciproco
si evince dalle sue lettere, trascorre il tempo più rilassante in compagnia di Jane e delle
sue figlie. È qui che, tra l’altro, deve essersi consumata la relazione clandestina fra i due
amanti, data la frequente assenza in quegli anni del marito William Morris. L’inferno, al
contrario, potrebbe identificarsi con il periodo che Rossetti trascorse nella casa di
Cheyne Walk a Londra, una vita dai ritmi lenti e annebbiata dall’uso del cloralio.
47 M.K. Baquette, Dante Gabriel Rossetti. The Synthetis of Picture and Poem, cit.,
52 Ivi, p. 463.
53 L. Ritter Santini, Ritratti con le parole, Bologna, Il Mulino, 1994, p. 8.
NOTE DI IMMORTALITÀ
HOFMANNSTHAL SUL CONCERTO CAMPESTRE
DI GIORGIONE
Roberta Ascarelli
Giorgione l’educatore
Tra le molte biografie scritte da Richard Schaukal per celebrare
uomini famosi, quella dedicata nel 1907 a Giorgione è particolar-
mente ricca di lodi e di entusiasmo: «Chi ama e conosce intima-
mente la pittura potrebbe mai non amare Giorgione? […] Io lo
amo molto più di Tiziano. E ritengo che proprio lui sia l’artista più
grande»1. Echeggiano nella esaltazione del pittore i capisaldi di
una poetica per esteti, per nuovi sognatori o neo-idealisti che vo-
gliono spaziare – come sostiene Hans Bauer in un saggio del 1895
dedicato alla “rinascita del Rinascimento” – «nella metafisica del-
l’irreale» cogliendo «sensazioni date da evocazioni simboliche»2:
«Giorgione – scrive Schaukal – tocca la mia sensibilità artistica
molto più potentemente di Tiziano3, colma la mia anima con la
ricchezza di premonizioni di eternità, di gioia […]. Quando ho di
fronte Giorgione non ‘noto’ nulla. Il terreno sotto i piedi inizia a
mancarmi e io ondeggio»4.
Questo amore non nasce sui libri di scuola e neppure nelle pi-
nacoteche europee, avare di tele e attribuzioni, ma nell’incontro
con la poesia di Dante Gabriel Rossetti e con il saggio che Walter
Pater dedica a Giorgio di Castelfranco e ai suoi allievi, La scuola di
e concetto che deriva dalla teoria della musica e che implica un seguito di note legate da
una convenienza reciproca, per cui certi rapporti di frequenza, nell’ambito di un tono,
sono esclusi e, se si vogliono usare in una sequenza musicale concepita in una determina-
ta tonalità, occorre modulare per passare alla tonalità a cui quei rapporti appartengono.
Trasferire questo concetto dalla teoria musicale alla critica d’arte implica di conservarne
il nerbo» (C. Brandi, Disegno della pittura italiana, Torino, Einaudi, 1980, pp. 288-289).
Note di immortalità 177
ratur des 18. Jahrhunderts, in B. Fabian (a cura di), Festschrift für Rainer Grünter, Hei-
delberg, Carl Winter, 1978, pp. 155-169.
14 B. Berenson, Italienische Kunst, a cura di J. Zeitler, Leipzig, H. Seemann Na-
chf., 1902, p. 24 (Hofmannsthal aveva consultato questa edizione tedesca dei saggi di
Berenson per la stesura di Sommerreise).
15 P.P. Wertheimer, Hermann Bahrs Reinaissance, in «Die Gesellschaft», XIII, ot-
tobre 1897, pp. 91-103, ora in G. Wunberg (a cura di), Das Junge Wien, Tübingen
1975, vol. II, pp. 780-790, qui p. 790.
16 Cfr. A.J. Langbehn, Rembrandt als Erzieher von einem Deutschen, Leipzig, Hir-
creare per lui e per le sue opere «una nuova forma di vita»17.
Per individuarla, Conti seguirà e tradirà l’impostazione di La
scuola di Giorgione riducendo il neoplatonismo di Pater a travaglio
dei sensi, a immoralismo erotico. Rimane la riflessione sulla musi-
calità del pittore veneto, ma l’interesse si sposta dalla musica come
forza che emancipa dal dominio dell’intelletto all’esigenza di pace e
di spiritualità di un’anima tentata dalla carne: «Giorgione – scrive
Conti – è il poeta delle visioni dileguate e lontane […]. Turbato dal
presente ricorda le cose perdute e chiede la pace lontana»18 cercan-
do di sottrarsi alla forza disgregatrice della voluttà, all’«entusiasmo
umano al cospetto della forma femminile»19. Con questo insistito
richiamo Conti scalza dalla ricezione alcuni luoghi interpretativi
diffusi in quegli anni e in cui prevalgono l’artificio del locus amoe-
nus e una stanchezza, appena contagiata dal demone della noia. È il
languore estivo di amanti distesi sui colli fiorentini nel meriggio de-
scritto da Oscar Wilde in un brano dei suoi saggi critici del 188920
dedicato a Concerto campestre, o, in Dante Gabriel Rossetti, è l’ab-
bandono esausto, la riluttanza all’azione, un silenzio stagnante21.
Più moderno e «wagneriano» – così sostiene Conti – del religio-
sissimo Bellini, Giorgione cerca il dominio sulla fragilità della carne
in una trascendenza che rifiuta le ingannevoli consolazioni della fe-
de e si innalza «in forma di luce e armonia » verso una speranza di
felicità22: «dal dolore e dalla colpa» Giorgione ci guida «fino all’a-
poteosi di una vita salvata e rinovellata, e le sue più evidenti e ten-
Dante Gabriel Rossetti, 2 voll., a cura di W.M. Rossetti, London, Ellis, 1911, p. 188.
Citiamo qui di seguito la poesia perché può essere considerata esemplare per la
ricezione del dipinto tra Ottocento e Novecento: «Water, for anguish of the solstice: –
nay. / But dip the vessel slowly, – nay but lean / And hark how at its verge the wave
sighs in / Reluctant. Hush! beyond all depth away / the heat lies silent at the brink of
day: / now the hand trails upon the viol-string / That sobs, and the brown faces cease
to sing, / Sad with the whole of pleasure. Whither stray / Her eyes now, from whose
mouth the slim pipes creep / And leave it pouting, while the shadowed grass / Is cool
against her naked side? Let be: –/Say nothing now unto her lest she weep, / Nor name
is ever. Be it as it was, / Life touching lips with Immortality».
22 A. Conti, Giorgione. Uno studio, cit., p. 42.
Note di immortalità 179
23 Ibidem.
24 J. Burckhardt, Il cicerone, cit., p. 1050.
25 B. Berenson, The Venetians Painters of the Renaissance, New York, Putnam, 1894,
(trad. it. di E. Cecchi, I pittori italiani del Rinascimento, Milano, Hoepli, 1936, p. 24).
26 Ivi, pp. 25-26.
27 Ivi, p. 72.
28 G. D’Annunzio, Giorgione e la critica, in «Rivista di Roma», 16 (1912), n.s., vol.
I, n. 5, pp. 167-179, qui in Id., Pagine sull’arte, Milano, Mondadori, 1980, pp. 57-72,
qui p. 57.
29 G. D’Annunzio, Il fuoco, qui dalla ed. Milano, Mondadori, 1967, p. 65.
180 Lo sguardo reciproco
cata da Hermann Hesse al pittore; cfr. H. Hesse, Giorgione (1899-1902), in Id., Die Ge-
dichte, a cura di V. Michels, Frankfurt a.M., Suhrkamp, 1953, p. 139.
34 G. D’Annunzio, Il fuoco, cit., p. 88.
35 Ivi,, p. 92.
36 U. Monneret de Villard, Giorgione da Castelfranco. Studio critico, Bergamo, Isti-
A. Pauly, W. Weigand (a cura di), Leben und Schriften, München, Bruckmann, 1902,
pp. 89-112, qui p.100.
39 Ibidem.
182 Lo sguardo reciproco
40 H.v. Hofmannsthal, Gestern, in «Moderne Rundschau», IV, 2-3, 1891 (trad. it. e
chitetti, pittori, et scultori italiani del Vasari che, nel tentativo cam-
panilistico di dimostrare l’ascendente di Leonardo sull’artista ve-
neto, insiste sulla predilezione di Giorgione per le tele leonarde-
sche «molto fumeggiate» e «cacciate terribilmente di scuro», anzi,
insiste, «quella maniera gli piacque tanto, che mentre visse sempre
andò dietro a quella e nel colorito a olio la imitò grandemente»43.
A confermare questa influenza, Vasari caratterizza i suoi quadri
per «una terribil movenzia» e per «un tempo torbido che tuona e
trema il dipinto», inquietanti gli appaiono poi le figure che «si
muovono e si spiccano da la tavola per una certa oscurità di om-
bre ben intese»44.
Per avvalorare questa tesi, pubblica a introduzione della biogra-
fia di Giorgione una drammatica incisione del Davide conservato a
Braunschweig, opera che probabilmente Hofmannsthal aveva avuto
modo di vedere nella cupa versione seicentesca di Wenter Hollar.
Contribuiscono a formare nel giovane scrittore il cupo giudizio
di Andrea45 anche le opere conservate a Vienna che Hofmannsthal
ha avuto modo di vedere – nella Kunstgalerie erano esposti Il ra-
gazzo con la freccia e Laura, mentre, nella collezione dei Lancko-
ronsky, una famiglia viennese che Hofmannsthal frequentava, si
trovava un Cristo con la croce – opere allora di attribuzione assai
incerta di cui però non si escludeva la paternità giorgionesca.
La figura di Laura, in particolare, con il bianchissimo petto sul
fondo oscuro, rotto dal rosso vivo dell’abito, suggestiona Hof-
mannsthal che la ricorda nella stesura della tragedia rinascimentale
Ascanio e Gioconda. «Come un quadretto di Giorgione» 46 di
profonda ombrosità, scrive all’amico Beer-Hofmann il 22 luglio
del 1892, la protagonista del testo teatrale sarà una presenza oscu-
ra, appena illuminata dalla carnagione chiarissima e dai capelli ne-
ri e sciolti, simile alla «triste e bella musica che fiammeggia di
oscurità»47.
43 G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cima-
bue insino a’ tempi nostri, a cura di L. Bellosi e A. Rossi, Torino, Einaudi, 1986, p. 558.
44 Ivi, p. 542.
45 Per questa caratterizzazione “demoniaca” di Giorgione vedi anche J.
48 A. Schopenhauer, Die Welt als Wille und Vorstellung, Leipzig, Brockhaus, 1819
sammelte Werke in Einzelbänden, vol. II, Frankfurt a. M., Fischer, 1979, p. 16.
50 H. v. Hofmannsthal, Algernon Charles Swinburne, in «Deutsche Zeitung»,
5.1.1893, trad. it. e cura di G. Bemporad, Algernon Charles Swinburne, in Id., L’ignoto
che appare. Scritti 1891-1914, Milano, Adelphi, 1991, p. 63 (per tutti i saggi contenuti in
L’ignoto che appare e qui citati, la traduzione italiana è – se non indicato diversamente –
di G. Bemporad).
Note di immortalità 185
51 Cfr. H. v. Hofmannsthal, Walter Pater, in « Die Zeit», 17.11. 1894 (trad. it. Wal-
24.3.1894 (trad. it. di F. Rosso Chioso, Filosofia del metaforico, in Id., Filosofia del me-
taforico, Siena, Edizioni di Barbablù, 1988, p. 22.)
53 H. v. Hofmannsthal, Gabriele D’Annunzio, in «Die Zeit», 17.11.1894 (trad. it.
va che, pochi giorni dopo, scrive al padre: il paesaggio «ha qualcosa che afferra in un
modo assolutamente privo di sentimentalismi; così come i quadri di Tiziano o le statue
antiche» (lettera di H. v. Hofmannsthal al padre del 24. 8. 1897, ivi, p. 224).
59 A. Conti, Giorgione, cit., p. 27.
60 Ivi, p. 42.
61 H. v. Hofmannsthal, Ieri, cit., p. 17.
62 Cfr. A. Bayersdorfer, Leben und Schriften, cit., p. 100.
Note di immortalità 187
des 10. Mai 1902 im Hause des Grafen Karl Lanckoronski, Wien, Privatdruck, 1902
(trad. it. Discorso in casa di un collezionista d’arte, in Id., L’ignoto che appare, cit., p. 131).
64 H. v. Hofmannsthal, Ein Brief, in «Der Tag», 18-19.10.1902 (trad. it. di L. Tra-
Presse», 25.12.1902 (trad. it. di L. Traverso, Sui caratteri nel romanzo e nel dramma, in
Id., L’ignoto che appare, p. 158).
188 Lo sguardo reciproco
Un viaggio d’estate
Nel resoconto del viaggio che dal Brennero lo porta fino a Vi-
cenza, Hofmannsthal si sofferma a descrivere solo due opere, ma
entrambe esemplari. Sono il Concerto campestre di Giorgione e La
Rotonda di Palladio, un quadro e una architettura di quel Rinasci-
mento magico e alchemico che, attraverso Pater e Bayerdorfer, si
era imposto all’attenzione della decadenza72.
Scriverne – come aveva affermato Conti – è un «arduo cimen-
to»73 e il progetto di Viaggio d’estate è sicuramente ambizioso: si
tratta infatti di un doppio esercizio di Kunstbeschreibung legato a
diverse forme d’arte e reso più articolato dal desiderio di avviare
un dialogo fitto e intenso con il passato, quello degli artisti del Ri-
nascimento, ma anche quello dei poeti e dei critici che negli anni
ne avevano trattato e quello dei viaggiatori che in quelle opere si
erano imbattuti.
70 H. v. Hofmannsthal, Sommerreise, in «Neue freie Presse», 18.7.1903 (trad. it.
1. 2. 1904 (trad. it. di G. Bemporad, Il dialogo su poesie, in Id., L’ignoto che appare,
cit., p. 190).
75 H. v. Hofmannsthal, Botschaft, «Blätter für die Kunst», IV, 1-2 (1897), in Gesam-
79 Ibidem.
80 Ivi, p. 166.
81 Ibidem.
82 Cfr. G. Morelli, Kunstkritische Studien über italienische Malerei. Die Galerien zu
Berlin, Leipzig, Brockhaus, 1893 e B. Berenson, Italienische Kunst, cit., p. 113; cfr. inol-
tre di Berenson, The Venetian Painters of the Renaissance, cit.
83 H. Cook, Giorgione, London, Bell and Sons, 1900, p. 66.
192 Lo sguardo reciproco
voll., Parigi, Gallimard, 1975, pp. 283-288, citaz. p. 284. In Sui caratteri nel romanzo e
nel dramma, Hofmannsthal fa affermare a Balzac: «Non ci sono esperienze, solo l’espe-
rienza del proprio essere. È questa la chiave che apre ad ognuno la solitaria cella del
suo carcere, le cui pareti spesse e impenetrabili sono – è vero – rivestite come tappeti
sgargianti dalla fantasmagoria dell’universo» (H. v. Hofmannsthal, Über Charaktere im
Roman und im Drama, cit., trad. it. p. 153).
194 Lo sguardo reciproco
90 H. v. Hofmannsthal, Die Wege und die Begegnungen, in «Die Zeit», 19. 15.1907
(trad. it. di L. Traverso, I cammini e gli incontri, in Id., L’ignoto che appare, cit., p. 273).
91 H. v. Hofmannsthal, Gabriele D’Annunzio II, cit., p. 88.
92 Cfr. C. Bregger, Das Visuelle und das Plastische. Hugo von Hofmannsthal und die
30.8.1907 (trad. it. di G. Bemporad, Le lettere del rimpatriato, in Id., L’ignoto che appa-
re, cit., p. 305).
94 S. Kummer, Kunstbeschreibungen Jacob Burckhardts, in G. Boehm, H. Pfo-
gessen in der Poetologie der Moderne, in A. Haverkamp, R. Lachmann (a cura di), Me-
moria: Vergessen und Erinnern, con la collaborazione di R. Herzog, München, Fink,
1993, pp. 435-455.
97 A. Conti, Giorgione, cit., p. 10.
98 H. v. Hofmannsthal, Algernon Charles Swinburne, cit. (trad. it. p. 63).
196 Lo sguardo reciproco
1894 (trad. it. a cura di G. Zampa, Sogno di grande magia, in Id., Narrazioni e poesie,
cit., p. 27).
102 Cfr. Th. Adorno, Ästhetische Theorie, in Id., Gesammelte Schriften, a cura di G.
da, O. Pächt, Graz-Köln, H. Böhlaus Nachf., 1966. Riegl individua due fasi di questa
azione vitalizzatrice dell’arte per quanto riguarda il mondo antico: nella prima fase,
quella classica, l’arte tende a migliorare la natura attraverso la bellezza dei corpi, nella
Note di immortalità 197
Concerto campestre
seconda fase, quella cristiana, fino al 1520, si tratta di migliorarla attraverso la bellezza
spirituale.
104 H.v. Hofmannsthal, Traum von grosser Magie, in «Blätter für die Kunst», III, 1,
gennaio, 1896 (trad. it. a cura di G. Zampa, Sogno di grande magia, in Id., Narrazioni e
poesie, cit., p. 39).
105 A. Riegl, Historische Grammatik der bildenden Künste, cit., p. 92.
106 H. v. Hofmannsthal, La lettera di Lord Chandos, cit., p. 146.
107 G. Vasari, Vita di Giorgione da Castelfranco, cit., p. 560.
198 Lo sguardo reciproco
e si misurava in «tutte le sorti delle vedute che può fare in più ge-
sti un uomo» sforzandosi di rappresentare «figure a sua fantasia
per mostrar l’arte»108.
Anche Hofmannsthal coglie il Concerto campestre nel suo insie-
me “vedendo” come alcune figure si perdano nella contemplazione
delle colline venete e sentendo, insieme a loro, il fascino di quella
regione: «Il miracolo di questo luogo è armonia: terra e nuvole,
lontananza e vicinanza, realtà e sogno qui sono una cosa sola: l’aria
è come un bacino in cui corrono silenziose fiumane di gioia»109.
L’immersione totale delle figure nella natura introduce un
aspetto fortemente innovativo nella riflessione di Hofmannsthal
sul Rinascimento. Mentre in Ieri trionfa un estetismo che cerca la
soddisfazione dell’attimo, riversando nella bellezza tutte le attese
di redenzione, qui invece i personaggi si danno panicamente alla
terra pronti ad essere irretiti, come figli dello Jugendstil, da una at-
trazione che finisce per smembrarle. L’umano si lega all’inumano e
si anticipa quel dissolvimento dell’immagine che caratterizza, fino
alla sua stessa negazione, l’arte del Novecento: «Le donne hanno
abbandonato le vesti sull’erba e offrono il corpo nudo al duplice
fiato dell’aria che fresco e presago d’ombre le vuole attirare sui
monti, e tiepido e voluttuoso le sfiora salendo dalla pianura»110.
La sensualità della scena che faceva immaginare a Tieck un me-
ridionale trionfo dei sensi111 e ispirava a Adolf Friedrich Schack
un estetismo di maniera112 diventa qui trasognata inconsapevolez-
za, perdita di volontà, superamento della individuazione. Dei per-
sonaggi di Giorgione, Hofmannsthal fa dei percettori, ricchi – co-
me scriverà Schaukal – di «morbidezza vegetativa», immersi in
«un sognare dolcemente assorto»113.
Echeggia il «dolore del solstizio» di Rossetti, quando «l’onda
108 Ibidem.
109 H. v. Hofmannsthal, Viaggio d’estate, cit., p. 167.
110 Ivi, p. 166.
111 L. Tieck, Franz Sternbalds Wanderungen. Eine altdeutsche Geschichte, a cura di
A. Angers, Stuttgart, Reclam, 1966, in particolare si rimanda alle pp. 368, 369, 371.
112 Cfr. A.F. v. Schack, Ein Bild Giorgiones, in Id., Gesammelte Werke, vol. X, Stutt-
gart, Cotta, 1899, pp. 220-221: «Fragt nicht, ob irdische, ob Himmelsliebe/Uns Castel-
franco grosser Sohn hier malte!//Lasst euch’s genug sein an der Schönheit Fülle,/Die
alle hier, dies wüste Weltgetriebe/Verklärend, seit Jahrhunderten schon strahlte».
113 R. Schaukal, Giorgione, cit., p. 136.
Note di immortalità 199
che Pater nel suo scritto sulla Scuola di Giorgione. In particolare in La Sacra famiglia
del Louvre Pater vede «un singolare incanto d’aria tersa», inoltre il pittore veneto
donerebbe ai «suoi sacri personaggi una lucentezza e un’energia penetrate di vento»
(W. Pater, Il Rinascimento, cit., pp. 138-139).
200 Lo sguardo reciproco
E.T. Cook, A. Wedderburn, vol. II, New York, Library Edition, 1903, p. 196.
202 Lo sguardo reciproco
alla pace degli orizzonti dipinti, alla bellezza delle pure forme,
mette l’anima dell’osservatore in uno stato simile a quello prodot-
to dalla creazione musicale130. «Luogo di beatitudine! La coperta
pende dimenticata, le vesti sono scivolate sull’erba: la coperta di-
venta una vela, lievemente la gonfia il respiro voluttuoso della pia-
nura, l’alito fresco dei monti fruga tra le sue pieghe. E così nelle
chiome dei tre alberi; essi giocano beati col peso delle loro vette:
ciò cui le donne anelano, che avidamente cercano calando il sec-
chio, essi l’hanno da sé, lo suggono in sé con le radici, l’oscura, mi-
steriosa felicità della terra»131.
Grazie all’azione della musica nel quadro, e della poesia nella
Kunstbeschreibung hofmannsthaliana, le donne non si radicheran-
no nella terra, gli uomini non si identificheranno con il respiro vo-
luttuoso dell’aria e la Sehnsucht di qualcosa che è appena presagito
diventa annuncio di una nuova rivelazione che giungerà al termine
del viaggio: a Vicenza di fronte a quell’opera sublime che è, secon-
do Hofmannsthal, la Rotonda di Palladio.
130 Secondo Pater i personaggi dei suoi quadri sembrano intenti e inteneriti dalla
Roberta Coglitore
La malinconia di un’agata
Nelle prime pagine di Nel solco di Saturno1, una delle tre “lezio-
ni morali” che Roger Caillois scrive a partire dalle tenebre della
materia inorganica, vengono descritti un sole nero, che irradia una
luce scura e un poliedro irregolare, e un pesante cubo, elemento
isolato sulla superficie di un’agata, entrambi generatori dei sintomi
di una «tristezza tenace». La bellezza dello spettacolo si mescola a
un’atmosfera di sogno – la fantasia che nasce dalla ricerca di un
mistero custodito nel disegno –, e a una tristezza senza oggetto –
una vera e propria angoscia:
La sua solitudine, il suo esilio in questo pantano, mi riempie d’un trat-
to di una tristezza tenace. Lo spettacolo non ne era l’unica causa. Vi si
mischiava lentamente, come s’insinua una nebbia, un’atmosfera di sogno:
qualcosa di cerebrale e vissuto al contempo, un ricordo che non riuscivo
a identificare, di cui m’erano proposti solo alcuni elementi, del resto in
disordine, e di cui mi mancava la chiave che m’avrebbe permesso di riu-
nirli e di trovarne il significato. D’altra parte, questa cupezza improvvisa,
irrimediabile, senza oggetto2.
1 R. Caillois, D’après Saturne, in Id., Trois leçons des Ténèbres, Montpellier, Fata
Morgana, 1978, pp. 11-28 (trad. it. di T. Cavallo, Nel solco di Saturno, in Id., Tre lezioni
delle tenebre, Genova, Zona, 1999, pp. 49-59). Si preferisce qui seguire la seconda tra-
duzione italiana del testo. La prima dal titolo Seguendo Saturno è di G. Zuccarino, nel
volume R. Caillois, Pietre, Genova, Graphos, 1998, pp. 79-86.
2 R. Caillois, Trois leçons des Ténèbres, cit., p. 14 (trad. it. p. 52).
206 Lo sguardo reciproco
3 Cfr. R. Klibansky, E. Panofsky, F. Saxl, Saturn and Melancholy. Studies in the Hi-
story of Natural Philosophy Religion and Art, London, Thomas Nelson & Sons, 1964
(trad. it. di R. Federici, Saturno e la melanconia, Torino, Einaudi, 1983). La sovrapposi-
zione tra Saturno e Crono ha intensificato gli elementi contraddittori della divinità:
Crono «Da un lato era il dio benevolo dell’agricoltura, la cui festa del raccolto era cele-
brata insieme dai liberi e dagli schiavi, era il sovrano dell’età dell’oro […] dall’altro era
il dio cupo, detronizzato e solitario […] da un lato era il padre degli dei e degli uomini,
dall’altro il divoratore dei figli colui che mangiava carne viva» (Ivi, trad. it. p. 283).
4 Ivi (trad. it. p. 186).
Malinconia e immaginazione 207
6 Già Benjamin aveva scritto che: «Il recupero degli antichi simboli della melan-
conia, documentato da questa incisione e dalla speculazione contemporanea, ne ha
probabilmente sorvolato uno, che sembra essere sfuggito all’attenzione di Giehlow e di
altri studiosi. Si tratta della pietra. Il suo posto nell’inventario dei simboli è sicuro» (Ivi,
trad. it. p. 129). Alle caratteristiche della massa inerte della pietra corrisponde per
Benjamin il peccato mortale dell’acedia, della pigrizia del cuore.
7 R. Caillois esplora la dimensione del viaggio all’interno delle pietre soprattutto in
Pierres, nella sezione Metafisica. Come nella tradizione cinese il viaggio mistico dentro le
cavità delle pietre diventa un modo di fare un viaggio dell’anima e di sentire l’eterno: «Si
pensa che lo spirito, liberatosi dal corpo, percorra senza sforzo e quasi istantaneamente i
diversi mondi naturali e soprannaturali, prima di ritornare nel suo involucro carnale. Es-
so si muove con facilità tra i nove piani dei Cieli e i nove piani degli Inferi che compon-
gono i coni, orientati in senso opposto, di cui è fatto l’universo: l’infima e immensa natu-
210 Lo sguardo reciproco
Incroci fantastici
ra nella quale vivono gli uomini ordinari costituisce il luogo, minuscolo, in cui si con-
giungono le punte dei due coni […]. Solo gli Immortali sono capaci di compiere scorri-
bande del genere. Ma forse conviene rovesciare la formula: solo chi sperimenta simili sta-
ti di pienezza, chi sogna di effettuare simili viaggi, può avere un presentimento dell’Im-
mortalità» (R. Caillois, Pierres, Paris, Gallimard, 1960, trad. it. cit., p. 52).
8 D. Diderot, Salons de 1767, 39. Vernet, Paris, pp. 98-148, citaz. p. 105: «Arrêtés
là, je promenai mes regards autour de moi, et j’éprouvai un plaisir accompagné de fré-
missement».
9 Mi permetto di rinviare al mio Lapidari moderni, in R. Caillois, Malversazioni,
gio che tenne nascosto e di cui non parlano i suoi biografi», du-
rante il quale il pittore tedesco avrebbe acquistato una pietra dei
famosi giacimenti di Idar Oberstein. Anche la pietra, oltre al luo-
go, conferisce al racconto un tono di incertezza, un’inquietudine
spaesante. Infatti, si legge nel testo, la pietra acquistata da Dürer è
forse la stessa di quella posseduta e contemplata da Caillois nella
prima descrizione:
Albrecht Dürer acquistò questa pietra, o meglio una pietra quasi iden-
tica (perché i disegni dell’agata si trasformano nello spessore della traspa-
renza con una rapidità sorprendente)13.
Si tratta dei primi cortocircuiti della narrazione, dei punti di
contatto tra livelli diversi, tipici del racconto fantastico, che
confondono il lettore intento a seguire il lineare svolgimento del-
l’asse narrativo.
Le immagini della pietra a lungo contemplata quella sera nella
locanda dove Dürer si ferma per la notte si sommano alle immagi-
ni della locandiera, del suo cane e di altri oggetti, per prepararsi a
diventare le figure che sovraccaricheranno la nota incisione.
Ma a determinare il particolare momento creativo sono la mor-
te di Martin Schongauer, maestro mai incontrato, la lettura del Li-
bro del sapiente di Charles de Bouëlle sul sentimento proprio dei
religiosi e le riflessioni sul valore della pittura rispetto alla bellezza
della natura: tutte esperienze che avevano preceduto di ore o anni
l’acquisto della pietra. Eventi che già prima della partenza lo ave-
vano indotto a «dubitare del proprio talento e addirittura a riflet-
tere sulla legittimità della pittura»14 ma che sarebbero ritornati alla
memoria proprio quella sera.
Un sentimento malinconico, una cupezza (morosité) infinita,
data dalla singolare coincidenza di questi fattori, pervase Dürer al
momento della contemplazione della pietra, quella sera nella lo-
canda. Le riflessioni sulla vanità della scienza e dell’arte gli provo-
carono una «tristezza colpevole». L’acedia, sentimento che accom-
pagna i contemplativi e che, a lungo andare, «rende simili alle pie-
tre», aveva avuto origine in questa occasione proprio dalla con-
templazione di una pietra. Dürer osservò la lastra alla fiamma di
della imagination e della image juste che risponde contemporaneamente ai criteri dell’e-
sattezza e della sopresa e che attraverso l’enigma cela il mistero.
214 Lo sguardo reciproco
22 Sulla relazione tra letteratura e arti figurative e in particolare sulle omologie tra
visuale e testuale e sulle modalità di ékphrasis si veda: M. Cometa, Letteratura e arti fi-
gurative: un catalogo, in «Contemporanea», 3 (2005), pp. 15-29.
216 Lo sguardo reciproco
sparenza, come figure d’un vano blasone, recava un sole alla rovescia e un
poliedro sperduto25.
Diversamente dal presente dell’enunciazione – tempo della
scrittura e del confronto tra le due descrizioni – e dal passato –
tempo dell’arte e della produzione della genealogia dell’opera
d’arte –, nella prospettiva futura – che è anche una sorta di tempo
ciclico, tempo dell’eternità della natura – Caillois profetizza l’as-
senza della parola e dell’immagine prodotte dall’uomo e la sola
presenza del «silenzioso monopolio» del minerale.
esemplificato nell’incisione più famosa: «Alla fine della sua vita Dürer crede di avere ri-
solto l’antinomia fra oggetto e segno, tra la vita che scorre e la stabilità della ragione.
Ma quattordici anni prima, ne dubitava ancora e l’espressione che ha dato alla sua in-
Malinconia e immaginazione 221
quietudine ci tocca più profondamente della sua serenità di teorico» H. Focillon, Al-
brecht Dürer, cit. (trad. it. p. 44).
29 R. Caillois, D’après Saturne, cit. (trad. it. pp. 53-54).
30 Ivi (trad. it. p. 54).
222 Lo sguardo reciproco
34 Il cane è uno degli animali che per tradizione è associato alla milza, organo pro-
duttore della bile, e quindi alla melanconia. Come si legge in Benjamin (Ursprung des
deutschen Trauerspiels, cit.; trad. it. p. 127): «Se quest’organo, descritto come partico-
larmente delicato, si altera, il cane perderà la sua allegria e cadrà in preda alla rabbia.
In questo senso il cane simboleggia l’aspetto oscuro del temperamento melanconico».
35 R. Caillois, D’après Saturne, cit. (trad. it. p. 56).
36 Ivi (trad. it. p. 57).
37 Cfr. in particolare R. Klibansky, E. Panofsky, F. Saxl, Saturn and Melancholy, cit.
42 Mi permetto di rinviare al mio Pietre figurate. Forme del fantastico e mondo mi-
è soltanto una delle due possibilità che si danno nella rivelazione del fantasma lacania-
no, di quell’incrocio tra il soggetto e il suo Altro o tra il soggetto e l’Altro. L’altra possi-
bilità è la fuga. Si veda R. Galvagno, Le sacrifice du corps. Frayages du fantasme dans les
Métamorphoses d’Ovide, Paris, Panormitis, 1995.
228 Lo sguardo reciproco
Gradi di pietrificazione
44 S. Freud, Jenseits des Lustprinzips, 1920 (trad. it. Al di là del principio del
Psychoanalyse», vol. IV (6) 1917, pp. 288-301 (trad. it. di R. Colorni, Lutto e melanco-
nia, in Opere, cit., vol. VIII, pp. 102-118, citaz. pp. 106, 107, 108).
46 J. Pigeaud, Métaphore et mélancolie, in «Littérature, Médecine, Société», Uni-
versità di Nantes, n. 10, 1989, ora in Y. Hersant, Mélancolies, cit., pp. 849-850: «La mé-
lancolie implique la nécessaire urgence de sortir de soi; c’esta à dire de briser l’unité, le
continuum. On pourrait dire qu’elle est la pathologie du monisme. Elle montre la né-
cessité du dualisme, c’est-à-dire de déchirer cette untié qui fait souffrir […] Pour lui (le
mélancolique) il n’est plus de métaphore possible: on peut dire que pour lui la méta-
pohore n’existe pas ou n’a pas de sens. C’est le monisme du malade, de l’être replié sur
soi et souffrant de ce repli, ignorant la métaphore».
47 Secondo una rilettura lacaniana della melanconia l’unica possibilità di guarirne
è la via della poesia, «un’etica della scrittura che è anche pratica amorosa» R. Galva-
gno, Le sacrifice du corps. Frayages du fantasme dans les Métamorphoses d’Ovide, Paris,
Panormitis, 1995, p. 140 (trad. mia).
48 J. Kristeva, Soleil noir. Dépression et mélancolie, Paris, Gallimard, 1987 (trad. it.
tuisce allora l’unico livello in grado di salvarci dal non essere, dalla
morte verso la quale ci conduce la depressione malinconica:
Così se la pulsione di morte non si rappresenta nell’inconscio, occorrerà
inventare un altro livello dell’apparato psichico nel quale – contempora-
neamente al godimento – essa registri l’essere del suo non-essere? È ap-
punto una produzione dell’Io scisso, costruzione di fantasma e di finzione
– il registro dell’immaginario insomma, il registro della scrittura – che testi-
monia di quello iato, bianco o intervallo che è la morte per l’inconscio49.
La regione dell’immaginario è quella dove si situa il testo cail-
loisiano: ipotesi di una genealogia fantastica del capolavoro sulla
melanconia.
La dialettica tra le cose morte e la loro salvezza è sicuramente la
cifra della lettura cailloisiana e prima ancora di quella benjaminia-
na che aveva ritrovato nella pietra il simbolo per eccellenza, ma
spesso dimenticato, della melanconia. L’inerte massa minerale per
Benjamin diventa allora il simbolo del freddo e dell’asciutto della
terra, della gravità, dell’inerzia e della pigrizia del cuore. Tipico
tratto dell’uomo saturnino è inoltre l’infedeltà verso gli uomini e la
fedeltà verso gli oggetti:
Alla sua infedeltà verso gli esseri umani fa riscontro una fedeltà verso
questi oggetti a dir poco sommersa nella sua dedizione contemplativa50.
La malinconia, secondo Benjamin, lega il soggetto agli oggetti
del suo mondo da dove il suo stato d’animo cerca di redimerli:
La malinconia tradisce il mondo per amore della conoscenza. Ma il
suo ostinato sprofondarsi solleva le cose morte nella sua contemplazione
per salvarle51.
49 Ivi, p. 30.
50 W. Benjamin, Ursprung des deutschen Trauerspiels, cit. (trad. it. p. 131).
51 Ivi (trad. it. pp. 131-132).
52 Su consiglio di Gaston Gallimard Sartre cambiò il titolo originale del suo ro-
d’Ormesson, Paris, Gallimard, 1981 (trad. it. di E. Giovannelli, L’uomo che amava le
pietre, in Pellegrina e straniera, Torino, Einaudi, 1990, p. 190).
54 J. Starobinski, Saturne ou le ciel des pierres, Europe, n. 859-860, 2000 (trad. it.
di C. Colangelo, Saturno nel cielo delle pietre, in Roger Caillois, Riga n. 23, Marcos y
Marcos, 2004, p. 183).
Malinconia e immaginazione 233
55 T. Cavallo, Acedia: il premio della lotta?, in R. Caillois, Tre lezioni delle tenebre,
Renata Gambino
Romam quaero!
K. Ph. Moritz
1 Si tratta del motto «Romam quaero!» di K. Ph. Moritz, Reisen eines Deutschen
in Italien in den Jahren 1786 bis 1788, 3 voll., Berlin, Friedrich Maurer, 1792-93, adesso
in Id., Werke, 3 voll., a cura di H. Günther, Frankfurt a. M., Insel Verlag, 1993, qui vol.
II, p. 129.
2 K. Ph. Moritz, Reisen eines Deutschen in Italien in den Jahren 1786 bis 1788,
cit., vol. III, pp. 230.
238 Lo sguardo reciproco
3 K. Ph. Moritz, Vorbegriffe zu einer Teorie der Ornamente, Berlin, Karl Matz-
dorff, 1793, p. 16.
4 In particolare a Berlino intorno alla metà del XVIII secolo, si sviluppò tra alcuni
membri della prestigiosa Accademia delle Scienze, un’accesa discussione intorno alla
questione dell’origine del linguaggio umano (portata in primo piano dal saggio di E.
Bonnot de Condillac, Essai sur l’origine des connaissances humaines, pubblicato nel
1746), che vedeva schierati su opposti fronti i sostenitori della sua origine divina o na-
turale. Solo nel 1772 con la pubblicazione dell’opera di Johann Gottfried Herder,
Abhandlung über den Ursprung der Sprache, si giunse all’elaborazione di una posizione
intermedia all’interno di quest’accesa querelle.
5 Composto probabilmente nei primi mesi del 1788 mentre si trovava a Roma, il
saggio fu pubblicato per la prima volta dall’editore Campe nell’autunno dello stesso an-
no: K. Ph. Moritz, Über die bildende Nachahmung des Schönen, Braunschweig, Campe,
1788.
6 Il saggio fu molto apprezzato soprattutto da Goethe e da molti altri in ambito
weimeriano, ma ricevette anche molte critiche, sia per i suoi contenuti che per la sua
forma. Cfr. ad es. la lettera di Herder alla moglie datata Roma, 21 febbraio 1789 in J.
G. Herder, Italienische Reise. Briefe und Tagebuchaufzeichnungen 1788-1789, a cura di
A. Meier e H. Hollmer, München, DTV, 1988, p. 350.
Un’idea di Roma 239
zu Taub- und Stummgeborenen nei primi sei numeri della rivista Gnothi Sauton oder
Magazin zur Erfahrungsseelenkunde als ein Lesebuch für Gelehrte und Ungelehrte, Ber-
lin, Mylius, 1783-1793, adesso in parte in Id., Werke, cit., vol. III, pp. 792-800.
8 J.G. Herder, Abhandlung über den Ursprung der Sprache, Berlino, Ch. F. Voss,
1772.
9 Cfr. Emil Angehrn, Beschreibung zwischen Abbild und Schöpfung, in Beschrei-
Moritz, Versuch einer kleinen praktischen Kinderlogik welche auch zum Theil für Lehrer
und Denker geschrieben ist. Mit sieben Kupfertafeln von Daniel Chodowiecky, Berlin, A.
Mylius, 1786.
11 A quest’argomento Moritz dedicò un saggio intitolato In wie fern Kunstwerke
beschrieben werden können, pubblicato per la prima volta nella «Monatsschrift der
Akademie der Künste und mechanischen Wissenschaften zu Berlin», I (1788), 2, IV,
pp. 159-168; V, pp. 204-210; II (1789), 3, I, pp. 3-5.
12 Cfr. a questo proposito la traduzione italiana curata da P. D’Angelo: K. Ph. Mo-
ch eine Anleitung zum Denken für Kinder enthält, con 6 tavole di P. Haas, Berlin, Chri-
stian Gottfried Schöne, 1790.
Un’idea di Roma 241
15 Il progetto iniziale testimoniato dallo scambio epistolare con alcuni editori, pre-
vedeva che Moritz scrivesse un diario di viaggio sulla scia della sua precedente pubbli-
cazione riguardante l’Inghilterra (K. Ph. Moritz, Reisen eines Deutschen in England im
Jahr 1782. In Briefen an Herrn Direktor Gedike, Berlin, Friedrich Maurer, 1783). Cfr.
R. Gambino, Romam Quaero! La questione greco-romana nelle “Reisen eines Deutschen
in Italien” di Karl Philipp Moritz, Messina, Sicania, 2000.
16 Si tratta soprattutto delle lettere inviate all’editore Campe da Roma datate 3
febbraio 1787, 1 settembre 1787 e 12 aprile 1788, in H. Eybisch, Anton Reiser, Unteru-
chungen zur Lebensgeschichte von K. Ph. Moritz und zur Kritik seiner Autobiographie,
Leipzig, Voigtländer, 1909, pp. 207, 219 e 229.
242 Lo sguardo reciproco
pp. 431-432.
18 Cfr. N. Miller, Archäologie des Traums. Versuch über Giovanni Battista Piranesi,
cui si trovava all’epoca della sua visita aggiungendovi però molte informazioni riguar-
danti la forma e la funzione ai tempi di Nerone, quando era il luogo in cui venivano sa-
crificati i cristiani. K. Ph. Moritz, Reisen eines Deutschen in Italien in den Jahren 1786
bis 1788, cit., vol. I, p. 210.
Un’idea di Roma 243
mo resi partecipi non soltanto del suo accostarsi alla realtà cittadi-
na, alla sua storia e agli usi dell’epoca, ma anche del progressivo
sviluppo delle sue teorie estetiche e della questione centrale ri-
guardante il Gesichtspunkt (il punto di vista)20, considerato da
Moritz l’elemento fondamentale della formazione di un concetto e
del giudizio, caratteristiche determinanti del pensiero umano:
Questa tendenza alla verità, alla correlazione e all’ordine nei nostri
pensieri e nelle nostre rappresentazioni è il nostro istinto, è un impulso
per il quale noi non abbiamo alcun motivo ulteriore, oltre alla natura del
nostro essere21.
Il bisogno di un ordine, lo stabilire delle correlazioni e poi il pa-
ragonare e il distinguere sono attività della ragione umana che esi-
sterebbero indipendentemente dalla parola anche se la percezione,
secondo Moritz, di per sé ordina la materia22:
Attraverso l’occhio si ottiene dunque la contemporaneità,/ attraverso
l’orecchio la successione delle idee./ Occhio – orecchio –/ Pittura – Musi-
ca –/ Contemporaneità – successione –/ Le belle arti sono una copia della
natura in forma rinnovata (in Verjüngtem Maaßstabe)23.
Secondo questa impostazione, la percezione visiva sarebbe de-
putata all’organizzazione dello spazio, alla delimitazione, quindi
precipuamente alla comprensione del reale. Scoprire secondo qua-
li principi avviene questa organizzazione del percepito diventa uno
degli argomenti di studio durante il periodo italiano. Le lezioni di
prospettiva seguite a Roma da Moritz presso l’architetto Maximi-
lian von Verschaffelt24, già insegnante di Goethe, contribuirono
20 Cfr. il breve saggio di K. Ph. Moritz, Gesichtspunkt, in «Magazin zur Erfah-
rungsseelenkunde», IV, 2 (1786), pp. 16-19 (trad. it. e cura di P. D’angelo, Lo scopo ul-
timo del pensiero umano, in Id., Scritti di Estetica, cit., pp. 51-53).
21 Ivi, p. 52.
22 In questo si rivela la sua adesione alle teorie riguardanti i confini tra le arti espo-
ste da Gotthold Ephraim Lessing nel suo Laokoon: oder über die Grenzen der Malerei
und Poesie, Berlino, 1766 (trad. it. e cura di M. Cometa, Laocoonte, Palermo, Aestheti-
ca edizioni, 1991).
23 K. Ph. Moritz, Die große Loge oder der Freimaurer mit Waage und Senkblei, Ber-
lin, Ernst Felisch, 1793, in Id., Werke, cit., vol. III, p. 334.
24 L’architetto Maximilian von Verschaffelt (Mannheim 1754 - Wien 1818) visse a
Roma dal 1782 al 1793. Studiò presso l’Accademia Reale di Parigi sotto la protezione
di Amedee Van Loo. Durante gli anni trascorsi a Roma si dedicò principalmente alla
scultura. Alla morte del padre nel 1793, egli assunse per un breve periodo la direzione
dell’Accademia di Belle Arti a Mannheim, poi seguì il principe Karl Theodor a Mona-
244 Lo sguardo reciproco
co. Dal 1801 si trasferì a Vienna alle dipendenze del principe Estherhàzy dove rimase
fino alla sua morte. Nel Goethe-Museum di Weimar si trovano ancora un suo disegno
della veduta dal Campidoglio ed uno della chiesa di S. Maria in Aracoeli.
25 La serie delle Vedute comprende in tutto 135 tavole, vendute singolarmente o a
gruppi a partire dal 1745 fino al 1778, anno della sua morte. L’opera di Piranesi era ben
nota a Moritz, il quale non solo fa riferimento esplicito ad una sua incisione nel secon-
do volume del resoconto di viaggio (Reisen vol. II, p. 317), ma al suo ritorno a Berlino
farà richiesta ufficiale all’Akademie der Künste per l’acquisto delle famose Vedute a sco-
pi didattici. Cfr. le ricerche condotte dalla dott. Yvonne Pauly presso la Akademie der
Wissenschaften di Berlino, consultabili in parte nel sito dell’Accademia alla pagina
www.bbaw.de/bbaw/Forschung/Forschungsprojekte/moritz/de.
26 Queste famosissime incisioni di grande formato furono composte nell’arco di 30
anni a partire dal 1748 anno di pubblicazione della prima serie. Cfr. J. Wilton Ely, Pira-
nesi, Milano, Electa, 1994.
Un’idea di Roma 245
27 Cfr. G.B. Piranesi, Vedute di Roma, Milano, Mondadori, 2000, tavv. 3, 19, 58,
28 Una tra le più famose è senz’altro quella di Johann Jakob Volkmann, Historisch-
kritische Nachrichten von Italien, welche eine genaue Beschreibung dieses Landes, der
Sitten und Gebräuche, der Regierungsform, Handlung und Oekonomie, des Zustandes
der Wissenschaften, und insonderheit der Werke der Kunst enthalten. Aus den neuesten
französischen und englischen Reisebeschreibungen und aus eignen Anmerkungen zusam-
mengetragen, 3 voll., Leipzig, C. Fritsch, 1770-71.
29 Cfr. M. Cometa, Il romanzo dell’architettura. La Sicilia e il Grand Tour nell’età di
con un gruppo di nuvole scure nel cielo, creando una cornice che
divide la tavola nettamente in due differenti piani d’osservazione.
Il risultato di un tale “restringimento” del campo visivo è la sensa-
zione di guardare dentro uno strumento ottico, lo spettatore viene
proiettato al di fuori dell’immagine, la piazza assume maggiore
profondità, il corpo centrale della basilica viene allontanato dal re-
sto della piazza, conferendo a questo edificio monumentale una
consistenza quasi eterea. Tutto ciò produce la sensazione di guar-
dare un’immagine irreale, di avere di fronte un tremolante prodot-
to di fantasia. La veduta si trasforma in visione.
Il testo scritto da Moritz per descrivere una seconda volta la Ba-
silica di San Pietro e la piazza circondata dal colonnato non sem-
bra essere altro che un atto di ékphrasis rispetto a questa Veduta
piranesiana. Non è il luogo ad essere rappresentato nel testo ma le
caratteristiche salienti di questa particolare raffigurazione (fig. 2):
Quando si osserva la facciata della chiesa di San Pietro sullo sfondo di
questa piazza, sembra di guardare dentro una scatola prospettica; il tutto
appare più simile ad un quadro che ad un oggetto del mondo reale, in cui
non si è abituati a vedere qualcosa di così perfettamente proporzionato e,
nonostante simili dimensioni, elaborato in maniera così completa31.
32 Ivi, p. 206.
33 K. Ph. Moritz, Reisen eines Deutschen in Italien, cit., vol. III, p. 404.
250 Lo sguardo reciproco
34 La tecnica usata da Piranesi in alcune delle sue grandi tavole trae ispirazione
dalle innovazioni prospettiche introdotte nella scenografia teatrale barocca dai fratelli
Galli Bibiena e poi ulteriormente elaborate da Filippo Juvarra, con la sua “scena per
angolo”. Con l’inizio del Settecento, la prolifica attività, della famiglia Bibiena, portò a
perfezione una vera “scienza dell’illusione”, in cui la disciplina della prospettiva lineare
consentiva il manifestarsi di un mondo in illimitata espansione. La maggior parte dei
più fantasiosi architetti del barocco, da Bernini a Juvarra, si esercitò in questo campo,
che offriva enormi possibilità di sperimentazione. La “scena per angolo”, esposta da
Ferdinando Bibiena, nel suo trattato Architettura civile del 1725, era veramente un’idea
rivoluzionaria, grazie alla quale il tradizionale punto di fuga centrale veniva abbando-
nato a favore dell’uso contemporaneo di più assi visivi diagonali, ognuno dei quali
schiudeva allo spettatore nuove visuali.
Un’idea di Roma 251
Più oltre, nelle stese tonalità di colore le montagne di Tivoli, fin dove
si erge nel rosso della sera, il Colosseo, vicinissimo, nel quale possiamo,
come dall’alto, guardare all’interno35.
Lo stesso avviene nella rappresentazione del colonnato del Ber-
nini che, visto dalla prospettiva aerea, assume proporzioni gigante-
sche rispetto alle costruzioni circostanti, persino rispetto alla basi-
lica stessa e alla maestosa cupola. La forma circolare della piazza,
con l’obelisco posto al centro, verso cui tutto tende e sembra esse-
re collegato attraverso dei raggi disegnati sul pavimento della piaz-
za, diviene simbolo della perfezione divina, ma anche inquietante
riferimento alla forma di una tenaglia, simboleggiante il cattolicesi-
mo, dominatore incontrastato della scena cittadina.
Moritz si sofferma, nella terza parte del suo resoconto di viag-
gio, a descrivere nuovamente questi due luoghi, scegliendo per en-
trambi un punto d’osservazione elevato che permetta di porre una
certa distanza tra il monumento e l’osservatore, in modo da riusci-
re ad astrarre dai dettagli minuti e di cogliere la forma nella sua in-
terezza (fig. 6):
35 K. Ph. Moritz, Reisen eines Deutschen in Italien, cit., vol. III, p. 417.
Un’idea di Roma 253
38 K. Ph. Moritz, Sechste Vorlesung. Über ein poetisches Gemälde von Goethe – wa-
rum und in wie fern die Aufstellung und Zergliederung eines solchen Gemäldes in ein
Werk über den Stil gehört?, in Id., Vorlesungen über den Stil, Berlin, Friedrich Vieweg,
1793, adesso in Id., Werke, cit, vol. III, pp. 622-629.
39 Ivi, p. 153.
40 Ivi, p. 623 (trad. it. e cura di P. D’Angelo, in K. Ph. Moritz, Scritti di estetica,
cit., p. 154).
Un’idea di Roma 255
p. 100).
256 Lo sguardo reciproco
43 Ibidem.
44 Ivi, p. 581 (trad. it. p. 96).
I COLORI DELLE FIABE
E LA PASSIONE DELLA REALTÀ
DIMENSIONI VISUALI IN ANNA SEGHERS
Rita Calabrese
4 Non è questa la sede per una disamina più approfondita, sia del complesso rap-
porto della scrittrice con il comunismo e con l’establishment della DDR, sia della sua li-
mitata “fortuna” italiana. Questo saggio si inserisce in una più ampia ricerca sull’opera
della scrittrice. Per la critica occidentale del dopoguerra, cfr. Chr. Degemann, Anna Se-
ghers in der westdeutschen Literaturkritik 1946 bis 1983, Köln, Pahl-Rugenstein, 1985.
5 Cfr. H. Mayer, Der Turm von Babel, cit., p. 202.
6 Cit. in A. Schrade, Anna Seghers, Stuttgart-Weimar, Metzler, 1993, p. 2.
7 A. Seghers, Kleiner Bericht aus meiner Werkstatt, in Id., Gesammelte Werke in
Einzelausgaben, Berlin-Weimar, Aufbau, 1977-1980, vol. XIII, Aufsätze, Ansprachen,
Essays 1927-1953, pp. 32-33.
I colori delle fiabe 259
Seghers, Glauben an Irdisches. Essays aus vier Jahrzehnten, Leipzig, Reclam, 1969, pp.
180-212 (trad. it. B. Bianchi, in A. Seghers, La gita delle ragazze morte e altri racconti,
Milano, La Tartaruga, 1981, p. 170). Come ha indicato Christiane Zehl-Romero in An-
na Seghers. Eine Biographie 1900-1947, Berlin, Aufbau Verlag, 2000, p. 98 e n. 20 p.
453, la formulazione si trova in una lettera all’amico W. Stehinski, Anna Seghers Ar-
chiv. E. Haas nel suo Ideologie und Mythos. Studien zur Erzahlstruktur und Sprache im
Werk von Anna Seghers’, Stuttgart, Akademischer Verlag, 1975, p. 207 riprende diretta-
mente la citazione da T. Motylowa, Anna Seghers, Mosca, Gos. Isd. Chudoshestwennoj
literatury, 1953, p. 26 con una traduzione dal russo lievemente diversa nella forma, ma
sostanzialmente uguale.
9 H. Schubert, Scheherasade Radványi, in «Neue Deutsche Literatur», n. 11,
fremdet. Essays zur Literatur der Bundesrepublik und der DDR, Frankfurt a.M., S. Fi-
scher, 1976, p. 46.
11 Cfr. G. Lukács, Il marxismo e la critica letteraria, Torino, Einaudi, 1964.
12 Ivi, p. 351.
260 Lo sguardo reciproco
Anna Seghers, Tesi di laurea, Università degli Studi di Palermo, Facoltà di Scienze della
Formazione, A.A. 1996-97.
14 S. Hilzinger, Anna Seghers, Stuttgart, Philipp Reclam jun., 2000, p. 44.
I colori delle fiabe 261
15 A. Seghers, Der letzte Mann der Höhle. Erzählungen 1924-1933, con una postfa-
andere Erzählungen, Berlin, Kiepenheuer, 1930 (trad. it. di V. Ruberl Rovelli, La fami-
glia Ziegler, in Id., La gita delle ragazze morte e altri racconti, cit., p. 19).
17 Ivi, p. 38.
18 S. Hilzinger, Anna Seghers, cit., p. 80.
19 A. Seghers, Die Ziegler, cit. (trad. it. p.44).
20 Ivi, p. 46.
262 Lo sguardo reciproco
(trad. it. di A. Bovero, La rivolta dei pescatori di Santa Barbara, Torino, Einaudi, 1976,
p. 121).
24 E. Bourke, “Post ins Gelobte Land” – a Vindication, in «German Monitor» n.
Romero, Anna Seghers. Mit Selbstzegnissen und Bilddokumenten, Reinbek bei Ham-
burg, Rowohlt, 1993, p. 21.
29 A. Seghers, Aufstand der Fischer von St. Barbara, cit. (trad. it. pp. 113-114).
264 Lo sguardo reciproco
cfr. S. Hilzinger, Anna Seghers, cit., pp. 193-194 e il sito internet http://us.imdb.com/
Name?seghers,+Anna/ (2006).
I colori delle fiabe 265
Rembrandt
L’arte figurativa ha un’importanza fondamentale per l’opera se-
ghersiana; è una componente di quell’Originaleindruck, l’impres-
sione originaria, di stampo goethiano36 ricevuta nei primi anni di
Magonza. Il padre, Isidor Reiling, è proprietario con il fratello del-
l’azienda di famiglia, il più antico e rinomato negozio di antiqua-
riato della città, con vasta clientela estesa anche al di fuori della
Germania. Contrariamente a quanto finora si è creduto non è cu-
ratore del tesoro del duomo, ma membro della commissione di
esperti preposta alla sua conservazione37, comunque sembra detta-
attrice messicana cui A. Seghers ha dedicato un saggio, rimasto inedito. Cfr. O. Díaz
Pérez, Dolores Del Río und Crisanta. Notizen über Dolores Del Río von Anna Seghers, in
«Argonautenschiff», 12 (2003), pp. 262.
36 A. Seghers, Volk und Schriftsteller, in Id., Gesammelte Werke in Einzelausgaben,
48 K. Batt, Anna Seghers. Versuch über Entwicklung und Werke, Leipzig, Reclam,
1973, p. 26.
49 N. Reiling, (Anna Seghers), Jude und Judentum im Werk Rembrandts, cit., p. 41.
I colori delle fiabe 269
50 Ivi, p. 58.
51 G. Lukács, Il marxismo e la critica letteraria, cit., p. 385.
52 Ivi, p. 380.
53 N. Reiling (Anna Seghers), Jude und Judentum im Werk Rembrandts, cit., p. 33.
270 Lo sguardo reciproco
bre, 1942 (trad. it. di E. Vicol, La settima croce, Milano, Mondadori, 1958, p. 66).
I colori delle fiabe 271
rensuche in Mainz, Mainz, Edition Erasmus, 1994, pp. 108-109 si legge che tra i molti
pittori di nome Seghers, un’intera famiglia, dell’epoca di Rembrandt c’era «una Anna
Seghers, vissuta intorno al 1550 e la cui biografia è sconosciuta. Nella sua epoca fu
un’attiva miniaturista». Sono riuscita a trovare ulteriori notizie in Descrittione di tutti i
Paesi Bassi, altrimenti detti Germania inferiore. Con più carte di geographia del paese et
col ritratto naturale di più terre principali di L. Guicciardini, Anversa, presso G. Silvio,
272 Lo sguardo reciproco
1567, p. 99, dove insieme ad altre due «nella pittura donne eccellenti» viene citata «An-
na figliola di maestro Segher già nominato, fisico eccellente, nativo di Breda, e cittadino
d’Anversa: la qual’Anna molto virtuosa e divota seruando anch’essa virginità, finì poco
fa i giorni suoi».
60 A. Seghers, Der Ausflug der toten Mädchen, in Id., Der Ausflug der toten Mäd-
chen und andere Erzählungen, New York, Aurora, 1946 (trad. it. p. 82).
61 N. Reiling (Anna Seghers), Jude und Judentum im Werk Rembrandts, cit., p. 43.
I colori delle fiabe 273
La famiglia Ziegler
I racconti Grubetsch e La famiglia Ziegler hanno come punto
centrale della loro ambientazione il cortile di uno squallido caser-
mone. La tavolozza livida dei colori usati rende evidente la miseria
del proletariato urbano, mentre il primo racconto presenta un per-
sonaggio di rivoluzionario velleitario e anarcoide, tipico di questa
prima fase, l’altro descrive, secondo la definizione della stessa au-
trice, «il crollo della piccola borghesia»67 attraverso la famiglia
Ziegler, proprietaria di un maglificio artigianale strozzato dalla cri-
si, che, ormai alla fame, cerca disperatamente di mantenere le for-
me di un decoro ormai insostenibile, vittima della solitudine e del-
la mancanza di solidarietà: «si vive accanto, non insieme, ciascuno
è solo con la propria pena interiore»68. Povertà ed illusioni, e tutta
la rappresentazione dell’ambiente appaiono plasticamente nel gio-
co simbolico tra luce ed ombra, nei contrasti cromatici, come ap-
pare nella scena iniziale che introduce il personaggio principale, la
giovane Marie, con la cui morte si conclude la triste vicenda degli
Ziegler:
In un pomeriggio d’autunno che sembrava soffocare più che ravvivare
le luci della cittadina, Marie si trovò sul pianerottolo davanti alla porta
appena richiusa nella Betzelgasse. Teneva in mano il denaro ricevuto per
il lavoro a maglia che aveva appena consegnato. Chiuse la mano con forza
e scese di un piano. Era quasi buio. I globi d’ottone illuminavano la rin-
ghiera, i vetri rossi e azzurri della finestra, incandescenti quando era sali-
66 A. Seghers, Aufstand der Fischer von St. Barbara, cit. (trad. it. p. 33).
67 A. Seghers, Briefe an Leser, Berlin-Weimar, Aufbau, 1970, p. 8.
68 F. Albrecht, Die Erzählerin Anna Seghers 1926-1932, Berlin, Rütten & Loening,
1975, p. 46.
I colori delle fiabe 275
ta, adesso erano opachi […]. Si guardò intorno; le sfere di ottone adesso
erano sottili mezzelune. Esitava, sembrava aspettare qualcosa. Il cuore le
si stringeva, per la paura o per l’ansia. Chinò la testa e attese. Ma non ac-
cadde nulla […]. Premette il viso sull’unico vetro chiaro tra i molti colo-
rati. Tra le case attigue c’era un cortile: contro il muro erano ammucchiati
alcuni sacchi, una lanterna, un carretto; un operaio aspettava il compagno
che armeggiava nella giacca. Guardò giù, fino a quando egli ebbe infilato
le braccia nelle maniche, poi uscì in strada69.
71 Ivi, p. 30.
72 Ivi, p. 20.
73 L. Mittner, L’espressionismo, Bari, Laterza, 1965, pp. 28-29.
I colori delle fiabe 277
nuova realtà che è assurda nell’insieme non meno che nei particolari, per-
ché non accetta la legge dei colori reali74.
74 Ivi, p. 39.
75 P. Chiarini, L’espressionismo tedesco, Bari, Laterza, 1985, p. 161.
76 F. Albrecht, Die Erzählerin Anna Seghers 1926-1932, cit., p. 21.
77 A. Seghers, La famiglia Ziegler, cit., p. 30.
78 Ivi, p. 40.
79 W. Kandinsky, Über das Geistige in der Kunst, München, Piper, 1912 (trad. it. di
La luce del sole non bastava a riempire del tutto il cortile […]. Girava
la testa da tutte le parti per far capire ai curiosi il motivo per cui stava nel
cortile vuoto. D’un tratto si mise a battere furiosamente i piedi sul selcia-
to, e allora si fece chiaro dentro di lui, l’infelicità sgorgò dal suo cuore in
colori audaci, luminosi. Inondarono il cortile, lo fecero fiammeggiare e
ardere, in uno strano, disperato splendore. Poi tutto finì. I colori divini,
audaci e fiammeggianti, si spensero intorno a lui e il cortile fu grigio e
freddo83.
I colori diventano protagonisti della scena e indicano simbolica-
mente «ciò che potrebbe rendere Ziegler un uomo diverso: l’af-
francamento dal timore schiavizzante di contravvenire ai pregiudi-
zi della sua classe, la ribellione contro il suo destino»84. Una con-
notazione ancora più precisa di ribellione impotente che si espri-
me nel più tipico – e colorato – grido espressionista appare nella
fuga del fratello di Marie dagli uomini venuti a prenderlo per con-
durlo al riformatorio:
A questo punto il ragazzo si divincolò, con un salto uscì nel cortile
dalla porta secondaria, gli uomini gli corsero dietro […] le grida conti-
nuavano, come se lo bruciassero o lo mordessero. Mai più, si sarebbero
udite grida così terribili in quel cortile […] i rossi zigzag delle grida ave-
vano inciso cicatrici nel cortile85.
Ai colori è affidata anche un’indicazione politica che rimane an-
cora vaga allusione. Il rosso appare nei berretti di due ragazze, com-
pagne di scuola di Marie, ormai avviate ad una vita serena e spen-
sierata. La scintilla della speranza e della possibilità di cambiamento
è cromaticamente presentata dalla giovane dal berretto rosso: ap-
partiene ad un mondo ormai distante da quello degli Ziegler e rap-
presenta la possibilità di evasione, la personificazione dei desideri,
la dimensione indispensabile della fiaba e del mito, che ormai Ma-
rie, distrutta da una società ingiusta, non è più in grado di accoglie-
re. Sarà proprio lei – alta, bella come una dea con gli occhi luminosi
e la faccia bianca e rossa, quasi un’apparizione – a lanciarle un mes-
saggio di salvezza: «Marie, volevo dirti, perché non vieni con noi,
siamo sempre tante tutte insieme, vieni una volta con noi»86. Un in-
83 Ivi, p. 34.
84 F. Albrecht, Die Erzählerin Anna Seghers 1926-1932, cit., p. 49.
85 A. Seghers, Die Ziegler, cit. (trad. it. p. 34).
86 Ivi, p. 31.
280 Lo sguardo reciproco
[…]. Marie venne avanti, la faccia sotto il tavolo era gialla e cattiva, strana e
violenta; lei aveva paura dei suoi denti, aveva sempre avuto paura di questo
fratello, disse piano: «Su, vieni». Il ragazzo girò la testa verso di lei: e questa
cosa vuole? Noiosi erano il padre e la madre, noioso e tonto il fratellino,
noiosa e stupida Anna, ma Marie era la peggiore, la più grigia di tutti; aveva
voglia di ficcare i denti nelle sue gambe magre come fusi, nelle sue mani
che trafficavano sempre, avrebbe voluto strapparle il cuore con un morso
[…]. Che si potesse avere pietà di qualcosa di così giallo e violento! «Vie-
ni!». Il ragazzo chinò la testa, le gambe di Marie erano così misere e ram-
mendate; venne fuori carponi, si rizzò in piedi e uscì di corsa dalla stanza97.
Per Marie, ormai spenta ogni forza ed ogni legame con la vita,
tutto è ormai colorato di giallo «una macchia gialla, disciolta, quel-
lo era il sole»100. Nell’assoluta solitudine non c’è aiuto, non c’è
l’angelo salvatore dei quadri ingenui della scuola, c’è la desolazio-
ne del nulla.
p. 1412.
284 Lo sguardo reciproco
Non erano vere dune, ma la costa verso il mare era corrosa in scoglie-
re; verso l’interno, invece, coperta da uno strato di sabbia, su cui, in mac-
chie sparse, cresceva una specie di rigida erba spinosa sempreverde. Ai
due lati si stendeva il paese in lievi ondulazioni104.
Salvo quest’unica nota di colore – l’erba spinosa sempreverde –
l’ambiente è dominato da un grigiore uniforme, dalla livida mono-
tonia della pioggia che, «penetrava nel corpo, rendendolo molle
come un cencio, sì che non ci restava più né sostegno, né fermez-
za, né ostinazione»105 e insieme al vento incessante ha modellato e
indurito il paesaggio e gli uomini silenziosi, avvezzi al lavoro este-
nuante per miseri compensi, subalterni e rassegnati. Tale impoten-
te abbandono ad un destino ingrato è segnato dal grigio, dalla sua
pesantezza plumbea che grava anche nell’aria e sembra paralizzare
in una fissità oppressiva e soffocante, in una tetra infelicità senza
desideri:
Cupi e immobili, plumbei e grevi di pioggia, cielo e terra si fissavano ri-
gidi, come lastre di una gigantesca pressa idraulica. Faceva freddo, non un
freddo acuto, ma lentamente penetrante, che mordeva tutte le cose […]
Dietro la finestra il cielo calava opprimente in greve pioggia sul mare. La
sera scendeva inaspettata, inavvertita, un po’ più grigia del giorno106.
colori vividi creano un forte contrasto con il grigio monotono che altrimenti è domi-
nante nella rappresentazione dell’ambiente, il contenuto psicologico rende pienamente
visibile la totale infelicità e miseria della vita dei pescatori».
286 Lo sguardo reciproco
Fin dal suo arrivo, Hull è contrassegnato dal colore bianco, che
rivela un suo profondo legame con l’isola, bianco è il solco traccia-
to dalla nave che si apre e si richiude come la ferita infertagli du-
rante la fuga da Port Sebastian: «Hull seguiva dalla ringhiera il
bianco sfregio che la nave incideva nel mare, che guariva e si ria-
priva, e di nuovo guariva e si riapriva»116. Al ricordo della passata
rivolta, che si collega con quella futura attraverso il bianco, viene
associata una macchia colorata: il fazzoletto giallo di una passegge-
113 L. Mittner, Storia della letteratura tedesca, cit., p. 1413.
114 A. Seghers, Aufstand der Fischer von St. Barbara, cit. (trad. it. p. 3).
115 W. Kandinsky, Über das Geistige in der Kunst, cit. (trad. it. p. 66).
116 A. Seghers, Aufstand der Fischer von St. Barbara, cit. (trad. it. p. 4).
I colori delle fiabe 287
po, come dagli spigoli di una pietra battuta, sprizzavano piccole scintille».
122 Ivi, p. 187.
288 Lo sguardo reciproco
La scena non può che tingersi del rosso delle bandiere rivolu-
zionarie, nonché colore «dilagante e tipicamente caldo, che agisce
nell’interiorità in modo vitalissimo, vivace e irrequieto. Senza ave-
re la superficialità del giallo, che si disperde in tutte le direzioni,
dimostra un’energia immensa e quasi consapevole»125: «– Avanti!
– Ancora pugni, e frastuono, e vetri infranti, e urla, e – avanti –, e
rosso, e – sempre avanti! E fuoco»126.
Il ritmo convulso della frase presenta con pochi, sapienti ele-
menti la furia cieca e disperata della folla. Violenti contrasti cro-
matici, antropomorfizzazione di elementi inanimati, uso enfatico
di verbi ed aggettivi conferiscono incalzante dinamicità alla scena
dell’incendio che preannuncia plasticamente la sconfitta della ri-
volta con l’ineluttabile vittoria del grigio sul rosso:
Cessarono solo quando furono esausti. Dalle lampade rotte la luce
gocciolò nei mucchi di carta, scorse nei magazzini e rimbalzò dal pavi-
mento all’abbaino. L’aria grigia e monotona succhiò con forza, avida di
tanto rosso127.
128 F. Albrecht, Die Erzählerin Anna Seghers, cit., p. 135. Cfr. il celebre finale di La
settima croce, cit., p. 336: «ma noi sentimmo anche che nell’intimo esiste qualcosa di
inafferrabile e di invulnerabile».
129 A. Seghers, Aufstand der Fischer von St. Barbara, cit. (trad. it. p. 112).
130 Ivi, p. 114.
131 Cfr. p. 40: «non invano il vento strappava il sole a pezzettini e li soffiava sul ma-
re» e p. 88: «Così leggera e lieta era la forza del vento – come strappava frammenti di
luce dal sole greve e se li spingeva innanzi».
132 Ivi, p. 20.
133 M. Reich-Ranicki, Der erste Absatz der Erzählung “Aufstand der Fischer von St.
Barbara”, cit., p. 6.
290 Lo sguardo reciproco
La settima croce
La suggestiva dimensione cromatica dei primi, felici racconti
che caratterizza in modo così personale la prosa seghersiana, si
spegne quasi completamente dopo il 1933, come risucchiata dagli
eventi tragici. Il mondo appare immerso nell’oscurità come nei
versi di Rose Ausländer: «allora seppellimmo il sole/fu un’eclissi
senza fine»134. Le opere dell’esilio, specialmente la grande produ-
zione dei racconti, perdono la dimensione coloristica per rappre-
sentare in maniera asciutta ed essenziale la condanna del nazismo
ed episodi di resistenza quotidiana. La letteratura diventa priorita-
riamente strumento militante. I colori delle fiabe impallidiscono
dinanzi all’«odore della realtà»135. Il gioco di oggettività e di sog-
gettività si regolarizza nell’asciutta narrazione di una voce fuori
campo, nelle cronache di resistenza e di lotta al nazifascismo in
forma quasi documentaristica. Una traccia espressionista si ritrova
nel finale di Verso l’ambasciata americana con il grido della donna,
schiacciata contro i cancelli, e del suo vicino che risuona irrefrena-
bile in tutto l’edificio. I colori tornano ad una dimensione quoti-
diana, qualche pennellata compare qua e là – il rosso in uno scor-
cio di viso, il bianco e rosa dei castagni fioriti o la tinta tenue dei
lillà in L’ultimo cammino di Koloman Wallisch (1934), ricostruzione
documentaria della vita del capo comunista austriaco, ucciso dai
nazisti, – e sembrano accennare alla continuità della vita ma anche
ad una sottile indifferenza della natura verso le vicende umane136.
La contrapposizione luce-oscurità è costitutiva nel romanzo La
settima croce, come nella narrazione biblica il primo atto della
creazione è proprio la distinzione tra luce e tenebre. Westhofen, il
campo di concentramento, che già nel nome vuole sottolineare
l’occaso, il tramonto137, è avvolto in una dimensione infera, disu-
134 R. Ausländer, Damit kein Licht uns liebe, in Id., Wir pflanzen Zedern, Gedichte
zur amerikanischen Botschaft und andere Erzählungen, cit. (trad. it. p. 57).
136 Questo aspetto avrà una più profonda accentuazione nel brevissimo racconto
Der Baum des Ritters (L’albero del cavaliere), dove un cavaliere in fuga rimane imprigio-
nato nel cavo dell’albero in cui aveva trovato rifugio e che continuerà a crescere per se-
coli, incurante della sua presenza.
137 Significativo il fatto che il nome del campo realmente esistente fosse Osthofen.
I colori delle fiabe 291
zionale su «Tecnica e casistica», Roma, Ist. di Studi Filosofici, 1964, pp. 153-168. Egual-
mente per Thomas Mann la cui tetralogia di Giuseppe, scritta nell’esilio americano, è
un tentativo di strappare il mito al fascismo.
292 Lo sguardo reciproco
147 A. Seghers, Über Kunstwerk und Wirklichkeit, vol. II, Erlebnis und Gestaltung,
a cura di S. Bock, Berlin, Akademie, 1971, p. 324: «Non è un caso che il mio romanzo
La settima croce si svolga nella zona di Magonza, non è un caso che il fuggitivo Georg
Heisler si nasconda una notte nel duomo di Magonza. Non è un caso che la fuga gli rie-
sca con una nave sul Reno».
148 A. Seghers, Der Ausflug der toten Madchen, cit. (trad. it. p. 83).
294 Lo sguardo reciproco
158 Discorso tenuto al IV Congresso degli scrittori tedeschi nel 1956, in A. Seghers,
p. 300. Sull’esperienza messicana della scrittrice cfr. I. Diersen, Erfahrung Mexiko. Die
lateinamerikanische Spur im Schaffen von Anna Seghers, in «Argonautenschiff», 3
(1994), pp. 145-154; F. Pohle, Kriegsexil in Mexiko und mexikanische Stoffe bei Anna
Seghers, in F. Schmidt (a cura di), Wildes Paradies - rote Hölle. Das Bild Mexikos in
Literatur und Film der Moderne, Bielefeld, Aisthesis, 1992, pp. 111-129 e J. Sandoval,
298 Lo sguardo reciproco
México in Anna Seghers’ Leben und Werk 1940-1947, Berlin, Wissenschaftlicher Verlag,
2001; W. von Bernstorf, Fluchtorte. Die mexikanischen und karibischen Erzählungen
von Anna Seghers, Göttingen, Wallstein Verlag, 2006.
160 A. Seghers, Die gemalte Zeit in Id., Aufsätze, Ansprachen, Essays 1927-1953, cit.,
p. 219.
161 Ivi, p. 219.
162 Sull’argomento esiste comprensibilmente una vasta bibliografia. Mi limiterò a
citare i testi seguenti: A. Overath, Das andere Blau. Zur Poetik einer Farbe in moderner
Kunst, Stuttgart, B. Metzlersche Verlagsbuchhandlung, 1987; A. Lochmann, A. Ove-
rath, Das blaue Buch. Lesarten einer Farbe, Nördlingen, Greno, 1988; S. Samburski (a
cura di), Il sentimento del colore. L’esperienza cromatica come simbolo, cultura, scienza,
Como, Red Edizioni, 1990; D. Schuth, Die Farbe Blau. Versuch einer Charakteristik,
Münster, LIT, 1995; G. Linder (a cura di), Blau - die himmlische Farbe, Frankfurt a.M.,
Insel, 2001; M. Pastoureau, Bleu. Histoire d’une couleur, Paris, Seuil, 2000 (trad. it. di
F. Ascari, Blu. Storia di un colore, Firenze, Ponte alle Grazie, 2002); A. Valtolina, Blau.
Metamorfosi di un colore nella moderna lirica tedesca, Milano, Bruno Mondadori, 2002.
163 W. Kandinsky, Über das Geistige in der Kunst, cit. (trad. it. p. 63).
I colori delle fiabe 299
164 A. Seghers, Crisanta. Mexikanische Novelle, Leipzig, Insel Verlag, 1951 (trad. it.
di M. Ponzi, G. Pugliese, in Id., Il vero azzurro, Roma, Editori Riuniti, 1988, p. 5).
165 Ivi, p. 30.
300 Lo sguardo reciproco
167Cfr. n. 35.
168A. Seghers, Das wirkliche Blau. Eine Geschichte aus Mexiko, Berlin-Weimar,
Aufbau, 1967 (trad. it. di M. Ponzi, G. Pugliese, in Il vero azzurro, cit., p. 31).
302 Lo sguardo reciproco
cit., p. 124.
173 W. Kusche, Die “blaue Blume” und das “wirkliche Blau”, in «Weimarer Beiträ-
ge», 20 (1974), n. 7, p. 78. Sull’importanza della scrittrice per la rivalutazione del Ro-
manticismo e della letteratura fantastica, cfr. R. Calabrese, Il viaggio a Praga di Anna Se-
ghers, in Praga, «Cultura tedesca», n. 15, 2000, pp. 159-170 e A. Horn, Kontroverses
Erbe und Innovation. Die Wovelle Die Reise begegnung von Anna Seghers im literatur-
politischen Kontext der DDR der siebziger Jahre, Frankfurt a.M., Peter Lang, 2005.
I colori delle fiabe 303
125 e ss.
177 L. Kopelew, Verwandt und verfremdet, cit., p. 59.
VISIONI IN FORMA DI RACCONTO
NARRAZIONI PER IMMAGINI IN ITALO CALVINO
Valeria Cammarata
6 Cfr. I. Calvino, La sfida al labirinto, in «Il Menabò 5», 1962. Ora in Id., Una pie-
tra sopra, Milano, Mondadori, 1995.
7 I. Calvino, Lezioni americane, cit., p. 698.
308 Lo sguardo reciproco
La riflessione sull’immaginario
Nel senso della riflessione fantastica operano i romanzi che
hanno costruito il manifesto generale della narrativa calviniana:
Le città invisibili, con la sua struttura reticolare di racconti che –
8 D. Hofstadter, Gödel, Escher, Bach: An Eternal Golden Braid, New York, Basic
Books, 1979.
9 J. Starobinski, La relation critique, Paris, Gallimard, 2001.
10 I. Calvino, Lezioni americane, cit., p. 704.
Visioni in forma di racconto 309
mitaggio.
Visioni in forma di racconto 311
13 Si tratta dello scompiglio creato nel quadro nel quadro del Carpaccio dall’appa-
lontano dal suo paese. Ciononostante, nel 1974 scrive Eremita a Parigi, in cui racconta
la sua vita nella capitale francese vissuta né da cittadino, né da turista. I. Calvino, Ere-
mita a Parigi, intervista a Valerio Riva per la televisione svizzera, Lugano, 1974. Ora in
Id., Romanzi e racconti, cit.
Visioni in forma di racconto 313
15 Ivi, p. 101.
314 Lo sguardo reciproco
L’immagine e la narrazione
infatti non sono stati stabiliti dagli déi una volta per sempre. Ogni specifico è storico. Il
divenire della letteratura non è soltanto crescita e mutamento di essa all’interno dei
confini incrollabili dello specifico, ma investe questi stessi confini. Il processo di muta-
mento dei confini delle sfere della cultura (compresa la letteratura) è processo estrema-
mente lento e complesso. Singole violazioni dei confini dello specifico (come quelle so-
pra indicate) non sono che sintomi di questo processo, il quale si svolge a una grande
profondità». M. Bachtin, Epos e romanzo, in Id., Voprosy literatury i estetiki (1975),
trad. it., Estetica e romanzo, a cura di C. Strada Janovič, Torino, Einaudi, 1979, p. 475.
17 I. Calvino, Romanzi e racconti, cit., vol III, pp. 382-440.
18 I. Calvino, Saggi, cit., vol. II, pp. 3002-3006.
316 Lo sguardo reciproco
1215.
25 I. Calvino, Dall’opaco, in Aa.Vv., Adelphiana 1971, Milano, 1971. Ora in Id.,
gno 1980. Ora in I. Calvino, Il viandante nella mappa, in Id., Saggi, cit., vol. II, p. 427.
318 Lo sguardo reciproco
tolibri», Milano, 23 novembre 1985. Ora I. Calvino, Per Arakawa, in Id., Saggi, cit.
30 I. Calvino, Altre città, in C. Peverelli, L’atelier de l’artiste, Paris, Musée d’art mo-
derne de la ville de Paris, 1976. Ora in I. Calvino, Romanzi e racconti, cit., vol. III,
pp. 383-386, citaz. p. 383.
31 Ivi, p. 385.
Visioni in forma di racconto 319
che nel cielo che la copre non vede altro che i suoi stessi tetti aguz-
zi e le lamiere delle sue vetture. L’unico cielo che appare intatto,
nell’opera di Peverelli o, forse, in quella di Calvino è quello sotto il
quale nessuna città è mai esistita, nessuna pena e nessuna gioia è
stata mai prodotta32.
La città «ai confini del sonno» di Peverelli si trasforma, nelle
immagini di del Pezzo, in una città in cui «i segni parlano ai segni,
si dicono cose diverse da quelle che noi vorremmo far dire»33, una
città che parla di più superfici, di luci e ombre. In questo autore, il
cui stile differisce così tanto dal precedente, le visioni cittadine di-
ventano geometriche e spigolose, ma non per questo più facilmen-
te leggibili. Lavoro arduo, quindi, per il cartografo segnare le stra-
de di queste metropoli di volta in volta concentriche, aeree, disar-
moniche: «nella mente […] più sali, più la forma della perfezione
t’appare rigorosa e necessaria, e più il mondo che esiste lo senti,
nel confronto, intollerabile»34.
Proprio a questa necessità Calvino risponde con de Chirico, au-
tore di quella che egli considera la città del pensiero, in cui le mae-
stose costruzioni e le immobili statue invitano a decifrare segni, a
seguire le linee della prospettiva, a rivedere gli spazi del dentro e
del fuori: «Ma queste vedute sono piatte, incorniciate, appoggiate
a cavalletti in mezzo a strumenti da disegno. Se un albero fiorito
finalmente s’illumina tra due oscuri muri di palazzi, si scoprirà che
è solo un fondale di tela appeso. L’aria aperta qui è solo dipinta,
un impiantito di palcoscenico è il terreno in cui si posano i nostri
passi»35. Il viaggio nelle città di de Chirico – che ci getta subito in
una strana ambientazione di spaesamento – prosegue per tappe se-
32 Il riferimento alle visioni delle Città invisibili è qui d’obbligo. Infatti nel roman-
zo modulare che Calvino aveva scritto nel 1972, il tema della città e del suo doppio ce-
leste è costruito nello spazio di cinque capitoli che descrivono proprio l’ambiguo rap-
porto di cinque diverse città con un modello cui aspirare proiettato nel cielo. Sono que-
ste immagini in cui rimane difficile fino alla fine discernere il lato “buono” da quello
“cattivo”.
33 I. Calvino, Parafrasi. Vingt peinture en relief de Del Pezzo à la Galerie
Bellechesse, Paris, 1978. Ora in Id., Romanzi e racconti, cit., vol. III, pp. 387-389, citaz.
p. 388.
34 Ivi, p. 389.
35 I. Calvino, Accanto a una mostra, in «FMR», luglio-agosto 1983. Ora in I. Calvi-
no, Viaggio nella città di de Chirico, in Id., Romanzi e racconti, cit., vol. III, pp. 397-406,
citaz. p. 404.
320 Lo sguardo reciproco
36 Ivi, p. 405.
37 Ibidem.
Visioni in forma di racconto 321
Casalecchio di Reno, Grafis edizioni, 1984. Ora in I. Calvino, Romanzi e racconti, cit.,
vol. III, pp. 432-433.
322 Lo sguardo reciproco
39 I. Calvino, Tre correnti del romanzo italiano d’oggi, in «Italian Quarterly», n. IV,
primavera-estate 1960. Ora in Id., Una pietra sopra, Milano, Mondadori, 1995, pp. 55-68.
40 Ivi, p. 58.
41 I. Calvino, Vittorini: progettazione e letteratura, in «Il Menabò 10», 1967. Ora in
43 R. Deidier, Le forme del tempo. Saggio su Italo Calvino, Milano, Guerini Studio,
44 È interessante notare come nel 1979 Calvino pubblicherà Se una notte d’inverno
1977, trad. fr. di Jean Thibaudeau. Ora in Id., Una pietra sopra, cit., pp. 352-362, citaz.
p. 358.
46 Ivi, p. 359.
Visioni in forma di racconto 325
48 Ivi, p. 476.
Visioni in forma di racconto 327
Narrazione e descrizione
49 Ivi, p. 478.
328 Lo sguardo reciproco
50 I. Calvino, In guerra con Traiano, in «la Repubblica», 12-13 aprile 1981. Ora I.
Fig. 7 Fig. 8
Fig. 9. Fig. 10
dosi della plasticità del mito. Essi infatti sono incarnazioni delle fi-
gure tradizionali culturalmente legate rispettivamente a David, a
Gros e ad Ettore: «Questa minuziosa indagine iconologica ha por-
tato delle sorprese ideologiche che riguardano proprio il perso-
naggio più operaio di tutti… i tre morti in primo piano»54.
Nella consapevolezza dell’incidenza che la produzione simboli-
ca umana esercita continuamente sulla terra Calvino sembra spo-
sare le parole del Michelangelo dei Dialoghi romani di Francisco
de Holanda: «Ben considerando quello che si fa in questa vita, vi
accorgerete che ognuno, senza saperlo, sta dipingendo questo
mondo, sia nel creare e nel produrre forme e figure, come nell’in-
dossare vari abbigliamenti, sia nel costruire e occupare lo spazio
con edifici e case dipinte, come nel coltivare i campi, nel fare pit-
ture e segni lavorando la terra, nel navigare i mari con vele, nel
combattere e dividere le legioni, e finalmente nelle morti e nei fu-
nerali, come pure in tutte le altre operazioni, gesti e azioni»55, ma
forse, conclude Calvino, i segni di questa nostra civiltà non saran-
no occhi umani a goderli.
54 Ivi, p. 466-467.
55 I. Calvino, Palomar e Michelangelo, in Id., Saggi, cit., vol. II, p. 1991.
Indice
Gradienti di reciprocità
Roberta Coglitore 7
I. Sopravvivenze
Nemesi-Adrastea
Sulla cultura visuale di Herder e Hölderlin
Michele Cometa 17
Psiche e la piramide
Le arti e la morte nell’età neoclassica
Elena Agazzi 55
II. Descrizioni
Un dipinto e i suoi sonetti
Proserpina di Dante Gabriel Rossetti
Federica Mazzara 141
Note di immortalità
Hofmannsthal sul Concerto campestre di Giorgione
Roberta Ascarelli 175
Malinconia e immaginazione
Una genealogia fantastica per Melencolia I
Roberta Coglitore 205
336 Lo sguardo reciproco
III. Rappresentazioni
Un’idea di Roma
Piranesi, Moritz e la teoria del punto di vista
Renata Gambino 237