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Continental and Mediterranean

Review Essay
Filologia dei testi popolari, letterature premoderne e
mitologia comparata europea: a proposito de Il diluvio,
il drago e il labirinto di Andrei Oiteanu
Oisteanu, Andrei. 2008. Il diluvio, il drago e il labirinto. Studi di magia
e mitologia europea comparata, a cura di Dan O. Cepraga e Maria
Bulei. Verona: Fiorini. ISBN 978-88-87082-70-8. Pp. 305. 22,00.
Negli anni prodigiosamente fecondi tra il ritorno dallIndia (1931) e lo scoppio del Secondo Conflitto Mondiale, Mircea Eliade affianca alla creazione
letteraria e alla ricerca storico-religiosa una copiosa attivit di pubblicista. In
questi scritti, redatti spesso in fretta e furia per quotidiani e periodici, si riversano tumultuosamente osservazioni di costume, recensioni, note di lettura, pensieri e pagine di diario, ma anche ragionamenti originali sulla
fenomenologia del sacro. Anzi, il carattere frammentario e la misura breve
dellintervento giornalistico permettono ad Eliade di fissare in forma embrionale spunti di riflessione e oggetti dindagine destinati ad importanti
sviluppi. Dietro lurgenza militante e lancoraggio occasionale dei pezzi apparsi in questo torno di tempo sulla stampa romena non difficile cogliere le
prime formulazioni di concetti e idee-forza che saranno il propellente delle
grandi imprese scientifiche della maturit. Lette dinfilata, le sillogi in cui
Eliade ha radunato i suoi articoli degli anni Trenta (Oceanografie, Fragmentarium, Insula lui Euthanasius), ci restituiscono il documento di una personalit seduttiva e mobilissima, offrendoci nel contempo una specola privilegiata
dalla quale osservare il laboratorio di un pensatore geniale. Uno dei testi pi
brillanti di questa variegata produzione pubblicistica nasce come rendiconto
sul metodo del naturalista e speleologo romeno Emil Racovia, che studiava
la fauna delle oscurit ipogee:

* Nella stesura di questo propos mi sono avvalso a pi riprese delle competenze di


Franco Tomasi e Roberto Scagno, ai quali rivolgo il mio ringraziamento pi sentito. Ovviamente, la responsabilit dei contenuti scientifici esposti nelle pagine
che seguono, cos come di ogni eventuale inesattezza formale o sostanziale, va addebitata in modo esclusivo allo scrivente.

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i lavori del dottor Racovia [...] hanno dimostrato che le troglobie che
popolano oggi le caverne appartengono a una fauna scomparsa da
tempo. Sono fossili viventi, che rappresentano spesso stadi molto antichi, terziari o persino secondari.
Soffermatevi su questa espressione: fossili viventi. Essa non illumina
solo tutta una serie di fenomeni biologici, rimasti sinora abbastanza
confusi. Essa potrebbe essere adottata ma soprattutto intesa da
tutti coloro che si occupano di folclore. Perch, proprio come nelle
grotte si conserva una fauna arcaica molto importante per comprendere i gruppi zoomorfici primitivi, che non sono fossilizzabili non
diversamente la memoria popolare mantiene forme mentali primitive
che la storia non ci ha conservato, proprio perch non potevano esprimersi in forme durevoli (documenti, monumenti, grafismi, ecc.): in
breve perch non erano fossilizzabili. [...]
Si incontrano oggi nel folclore forme di diverse ere, che rappresentano
stadi mentali differenti. Troviamo cos una leggenda con un sostrato storico relativamente recente, o un canto popolare dispirazione contemporanea, accanto a forme medievali, precristiane o persino preistoriche.
(Eliade [1939] 2008, 5556)

In poche righe di straordinaria condensazione Eliade stringe due assunti


cruciali del suo approccio al folclore romeno e, pi in generale, alla spiritualit del Sud-Est europeo. Anzitutto, ricorda che le creazioni della civilt rurale balcanica sono prodotti fortemente conservativi, che tramandano e
tengono in vita schemi archetipici, scenari mitico-rituali e credenze della
pi remota antichit. Il vasto repertorio dei canti vecchi e delle colinde veicola un patrimonio di valori simbolici e un immaginario fortemente compromessi col passato preistorico e protostorico dellumanit. In secondo
luogo, Eliade sottolinea come i testi orali della cultura folclorica romena
siano oggetti profondamente stratificati, palinsesti che vengono riscritti da
unepoca allaltra, secondo una dinamica complessa di adattamenti ambientali e riorientamenti ideologici. Riflesso di orizzonti mentali di immemoriale
arcaicit, i documenti popolari romeni sono intrisi di pensiero arcaico, ma
hanno subito nel corso di una trasmissione plurisecolare innumerevoli alterazioni e deformazioni. La necessit di acclimatare i canti tradizionali entro
rinnovati ordinamenti sociali e diversi sistemi cognitivi, la variabilit delle
condizioni performative e delle situazioni cerimoniali entro le quali si inscrive lesecuzione dellinterprete, linfluenza dei mutati contesti storici e la
spinta dellacculturazione cristiana hanno condotto ad una sovrapposizione
di strati che spesso offuscano la struttura simbolica primigenia, rendendone
persino difficile il riconoscimento. Nella catena incessante dei rimaneggia-

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menti e delle rideterminazioni, la tradizione popolare ha conservato i significanti, ma non i significati; il che vuol dire, in sostanza, che coloro stessi che
hanno trasmesso e conservato questi canti non avevano che unidea estremamente approssimativa del loro significato originario (Don 2004, 421).
A corollario di queste due acquisizioni, chiaramente esplicitate nella comparazione dei fossili viventi, se ne pu aggiungere una terza, che implicitamente espressa nella similitudine speleologica e che occupa un ruolo centrale
nellesegesi eliadiana delle religioni popolari europee: i simbolismi del folclore romeno, estranei agli orizzonti cognitivi della Modernit, sono invece
confrontabili e tipologicamente affini alla Weltanschauung delle societ arcaiche e alle strutture mentali delle culture di interesse etnografico. In tale
angolatura prospettica vanno considerati i paralleli istituiti da Eliade tra le
tradizioni popolari balcaniche, i mondi spirituali dellOriente e le culture
primitive.1 Rientrato dallIndia, il grande religionista rilegge il folclore romeno alla luce del pensiero arcaico. Gli si rivela cos lomologia strutturale
tra le folk-religions europee e lontologia arcaica. Proprio come il rabbino
Eisik di Cracovia della parabola chassidica tramandata da Martin Buber,
anche Eliade ha dovuto compiere un lungo viaggio per scoprire il tesoro che
si trovava da sempre in un angolo polveroso della sua casa ([1986] 1988, 12).
I principi or ora enucleati (eccezionale arcaicit della cultura rurale romena, tendenziale sincretismo dei prodotti folclorici, affinit tipologica tra
immaginario popolare europeo e pensiero tradizionale) rappresentano la griglia metodologica portante dei tre saggi che compongono Il diluvio, il drago e
il labirinto di Andrei Oiteanu, apparso di recente presso leditrice Fiorini di

1. Gli straordinari risultati scientifici derivanti da questa impostazione teorica sono


riscontrabili nei numerosi lavori di Eliade consacrati alle tradizioni popolari romene e del Sud-Est europeo. Tale copiosa produzione confluita principalmente
nei seguenti volumi di Mircea Eliade: Comentarii la legenda Meterului Manole
(1943 [traduzione italiana I riti del costruire]); De Zalmoxis Gengis-Khan. tudes
comparatives sur les religions et le folklore de la Dacie et de lEurope orientale (1970
[traduzione italiana Da Zalmoxis a Gengis-Khan. Studi comparati sulle religioni e sul
folklore della Dacia e dellEuropa centrale]); Briser le toit de la maison, la crativit et
ses symboles (1986 [traduzione italiana: Spezzare il tetto della casa. La creativit e i
suoi simboli]). Entro tale cornice di riferimento, si inquadra anche lidea eliadiana
di un proficuo confronto tra il folclore romeno e le creazioni letterarie del Medioevo romanzo (cfr. al riguardo Barbieri 2005, 8990). Linteresse per letnografia
balcanica come via daccesso privilegiata agli strati pi profondi della sensibilit
religiosa arcaica un elemento che collega lattivit pubblicistica e la produzione
scientifica di Eliade durante tutti gli anni Trenta. Sul significato di questa opzione
culturale, tanto nel percorso intellettuale del giovane studioso come nella vita
politica romena nel periodo interbellico, cfr. t urcanu 2003, 251301.

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Verona con uninformatissima e intelligente Postfazione di Dan Octavian


Cepraga.2 Il trittico di studi di etnologia religiosa comparata in cui si articola
questo eccellente volume dedicato a materiali folclorico-leggendari, pratiche magico-rituali, costellazioni simboliche e scenari cosmogonici rinvianti
ad uno dei grandi complessi mitici delle Origini: lantitesi bipolare tra Cosmo
e Caos. Il filo rosso che intreccia e tiene insieme questi contributi consiste
nellopposizione tra il principio demiurgico e lagente del Disordine, tra la
figura ordinatrice del Cosmocrate e il Mostro primordiale, incarnazione
delle forze regressive che minacciano di trascinare il mondo nello stato
amorfo e indifferenziato della confusione precosmogonica.
Come accade nella migliore comparatistica, anche in Oiteanu il reticolo
dei confronti e dei paralleli si allarga fino ad includere una circonferenza
amplissima, ma il compasso della ricerca mantiene la punta saldamente fissata in un dominio linguistico-culturale che funge da riferimento principale
e da pietra di paragone. Se le allegazioni provengono di volta in volta dalle
aree e dalle epoche pi disparate, lindagine resta baricentrata sul folclore romeno. Anche nel terzo saggio, consacrato al mito classico di Teseo nel Labirinto, lo scatto ermeneutico fondamentale viene dal raffronto con quelle
colinde romene di struttura iniziatica che raccontano la caccia rituale di un
giovane novizio alle prese con una creatura teriomorfa (in genere la fiera in
questione un leone parlante dalla morfologia composita ed incerta, ma pu
essere un toro selvatico o anche un cervo o un pesce; in ogni modo si tratta
di un animale magico, contraddistinto da evidenti connotati preternaturali).
Ci che Oiteanu persegue mediante la comparazione dei materiali mitico-leggendari la ricostruzione dei grandi paradigmi primordiali e dei concetti protofilosofici della mentalit arcaica, cos spesso trivializzati e mutilati
nei testi folclorici. Le righe conclusive del libro non lasciano adito a dubbi:

2. I tre ampi saggi che formano il volume sono desunti dalla raccolta di Oi s teanu 2004
(Ordine i Haos. Mit i magie n cultura tradiional romneasc). Su questa silloge
italiana (2008), cui dedicato il presente propos, si pu gi leggere con profitto la
tempestiva recensione di Lara Sanjakdar (2008), dove opportunamente sottolineato il peso decisivo della funzione-Eliade nel metodo di Andrei Oiteanu, tanto
nellimpostazione fenomenologica quanto nellapproccio comparatistico. Il diluvio, il
drago e il labirinto pu essere visto come un episodio particolarmente significativo di
un pi generale movimento di diffusione dellopera di Oiteanu ben al di fuori dei
confini della Romania. A tale riguardo vanno ricordate le seguenti pubblicazioni in
inglese e in tedesco: Cosmos vs. Chaos: Myth and Magic in Romanian Traditional Culture (1999); Das Bild des Juden in der rumnischen Volkskultur (2002); Inventing the Jew:
Antisemitic Stereotypes in Romanian and Other Central-East European Cultures
(2009).

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I miti, le leggende e le produzioni folkloriche tramandano, di norma, soltanto varie ipostasi dei concetti, spesso in forme allegoriche. Per poter
recuperare le coordinate essenziali del pensiero arcaico bisogna compiere
un lavoro convergente di riunificazione delle diverse ipostasi di un concetto, rifacendo, in senso inverso, un percorso labirintico dal Concreto
allAstratto, dalla Sostanza allEssenza, dal Tipo allArchetipo.
(Oi steanu 2008, 267)

Dalla pluralit sfrangiata e diffratta delle attestazioni folcloriche occorre insomma risalire ai simbolismi originari e tale operazione conseguibile mediante un procedimento di distillazione e ripulitura che separi lessenziale
dallaccessorio, rimuovendo le incrostazioni particolari per ripristinare il
modello universale. Questo movimento di risalita agli archetipi deve realizzarsi come una restitutio del concetto primigenio a partire dal censimento e
dalla collazione delle testimonianze degradate.3 Soltanto un approccio specifico pu rivelare la grammatica del pensiero arcaico, deformata e occultata nelle narrazioni mitico-folcloriche. Al disotto delle forme allegorizzate
dei materiali popolari, nelle formule letteraturizzate e un po esangui che
ingrossano gli inventari degli indici motivici, linterprete deve saper riconoscere le locuzioni e le immagini simboliche del linguaggio tradizionale.
Come si vede, non siamo lontani dallermeneutica del simbolismo letterario
proposta da Ananda Kentish Coomaraswamy (1987, 282):
Chiunque desideri comprendere il vero significato di queste figure di
pensiero ch non sono semplicemente figure di parola deve prima
essersi studiato lestesissima letteratura di molti Paesi in cui i significati
dei simboli si trovano spiegati, e deve egli stesso aver imparato a pensare in questi termini. Soltanto quando si sia trovato che un dato simbolo per esempio, il numero sette (mari, cieli, mondi, movimenti,
doni, raggi, soffi, ecc.), o le nozioni polvere, guscio, nodo, oc

3. Osservo di passata che anche questa idea di degradazione del simbolico, determinata dal processo di laicizzazione e secolarizzazione dellassoluto proprio alla Modernit, una nozione tipicamente eliadiana. Per una prima enucleazione del
concetto, cfr. Eliade [1939] 2008, 1518, 14748. Ma sul deterioramento del sacro e
del mistero, sviliti in forme sempre pi scadenti e camuffati entro forme profane, si
veda soprattutto Eliade [1963] 1993, 195227 (Myth and Reality [traduzione italiana
Mito e realt]). Il mascheramento dei simboli tradizionali nelle creazioni artistiche
dellepoca moderna unintuizione che gioca un ruolo centrale nellermeneutica di
Eliade: cfr. in proposito Marino [1980] 1981, 33037; e Spineto 2006, 209, 215,
223.

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chio, specchio, ponte, nave, corda, ago, scala, ecc. ha
una serie di valori di genere simile in una serie di contesti intelligibili
distribuiti estesamente nel tempo e nello spazio, possibile leggere
senza pericolo questo significato altrove, e riconoscere la stratificazione
delle sequenze letterarie attraverso le figure in esse usate.

Ma a differenza di Coomaraswamy, che mira essenzialmente ad illustrare le


grandi configurazioni arcaiche e i contenuti metafisici ad esse soggiacenti,
Oiteanu si interessa anche ai processi di degradazione degli schemi tradizionali, ovvero alla trasformazione dei simboli lungo le trafile storicamente
documentabili della loro propagazione. Certo, nei tre saggi che formano Il
diluvio, il drago e il labirinto si annette grande importanza al rinvenimento dei
sostrati arcaici, ma nella consapevolezza che la valorizzazione dei mitemi
originari passa attraverso la ricostruzione del loro cammino plurisecolare,
cio attraverso la stratigrafia delle loro incarnazioni storiche. Gli archetipi
della simbolica tradizionale sono dunque studiati in rapporto alle dinamiche
di riscrittura che regolano la loro diffusione nel tempo e nello spazio, tenendo conto delle alterazioni prodotte dai dislivelli culturali, dalla pressione
degli eventi storici e dallinflusso di precisi fenomeni psicosociali. Tale impostazione conferisce alle inchieste di Oiteanu un tratto di forte sistematicit,
assegnando un posto non trascurabile allanalisi linguistica e alla discussione etimologica. Rispetto a molti suoi colleghi, Oiteanu tratta i materiali
mitici ed etnografici con una speciale attenzione filologica, che non si riflette soltanto nella puntualit acribica con cui vengono maneggiate le ricchissime messi bibliografiche volta a volta convogliate nellesemplificazione,
ma anche in un evidente interesse per la dimensione propriamente testuale
dei documenti escussi. Allabbondanza delle allegazioni e alla pertinenza dei
riscontri si accompagna, infatti, unaccentuata sensibilit per lo specifico
formale e per lo spessore storico delle fonti scrutinate.
Ad alcuni capolavori degli studi sulle culture popolari e la mitologia comparatapenso, ad esempio, a Le Radici storiche dei racconti di fate di Vladimir Jakovlevi Propp (1946) e a Immagini e simboli di Mircea Eliade (1952)
toccato in sorte di trascendere i confini delletnologia religiosa e di irrorare
altri domini disciplinari, ben al di l delle cosiddette scienze umane. Le risultanze delle ricerche condotte sul terreno del folclore, del magismo e della
simbolica tradizionale hanno agito spesso come un lievito fecondante anche
nellambito della ricerca umanistica. In particolare, a partire dalla seconda
met del secolo scorso, si sono moltiplicati i lavori di antropologia e mitografia della letteratura. Per quanto riguarda lItalia, un impulso decisivo certamente venuto dalla Collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici
delleditore Einaudi, frutto dellincontro tra un letterato dai robusti appetiti

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antropologici come Cesare Pavese e da un etnologo dalla forte torsione filosofica come Ernesto de Martino.4 Apparsi nei primi anni del secondo dopoguerra, i volumi della gloriosa collana viola hanno contribuito alla
ridefinizione dellassetto dei saperi umanistici nel nostro paese, fertilizzando
alcune delle migliori intelligenze dellepoca. Basti pensare alla complessa figura di Furio Jesi, che nel 1968 raccoglie nella silloge Letteratura e mito una
serie di saggi di critica e poetica in cui le opere letterarie sono riguardate e
interpretate in chiave mitologica.5 Ma soprattutto in campo medievistico
(e comunque premoderno) che si sono registrate le applicazioni pi rigorose
e felici dellarmamentario metodologico messo a punto dallantropologia. I
testi latini e volgari dellEt di Mezzo sono cos intrisi di elementi di cultura
popolare e talmente compromessi con strati profondi del pensiero tradizionale da esigere modelli di lettura che mettano a frutto gli strumenti della
scienza etnologica e del folclore. dallOttocento che i filologi romanzi confrontano i testi anticofrancesi con il patrimonio fiabistico e indagano la matire de Bretagne alla luce delle leggende celtiche, tanto che lapproccio
antropologico pu apparire in un certo senso consustanziale allo studio della
letteratura in lingua dol.6
Fin dalle prime pagine de Il diluvio, il drago e il labirinto, ho ricevuto la
forte impressione di essere di fronte a uno di quei libri che forniscono allantropologia letteraria non soltanto informazioni e dati, ma idee e suggerimenti di ricerca. Ci che vorrei fare qui di sguito tentare di offrire una
riprova operativa di tale impressione. A questo scopo far reagire un saggio
del volume di Oiteanu su una sequenza narrativa della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso. Ovviamente, il senso di tale verifica non sar quello
di trattare la Liberata alla stregua di un documento etnografico, bens di dare
profondit allo studio del poema tassiano rintracciando nelle pieghe del

4. Sulla genesi, le controverse vicende e il peso culturale di questa famosa collezione


einaudiana si veda almeno Pavese e de Martino 1991.
5. Queste letture idiosincratiche e originalissime, sempre avvincenti e spesso contestabili, sono state recentemente ripubblicate nella Piccola Biblioteca Einaudi
(Nuova serie): cfr. Jesi 2002. Le indagini letterarie di taglio etno-folclorico costituiscono un assieme troppo vasto e troppo variegato perch se ne possa rendere
conto, sia pure laconicamente, in questa sede. Utili considerazioni di ordine generale sulle finalit, i metodi e le applicazioni dellantropologia letteraria si leggono
nella silloge postcongressuale Letteratura e antropologia (Bonafin e Corso 2008).
6. Per un abbozzo di riflessione sugli studi etno-antropologici di ambito medievistico
mi permetto di rinviare allIntroduzione che ho anteposto, con Adone Brandalise,
al volume collettivo: Le vie del racconto. Temi antropologici, nuclei mitici e rielaborazione letteraria nella narrazione medievale germanica e romanza (Barbieri e Brandalise 2008).

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testo relitti di mentalit arcaica e sopravvivenze di complessi mitico-rituali


che affondano le loro radici nella pi remota antichit.
Il contributo che apre il libro di Oiteanu (La leggenda romena del diluvio [2008, 574]) offre unanalisi granulare delle leggende romene relative al
diluvio universale. Le varianti popolari di questo racconto biblico (Genesi
68), registrate verso il 1900 in diverse regioni della Romania, contengono
un interessante episodio sulla costruzione dellarca, di cui richiamer soltanto i passaggi fondamentali. Lavorando di nascosto nella foresta, No si
dedica alacremente alledificazione dellarca, come gli stato ordinato da
Dio. Sennonch, il segreto viene scoperto dal Diavolo, che desidera lannientamento degli uomini e di tutte le specie animali nelle acque del diluvio. Quando larca finalmente pronta, il Maligno la distrugge,
smantellandola e riducendola in pezzi. Lincantamento diabolico smembra la
barca nelle sue parti: le doghe di legno che ne formano il fasciame si disgiungono e tornano ad unirsi agli alberi da cui erano state tagliate. Sconfortato,
No piange la sua triste sorte, ma ben presto ode la voce di Dio, che gli insegna come porre rimedio al sortilegio diabolico. Istruito dal Signore sul da
farsi, No si avvicina al primo albero della foresta, ne ricava unassicella di
legno e due martelletti, quindi comincia a colpire lassicella con i due martelletti, standosene seduto vicino alle radici dellalbero (Oi steanu 2008,
25). In alcune varianti della leggenda, No si limita a colpire con la scure il
primo albero adoperato per la costruzione. Non appena il Patriarca ha compiuto questo gesto rituale, i pezzi di legno disgregati dal Diavolo prendono
magicamente a raccogliersi e tornano uno dopo laltro al loro posto, ricostituendo la nave nella sua interezza. Tutto si ricomposto comera prima.
Larca finalmente ultimata.
Basata su materiali apocrifi di chiara ascendenza dualistica, la leggenda
romena del diluvio riproduce modelli e scenari delle cosmogonie arcaiche.
Tanto le probabili fonti appartenenti alle folk-religions dellEuropa orientale
quanto i paralleli mitici rintracciabili nelle culture tradizionali e nellepopea
eroica (dal Gilgamesh allOdissea, fino al Kalevala finlandese) sono pazientemente allineati da Oiteanu, che passa in rassegna tutti gli elementi e gli
snodi chiave della fabula, indicando con sicurezza le credenze primordiali e i
sedimenti archetipici sottesi al piano esplicito del racconto. La ricerca mette
a contribuzione unampia schedatura di materiali attinti alla mitologia e
allepica universali, senza trascurare documenti popolari pi vicini, come ad
esempio il famoso tema di Mastro Manole, luogo ormai classico della folcloristica e delletnografia romena.7 Questa ricchissima messe di riscontri e sim

7. Sul celebre tema folclorico di Mastro Manole, declinato nella poesia popolare romena sia in forma di canto narrativo tradizionale sia come colinda, si veda princi-

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metrie getta nuova luce sulla leggenda del diluvio, permettendo una pi
nitida caratterizzazione e una pi approfondita intelligenza del testo. Lesame
comparativo proietta lepisodio delledificazione dellarca sullo sfondo di un
antichissimo scenario mitico-rituale di creazione e fondazione, che declina
lo schema della lotta incessante tra Ordine e Caos. La costruzione di un
edificio o di un artefatto speciali, provvisti di forti connotati simbolici, non
pu essere attuata in qualsivoglia luogo e in un modo qualunque, ma richiede la scrupolosa applicazione di specifici protocolli e prescrizioni magico-rituali. Per completare felicemente la sua opera, il Demiurgo deve
vincere la resistenza delle forze distruttive che si oppongono ad ogni creazione e cercano di sprofondare ogni cosa nello stato indistinto e preformale
degli Inizi. Nella leggenda romena il Diavolo ostacola ledificazione dellarca,
disfacendo e mandando in rovina (Caos) la costruzione ben compaginata
(Cosmo) di No. Questi per, ispirato da Dio, compie un gesto magico che
sconfigge e neutralizza il principio della confusione regressiva, ripristinando
lordine e permettendo la stabilit della creazione.
Lasciamo ora le cosmogonie dualistiche delle tradizioni popolari romene
per trasferirci nel cuore della Gerusalemme Liberata.8 Lesercito crociato, guidato da Goffredo di Buglione, stringe dassedio la Citt Santa. Nel corso di
furiosi combattimenti, i saraceni sono riusciti a distruggere le macchine da
guerra dellarmata assediante (canto XI). Anche lultimo ordigno ossidionale
rimasto ai cristiani, una torre mobile di dimensioni eccezionali, incendiato
da Argante e Clorinda nel corso di un audace blitz notturno (canto XII). A
questo punto si apre una lunga sequenza di episodi relativi alla costruzione
di nuove macchine da guerra, indispensabile premessa ad un rinnovato assalto alle mura di Gerusalemme. Questa serie di vicende, cui si riconnette
strettamente il ritorno di Rinaldo al campo crociato, occupa unestesa sezione del poema tassiano (canti XIIIXVIII). Ne dar di sguito un telegrafico sommario, concentrandomi sugli snodi principali della narrazione e
sugli elementi che saranno rilevanti ai fini dellargomentazione.
Lunico luogo in cui i cristiani possano trovare il legno necessario alla
fabbricazione di nuovi macchinari dassedio la tenebrosa foresta di Saron,
che si estende non lontano dal campo cristiano. Ismeno, malefico incantatore al servizio dei saraceni, ricorre allora alle sue arti magiche per impedire

palmente Eliade 1943 (Comentarii la legenda Meterului Manole), le cui conclusioni


andranno comunque riconsiderate alla luce delle riserve espresse da Carlo Don
(2004, 43337). Sulla leggenda romena di Manole in rapporto ai riti sacrificali di
costruzione il lettore italiano pu rivolgersi anche a Cocchiara 1980.
8. Citazioni, riferimenti e rinvii al poema tassiano sono conformi alledizione di
Caretti 1979.

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ai crociati lapprovvigionamento di legname. Nel silenzio della notte, compie gesti rituali e mormora potentissime parole (Liberata XIII 6.2), popolando la fitta selva di larve spettrali, illusioni e forme menzognere.9 Convocata
da Ismeno, uninnumerevole schiera di spiriti trova ricetto ne tronchi [...]
e tra le foglie (Liberata XIII 11.8). Quando i carpentieri e i guerrieri cristiani
tentano di penetrare nel bosco stregato, sono atterriti e messi in fuga da
terribili sortilegi (frastuono infernale, mura di fiamme, apparizioni mostruose, alberi animati che spicciano sangue non appena intaccati dal
ferro).10 Persino una figura di primissimo piano come Tancredi si rivela incapace di dissipare i sortilegi della foresta di Saron.11 Privi di macchine per
dare lassalto alle mura di Gerusalemme, i crociati si trovano in una condizione di stallo e possono solo languire sotto la vampa bruciante del sole di
Outremer. in questa situazione apparentemente senza uscita che Goffredo
di Buglione, sommo capitano (Liberata XIV 13.2) della spedizione, riceve

9. Il sortilegio di Ismeno, che infesta di spettri la foresta di Saron precludendo ai


cristiani laccesso allunica fonte di legname, non fa che accentuare la natura diabolica del luogo. Intricato e oscuro viluppo di piante secolari, Saron un bosco
maledetto, abituale ritrovo di streghe e sede di empi convegni notturni (cfr. Liberata XIII 4 [Caretti 1979]).
10. forse superfluo rammentare che gli alberi animati, le piante metamorfiche
dalle sembianze umane o mostruose, le fronde parlanti e i tronchi sanguinanti
sceneggiano in forme aggiornate una costellazione di credenze antichissime legate
ai culti arborei. Dentro i fusti della foresta sacra si annidano spiriti boscherecci e
demoni silvestri.
11. Passaggio cruciale nelleconomia simbolica e narrativa del poema, la sequenza
della foresta stregata stata sottoposta a studi lenticolari che ne hanno evidenziato il fitto ordito intertestuale. Esemplare, in questo senso, il saggio di Natascia
Bianchi (1999), che fornisce un puntuale censimento degli echi danteschi reperibili nellepisodio di Saron. Le selve della Commedia rappresentano un modello
ben presente al Tasso, che da tale fonte deriva sia tessere linguistiche sia prestiti
tematici. Pi in generale, per la densa rete di memorie, prelievi e riferimenti allusivi sottesa allepisodio dellincantamento del bosco di Saron si veda la sintesi di
Marziano Guglielminetti (2005), inclusa nella Lettura della Gerusalemme liberata a cura di Franco Tomasi. Questo volume collettivo offre un affidabile commento continuo alla Liberata, articolato in una serie di contributi specifici sui
singoli canti. Il pregio di tali lecturae risiede nella scelta di saldare la focalizzazione
ravvicinata del close reading con lo sguardo panoramico sullimpianto complessivo del poema. Sulla sezione dellopera tassiana riguardante il sortilegio di Ismeno,
lo scacco delle forze cristiane, la liberazione di Rinaldo dal giardino di Armida e il
disincanto della foresta di Saron (canti XIIIXVIII) si possono leggere, oltre al
succitato studio di Guglielminetti, gli interventi di Giovanna Scianatico, Paul
Larivaille, Antonio Daniele, Arnaldo Soldani ed Elisabetta Selmi.

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in sogno una santa ispirazione: per sciogliere gli incantesimi di Saron bisogna ricondurre Rinaldo dai giardini di Armida al campo crociato. Infatti,
soltanto il figliuol di Bertoldo (Liberata XIV 12.8) in grado di sconfiggere
la magia di Ismeno e di riaprire la selva allopera dei carpentieri cristiani:
A lui sol di troncar non sia disdetto
il bosco cha gli incanti in sua difesa.

(Liberata XIV 14.12)

Richiamato ad hoc dal colpevole ozio nel soggiorno di delizie suscitato dalla
magia di Armida, il migliore dei campioni cristiani viene a capo del silvestre incanto (Liberata XVIII 6.4). Determinato a compiere lalta missione
che gli stata affidata, Rinaldo sinoltra nel fitto della foresta, dove trova un
mirto di enormi proporzioni, distanziato dagli altri alberi e collocato al centro di una radura:
vede un mirto in disparte, e l si piega
ove in gran piazza termina un sentiero.
Lestranio mirto i suoi gran rami spiega,
pi del cipresso e de la palma altero,
e sovra tutti gli arbori frondeggia;
ed ivi par del bosco esser la reggia.

(Liberata XVIII 25.38)

Resistendo alle lusinghe e alle minacce dei fantasmi ingannevoli e bugiardi (Liberata XVIII 10.2), leroe snuda la spada e colpisce ripetutamente
la pianta colossale fino a reciderne il tronco. Allistante, i sortilegi del bosco si
dissolvono:
Ma pur mai colpo il cavalier non erra,
n per tanto furor punto sarresta;
tronca la noce: noce, e mirto parve.
Qui lincanto forn, sparr le larve.

(Liberata XVIII 37.58)

Abbattendo larbor princeps, che dietro le false apparenze di un mirto nascondeva la sua vera natura di nocepianta cara alle streghe, Rinaldo
disincanta lintera selva, rendendola disponibile alle scuri dei taglialegna e
dei genieri cristiani. Una volta dissolto il magismo diabolico di Ismeno, il
lucus ombroso perde le sue malie, diventando unabbondante riserva di legno

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da costruzione. Entra allora in scena il duce ligure (Liberata XVIII 41.7)


Guglielmo Embriaco, ingegnere dellarmata crociata, che con laiuto di cento
abili artigiani allestisce nuove macchine dassalto, tra le quali fanno spicco
tre poderose torri mobili di eccezionale fattura.
Per la sua centralit semantica e narrativa entro la logica del poema, lepisodio della foresta stregata stato oggetto di numerose letture, che ne hanno
messo in luce le valenze emblematiche e la natura densamente metaforica.
Le diverse interpretazioni dei sortilegi del bosco e dellesorcismo di Rinaldo
presentano una grande diversificazione di approcci e di angolature visuali.
Ciononostante, a costo di qualche semplificazione, credo che le pi rilevanti
ipotesi esplicative possano essere ricondotte a tre orientamenti principali.
Una prima linea esegetica quella che vede nella foresta di Saron, arcano
intrico di vegetazione caotica e pullulante, lopposto dello spazio ordinato e
cosmizzato della Citt Santa. Luogo periferico della regressione solitaria e
degli istinti, la selva un coacervo di forze indocili e ribollenti che rappresenta il rovescio della vita normata dei centri abitati. Con il suo aspetto tenebroso e selvaggio, Saron si impone anzi come immagine dellanti-citt,
contraffazione e ombra di Gerusalemme.12 Questa opposizione, assata sul
bipolarismo natura/cultura, trova puntuale conferma nei dati testuali e sincontra fin dalla prima apparizione del bosco di Saron, in unottava del canto
III frequentemente citata dai commentatori:
La citt dentro ha lochi in cui si serba
lacqua che piove, e laghi e fonti vivi;
ma fuor la terra intorno nuda derba,
e di fontane sterile e di rivi.
N si vede fiorir lieta e superba
dalberi, e fare schermo a i raggi estivi,
se non se in quanto oltra sei miglia un bosco
sorge dombre nocenti orrido e fosco.

(Liberata III 56)

Separati da una terra di nessuno brulla e desolata, autentico non-luogo


privo di determinazioni, il bosco di Saron e Gerusalemme si definiscono
come estremi irriducibilmente distanti di una geografia simbolica che fa da
sfondo alle vicende del poema. Allo spazio antropizzato della citt, sapientemente regolato e provvisto delle risorse necessarie alla vita sociale e civile, si
oppone un luogo inabitabile, selvatico e tenebroso. Ma c dellaltro. Su questa dicotomia archetipica citt/foresta si innesta unaltra antitesi, che in 12. Cfr. Brberi Squarotti e Zatti 2000, 24749.

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nerva da capo e a fondo il capolavoro tassiano e che si sostanzia di valenze


etiche e ideologiche: quella tra luniforme cristiano e il multiforme pagano.
Come ha mostrato Sergio Zatti (1983) in unimportante monografia, lintero
poema risulta attraversato da un forte clivage tra i valori del mondo saraceno,
fondati sulla molteplicit e sulle pulsioni desideranti, e le istanze repressive
di una ratio cristiana di ispirazione post-tridentina.13 Di fatto, nella topografia simbolica della Liberata, le geometrie turrite e la facies ordinata di Gerusalemme si prestano bene a incarnare i principi di controllo autoritario della
Controriforma, mentre la densit confusa e proliferante di Saron appare isomorfa alla variet eteroclita delluniverso pagano. E ci sar tanto pi vero in
quanto il bosco incantato, gi sede di sabba e convegni diabolici, diviene per
arte magica il luogo delezione della difformit, ossia un teatro metamorfico
di larve, parvenze e simulacri.14
Unaltra soluzione interpretativa si deve a Ezio Raimondi (1980, 96123),
che in pagine di formidabile erudizione e di acutissima sensibilit critica ha
suggerito di leggere lavventura dei cavalieri cristiani nella selva incantata
come un descensus ad inferos. Ritrovando nel libro VI dellEneide la sinopia
del canto XIII della Liberata, Raimondi ha potuto stabilire un rapporto di
omologia tra la selva di Saron e la silva dei morti del poema virgiliano.15 In
tale prospettiva, landata nella foresta si presenta come un viaggio nellaltro
mondo, ovvero come il pi periglioso e il pi classico dei compiti difficili
assegnati agli eroi. Ma questa compatta lettura non si ferma x allagnizione
del testo-tutore, tanto pi che il tracciato narrativo e simbolico dellepisodio
riecheggia con ogni evidenza archetipi romanzeschi di larghissima diffusione, a cominciare dalla localizzazione della prova nella foresta, setting abituale e quasi obbligato dellaventure cavalleresca. Al riconoscimento delle
tessere intertestuali e interdiscorsive, censite con puntualit e sempre consi 13. Mobilitando diversi piani di analisi e allineando un ricco dossier di evidenze,
Zatti ha posto laccento sul fatto che i valori ideologici del poema tendono a polarizzarsi nellantitesi tra il dovere morale e il principio del piacere, tra lunit monolitica della cultura controriformata e le pulsioni dispersive del mondo pagano. Su
questa linea interpretativa, che gode generalmente di buona stampa nella recente
bibliografia tassiana, ha espresso qualche misurata riserva Franco Fortini (1999,
3840, 5153, 14849).
14. Cfr. Zatti 1983, 152: Interdetta ai cristiani dallincanto magico, [la foresta di
Saron] si rende disponibile per le fenomenologie multiformi del pagano.
15. Pur accogliendo il parallelo proposto da Raimondi, Fortini sottolinea la forte divaricazionetonale e psicologicatra il Tasso e la sua fonte: Quella che nel poeta
latino cerimonia di iniziazione alla vigilia dei grandi scontri armati che porteranno
Enea a fondare la stirpe di Romolo, nel Tasso una discesa agli spaventi di un sogno
infantile (Fortini 1999, 125).

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derate nella loro risemantizzazione, si aggiunge il reperimento di motivi folclorici e nuclei etnografici, che orientano e sostanziano una fine analisi di
antropologia letteraria. Non a caso, i grandi maestri novecenteschi della
fiabistica e della simbolica tradizionaleJung, Eliade, il Propp de Le radici
storiche dei racconti di fate (1946)sono volta a volta convocati per caratterizzare un episodio in cui possibile riconoscere una cerimonia di evidente
struttura iniziatica, un rito di rinascita che deve condurre a una nuova vita
(Raimondi 1980, 102).16
Una terza possibilit di accostamento allepisodio di Saron stata suggerita da Georges Gntert (1997), il quale ha spostato il fuoco dellattenzione
dallavventura dei cavalieri cristiani nella foresta stregata alla trasformazione
del bosco in legname da costruzione per le macchine dassalto. Per Gntert,
limpiego della materia-selva per fabbricare gli ordigni ossidionali non altro
che un riferimento cifrato ai meccanismi dellinventio soggiacenti al poema
tassiano. Nel gioco delle corrispondenze, il viluppo lussureggiante e caotico
della foresta rappresenterebbe il meraviglioso romanzesco, con le sue peripezie inconcludenti e le sue divagazioni illusorie, mentre la mirabil torre descritta alle ottave 4345 del canto XVIII sarebbe da intendersi come figura
del discorso epico. Lo scioglimento del maleficio di Ismeno e la fabbricazione
della nuova macchina dassalto con il legname di Saron tematizzerebbero
dunque la necessit di sottomettere alle superiori esigenze della grande epopea cristiana le illecebre edonistiche del fiabesco e le ambages pulcerrime della
tradizione romanzesca.17 Non lontana dalle conclusioni di Gntert la compatta proposta critica avanzata di recente da Jean-Christophe Cavallin, secondo il quale il lungo racconto della selva hante sarebbe da interpretarsi
alla stregua di unallegoria metapoetica: lepisodio della foresta di Saron e
della costruzione delle macchine si deve leggere, more allegorico, come un
manuale dutilizzo delle favole del paganesimo nella composizione dun poema
epico cristiano (Cavallin 2004, 42).18 La bonifica del bosco incantato e la
fabbricazione delle macchine cristiane col legname di Saron costituirebbero
unapologia delluso della materia greco-latina allinterno di unopera finalizzata allaffermazione dei valori dottrinali della vera fede. Tasso intenderebbe
insomma sostenere che il meraviglioso antico, debitamente svelenito ed esor 16. Unoriginale e coerente applicazione dei lavori di Propp sulla fiaba di magia
alle strutture della Gerusalemme Liberata (e pi in particolare alla vicenda di
Rinaldo) si deve a Falaschi 1994.
17. Per la centralit della questione nella poetica tassiana e nella stesura della Liberata si
veda la fondamentale monografia di Guido Baldassarri (1977).
18. Per un rendiconto meno ellittico di questo lavoro, mi permetto di rimandare
alla mia recensione apparsa in Quaderni di Lingue e Letterature (Barbieri 2004).

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cizzato, pu prestare la sua materia dilettevole alla composizione di un poema


autenticamente cristiano sulla conquista della Citt Santa.
Abbandoniamo ora il terreno dellesegesi letteraria, mettendo da parte sia
le letture di tipo immanente sia le interpretazioni volte a definire e valorizzare
la portata ideologica dellepisodio entro il contesto della Gerusalemme Liberata. Tentiamo, invece, di cogliere nellepisodio della selva di Saron le tracce, a
mio avviso lampanti, dellantichissimo complesso mitico-simbolico di fondazione studiato da Oiteanu a partire dai racconti popolari romeni sul diluvio.
Cominciamo con losservare che lintreccio tassiano lascia trasparire in modo
piuttosto netto, nelle sue linee portanti, lopposizione Cosmo/Caos delle cosmogonie arcaiche. Il mago Ismeno (un agente del disordine dalle forti connotazioni demoniache e disforiche) si oppone con i suoi sortilegi ad unopera di
cosmizzazione, mirante a trasformare un intrico tenebroso di piante secolari in
un arsenale di macchine lignee fabbricate a regola darte. Come nella leggenda
romena della costruzione dellarca, anche nellepisodio di Saron incontriamo
lantitesi tra il viluppo indistinto della silva/hle (immagine del caos primordiale, indifferenziato e privo di qualit intrinseche)19 e un artefatto sapientemente congegnato, ottenuto con pezzi di legno lavorati e ordinatamente
interconnessi (raffigurazione della materia ordinata, cui il deus opifex ha impresso contorni e determinazioni).20 La vittoria del principio ordinatore sulle
forze caotiche che ostacolano la creazione conseguita mediante lesecuzione
di un gesto magico. Come nelle cosmogenesi arcaiche, latto di fondazione
compiuto dal Demiurgo presuppone luscita dallo stato indifferenziato delle
19. Il concetto di hle, con la correlata equazione tra la selva e la materia informe,
era accessibile al Tasso attraverso il Timeo latino di Calcidio oppure tramite il
commento del Landino alla Commedia: cfr. Bianchi 1999, 29n2; Cavallin 2004,
4649; Selmi 2005, 46667n39.
20. Le brevi notazioni descrittive relative alla foresta di Saron insistono prevalentemente sulloscurit ombrosa e sulleccezionale fittezza dellintrico arboreo: Sorge
non lunge a le cristiane tende / tra solitarie valli alta foresta, / foltissima di piante
antiche, orrende, / che spargon dogni intorno ombra funesta. / Qui, ne lora che l
sol pi chiaro splende, / luce incerta e scolorita e mesta, / quale in nubilo ciel
dubbia si vede / se l d a la notte o sella a lui succede (Liberata XIII 2). Non forse
inutile ricordare che il buio profondo e la densit amorfa sono tipiche prerogative
della confusione precosmogonica. Su un piano pi generale si pu osservare che i
principali caratteri del bosco di Saron (le tenebre, la foltezza impenetrabile e incondita, la natura selvaggia, il meraviglioso diabolico) sono tutti riportabili alla
fisionomia classica del locus horribilis/horridus, vero e proprio tpos che sembra
configurarsi nella tradizione letteraria medievale come il rovescio speculare del
locus amnus. Per questo clich, ben attestato nelle scritture epiche, odeporiche ed
enciclopediche del Medioevo latino e volgare, cfr. Verelst 1994.

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origini e lepurazione degli agenti dellanomia. Lazione rituale di Rinaldo, che


disincanta la foresta stregata troncando larbor princeps, trova un preciso corrispettivo in quelle varianti della leggenda romena del diluvio nelle quali No
vince i sortilegi del Diavolo colpendo con la scure il primo albero usato per la
fabbricazione dellarca. Abbattere il primo albero, pianta originaria e sovrana
che rappresenta per sineddoche anche tutte le altre, sufficiente per esorcizzare lintero bosco.21 Tanto il cavaliere cristiano quanto il Patriarca procedono
cos, pars pro toto, al disincanto della selva.22 Ma c di pi. Lisolamento nel
mezzo di una radura, le dimensioni immense e le prerogative metamorfiche
denunciano la natura eccezionale del noce di Saron, che sembra replicare il
paradigma primordiale dellAlbero Cosmico.23 Le enormi proporzioni della
pianta, che si drizza maestosa e spicca per la sua altezza sul resto della vegetazione, suggeriscono con la loro perentoria verticalit limmagine del pilastro
cosmico, convocando altres i simbolismi arcaici del Centro.24 Daltra parte, la
vicenda si svolge nei pressi di Gerusalemme, ovvero in una citt santa che,
come tutti i loci consecrati, si trova al Centro del Mondo.25
21. Il motivo del primo albero, pianta emblematica e detentrice delle energie
sacre dellintera foresta, ricondotto da Oiteanu al plesso mitico-rituale dellalbero unico (monodendron), ben documentato nelle tecniche e nelle cerimonie di
costruzione del mondo arcaico (2008, 4248). Nelle leggende di fondazione delle
civilt tradizionali, incontriamo spesso manufatti fabbricati con un unico tronco,
dimore realizzate col legno di un solo fusto, edifici eretti nel luogo in cui sorge un
albero santo o sulle assise offerte da una pianta sacra appositamente abbattuta.
Palesemente connessa con antichi culti dendrolatrici, la pratica di allestire artefatti monossili poggia sulla credenza nel prestigio mistico degli alberi consacrati.
Perch tali piante non perdano la loro potenza magica, opportuno che i tronchi
subiscano il minor numero possibile di manipolazioni, conservandosi integri e
vicini al loro stato naturale.
22. Posto che Saron e la Citt Santa sono i due grandi poli della geografia simbolica del poema, si pu dire che la liberazione della foresta dai malefici di Ismeno
rappresenti il presupposto e la prefigurazione dellaffrancamento di Gerusalemme
dal dominio saraceno (cfr. Fortini 1999, 154).
23. Sulle valenze religiose e le connotazioni simboliche dellalbero cosmico si
veda almeno Eliade 1948 (Trait dhistoire des religions), nella traduzione italiana
1996, 28287.
24. Si noti che lo straordinario sviluppo dellarbor princeps, monumentale e svettante entro uno spiazzo, sembra riprodursi nella verticalit delle torri dassedio
fabbricate col legno della foresta di Saron.
25. Nel sistema di rappresentazioni delle culture arcaiche, i templi, le residenze
regie e le citt sacre sono tutti luoghi assimilati al pilastro cosmico e promossi a
Centro del Mondo. In particolare, per le credenze giudaiche Gerusalemme un
omphals che assomma in s i concetti peculiari e distintivi del simbolismo del

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Come si vede, le omologie di struttura tra lepisodio tassiano e il testo folclorico romeno sono davvero notevoli, tanto pi che il gioco delle corrispondenze
si pu facilmente estendere ai profili e ai ruoli attanziali delle dramatis personae.
I rappresentanti del Caos Ismeno e il Diavolo mostrano strette affinit tipologiche, su cui non c bisogno di trattenersi. Pi complesse le simmetrie individuabili tra le diverse ipostasi del Demiurgo. Le funzioni svolte da No nella
leggenda del diluvio sono assunte da tre distinti personaggi nella Gerusalemme
Liberata: Goffredo di Buglione, capo della spedizione crociata, dispone la fabbricazione di nuove macchine dassedio e riceve in sogno le istruzioni sulla via
da seguire per sciogliere i sortilegi di Ismeno; Rinaldo, supereroe dellesercito
cristiano, compie armi in pugno lesorcismo risolutivo che dissipa i malefici
della selva, sconfiggendo le forze del Caos; Guglielmo, artefice illustre (Liberata XVIII 41.5), provvede alla realizzazione degli ordigni ossidionali, imponendo alla materia greggia la disposizione e la stabilit di una ratio costruttiva.
Il principio ordinatore, raffigurato da No nella leggenda del diluvio, si rifrange
nel poema tassiano in una terna di avatars, che appaiono sovrapponibili alla
tripartizione funzionale proposta da Georges Dumzil per spiegare la visione
del mondo e la struttura ideologica delle civilt indoeuropee: in tale prospettiva, Goffredo sembra incarnare i prestigi della sovranit magica e giuridica,
Rinaldo la forza guerriera, Guglielmo le risorse produttive e le capacit fabrili.
Ce n abbastanza, a parer mio, per affermare che lepisodio tassiano della selva
di Saron il riflesso di uno schema archetipico di fondazione, solidale con gli
scenari delle cosmogonie tradizionali e utilmente confrontabile in chiave di
etnografia comparata con i miti e i riti del costruire.
Alvaro Barbieri
Universit di Padova

Opere citate
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Centro: quello di spazio ierofanico deputato alle manifestazioni preternaturali e
alle rivelazioni divine, quello di sito originario dove si svolgono le vicende della
creazione e, infine, quello di Axis mundi, punto dintersezione e di collegamento
tra le regioni cosmiche (cfr. al riguardo Eliade 1948, 38690). Ma la centralit di
Gerusalemme, lungi dal limitarsi alle tradizioni degli Ebrei, un elemento costante in tutto il pensiero giudeo-cristiano e, pi in generale, nellassieme delle
religioni che discendono dal ceppo di Abramo.

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