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Il peso più grande

Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue
solitudini e ti dicesse: «Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e
ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni
pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte
nella stessa sequenza e successione - e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure
questo attimo e io stesso. L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa,
granello della polvere!». Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha
parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta:
«Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina?». Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora,
farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la domanda per qualsiasi cosa: «Vuoi tu questo
ancora una volta e ancora innumerevoli volte?» graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! Oppure,
quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun'altra cosa che questa ultima eterna
sanzione, questo suggello? F. Nietzsche,La gaia scienza, 1882.

Il peso più grande è dire di “sì” al demone che ci ha prospettato di rivivere la nostra vita, qualunque essa
sia, infinite volte. “Quanto dovremo amare noi stessi e la vita per non desiderare più alcun’altra cosa …. ?”

Ma, a che cosa dovremmo dire di “sì”?

A quello che ci succede nella nostra vita, il “ragno e questo lume di luna …” nella stessa sequenza e
successione?

E, chi è il soggetto che non riesce a tollerare la proposta del demone, e dice no?

È colui che si contrappone al mondo, lo giudica negativo e immagina un Altro mondo, oltre questo,
migliore, in cui potrà dire di sì. Che giudica a partire da una separazione (“ci vien da ridere, quando
troviamo “uomo e mondo” posti l’uno accanto all’altro, separati dalla sublime arroganza della parola “e””.
346) tra esistenza da scartare ed essenza, da scegliere in un aldilà.

La coscienza non riesce a tollerare il Demone “che così ha parlato”, perché, un soggetto che vive nella
separazione di essenza ed esistenza quotidiana - la metafisica platonico/cristiana -, non potrà mai ridursi a
credere che la vita sia questo ragno e nulla più. La coscienza sentirà come pura disperazione questa
proposta del demone che la spiazza dalla presunzione di avere una posizione di dominio sul mondo, avendo
avuto l’incarico, da un Dio imperscrutabile, di giudicare l’esistente come caotico e negativo.

La coscienza, guidata da Dio, dice no.

La coscienza, liberata dalla presenza di Dio, interrogata dal demone, dice di sì.

Solo la morte di Dio ci mette in condizione di poter dire di sì.

Sembra che ricompaia la figura del Demone Eros di Diotima, nel Simposio, che non essendo, né uomo né
Dio, riesce a tenere insieme l’esistente grazie al suo “desiderio”.

Anche il Demone nietzscheano si presenta con queste parole: “quanto dovresti amare te stesso la vita per
non desiderare altro” che questo ritorno. Dove, il desiderio è un vuoto che non si tratta di colmare, ma da
simboleggiare.

Il simbolo sarebbe un passaggio, un attraversamento. La soglia dove vengono ricomposti i due pezzi:
essenza ed esistenza.
Sì, a che cosa, quindi? Non a una cosa, ma al passaggio di quella cosa. Dovremmo dire di sì al passaggio che
è l’unica cosa che si presenta veramente come eterna. L’eternità è, in un certo senso, un buco nel tempo, in
quanto è esattamente fuori dal tempo, così come lo abbiamo organizzato in termini metafisici: passato,
presente, futuro. L’effetto dell’eterno sarà la metamorfosi di chi ha detto sì al demone .

È una decisione volontaria? Stando alla “Visione e l’enigma” non è una decisione volontaria, ma una
decisione dentro una specie di incubo straziante in cui un pastore, che si trova con serpente in gola, riesce a
mangiare la testa del serpente e sputarla fuori. A quel punto il pastore diventa un trasformato.

“Dovremmo” dire di sì alla metamorfosi.

In realtà non è un “dovere”, perché se lo fosse, vorrebbe dire che qualcuno, Nietzsche, sa che cosa si
dovrebbe o non si dovrebbe fare. Non c’è nessuno dovere. Tanto che Zarathustra dice ai suoi discepoli di
allontanarsi da lui, perchè forse li ha ingannati.

Quindi, nel caso in cui si presentasse il demone o Nietzsche, o Zatathustra o l’oltruomo, non “dovremmo”
dire di sì. Perché se decidessimo di dire sì come effetto di dovere, di una prescrizione o di istruzioni per
l’uso della nostra vita, stiamo in realtà dicendo di no, in quanto saremo nello schema metafisico di un
passato che determina il presente in vista di un futuro.

Nietzsche non ci vuole proporre un’altra dottrina che spieghi che cosa sia veramente il tempo, o che
proponga una diversa concezione del tempo più efficace di quella che prevede la “freccia” del tempo
lineare. È il pesante nano, nella “Visione e l’enigma”, che crede di risolvere la questione proponendo
un’altra dottrina del tempo.

Quindi dovremmo decidere di non dovere prendere una decisione, perché sarà una decisione che non è
una decisione presa da qualcuno che dice: “decido” intenzionalmente. Il soggetto è già un’interpretazione:
-“io” dici tu , e sei orgoglioso di questa parola. Ma la cosa più grande, cui tu non vuoi credere, - il tuo corpo
e la sua grande ragione: essa non dice “io”, ma fa “io” -, ma sarà una decisione che decide di trapassare
come decisione in una metamorfosi che riguarda anche la decisione stessa. Solo una decisione metamorfica
sarà in grado di fondare il sì, che potrà redimerci (“Della redenzione”) trasformando il “così fu, in così volli
che fosse”.

Capiamo anche perché Nietzsche usi un linguaggio tra il poetico, il profetico, il religioso, il filosofico in
quanto le sue parole, allusive metaforiche ed enigmatiche, vorrebbero superare un sistema di linguaggio
chiuso da gabbie metafisiche (la stessa struttura logica del linguaggio è una di queste gabbie), cercando così
di aprire alla possibilità di dire qualcosa che sia un “ponte” verso ciò che metaforicamente viene chiamato
“oltreuomo”.

Questo è l’enigma.

E, l’enigma, non è qualcosa che va decifrato, scoperto e conosciuto.

Lo scioglimento dell’enigma che siamo noi stessi, è capire che non c’è nessun enigma da sciogliere, ma
semplicemente si tratta di attraversarci “interpretandoci” e, così facendo, ci modifichiamo in una direzione
che non è rappresentabile da un prima. Quello che succede è esattamente qualcosa che ha dell’impossibile
logico. Non è in termini di una razionalità logica: è piuttosto in una specie di iniziazione che ci fa nascere a
noi stessi, facendoci diventare un “fanciullo” che è un “primo inizio”, una “ruota ruotante da sola”.

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