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La metafisica e la malattia delle catene

50. Il motto aureo. All’uomo sono state poste molte catene, affinché egli disimpari a comportarsi
come un animale: e veramente egli è divenuto più mite, spirituale, gioioso e assennato di tutti gli
animali. Ma ora soffre ancora del fatto di aver portato per tanto tempo le catene, di aver mancato
per tanto tempo di aria buona e di movimento libero; queste catene però sono, lo ripeterò
sempre di nuovo, gli errori gravi e insieme sensati delle idee morali, religiose e metafisiche.
"Umano troppo umano"

“Tutta la nostra cosiddetta coscienza è un più o meno fantastico commento di un testo


inconscio, forse inconoscibile, e tuttavia sentito”.

Perché la coscienza, che è un “più o meno fantastico commento di un testo inconscio”, pretende
di sostituirsi e rappresentarsi come l'unica traduzione di quel testo inconscio? In altri termini,
perché la riduzione metafisica dell'esistenza?
Se l’imporsi della coscienza, come istanza suprema della personalità, è la risposta umana alla
paura del mondo esterno vissuto come dominio dell’incertezza e di presenze misteriose e
volontà arbitrarie che bisogna esorcizzare e, se, in effetti, questa paura viene governata dalla
coscienza, è perché alla violenza della natura si resiste solo costituendo rapporti sociali di
subordinazione, altrettanto violenti e costrittivi.
L’uomo, indifeso più degli altri esseri viventi nei confronti delle forze naturali, ha dovuto darsi
delle forme di aggregazione sociale in cui c’è chi comanda e chi ubbidisce, per garantirsi una vita
meno minacciata.
La coscienza diventa così il luogo di interiorizzazione di questo schema di subordinazione degli
istinti al potere di governo della coscienza.
Come fatto comunicativo, la coscienza si organizza in modo da rappresentare la voce degli altri
in noi.
E, questi altri, si presentano come gli unici interpreti di un Dio, che esercita la sua potenza su
tutto.
Errori gravi e insieme sensati: gravi perché ci allontanano dalla nostra “grande ragione” che è il
“corpo” e sensati, perché dando un senso unico a tutto, ci tranquillizzano, ma, nello stesso
tempo, incatenano la nostra “salute”, riducendoci ad essere soggetti calcolabili e affidabili.
L'uomo ha bisogno di dare un senso alla propria esistenza, e di fronte al vuoto esistenziale,
costruisce un mondo metafisico, di verità e perfezione in cui imprigiona e chiude tutte le cose.
Non ci si accorge però che, così facendo, ci si trova intrappolati in una rigida definizione che ci fa
precipitare in quel nulla da cui ci si voleva proteggere.
Si tratta di passare da uno sguardo annichilito dal vuoto ad un altro sguardo che si assuma la
responsabilità di guardare quel vuoto: “Non è la vista già di per sè un - vedere abissi?” senza
esserne annichiliti, come in Leopardi o in Schopenhauer.
Insomma, l’impianto religioso morale e metafisico dice: siamo un segno con un significato che
non è dato esperire qui, ma viene immaginato come dotato di senso in un “altro” mondo che ci
attrae e ci giudica, facendoci sentire in colpa, se non ne abbiamo “assoluta fede” in quel senso.

“Sarebbe meglio non nascere, non essere niente o morire in fretta.” dice Tiresia, discepolo di
Dioniso.

Il dramma, per Nietzsche, è che anche quando ci siamo liberati dalle catene, non riusciamo a
vivere senza: la paura della libertà ci induce a rimetterci quelle catene.
Esiste la possibilità che l'uomo si sottragga radicalmente dal clima di violenza testimoniato e
mantenuto dalla metafisica? Cioè esca da questa dipendenza? Un modo c'è, ed è attraverso la
trasformazione, la metamorfosi. La soluzione è avere la capacità di cambiare pelle, senza stare
necessariamente stretti in un abito "metafisico" che non è stato creato a nostra misura. L'uomo
deve abbandonare i propri irrigidimenti e lasciarsi andare al flusso dionisiaco, liberando le
energie represse. L'Oltreuomo è colui che trasvalutando tutti i valori si mette in condizione di
cambiare, senza restare legato a quelle catene opprimenti e soffocanti.
L’arte è un passaggio verso quella liberazione “del” dionisiaco che sembra essere la risposta ne
“La nascita della tragedia”. Solo l'arte infatti è in grado di trasformare l'esistenza tragica in cui
viviamo in rappresentazioni meno tragiche della vita. Si tratta di “vivere la tragedia non
tragicamente”. È qui che sta la differenza tra “liberazione DAL dionisiaco” e “liberazione DEL
dionisiaco”. Nel primo caso si tratta di una separazione metafisica tra il mondo della verità e
quello delle apparenze (separazione che provoca una sofferenza); nel secondo caso si tratta di
costruire un'esistenza che non abbia nessun modello, non distingua il mondo in vero e falso, ma
crei forme senza mai irrigidirle in qualcosa di definitivo, dando spazio al flusso vitale che opera in
noi e in ogni cosa.
Ma, soprattutto, sarà l’eterno ritorno e l’annuncio dell’Oltreuomo a simboleggiare questa
possibilità, dentro uno schema di un evento non programmabile: permettere all'uomo di non
restare incatenato a concetti metafisici che portano ad una devitalizzazione dell'esistenza.

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