IL suo obiettivo è…liberare l’anima dal suo stato di alienazione nella terapia
professionale fino a che non disponiamo di una visione della
patologizzazione che, per cominciare, non necessiti di trattamento
professionale.( pag.147) Con questa prospettiva , ripeto, tutto ciò che ci
accade ( e qui si intende gli accadimenti della vita di ciascuno di noi, dai più
semplici ai più complessi, fino ai più spaventosi) poichè mette in moto
profonde energie, potenze affettive, immaginazioni mitiche, sentimenti
primitivi, ci offre l’occasione di affacciare il nostro sguardo
immaginativo sulle vicende dell’anima che sempre vanno oltre il mero piano
personale ( che è poi il piano dell’Io) per coglierne il significato più
profondo. In una delle sue risposta nel recente epistolario curato da R.M. e
L.T. Hillman chiama la sua psicologia un “aprire le ostriche e pulire le perle,
cioè recuperare e portare alla luce e indossarequotidianamente la vita
dell’immaginazione, che non può redimere la tragedia, non lenire la
sofferenza, ma può arricchirle e renderle più tollerabili, interessanti e
preziose.”
Torniamo dunque ad Anima e alle sue numerose incarnazioni che via via
vanno prendendo dimora dentro di noi attraverso le vicissitudini quotidiane
e con le quali possiamo intrattenerci immaginativamente, accoglierle,
piuttosto che spiegarle, rimuoverle, interpretarle. Anima –abbiamo detto-
è personificazione dell’inconscio, così come sentimento di interiorità
personale: personalizza l’esistenza individuale, le dà valore. E ancora
“ incarna l’attività riflessiva, reattiva e speculare della coscienza. Sotto il
profilo funzionale……opera come il complesso che mette in rapporto la
nostra usuale coscienza con l’immaginazione…… ,essa è in pari tempo il
ponte verso l’immaginale e l’altra sponda.” (Pag.95 -96 idem).
….. “un individuo privo della sua figura d’anima non è un essere umano: E’
uno che ha perduto anima”
Per farlo, proverò ad elaborare alcune affermazioni sulle quali ho già sostato a
lungo con il pensiero e sulle quali intendo riflettere ancora insieme a voi,
anche perché, ogni volta che ci torno su, ne intuisco una sfumatura nuova , ne
intravedo un’altra forma e non mi appaiono mai come la volta precedente.
Vorrei fare qui una breve digressione sulla presenza del senso
tragico nella visione hillmaniana. Nel corso del dibattito attivato
con il recente epistolario cui abbiamo già accennato alcuni hanno
avvertito nella sua opera l’assenza della tragicità, o per lo meno la
sua perdita di spessore, tanto da intravederne in qualche modo i
tratti post-moderni ed edulcorati della New Age, oggi molto in voga
secondo lo spirito del tempo, che cerca in tutti i modi di trarsi
fuori dalla sofferenza superando il conflitto attraverso il recupero
del”meraviglioso”.
“La giusta misura del genere umano è l’uomo; quella della psicologia è
l’anima”.
Questo situare l’anima in posizione centrale, nel pensiero come nella natura ,
come in qualsiasi esperienza umana , significa che essa regna in e tra tutte le
cose , e per questo la filosofia di Ficino è stata chiamata la “filosofia
dell’immanenza”.
Nel regno di Ade esiste solo psiche, tutti gli altri punti di
vista svaniscono.
Noi incontriamo Ade tutte le volte in cui i fatti concreti di ogni giorno
svaniscono e cadono nelle nostre immaginazioni profonde, oltre il fatto che ha
dato loro vita, quando veniamo rapiti dalla nostra coscienza usuale , afferrati
e portati verso il basso nel regno delle nostre emozioni e dei nostri patimenti,
nel momento in cui ogni accaduto assume una prospettiva diversa perché lo
vediamo psicologicamente. Vorrei qui aprire una parentesi a
proposito di Pathos: pathos è termine che rimanda al subire
qualcosa che proviene dall’esterno : un’offesa come una malattia ,
una notizia come una visione. Non necessariamente deve avere a
che fare con la sofferenza, quanto con qualcosa che ci mette in
contatto con la nostra passività e con la nostra impotenza nel
momento in cui qualcosa ci attraversa con intensità o eccesso.
Ecco: secondo me, questo patire, guardato in trasparenza, “attiva
“in noi un processo omeopatico che agisce come rimedio in
quanto ci consente fondamentalmente di non subirlo ma di
trasformarlo. Solo così il pathos cessa di essere solo sofferenza ma luogo
dove si attiva lo sguardo di Persefone, rapita alla sua normalità e dove le
immagini che si risvegliano ci portano nella realtà più intima dell’anima.
Fino a che non ci risvegliamo a questa realtà intima , cioè fino a che la nostra
coscienza illibata della realtà naturale ( Persefone) non viene stuprata e
tradita (pag. 349 ), fino a quando non ci apriamo alla prospettiva di Ade noi
rifiutiamo di ammettere che la realtà umana dipende interamente dalle
realtà che accadono nell’anima .. e che proprio in quelle noi siamo
veramente reali. E inoltre sostenere che noi non siamo reali significa
allentare la presa sulla vita e sui punti di vista del mondo umano , sui fatti
letterali e soggettivi, sugli accadimenti personali.
come dice Grazia Marchianò nella sua lettera al già citato epistolario, ridando
alla capacità visionaria il suo potere di cura e lenimento della umane fatiche.