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PURITA COME VALORE METAFISICO

Articolo di Julius Evola Fonte: http://www.fuocosacro.com/pagine/evola/Della%20Purit%C3%A0%20come%20Valore%20Metafisico.htm In due modi distinti l'uomo pu cercare di superare la contingenza e la miseria del mondano in un rapporto con la divinit. Nel primo si presuppone che il Dio sia distinto dall'uomo, di modo che il rapporto non pu essere che quello estrinseco proprio alla fede, alla preghiera, alla devozione, all'osservanza di determinati principi morali ai quali si riconosce una superiore validit. Nell'altro si pstula invece una ideale continuit fra uomo e Dio, di modo che il rapporto ha il senso di una identificazione reale, di un congiungersi dell'uomo a Dio non con parole, pensieri o sentimenti, bens con un farsi egli stesso Dio. Questa la via della mstica e dell'esotrica, opposta a quella della religione devozionale. Nell'una dunque lo stato umano di esistenza viene accettato e mantenuto sia pure presso alla fede in una esistenza e in una legge superiore; nell'altra si vorrebbe invece trasformare realmente e senza resduo un tale stato, fatto di morte e di oscurit, nella gloria di una vita divina. In relazione a questo divario, si hanno due modi affatto distinti di realizzare il concetto di "purificazione". Qui ci si occuper soltanto della dottrina esotrica della purificazione, dottrina assai suggestiva, della quale pertanto nell'rdine dell'attuale cultura si pu dire che non si sappia ancora che poco o nulla. Non ci si soffermer sulla questione delle fonti: se esse essenzialmente si connttono all'Oriente, e in particolare alle scuole tntriche e a diramazioni mgiche ed alchmiche del taoismo e del mahyna, allusioni se ne pssono trovare anche in quanto ci resta della misteriosofia greca e della filosofia presocrtica, in elementi del neoplatonismo e in una certa mistica cristiana - di l formulazioni affatto distinte presenti nelle tradizioni kabbalistiche, ermtiche e rosicruciane. Non ci si soffermer su ci, sia per ragioni di spazio, sia per la grande difficolt di giustificare con freddi riferimenti culturali quel che in tanto si comprende, in quanto un dato atteggiamento interiore permette di lggere fra riga e riga, sia - ed essenzialmente - per questo: che importa dare della dottrina nella sua essenza lgico-metafisica, onde essa costituisce qualcosa di per s stante, di indipendente dalle credenze, dalle opinioni e dai var elementi che possono averla incorporata. Diremo sbito che nell'mbito esotrico il concetto di purificazione non ha assolutamente nulla di moralistico. Si tratta, invece, di un valore metafisico che, nella sua nuda positivit, si rimette allo stesso significato letterale del trmine. Impuro, in generale, va detto ci che non soltanto s stesso e da s stesso (kath'auto), ma che un "altro" contmina. Dovunque vi un "altro", vi impurit: l'"altro" ltera l'essere e lo rende impuro. Passando poi ad approfondire la natura dell'"altro" che pu alterare l'unit, vi si dovr intndere un non-essere, o, per usare un trmine aristotlico, una privazione, una steresis. Un passo dell'Eckhart pu chiarire ci: "Poniamo che si prenda un carbone ardente e lo si metta sulla mia mano. Se io dicessi che il carbone che mi brucia la mano, avrei assai torto. Se devo veramente indicare ci che mi brucia, debbo invece dire: il "nulla" che mi brucia! Poich il carbone ha qualcosa in s, che la mia mano non ha! Appunto questo "nulla" mi brucia. Se la mia mano, invece, avesse in s tutto ci che il carbone e produce, essa possederebbe interamente la natura del fuoco: e allora quand'anche prendessi tutto il fuoco che mai ha bruciato e lo ponessi sulla mia mano, esso non potrebbe pi farmi danno". Ossia: l'ssere, che sufficiente alla totalit della vita, non avrebbe un "altro" di contro a s. Chiuso in una intangbile unit, egli vi si riposerebbe e vi si compiacerebbe, amndosi solo e creando per questo amore solitario tutto ci che crea. Il punto della sufficienza venga meno - allora l'unit si ltera, un "nulla" vieno ammesso onde di contro all'idntico, al tauton, sorge l'"altro", l'heteron. Questo "altro" non , dunque, nulla di reale in s stesso: esso simplicamente il riflesso e il smbolo di quella deficienza che si ingenerata nell'ssere. La sua sostanza essendo affatto negativa - non vivendo per s stessa, ma per la corruzione della vita perfetta - esso a s medsimo contingente, esso cio non sussiste che in quanto e per quel tanto che nell'ssere o nell'Io permane lo stato di privazione e d'imperfezione. Da qui il senso del purificare: purificare signfica portare la vita al livello di una esistenza sufficiente, di un possesso, di una autarchia, ardendo l'oscura privazione di cui essa, nel punto dell'esistenza finita ed individuale, intrisa e soffre la violenza. Dal che procede il concetto di atto impuro che evidentemente si mutua con quello aristotlico di atto imperfetto: impuro si dir dunque l'atto di quelle potenze che non gingono da s all'attualit, ma a ci sono bisognose del concorso di "altro". Tale , per spiegarsi sbito con un esempio, l'atto visivo, giacch in esso la potenza del vedere non sufficiente a s medsima, non produce da s la visione, ma a ci ha bisogno della correlazione ad un oggetto sensibile. Quanto diremo pi sotto chiarir questi punti, che forse ora sono espressi un po' troppo astrattamente. Il punto su cui, pertanto, bisogna fondamentalmente fissare l'attenzione se si vuole comprndere il vero senso dell'esigenza della purificazione, questo: che l'atto impuro (o imperfetto) non

risolve la deficienza dell'agente che apparentemente - esso in realt la riconferma. L'uomo, per esempio, ha sete: finch egli beve, egli continuer ad avere sete, giacch bevendo egli conferma lo stato di colui che non ha in s stesso la propria vita (to autarkes), ma invece la chiede ad "altro". Ma questo "altro" - l'acqua e il resto - non che il simbolo della sua deficienza, ed in quanto egli si pasce di esso e ad esso chiede la sua vita, egli in verit si pasce soltanto della sua propria privazione e permane in essa fuggendo da quell'atto puro, da quell'acqua eterna per cui ogni sete, cos come ogni altra privazione, sarebbe per sempre vinta. Onde dice il Cristo: "Chiunque beve di quest'acqua avr ancor sete; ma chi berr dell'acqua che io gli dar, non avr giammai in eterno sete; anzi l'acqua che io gli dar diverr in lui una fonte di acqua saliente in vita eterna". Perci ogni atto impuro una fuga dalla vita perfetta; per esso l'individuo non consiste ma cede. Innumervoli dipendenze allora lo condizinano e lo inchidano al regno della contingenza e della morte, della platnica "cosa che e che non ", e cos egli va, passivo a s stesso, disperso nelle generazioni e nelle corruzioni, nella ruota eterna delle rinscite discontinue sempre diverse e pur sempre uguali nella loro miseria. Indicato cos il senso generale della dottrina del puro e dell'impuro, si pu passare ad individuarla in relazione a particolari problemi, e propriamente a dire che cosa signfichi, nell'esotrica, purificazione della mente, della volont, della parola, del respiro e dell'atto generativo. I. PURIFICAZIONE DELLA MENTE L'"impurit" della mente procede dal carattere passivo della comune percezione, che (dal punto di vista non della gnoseologia, ma delle condizioni empiriche) un ricvere (empfinden), un moto del difuori al didentro secondo la coercizione dall'esterno dell'oggetto sensibile - cos che l'Io non pu non percepire o patire ci che, secondo il vario tempo ed il vario luogo, percepisce e patisce. In quest'rdine, la purificazione comprende due fasi. La prima si rimette al dominio delle potenze dei sensi, alla capacit di staccare la mente dagli oggetti esterni, di ripiegarla su s stessa e fissarla a volont. Si tratta, cio, della mssima della katharsis platnica: "Staccare gli occhi e, in generale l'nima, dalle cose sensibili" - presa per in un senso non metafrico o morale, ma letterale: occorre, cio, liberare le varie facolt percettive che gli oggetti incatnano, violntano ed infttano e farle libere di percepire e non percepire - e, in ci, intere, non alterate: pure. Sono note le tappe indicate dal Patanjali per l'ordinata disciplina che pu realizzare una tale via, su cui, in ogni caso, solamente per una energia interna eccezionale si pu sperare di procdere: a. Pratyhra o controllo e dominio delle varie impressioni e dei corsi accidentali di associazioni e di pensieri; b. Dhran o concentrazione sur un solo oggetto o sensazione, escludendo tutto il resto; c. Dhyna o assorbimento in un oggetto non pi sensibile, ma prodotto dalla mente stessa; d. Samdhi, eliminazione dello stesso oggetto mentale e congiunzione della mente con la sua sola nuda potenza. Ma questa fase, negativa, non costituisce l'ltima istanza. La purit vera della mente non si ha per la sua capacit di distacco, bensi per una sua potenza tale che l'"altro", la correlazione all'oggetto materiale cessi di ssere una condizione per la percezione, cos che l'Io possa, oltre che non percepire, darsi, crearsi da s a volont la propria percezione. Si tratterebbe, cio, di sostituire alla forma di percezione sensibile e passiva un'altra attiva e positiva, non pi ricevente (empfindend), bens producente (bestimmend) l'oggetto dall'interno. Tale la virt dell'aristotlico nous poetikos, dell'"intelletto intuitivo" degli scolstici, di Kant e di Schelling. Solo che vi da notare che un tale percepire positivo non deve ssere un'altra facolt limitata all'rdine ideale e giustaposta al percepire positivo, bens la transformazione e piena risoluzione di questo. Altrove si sono considerate le fasi di tale via; qui, come semplice suggestione, ci si pu riferire alla cosdetta "conoscenza sopranormale": la moderna psicologia ha assodato che sono possibili e reali due modi distinti di percezione, aventi in egual grado carttere di oggettivit. L'uno quello normale connesso agli rgani fisici, il quale - dal punto di vista fisiolgico, non da quello gnoseolgico - si pu dire centripeto, procedente dall'esterno all'interno, partendo dalle impressioni fisiche trasmesse dal sistema afferente sino ai centri cerebrali. Il secondo modo , invece, indipendente degli rgani fisici ed ha una direzione opposta: il punto di partenza non lo stimolo fisico perifrico, bens una appercezione interiore, la quale va poi a tradursi in trmini di percezione fisica ed anche in imgini, secondo un decorso centrfugo anlogo a quello dei processi allucinator. Ora mentre il primo conscere limitato dalle condizioni spazio-temporali e fisiolgiche, il secondo ne in larga misura libero e, a quel che risulterebbe dalle ltime indgni, tende a partecipare della natura di un principio omnisciente. A ci si potrebbe dunque connttere il senso della perfezione, del teleion della "purificazione della mente". Dal punto di vista filosofico sarebbe poi un conoscere che partirebbe non pi da un particolare sensibile da sussumere ad un concetto discorsivo, ma invece dal tutto, per dare il particolare in funzione di questo - come un membro in funzione dell'unit organica del corpo. II. PURIFICAZIONE DELLA VOLONT L'impurit della volont consiste nell'"eteronomia", cio nel suo venire determinata da altro che da s. Nella cultura

occidentale, a causa della estraversione imperante, si irradicato il convincimento che ogni azione debba avere una "ragione sufficiente", ossia che ci debba essere un motivo o una causa per il suo avvenire o non avvenire, per il suo avvenire cos e non altrimenti, e si giunti sino a pensare che le cose non vdano in maniera diversa per lo stesso atto divino. precisamente un tale modo di azione che viene detto impuro. Infatti in esso l'azione trae la propria iniziativa non da s, ma da un motivo, ragione, impulso, oggetto attraverso appetito o avversione, ecc., in esso la volont nel voluto non vuole solamente e nudamente s stessa, ma altro, onde propriamente da dirsi che essa voluta da altro. Ci il sakmakarma degli Orientali: azione secondo desiderio, azione che non per s stessa, ma per quanto ne procede. La purificazione qui si connette, invece, al convincimento che la "ragione sufficiente" di una affermazione PU ssere l'affermazione stessa, epper al concetto di un atto che sia fatto di sola, pura iniziativa creatrice. Anche di questo in un passo dell'Eckhart si pu trovare la migliore espressione: "Da questo pi profondo principio tu devi agire le tue pere, senza un perch. Io lo affermo decisamente: finch peri le tue pere per il regno dei cieli, per Dio o la tua santit, epper spinto da altro (von aussen her), fino allora tu non sarai realmente nel giusto... Se chiedi ad un vero uomo, ad un uomo che agisce dal suo profondo: 'Perch peri tu le tue opere?' egli ti risponder giusto solamente se dir: 'Non agisco, che per l'azione stessa'". Qui assai importante notare che l'esigenza della purificazione investe sia il "puro" che l'"impuro", sia il "buono" che il "cattivo", in una parola: non dei trmini particolari ma l'insieme delle coppie degli opposti. La purit di cui quistione signfica piena autonomia, puro possesso di s, e rispetto a ci il legame al "buono", al "sacro", ecc., non migliore di un qualsiasi altro legame: se quel che dagli umini viene chiamato buono o puro incatena la volont, questa da dirsi parimenti impura. Onde in tale rdine ricrrono espressioni, come lavarsi, denudarsi. Aphele panta: bisogna mondarsi di tutto - dell'"alto" come del "basso", dello "spirituale" come del "materiale" - bisogna ridurre la volont alla sua nuda essenza, poggiante soltanto su s stessa. Una volta giunti a ci, tutto diviene egualmente puro, cos come prima di ci tutto parimenti impuro. che in un tale rdine il "puro" non va detto delle cose in s stesse, ma di un modo di viverle, misura del quale l'autonomia, l'autarchia, onde nell'essere costretti a chiamare qualcosa impuro si esprime soltano il segno della propria impurit. Qui una particolarmente sottile disciplina richiesta per il compimento dell'esigenza. Infatti, come garantire che ci che si vuole proceda realmente dall'incondizionato e non da un oscuro, inafferrabile insieme di inclinazioni ed impressioni radicato nel subscosciente? La riposta : approfondimento interiore, fare progressivamente affiorare nella luce della coscienza tutto ci che prima ad essa si sottraeva. Anche fra noi, oggi, si comincia a lavorare su questa direzione con la psicoanlisi. Di l da ci, vi sono mtodi di controllo basati sul principio, che a seconda che l'azione sia conforme o no ad una inclinazione nascosta, s'ingnera piacere o contrariet. Cos non basta crdere che l'alternativa ci sia indifferente, occorre mettere da parte la propria volont e provare a lasciar decdere al caso; per esempio al cadere in un verso o nell'altro di una moneta. Nel sentimento che ne risulta ed estendendo questa disciplina ad una materia che sempre pi intimamente ci riguardi, si avr un reale strumento segnalatore del progresso o regresso lungo la via della purificazione della volont. In generale: occorre sapere rinunciare ad ogni cosa non appena si senta che ci diviene necessaria, non appena si scopra un desiderio o compiacimento per essa; occorre fare per principio non ci che piace, ma ci che costa, prndere per principio sempre la linea di maggior resistenza e, con questo, rndere sempre pi forte e pura la volont, sempre pi enrgico il possesso di s. Disciplina dura, alla quale difficilmente ci si saprebbe adeguare quando non si riesca a sentire nel nudo volere in autarchia un motivo pi forte ed un piacere pi vasto e vivo di quanto ci pssano offrire mai le cose in s stesse. In ogni caso, essa conduce ad un punto assai difficile, il cui riflesso appunto la difficolt che la comune coscienza incontra nel concepire una azione, l dove non vi sia pi un "perch" a provocarla. Si prova come se tutto l'ssere interiore si fosse cristallizato, cos che alcun gesto sia pi possibile: come una parlisi, una afasia assoluta, che contrasta dolorosamente con il senso dell'interna possibilit. Quasi che si avesse qualcosa da dire e pertanto la bocca rimanesse muta ed inerte al comando. L'esperienza di un tale stato interiore d il segno della purificazione e per essa l'individuo conosce quanto poco ci che chiamava sua azione era veramente sua, quanto una reale iniziativa era assente della sua vita abituale, "superiore", e lui non un autore, ma un fantoccio, un medium sventolato da forze straniere. Sappia pertanto l'Io, di l da ci, trovare un sopravanzo di forza, sappia egli malgrado tutto agire, allora egli si conquistato il principio di una vita superiore, una potenza che sta di l dal suo essere fatto di dipendenza, di contingenza e di finitdine. E la porta per quel pi alto compimento, che relativo alle restanti purificazioni, gli dischiusa. III. PURIFICAZIONE DELLA PAROLA Qui occorre riferirsi alla dottrina indiana dei "mantra" e, prima di tutto, dare un cenno sui principi metafisici da essa presupposti. Dell'insieme delle cose create il Verbo (abda) - secondo il mantraastra - il principo. Nel sistema della realt e degli sseri si ha la manifestazione di una originaria potenza di espressione, manifestazione che si articola in vari gradi

gerarchici. Per comprndere ci, si noti che nel Verbo implcita una dualit: da una parte vi parola propriamente detta (vk = vox), dall'altra il significato o l'oggetto che la parola stessa esprime (artha). Ora nella prima, suprema potenza del Verbo, chiamata abdabrahman, parola e significato sono una sola e medsima cosa, la espressione pura autorivelazione, assoluta trasparenza del senso eterno a s stesso. Una tale unit resta pertanto alterata al punto dell'espressione propriamente detta. Infatti nel concetto di manifestazione implicito quello di una dualit, di un procdere, di un andare verso altro (bhairmukhi). Cos ci che come abdabrahman uno secondo assoluta, individuale semplicit, in ulteriori potenze del Verbo si articola e distingue. Il Verbo nel suo farsi carne si gmina, per il suo stesso procdere ci che era un significato si scioglie da lui e si fa oggettivo in una ex-sistenza. In questo processo dicotmico il "suono supremo" (para) assume due aspetti. Il primo detto "stato sottile o causante" (skshma, krana) del suono e corrisponde alla "natura naturante", al Lgos nella sua funzione propriamente creativa (hiranyagarbhabda): oggetto o senso e verbo qui sono distinti, in secondo luogo non si ha pi un senso nico, sinttico del tutto, ma una unit che si dispiega in una molteplicit. Tuttavia qui la distinzione e la molteplicit sono ancora comprese nell'unit di una funzione produttiva; bench distinti, oggetto e verbo non sono ancora esterni l'uno all'altro. In questa seconda potenza del "suono" si ha dunque un insieme di funzioni cosmgone, corrispondenti ai logoi spermatikoi della speculazione greca e alle "lttere di luce" della Kabbalah e che appunto sono chiamente "lettere allo stato causante" o mtrk (piccole madri) e connesse simbolicamente a quelle dell'alfabeto snscrito. Dalla "combinazione" di queste lttere procederebbero tutte le cose del mondo, pertanto non cos some appiono nei loro effetti alla percezione sensibile, bens quali sono nelle loro cause: tali sono i "Nomi" delle cose. Ora in queste funzioni del Verbo l'aspetto del significato corrisponde ai "devat" (divinit), l'aspetto della parola o espressivo corrisponde ai "mantra". I mantra sarbbero dunque i Nomi dei devat, vale a dire i var "corpi di potenza" che rggono il processo produttivo delle cose; e, viceversa, i devat sarbbero i significati transcendentali, che i mantra incrporano e fanno folgorare. Di l da questo stato sottile del Verbo va ne un terzo, materiale (sthla), corrispondente alla voce parlata audibile (vaikhar-abda). Si sta cio al livello della manifestazione consumata, ove la scissione fra artha e abda completa: da una parte vi lingua parlata, dall'altra gli oggetti materiali, la cui relazione ad essa esteriore; il "Nome" o la parola non ha pi un valore oggettivamente espressivo o creativo, ma soltano uno convenzionale, allusivo della materialit, non del senso interno dell'oggetto. Inoltre, mentre il "nome naturale" o mantra delle cose universale, il nome quale appare a questo livello particolare e contingente, dipende da tempo, luogo, individuazione, razza, ecc.. Ma di l dalle varie lingue degli umini vi sarebbe o vi sarebbe stata (secondo alcune tradizioni inizitiche, nel periodo anteriore a quella "confusione delle lingue" a cui allude la Bibbia con la Torre di Babele) una sorta di lingua universale, nella quale ogni cosa e ogni ssere avrebbe il suo Nome naturale originario od essenziale (bj-mantra). La parola, cos come conosciuta dall'ssere finito, dunque "impura": impura anzitutto perch essa non ha in s, nella sua propria potenza, ma fuori di s l'oggetto che essa esprime, perch essa di questo non ne d pi la natura reale in funzione produttiva, ma la smplice imgine soggettiva; in secondo luogo, per la contingenza e la particolarit di questa stessa imgine, che dipende da luogo, tempo, individuazione, ecc.. Ora l'esigenza delle prtiche che si riconnttono ai mantra appunto verso una "purificazione della parola" e cio: portare l'Io da quella lingua che facolt evocativa di smplici imgini soggettive, a quell'altra lingua che potenza di evocare le cose stesse, alla lingua cio che d le cose nelle loro cause, essendo idntica al sovrannaturale processo produttivo di esse. I mantra sono i "nomi naturali approssimati" delle cose: mediante una vivente compenetrazione in essi lo yoghin cerca dunque di risalire o, meglio, di identificarsi alle varie potenze causanti o devat. Ci svegliare un mantra: svegliare un mantra significa evocare, rigenerare, rndere in atto la funzione "sottile" del Verbo ad esso relativa. Si tratta di una vera messa in rapporto, di una identificazione reale. L'Io dall'rdine in cui la parola smplice discorso evocatore di pllide imgini passa a quello in cui essa potenza spirituale creativa, epper dal piano in cui il percepire una passione al piano in cui esso un porre (donde la connessione alla "purificazione della mente"). Il mantra non dunque nulla, se non "risvegliato": lo si pu riptere anche un milione di volte - detto nei testi - ma finch esso non conosciuto resta un mero sbattimento di labbra. Il mantra deve ssere attuato, "fatto sbocciare" (sphota) nella sua essenza "fatta di luce" (jyotirmay): soltano allora esso "pera". La sua pronuncia dunque un atto interiore, a cui l'espressione materiale fa soltanto da vecolo . Lo sphota pu avvenire mediante la sola forza della volont: ma pi spesso viene assunta come ausiliario la forza vitale (prna) o la forza di generazione (kundalini). Ora poich con il mantra si realizza uno stato di identit con i princip individuanti le cose, evidente che, vibrando la propria volont in un mantra "risvegiato", l'atto relativo ha valore mgico, v. d. ci che ad esso corrisponde viene direttamente realizzato) giacch ci che si vuole come se la cosa stessa lo volesse. Cos la virt attribuita dai testi ai mantra - alla "parola pura" - meravigliosa. Risvegliati i mantra dei var elementi lo yoghin acquista potere su di essi, pu, per esempio, far divampare il fuoco ove vuole ovvero procdere in mezzo ad esso senza risentirne danno; per mantra pu produrre il noto fenmeno della crscita di un seme in pianta in pochi minuti, pu porre intorno a s un

cerchio, che a nulla dato attraversare: una lancia o un proittile scagliato contro di lui rimbalza invece contro chi l'ha inviato: pu occultarsi alla vista degli altri, provocare in essi visioni, pensieri o sentimenti; uccidere o guarire a volont. Nel Vinu-purna persino contemplato il potere di generare mediante mantra. IV. PURIFICAZIONE DELL'ATTO GENERATIVO E DEL RESPIRO Dato che impuro o imperfetto l'atto di ci che non giunge de s all'attualit, evidente che tale , ed in modo tipico, l'atto generativo - e la donna si pu dire che in via trascendentale non altro che il simbolo dell'impotenza dell'Io a darsi da s un corpo. Ora, per comprndere che senso qui abbia la purificazione, bisogna tenere presente quel che si detto in principio, e cio che l'atto imperfetto non risolve che apparentemente l'insufficienza dell'agente, esso in realt la riconferma: chi beve, chi si chiede a quell'acqua che un "altro" e non all'acqua eterna che "atto puro" e a cui, con il Cristo, ci siamo riferiti, non avr mai in eterno spenta la sete. Ne segue che finch l'Io chieder alla donna la condizione per un atto generativo, egli permarr nello stato di privazione e d'impurit: e la dade e l'"altro" che cos egli va a presupporre (nella dualit dei sessi) non pu secondo giustizia non riaffermarsi nel risultato, cio far s che l'atto non valga come una autogenerazione, bens come una eterogenerazione (generazione del figlio), donde il destino della morte. Ci che d vita al figlio, ci uccide il padre, ci fa dell'"Unico" un mortale, un singolo (8). L'atto fugge dall'agente e gli fa trapassare la sua vita. Per spiegarsi pi chiaramente: nel profondo dell'individuo vi una originaria potenza che vuole la vita di l dal limite temporale; questa potenza al livello dell'esistenza umana normale estravertita, desiderio, "guardar fuori" (bhairmukh). Essa si vibra sur un "altro" (la donna) e cos il conato di continuit degnera, l'atto che doveva ssere di affermazione di s (autogenerazione) diviene quello dell'affermazione di altro - del figlio - , la continuit risultante non allora quella dell'individuo ma quella della specie - e l'uomo si trova trascinato nella ruota delle esistenza finite e discontinue, dominate dalla legge di generazione e corruzione - mortale, eternatmente assetato ed etarnamente deluso. Questa impurit dell'atto generativo si connette a quella che inersice all'esistenza stessa di un corpo fisico. Nell'uomo normale la potenza cosciente cade in gran parte fuori da quel principio profondo che dmina i var processi del suo organismo. Per questo egli non sa darsi da s un corpo, per questo egli impotente di contro alla legge di corruzione. Come si espresse il Leibniz, la "carne", la corporeit rappresenta semplicemente il quantum di indistinto e di inconscio (meglio: di passione e di privazione) che vi nell'Io, e soltanto in tale senso da intndersi come una imperfezione; e si potrebbe dire che una tale zona di privazione nell'Io il fondamento trascendentale della donna, giacch si indicato che nella donna si esprime precisamente il correlativo dell'atto generativo in quanto atto imperfetto. Questo - per usare la simbologia alhmica - il "sale" che avviluppa il principio attivo e centrale del "fuoco" o dello "zolfo" e che il "mercurio" deve slvere sino a consiliare questo zolfo" e che il "mercurio" deve slvere sino a conciliare questo zolfo stesso soltano con s, nella vampa del divino (theion = zolfo = divino) - di colui che puro possesso o atto perfetto e la cui vita eterna, la cui eterna autogenesi simboleggiata appunto della Fenice trantesi della fiamma. Tale la "Grande Opera", che cos ha per senso la costruzione di un "corpo fatto di libert", di un corpo spiritualmente trasparente a s stesso. Si cio portati alla dottrina del "corpo immortale" o "csmico" di cui si trova traccia in quasi tutte le religioni e che si basa dunque sul seguente presupposto: che la corporeit non sia altro che ci che nello spirito vi di passivo, di non ancora espresso, di virtuale, di "in potenza"; che essa non costituisca un principio distinto, ma invece uno stato di privazione (husterema), ma ombra nella realt nica dello spirito. Allora chiaro che la liberazione non pu consstere in un distacco dal corpo, ma in una risoluzione di esso. Qui purificazione signfica appunto realizzare in funzione di potenza in atto ci che come corpo (materiale) viene vissuto in funzione di passione e tale la "costruzione del corpo immortale": "corpo immortale", o "corpo di resurrezione", "corpo fatto di sprito", "corpo apparente" (myvi-rupa: si ricordi che my nelle scuole tntriche e mahyniche vuol dire sia apparenza che potenza mgica) o "di fiamma" (10), la risoluzione senza residuo del corpo materiale in attivit pura, in uddhasattvaguna - l'individuo in cui il lato negativo di rajas e tamas interamente scomparso. Lo si chiama immortale perch, dipendendo interamente dall'Io, l'Io pu farlo apparire o disparire, mantenerlo o distruggerlo quando vuole e per il tempo che vuole, di modo che la legge di vita e di morte vinta. Lo si chiama poi "corpo csmico" per questo, che viene ammesso che i principi metafisici o "divinit" che rggono la natura si trvino presenti nel corpo, sia pure sotto una forma oscurata e come dormenti, forma donde procede appunto che l'Io li sperimenti come natura - cio come "altro" - e non in s stessi come spirito. Ma nel punto in cui la corporeit sia interamente conquistata all'attualit cosciente, questa forma viene meno epper, identificato ai var princip della gerarchia csmica, l'individuo va a sentire che il suo vero corpo l'universo. Ora se l'impurit dell'atto generativo la causa dell'esistenza finita e mortale; e se, d'altra parte, questa esistenza si definisce nel differenziale di oscurit e di privazione che il corpo in quanto tale rappresenta; si comprende come alla costruzione di quella purit suprema che il "corpo immortale" - per cui lo stesso "altro" della natura esteriore viene risolto - si connetta una conversione della forza di generazione. Qui non il caso di estndersi sulla tcnica di un tale processo. Bast un accenno sul kundalini-yoga dei akti-tantra, che si permetter altres di dire qualche parola sulla

"purificazione del respiro". Il senso della cosa , ad un dipresso, il seguente: vi nell'uomo una forza (kundalini) che radice della sua unit individuale e principio superiore ad ogni polarit o dualit. Essa il Logos (abdabrahman) nel corpo. Pertanto nell'uomo normale questa forza non appare che nella forma estravertita ed impura (impura perch volta ad altro) di potenza di generazione animale. Si tratta di attuare nella coscienza kundalin, di impugnarla, di staccaaria da questa direzione estravertita e ripiegarla quindi su s stessa in un punto di possesso e di sufficienza. Allora kundalin, risuscitata nella sua vera natura, si fa lo strumento per la riaffermazione dell'Io su tutti quei princip che rggono il suo essere fisico, biolgico e mentale e che prima cadvano fuori dalla sua potenza. Ora per operare una tale conversione occorre che kundalin sia investita da qualcosa che - gi pura ed intera - a lei comnichi questi cartteri. Tale pu essere il prna. Prna per gli Orientali la forza di vita connessa al respiro e, in uno, trascendente il soffio materiale con cui si pu dire che stia nello stesso rapporto che nella metafisica connettntesi a tali discipline il senso supremo della creazione sarebbe dato del mantra HAMSAH: HAM sarebbe l'inspiro, SAH l'espiro, quindi HAMSAH una simultaneit di inspiro ed espiro. Naturalmente, l'espiro qui essendo simblico del proodos, dell'atto di pura, demirgica creativit, l'inspiro della potenza ulteriore per cui su tutto ci che ha "proceduto" il principio centrale si riafferma, riconosce e possiede, hamsah ha il senso di quella eterna, semplice folgorazione, sintesi di ssere e di non-ssere (sadasat) in cui l'Assoluto fruisce di un puro rivelarsi o darsi a s medismo. Ora hamsah - che ci in tutti gli sseri" sono, si muvono ed hanno vita" - presente anche nell'uomo, per in una forma impura e sdoppiata: nell'uomo la vita (prna) non pi ferma e raccolta in simultaneit, bens va e viene in un inspiro e in un espiro alternati, in una fluttuazione e in una contingenza che riflette quella suprema del primo inspiro del nascituro e dell'ultimo espiro del morente. Lo yoghin, con appropriate discipline (prnyma), volge a consumare questa impurit. L'Io deve impugnare prna, strapparlo dallla fluttuazione, tenerlo fermo nel proprio corpo. Con una tale potenza concentrata ed intera si va poi ad investire kundalin; allora questa si "sveglia", si stacca cio dalla direzione estravertita che la brama dmina e si media in s stessa; essa non fluisce pi verso il basso, ma "verso l'alto" (rdhvaretas). In ci la generazione animale (eterogenerazione) cede a quella degli Dei o spirituale (autocrisi). Fttasi attivit pura ed individua, kundalin, investe progressivamente var centri "sottili" e vi riduce in semplicit attuale la dualit - il che signfica: realizza nell'Io un rapporto di identit e di possesso con quelle potenze spirituali che, presso allo stato di privazione e alla oscurit del corpo, gli si opponvano come natura fisica. Al limite del processo si ha la purificazione di ci che fu la congiunzione sessuale - v. d. la pura autogenerazione -e, in ci, la liberazione suprema (paramukti). detto che per chi si sia elevato a questo punto non esiste pi n corpo, n "altro" (kaivalya), n dissoluzione, n destino di rinscite: egli vive in funzione di attivit pura ci che prima soffriva come oscurit e privazione: le varie funzioni sono risvegliate ed esaltate nella loro originaria e gloriosa natura di potenze csmiche. In particolare l'Io pu generare, pu darsi da s un corpo come anche mantenerlo o cambiarlo ad arbitrio. Signore delle leggi di vita e di morte, egli saccidnda, cio: attualit cosciente (cit) e, in quanto perfetta (sat), beata (nanda). Crediamo che questo cenno sur una delle pi importanti dottrine inizitiche non sia interamente privo di interesse; e saremmo di certo assai lieti se qualcuno per esso riuscisse ad intravvedere la possibilit di una considerazione di smili argomenti, che vada di l sia dall'atteggiamento limitato di coloro che, chiusi in assai ristretti orizzonti, sanno soltanto disprezzare e derdere, sia di coloro che, come i polpi, mano intorbidare le acque e far passare per mistero e per "occulto" ci che esse non riscono a penetrare, che anzi sanno soltanto deformare con una quantit di pregiudiz: e a questa classe si pu dire rientri la quasi totalit di coloro che oggi prlano di "scienza occulta". Vi invece un modo di considerare l'inizitica, per cui essa presenta un contenuto perfettamente intelligbile e in s stesso vlido, procedente inoltre da un concetto dell'uomo - di questo sarchi peripolon theos - del suo valore e del suo cmpito, elevato e grandioso quanto pochi altri. Non ci si fermer di certo sulla quistione della possibilit reale di smili vie. In ogni caso non da trascurare quanto la metapschica oggi va via via constatando come effettivamente possbile per l'uomo. D'altre parte, sta di fatto che una quantit di cose ci sono impossibili soltanto perch noi crediamo che siano tali; e che la via dello spirito tale, che essa non esiste per chi non vuole camminare.

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