Sei sulla pagina 1di 5

Una apparenza risulta massimamente piacevole quando nella forma del corpo umano si manifesta la

bontà morale. Il buono morale è per Kant l’oggetto massimamente gratificante. L’ideale del bello è
dunque, per Kant, la figura umana in quanto espressione della moralità. L’ideale è l’immagine di un
individuo nella cui forma esterna risponde alla bontà morale. Potendo però ammirare le persone che
non si considerano belle, per Kant, bisogna considerare la dimensione del soggetto attraverso
un’ampia gamma di sfumature, identificabili con la contraddizione in termini dell’espressione:
gratificante. Spesso ci vuole molto tempo per veder risplendere la bontà interiore nella sua forma
esteriore. In particolar modo bisogna, secondo Kant, analizzare il rapporto tra idea e percezione e
quindi definire attraverso l’uso dell’espressione: gratificante, il senso di questo rapporto. Kant
direbbe: “Il bello gratifica”, e, gratificando, coinciderebbe con la dimensione estetica della bellezza,
che riferendosi qui al concetto di bontà, onde evitare la contraddizione in termini, viene riferita ad un
modello ideale di persona, che in questo caso: è buona.
Partendo dal presupposto che: “Per provare la realtà dei nostri concetti non necessarie sempre le
intuizioni. Se i nostri concetti sono empirici, le intuizioni si chiamano esempi; e si chiamano schemi,
quando i concetti sono concetti puri dell’intelletto. Ma si esige l’impossibile quando si vuol vedere
provata la realtà oggettiva dei concetti della ragione, cioè delle idee, sia anche a vantaggio della
conoscenza teoretica; poiché non si può assolutamente dare alcuna intuizione ad esse adeguata.”1
Che riassume il significato del problema, indicando quindi che risulta impossibile definire il nesso,
mediante la conoscenza teoretica, tra qualcosa di pratico e qualcosa di ideale. Problema in precedenza
sollevato anche nella seconda critica, quando nella dialettica della ragion pura Kant affronta il
problema del legame tra libertà della volontà e legge morale, ossia razionalità. Nella terza critica,
Kant parla a questo punto, ossia quando si cerca di intendere la bellezza morale come il riflesso di
ciò che è ideale e quindi rimane, in via del tutto ipotetica un nesso tra ciò che risulta schematico e ciò
che risulta simbolico attraverso l’esibizione ossia: l’ipotiposi che Kant definisce: subiectio sub
adspectum.2 “Schematica in quanto l’intuizione di un concetto dell’intelletto è data a priori;
simbolica, quando ad un concetto che può esser pensato solo dalla ragione, e ca cui, non può esser
adeguata alcuna intuizione sensibile, vien sottoposta un’intuizione, nei cui confronti il procedimento
del Giudizio è soltanto analogo a quello dello schematismo; vale a dire, che si accorda con questo
secondo la regola del procedimento, non secondo l’intuizione stessa, e quindi secondo la forma della
riflessione, non secondo il contenuto.”3 Secondo Kant il simbolico è una specie del modo intuitivo
ossia è un particolare tipo di segno che rappresenta l’espressione di un concetto intuitivo. Stando a
ciò, tutte le intuizioni che sono espresse attraverso concetti intuitivi o sono schemi o sono simboli e
mentre le prime contengono esibizioni dirette del concetto le seconde sono indirette. 4 Se le prime
avvengono dimostrativamente, in quanto gli schemi sono rappresentazioni di concetti puri
dell’intelletto, le seconde avvengono per mezzo di un’analogia. 5 L’analogia avviene tra le regole con
cui riflettiamo sulle disposizioni del simbolo e la loro causalità. Kant in particolar modo fa un esempio
caro alla politica, ossia l’analogia tra stato dispotico e omino meccanico. Sebbene non vi sia alcuna
somiglianza tra l’automa di per sé e lo stato dispotico, è il meccanismo dell’automa a fungere da
concetto puro dell’intelletto per il quale a priori noi associamo ad esso lo stesso concetto che ci
permette di definire tra i due, stato dispotico ed automa, lo stesso principio meccanico.

1
Critica del Giudizio. Immanuel Kant. “Dialettica dei giudizi estetici” – Par. 59: “Della bellezza come simbolo della
moralità”. Editori Gius. Laterza & Figli Spa. Edizione 12. Pag. 381.
2
“Ivi. Pag. 381.
3
“Ivi. Pp. 381 – 382.
4
“Ivi. Pag. 382.
5
“Ivi. Pag. 382.
È importante sottolineare come ritorni nella terza Critica il motivo che muove l’intento della forma
kantiana. Sottolineando che la filosofia non possa che essere apodittica nella sua forma e logica nei
suoi contenuti, Kant pretende un’esaustiva analisi dei concetti, con i loro corollari, le dimostrazioni,
i rispettivi problemi e le conseguenze normalizzazioni o leggi. Il riferimento continuo a questo genere
di scrittura è il caratteristico modus kantiano, che si sviluppa nelle tre critiche ed è fondamentale
tenere a mente la correlazione esistente tra il metodo matematico utilizzato nei Principia Mathematica
di Isaac Newton e le medesime forme apodittiche utilizzate da Kant. L’intento della Critica kantiana
e il suo significato più generale, riprende esattamente questa schematizzazione, per utilizzare proprio
il giudizio supposto, e la sua forma, in ultima analisi, riprende definitivamente il modello matematico
utilizzato da Newton per dare consistenza al progetto analitico kantiano. Questi modelli, tra loro
coincidenti a tratti e paralleli negli intenti, non si sarebbero potuti svolgere che nella modernità. Se il
percorso iniziato dal dubbio iperbolico cartesiano ha potuto avere una sua sintesi è stato proprio nelle
tre critiche kantiane, dove sembra svilupparsi un metodo definitivo per venire a capo dei problemi
che la modernità solleva. Pur chiarendo che l’interpretazione definitiva della filosofia è
l’interpretazione, non possiamo che considerare il caso particolare definendo l’opera di Kant in un
contesto moderno, dove il soggetto definisce il metodo, ossia la ragione. Una ragione interpretata in
modo “nuovo”, che Kant definisce come limitata al solo mondo costiero delle superfici e che proprio
nell’introduzione della prima Critica, definirà incapace di sondare ciò che viene definito, da Kant
stesso, come noumeno, ossia la cosa in sé e per sé. Tornando quindi all’analogia tra principi meccanici
e giudizi estetici noi possiamo ritenere che i principi, come normalizzazioni della natura, o le leggi
che descrivono la meccanica della natura, trovano il loro correlativo nelle rappresentazioni moderne
dello stato dispotico, dove l’automa hobbesiano, il leviatano, il mostro dello Stato, viene
rappresentato come si trattasse di un meccanismo, ossia mediante uno schema preciso, caratterizzato
dalla ragione, una ragione che fatica ad estendersi al di la dei fini che trova con sé stessa.
“[…] allora tutta la nostra conoscenza di Dio è puramente simbolica; e chi la ritiene schematica,
con i suoi attributi di intelletto, volontà etc., che attestano la loro realtà oggettiva soltanto negli
esseri di questo mondo, cade nell’antropomorfismo; così come chi in essa ripudia ogni modo di
rappresentazione intuitiva, cade nel deismo, pel quale non si può conoscere assolutamente niente,
nemmeno dal punto di vista pratico.”6
Per Kant, invece è assolutamente chiaro ed evidente, che seppure la ragione non possa dimostrare
Dio, essa può distinguere il bene e la legge morale e quindi può rappresentarsi la legge attraverso la
forma dell’imperativo categorico: “agisci soltanto secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi
volere che divenga legge universale.”7 La massima secondo Kant approva un meccanismo che appare
evidente nell’azione morale, in quanto la legge condiziona la volontà a fare del bene in quanto auto-
legislatrice, come in seguito dimostra asserendo al principio: “La volontà non è semplicemente
sottoposta alla legge, ma lo è in modo da dover essere auto-legislatrice e solo a questo patto sottostà
alla legge.”8 Se dobbiamo considerare l’evidenza appare definitivamente la seguente considerazione
che porta Kant a considerare bello ciò che è morale, dando però al nesso un valore simbolico, in
quanto prodotto di una riflessione, i quanto ciò a cui mira il gusto è l’intelligibile.
“Ora dico che il bello è simbolo del bene morale. E che anche sotto questo punto di vista (di una
relazione che è naturale in ognuno, ed ognuno esige dagli altri come un dovere) esso piace con la
pretesa al consenso universale, mentre in esso l’animo si sente come nobilitato ed elevato sulla

6
“Ivi. Pag. 385.
7
Immanuel Kant, “Fondazione della metafisica dei Costumi” – “Scritti morali” – Traduzione di Pietro Chiodi, Edizione
Torino, UTET, 1995, Pag. 79.
8
“Ivi. Pp. 91.
semplice capacità di provare piacere dalle impressioni dei sensi, ed apprezza il valore degli altri
secondo una massima simile del loro Giudizio.”9
“È I ‘intelligibile ciò cui mira il gusto […] ad esso, cioè, si accordano anche le nostra facoltà
superiori di conoscenza, e senza del quale nascerebbe una profonda contradizione tra la natura delle
facoltà conoscitive e le pretese del gusto.”10
Il giudizio, secondo lo schematismo kantiano, in questo caso è definito dall’intuizione, questo fatto
celebra l’impossibilità teoretica di tradurre il giudizio attraverso la sua deducibilità. Il nesso tra la
natura, ossia ciò che intuiamo e la libertà, ossia ciò che consideriamo buono, appartiene
irrimediabilmente alla sfera del soprasensibile e questo fatto della ragione rimane a noi sconosciuto.
Nel ragionamento kantiano traspare la difficoltà teoretica e l’impossibilità pratica di derivare
attraverso la sua meccanica, la legge che distingue ciò che Kant “misura” con gradevole. Kant sembra
aver intuito che nell’esperienza estetica un’idea entra nella maniera in cui un oggetto viene
percettualmente dato. La nostra percezione è penetrata dall’idea di bontà. Quando identifichiamo il
nesso, quando lo percepiamo, in quanto qualità naturale di un oggetto buono, asseriamo alla
sensazione, ossia ne concepiamo la sua gradevolezza11. Risulta però sconosciuto il meccanismo, in
quanto: “[…]il Giudizio si vede legato a qualche cosa che è nel soggetto stesso e fuori di esso, che
non è natura né libertà, ma è congiunto col principio di quest’ultima, vale a dire col soprasensibile,
nel quale la facoltà teoretica e la pratica si congiungono in maniera comune, ma sconosciuta.”
12
Nella formulazione dell’ideale Kant sembra aver intuito che nell’esperienza estetica, una certa idea
di bello e buono possa essere intuita nel modo in cui un oggetto è percettualmente dato. Idea e oggetto
possono quindi fondersi, attraverso il nesso definibile come simbolico, esprimibile come schematico.
Il nostro compiacimento per l’oggetto, però, ossia ciò che lo rende gratificante, è in realtà riferito alla
manifestazione individuale dell’idea. Non persiste una volta cessata l’esperienza dell’oggetto.
L’identificazione tra bello e buono in Kant non è definita, anche se teoricamente ci lascia intuire
l’analogia tra i due. Se proseguiamo attraverso il testo kantiano, notiamo i seguenti punti, su cui Kant
afferma esserci l’analogia:
1. Il discorso che fa Kant sull’ideale del bello, vale particolarmente per ciò che noi consideriamo
come bellezza artistica, ossia bellezza aderente, ossia come quando un oggetto piace
immediatamente. La moralità è invece, data da un concetto.
2. “Esso piace senza alcun interesse”13. Il bene morale è invece il prodotto del giudizio, ossia è
l’imperativo categorico, ossia: la massima, che in questo caso è considerata come un
particolare tipo di Giudizio, a produrre l’interesse.
3. “La libertà dell’immaginazione […] è rappresentata nel giudizio del bello come in accordo
con la legalità dell’intelletto.” 14 Per Kant, la libertà dell’immaginazione è in accordo alle
leggi dell’intelletto (Critica della ragion pura), tanto quanto la libertà dell’azione è vincolata
alle leggi della ragione (Critica della ragion pratica).
4. “Il principio soggettivo del giudizio del bello è rappresentato come universale, cioè valevole
per ognuno, ma non conoscibile mediante alcun concetto universale. […] Perciò il giudizio

99
Critica del Giudizio. Immanuel Kant. “Dialettica dei giudizi estetici” – Par. 59: “Della bellezza come simbolo della
moralità”. Editori Gius. Laterza & Figli Spa. Edizione 12. Pag. 385.
10
“Ivi. Pag. 385.
11
Materiali didattici, Gabriele Tomasi, Storia dell’estetica, “Immanuel Kant: Critica del Giudizio”, 30° lezione –
22/05/2020.
12
Critica del Giudizio. Immanuel Kant. “Dialettica dei giudizi estetici” – Par. 59: “Della bellezza come simbolo della
moralità”. Editori Gius. Laterza & Figli Spa. Edizione 12. Pag. 387.
13
“Ivi. Pag. 387.
14
“Ivi. Pag. 387.
morale è non soltanto capace di principii costitutivi determinati, ma non è possibile se non
sul fondamento delle massime che derivano da quei principii e dalla loro universalità.”15
Ritorna in questo caso il problema caratterizzante di tutta l’opera Kantiana, che pur trovando
una soluzione ragionevole al dilemma morale, non riesce a distinguere le determinazioni
universali di questa forma particolare di Giudizio.
Riprendendo quindi il contesto generale: “in che senso la figura umana in cui si esprime moralità
può valere come criterio per la bellezza?”16La pretesa di validità dei giudizi di gusto deve essere
collegata ad una qualche norma ed è la ricerca della medesima che spinge Kant allo schematismo
finora specificato. Una volta esclusa la natura logico-cognitiva del giudizio, la norma va cercata
altrove mantenendo quindi l’analogia che ha generato il quesito in questione. Forse Kant sottolinea il
ruolo dell’ideale per ricordarci che nel caso della figura umana espressiva di moralità la qualità che
fonda il piacere estetico deve essere manifesta in una cosa individuale.
L’idea di Kant è che la qualità che si manifesta deve essere una qualità non contestabile, dunque
dev’essere data dalla moralità. La moralità non può essere a sua volta contestabile in quanto è data
da un concetto puro dell’intelletto e che ad essa si aggiunge una legge morale che ne condiziona la
volontà. Si potrebbe quindi definire che è gradevole per Kant, quel particolare giudizio di gusto che
viene condizionato dalla moralità, pertanto possiamo definire una persona bella quanto buona in base
al condizionamento che opra intuitivamente sulla nostra volontà. Oppure possiamo definire una
persona bella, tanto buona in base alla capacità immediata di farci percepire un condizionamento della
nostra volontà, facendoci trasalire ad una sensazione alla quale attribuiamo il gusto della
gradevolezza.17
“L’osservazione di questa analogia è familiare anche al senso comune; e chiamiamo spesso gli
oggetti belli della natura o dell’arte con termini che sembrano avere per principio un giudizio
morale. Diciamo maestosi e magnifici gli edifici e degli alberi, ridenti e gai i campi; anche i colori
li chiamiamo innocenti, modesti, teneri, perché eccitano sensazioni, le quali hanno qualche cosa di
analogo con la coscienza di uno stato d’animo prodotto da giudizii morali.”18
Kant intende sottolineare quando gli apprezzamenti estetici che facciamo a opere d’arte e ad oggetti,
sono simili ad apprezzamenti che facciamo agli individui per le loro qualità morali. Sono qualità
moralmente evidenti e ritrovarle nelle opere d’arte ci aiuta a capire perché le troviamo belle.
Riguardo alle bellezze libere, esse possono dirsi come esempi dell’ideale del bello, proprio perché
noi diamo al significato di libertà una somma concezione morale. La legge morale in Kant viene più
volte definita come la legge che definisce la libertà in quanto norma media del libero arbitrio. In altri
termini, che altro potrebbe essere se non l’ubbidienza ad una massima valida universalmente, la
pragmatica legge morale, la soluzione al dilemma sulla libertà umana? Potrebbe essere ritenuta tale
a patto risulti possibile spiegare razionalmente il nesso tra volontà e libertà. Quando, invece, un
compiacimento disinteressato per il mondo naturale si manifesta abbiamo motivo di trovarci un
modus moralis. L’uomo può amare la bellezza naturale in modo disinteressato poiché vi vede

15
“Ivi. Pag. 387.
16
Materiali didattici, Gabriele Tomasi, Storia dell’estetica, “Immanuel Kant: Critica del Giudizio”, 30° lezione –
22/05/2020
17
Materiali didattici, Gabriele Tomasi, Storia dell’estetica, “Immanuel Kant: Critica del Giudizio”, 30° lezione –
22/05/2020.
1818
Critica del Giudizio. Immanuel Kant. “Dialettica dei giudizi estetici” – Par. 59: “Della bellezza come simbolo della
moralità”. Editori Gius. Laterza & Figli Spa. Edizione 12. Pag. 387.
manifestarsi dei valori verso di cui è affezionato. I valori cui l’uomo è profondamente affezionato
potrebbero essere connessi alla moralità.19
In conclusione si può affermare che per Kant la bellezza non è una proprietà di primo livello, ma di
ordine superiore. Posseduta da oggetti che esemplificano qualche caratteristica morale di primo
livello, e ciò lo esprimiamo attraverso una sensazione di gradevolezza. Affermando che la bellezza
non è una proprietà di primo livello, non affermiamo solo che la bellezza non appartiene alle cose,
ma anche che è una proprietà posseduta dagli oggetti nella misura in cui negli oggetti vediamo
manifestata una determinata caratteristica morale. Sono esattamente queste le caratteristiche
dell’analogia. Kant vede in quelle che abbiamo definito come proprietà estetiche che esemplificano
anche gli aspetti morali, che essendo riferite a delle persone, a degli individui, riflettono la loro
proprietà sostantiva, da cui la definizione appunto di proprietà sostantive, ossia: proprietà morali degli
individui.
Kant sembra quindi ritrovare nell’imporsi del valore morale nei Giudizi di gusto, il fondamento per
cui sono validi i nostri Giudizi di Gusto. Fondamentalmente legati ai Giudizi di gusto sono quindi le
qualità morali, riflettenti nell’analogia, lo schematismo ed il simbolismo presenti nei giudizi estetici.

19
Materiali didattici, Gabriele Tomasi, Storia dell’estetica, “Immanuel Kant: Critica del Giudizio”, 30° lezione –
22/05/2020.

Potrebbero piacerti anche