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Lo scoppio della seconda guerra mondiale, con l’aggressione della Germania nazista ai danni

della Polonia, nel settembre del 1939, arriva al culmine di almeno cinque anni di tensioni
internazionali, che hanno costituito la causa prima del più grande conflitto che il pianeta abbia
mai conosciuto.
L’equilibrio fragile e forzato, scaturito dai patti imposti – più che concordati – alle potenze
sconfitte al termine della prima guerra mondiale; l’ascesa delle destre reazionarie ai vertici di
importanti stati europei, a cominciare da Italia e Germania; il desiderio di rivincita e di
espansione di quest’ultima, parallelamente alla riluttanza da parte dei grandi stati democratici
europei (Francia e Inghilterra) a stipulare patti con l’Urss, costituirono i motivi principali
delle tensioni cominciate già all’inizio degli anni Trenta. Era il 1932, per esempio, quando
l’Italia di Mussolini appoggiò le rivendicazioni austriache e ungheresi ai danni la cosiddetta
Piccola Intesa (Cecoslovacchia, Iugoslavia e Romania), inimicandosi in questo modo la
Francia, alleata di queste ultime.
Il percorso che portò nel giugno del 1940 l’Italia in guerra, in ogni caso, è un percorso
abbastanza contraddittorio, costituito da un quasi perenne appoggio all’aggressiva politica
estera tedesca, ma allo stesso tempo da piccoli passi e apparenti ripensamenti, che almeno da
un punto di vista di facciata, e almeno fino al 1938, tentavano di evitare una definitiva rottura
nei rapporti internazionali, soprattutto con la Francia. A creare per la prima volta dei problemi
seri tra l’Italia e le potenze che erano uscite vincitrici dal primo conflitto mondiale, in realtà,
fu l’intervento fascista in Etiopia nell’ottobre del 1935. Le sanzioni economiche che furono
imposte all’Italia, però, furono piuttosto blande, e nel maggio del ’36 Mussolini poté
annunciare in pompa magna la rinascita dell’Impero italico, (che comprendeva anche le
antiche colonie di Eritrea e Somalia), nella denominazione di “Impero dell’Africa Orientale
Italiana”.
In maniera parallela alle difficoltà che andavano nascendo nei rapporti con Francia e
Inghilterra, Mussolini rafforzò i propri legami con la Germania di Hitler: pochi mesi dopo la
proclamazione dell’Impero, infatti, l’Italia siglò con lo stato nazista prima l’alleanza nota
come Patto Roma-Berlino, e poi contribuì a estendere questa stessa alleanza al Giappone. Va
detto, però, che come l’Italia non aveva intenzione di rompere con Francia e Inghilterra, anche
queste ultime provarono fino all’ultimo istante utile a salvare i rapporti con la Germania, per
non doversi trovare nelle condizioni di sottoscrivere delle alleanze con l’altra grande potenza
est-europea, quell’Unione sovietica che incarnava per le democrazie continentali il pericolo
comunista. Francia e Inghilterra, per esempio, non fecero certo la voce grossa per provare a
impedire l’invasione dell’Austria da parte della Germania nel marzo del ’38, decidendo di
intervenire soltanto quando nei piani di Hitler si palesò la possibilità di annettere anche la
Cecoslovacchia. A quel punto, fu proprio Mussolini a mostrare un atteggiamento di equilibrio
e di mediazione, che in realtà si poneva a netto favore della diplomazia tedesca e di
conseguenza dell’intervento in Cecoslovacchia. La conferenza internazionale a Monaco, con
cui il duce provò a mediare tra Germania e l’accoppiata anglo-francese fu un fallimento, ma
Mussolini riuscì a conservare ancora per qualche tempo una posizione di apparente neutralità,
che gli sarebbe stata necessaria in seguito, per organizzare il proprio schieramento.
Proprio mentre Hitler invadeva la Cecoslovacchia, d’altronde, l’Itaila occupava l’Albania, e
cosa ancor più importante, stipulava con la Germania il Patto d’acciaio, che implicava
l’intervento militare di una delle due parti nel caso in cui “l’altra si trovasse implicata in
operazioni belliche con una o più potenze”. L’accordo, come si può notare, non dettava alcuna
condizione riguardo un intervento soltanto a scopo difensivo, e di conseguenza rappresentava
un innegabile volontà da parte di entrambe le potenze, ad essere una al fianco dell’altra in una
guerra ormai pronta a scoppiare. Se questo non avvenne, nel settembre del ’39, quando
Francia e Inghilterra decisero di opporsi all’avanzata tedesca in Polonia, non fu per un
desiderio o una scelta di neutralità dell’Italia nei confronti del conflitto che coinvolgeva
l’alleato germanico, ma per una necessità materiale, quale quella di organizzare in maniera
adeguata (sia dal punto di vista militare che industriale) l’ingresso del paese in un conflitto
che si prospettava dall’incerta durata. La propaganda fascista, infatti, aveva nel corso degli
ultimi mesi fatto largo uso di un linguaggio e di una spavalderia militare tutt’altro che
corrispondente alle reali potenzialità dell’esercito italiano, a cominciare dal celebre richiamo
agli “otto milioni di baionette” pronte a scendere sul campo di battaglia. Soltanto il 10 giugno
del 1940, però, Mussolini – forte anche delle vittorie del suo alleato in Francia – decise di
inoltrare le dichiarazioni di guerra agli ambasciatori di Francia e Inghilterra. Il duce, infatti,
era convinto che una volta piegata definitivamente l’esercito transalpino, anche l’Inghilterra
avrebbe cercato un compromesso per chiudere in breve tempo il conflitto. Il tempo
“guadagnato” sugli alleati, però, nel tentativo di organizzare militarmente il paese, si rivelò
tutt’altro che prezioso, tanto che nella prima offensiva italiana (sulle Alpi, contro la Francia) il
conflitto presentò un esito disastroso, quale seicento morti, tremila feriti e più di duemila
“congelati”. Quest’ultimo dato, in particolare, è utile per dare l’idea di come nonostante
l’attesa, l’Italia si sia lanciata in maniera assolutamente inadeguata in un conflitto di portata
mondiale, destinato a proseguire per ulteriori cinque anni dal momento del suo ingresso in
guerra.La storia del genere umano è caratterizzata dall’alternarsi di periodi di guerra e
di pace che hanno modificato sia gli assetti territoriali che quelli politici e sociali delle
popolazioni interessate. Una serie di battaglie che dura anni e anni, infatti, comporta
per un Paese un costo elevatissimo in termini economici, ma soprattutto umani: le
vittime crescono di giorno in giorno, lo stato in cui la società civile è costretta a vivere
è contraddistinto da povertà ed angoscia.

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