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La storia più antica, dalla fondazione di Roma quale piccolo villaggio tribale,[1] fino alla fine dell'Età
regia con la caduta dei re di Roma, è quella meno conservata. Questo perché, sebbene i primi
Romani possedessero un certo livello di alfabetizzazione,[2] dovette mancare loro il desiderio di
tramandare le loro vicende storiche oppure le storie
da loro registrate andarono perdute.[3]
Epoca repubblicana
Lo stesso argomento in
dettaglio: Repubblica
romana, Ingegneria
militare romana e Assedio
(storia romana).
Lo stesso argomento in
dettaglio: Roma e le guerre
con Equi e Volsci e Roma e
Popoli dell'Italia antica nell'età del ferro. le guerre con Veio.
Le prime guerre storiche furono al tempo stesso
azioni di espansione e di difesa, tendenti a proteggere la stessa Roma da città e nazioni circostanti e
a consolidarne il radicamento territoriale nella regione.[13] Floro scrive che, a quel tempo,
«[...] i loro vicini, da ogni dove, li infastidivano continuamente [...] e, da qualunque porta
uscissero, erano sicuri di incontrare un nemico."»
Nonostante le fonti non siano concordi, è possibile che, in quel periodo, la stessa Roma fosse invasa
due volte da eserciti etruschi: la prima nel 509 a.C. circa, sotto lo stesso re Tarquinio il Superbo
appena esautorato,[14][15] e la seconda nel 508 a.C. sotto l'etrusco Porsenna.[14][16][17]
Inizialmente, gli immediati vicini di Roma erano città o villaggi dei Latini,[18] con un assetto tribale
simile a quello di Roma, o anche tribù sabine delle vicine alture appenniniche.[19] Poco alla volta
Roma sconfisse sia i pervicaci sabini sia le città locali che erano o egemonizzate dagli Etruschi o città
latine che, al pari di Roma, si erano liberate dei loro dominatori etruschi.[19] Roma sconfisse i
Lavinii e i Tusculi nella battaglia del lago Regillo, del 496 a.C.,[18][20][21] e i Sabini in una battaglia
sconosciuta nel 449 a.C.,[20] gli Equi e i Volsci nella battaglia del Monte Algido nel 458 a.C. e nella
battaglia di Corbione nel 446 a.C.,[22] i Volsci[23] nella battaglia di Corbione[24] e nella conquista di
Anzio del 377 a.C.,[25] gli Aurunci nella battaglia di Ariccia;[26] furono battuti dai Veientani nella
battaglia del Cremera nel 477 a.C.,[27][28] nella conquista di Fidene del 435 a.C.[28][29] e nelle
guerre veienti che portarono alla conquista di Veio del 396 a.C.[24][28][29][30] Una volta sconfitti i
Veientani, i Romani ebbero effettivamente completato la conquista dei loro immediati vicini
etruschi,[31] e, allo stesso tempo, resa sicura la loro posizione contro la minaccia immediata
costituita dai popoli tribali delle alture appenniniche.
Ora che tra Galli e Romani era corso il sangue, altri conflitti intermittenti, per oltre due secoli,
continuarono a sorgere tra i due contendenti: la battaglia dell'Anio[33] (presso l'Aniene, circa nel
360 a.C.),[38] la battaglia del lago Vadimone (283 a.C.) contro una coalizione celto-etrusca,[33] la
battaglia di Fiesole nel 225 a.C., la battaglia di Talamone nel 224 a.C., la battaglia di Clastidio nel
222 a.C., la Battaglia di Cremona nel 200 a.C., la battaglia di Mutina (Modena) nel 194 a.C., la
battaglia di Arausio nel 105 a.C., e la battaglia di Vercelli nel 101 a.C. Ma il problema celtico non si
sarebbe risolto se non con la completa sottomissione della Gallia, ad opera di Giulio Cesare, dopo la
battaglia di Alesia del 52 a.C.
Dopo essersi ripresi in maniera sorprendentemente rapida dal sacco di Roma,[39] i Romani
ripresero immediatamente la loro espansione in Italia. Nonostante i successi fino ad allora ottenuti,
il controllo sull'intera penisola non era, a quel punto, in alcun modo assicurato: i Sanniti erano
altrettanto bellicosi[40] e ricchi[41] dei Romani; inoltre, dal canto loro, si prefiggevano di espandersi
dall'originario Sannio per assicurarsi nuove terre in quelle fertili pianure italiche[41] su cui insisteva
la stessa Roma.[42] La prima guerra sannitica, tra il 343 e il 341 a.C., fece seguito a diffuse
incursioni sannitiche nel territorio di Roma[43] e fu una faccenda che si risolse relativamente in
fretta: i Romani sconfissero i Sanniti sia nella battaglia del Monte Gauro, nel 342 a.C., che nella
battaglia di Suessula, nell'anno successivo, ma furono costretti a ritirarsi dalla guerra senza poter
sfruttare il successo fino in fondo, a causa della rivolta di molti degli alleati latini nel conflitto noto
come Guerra latina.[44][45]
In questo modo Roma, intorno al 340 a.C., si trovò a dover contendere sia con le incursioni sannite
nel suo territorio, sia con le città latine ribelli, in passato sue alleate, con le quali ingaggiò un aspro
conflitto. Roma sconfisse i Latini nella battaglia del Vesuvio e di nuovo nella battaglia di Trifano,[45]
dopo la quale le città latine furono obbligate a sottomettersi al potere romano.[46][47] Si deve forse
al trattamento indulgente che Roma riservò agli sconfitti,[44] la docile sottomissione dei Latini per i
200 anni che seguirono.
La seconda guerra sannitica, dal 326 a.C. al 304 a.C., fu un affare più serio e più lungo, sia per i
Romani che per i Sanniti,[48] la cui conclusione richiese più di vent'anni di conflitto, e 24
battaglie,[41] a prezzo di gravissime perdite per entrambi gli schieramenti. Le alterne fortune del
conflitto arrisero tanto ai Sanniti che ai Romani: i primi si impossessarono di Neapolis nel 327
a.C.,[48] che i Romani si ripresero prima di essere sconfitti nella battaglia delle Forche
Caudine[41][48][49] e nella battaglia di Lautulae. I Romani uscirono infine vittoriosi dalla battaglia
di Boviano (305 a.C.), quando ormai, già dal 314 a.C., le sorti della guerra stavano volgendo
decisamente in favore di Roma, inducendo i Sanniti a trattare la resa a condizioni via via sempre più
sfavorevoli. Nel 304 a.C. i Romani giunsero a una massiccia annessione di territori sanniti, su cui
fondarono perfino numerose loro colonie. Questo schema militare, con reazioni in forze alle
aggressioni e quasi inavvertibili progressi territoriali in contrattacchi strategici, sarebbe diventato
un tratto caratteristico della storia militare di Roma antica.
Sette anni dopo la loro sconfitta, mentre il dominio di Roma sull'area sembrava garantito, i Sanniti
insorsero di nuovo e sconfissero i Romani nella battaglia di Camerino, nel 298 a.C., che diede inizio
alla terza guerra sannitica. Forti di questo successo, cercarono di mettere assieme una coalizione di
molti dei popoli che un tempo furono ostili a Roma, tutti quelli che avrebbero potuto desiderare di
scongiurare il dominio dell'intera regione da parte di una sola fazione. L'esercito che nel 295 a.C.
affrontò i Romani nella battaglia del Sentino[49] includeva un'eterogenea coalizione di Sanniti, Galli,
Etruschi e Umbri.[50] Quando l'esercito romano ottenne una convincente vittoria anche su queste
forze combinate, divenne chiaro che nulla più avrebbe potuto impedire a Roma il dominio sull'Italia.
Con la battaglia di Populonia, nel 282 a.C., Roma pose fine alle ultime vestigia dell'egemonia etrusca
sulla regione.
Lo stesso argomento in
dettaglio: Guerre pirriche.
Con l'inizio del terzo secolo, Roma si trovava ad
essere una grande potenza dello scacchiere
peninsulare, ma non era ancora entrata in attrito
con le dominanti potenze mediterranee dell'epoca,
Cartagine e i regni della Grecia. Roma aveva
sconfitto pienamente i Sanniti, dominava le città
latine alleate, e aveva pesantemente ridotto
l'influenza etrusca nella regione. Tuttavia, il sud
dell'Italia rimaneva ancora in mano alle colonie
della Magna Grecia[51] che erano state alleate dei Spostamenti dell'esercito di Pirro durante le
Sanniti e con le quali sarebbe inevitabilmente guerre pirriche (280 - 275 a.C.).
venuta in urto quale effetto della sua continua
espansione.[52][53]
Quando una disputa diplomatica tra Roma e la colonia dorica di Taranto[54] sfociò in aperto
conflitto navale con la battaglia di Thurii,[53] Taranto invocò l'aiuto militare di Pirro, re dei Molossi
dell'Epiro.[53][55] Spinto dai suoi vincoli diplomatici con Taranto, e dall'ambizione di mostrare i suoi
talenti militari,[56] Pirro sbarcò sul suolo italiano nel 280 a.C.,[57] con un esercito di 25,000 soldati
greci[53] e un contingente di elefanti da guerra,[53][58] a cui si unirono alcuni dalle colonie greche e
con quella parte dei Sanniti che si erano rivoltati contro il controllo romano.
L'esercito romano non aveva mai fronteggiato elefanti in battaglia,[58] e una simile inesperienza
volse le sorti dello scontro in favore di Pirro, nella battaglia di Heraclea del 280 a.C.,[53][58][59] e
ancora una volta nella battaglia di Ausculum del 279 a.C.[58][59][60] Nonostante questi successi,
Pirro si rese conto che la sua dislocazione in Italia era insostenibile. Roma, durante la permanenza
dell'esercito di Pirro in Italia, rifiutò sempre e con intransigenza ogni negoziato.[61]
Le guerre pirriche, avrebbero sortito un grande effetto su Roma, dimostratasi ora capace di
misurare la propria potenza militare con quella delle potenze egemoni del Mediterraneo; il conflitto
aveva anche dimostrato come i regni greci fossero incapaci di difendere le loro colonie sulle coste
dell'Italia e in altro luogo. Roma mosse rapidamente verso il sud dell'Italia, soggiogando e dividendo
la Magna Grecia.[64] Affermato un dominio efficace sulla penisola italiana,[65] e forte della sua
internazionalmente provata reputazione militare,[66] Roma poteva iniziare a guardare oltre, per
puntare ad espandersi al di fuori della terraferma italiana. Considerata la barriera naturale delle
Alpi a nord, e non volendo ancora misurarsi in battaglia con i fieri popoli gallici, la città rivolse lo
sguardo altrove, alla Sicilia e alle isole del Mediterraneo, una linea politica che l'avrebbe portata in
conflitto aperto con la sua alleata di un tempo, la città di Cartagine.[66][67]
Il primo approccio di Roma alla guerra navale si risolse inizialmente in vero e proprio "buco
nell'acqua"[67] e i primi scontri marittimi della prima guerra punica, come la battaglia delle Isole
Lipari, si rivelarono delle vere e proprie catastrofi per Roma, come era da attendersi del resto da
una città che, prima d'allora, era praticamente priva di esperienza di marineria militare. Tuttavia,
avendo addestrato più marinai ed escogitato il corvo, un congegno per l'abbordaggio delle navi,[75]
una forza navale romana sotto il comando di Caio Duilio fu in grado di infliggere una severa sconfitta
alla flotta cartaginese nella battaglia di Milazzo. In soli 4 anni, uno stato privo di qualsiasi esperienza
di marina, era riuscito in battaglia a far meglio di una grande potenza marittima regionale. La
guerra proseguì con successive vittorie navali romane nella battaglia di Tindari e in quella di capo
Ecnomo.[76]
Ottenuto il controllo sui mari, Roma sbarcò in armi in Nordafrica, una spedizione, guidata da Atilio
Regolo, che ottenne una prima vittoria nella battaglia di Adys[77] che costrinse Cartagine a trattare
la resa.[78] Tuttavia i termini imposti da Roma erano così pesanti che i negoziati fallirono[78] e i
cartaginesi, in tutta risposta, assoldarono Santippo, un mercenario spartano, cui affidarono il
compito di riorganizzare e guidare il loro esercito.[79] Santippo riuscì a tagliar fuori l'esercito
romano dalla base, ristabilendo la supremazia navale cartaginese, quindi sconfisse e catturò Atilio
Regolo[80] nella battaglia di Tunisi.[81]
La sconfitta subita sul suolo africano non fermò i Romani: grazie alle abilità navali recentemente
acquisite, Roma poté ancora una volta battere nettamente i cartaginesi sui mari, nella battaglia
delle Isole Egadi, in buon parte grazie alle innovazioni tattiche della flotta romana:[69] Cartagine
rimase priva della flotta e dei mezzi finanziari sufficienti ad armarne una nuova. Per una potenza
marittima, la perdita dell'accesso al Mediterraneo era una bruciante umiliazione economica e
psicologica, così pesante da indurre i cartaginesi a trattare nuovamente la resa.[82]
Nel periodo di pace che fece seguito alla guerra, Roma fu impegnata a regolare i propri conti con la
tribù dei Liguri[83] ed il popolo dei Celti insubri, insediato nell'attuale Lombardia.[84] Nel 225 a.C.
gli Insubri avevano tentato di invadere il territorio soggetto a Roma, ma vennero fermati in Etruria
nella battaglia di Talamone. Nel 222 a.C. fu Roma a passare all'offensiva, puntando direttamente
sulla Pianura Padana e riportando una grande vittoria sugli Insubri nella battaglia di Clastidium, cui
fece seguito la deduzione delle colonie di Piacenza e Cremona.
La continua diffidenza tra Romani e Cartaginesi portò al risorgere delle ostilità nella seconda guerra
punica quando Annibale, un esponente dell'aristocratica famiglia cartaginese dei Barca, attaccò
Sagunto,[85][86] una città legata a Roma da vincoli diplomatici.[87] Annibale radunò un esercito in
Iberia e irruppe in Italia grazie alla famosa traversata delle Alpi con gli elefanti da guerra al
seguito.[88][89] Nella battaglia del Ticino del 218 a.C., primo episodio sul suolo italiano, Annibale
sconfisse i Romani di Scipione il Vecchio in un piccolo scontro di cavalleria.[90][91] Il successo di
Annibale continuò con le vittorie nella battaglia del fiume Trebbia,[90][92] nella battaglia del lago
Trasimeno, dove tese un'imboscata all'ignaro esercito romano di Gaio Flaminio,[93][94] e nella
battaglia di Canne,[95][96] destinata a diventare uno dei grandi capolavori dell'arte tattica militare,
che gli diede la fama di un "Annibale dall'aspetto invincibile",[88] in grado di sconfiggere i Romani a
suo piacimento.[97]
Nelle tre battaglie di Nola, il generale romano Marco Claudio Marcello riuscì in un'opera di
contenimento, ma Annibale sgominò una serie di eserciti consolari armati nella prima battaglia di
Capua, nella battaglia del fiume Silarus (attuale fiume Sele), nella prima e seconda battaglia di
Erdonia, nella battaglia di Numistro e in quella di Ausculum del 209 a.C. Fu allora che Asdrubale,
fratello di Annibale, cercò di attraversare le Alpi per giungere in Italia e unirsi al fratello con un
secondo esercito. Nonostante la sconfitta subita in Iberia nella battaglia di Baecula, Asdrubale riuscì
comunque ad aprirsi un varco verso l'Italia, dove però l'attendeva la morte, nella sconfitta
definitivamente inflittagli dai consoli Gaio Claudio Nerone e Marco Livio Salinatore nella Battaglia
del fiume Metauro del 207 a.C.[88]
Annibale, riluttante o impreparato ad un attacco diretto alla città di Roma, si diede a devastare le
contrade italiane. Intanto i Romani, incapaci di sconfiggerlo direttamente, concepirono un'audace
manovra diversiva: lo sbarco di un esercito in Africa allo scopo di aprire un nuovo fronte e
minacciare la capitale cartaginese.[98] Nel 203 a.C., nella battaglia dei Campi Magni presso il fiume
Bagradas, l'esercito degli invasori romani, guidato da Scipione Africano, sconfisse i cartaginesi di
Asdrubale Giscone e Syphax, determinando il richiamo in patria di Annibale per fronteggiare la
situazione.[88] Lo scontro finale fu in favore dei Romani di Scipione, che nella celebre battaglia di
Zama inflissero ad Annibale una severissima sconfitta,[99] forse addirittura un vero
annientamento,[88] in ogni modo decisivo nel decretare la fine della seconda guerra punica.
Cartagine non riuscì mai a riaversi dalla sconfitta[100] e la terza guerra punica che seguì fu in realtà
solo una spedizione punitiva per radere al suolo la città punica.[101] Cartagine era quasi indifesa e,
una volta sotto assedio, offrì immediatamente la resa, acconsentendo a una serie di oltraggiose
richieste di Roma.[102] I Romani rifiutarono la resa, chiedendo, come condizione ulteriore, la
completa distruzione della città;[103] i Cartaginesi, avendo ormai ben poco da perdere,[103] si
prepararono a combattere.[102] Nella battaglia di Cartagine (146 a.C.) la città fu presa d'assalto
dopo un breve assedio e completamente distrutta.[104] La sua cultura ne risultò "cancellata in
maniera pressoché totale".[105]
Il conflitto tra Roma e Cartagine nelle guerre puniche portò le due città ad espandersi nell'odierna
penisola iberica.[106] L'impero punico della famiglia cartaginese dei Barcidi consisteva di territori in
Iberia, su molti dei quali Roma acquisì il controllo durante le guerre puniche. L'Italia rimase il
teatro principale della guerra per buona parte della seconda guerra punica, ma i Romani aspiravano
anche a distruggere l'impero barcide in Iberia per prevenire che importanti alleati punici si
associassero in forze in Italia.
Nel corso degli anni Roma aveva gradualmente allargato la sua influenza lungo la costa meridionale
dell'Iberia, fino a giungere, nel 211 a.C., alla presa della città di Sagunto. Grazie a due ulteriori
spedizioni militari in Iberia, i Romani riuscirono infine a stroncare il controllo cartaginese sulla
penisola nel 206 a.C., con la battaglia di Ilipa: la penisola divenne così provincia romana con il nome
di Hispania. Dal 206 a.C. in poi l'unica opposizione al controllo romano della penisola venne dalle
locali tribù celtiberiche, la cui disunità dava insicurezza all'espansione romana.[106]
A seguito di due ribellioni su piccola scala del 197 a.C.,[107] e del 195–194 a.C., tra i Romani e il
popolo dei Lusitani, dell'odierno Portogallo, deflagrò la cosiddetta Guerra lusitana.[108] Nel 179
a.C., i Romani erano essenzialmente riusciti nel pacificare e nel portare sotto il loro controllo la
regione.[107]
Circa nel 154 a.C.,[107] una recrudescenza diede vita ad un'importante rivolta in Numanzia, la
cosiddetta prima guerra numantina:[106] una lunga guerra di resistenza si combatté tra le forze
avanzanti della Repubblica romana e le tribù lusitane dell'Hispania. Il pretore Servio Sulpicio Galba
e il proconsole Lucio Licinio Lucullo arrivarono nel 151 a.C. e misero in moto il processo di
sottomissione della popolazione locale.[109] Galba, tradendo i leader lusitani da lui invitati ai
colloqui di pace, li fece uccidere nel 150 a.C., ponendo termine, ingloriosamente, alla prima fase
della guerra.[109]
I Lusitani si rivoltarono ancora nel 146 a.C., sotto la guida di un nuovo leader di nome Viriato,[107]
e invasero la Turdetania, nell'Iberia meridionale, dando inizio a una tattica di guerriglia.[110] I
Lusitani riscossero un iniziale successo, affrontando e sconfiggendo sul campo l'esercito romano
nella battaglia di Tribola, dandosi poi a depredare la Carpetania[111] e avendo la meglio su un
secondo contingente romano nella prima battaglia del monte Venus (146 a.C.), per passare al sacco
di Segóbriga.[111] Nel 144 a.C., il generale Quinto Fabio Massimo Emiliano riscosse successo in una
campagna contro i Lusitani, ma fallì il suo tentativo di catturare Viriato.
In quello stesso anno, Viriato raccolse una lega ostile a Roma, comprendente molte tribù
celtiberiche,[112] da lui convinte alla sollevazione, nella seconda guerra numantina.[113] La nuova
coalizione di Viriato prevalse sulle forze romane nella seconda battaglia del monte Venus del 144
a.C. e nuovamente nel fallito assedio di Erisone.[113] Nel 139 a.C., infine, Viriato fu ucciso nel sonno
da tre subalterni corrotti da Roma.[114] Nel 136 e 135 a.C., furono portati avanti nuovi ma
fallimentari tentativi per avere il totale controllo della regione di Numantia. Nel 134 a.C., il console
Scipione Emiliano riuscì definitivamente a soffocare la ribellione grazie al vittorioso assedio di
Numanzia.[115]
Poiché l'invasione romana della penisola iberica era iniziata nelle aree meridionali circum-
mediterranee controllate dai Barcidi, tra le regioni peninsulari da sottomettere rimanevano solo i
territori all'estremo nord. Le guerre cantabriche, dal 29 al 19 a.C., occorsero durante la conquista
romana delle province dell'Asturia e della Cantabria. L'Iberia fu interamente conquistata nel 25 a.C.
è l'ultima rivolta si ebbe nel 19 a.C.[116]
La prima guerra macedonica vide il coinvolgimento diretto di Roma nelle sole operazioni di terra;
quando gli Etoli, ancora una volta, trattarono la pace con Filippo V, la piccola forza di spedizione
romana, rimasta in Grecia senza alleati e avendo ormai raggiunto lo scopo di impegnare Filippo per
impedirgli di portare soccorso ad Annibale, fu ben disposta alla pace.[120] A Fenice, nel 205 a.C., fu
stipulato un trattato di pace che riconobbe a Roma un piccolo indennizzo[104] e pose formalmente
fine alla prima guerra macedonica.[121]
Pochi anni più tardi, intorno 200 a.C., nell'ambito di un'aggressiva politica egea, il regno di
Macedonia si diede ad usurpare anche alcuni territori rivendicati da varie poleis greche, che
risposero alla minaccia ricorrendo in cerca di aiuto al nuovo alleato romano.[122] Roma intimò a
Filippo V un ultimatum che prevedeva la completa sottomissione della Macedonia fin quasi allo
status politico di provincia romana. Filippo, com'era prevedibile, non accettò, e il Senato romano,
superate le iniziali riluttanze nei confronti di coscrizioni e nuove ostilità,[123] si decise a dichiarare
guerra contro Filippo V, nella seconda guerra macedonica.[122] Nella battaglia del fiume Aoo
(presso l'attuale Tepelenë, in Albania) le forze comandate da Tito Quinzio Flaminino sconfissero i
macedoni.[124] Gli stessi comandanti, nel 197 a.C., si fronteggiarono nella più importante battaglia
di Cinoscefale,[125] che ancora una volta vide Flaminino vincitore, stavolta in maniera decisiva,
sugli avversari Macedoni.[124][126] Il regno di Macedonia fu costretto a siglare il Trattato di
Tempea, con il quale veniva privato di tutte le rivendicazioni territoriali in Grecia e Asia, e obbligato
a corrispondere a Roma un indennizzo di guerra.[127]
Tra la seconda e la terza guerra macedonica, Roma si trovò ancora a fronteggiare altri conflitti
nell'area, scaturiti da un intricato gioco di mutevoli e reciproche rivalità, alleanze e leghe, in cui
ciascun attore cercava di aumentare la propria influenza. Poco dopo la seconda sconfitta macedone
del 197 a.C., la polis di Sparta si inserì nel parziale vuoto di potere creatosi in Grecia. Temendo che
gli spartani volessero appropriarsi di poteri crescenti nella regione, i Romani ricorsero all'aiuto degli
alleati nel condurre una guerra contro Sparta, sconfiggendo un esercito spartano nella battaglia di
Gythium nel 195 a.C.[127]
Roma si trovò anche a dover affrontare la Lega etolica, un tempo sua alleata,[128] gli Istriani nella
guerra istrica,[129] gli Illiri nella terza guerra illirica,[130] e l'Acaia, con la risorta Lega achea, nella
quarta guerra macedonica.[131]
Roma rivolgeva ora le sue attenzioni ad oriente, verso l'impero seleucide di verso Antioco III il
Grande. Antioco, dopo remote campagne militari nelle regioni della Battriana, dell'India, Persia e
Giudea, si era spostato in Asia Minore e Tracia[132] per proteggere varie città costiere, con una
mossa che lo fece entrare in attrito con gli interessi Romani, che diedero inizio alla guerra contro
Antioco III e lega etolica. Forze romane guidate da Manio Acilio Glabrione sconfissero Antioco nella
battaglia delle Termopili del 191 a.C.[126] e lo costrinsero ad abbandonare la Grecia:[133] i Romani,
allora, incalzarono i Seleucidi fuori dai confini della Grecia, battendoli sul mare nella battaglia
dell'Eurimedonte, in quella di Myonessus, e, infine, nel decisivo confronto della battaglia di
Magnesia.[133][134]
Nel 179 a.C. Filippo V di Macedonia morì[135] e il suo ambizioso e talentuoso figlio, Perseo, salì al
trono mostrando un rinnovato interesse per la Grecia.[136] Si alleo perfino con i bellicosi
Bastarni,[136] e, probabilmente, la condotta di entrambi violò il trattato di pace precedentemente
stipulato da suo padre o dovette quantomeno apparire come un "atteggiamento non consono a
quello atteso da un alleato subordinato".[136] Roma dichiarò nuovamente guerra al Regno di
Macedonia, dando inizio alla terza guerra macedonica. Inizialmente, Perseo riscosse maggior
successo di suo padre nel condurre la guerra contro Roma, vincendo la battaglia di Callicino contro
un esercito consolare. Roma, tuttavia, reagì come nelle altre iniziative militari di quel periodo,
semplicemente inviando un nuovo contingente. Il secondo esercito consolare puntualmente vinse i
Macedoni nella battaglia di Pidna del 168 a.C.[135][137] I Macedoni, privi delle riserve tattiche di
cui disponevano Romani e con il loro re Perseo caduto nelle mani dei nemici,[138] altrettanto
puntualmente capitolarono, ponendo fine alla terza guerra macedonica,[139] con la dissoluzione del
regno macedone.
La quarta guerra macedonica, combattuta tra il 150 e il 148 a.C., fu l'atto finale dei conflitti tra
Roma e la Macedonia ed ebbe inizio quando Andrisco usurpò il trono macedone. I romani
radunarono un esercito consolare sotto il comando di Quinto Cecilio Metello, che rapidamente
sconfisse Andrisco nella seconda battaglia di Pidna del 148 a.C.
Sotto Lucio Mummio, nel 146 a.C., si ebbe la distruzione della florida Corinto, a conclusione di un
assedio della città che portò alla sua resa e alla conseguente capitolazione della Lega acaica.
Roma, nelle precedenti guerre puniche, aveva ottenuto larghe estensioni territoriali in Africa, che
furono consolidati nei secoli successivi.[141] Molti di questi erano stati concessi al regno di Numidia,
un regno costiero nordafricano corrispondente alla moderna Algeria, in cambio dell'assistenza
militare offerta in passato a Roma.[142] La guerra giugurtina del 101 –104 a.C. fu combattuta tra
Roma e Giugurta di Numidia e, dal punto di vista romano, rappresentò la conclusione della
pacificazione del Nordafrica:[143] al termine della guerra, Roma, sostanzialmente, arrestò la sua
espansione nel continente, avendo raggiunto le barriere naturali offerte dal deserto e dalle
montagne. Dopo l'usurpazione del trono numida da parte di Giugurta,[144] fedele alleato di Roma
fin dalle guerre puniche,[145] Roma si sentì costretta ad intervenire. Giugurta, sfacciatamente,
corruppe i Romani affinché accettassero la compiuta usurpazione[146][147][148] riuscendo a farsi
assegnare la metà occidentale del regno. Dopo ulteriori aggressioni, e nuovi tentativi di corruzione,
Roma inviò un esercito ad affrontarlo. I Romani furono sconfitti nella battaglia di Suthul[149] ma si
comportarono meglio nella battaglia del fiume Muthul[150] e sconfissero infine Giugurta nella
battaglia di Thala,[151][152] nella battaglia di Mulucha,[153] e nella battaglia di Cirta del 104
a.C.[154] Giugurta fu infine preso dai Romani, non in battaglia ma grazie a un
tradimento,[155][156] e la sua cattura segnò la fine della guerra.[157]
Le guerre cimbriche (113–101 a.C.) furono un affare ben più serio che il recente conflitto celtico del
121 a.C. Le tribù germaniche dei Cimbri[159] e dei Teutoni[159] dal Nordeuropa migrarono fin
dentro i territori settentrionali di Roma,[160] ed entrarono in conflitto con Roma e i suoi
alleati.[161] Le guerre cimbriche generarono un grande timore e furono la prima occasione, dopo la
seconda guerra punica, in cui l'Italia e la stessa Roma si sentirono seriamente minacciate.[161] La
battaglia di Noreia, nel 112 a.C., fu l'esordio delle operazioni belliche tra la Repubblica romana e le
tribù protogermaniche dei Cimbri e dei Teutoni. Finì con una sconfitta dei Romani, e in un quasi
disastro. Nel 105 a.C. i Romani patirono una delle loro peggiori disfatte nella battaglia di Arausio,
presso Orange: era la sconfitta più costosa dai tempi della battaglia di Canne. Dopo che i Cimbri
ebbero involontariamente concesso una tregua agli avversari per dedicarsi al saccheggio
dell'Iberia,[162] Roma ebbe in mano l'opportunità di prepararsi con cura allo scontro con Cimbri e
Teutoni[160] dalla qual uscirà vincente con la battaglia di Aquae Sextiae[162] (Aix-en-Provence) e
con la battaglia di Vercelli[162] entrambe le tribù furono virtualmente annichilate e la loro minaccia
allontanata.
Malcontenti interni: rivolte servili, guerre sociali e guerre civili (135–71 a.C.)
Mitridate il Grande fu re del Ponto,[172] un vasto regno dellAsia Minore, dal 120 al 63 a.C. È
ricordato come uno dei più formidabili, e di maggior successo, tra gli avversari di Roma: si scontrò
con tre dei più importanti generali della tarda repubblica romana, Silla, Lucullo, e Pompeo.
Seguendo uno schema familiare fin dalle guerre puniche, i Romani entrarono in attrito con
Mitridate non appena le sfere d'influenza dei due stati iniziarono a sovrapporsi. Mitridate entrò in
antagonismo con Roma nel tentativo di espandere il suo regno,[173] e Roma, da parte sua,
sembrava tanto desiderosa della guerra quanto del prestigio e delle spoglie che ne avrebbe potuto
ricevere.[172][174] Fonti romane riferivano come Mitridate, dopo aver conquistato l'Anatolia
occidentale nell'88 a.C., avesse orchestrato il massacro della maggioranza degli 80.000 romani che
vi risiedevano,[175] in quell'episodio altrimenti noto come vespri asiatici. La notizia del massacro
potrebbe esser stata notevolmente ingigantita dai Romani, ma costituì comunque la ragione
ufficiale che giustificò l'inizio delle ostilità nella Prima guerra mitridatica. Il generale romano Lucio
Cornelio Silla costrinse Mitridate fuori dalla Grecia proprio dopo la battaglia di Cheronea e la
successiva battaglia di Orcomeno, ma si trovò a dover far ritorno in Italia, per fronteggiare le
avvisaglie di una minaccia interna posta dalla fazione dei suoi rivali mariani: Mitridate era stato
sconfitto in battaglia, ma non ancora piegato. Fu stipulata una pace, tra Roma e il regno pontico, che
non si rivelò altro che una tregua effimera.
La seconda guerra mitridatica iniziò quando Roma cercò di annettersi la Bitinia come provincia.
Nella terza guerra mitridatica, furono inviati contro Mitridate dapprima Lucullo e quindi
Pompeo.[176] Mitridate fu definitivamente sconfitto da Pompeo nella notturna battaglia del
Lycus.[177]
Negli anni 52-51 a.C., sconfitto definitivamente Vercingetorige, Cesare si trovò a domare le ultime
sacche di ribellione che ancora covavano in Gallia: con il sopraggiungere dell'anno 50 a.C. la Gallia
era interamente pacificata e saldamente nelle mani di Roma.[196] Già in quegli stessi anni, durante
il suo soggiorno invernale nell'oppidum celtico di Bibracte, Cesare poteva mettere mano alla stesura
dei suoi commentarii de bello Gallico.
La Gallia non riacquistò mai più la sua identità celtica, né mai fu scossa da altre ribellioni
nazionalistiche, e rimase fedele a Roma fino alla caduta dell'Impero romano d'Occidente e nel 476.
Tuttavia, sebbene la Gallia fosse destinata a rimanere per sempre fedele, alcune crepe si andavano
aprendo nella coesione politica delle figure dei governanti romani, in parte anche dovute alle
preoccupazioni sulla fedeltà delle legioni di Cesare alla persona del loro comandante piuttosto che
allo stato romano.[188] Queste contraddizioni sarebbero presto venute a galla, quando
condurranno Roma in una lunga e tormentata sequenza di guerre civili.
Inizialmente, Pompeo rassicurò Roma e il Senato promettendo che avrebbe sconfitto Cesare in
battaglia se solo egli avesse tentato di marciare su Roma.[208][209] Ma invece, quando Cesare,
all'inizio del 49 a.C., attraversò il Rubicone con le sue forze di invasione e dilagò nella penisola
puntando su Roma, Pompeo ordinò di abbandonare la città.[208][209] L'esercito di Cesare non era
ancora al completo, con alcune legioni ancora in Gallia[208] e con la sola tredicesima al seguito, ma
d'altro canto lo stesso Pompeo poteva disporre, ai suoi ordini, di una piccola forza, sulla cui fedeltà
non poteva essere certo visto che si trattava di gente che aveva combattuto in Gallia sotto
Cesare.[209] Tom Holland attribuisce la sollecitudine di Pompeo nell'abbandonare Roma ad ondate
di rifugiati in preda al panico che agitavano paure ancestrali di invasioni dal nord.[210] Le forze di
Pompeo ripiegarono a sud verso Brundisium[211] dove presero la via della Grecia.[209][212] Per
prima cosa, Cesare volse la sua attenzione alle roccaforti dei pompeiani in Iberia[213] ma, dopo
aver cinto d'assedio Marsiglia e aver combattuto la battaglia di Ilerda, decise di affrontare
direttamente Pompeo in Grecia.[214][215] Pompeo ottenne un primo successo nella battaglia di
Dyrrhachium nel 48 a.C.[216] ma, non diede seguito alla vittoria e fu definitivamente sconfitto da
Cesare nella battaglia di Farsalo del 48 a.C.[217][218] nonostante l'inferiorità delle forze di Cesare,
in rapporto 1 a 2 con quelle dell'avversario.[219] Pompeo fuggì ancora, questa volta in Egitto dove
finirà ucciso[177][220] in un tentativo di ingraziare al paese il favore di Cesare ed evitare una
guerra con Roma.[203][217]
La morte di Pompeo non determinò la fine delle guerre civili visto che molteplici erano ancora i
nemici di Cesare e che i seguaci di Pompeo continuarono la lotta anche dopo la morte del loro capo
fazione. Nel 46 a.C. Cesare perse probabilmente almeno un terzo del suo esercito nella battaglia di
Ruspina, in cui fu battuto da Tito Labieno, già al suo fianco come luogotenente in Gallia, ma
transitato, molti anni addietro, nelle file dei pompeiani. Tuttavia Cesare, dopo aver toccato
nuovamente il fondo, seppe ancora una volta risollevarsi e sconfiggere i pompeiani di Metello
Scipione nella battaglia di Thapsus, costringendoli a retrocedere nuovamente in Iberia. Cesare
sconfisse poi in Iberia le forze combinate di Tito Labieno e Pompeo il Giovane nella battaglia di
Munda: Labieno morì in battaglia mentre Pompeo il Giovane fu catturato e mandato a morte.
Nonostante il successo militare, o probabilmente proprio a causa di esso, era diffusa la paura che il
potere Cesare, divenuta ormai la figura primaria dello stato romano, potesse evolvere in senso
autocratico, decretando la fine della Repubblica romana. Questa paura spinse un gruppo di senatori,
autoproclamatisi Liberatores, ad assassinarlo alle Idi di Marzo dell'anno 44 a.C.[221]
Ottaviano tradì il suo partito, scendendo a patti con i cesariani Antonio e Lepido: il 26 novembre del
43 a.C., loro tre diedero vita al Secondo triumvirato,[222] questa volta in una forma ufficiale.[221]
Nel 42 a.C. i Triumviri Marco Antonio e Ottaviano (Lepido rimase a Roma) si misurarono contro i
proscritti Bruto e Cassio, negli scontri della battaglia di Filippi, il cui esito non fu però netto: Bruto
sconfisse infatti Ottaviano mentre Antonio riuscì a battere Cassio. Questi però, inconsapevole della
vittoria di Bruto, decise di togliersi la vita. Poco tempo dopo, anche Bruto, sconfitto da Antonio,
seguirà la stessa sorte del compagno, sfuggendo alla cattura.
Tuttavia, la guerra civile divampò ancora quando, non appena gli avversari furono eliminati, anche
il Secondo triumvirato di Ottaviano, Antonio e Lepido venne meno. L'ambizioso Ottaviano si mise a
costruire le basi del suo potere per poi lanciare una campagna contro Marco Antonio.[221] Nel 40
a.C., mentre Antonio era con Cleopatra quando, forse a sua insaputa, la moglie Fulvia e il fratello
Lucio Antonio, radunarono in Italia un esercito per combattere contro Ottaviano, ma furono
sconfitti nella battaglia di Perugia. La morte di lei, avvenuta quello stesso anno a Sicione, portò ad
una parziale riconciliazione tra Ottaviano e Antonio, che si occupò di Sesto Pompeo, ultimo centro di
opposizione al secondo triumvirato: nella battaglia navale di Naulochus le forze di Sesto Pompeo
furono annientate e il blocco navale da lui imposto presso lo Stretto di Sicilia fu spezzato.
Ancora una volta, annientata l'opposizione, il triumvirato cadde in pezzi. L'ultimo dell'anno del 33
a.C. il triumvirato era in scadenza, ma la legge che lo istituzionalizzava non fu rinnovata: nel 31 a.C.
riprese la guerra. Nella battaglia di Azio,[223] lungo le coste della Grecia, Ottaviano sconfisse
definitivamente Antonio e Cleopatra in una battaglia navale in cui usò il fuoco per distruggere la
flotta nemica.[224]
Note
1. ^ Pennell, Ancient Rome , Cap. 3, par. 8.
2. ^ Grant, The History of Rome , p. 23.
3. ^ Pennell, Ancient Rome , Cap. 9, par. 3
4. ^ Syme, seguendo G. M. Hirst, ha ipotizzato il periodo 64 a.C.–12 d.C.
5. ^ Floro, Epitome di storia romana, I, 1.
6. ^ Floro, I, 2.
7. Cassio Dione Cocceiano, I.7.6
8. ^ Floro, I, 3.
9. ^ Floro, I, 4.
10. ^ Pennell, Ancient Rome , Cap. V, par. 1.
11. ^ Grant, The History of Rome , p. 21.
12. ^ Livio, Ab Urbe condita, I.9.
13. ^ Grant, The History of Rome , p. 33.
14. Grant, The History of Rome , p. 32
15. ^ Livio, II, 6.
16. ^ Livio, II, 9.
17. ^ Livio, II, 11-15.
18. Floro, I, 11.
19. Grant, The History of Rome , p. 38
20. Grant, The History of Rome , p. 37.
21. ^ Livio, p. 89.
22. ^ Cassio Dione, Storia romana, Vol. 1, VII, 17.
23. ^ Cassio Dione, Vol. 1, VII, 16
24. The Enemies of Rome , p. 13
25. ^ Grant, The History of Rome , p. 39
26. ^ Livio, II, 26.
27. ^ Grant, The History of Rome , p. 41
28. Floro, I, 12.
29. Grant, The History of Rome , p. 42
30. ^ Cassio Dione, I.7.20.
31. ^ Pennell, Ancient Rome , Ch. II
32. Grant, The History of Rome , p. 44
33. Floro, I, 13.
34. Pennell, Ancient Rome , Ch. IX, para. 2
35. Livio, V, 48.
36. ^ Lane Fox, The Classical World, p. 283
37. ^ Appiano, Storia romana, estratto bizantino dal IV libro.
38. ^ Alexander Demandt. I Celti, Il Mulino, Bologna, 2003, p. 24.
39. ^ Pennell, Ancient Rome , Ch. IX, para. 4
40. ^ Pennell, Ancient Rome , Ch. IX, para. 23
41. Floro, I, 16.
42. ^ Lane Fox, The Classical World, p. 282.
43. ^ Pennell, Ancient Rome , Ch. IX, para. 8
44. Grant, The History of Rome , p. 48
45. Pennell, Ancient Rome , Ch. IX, para. 13
46. ^ Grant, The History of Rome , p. 49.
47. ^ Pennell, Ancient Rome , Ch. IX, para. 14
48. Grant, The History of Rome , p. 52
49. Lane Fox, The Classical World, p. 290
50. ^ Grant, The History of Rome , p. 53
51. ^ Grant, The History of Rome , p. 77
52. Matyszak, The Enemies of Rome , p. 14
53. Grant, The History of Rome , p. 78
54. ^ Lane Fox, The Classical World, p. 294
55. ^ Cantor, Antiquity, p. 151
56. ^ Pennell, Ancient Rome , Ch. X, para. 6
57. ^ Lane Fox, The Classical World, p. 304
58. Floro, I, 18.
59. Lane Fox, The Classical World, p. 305
60. Grant, The History of Rome , p. 79
61. ^ Cassio Dione, I.7.3.
62. ^ Pennell, Ancient Rome , Ch. X, para. 11
63. Lane Fox, The Classical World, p. 306
64. ^ Lane Fox, The Classical World, p. 307
65. ^ Pennell, Ancient Rome , Ch. XI, para. 1
66. Grant, The History of Rome , p. 80
67. Matyszak, The Enemies of Rome , p. 16
68. ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, XIX
69. Cantor, Antiquity, p. 152
70. ^ Goldsworthy, The Punic Wars, p. 13
71. ^ Goldsworthy, The Punic Wars, p. 68.
72. ^ Cassio Dione, I.8.8.
73. ^ Pennell, Ancient Rome , Ch. XII, para. 14
74. ^ Lane Fox, The Classical World, p. 309.
75. ^ Goldsworthy, The Punic Wars, p. 113
76. ^ Goldsworthy, The Punic Wars, p. 84
77. ^ Goldsworthy, The Punic Wars, p. 86
78. Goldsworthy, The Punic Wars, p. 87
79. ^ Goldsworthy, The Punic Wars, p. 88.
80. ^ Lane Fox, The Classical World, p. 310
81. ^ Goldsworthy, The Punic Wars, p. 90
82. ^ Goldsworthy, The Punic Wars, p. 128
83. ^ Floro, II, 3.
84. ^ Floro, II, 4.
85. ^ Goldsworthy, In the Name of Rome , p. 29
86. ^ Matyszak, The Enemies of Rome , p. 25
87. ^ Pennell, Ancient Rome , Ch. XIII, para. 15
88. Cantor, Antiquity, p. 153
89. ^ Matyszak, The Enemies of Rome , p. 27
90. Goldsworthy, In the Name of Rome , p. 30
91. ^ Matyszak, The Enemies of Rome , p. 29
92. ^ Matyszak, The Enemies of Rome , p. 31
93. ^ Polibio, Storie , 243.
94. ^ Matyszak, The Enemies of Rome , p. 34
95. ^ Polibio, 263.
96. ^ Matyszak, The Enemies of Rome , p. 36
97. ^ Matyszak, The Enemies of Rome , p. 38
98. ^ Matyszak, The Enemies of Rome , p. 40
99. ^ Matyszak, The Enemies of Rome , p. 41
100. ^ Pennell, Ancient Rome , Ch. XV, para. 24
101. ^ Goldsworthy, The Punic Wars, p. 338.
102. Goldsworthy, The Punic Wars, p. 339.
103. Floro, II, 15.
104. Cantor, Antiquity, p. 154
105. ^ Goldsworthy, The Punic Wars, p. 12.
106. Floro, II, 17.
107. Grant, The History of Rome , p. 122
108. ^ Pennell, Ancient Rome , Ch. XX, para. 2
109. Matyszak, The Enemies of Rome , p. 54
110. ^ Matyszak, The Enemies of Rome , p. 56.
111. Matyszak, The Enemies of Rome , p. 57.
112. ^ Pennell, Ancient Rome , Ch. XX, para. 4
113. Matyszak, The Enemies of Rome , p. 58.
114. ^ Matyszak, The Enemies of Rome , p. 61.
115. ^ Grant, The History of Rome , p. 123
116. ^ Luttwak, The Grand Strategy of the Roman Empire , p. 8.
117. Matyszak, The Enemies of Rome , p. 47.
118. Grant, The History of Rome , p. 115.
119. Grant, The History of Rome , p. 116.
120. Matyszak, The Enemies of Rome , p. 48
121. ^ Goldsworthy, In the Name of Rome , p. 71
122. Matyszak, The Enemies of Rome , p. 49
123. ^ Goldsworthy, In the Name of Rome , p. 72.
124. Goldsworthy, In the Name of Rome , p. 73.
125. ^ Grant, The History of Rome , p. 117
126. Lane Fox, The Classical World, p. 325.
127. Matyszak, The Enemies of Rome . p. 51.
128. ^ Floro, II, 9.
129. ^ Floro, II, 10
130. ^ Floro II, 13.
131. ^ Floro, II, 16.
132. ^ Pennell, Ancient Rome , Ch. XVII, para. 1
133. Grant, The History of Rome , p. 119.
134. ^ Lane Fox, The Classical World, p. 326.
135. Grant, The History of Rome , p. 120.
136. Goldsworthy, In the Name of Rome , p. 75
137. ^ Goldsworthy, In the Name of Rome , p. 92.
138. ^ Lane Fox, The Classical World, p. 328
139. ^ Matyszak, The Enemies of Rome , p. 53
140. ^ Sulle diverse interpretazioni di questa fase imperialistica e le sue diverse
ricadute tra Oriente e Occidente vd. Emilio Gabba, L'imperialismo romano, in Storia
di Roma, II.1, Einaudi, Torino 1990, pp. 199-204.
141. ^ Luttwak, The Grand Strategy of the Roman Empire , p. 9.
142. ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, V
143. ^ Santosuosso, Storming the Heavens, p. 29.
144. ^ Sallustio, XII.
145. ^ Matyszak, The Enemies of Rome , p. 64
146. ^ Matyszak, The Enemies of Rome , p. 65.
147. ^ Floro, III, 1.
148. ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, XIII.
149. ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, XVIII.
150. ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, LII.
151. ^ Matyszak, The Enemies of Rome , p. 69.
152. ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, LXXVI.
153. ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, XCIV.
154. ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, CI
155. ^ Grant, The History of Rome , p. 153.
156. ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, CXIII
157. ^ Matyszak, The Enemies of Rome , p. 71.
158. ^ Grant, The History of Rome , p. 152.
159. Appiano, Storia romana, §6
160. Matyszak, The Enemies of Rome , p. 75
161. Santosuosso, Storming the Heavens, p. 6.
162. Floro, III, 3.
163. ^ Santosuosso, Storming the Heavens, p. 39.
164. ^ Matyszak, The Enemies of Rome , p. 77
165. ^ Appian, Civil Wars, 1, 117.
166. ^ Santosuosso, Storming the Heavens, p. 43.
167. ^ Grant, The History of Rome , p. 156.
168. ^ Lane Fox, The Classical World, p. 351.
169. Cantor, Antiquity, p. 167.
170. ^ Santosuosso, Storming the Heavens, p. 30.
171. ^ Grant, The History of Rome , p. 161.
172. Floro, III, 5.
173. ^ Floro, II, 5.
174. ^ Matyszak, The Enemies of Rome , p. 76.
175. ^ Grant, The History of Rome , p. 158.
176. Lane Fox, The Classical World, p. 363
177. Plutarco, Vite Parallele - Pompeo.
178. Floro, III, 6.
179. ^ Grant, The History of Rome , p. 165.
180. ^ Holland, Rubicon, p. 170.
181. ^ Cicero, Pro Lege Manilia (o De Imperio Cnei Pompei), 35. L'orazione fu
pronunciata, nel 66 a.C., in favore della Lex Manilia, che conferiva a Pompeo
l'imperium proconsolare per la conduzione della terza guerra mitridatica.
182. Plutarco, Vite Parallele - Cesare .
183. ^ Santosuosso, Storming the Heavens, p. 58.
184. Goldsworthy, In the Name of Rome , p. 187.
185. Matyszak, The Enemies of Rome , p. 117.
186. ^ Goldsworthy, In the Name of Rome , p. 191.
187. Floro, III, 10.
188. Cantor, Antiquity, p. 162.
189. ^ Santosuosso, Storming the Heavens, p. 48.
190. ^ Matyszak, The Enemies of Rome , p. 116
191. ^ Santosuosso, Storming the Heavens, p. 59.
192. ^ Goldsworthy, In the Name of Rome , p. 201.
193. ^ Santosuosso, Storming the Heavens, p. 60.
194. ^ Goldsworthy, In the Name of Rome , p. 204
195. ^ Matyszak, The Enemies of Rome , p. 78.
196. Santosuosso, Storming the Heavens, p. 62.
197. ^ Goldsworthy, In the Name of Rome , p. 212.
198. ^ Cantor, Antiquity, p. 168
199. ^ Matyszak, The Enemies of Rome , p. 133.
200. ^ Plutarco, Vte Parallele , p. 266
201. ^ Goldsworthy, In the Name of Rome , p. 213.
202. ^ Matyszak, The Enemies of Rome , p. 79.
203. Cantor, Antiquity, p. 169.
204. ^ Goldsworthy, In the Name of Rome , p. 271
205. ^ Goldsworthy, In the Name of Rome , p. 214
206. Goldsworthy, In the Name of Rome , p. 215.
207. ^ Lane Fox, The Classical World, p. 398.
208. Holland, Rubicon, p. 299
209. Goldsworthy, In the Name of Rome , p. 216
210. ^ Holland, Rubicon, p. 298.
211. ^ Holland, Rubicon, p. 303.
212. ^ Lane Fox, The Classical World, p. 402.
213. ^ Goldsworthy, In the Name of Rome , p. 217
214. ^ Cesare, De bello civili, 81–92.
215. ^ Goldsworthy, In the Name of Rome , p. 218.
216. ^ Goldsworthy, In the Name of Rome , p. 220.
217. Goldsworthy, In the Name of Rome , p. 227.
218. ^ Lane Fox, The Classical World, p. 403.
219. ^ Holland, Rubicon, p. 312.
220. ^ Lane Fox, The Classical World, p. 404
221. Cantor, Antiquity, p. 170
222. ^ Goldsworthy, In the Name of Rome , p. 237.
223. Luttwak, The Grand Strategy of the Roman Empire , p. 7.
224. ^ Cassio Dione, p. 61.
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Voci correlate
Esercito romano
Cronologia delle principali battaglie romane
Limes romano
Legionario romano
Portale Antica Portale Esercito Portale Guerra
Roma romano
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