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“LE EMOZIONI ED EDUCAZIONE

EMOTIVA IN FAMIGLIA”

PROF. CRISTIANO DI SALVATORE


Università Telematica Pegaso Le emozioni ed educazione emotiva in
famiglia

Indice

1 ETIMOLOGIA E DEFINIZIONE ------------------------------------------------------------------------------------------ 3


2 STUDI SULLE EMOZIONI ------------------------------------------------------------------------------------------------- 5
3 L’INTELLIGENZA EMOTIVA ------------------------------------------------------------------------------------------- 10
4 COME ESERCITARE L’INTELLIGENZA EMOTIVA IN FAMIGLIA ----------------------------------------- 13
5 GLI EFFETTI DELL’ALLENAMENTO EMOTIVO ----------------------------------------------------------------- 17
6 STRATEGIE D’INTERVENTO: COSTRUIRE UN SOSTEGNO EMOTIVO ---------------------------------- 22
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 24

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)

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1 Etimologia e definizione
L'etimologia della parola emozione è da ricondursi al

latino emovère (ex = fuori + movere =muovere) letteralmente portare fuori, smuovere, in senso più

lato, scuotere, agitare. Per cui l'emozione, altro non è se non un'agitazione, uno scuotimento, una

vibrazione dell'animo...

Volendo dare una sintetica e generale definizione potremmo dire che le emozioni sono stati

mentali e fisiologici associati a modificazioni psicologiche, a stimoli interni o esterni, naturali o

appresi.

Quando proviamo un’emozione avvengono dei cambiamenti su quattro livelli:

1) Attivazione fisiologica (cambiamento del battito cardiaco, della sudorazione,

della respirazione, della contrazione muscolare ecc.)

2) Si possono provare dei sentimenti (amore, odio ecc.)

3) Avvengono dei processi cognitivi (pensieri, ragionamenti, si attribuiscono dei

significati)

4) Reazioni comportamentali.

Chi ha cominciato ad occuparsi di emozioni?

Possiamo dire con una certa sicurezza che da sempre l’uomo si impegna a riconoscere,

capire e dare una spiegazione alle emozioni.

Citando alcuni filosofi ad esempio ritroviamo che Platone definiva le emozioni come

“droghe che corrompono la ragione e dunque devono essere dominate”.

Nel 1872 Darwin descriveva le emozioni come “fossili, tracce di precedenti adattamenti,

sviluppate per aiutarci in situazioni di emergenza.”

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Fino agli anni ’40 le emozioni erano considerate superflue, casuali, incompatibile con la

ragione, causa di vizi e passioni; solo negli ultimi decenni sono state rivalutate e ad esempio oggi si

parla addirittura di marketing emotivo, ovvero le emozioni che spingono una persona a scegliere un

prodotto o servizi.

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2 Studi sulle emozioni


I primi studi scientifici sulle emozioni sono da attribuire a Charles Darwin1, il quale inizia

a porsi le seguenti domande:

1) Le emozioni son o innate o acquisite?

2) In che modo vengono manifestate?

3) Come riconoscerle e modificarle?

4) Quali influenze esercita l’ambiente e la società?

Attraverso l’approccio evoluzionista, Darwin ipotizzò che le emozioni sono importanti in

quanto ci indicano segnali di pericolo (come quando proviamo paura), oppure un cane quando è

arrabbiato mostra i denti.

Successivamente, si iniziò a parlare di emozioni in termini di funzioni adattive2, in quanti si

ipotizzò che fossero utili per la sopravvivenza e per la riproduzione.

Ad esempio i neonati, non potendo ancora parlare, comunicano con l’adulto attraverso le

emozioni3; provare interesse favorirebbe l’esplorazione, provare paura ci orienta più verso

l’evitamento e la fuga ecc.

I comportamentisti4, affermavano che le emozioni fossero delle risposte conseguenti a

stimoli esterni; solo con il cognitivismo, viene presa in considerazione la valutazione della realtà,

e quindi noi abbiamo paura di un ragno perché pensiamo che possa essere pericoloso.

1
Nel 1872 inizia ad occuparsi di studi sulle emozioni della popolazione adulta
2
Cosmides e Tooby (2000)
3
Entro i 6 mesi di vita il neonato è in grado di esprimere le emozioni di base o primarie
4
La mente viene quindi considerata una sorta di black box, una scatola nera il cui funzionamento interno è
inconoscibile e, per certi aspetti, irrilevante: quello che importa veramente per i comportamentisti è giungere ad
un'approfondita comprensione empirica e sperimentale delle relazioni tra certi tipi di stimoli (ambientali) e certi tipi
di risposte (comportamentali).

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Ad oggi, la comunità scientifica sembra essere abbastanza concorde rispetto all’esistenza di

emozioni primarie ed emozioni secondarie.

Le emozioni primarie sono emozioni innate e sono riscontrabili in qualsiasi popolazione, per

questo sono definite primarie ovvero universali. Le emozioni secondarie, invece, sono quelle che

originano dalla combinazione delle emozioni primarie e si sviluppano con la crescita dell’individuo

e con l’interazione sociale.

Nel 2008 lo psicologo americano Ekman racconta di essere stato in un remoto villaggio

sulle alture della Papua Nuova Guinea per studiare gli abitati del posto e verificare se fosse

possibile riscontrare anche tra loro le stesse emozioni provate da altri popoli. Gli indigeni, i Fore,

popolo pre-letterario, alla vista di Ekman che mangiava del cibo a loro sconosciuto rimasero stupiti.

In particolare uno di loro rimase a guardare Ekman con una particolare espressione. Lo studioso

entusiasta della loro reazione, fotografò l’espressione di disgusto evidenziata sul volto di questo

membro della tribù e scrisse: “La fotografia illustra che l’uomo è disgustato dalla vista e

dall’odore del cibo che io consideravo appetitoso” (p. 177). Questo è solo uno dei tanti esempi

riferiti dallo scienzato.

Fu proprio seguendo questa Tribù che Ekman poté notare come le espressioni di base

fossero universali perché riscontrabili in popolazioni diverse, anche in quella dei Fore che è

isolata dal resto del mondo. Così decise di stilare una lista di emozioni divise in primarie e

secondarie.

Le emozioni primarie o di base sono:

1. rabbia, generata dalla frustrazione che si può manifestare attraverso l’aggressività;

2. paura, emozione dominata dall’istinto che ha come obiettivo la sopravvivenza del

soggetto ad una situazione pericolosa;

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3. tristezza, si origina a seguito di una perdita o da uno scopo non raggiunto;

4. gioia, stato d’animo positivo di chi ritiene soddisfatti tutti i propri desideri;

5. sorpresa, si origina da un evento inaspettato, seguito da paura o gioia;

6. disprezzo, sentimento e atteggiamento di totale mancanza di stima e disdegnato rifiuto

verso persone o cose, considerate prive di dignità morale o intellettuale;

7. disgusto, risposta repulsiva caratterizzata da un’espressione facciale specifica.

Queste sono emozioni innate e sono riscontrabili in qualsiasi popolazione, per questo sono

definite primarie ovvero universali.

Di seguito alcune fotografie di persone le quali, attraverso le espressioni facciali trasmettono

le emozioni primarie:

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Le emozioni secondarie, invece, sono quelle che originano dalla combinazione delle

emozioni primarie e si sviluppano con la crescita dell’individuo e con l’interazione sociale.

Esse sono:

– allegria, sentimento di piena e viva soddisfazione dell’animo;

– invidia, stato emozionale in cui un soggetto sente un forte desiderio di avere ciò che l’altro

possiede;

– vergogna, reazione emotiva che si prova in conseguenza alla trasgressione di regole

sociali;

– ansia, reazione emotiva dovuta al prefigurarsi di un pericolo ipotetico, futuro e distante;

– rassegnazione, disposizione d’animo di chi accetta pazientemente un dolore, una sfortuna;

– gelosia, stato emotivo che deriva dalla paura di perdere qualcosa che appartiene già al

soggetto;

– speranza, tendenza a ritenere che fenomeni o eventi siano gestibili e controllabili e quindi

indirizzabili verso esiti sperati come migliori;

– perdono, sostituzione delle emozioni negative che seguono un’offesa percepita (es.

rabbia, paura) con delle emozioni positive (es. empatia, compassione);

– offesa, danno morale che si arreca a una persona con atti o con parole;

– nostalgia, stato di malessere causato da un acuto desiderio di un luogo lontano, di una

cosa o di una persona assente o perduta, di una situazione finita che si vorrebbe rivivere;

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– rimorso, stato di pena o turbamento psicologico sperimentato da chi ritiene di aver tenuto

comportamenti o azioni contrari al proprio codice morale;

– delusione, stato d’animo di tristezza provocato dalla constatazione che le aspettative, le

speranze coltivate non hanno riscontro nella realtà.

Quindi, le seconde sono delle emozioni più complesse e hanno bisogno di più elementi

esterni o pensieri eterogenei per essere attivate.

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3 L’intelligenza emotiva
Ci sarebbe molto altro da aggiungere rispetto i numerosissimi esperimenti, studi scientifici,

teorie ecc.

Per un momento lasciamo da parte tutto questo e valutiamo le emozioni da un altro punto di

vista; che impatto possono avere le emozioni sulla nostra vita relazionale e sociale?

Lo psicologo Daniel Goleman introdusse il concetto di intelligenza emotiva.

Spesso, quando si parla di intelligenza, è luogo comune riferirsi al Q.I.5

Avere un Q.I. elevato tuttavia, non è necessariamente sinonimo di successo nella vita; potrei

essere bravissimo nel risolvere calcoli complicatissimi e al tempo stesso incapace di chiedere scusa

ad un mio collega.

L'intelligenza emotiva di Goleman si riferisce alla capacità di riconoscere i propri sentimenti

e quelli degli altri, di motivare se stessi e di gestire positivamente le proprie emozioni, tanto

interiormente, quanto nelle relazioni sociali. Goleman afferma che per vivere una vita piena,

emotivamente equilibrata sul piano delle relazioni sociali e su quello personale sono necessarie

alcune caratteristiche di competenza emotiva.

I nostri comportamenti non sono direttamente correlati alla situazione che pare averli

determinati in una relazione di causa-effetto, ma sono legati alle emozioni che da quella medesima

circostanza sono scaturite: tra la percezione della realtà e il passaggio all’azione, di fondamentale

importanza è la capacità di “sentire” le emozioni. L’intelligenza emotiva pone l’accento sulla

capacità di armonizzare pensiero e sentimento, parola e vissuti emotivi, dimensione

mentale e dimensione affettiva.

5
Il Q.I. è un punteggio, ottenuto tramite uno dei molti test standardizzati, che si prefigge lo scopo di misurare o valutare
l'intelligenza, ovvero lo sviluppo cognitivo dell'individuo

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Essere consapevoli di sé vuol dire essere consapevoli sia dei nostri sentimenti che dei

nostri pensieri su di essi; soprattutto rispetto ai sentimenti negativi potersi dire: “Ecco, ciò che sto

provando è rabbia… è ansia… è dolore…”, può favorire un controllo sano dei suddetti sentimenti

che consente di non farsi trascinare dalla loro pressione e di cercare modi alternativi per gestirli.

Secondo questa teoria dunque le emozioni non hanno una valenza negativa o positiva, ma è la loro

gestione che può renderle positive o deflagranti. Alla base dell'intelligenza emotiva di Goleman ci

sono due grandi competenze: una competenza personale, legata al modo in cui controlliamo noi

stessi, ed una competenza sociale, legata al modo in cui gestiamo le relazioni con gli altri.

Le caratteristiche dell’intelligenza emotiva

L'intelligenza emotiva di Goleman comprende cinque caratteristiche:

- la consapevolezza di sé, che vuol dire autoconsapevolezza sul proprio stato emotivo, ossia
conoscere e saper esprimere i propri sentimenti apertamente e con assertività, conoscere i propri
punti deboli e punti di forza, capire in che cosa si può migliorare e accettare di buon grado le
critiche costruttive; ma essere autoconsapevoli delle proprie capacità vuol dire anche avere
più fiducia in se stessi e sulla possibilità di realizzarsi;

- la gestione del sé, che concerne l'autocontrollo nel riuscire a dominare le emozioni forti e i
turbamenti al fine di incanalarli verso fini costruttivi, nonché l'integrità che si ottiene dalla
trasparenza di un'autentica apertura agli altri dei propri sentimenti, convinzioni, azioni;

- l'empatia, ossia la capacità di percepire e riconoscere i sentimenti degli altri, di sintonizzarsi


emotivamente con loro e adottare la loro prospettiva;

- la motivazione, ossia la capacità di guidare e spronare se stessi al raggiungimento dei propri


obiettivi, diventando con impegno e positività artefici del proprio cambiamento;

- le abilità sociali, dunque gestire bene le emozioni nelle relazioni e saper leggere accuratamente le
situazioni sociali in modo da trattare con efficacia le interazioni, i conflitti, i problemi comunicativi.

Tutte queste componenti ci permettono di rimanere sempre in contatto con il nostro mondo interiore
emozionale e di conseguenza di ritrovare un’armonia con noi stessi, inoltre costruiscono l’essenza

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del successo dei rapporti interpersonali, dell’abilità di leggere le reazioni e i sentimenti altrui, della
bravura nel deviare e risolvere inevitabili conflitti che sorgono in qualsiasi attività umana.

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4 Come esercitare l’intelligenza emotiva in famiglia


E’ chiaro che il modo migliore di esercitarsi è quello di farlo nella quotidianità della vita

reale; l’intelligenza emotiva può essere applicata a moltissimi contesti della nostra vita.

Per prima cosa ogni mattina, potremmo iniziare a porci la seguente domanda: “cosa mi

aspetto oggi?”. Al termine della giornata chiediti come ti sei sentito rispetto a tutto questo, quali

emozioni hai provato, cosa hai imparato.

Pensare alle nostre emozioni come se avessero un determinato peso: immaginiamo di porle

su di una bilancia.

Prima di reagire analizziamo se ne vale la pena utilizzare tutta quella rabbia, sentirci molto

preoccupati ecc.

Attraverso la metafora della bilancia emotiva, valutiamo se ne vale davvero la pena,

riflettendo sul fatto che possiamo avere il controllo della nostra emotività.

Praticare l’empatia6: sicuramente molti di noi preferiscono maggiormente mettersi nei panni

delle persone che stimano, che ammirano. Per una volta iniziamo a metterci nei panni delle persone

che ci creano maggiormente problemi: il nostro capo dal quale ci sentiamo rispettati poco, il nostro

collega che è abituato a parlarci male degli altri e tende a lamentarsi spesso ecc.

Iniziamo a percepire criticità e problemi in termini di opportunità: diamoci la possibilità di

trasformare la rabbia in motivazione, la tristezza in gioia ecc.

6
L’empatia è la capacità di comprendere appieno lo stato d'animo altrui, sia che si tratti di gioia, che di dolore. Il
significato etimologico del termine è "sentire dentro", ad esempio "mettersi nei panni dell'altro", ed è una capacità che
fa parte dell'esperienza umana ed animale.

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Iniziamo a chiederci: quale opportunità c’è in questo problema? Cosa sto imparando? Cosa

dice di me questa situazione?

La relazione emotiva in famiglia

Negli ultimi 20 anni si è assistito ad un’enorme cambiamento nel rapporto comunicativo ed

educativo genitore-figlio.

La progressiva digitalizzazione, la rivoluzione informatica e altri cambiamenti dal punto di

vista culturale hanno avuto un impatto notevole sulle nostre vite, con tutti i pro ed i contro.

Oggi più che mai, il bisogno di un’educazione emotiva7, non è mai stato tanto pressante.

Consideriamo alcune statistiche: negli ultimi decenni, il numero di omicidi tra teen-ager è

quadruplicato e sono triplicati i suicidi. Su un campione di più di duemila ragazzi americani,

valutato su un arco di tempo di un decennio da genitori ed insegnanti, è emerso un progressivo

decadimento delle capacità emozionali.

Cosa significa?

Significa che mediamente i ragazzi sono diventati più scontrosi e irritabili, più depressi e

solitari, più impulsivi e disobbedienti.

Cosa c’è alla base di questo deterioramento?

Alla base di questo deterioramento ci sono agenti estremamente rilevanti: in primis le nuove

realtà economiche che impongono ai genitori di lavorare sempre di più di quanto non facessero le

generazioni precedenti; questo significa che la maggior parte dei padri e delle madri hanno sempre

meno tempo da dedicare ai figli di quanto non lo avessero i loro stessi genitori.

Sempre più famiglie vivono lontane dai parenti, sempre più numerose sono le ore che i

bambini trascorrono davanti alla tv o computer, il che significa che trascorrono meno tempo all’aria

aperta a giocare.

7
John Gottman, Joan Declare Intelligenza emotiva per un figlio, 2018 Mondadori Libri, Milano

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Il fatto che non si insegnino più regole base sull’intelligenza emotiva comporta conseguenze

sempre più gravi.

E’ sufficientemente provato che le ragazze non sanno più distinguere tra sensazioni quali

l’ansia e la fame e siano sempre più predisposte a sviluppare disturbi dell’alimentazione.

In generale, l’incapacità di riuscire a comprendere e vivere angoscia e ansia, porta sempre

più ad utilizzare vari tipi di droghe.

Attraverso una lunghissima esperienza in ambito Clinico, lo psicologo Jhon Gotman, ha

identificato 3 principali stili adottati da genitori che non riescono ad insegnare l’intelligenza

emotiva ai propri figli

1) Genitori noncuranti, che sminuiscono, ignorano o sottovalutano le emozioni

negative dei figli.

2) Genitori censori, che criticano le espressioni di sentimenti negativi e che possono

arrivare a rimproverare o punire i figli per queste manifestazioni emotive.

3) Genitori lassisti, che accettano le emozioni dei figli e si dimostrano empatici, ma

non riescono a offrire loro una guida o porre dei limiti.

Di seguito un esempio; immaginate un genitore (che chiameremo Maria) che si trovi in

ritardo per andare al lavoro perché deve convincere il proprio figlio (che chiameremo Antonio) di

tre anni a recarsi all’asilo, ma lui non vuole e afferma che vuole rimanere a giocare a casa. Quando

la mamma gli dice che tutto questo non è possibile il bambino si butta a terra e inizia a piangere.

Se Maria, fosse stato un genitore con uno stile emotivo “noncurante”, avrebbe potuto dire

ad Antonio che la sua riluttanza di recarsi all’asilo risultava assai ridicola, e che non esiste alcun

motivo di aver paura di andare all’asilo.

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Come genitore “censore”, Maria avrebbe potuto rimproverare Antonio per il suo rifiuto a

cooperare, dicendogli che era stanca e lo avrebbe minacciato di sculacciarlo.

Come genitore “lassista”, lo avrebbe abbracciato e rassicurato, dicendogli che è normale

che lui voglia stare a giocare a casa, ma successivamente non avrebbe saputo cosa fare per portarlo

a scuola.

Cosa fare di diverso? Come agire?

A prima vista un genitore con buona intelligenza emotiva, potrebbe sembrare simile al

genitore non curante, ma a differenza, anziché negare l’emozione, aiuterebbe il proprio figlio a

dargli un nome, gli lascerebbe tempo per stare con quelle sensazioni. Non lo distrae e neppure lo

rimprovera, al contrario fa comprendere al figlio che rispetta i suoi sentimenti e pensa che i suoi

desideri siano validi.

Tuttavia, al contrario del “genitore lassista”, si pongono dei limiti, dimostrando che è

possibile andare oltre le emozioni che il Antonio sta provando e che comunque sarà possibile

tornare a giocare a casa nel pomeriggio.

Sintetizzando, il processo avviene tipicamente in cinque fasi:

1) Essere consapevoli dell’emozione dell’altro.

2) Riconoscere nell’emozione un’opportunità di intimità ed insegnamento.

3) Ascoltare con empatia il bambino.

4) Aiutarlo a trovare parole per definire le emozioni che sta provando.

5) Porre dei limiti, mentre si esplorano possibili soluzioni.

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5 Gli effetti dell’allenamento emotivo


Che differenza potrebbe fare per un bambino avere genitori allenati all’intelligenza

emotiva?

Attraverso l’osservazione di parole, azioni e responsi che le famiglie utilizzano nel tempo si è

notato che in genere questi bambini tendono a godere di una migliore salute fisica, e hanno un

rendimento scolastico migliore.

Inoltre hanno rapporti migliori con gli amici, minori problemi di condotta e sono meno

soggetti a reazioni violente.

Ovviamente anche i figli allenati emotivamente si arrabbiano, sono tristi o si spaventano, ma

hanno una maggiore capacità di ritrovare la calma, riprendersi dalle delusioni, perseverare nelle

attività produttive.

Intelligenza emotiva e criticità relazionali in famiglia

Chiedete agli adulti i cui genitori sono stati infelicemente sposati di descrivere i ricordi della

loro infanzia ed è molto probabile che sentirete racconti di tristezza, amarezza e confusione.

Oppure, i loro genitori appartenevano a quel tipo di persone che “per amore dei propri figli”,

anche se hanno vissuto un matrimonio infelice hanno deciso di non separarsi. In quest’ultimo caso

potrete apprendere quando fosse penoso per il bambino osservare genitori che si ignoravano

completamente oppure litigavano di continuo.

Anche se queste considerazioni possono turbare quei genitori che hanno sperimentato

oppure stanno sperimentando un forte conflitto matrimoniale, si può concepire il tutto come

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opportunità per tutte le coppie indifferentemente se siano sposate o separate, che sono determinate a

migliorare il loro rapporto.

Noi oggi sappiamo che non è il conflitto tra i genitori a nuocere ai figli, ma il modo in cui i

genitori affrontano queste dispute. Inoltre un buon allenamento all’emotività può avere un effetto

protettivo8. Significa che quando i genitori sono presenti nella vita emotiva dei figli, quando li

aiutano ad affrontare i sentimenti negativi, i figli sono protetti da molti effetti dannosi dei contrasti

familiari, divorzio compreso.

Un altro rilevante aspetto da tenere in considerazione è che questo stile di allenamento

emotivo sviluppato dai genitori, si estende anche ad altri contesti di relazioni interpersonali al di

fuori della famiglia, avendo in generale un atteggiamento più predisposto all’empatia e alla

disponibilità a risolvere problemi.

Generalmente, il crollo di una relazione matrimoniale, potrebbe essere riassunta in quattro

prevedibili fasi. Verranno simbolicamente definite “quattro cavalieri dell’Apocalisse” in quanto,

araldo della catastrofe, ogni cavaliere apre la strada al successivo, sgretolando la comunicazione.

Essi sono: la critica, il disprezzo, la relazione difensiva e il muro del silenzio.

Per critica si intendono, i rilievi negativi della personalità del partner, in genere espressi in

modo da biasimarlo e colpevolizzarlo. All’apparenza la critica potrebbe assomigliare alla

lamentela; ma tra lamentarsi e criticare c’è una sostanziale differenza.

Le lamentele, riguardano il comportamento specifico, la critica riguarda l’identità ed il

carattere della persona.

8
J. Gottman, L. Katz, C, Hooven, Meta-emotion 1997

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Es. di lamentela: “quando il venerdì sera esci con i tuoi amici, mi sento sola.”

Es. di critica: “sei un irresponsabile ad uscire tutti i venerdì sera con gli amici! E’ ovvio che

non ti interessi alla famiglia!”

Dunque, se la lamentela esprime un fatto oggettivo, la critica è spesso sinonimo di giudizio

negativo ed implica che si abbia un difetto irrimediabile.

La critica si esprime spesso utilizzando generalizzazioni come “sempre, mai, nessuno,

tutti”.

In genere, studi scientifici, dimostrano che le donne sono più inclini a criticare

maggiormente in quanto sono più inclini a richiamare l’attenzione sui problemi; gli uomini sono più

inclini ad affrontare il conflitto se vi sono costretti. Da tenere in ovvia considerazione che questa

non rappresenta una modalità assoluta ed esiste anche la possibilità che ci siano uomini

particolarmente inclini a criticare spesso e donne che invece affrontano il conflitto solo se costrette.

Il disprezzo, è come una critica, ma estremizzata. Il coniuge che disprezza il partner tende

volutamente a insultare e ferire psicologicamente l’altro.

Da dove nasce il disprezzo?

Il disprezzo nasce dal disgusto e dalla volontà di vendicarsi. Quando si prova disprezzo ci

riempiamo la testa di idee meschine. Nel matrimonio, più si percorre questa strada e più è difficile

ricordare le qualità che ci sono apparse attraenti nel coniuge. Col tempo, apprezzamenti, pensieri

affettuosi e gesti di tenerezza, volano dalla finestra.

Indizi tipici del disprezzo sono le offese, lo scherno anche in pubblico.

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Tipico comportamento è quello di correggere grammaticalmente le frasi d’ira dette dal

coniuge; evidenti anche i segni di comunicazione non verbale, come voltare le spalle, ridacchiare,

sbuffare ecc.

Quando un coniuge si sente attaccato con insulti, assume naturalmente un atteggiamento

difensivo (discorso a parte per individui con struttura di personalità di tipo “dipendente” o

“passivo-aggressivo”).

Quando ci difendiamo, in genere mettiamo in atto due meccanismi di difesa che sono: la

negazione (negando dunque ogni responsabilità) e la deresponsabilizzazione (attribuendo ad altre

persone o circostanze ambientali la causa del nostro comportamento).

La reazione difensiva può manifestarsi anche attraverso la comunicazione non verbale e

quella para-verbale: piagnucolare o alzare la voce, incrociare braccia, toccarsi naso o il collo.

La chiave per abbandonare questo atteggiamento difensivo è ascoltare le parole del coniuge

non come fossero in attacco, ma come informazioni espresse in termini molto forti.

Quando i partner non riescono a raggiungere un valido accordo, è probabile che incontrino il

quarto cavaliere: il muro del silenzio.

Questo capita quando un coniuge si chiude nel muro del silenzio, e circa l’85% delle volte

pratica questa modalità l’uomo: il dato non è sorprendente perché sembra che gli uomini reagiscano

psicologicamente in maniera più estrema alla tensione.

Interrogati sui loro comportamenti, questi uomini hanno affermato che innalzano il muro del

silenzio per rimanere “neutrali” e non come un comportamento per danneggiare il matrimonio.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Questi uomini spesso non hanno compreso che le loro mogli hanno interpretato questo silenzio

come disinteresse, presunzione e indifferenza. A prescindere dalle intenzioni positive di neutralità,

studi scientifici dimostrano che l’atteggiamento di silenzio di fronte a difficoltà coniugali crea

problemi.

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6 Strategie d’intervento: costruire un sostegno


emotivo
Talvolta, i coniugi in preda alla collera, tendono a sfruttare la relazione genitore-figlio per

offendersi reciprocamente. Ad esempio accade spesso che dopo un divorzio, uno dei coniugi tenti

di limitare all’altro la possibilità di vedere la prole. Il problema è esacerbato quando ad esempio un

padre in risposta a tale atteggiamento non offre loro il sostegno economico necessario.

Un’altra modalità è quella di parlare male dell’altro coniuge ai propri figli, oppure

chiedergli “a te piace stare più con mamma o con papà?”.

Personalmente ritengo che azioni del genere siano di quanto più dannoso si possa fare

proprio in modo paradossale, proprio nei confronti dei figli. Il rischio è creare un permanente clima

angoscioso nel figlio che magari ama entrambi i genitori; inoltre il figlio potrà sentirsi impotente,

confuso e scoraggiato.

In realtà, la maggioranza dei figli ha bisogno di entrambi i genitori, soprattutto quando sta

cercando di fare i conti con gli sconvolgimenti prodotti da tali conflitti. Quando un coniuge usa un

figlio come palla per colpire l’altro, è il figlio a perdere la partita.

Quando i genitori sperimentano in alto grado di tensione matrimoniale, non è insolito che i

figli, specialmente gli adolescenti, si distacchino dalla famiglia e cerchino sostegno emozionale

altrove.

Possono iniziare con il trascorrere più tempo con i compagni o nei loro hobby; possono

affezionarsi a famiglie di amici con modalità comunicative più efficaci e serene.

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Purtroppo però, alcuni ragazzi non riescono a trovare questo nell’ambiente che li circonda;

possono correre il rischio di essere trascinati da vortici malsani, frequentando compagnie devianti e

usare droghe.

Perciò, soprattutto nei periodi di tensione familiare, è molto importante prestare attenzione

agli amici ed interessi dei propri figli; magari confrontarsi con gli insegnanti, allenatori, amici di

famiglia, parenti.

Insomma, fate in modo che vostro figlio sia circondato da adulti fidati, e al tempo stesso si

senta comunque libero di esprimersi e non controllato o oppresso.

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Bibliografia
 Panksepp, J., Biven, L., The Archeology of Mind. Neuroevolutionary Origins of Human
Emotions, New York., W. W. Norton & Company 2012. (Tr. It. Archeologia della mente.
Origini neuroevolutive delle emozioni umane. Milano, Cortina, 2014.)
 Ekman, P. (2008). Te lo leggo in faccia. Riconoscere le emozioni anche quando sono
nascoste. Editore Amrita, collana Scienza e Compassione
 Goleman, Intelligenza emotiva, 2015
 John Gottman, Joan Declare Intelligenza emotiva per un figlio, 2018 Mondadori Libri,
Milano
 articolo accademico di P. Salovey John D. Mayer 1990 Emotional Intelligence
 J. Gottman, L. Katz, C, Hooven, Meta-emotion 1997

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