Sei sulla pagina 1di 2

LA ROVINA

Nelle arti, come poesia, pittura e persino scultura, l’ispirazione artistica assorbe, ingloba il materiale
all’interno dell’opera: a processo ultimato resta visibile solo l’opera e la materia quasi scompare in essa. A
differenza delle arti in cui la materia è passivamente a servizio della volontà dello spirito (dell’artista), in
architettura la materia è attiva nell’animo dell’architetto poiché lo vincola a coglierne i suggerimenti
impliciti nella propria essenza, cioè nelle proprie caratteristiche meccaniche; di queste egli deve tener conto
durante il processo creativo. In questo caso la vittoria dello spirito sulla natura garantisce una condizione
d’equilibrio in cui la tendenza del primo verso l’alto è resa possibile dalla resistenza del materiale alla forza
di gravità.
Mentre nelle altre arti lo spirito sottomette la natura al proprio volere, tramite l’architettura lo spirito da un
lato dà forma alle masse e alle forze più tipiche della natura (assecondandola), dall’altro esprime un’idea.
Quando la costruzione va in rovina la decadenza distrugge la sua forma, quell’equilibrio che rende unica
l’architettura viene meno e la natura torna a prevalere sullo spirito che l’ha precedentemente plasmata a
suo piacimento: la rovina segna il ritorno dalla pace al conflitto tra spirito e natura.

Nelle arti la frammentarietà dell’opera compromette la sua unità estetica, che può essere ricostruita solo
nell’immaginazione dell’osservatore a partire dalla visione dei resti. Diversamente accade in architettura
poiché sulle rovine incombe la natura e dalla commistione tra ciò che resta delle forme architettoniche e le
crescenti forme della natura ne scaturisce una nuova unità caratteristica. Questa però è caratteristica
solamente delle rovine, ovvero solo delle costruzioni la cui distruzione è causata da accidenti naturali, che
diventano ora espressione dell’intersezione tra finalità umana e inconsapevole forza della natura.
L’uomo non distrugge la costruzione ma lasciandola andare in rovina lascia che sia la natura a farlo, perciò
con questa passività positiva l’uomo diventa complice della natura contraddicendo la propria essenza, cioè
quella di dominarla, di sottometterla. Allora il fascino della rovina abbandonata sta nella sua percezione in
quanto opera dell’uomo prodotta dalla natura.

La volontà dello spirito umano dirige la costruzione dell’architettura verso l’alto, mentre la forza meccanica
della natura, sopprimendo la materia che vi resisteva passivamente (equilibrio), la trascina verso il basso
(squilibrio). Tale forza della natura rendendo l’opera rovina, a meno che non la riduca ad un cumulo di sassi,
la rende materiale a servizio passivo della propria espressione formale, esattamente come l’arte si serve
della natura in quanto materia per la formazione di opere: invertito il quadro iniziale, è come se la natura si
vendicasse sullo spirito sottomettendone il proprio prodotto, cioè l’opera d’arte, e trasformandolo in
materia di cui servirsi a sua volta. Dunque con la rovina viene capovolto l’ordine cosmico secondo il quale
nella natura si identifica un mezzo e nello spirito l’elemento formativo e dove il primo è soggetto al
secondo.

Laddove la natura si impadronisca del prodotto umano nasce un nuovo significato estetico. Ad esempio, la
trasparente patina (elemento involontario) che si forma naturalmente e casualmente sulle superfici delle
opere (espressione della volontà umana), ricoprendole completamente conferisce a queste nuova
espressività e bellezza estetica senza comprometterne l’unità. L’esempio della patina che migliora l’opera
preannuncia in maniera attenuata alla distruzione della forma spirituale per mano della forza della natura,
cioè il ritorno dell’opera umana alla natura: l’architettura nasce dalla terra, arriva al culmine quando in
vetta e per una breve fase intermedia vi rimane, ma alla fine ritorna sempre a terra; ancora, pur essendo
prodotta dallo spirito nell’opera non è mai stata eliminata l’ultima traccia che la identificava come natura, e
questa non avendovi mai rinunciato ora se ne riappropria esercitando un diritto legittimo. Perciò la
distruzione non è nulla di così assurdo, è un evento tragico ma non triste, poiché consiste nella
concretizzazione di una possibilità insita nella costruzione già prima di diventare rovina.
Allo stesso modo patologie psichiche, malattie, vecchiaia e tutto ciò che conduce alla morte, sono insite
nell’essere umano, che come la costruzione è portato dalla commistione tra tendere verso l’alto e
sprofondare verso il basso allo stato di rovina, altresì ad un’esistenza puramente naturale e di pace. Quindi
come rovina l’uomo non è tragico quanto triste.
Proprio esprimendo questa condizione di pace la rovina si adegua sempre più all’atmosfera del paesaggio
circostante: come un antico tessuto un tempo si caratterizzava per eterogeneità cromatica, oggi invecchiato
e consumato appare omogeneo (sbiadito), così la rovina sottoposta per lungo periodo ad agenti atmosferici
e all’incalzare della vegetazione tende all’omogeneità con la campagna. Perciò è chiaro che se la rovina è
espressione di pace è perché la ritrovata, e quindi pacifica, unità di coappartenenza, da un lato alla
campagna e dall’altro alla costruzione, pone fine al conflitto tra natura e spirito.

Ritornando al conflitto tra natura e spirito questo ha luogo soprattutto nell’anima umana, poiché questa è
in parte spirito (aspirazione all’alto) e in parte natura (elemento cupo e basso). Le due forze che si
contrappongono in questo conflitto danno continuamente forma all’anima senza mai giungere a condizioni
d’equilibrio, una volta prevale l’una, una volta prevale l’altra, e poiché nessuna decisione attuale si confà
sempre alle esigenze future non è possibile una soluzione definitiva, perciò l’anima predilige questa forma
inconclusa.

Nell’interminabilità del processo etico (conflitto nell’anima) viene individuata la ragione di un altro
conflitto, quello fra natura estetica e natura etica: l’intuizione estetica richiede la sospensione del conflitto
etico, che invece è continuamente alimentato dall’animo. Ogni forma è determinata da spirito e natura, che
si prevalgono alternamente a seconda del caso. La profonda pace che circonda la rovina è in grado di
congiungere l’eterno squilibrio dell’anima con l’appagamento formale dell’opera d’arte. E laddove in una
rovina non sia percepibile la sua tendenza verso l’alto, e quindi non sia riconducibile alla volontà dello
spirito, allora la sua pacificità viene attribuita al suo carattere di passato, che sarà sempre intuibile: la rovina
la forma presente di un passato sfumato, pertanto ne è testimonianza.
Al cospetto di una rovina entrano in gioco energie assai profonde dell’anima, che ora coinvolge nell’unità di
godimento estetico sia la visione corporea sia la visione spirituale: dinanzi alla rovina tutti i conflitti tra
spirito e natura, finalità (umana) e accidente (naturale), passato e presente, sospendono le loro tensioni
conducendo all’unità d’immagine. Dunque nella decadenza si incontrano tutte le forze e le correnti fra loro
antagoniste e, forse, il suo fascino risiede proprio nella sua capacità di oltrepassarle.

Potrebbero piacerti anche