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Termini da “COSTELLAZIONI” lemmario di benjamin.

ALLEGORIA
Quella di allegoria è la categoria fondamentale dell’estetica di Benjamin. Troviamo i suoi presupposti teorici nella
seconda parte di “Dramma barocco tedesco” e nel saggio “Sulla lingua in generale e sulla lingua dell’uomo”.

IL SIMBOLO L’ALLEGORIA
È il <nome> adamitico, che mantiene le cose in rapporto Il <segno> post-adamitico derivante dal peccato
simbiotico originale, avente con le cose un rapporto di
iper-denominazione astraente, di tipo distruttivo.
Letteralmente syn (insieme, con) ballo (mettere), Letteralmente allo (altro) agoreuo (parlo, esprimo),
ovvero, congiungere, sposare, mettere insieme. parlo d’altro.
Richiama l’idea di bellezza, pienezza, chiarezza, totalità e Esibisce baroccamente il suo statuto anticlassico di
organicità. brutto, enigmatico, frammentato e disorganico.
Si identifica con l’arte con Aura*, svaluta l’allegorico a Porta una nuova sensibilità artistica, dotata di autonoma
non-arte priva di aura. valenza estetica.
Artista “creatore alato” di un Novum, illuminato dalla Artista “sperimentatore profano” dedito a scomporre e
luce eterna dell’idea. ricomporre frammenti di un mondo in rovina.
Manifesta il volto trasfigurato e luminoso. Manifesta il volto ipocrita, ed ha significato solo nel suo
decadere.

L’allegoria non si unisce in sintonia traduttiva con le cose, ma tradendole, tramite esse parla di altro. Per esprimere un
significato a loro estraneo le manda in pezzi, smonta e rimonta.

Essa è un anti-arte che, abbandonata ogni nostalgia per l’ Aura* del simbolico, introietta lo Choc* Allegorico come
arma, anche politica, con cui partecipare nel segno del NichilismoMessianico* a una positiva catastrofizzazione
apocalittico - rivoluzionaria della storia.

In definitiva, l’allegoria per Benjamin, significa qualcos’altro da ciò che è. È bruttezza che può ribaltarsi in
nuova bellezza, frammento in nuova totalità, distruzione in redenzione. È la forma critica di un anti-arte
che, mandando in rovina aure antiche e sprofondando nel profano della storia, della politica e della tecnica,
può ribaltarsi nella nuova arte della rivoluzione.

ARTI E MEDIUM
L’idea di Benjamin è che il senso di ciascun Medium* possa emergere on tanto da un esame individuale quanto
piuttosto da una situazione comparativa. Troviamo così una serie di comparazioni:

Pittore e cameraman, espressa anche dalla polarità mago-chirurgo, dove i primi osservano ad una distanza naturale e i
secondi penetrano profondamente il tessuto di dati, con come risultati immagini differenti. Quella del pittore è totale,
quella dell’operatore è multiformemente frammentata e le sue parti si compongono secondo una legge nuova.

La pittura non è in grado di proporre l’oggetto alla ricezione collettiva simultanea, mentre per architettura e film ciò
non è mai stato un problema.

La scultura produce opere tutte d’un pezzo e non correggibili, il cinema al contrario è un medium continuamente
migliorabile, composto da moltissime scene, che a loro volta possono essere girate infinite volte, tra cui il montatore
può scegliere.

In questi e in altri paragoni si delinea una critica comparativa delle arti e dei media che consenta agli elementi
strutturali di ciascuna forma di illuminarsi reciprocamente nelle proprie possibilità e limiti.
AURA
È il carattere individuale, di unicità dell’opera d’arte rispetto alle sue possibili riproduzioni nell’epoca della
sua fruibilità di massa. L’hic et nunc che viene a mancare quando il pellegrinaggio del fruitore per contemplare
l’opera in situ (opera che continuerà a guardarlo da lontano, per quanto gli si avvicini, incutendogli rispetto e
soggezione) si inverte nella distribuzione di un numero potenzialmente infinito di copie che si rendono disponibili,
manipolabili, facendosi alla mano e andando incontro al pubblico fino all’urto e allo Choc*.

Essa è un singolare intreccio di spazio e tempo. “Se la traccia è l’apparizione di una vicinanza, per quanto possa essere
lontano e distante ciò che ha lasciato essa dietro di sé. L’aura è l’apparizione di una lontananza, per quanto possa
essere vicino ciò che essa suscita. Nella traccia noi facciamo nostra la cosa; nell’aura essa si impadronisce di noi.

CHOC
Il gesto, volto ad annullare rapidamente tutta la distanza con il fruitore, esso si contrappone alla distanza dell’aura.

Da Baudelaire (il poeta traumatizzato e traumatofilo) agli sviluppi in tutti gli ambiti artistici della prima metà del
novecento, l’opera diventò un proiettile diretto verso lo spettatore. Assume qualità tattile, provocando con l’oscenità,
la degradazione, il cascame, uno <spietato annientamento dell’Aura> e delle modalità ottico contemplative di
ricezione.

La potenza esplosiva del cinema è quella forma espressiva che al contempo eredita i risultati delle forme precedenti e
le innalza su un piano tecnico che consente soluzioni inedite e possibilità di manovra incomparabili. Tanto per la sua
forma di Montaggio*, quanto per i suoi contenuti, la messa in scena della Violenza*, sistematica e tuttavia innocua
(tipo Disney). Il cinema si presenta all’uomo contemporaneo come una vera e propria palestra per imparare a parare
gli urti e a gestire gli stimoli.

ESPERIENZA
Benjamin, usando questo termine mira ad una conoscenza gnoseologica pura, che trascenda i concetti di soggetto e
oggetto. Vuole liberarla dal solo ambito delle scienze naturali, aprendola a storia, religione, giurisprudenza e arte.

L’esperienza vive nel linguaggio, ha una sua concretezza ed è in divenire storico.

Rifiuta il termine Erlebnis , traducibile con la perifrasi <esperienza vissuta>, che colpisce come uno Choc*. L’Erlebnis è
un tentativo di impossessarsi della “vera” esperienza (l’ Erfahrung) in contrasto con quella che si deposita nella vita
regolata e denaturata delle masse organizzate.

L’Erfahrung cui Benjamin fa riferimento è un fatto di tradizione, non consiste di singoli eventi esattamente fissati nel
ricordo, quanto di dati accumulati spesso inconsapevolmente, che confluiscono nella memoria e sono accessibili solo
al ricordo involontario e nella narrazione.

Benché non si stanchi di diagnosticare l’atrofia progressiva dell’esperienza nel seno della metropoli capitalista, invece
di cercare nella mitizzazione dell’Erlebnis un improbabile antidoto alla modernità, introduce un nuovo positivo
concetto di barbarie.

Il Barbaro della povertà dell’esperienza è indotto a ricominciare da capo, iniziare di nuovo, farcela con poco. Affine al
carattere distruttivo, conosce solo una parola d’ordine “creare spazio”, una sola attività “fare pulizia” e cancella
perfino le traccie della distruzione.

Benjamin mette alla prova i limiti della filosofia attraverso l’esperienza.


ESTETIZZAZIONE DELLA POLITICA, POLITICIZZAZIONE DELL’ARTE.
Sul rapporto tra questi ultimi è incentrato l’ultimo paragrafo de “l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità
tecnica”.

Per Benjamin fascismo e nazismo operano in direzione di un estetizzazione della vita politica, che offra alle masse
proletarizzate la possibilità di esprimersi attraverso un diritto, senza che i rapporti di proprietà siano trasformati. I
cinegiornali hanno un ruolo particolare nel processo di spettacolarizzazione dell’ esistente, poiché alla riproduzione in
massa è particolarmente favorevole la riproduzione di masse; i regimi danno spettacolo alle masse, che contemplano
adorando, la riproduzione spettacolarizzata che la massa ha di se stessa.

La passiva contemplazione del proletariato si sostituisce alla sua azione distruttiva, impedendone il Risveglio* e
prolungandone il sogno. Trasforma i rapporti di dominio in spettacolo. Il capitalismo è una macchina di
Fantasomagoria* che promuove il dominio delle merci, le quali a loro volta chiedono di essere oggetto di diverse
forme di culto tra cui la moda costituisce il paradigma. (secondo Agamben “consumo” e “esibizione spettacolare” sono
due facce dell’impossibilità di usare. In riferimento al capitalismo, l’estetizzazione può essere concepita come
l’organizzazione complessiva delle forme di culto che lo riguardano.
Secondo Guy Debord “Lo spettacolo è il cattivo sogno della società moderna incatenata, che non esprime in definitiva
se non il desiderio di dormire”.

L’obbiettivo ultimo è l’estetizzazione della guerra, che concilia la frattura tra immani mezzi di produzione e
l’insufficienza del loro utilizzo all’interno del processo di produzione, creando un mercato di sbocco e alleviando la
disoccupazione.

L’arte non può costituire in se una forma di resistenza, basti vedere l’analogia tra immagine votiva e immagine
pubblicitaria, oppure il “manifesto” di marinetti, sintetizzabile con “La guerra ha la sua bellezza”, che esprime con
chiarezza come le masse siano sufficientemente alienate da esse stesse, tanto che l’umanità <può vivere il proprio
annientamento come uno spettacolo estetico di prim’ordine>.

Il <comunismo> attraverso il mutamento dei rapporti di proprietà, può condurre a uno spostamento a favore della
Seconda Tecnica*, con una <politicizzazione dell’arte> aperta ad uno spazio di GIOCO. <non dominio della natura, ma
dominio del rapporto uomo-natura>.

Benjamin è a favore di una presa di posizione con le immagini, nella direzione di un articolazione che le restituisca
all’uso libero dell’uomo, strappandole al consumo e all’esibizione spettacolare (come con il montaggio*). Bisogna
operare nel senso di una profanazione delle immagini, relegate in una sfera religiosa e inutilizzabile per l’uomo dal
capitalismo.

FANTASMAGORIA
Il concetto di fantasmagoria mette a fuoco il valore sensibile della merce, che sfuggiva alle categorie marxiane valiore
di scambio e valore d’uso.

Essa indicava l’arte di far vedere fantasmi attraverso l’illusione ottica proiettata da una lanterna magica.

Essa non è la mera falsa conoscenza del discorso ideologico, ma ideologia materializzata in spazi, oggetti e
pratiche, che diventano oggetti di contemplazione compiaciuta, mentre spetta ai materialisti l’abbandono
di quest’atteggiamento placido e contemplativo.
Le esposizioni universali, sono il luogo dove il carattere fantasmagorico del capitalismo emerge più chiaramente, dove
la merce subisce a una vera e propria trasfigurazione, che incanta e seduce il consumatore. Blanqui insegna <l’umanità
sarà in balia di un angoscia mitica finche la fantasmagoria avrà posto in essa. Bisogna spezzarla in un mucchio di
elementi mitologici, profanandoli e utilizzandoli per nuovi scopi.
IMMAGINE DIALETTICA
In Benjamin <Bild>, immagine, non rinvia all’ambito della visione o della rappresentazione, ma alla sfera linguistica.

Secondo lui, un immagine può essere definita dialettica, quando in essa convivono plasticamente momenti opposti
senza che questa opposizione venga però risolta in sintesi superiore; non è dicotomia sostanziale ma bipolare e
tensiva.

Le principali immagini di questo tipo sono: la Merce che è anche feticcio, i Passages che sono casa e strada, la puttana
che è insieme venditrice e merce.

Esse operano come un antidoto al concetto di progresso, agendo come allegoria e mostrando la faccia ipocrita della
storia come “irrigidito paesaggio originario” . (carattere critico-distruttivo)

Conferisce maggiore trasparenza alla storiografia materialista, grazie alla concomitante tecnica del montaggio. E
garantisce la “superiore attualità” del passato che è oggetto d’indagine. La miglior configurazione del passato spetta
all’immagine in cui la comprensione lo riconosce e lo colloca.

INCONSCIO OTTICO
Questa nozione si riferisce alla visione elaborata inconsciamente da una macchina, anziché consciamente dall’occhio.
La macchina da presa con, il suo salire, scendere, interrompere, isolare, ampliare o contrarre il processo, col suo
ingrandire e ridurre, rivela queste prospettive inedite sul mondo, inaccessibili alla visione naturale, chiamate
inconscio ottico.

Questo insorgere non porta con se solo un ampliamento conoscitivo, ma anche senso di spaesamento, di
inquietudine, di estraniazione, con un peculiare senso di vicinanza e lontananza.

Se grazie ai nuovi dispositivi il mondo diventa più vicino (meno ignoto, più esplorato in recessi prima improponibili), il
soggetto sembra invece allontanarsi da se stesso, come dimostra il senso di inquietante estraneità che ci coglie ogni
qualvolta ascoltiamo la nostra voce registrata.

Parallelamente a inconscio ottico e acustico, pone un freudiano inconscio pulsionale (freud dice che l’arte è lo spazio
in cui comporre i conflitti, individuali e collettivi). Benjamin interpreta il cinema come un dispositivo atto ad assicurare
una terapia auto-immunizzante contro le psicosi di massa caratteristiche della modernità, per il modo in cui la nostra
coscienza gli reagisce, parando gli stimoli pericolosi e trasformando l’Esperienza* traumatica, in esperienza vissuta.

Con il ripetuto ricorso a scene choccanti ma mai letali, le gag dei film comici americani così come i cartoni della disney
promuovono una “deflagrazione terapeutica dell’inconscio” e favoriscono “la tendenza ad accettare tranquillamente
la bestialità e l’atto violento come fenomeno concomitante dell’esistenza”.
INNERVAZIONE
Innervazione, Training, Esercizio, Prestazione, Test, sono i termini attraverso cui benjamin analizza il rapporto tra
corpo umano e tecnica, tra organi percettivi e apparecchiatura, mentre si interroca sulle condizioni di un uso non
alienante della tecnica.

L’innervazione indica il processo di distribuzione dei nervi attraverso tessuti della pelle e muscoli; ma anche la
trasmissione ai diversi organi corporei attraverso il sistema nervoso, di un impulso che si manifesta esteriormente in
termini motori o verbali.

Benjamin impiega quest’idea di penetrazione e trasmissione per descrivere diversi casi in cui il corpo umano arriva a
connettersi con strumenti e apparecchi tecnici di diversa natura. La relazione può essere “innervazione recettiva” o
“innervazione creativa”.

Benjamin ripercorre la diffusione per il mondo di apparecchi, promotori di sensazioni brusche e frammentarie, che nel
loro insieme producono varie forme di choc e di <innervazioni in rapida successione>, sottomettendo il sensorio
umano a un <training di ordine complesso>.Il cinema serve a Esercitare l’uomo in quelle appercezioni, determinate
dall’uso dell’apparecchiatura, il cui ruolo cresce quasi quotidianamente nella sua vita.

Lo studio cinematografico è il luogo dove l’apparecchiatura tecnica onnipresente tenta di rendersi invisibile, tanto che
l’idea dell’aspetto del corpo mentre non si gira, è il risultato di un particolare procedimento. Questo è il luogo dove sia
lo spettatore, sia l’attore possono passare con l’apparecchiatura, da un rapporto di asservimento, ad un rapporto di
liberazione.

Lo spettatore esposto agli choc sensoriali, scopre regioni del visibile che sono nel loro insieme un inconscio ottico.
L’attore ha la possibilità di poter mostrare di saper mantenere la propria umanità dinnanzi all’apparecchiatura.

JETZTZEIT
Quella di jetztzeit è la categoria temporale centrale nella concezione di Storia* di Benjamin. Essa è formata dalle
parole “ora”,”adesso” e “tempo”, “epoca”; Possiede un doppio e profondo radicamento nel presente ed una
irriproducibilità quasi inafferrabile. Un “ADESSO O MAI PIÙ”, concentrato di eventi, che lascia sottintendere uno stato
di emergenza e presuppone da parte dello storico, una peculiare vigilanza e prontezza di spirito.

Può essere considerata secondo le tre prospettive: gnoseologica, politica e teologica.

In termini gnoseologici la Jetztzeit mira a scardinare la sequenza cronologica o teleologica passato-presente-futuro. Lo


storico deve essere in grado di interrompere e arrestare ogni continuum temporale, non considerando il passato come
un fatto stabile, bensì come un immagine che si ricrea di volta in volta, in rapporto di contingenza con il presente, per
la salvazione del passato.

In termini politici, il materialista è storicamente schierato, nella consapevolezza che nessuna storia può dirsi neutra e
oggettiva, pone la sua attività al servizio della lotta di classe e nella Jetztzeit di un conflitto concreto, con un nemico
concreto, che minaccia adesso, deve saper elaborare hic et nunc una strategia storiografica in grado di distruggere le
immagini del passato prodotte dal suo avversario.

Teologicamente, lo Jetztzeit dello storico materialista è un apocalittico “ogni secondo”, una piccola porta attraverso
cui può irrompere il messia. Un attualità ad altissima densità eventuale, in cui tutto, ogni momento, può essere
rimesso in discussione dall’arrivo di un messia-rivoluzione.

Jetztzeit è quella temporalità concentrata assolutamente attuale, in cui conoscenza, politica e


teologia della storia si intrecciano produttivamente nell’arresto del continuum. Cogliere al volo tale
chance è il successo dello storico, lasciarselo sfuggire, il suo fallimento.
MEDIUM, APPARAT E APPARATUR
I due termini tedeschi, traducibili come “medium” e “apparecchio/apparecchiatura” sono i cardini della teoria dei
media Benjaminiana, che analizza il ruolo giocato dai diversi mezzi tecnici di registrazione, elaborazione e trasmissioni
di immagini, suoni e segnali. Macchine che hanno rivoluzionato le coordinate dell’esperienza sensibile umana,
riorganizzando il medium della percezione.

Medium è il modo secondo cui si organizza la percezione umana, ma anche il medium in cui essa ha luogo.

Medium è un ambiente o milieu sensibile, che viene costantemente riconfigurato da una serie di tecniche, apparecchi
o dispositivi.

Apparat è il termine analogo, ma riferito ad esempio al cinema, in quanto apparecchio in grado di svelare immagini di
Inconscio Ottico*.

Medium viene usato anche per indicare il colore, puro, accidentale privo di sostanza. Per indicare la realtà della lingua,
non come mezzo comunicativo ma come regione di ontologica. Per indicare come l’opera d’arte “centro di riflessione”
che si forma essa stessa in un arte, concepita come “Medium della riflessione”. Per indicare il modo [medium] in cui l’
opera d’arte influisce sulle epoche successive.

L’aura è un medium, poiché non è altro che, una delle densità atmosferiche, storicamente variabili e legate
all’evoluzione complessiva dell’apparatur del medium della percezione.

MONTAGGIO
Indica l’assemblaggio delle parti di un meccanismo, ma gia negli anni dieci, i dadaisti berlinesi, tra cui George Grosz,
ritagliano e incollano in modo caotico fotografie riprese da giornali e riviste, dando vita al fotomontaggio. Nel cinema
indica come pezzi di pellicola vengono composti al fine di mettere in sequenza fotogrammi e inquadrature. (utilizzato
da avanguardie e teatro Brechtiano)

Benjamn lo utilizza come principio trans mediale, capace di manifestarsi dalla fotografia alla radio, dalla letteratura, al
teatro, al cinema, alla pittura e in tutti quei casi in cui una nuova forma logica fondata sulla messa in relazione di
frammenti prevale sulla ricerca di una forma dotata di una sua totalità e compiutezza. Individua nel
montaggio il metodo della critica materialista, fondato sull’ interruzione e la messa in relazione di rovine.
Il montaggio è la base dell’apparat che è il cinema, dove l’attore con la sua prestazione può vendicare la condizione di
masse costrette a “spogliarsi della propria umanità negli uffici e nelle fabbriche per la durata della giornata
lavorativa”… affermando la sua umanità nei confronti dell’apparecchiatura e assoggettandola al proprio trionfo.

Benjamin riflette sull’utilizzo storico del principio del montaggio, per fondare un nuovo approccio alla storia, alla critica
e alla cultura, di tipo anti-storicistico e di stampo materialistico.

NARRAZIONE
Il tema della narrazione, è affrontato nel saggio Il narratore. Considerazioni sull’opera di Nikolaj Leskov. Dove è chiaro
che tanto più tendiamo ad avvicinarci alla figura del narratore, tanto più ci confrontiamo con la sua distanza da noi.

LA NARRAZIONE IL ROMANZO
È legata alla capacità del singolo di fare e scambiare Isolamento, sradicamento, perdita della capacità di fare
esperienze[Erfahrung], alla memoria, all’oralità, all’ esperienza(mutazione dell’Erfahrung in Erlebnis o
orientamento pratico, al dare e ricevere consiglio, alla “esperienza vissuta”), incommensurabilità dell’esistenza,
possibilità di dare forma organica alle conoscenze, alla disorientamento del singolo.
vita in comunità, alla capacità di ereditare e familiarità
con i concetti di eternità e morte.
Benjamin è testimone del venir meno di tutti questi aspetti della vita, della parola e della formazione, per come le
forze produttive storiche hanno espulso la narrazione dall’ambito del discorso vivo, facendo percepire la bellezza di ciò
che svanisce e cade in pezzi.

Il fatto che sempre più letteratura abbia a che fare con l’ <insufficiente> che <diventa evento> è riconoscibile nel
diffondersi prima del romanzo, poi dell’informazione. Subentrano: al posto del “meraviglioso” il “plausibile”, al posto
della libertà di interpretazione stringenti indicazioni di lettura, al posto del coinvolgimento di storie sulla terra natia o
viaggi in terre lontane, interesse sempre più esclusivo per l’informazione che offre un <aggancio immediato>.

L’informazione è la materia secca di cui si nutre l’interesse bruciante del lettore. Al contrario la narrazione non si può
consumare e si genera mentre si fruisce, perché continua a depositarsi lentamente in un processo di formazione che
non è individuale ma legato alla comunità.

Qui però introduce il nuovo positivo concetto di barbaro dell’esperienza, che tende a ricominciare da capo, con spinte
culturali anti-narrative e anti-esistenziali, una nuova architettura, la fotografia e il montaggio cinematografico.

NICHILISMO MESSIANICO
Si tratta di un concetto paradossale che racchiude gli opposti di catastrofe e redenzione, distruzione e salvezza,
potenza annichilente e potenza redentiva. Non l’esito di uno sviluppo immanente ma trascendenza che irrompe nella
storia e la trafigge, il messia arriva all’improvviso e la storia stessa perisce.

Non Bisogna però indugiare nell’attesa e per accelerare l’irruzione del salvatore come distruttore, serve un surplus di
distruttività, un attivismo nichilista, anarchico nei confronti della storia, della cultura e della politica.

Ricercare attivamente la felicità sulla terra può favorire (benché non determinare) l’approssimarsi della fine
messianica. Annichilire ogni ordine mondano che, nella sua stabilità, frena e dilaziona l’evento catastrofico e opprime
il vivente.

In arte quest’idea di salvifica distruzione è racchiusa nell’allegoria, la novità del montaggio e il ruolo sovversivo che
l’artista deve svolgere. Mentre lo storico deve utilizzare la teologia per distruggere la fasulla compattezza fattuale
della “storia dei vincitori”, offrendo redenzione a gli oppressi del passato nell’attimo[Jetztzeit] del presente.

Serve fare pulizia di ogni comodo adagiarsi nelle certezze della tradizione, ridurre l’esistente in macerie ma non per
amore delle macerie, ma della via d’uscita che le attraversa, come i barbari distruttivi del primo novecento, Klee,
Brecht, Loos, Le Corbusier, che della cancellazione della vecchia Kultur e del radicalmente nuovo hanno fatto la loro
causa. Distruttiva è la risata con cui costoro guardano ai feticci dell’era borghese.

NUDA VITA
La nuda vita è per Benjamin, pura e semplice <esistenza>. Traducibile con “mera vita” è ciò che rimane della vita
dell’uomo una volta che è stata elusa la domanda sulla giustizia nella vita, ed essa non ha nulla di differente rispetto al
semplice esserci di un vegetale.

Falsa è la tesi di Kurt Hiller che l’esistenza sarebbe superiore all’esistenza giusta, se esistenza non vuol dire altro che
nuda vita. La giustizia non riguarda però la politica, che è ridotta ad amministrazione violenta del diritto.

Nelle pagine di “Per la critica della violenza”, la <Violenza* mitica> del diritto è lo strumento attraverso cui lo Stato
esercita il potere e detiene il monopolio. Al fondamento di qualunque stato di diritto sta la rinuncia dei suoi membri
all’esercizio della violenza che rimane appannaggio appunto dello Stato. Nell’esercizio della pena di morte, il diritto si
manifesta più che in ogni altro diritto giuridico ed allo stesso tempo si avverte il carattere guasto del diritto. Da un lato
il diritto si conferma, sospendendosi attraverso l’esercizio della pena, dall’altro il reo si svela come “nuda vita” oggetto
di <violenza mitica>.

La condizione di colpa e l’impostazione di limiti sono consustanziali all’esistenza del diritto.


La polizia invece ha il compito di conservare e costruire il diritto attraverso la violenza (mitica), <in essa è soppressa la
divisione tra violenza che pone la legge e violenza che conserva la legge>. Con il fine della conservazione del diritto la
polizia può sospendere il diritto stesso o dichiarare lo stato di emergenza. (sospenderlo come nella pena di morte). Il
diritto si fonda sull’intreccio di legge ed eccezione; esso può essere vigente solo grazie alla sua sospensione.

In un regime democratico la polizia agisce in nome del popolo, su di un popolo depoliticizzato, ridotto a <nuda vita>,
privato della possibilità di lottare per raffermare una prassi di vita giusta. Nella storia dello stato moderno vi è
l’assenza di una domanda di giustizia.

La vita dell’uomo però è sacra solo nel suo realizzarsi come vita giusta, il che all’interno di uno <stato di diritto> deve
alla fine riinviare all’esercizio della “violenza divina” che interrompe il susseguirsi di epoche storiche fondate sulla
<violenza mitica>. Benjamin definisce la “giustizia” come il lato etico della lotta.

PASSAGE
Essi sono la più importante architettura del XIX secolo, in cui Benjamin coglie micro logicamente l’espressione visiva
del carattere economico, sociale, culturale di un epoca nel suo essere soglia, nella fase in cui la città sta per divenire un
grande meccanismo al servizio della merce e del consumo di massa.

Corridoi, dalle cupole di vetro, pareti ricoperte in marmo, sui cui lati si succedono i più eleganti negozi. Così sono nati,
come intérieur mercantili di lusso per un pubblico d’élite, esso incontra il suo limite nel grande magazzino, che con la
sua organizzazione razionale e il suo pubblico di massa, gli si contrappone in forma degenerata (mero show della
merce che induce il consumatore ad abbandonarsi alle manipolazioni, godendo della sua alienazione da altri e da se
stesso). In virtù della crisi dettata dai grandi magazzini, i passages, abbandonati da Botique e atelier alla moda, cui si
sostituiscono botteghe, antiquari, collezionisti, rigattieri, piccoli artigiani, si trasforma nell’inconscio della metropoli.
Eterotopia delle cose scartate e rimosse dal super-mercato appaiono trasferite in un mondo migliore, libero dalla
schiavitù, anarchico e underground. Frequentato da bohemien.

La struttura stessa dei passages è ambigua, intérieur (spazio privato, chiuso, casa, salotto) ed extérieur (spazio
pubblico, strada, piazza). Charles Fourier vi vide il canone architettonico dei phalanstére, struttura abitativa aperta,
multipla, collettiva, nemica del feticistico attaccamento borghese all’intérieur privato, guscio del proprio
individualismo proprietario.

Benjamin pensa che il superamento del privato e la vita nella casa di vetro sia una virtù rivoluzionaria. Auspica una
nuova sintonia tra la macchina abitativa e nuove forme di esperienza collettiva nello spazio urbano.

RACCOGLIMENTO e DISTRAZIONE
La nozione di “distrazione” ha ispirato a Benjamin molte e diverse riflessioni, spesso agli antipodi, può quindi essere
ben considerata un immagine dialettica.

Nell’accezione deteriore di <divertimento>, <svago>, la distrazione è negativamente intesa come compensazione


illusoria dello sfruttamento lavorativo subito dalle masse, che vengono allettate da spettacoli teatrali regressivi
(l’opposto del teatro epico Brechtiano) e ipnotizzate dalla fantasmagoria feticistica delle merci

In un accezione produttiva, compare invece nel saggio L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, dove
fa coppia polare con la nozione di raccoglimento in relazione alle modalità ricettive dell’opera. Nell’epoca della
riproducibilità tecnica, non solo è variato l’aspetto quantitativo del suo fruire, ma anche quello qualitativo.
Facendo il paio con <devozione>, il raccoglimento si dispone dalla parte del valore Cultuale* e Auratico*; per
converso, la distrazione si associa al valore Espositivo* e allo Choc*.

Colui che si raccoglie davanti all’opera d’arte sprofonda in essa. La massa distratta al contrario fa sprofondare l’opera
dentro di sé, la lambisce con il suo moto ondoso, la avvolge nei suoi flutti. Ma da sempre l’architettura ha fornito il
prototipo di un opera d’arte la cui ricezione avviene nella distrazione e in forma collettiva.

Nella modernità il cinema è il medium che intreccia meglio distrazione, tattilità e abitudine. Durante quel Training* del
sensorio capace ad addestrare la collettività a far fronte a compiti nuovi, e alle profonde modificazioni
dell’appercezione provocate da un susseguirsi di immagini sempre diverse e inaspettate, da una dispersione che
impedisce la concentrazione.

La distrazione, alleata dello Choc* e del Montaggio* (che disperde la realtà in frammenti per poi ricomporli in una
nuova unità di senso, gestibile politicamente), può costituire uno strumento fondamentale ai fini della Politicizzazione
dell’Arte*.

RIPRODUCIBILITA’
Il termine <riproducibilità> è da tenere in rapporto con il termine <autenticità>, insieme, i due termini costituiscono
una coppia dialettica fondamentale per la storia dell’arte. Con l’affermarsi della fotografia quale modo di riproduzione
Tecnica*, tale dialettica è sbilanciata per la prima volta a sfavore dell’autenticità.

L’autenticità di una cosa è la quintessenza di tutto ciò, che fin dall’origine di essa può venir tramandato, dalla sua
durata materiale al suo carattere di testimonianza storica. L’intero ambito dell’autenticità si sottrae naturalmente alla
riproducibilità.

Se da sempre le opere sono state riproducibili, artigianalmente o attraverso stampe, con l’avvento della fotografia, “la
mano si è vista per la prima volta sollevata dalle più importanti incombenze artistiche, che ormai venivano a essere
esclusiva spettanza dell’occhio. Ciò è in diretta relazione con il declino dell’esperienza e della narrazione a favore della
distrazione.

La nostra conoscenza delle opere d’arte inizia ad essere in grande misura appannaggio della riproduzione e non più dal
raccoglimento* , contemplativo presso l’opera originale. La riproducibilità opera a favore di una “massificazione” non
per forza già democratica né rivoluzionaria, che però lo è come Chance. La fotografia ha un ruolo centrale nella
distruzione dell’Aura*.

L’opera, attraverso la macchina può essere riprodotta e spostata attraverso lo spazio, fino a rendersi autonoma
dall’originale, ed attraverso determinati procedimenti può sottrarsi all’ottica naturale spalancando un varco
sull’inconscio ottico.

Dunque la riproducibilità consiste in una serie di momenti distruttivi rispetto al rapporto copia-originale che mettono
in discussione la funzione dell’aura, del raccoglimento e del rapporto con la tradizione. Ma proprio tale distruttività
emancipa l’opera d’arte dalla sua “esistenza parassitaria nell’ambito del rituale e della mimesi”. Per la prima volta le
immagini non sono parassitarie di un culto, non sono separate nella sfera del sacro e vengono riconquistate dalla
prassi umana.

Anziché la prassi di fondare l’arte sul rituale, ora si può fondare sulla politica. Attraverso la politicizzazione dell’arte,
l’artista può operare messianicamente sul piano estetico-politico rovesciando la riproduzione da spazio della massima
estraneazione, a concreta opportunità di liberazione.
SOGNO E RISVEGLIO
Il rapporto tra sonno e veglia è parte integrante della definizione di storia Benjaminiana, poiché tale rapporto è
concepito come la traduzione sul piano materialistico della concezione Nichilistico-Messianica*.

L’epoca onirica per eccellenza è quella dei passages , della pubblicità, delle grandi esposizioni, dei Flaneur, e dei
dandy, tutte immagini oniriche e dialettiche, in cui continuano a pulsare i sogni irrealizzati dell’uomo, il suo bisogno di
riappropriarsi del se stesso estraniato. Questi sogni devono essere “rammemorati”, riattualizzati, per liberarli dei
contenuti utopici latenti. (occorre che l’uomo si stropicci gli occhi ed il sonno si rovesci in risveglio.

La concezione di storia borghese e socialdemocratica prevede un tempo continuo e lineare che fa da supporto ad un
idea di progresso automatico e infinito, che impedisce la realizzazione dei sogni, costituendone un rinvio infinito. Il
passaggio da sogno a risveglio per Benjamin non può procedere poco a poco ma è una drastica esperienza che mostra
come “in ogni apparente “sviluppo” sia racchiuso un capovolgimento dialettico straordinariamente composito”. Come
la rivoluzione comunista in russia, avvenuta in un paese irrimediabilmente arretrato, dimostra che non ha senso
parlare di “avanti” poiché la storia non è lineare ed il passato non è una verità-punto indefinito a cui avvicinarsi.

Il presente è granuloso, stratificato, discontinuo, racchiude modi di vita di diversi tempi storici. Come in Marx, le
nostre condizioni non sono afflitte solo dai metodi di produzione attuali, poiché dal passato arrivano scorie e fossili di
modi di produzione sorpassati, rapporti sociali e politici anacronistici, nel presente convive una complessa
stratificazione di tempi, eredità, ma anche sogni passati. La storia è leggibile solo sulla base della sua <non
contemporaneità> e <anacronismo>.

Il Mondo possiede il sogno di una cosa del quale non ha che da possedere la conoscenza, per poterla possedere
realmente, è la realizzazione di pensieri del passato. Nel risveglio ciò che era assopito, rimosso, estraniato può
realizzarsi, non il progresso come forma ideologica di realizzazione ma <attuazione>.

Presente è la Jetztzeit*, il “tempo ora” che si costruisce con l’appropriazione dei sogni oppressi e irrealizzati del
passato, quindi attraverso una presa di posizione politica, che irrompe nella narcotizzante continuità del progresso
storico. Il passato si riunisce nell’epoca presente in una “costellazione satura di tensioni”

STORIA
Benjamin critica ampiamente le concezioni di scienza della storia (storicismo), filosofia della storia (progressivismo)
per:

Eccessiva fiducia in un concetto dogmatico di “progresso” inteso come interminabile, infinitamente perfettibile,
inarrestabile e spontaneo miglioramento di vita per tutta l’umanità. Concetto che necessita che la storia abbia un
corso lineare e percorra un tempo omogeneo e vuoto. Elevando la rivoluzione ad “ideale” e “compito infinito”, il
riformismo sfocia in attendismo politico e conformismo culturale.

Eccessiva spoliticizzazione e neutralizzazione dell’atto stesso del “fare storia” identificato con la scienza della storia,
basati sul presupposto che il passato sia un insieme conchiuso di fatti stabiliti, dati oggettivi nel quale è necessario
immedesimarsi a mente vuota, per “riviverlo come è stato per davvero”, escludendo qualsiasi intenzione critica. Ciò
non può che produrre accidia nell’agire pratico, inoltre l’immedesimazione anziché oggettiva, si rivela nientemeno che
immedesimazione nel vincitore, e si pone a vantaggio della classe attualmente dominante.

Aver narcotizzato le tendenze ribelli, sovversive e distruttive della lotta di classe, non tenendo conto dello stato di
emergenza, eccezione e pericolo in cui si lavora.

Benjamin giunge quindi al Materialismo* Storico, in contrasto con le precedenti caratteristiche, in cui azione politica
ed interpretazione storica si muovono in piena sintonia.

Il soggetto della conoscenza storica è la classe oppressa che lotta contro la precedente.
Il tempo della storia materialista non è lineare ed omogeneo, continuo e progressivo, ma è un tempo kairologico,
concentrato, discontinuo, balenante, istantaneo che Benjamin chiama Jetztzeit* per sottolinearne l’attualità.

Ha come fine la critica, al fine di arrestare il continuum storico. Non si immedesima nel passato ma lo afferra, per
creare una costellazione di tensioni tra la sua epoca ed un'altra anteriore e ben determinata; in modo che
dall’intreccio scatti una chance rivoluzionaria a favore del passato oppresso. (in un atto redentivo)

La conoscenza non è inutile o fine a se stessa ma la storia è schierata dalla parte della rivoluzione e si svolge in
situazione di crisi, emergenza, con il pericolo che la storia possa divenire strumento della classe conformista
dominante.

STORICITA’ DELLA PERCEZIONE


Questa teoria, abbozzata da Benjamin negli ultimi suoi anni, ritiene che la diffusione su larga scala di diversi mezzi
tecnici (come fotografia, cinema, radio), non influenzi soltanto il modo in cui immagini e suoni vengono prodotti,
riprodotti, consumati e archiviati, distribuiti, manipolati, ma finisca per incidere profondamente, per innervazione,
anche sulle strutture della sensibilità umana.

Il medium della percezione (inteso non come un im-mediato accesso al reale, ma come una prestazione che
“organizza”) non è condizionato solo in senso naturale (come la scala cromatica che ci è concesso di vedere) ma anche
in senso storico.

La percezione muta unicamente su considerazione di lunghi periodi storici, ed occorre che vengano modificati i “modi
complessivi di esistenza delle collettività umane” perché accada. Tali modificazioni non interessano il singolo, quanto
piuttosto il terreno anonimo e condiviso dell’esperienza* e della sensibilità.

Vi è anche una correlazione tra i manufatti prodotti in determinata epoca e le modalità percettive allora in vigore. La
storia della percezione passa attraverso una storia della cultura artistica e della cultura mediale. Per cui il cinema si
rivela essere l’oggetto più importante di quella dottrina della percezione che presso i greci aveva il nome di estetica.

Leggendo le tesi di Georg Simmel, che osserva come le trasformazioni provocate nel sensorio umano
dell’intensificazione della vita nervosa, caratteristica della vita nella moderna metropoli; Benjamin deduce che
l’avvento della riproducibilità, segna il passaggio da una modalità contemplativa di fruizione dell’immagine auratica
lontana nonostante la vicinanza, ad una visione ravvicinata ed alla mano.

TECNICA
Benjamin raggruppa tutte le tecniche umane in una tensione i cui due poli sono individuabili nel <sacrificio> e nel
<gioco>. Rispettivamente li definisce prima tecnica (aura, valore cultuale, lontananza, bella apparenza) e seconda
tecnica (choc, valore espositivo, vicinanza, riproducibilità), non leggibile però come succedersi di epoche diverse in
linea cronologica ma come relazione tra poli dialettici interni all’attività tecnica e artistica dell’uomo.

La prima tecnica si fonda sul sacrificio, gesto sacrale unico e irripetibile (s. religioso), esercizio del dominio dell’uomo
sulla natura (s. artistico) e sacrificio eroico in battaglia (bellico). Qui vige la legge: “L’una volta per tutte” poiché
fondata sulla mancanza incolmabile del sacrificio.

La seconda tecnica è condensata nell’immagine di aerei teleguidabili che possono fare a meno dell’equipaggio; che
sono allegoria della liberazione dell’uomo dalla fatica del lavoro e della guerra. Non più un rapporto uomo-natura
basato sul dominio, ma “sull’aprirsi di un gioco combinato tra natura e umanità”, dominio quindi del rapporto uomo-
natura. Qui vige la legge : “L’uno non fa numero” perché ha a che fare con la sperimentazione continua, e la
instancabile variazione della disposizione in vista dell’esperimento.

Il gioco restituisce ciò che il capitalismo sottrae al libero uso con il consumo e l’esibizione spettacolare.
VALORE CULTUALE e VALORE ESPOSITIVO
Questo binomio è uno dei particolari volti che assume la polarità vicinanza lontananza, nel parlare di produzione e
ricezione dell’opera.

Sotto il polo del valore cultuale si raccoglie una serie di concetti che pertengono alla dimensione della magia, del
rituale, dall’Aura*. L’immagine che l’uomo del paleolitico raffigura sulla parete rocciosa della caverna, così come certe
immagini religiose di epoche più tarde, non sono realizzate per essere contemplate da un pubblico: hanno piuttosto
una funzione mediatrice con l’aldilà durante il rito svolto dal sacerdote, in tale ambito la lontananza si approfondisce
fino a farsi invisibilità o spiritualità.

Sotto il polo del valore espositivo si raccolgono tutte quelle Esperienze* nelle quali, in virtù della liberazione dai vincoli
del rito, il momento di mostrazione ad uno spettatore è predominante. In questo contesto la vicinanza si
approfondisce sino a farsi Choc*.

Tanto maggiore sarà l’esponibilità dell’immagine, tanto più sarà possibile farla circolare. A questo collaboranlo un
evoluzione dei supporti (sempre più leggeri) e le possibilità di riproduzione (diffusione di copie).

Nel cinema il valore espositivo soppianta totalmente il valore cultuale. Esso stesso è insieme causa ed effetto
dell’esponibilità, prodotto di massa rivolto alle masse, reso possibile solo dal consumo di massa a causa degli elevati
costi di produzione.

L’avvento delle nuove forme di riproduzione tecnica non modifica solamente la sensibilità umana e la sua percezione,
ma trasforma l’esperienza iconica (anche precedente) in generale; modifica il senso stesso dell’esperienza artistica
pre-fotografica. Secondo Abel Gance “non solo le arti e la letteratura, ma anche tutte le leggende, tutte le mitologie e i
miti religiosi aspettano la loro resurrezione impressa nella pellicola”.

Benjamin pone particolare attenzione a tutti quegli elementi di transizione in seno alla modernità, come i passages e le
esposizioni universali. Queste ultime sono ambigui luoghi di pellegrinaggio del feticcio della merce. Condensano valore
cultuale (che pretende che il pellegrino si metta in viaggio per venerare l’immagine sacra) e il valore espositivo (che
esibisce la sistematica mercificazione dell’esistente).

VIOLENZA
Il termine Gewalt può essere tradotto come <violenza>, <autorità>, <potere>, fare una critica della violenza significa
quindi analizzare il suo rapporto con il diritto e la giustizia.

Esiste una violenza legittima e portatrice di giustizia, che non sia in rapporto con il diritto? Questa domanda poggia
sulla constatazione che il diritto statale nelle sue forme (tribunali, polizia, ecc…) è connesso all’esercizio del diritto ma
non a quello della giustizia. La storia appare come un susseguirsi di uomini che opprimono uomini, che per quanto
percorsa da innumerevoli forme di diritto non ha mai incontrato la felicità.

Benjamin analizza il giusnaturalismo e il diritto positivo, il primo “diritto naturale” fonda la propria azione sull’impiego
di mezzi violenti per fini giusti; il diritto positivo giudica ogni diritto sulla base dei suoi mezzi. Il primo giustifica i mezzi
con la giustizia dei fini, il secondo garantisce la giustizia dei fini con la legittimità dei mezzi… ma sono entrambi legati al
diritto.

Ogni stato quindi fonda la propria esistenza sul monopolio della violenza, traendo la propria legittimità dal difendere i
propri membri dalla violenza, poiché loro a tale esercizio della violenza hanno rinunciato, ridotti a nuda vita. Ogni
violenza è come mezzo, potere che pone o conserva il diritto, il delinquente si fa incontro allo stesso stato <con la
minaccia di porre un nuovo diritto>.

Ogni modo di concepire una soluzione di compiti umani, per tacere il riscatto dalla schiavitù di tutte le passate epoche
di vita storiche, rimane irrealizzabile se si esclude in linea di principio ogni esercizio della violenza.

Benjamin inneggia ad una violenza rivoluzionaria, salvifica e redentiva che irrompe il continuum temporale e instaura
un altro tempo, bloccando quel ciclo di violenza mitica fondata sul diritto e sull’eccezione. Questa violenza non ha fini
da raggiungere attraverso mezzi, ma è immediata realizzazione della società senza classi. Nessun miglioramento del
salario, ma rovesciamento dello sciopero in abolizione dello sfruttamento lavorativo.

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