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Scheda de “L’Architettura del Progetto Urbano” di Laura Valeria Ferretti Edoardo Marini

Nel contesto contemporaneo, in cui le grandi città si espandono sempre più ed in maniera sregolata fino a
diventare vere e proprie metropoli, è sempre più evidente il divario tra centro storico-città consolidata e le
aree periferiche di recente realizzazione. Essendo addirittura il risultato di speculazioni edilizie ed
espansioni non propriamente programmate, molte metropoli appaiono oggi frammentate a livello
economico, sociale e politico, nonché a livello urbanistico.

In tale contesto si inserisce il Progetto Urbano, che può essere inteso come progettazione di una parte di
città (architettura) o come strumento di pianificazione (urbanistica). Si tratta di un mezzo tramite il quale
contemporaneamente vengono riprogettate porzioni del tessuto esistente e ne vengono realizzate di
nuove. Si tratta dunque di operazioni finalizzate alla ricucitura di tessuti urbani frammentati, poiché il
progetto urbano è volto alla realizzazione di nuove porzioni di città che si leghino alle preesistenze
circostanti, che si integrino in contesti ben definiti. Ciò non significa necessariamente porsi in continuità
morfologica con la città esistente, ma può significare porsi anche in contrasto con questa, dal momento in
cui la morfologia nella sua accezione architettonica da sola non è sufficiente. Pertanto, secondo il filone di
pensiero dell’architetto e teorico spagnolo de Solà-Morales, il progettista, collocatosi in una posizione
intermedia tra il proprio mestiere e quello dell’urbanista, deve tramite più soluzioni architettonico-
urbanistiche soddisfare più esigenze, il che si traduce spesso in risolvere criticità differenti e variabili nel
tempo. Il fine ultimo non è quello di stabilire una unità architettonica tramite una soluzione architettonica
unica, bensì di far riemergere l’unità urbana da tessuti slegati. E’ perciò un grave errore pensare che l’unica
soluzione possa essere quella fare di un insieme di isolati, cioè di più unità architettoniche, un’unica unità
urbana, poiché il passaggio non sarebbe scontato: se non ci fosse una gerarchia tra gli spazi, allora non ci
sarebbero leggibilità, chiarezza nè distinzione tra funzioni e destinazioni d’uso. La fase di progetto è ben più
complicata e si può estendere ad interi tracciati urbani.

Il Progetto Urbano deve essere flessibile, poiché durante i lunghi tempi di progettazione e realizzazione le
esigenze da soddisfare possono variare. Così devono essere flessibili anche le due fasi di cui si compone il
progetto, quella del Masterplan, in cui si analizza e studia l’ambito d’intervento, vengono definiti gli
obiettivi da perseguire e le soluzioni tramite le quali perseguirli, e quella di definizione di regole e vincoli
per la realizzazione del progetto stesso. Dalla prima fase deve emergere un programma funzionale, dopo di
che nella fase di progetto l’architetto deve arrivare dalla generalità della scala urbanistica alla specificità
della scala architettonica, legandole ad una scala intermedia attraverso soluzioni opportunamente scelte. Il
Masterplan è un documento di transizione dal piano al progetto, il quale viene appunto sintetizzato,
descritto nella sua idea complessiva. Inoltre in questo documento viene esposto un quadro di riferimento
giuridico individuato al fine di rispettare la normativa vigente che regola l’intervento e il suo contesto di
realizzazione.

Secondo la scuola spagnola la fase di progettazione non può prescindere dalla definizione di spazi pubblici
di qualità e fruibili. Infatti de Solà-Morales ribadisce l’importanza della qualità dello spazio aperto, in
quanto garante di forma, contiguità e fruibilità dello spazio urbano. E’ chiaro allora che risulta
fondamentale il rapporto tra pieno e vuoto, dove il primo, ovvero l’unità architettonica, il singolo comparto,
viene dopo il secondo, da non fraintendere assolutamente con il vuoto residuale del costruito, come
avveniva in passato, ma da intendere come vuoto progettato, spazio aperto pubblico, che deve essere
costituito da luoghi funzionali ed accessibili. Oggi il rapporto biunivoco tra pieno e vuoto, che si definiscono
e condizionano a vicenda, va progettato e coordinato affinchè gli spazi e il costruito non risultino una
semplice sommatoria di spazi residuali e di opere edilizie di scarsa densità (intesa come varietà funzionale e
sociale) gli uni indipendenti dagli altri. Cosa che invece è avvenuta nelle città del movimento pre-moderno
producendo i tessuti frammentati che ora vanno ricuciti proprio tramite i progetti urbani.
Altro aspetto fondamentale è quello delle infrastrutture e dei servizi pubblici, che, se non adeguate o in
alcuni casi totalmente assenti, non progettate, costituiscono ulteriore fattore di disconnessione tra i tessuti.
Pertanto è bene ricordare che quando vengono meno infrastrutture e servizi viene meno anche l’unità
urbana, senza la quale l’unità architettonica conta ben poco. Nella ricerca dell’unità urbana è implicita la
ricerca del cosiddetto “effetto città”: vitalità, accessibilità, relazione, casualità, efficienza di servizi e varietà
di scenari, funzioni e spazi.

Infine de Solà-Morales individua i cinque punti che definiscono il processo del Progetto Urbano:

- Gli effetti dell’intervento devono andare oltre il perimetro di realizzazione del progetto, altrimenti
viene meno lo stesso principio sul quale si fonda il progetto urbano, ovvero quello della ricucitura di
tessuto frammentato
- Le funzioni devono essere molteplici, la monofunzionalità va evitata. E’ necessario ricercare l’alta
densità, intesa nella sua accezione positiva di varietà di funzioni, attività, stratificazione sociale,
varietà e divisione del lavoro
- La realizzazione flessibile in base alle variabili che comporta l’invariante del tempo. La flessibilità
riguarda il probabile variare delle esigenze che muovono il progetto urbano, l’innovazione
tecnologica, le trasformazioni della città e della normativa che le regola
- E’ sempre presente una componente pubblica di cui tenere conto sia negli investimenti sia nelle
destinazioni d’uso. Deve essere conseguito il cosiddetto “interesse collettivo”
- L’architettura dello spazio urbano è indipendente dall’architettura degli edifici del contesto
d’intervento. V’e un rapporto di reciprocità tra volume e spazio, i volumi definiscono gli spazi
pubblici e gli spazi pubblici definiscono i volumi

In Italia questo tipo d’intervento urbanistico non ha ancora la fluidità né la semplicità di messa in opera che
invece trova in altri paesi europei, poiché strettamente legato alle divergenze, alle continue negoziazioni tra
attori pubblici e privati e ai troppo lunghi tempi della burocrazia, dovuti alla complessità del meccanismo
d’inserimento di un progetto urbano e quindi di varianti all’interno di un piano regolatore. Inoltre la scarsità
di fondi pubblici per la realizzazione di opere d’interesse pubblico fa sì che l’ente pubblico si rivolga a quello
privato mosso logica del guadagno (logica del mercato), ma la pubblica amministrazione, una volta esaurito
il potere autorizzativo verso il privato, ha scarsa possibilità d’intervento nelle fasi di progetto per garantire il
rispetto degli accordi pattuiti riguardo il conseguimento dell’interesse pubblico. Per questi stessi motivi è
necessario che l’intero periodo di progettazione e realizzazione sia accompagnato in ogni momento,
soprattutto nel passaggio dalla progettazione urbanistica a quella architettonica, da un controllo inflessibile
che garantisca la soddisfazione dei requisiti d’intervento, i quali spesso rischiano di perdersi e di rendere il
progetto stesso frammentato. Elemento soggetto al controllo da parte della pubblica amministrazione è il
documento di progetto, ovvero masterplan, esecutivi, relazioni e quadri normativi. Dunque tale controllo è
volto a garantire la qualità dell’intervento.

La partecipazione degli enti pubblici deve essere coordinata con quella degli enti privati e va assolutamente
scongiurato il pericolo che le esigenze di mercato prendano il sopravvento sull’intero progetto. Questo
comporterebbe, come detto sopra, il facile variare del concetto illustrato nel masterplan, e come spesso
accade, l’intervento verrebbe realizzato a vantaggio di pochi, ma a discapito di molti. Il progetto urbano
deve risolvere le condizioni precarie e di disagio in cui versano molte aree periferiche, e non solo, delle città
italiane, ma attualmente questo processo di ritessitura in un tessuto urbano unitario, con conseguente
ridistribuzione di densità, flussi, risorse e lavoro, è troppo macchinoso e lento. Una maggiore presenza della
pubblica amministrazione (e di piani regolatori controllati) rispetto al passato può evitare le grandi
speculazioni che hanno caratterizzato gli ultimi decenni di urbanistica, soprattutto a Roma. Ma senza fondi
e senza investimenti pubblici adeguati, gli enti privati avranno sempre potere maggiore rispetto a quelli
pubblici e la realizzazione di opere d’interesse collettivo non sarà mai scontata, garantita a prescindere, anzi
sarà sempre in forse.

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