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Diamo inizio a questo impegnativo quanto suggestivo corso di urbanistica nel quale
andremo a sviscerare l'essenza della materia attraverso la progettazione o, meglio, il
dimensionamento di uno strumento di pianificazione a livello comunale. Quello che un
tempo era definito come Piano Regolatore e, per il vero, ancora oggi, dopo oltre dieci
anni dalla riforma del titolo V della nostra Costituzione rimane tale.
Nel corso di questa unità didattica andremo nell'ordine ad affrontare molto
sommariamente le basi concettuali della materia.
Si tratta di un approccio forzatamente generico sia per l'argomento che non è proprio
quello del corso e sia per ragioni di spazio, tuttavia si ritiene che avere una visione
generale sulla materia e sui concetti fondamentali sistematizzati -per quanto possibile-
aiutino a comprendere meglio tutto il corso.
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Il primo argomento che andremo ad affrontare è relativo al come affrontare la


spiegazione -da parte del docente- e la comprensione -da parte del discente- di questa
materia più complessa che complicata e che, da un importanza fondamentale che aveva
negli anni 60, ha perso sicurezza nelle proprie capacità di regolazione del territorio ed è
andata pian piano scemando, sopravanzata da concetti puramente azionistici e avulsi
dalle conseguenze possibili e derivanti dalle decisioni assunte.
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L'urbanistica, come tutte le discipline che si collocano a metà tra l'umanistico e lo


scientifico, hanno sempre trovato difficoltà a essere “spiegate” attraverso una cultura
manualistica. L'aspetto umanistico, infatti, conferisce una soggettività del relatore che
impedisce di stabilire formule e definizioni universalmente valide. La spiegazione
dell'urbanistica è per lo più episodica, settoriale e soprattutto applicata.
A un corso come questo, strutturato a distanza, si chiede però, di essere manualistico. Si
chiede un corso che sia capace fornire al discente tutto l'apparato strumentale per
progettare uno strumento urbanistico comunale. Occorre però precisare che il compito
è davvero impervio, anche se non impossibile.
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La manualistica di urbanistica è ormai scomparsa da molto tempo e persino nelle


università si procede, come detto, solo episodicamente; non c'è nulla di strutturato. Ed
è proprio la scomparsa di questa manualistica che ha confinato il dibatti di urbanistica
nel nostro paese a discorso secondario. A orpello farraginoso che contrasta con la
necessità della produzione edilizia.
Risultato: l'Italia è oggi un paese devastato dove ogni anno vengono sottratti miglia di
ettari dalla nuova edificazione. Solo la crisi del mercato è stata capace di fermare
questa devastazione, questo costruire dando il primato non tanto all'economia, ma
piuttosto al profitto massimizzato. La crisi del mercato ha, infatti, messo in crisi la
convinzione che costruire per costruire fosse la direzione giusta.
Non è un merito degli urbanisti ormai ridotti a lettera morta. E' merito del fallimento di
quel tipo di economia.
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Scrivere e predisporre un corso manualistico ha come scopo quello di insegnare i


fondamentali della materia. Un po' come insegnare stop e palleggio a chi vorrebbe
giocare al calcio. Senza i fondamentali non è possibile giocare a calcio e non essere
scarso. Lo stesso accade in una materia come l'urbanistica. Insegnare i fondamentali ha
come scopo quello di riportare la preminenza dell'urbanistica sull'economia o almeno
sul profitto mordi e fuggi che ha caratterizzato il nostro paese negli ultimi trent'anni. E
per insegnare i fondamentali occorre una visione manualistica.
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E' difficile però assumere un tale atteggiamento culturale in una materia come
l'urbanistica che difficilmente si presta a essere un insieme come semplice somma delle
parti, dove ogni argomento ha dipendenza con molti altri e dove ogni argomento ha
molte interpretazioni parallele che non si intersecano mai.
Se volessimo scrivere un manuale su come si muove un orologio avremmo gioco facile
perchè le leggi sono deterministiche e prevedibili.
Scrivere un manuale sul movimento delle nuvole è senz'altro più complesso perché le
leggi che sottendono il loro movimento sono meno riassumibili, sintetizzabili. Il
movimento è imprevedibile in assoluto e diventa, quindi, difficile estrarre delle leggi
assolute, ma solo delle leggi di probabilità.
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Questo corso parte, dunque, dalla presa di coscienza da parte di chi scrive o parla e da
parte di chi legge o ascolta, che per predisporre un apparato disciplinare di tipo
manualistico occorre sposare una logica di percorso e non una logica paradigmatica
dell'insegnamento dell'urbanistica.
Assumere un percorso come direzione privilegiata per insegnare l'urbanistica vuol dire
necessariamente escludere alcune argomentazioni, semplificare e soprattutto scegliere.
Scegliere non è inteso però, come visione episodica della materia. Abbiamo già
implicitamente fatto capire che una lettura episodica dell'urbanistica non porta a nulla.
Chi intende apprendere la materia ha bisogno di rudimenti, appigli e quant'altro possa
orientare nel difficile mare della materia, conoscere luoghi speciali in questo mare non
aiuta a comprendere l'insieme.
Scegliere in questo corso è inteso come decisione coraggiosa su cosa deve essere
assunto come orientamento per il discente ed effettivamente a lui “serve” o può essere
comunque più utile a dare una visione quadro generale della materia.
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Abbiamo parlato di scelte finalizzate a fare sì che l'allievo assuma una visione unitaria
della materia.
Ragioniamo, pertanto, sui possibili approcci alla materia urbanistica.
Tra l'universo delle innumerevoli visioni urbanistiche: storiche, sociologiche, strutturali,
destrutturali, parametriche e chi più ne ha più ne metta, ne estraiamo alcune che,
sempre nell'ambito delle scelte di cui alla premessa precedente, ci consentono di avere
una visione più estensiva dei motivi che rendono necessaria una disciplina urbanistica.
Premesso che il verbo fondamentale della materia è il “governo”, inteso come
complesso di scelte volte a ottenere il dominio delle possibili varianti che si possono
presentare nella realtà, avremo:
 Urbanistica come governo della trasformazione, intesa come legge universale di
modifica continua della realtà:
 Urbanistica come governo dello spazio, inteso come entità occupata dall'individuo
all'esterno della propria abitazione;
 Urbanistica come governo delle esigenze economiche, intese come soddisfacimento
dei bisogni dell'uomo.
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Il secondo argomento di questa unità didattica affronta la visione dell'urbanistica come


lo studio del governo della trasformazione e, pertanto, analizza cos'è in buona sostanza
la trasformazione, come si manifesta e come si controlla.
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Andiamo ad analizzare ora la prima delle suggestioni che sottende la disciplina


urbanistica: intendere l'urbanistica come materia che regola la trasformazione delle
cose. La trasformazione è una legge propria dell'universo. L'universo si modifica a ogni
istante dalla dimensione infinitamente grande a quella infinitamente piccola e si muove
verso una direzione dall'unico al molteplice.
La trasformazione del territorio è, quindi, un'attitudine connessa direttamente con
l'essere vivente.
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La prosecuzione e la protezione della vita porta, infatti, alla necessità di intervenire sul
proprio ambiente per modificarlo in base alle proprie esigenze di specie.
Abbiamo, quindi, una trasformazione definita NATURALE se proviene dal mondo
vegetale o animale (escluso l'uomo) o se proviene dal naturale ciclo degli elementi e una
trasformazione; ANTROPICA se determinata esclusivamente dalle esigenze dell'uomo.
La trasformazione naturale avviene per esigenze di riequilibrio del sistema a seguito
degli eventi che si sono manifestati e che ne hanno, appunto, alterato in qualche modo
l'equilibrio.
La trasformazione antropica avviene, invece, per il soddisfacimento dei bisogni umani,
ma non solo, anche per il riequilibrio delle esigenze dell'uomo per eventi che egli stesso
ha provocato o per eventi naturali da egli indipendenti.
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La trasformazione antropica non nasce, però, solo da esigenze di sopravvivenza o


perpetuazione della specie di tipo materiale, bensì anche di tipo immateriale,
determinando una complessità notevole e crescente al punto tale da non poter essere
controllata in maniera spontanea dal mercato.
In questa complessità si inserisce l'urbanistica nel suo significato più esteso possibile,
vale a dire come scienza per il governo della trasformazione territoriale.
L'urbanistica ha, dunque, diverse scale d'intervento: dal territoriale indefinito, al
localizzato ad ampia scala come l'urbanistica regionale e provinciale, al puntuale come
l'urbanistica comunale, per arrivare, infine, all'urbanistica applicata, vale a dire
l'intervento specifico di trasformazione.
Lo scopo fondamentale dell'urbanistica è raggiungere uno stato di equilibrio del sistema
di riferimento alle trasformazioni naturali e antropiche cui è sottoposto.
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Abbiamo già affermato che l'universo, inteso in qualsiasi accezione: l'universo delle
cose, del creato e qualsiasi altro concetto, si muove verso una direzione perché si
trasforma in continuazione.
Possiamo spingerci oltre e dire che l'unica verità assoluta dell'universo sia la
trasformazione e che rappresenti l'unico modo per verificare l'andamento dell'universo.
Solo la trasformazione, infatti, ci informa che il tempo è passato. Solo una modifica
visibile ci fa rendere conto che c'è stato un movimento. Una dinamica. Possiamo, quindi,
fissare come concetto didattico di partenza dell'urbanistica, la presa di coscienza della
trasformazione come movimento inarrestabile e insopprimibile di ciò che esiste.
Possono sembrare concetti metafisici, mentre in realtà sono nozioni razionali e,
soprattutto, fisiche. Ci serve introdurre la trasformazione come motore dell'universo per
comprendere meglio due fondamenti e che ci serviranno a spiegare meglio la ragione
fondativa dell'urbanistica: l'entropìa e la neghentropia. Non lasciamoci spaventare dai
nomi ostici, per i nostri fini i due concetti sono ridotti e semplificati all'essenziale.
Clicca sui pulsanti per approfondire.
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L'entropia deriva dalla fisica e più precisamente dalla termodinamica. Non ci


addentriamo in dimostrazioni o spiegazioni che non ci competono, ma possiamo
semplificare affermando che l'entropia indica il grado di disordine che esiste in un
sistema, un concetto o in qualsiasi altra cosa o entità definibile. L'elemento oggetto di
studio di questo corso è la città. Per cui possiamo dire che l'entropia urbana misura il
grado di disordine che esiste in una città in senso assoluto o in relazione a un
particolare problema. Il disordine è lo stato verso cui tendono le cose, perché le cose
tendono a diventare naturalmente complesse e a scomporsi in unità distinte e
indipendenti dalla totalità e man mano che il numero di unità in cui si scompone la
totalità aumenta, più difficile diventa per l'essere umano comprendere e organizzare.
Per organizzare la complessità della predetta scomposizione occorre un notevole
dispendio di energia. Dispendio che aumenta man mano che la trasformazione avviene
in maniera incontrollata. Da ciò ne deriva che l'urbanistica ha una funzione anche di
controllo dello spreco energetico.
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La neghentropìa è un concetto che si definisce per opposizione all'entropia. La


neghentropia rappresenterà, quindi, il concetto opposto, vale a dire il grado di ordine di
un sistema. Ma essendo la trasformazione la direzione delle cose e, quindi, il disordine,
la neghentropia sarà la capacità di contrastare questo disordine attraverso elementi di
ordine. Facciamo un esempio. Prendiamo il cubo di Rubik nella sua posizione d'ordine
con le sei facce ognuna completamente del colore che le è proprio, cioè: rosso, blu,
giallo, verde, bianco e nero. Se mescoliamo le sei facce a caso, cioè in pratica simuliamo
il disordine dovuto a una trasformazione - in questo caso provocata- avremo un cubo
disordinato. Se mescoliamo ancora avremo un cubo ancor più disordinato e non certo
avremo il ripristino di ciò che per la nostra comprensione umana è ordine, cioè le sei
facce dello stesso colore. Per ottenere queste dovremo disperdere delle energie mentali
e cercare di arrivare razionalmente all'ordine che noi conosciamo.
Contrasteremo, dunque, il disordine con energia neghentropica, vale a dire nel caso di
specie, quella del ragionamento.
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Nel sistema urbano, vale a dire la città, vige la stessa legge di trasformazione universale
tendente al disordine.
Un sistema complesso, come il sistema territoriale o il sistema urbano, cioè formato da
molti elementi costituenti, lasciato a se stesso, tende -come tutte le cose- a modificarsi
dall'ordine verso il disordine per disgregazione degli stessi costituenti perché ognuno di
essi tenderà, inevitabilmente, a essere assoggettato alla legge universale di
trasformazione.
Disordine vuol dire complessità crescente e, quindi, per contrastare il disordine e
tentare una riorganizzazione antropica, vale a dire che sia comprensibile per l'uomo, c'è
un'inevitabile dissipazione di energia.
L'urbanistica ha proprio questo compito: controllare la trasformazione della città al fine
di ridurre il disordine derivante dalla trasformazione medesima.
Controllare e dirigere la trasformazione urbana significa, quindi, ridurre il disordine.
Ridurre il disordine, abbiamo detto, significa anche risparmiare energia nel futuro per
cercare di contrastare il disordine derivante, appunto, da una trasformazione
incontrollata.
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Pianificare significa, quindi, regolare la trasformazione del territorio secondo un


interesse comune nel mantenimento di un equilibrio ambientale, cioè rispettando
anche esigenze di trasformazione delle altre specie viventi. Perché l'uomo, in quanto
anch'esso specie, vive nella comunità planetaria di tutte le varietà di esseri viventi e
con esse deve imparare a convivere.
Per pianificare occorre, in termini pratici e riducendo i concetti a rudimenti, scegliere le
aree dove ammettere la trasformazione e dove vietarla. Dettare le linee di come la
trasformazione in queste aree deve avvenire e i suoi limiti. Indicare per le aree dove la
trasformazione è vietata come ripristinare i rapporti di equilibrio al loro interno.
Progettare lo strumento urbanistico comunale vuol dire, quindi, ideare un disegno
globale della città sotto ogni profilo: etico, estetico, economico e tecnologico cercando
di determinare un estremo equilibro nella valorizzazione e svalutazione delle aree. Ivi
comprese le aree già esistenti, dove per ragioni di squilibrio la trasformazione non è
ammessa.
Compito didattico di questo corso è, pertanto, trasmettere i mezzi per comprendere
come pianificare o ripensare il disegno di sviluppo della città.
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Il terzo argomento di questa unità didattica affronta la visione dell'urbanistica come lo


studio del governo dello spazio esterno e, pertanto, partendo dallo spazio domestico -
che ancora non appartiene alla scala urbanistica- passa allo spazio esterno e alla sua
concezione come entità individuale e collettiva.
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Abbiamo parlato di urbanistica come necessità di contrasto al disordine naturale cui


tende la trasformazione.
Ora passiamo a parlare di urbanistica come strumento di regolazione armonica dei
rapporti tra l'individuo e la società e, quindi, l'ambiente antropico in cui egli vive.
Anche la formazione della nostra personalità individuale è soggetta a una continua
trasformazione che va dalla semplicità del neonato alla complessità crescente
dell'adulto e dove l'educazione e l'esperienza agiscono da forza neghentropica per
contrastare gli squilibri.
Ogni essere umano, vale a dire ogni INDIVIDUO quando nasce ha ovviamente un
rapporto diretto con lo spazio da egli occupato. Questo spazio è variabile nel tempo.
Nei primissimi anni di vita l'unico spazio del quale abbiamo sensazione e controllo è
quello della CULLA. Quella è la nostra città. Poi, andando avanti nel tempo, nascono
l'esperienza e la conoscenza e, quindi, la percezione spaziale inizia ad ampliarsi
allargandosi alla stanza da letto, alla stanza dei genitori e dei fratelli e via via agli altri
spazi della casa. La nostra città diventa la casa.
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Per la formazione della personalità individuale ha poi una notevole importanza il


passaggio dallo spazio DENTRO casa, allo spazio FUORI casa. L'approccio alla città.
La prima uscita da casa prevede, infatti, l'aumento a dismisura dei rischi e delle
esperienze. Si dilata la sensazione di precarietà.
L'ambiente esterno è contraddistinto da temperatura, umidità, suoni e luci diverse da
quelle cui eravamo abituati. Con l'aumento del rischio aumenta, però, anche il nostro
modo di porsi di fronte al rischio medesimo. E qui entrano in gioco la nostra -poca-
esperienza, l'esperienza degli altri e l'educazione. Grazie a esperienza ed educazione
siamo in grado di controllare con un livello diverso da individuo a individuo, il rischio.
L'abitudine all'esperienza, la capacità del cervello di analizzare e controllare le paure del
NUOVO si fanno sempre più raffinate passando alla valutazione delle immediate
vicinanze di casa e poi all'intera città; quindi: alle città vicine, alle nazioni vicine, ai
continenti vicini allargando sempre di più la nostra esperienza individuale.
In questo nostro impadronirci della coscienza o conoscenza dello spazio i nostri punti di
riferimento raramente sono le case, ma più che altro i luoghi utili.
Utili non solo a noi, ma anche ad altri, vale a dire luoghi d'interesse collettivo.
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L'urbanistica è una scienza antropocentrica per eccellenza e come tale imita


l'esperienza dell'individuo. L'esperienza cui fa costantemente riferimento è ovviamente
la percezione prossemica del singolo, vale a dire la conquista percettiva e progressiva
degli spazi che circondano l'individuo per dare a questa un'efficiente organizzazione
antropica.
L'urbanistica non controlla solo la trasformazione, quindi, ma analizza tutti gli elementi
fisici e funzionali che necessitano al complesso d'individui che occupano uno spazio
minimo autosufficiente dal punto di vista primario e cerca di organizzarli al meglio.
Dallo spazio minimo, poi, l'urbanistica allarga la sua visione a una scala immediatamente
più grande studiando, quindi, le relazioni che esistono tra più spazi minimi e così via
sino ad arrivare alla scala geografica e territoriale.
Ogni porzione dello spazio fisico in cui si muove l'uomo può essere studiato, dunque sia
a scala minima, cioè l'intero spazio in cui l'individuo opera quotidianamente e sia come
facente parte di una scala più grande e -volendo- più ampia ancora.
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Il quarto argomento di questa unità didattica affronta la visione dell'urbanistica come lo


studio del governo dell'economia urbana e, quindi, analizza come l'economia -in
particolare il concetto di surplus- abbia influenzato le comunità umane dal villaggio
disordinato alla città contemporanea.
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L'esigenza di trasformare lo spazio intorno a sé nasce nell'uomo dalla necessità di


plasmare ciò che lo circonda in base alle proprie esigenze economiche, intese come
soddisfacimento dei bisogni materiali e non materiali che lo assillano.
La prima grande esigenza di trasformare il territorio in base alle esigenze del singolo ha
già origine nella preistoria con la nascita del surplus.
L'agricoltore inizialmente comincia a produrre in eccesso rispetto alle proprie esigenze
immediate e, in un secondo tempo, anche rispetto alle esigenze future. A quel punto
nasce la prima delle necessità urbanistiche di organizzazione delle risorse territoriali per
il benessere degli individui. Nasce la necessità di proteggere l'eccedenza e di poterla
fisicamente cambiare con altre eccedenze di diverso tipo con altri soggetti. Si raggiunge
così, un primo livello di complessità dell'organizzazione territoriale.
Dipanare una complessità genera nuova difficoltà, per cui si dà origine a una
specializzazione del problema. Nasce, quindi, la specializzazione della produzione,
ancorché a un livello elementare, dove in base alle condizioni locali diventa conveniente
produrre un certo bene rispetto a un altro, approvvigionandosi invece in altri luoghi dei
beni che non torna utile produrre o non possono essere realizzati localmente.
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Le strutture per proteggere l'eccedenza e la nascita dei luoghi di scambio determinano


una modifica del concetto di agglomerato di abitazioni.
L'agglomerato di abitazioni, inteso come semplice insieme di rifugi dalle insidie del
mondo esterno, diventa più complesso. Nasce l'aumento di scala: dal problema del
singolo risolto in maniera individuale si passa al problema comune al gruppo e, pertanto,
come tale, risolto collettivamente. L'insediamento sparso diventa villaggio giacché
dotato di funzioni di difesa e di spazi di uso comune.
C'è un passaggio urbanistico dal singolo, all'insediamento sparso per arrivare, infine, al
villaggio. E in ognuno di questi passaggi c'è sempre, come caratteristica comune, un
aumento della complessità e un conseguente intervento organizzativo, un gesto
urbanistico che riesca a risolvere i problemi generati da questa.
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La specializzazione dei villaggi porta di conseguenza alla necessità di relazionarsi e di


entrare in contatto fra di loro al fine di ottimizzare gli scambi di merce; per ottenere ciò
è necessario siano sviluppate le reti di collegamento, quindi, è essenziale nascano le
strade. Dal verde selvatico su cui transitava disordinatamente e secondo scelte
strettamente individuali il singolo, si passa al percorso ottimale che permette di
raggiungere il villaggio vicino con il minimo dispendio di energie. C'è anche in questa
fase un aumento della complessità generale data dalla necessità di collegare le varie
“strutture villaggio” nella maniera ottimale. Il gesto urbanistico genera quindi, in questa
fase, l'infrastruttura, vale a dire il meccanismo di collegamento tra più strutture.
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La necessità di collegare i vari villaggi diventa sempre più estesa e sempre più
specializzata, si passa, quindi, dal semplice collegamento per via terrestre a quello
sull'acqua tramite imbarcazioni che permettano il collegamento di quei villaggi
altrimenti non raggiungibili per via terrestre. Questa crescente specializzazione degli
scambi porta dunque alla nascita dei grandi assi viari di terra -da villaggio baricentrico a
villaggio altrettanto baricentrico- o di mare -da porto a porto-.
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I luoghi d'incrocio di due o più assi viari diventano, dunque, luoghi strategici per
velocizzare gli scambi delle eccedenze. In questi luoghi dove lo scambio è più facile e
più veloce nascono, quindi, i mercati come luoghi d'incontro di più provenienze di beni
economici. In corrispondenza dei mercati, i villaggi già esistenti o nati ex novo in questi
spazi acquistano, pertanto, una maggiore importanza rispetto a quelli più decentrati.
Tutta la ricchezza transita attraverso questi luoghi e una parte viene giocoforza
trattenuta sul posto determinando una maggiore velocità di accumulo di beni rispetto
agli altri villaggi.
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La maggiore ricchezza a sua volta intercetta dei flussi di persone e denaro alla ricerca di
fortuna negli stessi spazi, determinando così un circolo virtuoso di crescita e di
importanza di queste aree. Con la nascita dei mercati i villaggi diventano borghi o città,
non c'è più solo un aspetto meramente funzionale a cui l'urbanistica deve rispondere,
ma anche un aspetto simbolico a rafforzare l'etica dominante. La scelta degli spazi
dunque, non è più dettata da ragioni strettamente organizzative ma la loro successione,
dimensione e collegamento avviene anche per ottenere l'affermazione di un principio
dominante.
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La nascita del sovrappiù nella storia ha, però, permesso non solo lo sviluppo e la
crescita della complessità con la necessità di ricorrere all'urbanistica per organizzare i
problemi derivanti da questa, ma ha permesso anche la nascita di metodi -di vario
genere- in parte leciti, o anche resi forzatamente tali, per sottrarre il surplus a chi lo ha
realizzato da parte di soggetti che non hanno minimamente partecipato al processo
produttivo. La sottrazione forzata del sovrappiù è un problema del genere umano
determinato dalla scarsità dei beni economici e che ha causato conflitti in ogni epoca.
La sottrazione a volte è avvenuta in maniera esplicitamente forzosa, vale a dire in
maniera violenta, quindi, in assenza di qualsiasi etica di facciata in nome del risultato
oppure, al contrario, in nome di un'etica imposta, capace comunque di persuadere il
possessore del surplus a cedere questo o parte di questo in nome di un principio da egli
condiviso o, nella migliore delle ipotesi, in nome di uno scambio solo apparentemente
equo.
Il metodo di sottrazione del sovrappiù ha determinato nella storia anche la morfologia
urbanistica delle città.
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Nelle società dove i beni del surplus appartengono in maniera completa a una ristretta
cerchia di soggetti si ha una forma rozza di città o borgo.
Una città fortemente gerarchizzata dove da una parte trovano posto la residenza della
persona padrona del surplus e dell'altra le persone impossibilitate di possedere nulla di
eccedente oltre al minimo necessario per la sopravvivenza.
In questo caso la città è un insieme di spazi destinati all'uso e consumo del padrone del
surplus e tutto ha una forma simbolica atta a rafforzare l'idea comune che il principio
per il quale una -o più persone- siano proprietarie di tutto, a scapito di chi
effettivamente produce, sia un concetto giusto. La forma della città serve anche a
proteggere il surplus da possibili sottrazioni.
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Nelle società dove non tutto il surplus viene sottratto al produttore, invece, abbiamo
degli spazi gerarchicamente suddivisi:
- i luoghi di prestigio e simbolicamente significativi appartengono sempre al sottrattore
del sovrappiù, mentre
- gli spazi meramente funzionali possono essere anche utilizzati dalla persona a cui è
concesso trattenere una quota di sovrappiù oltre alle proprie esigenze.
Con l'aumentare delle quote di surplus a favore del produttore di beni, aumenta anche
la complessità delle città.
Nascono nuovi ruoli e, quindi, nuove divisioni del lavoro. Nasce un nuovo concetto di
gestione del sovrappiù: chi possiede beni in eccedenza rispetto al proprio fabbisogno,
oltre a quanto vada al padrone, non sempre è in grado di organizzare lo scambio con
altri o, semplicemente è impossibilitato a farlo. Nasce quindi una nuova figura: il
mercante.
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Il mercante dunque si occupa di acquistare il surplus e liberare, pertanto, la persona che


lo possedeva dalla necessità di doversi organizzare per farlo.
Egli acquista a un prezzo (costo) leggermente inferiore a quello che avrebbe ottenuto il
produttore se lo avesse collocato direttamente sul mercato. E questo minor costo è
prezzo del servizio pagato dal produttore per non aver dovuto occuparsi della
collocazione del bene sul mercato. Successivamente il mercante colloca il bene nei
mercati dove c'è molta richiesta e poca offerta ottenendo un prezzo di realizzo più alto
rispetto ai mercati ordinari dove il bene è facilmente reperibile. La differenza tra il
minor costo e il maggior ricavo da egli ottenuta rappresenta non un eccedenza, perché
non c'è alcun bene in surplus, bensì un ricavo. Il quale rappresenta comunque un
sovrappiù connesso, però, non alla produzione di beni materiali ma di servizi. Nasce,
quindi, il mercato dei servizi.
Questo aumento di cessione degli spazi determina un collasso che porta alla liberazione
delle figure emergenti che rivendicano interamente per sé il surplus prodotto, facendo
così nascere la città moderna quasi essenzialmente funzionale e organizzativa e dove
gli spazi simbolici sono espressione democratica di una parte della società medesima.
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Con la nascita delle industrie il processo di produzione diventa di massa e di larga scala.
Il bene non è più prodotto da un piccolo gruppo di persone, ma da molti soggetti
ognuno dei quali partecipa solo a una parte del processo. Nasce anche il possessore dei
mezzi di produzione, il quale in virtù di questa sua caratteristica è il solo in grado di
coordinare più persone a un processo produttivo da lui scelto e di trattenere per sé
l'eccedenza pagando ai lavoratori un salario per la loro prestazione.
I lavoratori diventano, pertanto, anch'essi “merce lavoro” da utilizzare nel processo
produttivo come qualsiasi altro fattore che interviene.
Il compenso per il lavoratore diventa, quindi, una variabile dipendente dall'eccedenza
come tutti gli altri fattori della produzione.
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L'industrialismo causa una complessità esponenziale del sistema città. Ogni città ha
estrema necessità di legarsi ad altre città e ad altri luoghi rilevanti del territorio. La
specializzazione del lavoro aumenta a dismisura frammentandosi sempre di più.
Aumentano enormemente gli scambi, le comunicazione e, quindi, le infrastrutture. La
città s'ingigantisce a dismisura e il controllo da parte dell'urbanistica diventa sempre più
complicato e oggetto di studi approfonditi. Nasce, in altre parole, la necessità di
pianificare lo sviluppo del futuro.
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Accanto al mercante trova spazio anche un'altra figura, quella del prestatore di beni.
Chi possiede beni in eccesso o il loro valore in denaro non è obbligato a cederli in
maniera definitiva, li cede solo momentaneamente ad altri per ottenerli indietro dopo
un certo tempo con il pagamento di una somma, detta INTERESSE, per il servizio offerto.
Nasce così la finanza moderna basata tutta sul principio di prezzo d'uso del capitale.
Gli spazi destinati alle nuove attività sono spazi senza gerarchizzazione ma
rigorosamente ancorati a una pura funzionalità. Col progredire delle nuove figure
nascono nuove forme di ricchezza non direttamente ancorate alla produzione di beni,
del surplus di servizi, quindi, puramente sulla carta e non immediatamente disponibile. I
padroni delle città cedono però sempre più spazi a favore delle nuove figure perché
consapevoli che queste, producendo ricchezza, possono incrementare anche la loro.
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Dopo aver visto le declinazioni delle principali visioni dell'urbanistica passiamo a


concetti complementari utili per la comprensione della materia. In questo quinto
argomento esamineremo la gestione della complessità cercando di spiegare cosa
s'intenda per questo concetto sfuggente all'intuizione.
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Abbiamo parlato di tre aspetti inconfutabili di lettura dell'urbanistica. L'urbanistica come


controllo della legge di trasformazione dell'universo, l'urbanistica come modellazione
dello spazio a scala urbana o territoriale anziché domestica e l'urbanistica come sede
spaziale dell'economia. Naturalmente l'urbanistica, lo abbiamo già ripetuto più volte,
ha numerose chiavi di lettura, ma se si vuole tentare una didattica manualistica occorre
ridurle. Esamineremo, dunque, il controllo della trasformazione a livello spaziale urbano
e marginalmente anche quello territoriale compatibilmente con le esigenze economiche
della società. La trasformazione attuata dall'uomo sul territorio si manifesta, dunque, su
questi aspetti in contrasto tra loro.
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Da una parte l'esigenza di modellare il contesto in cui vive l'uomo per ottenere una
maggiore e sempre più efficiente funzionalità che possa affrancare ogni individuo da
qualsiasi sensazione fisicamente sgradevole e dall'altra preservare il contesto medesimo,
affinché questo riesca ad adeguarsi alla trasformazione nel tempo più breve possibile.
Nella città, da una parte esiste, quindi, l'esigenza di aumentare le abitazioni per le
famiglie al fine di: soddisfare la crescita demografica, aumentare la mobilità degli
individui con trasporti e strade sempre più capillari ed efficienti, erigere strutture di
produzione e di scambio commerciale culturale e artistico, dall'altra c'è un consumo di
territorio con il rischio di svilire l'ambiente di vita, distruggere le emergenze
monumentali, storiche e architettoniche in nome della funzionalità.
Stessa cosa dicasi a livello territoriale, dove in luogo del rispetto dei tessuti urbanistici e
delle emergenze architettoniche troviamo il rispetto dell'ambiente e delle emergenze
paesaggistiche.
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La trasformazione continua porta, abbiamo detto, a una complessità crescente. Il


controllo della complessità da parte dell'uomo rimane il compito fondamentale
dell'uomo moderno.
Andiamo, pertanto, ad analizzare gli studi sulla complessità per meglio comprendere
come questi possano aiutare l'urbanistica a controllare la complessità urbana.
La teoria della complessità è uno studio multidisciplinare che si occupa di analizzare i
sistemi complessi adattivi e i fenomeni -anch'essi complessi- associati a questi. Lo studio
della complessità fa parte della cosiddetta TERZA CULTURA la quale non si riconosce per
definizione in quella umanistica, ma nemmeno in quella tecnologico-scientifica.
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Prima di analizzare la teoria della complessità occorre precisare, al fine di sgomberare il


campo da possibili equivoci di significato, che il termine “complesso” denota un
contenuto ben diverso da “complicato”.
Il primo, infatti, deriva dal greco pleko o anche latino cum plicatus, vale a dire un
argomento piegato in se stesso che richiede un codice di srotolamento per
comprenderne a pieno il significato. Una cosa complicata è, dunque, difficile poiché è
necessario conoscere lo strumento per dispiegare il problema.
Diverso è il concetto di complesso , il quale deriva dal greco plèkein o dal latino
complexus, cioè formato da più parti (plessi) in relazione tra loro. Una cosa complessa,
dunque, non necessariamente deve essere difficile perché non è richiesto un codice di
lettura del problema, ma una capacità a valutare contemporaneamente le varie parti di
cui è composto.
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La teoria della complessità, pertanto, serve a interpretare una realtà poliedrica e


composta di molti aspetti, i quali vanno analizzati sincronicamente.
Un problema, secondo la teoria della complessità, sarà quindi l'insieme delle sue
innumerevoli domande a ognuna delle quali dovrà darsi una risposta. Se esiste un
processo o metodo da seguire per dare una risposta a ogni domanda si dirà che il
problema dispone di un algoritmo efficace.
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Un sistema complesso è, dunque, un “sistema aperto” costituito da tante parti collegate


tra loro per mezzo d'interazioni. Anche le varie parti possono essere più o meno
complesse, e la misura di tale complessità è data dalla lunghezza della loro descrizione
dettagliata minima. La città è, pertanto, un sistema complesso costituito da numerose
parti a loro volta complesse; porzioni per la maggior parte (ma non solo) di derivazione
antropica in interazione locale non lineare. Vale a dire dove ogni parte influisce su quelle
più vicine e la funzione matematica che descrive l'interazione non è espressa da
un'equazione di primo grado.
Si definisce come algoritmo qualsiasi procedimento o schema di calcolo o, più in
generale, soluzione metodologica di un problema.
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Nei sistemi complessi ha, poi, fondamentale importanza il concetto di feedback, vale a
dire la retroazione provata da un'azione.
Spieghiamo in poche parole cos'è: una componente interagisce su un'altra; a causa di
questo impulso tale altra componente eserciterà una risposta sulla prima.
Tale risposta detta appunto feedback potrà, quindi, inibire ulteriori interazioni da parte
della prima componente sulla seconda e in tal caso si dirà che è il feedback è
NEGATIVO; oppure, diversamente, potrà incoraggiare ulteriori interazioni e si dirà
quindi POSITIVO.
I feedback negativi determinano l'equilibrio dinamico di un sistema, mentre quelli
positivi ne determinano l'esplosione, quindi, sostanzialmente lo squilibrio.
Le componenti di una città interagiscono tra di loro formando una rete di interazioni
locali non lineari. Le interazioni producono all'interno della città un intreccio di
feedback negativi e di feedback negativi che influiscono in maniera diversa sull'equilibrio
del sistema nel suo complesso.
La teoria dei sistemi dinamici, prende in considerazione quei sistemi che evolvono nel
tempo e tiene anche presente il fatto che sia l'ingresso che l'uscita si sviluppano
progressivamente. Questa teoria, può essere considerata come il supporto
indispensabile nella messa a punto del quadro concettuale di riferimento per lo studio
del CAOS.
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Il sesto e ultimo argomento di questa unità didattica affronta sommariamente, ma in


maniera esaustiva per ciò che compete alla nostra materia, la teoria dei sistemi, in
particolar modo la loro definizione e la loro classificazione fondamentale, verificando
inoltre operativamente dove la città è direttamente interessata dalla teoria.
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Il concetto di città come SISTEMA è molto importante, per cui vale la pena di spendere
un po' di tempo ad approfondire la teoria dei sistemi e in particolare i sistemi dinamici.
Si definisce come SISTEMA un insieme di oggetti o di sottosistemi, che interagiscono tra
di loro e scambiano energia, informazione o materia con l'ambiente esterno allo scopo
di raggiungere un obiettivo
prefissato.
I criteri utilizzati per classificare i sistemi fanno riferimento:
· all'origine o natura
· alla composizione o struttura
· al tipo di funzionamento o comportamento
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Classificando i sistemi in base alla loro origine questi possono essere:


Sistemi NATURALI: come dice la definizione medesima sono i sistemi già presenti in
natura come il sistema planetario, il sistema delle maree, dei venti.
Sistemi ARTIFICIALI: sono i sistemi nati direttamente per opera dell'uomo, per esigenze
organizzative o per bisogni personali: per esempio il sistema di distribuzione dell'energia
elettrica, il sistema di elaborazione dei dati, il sistema scolastico, il sistema economico, il
sistema televisivo, il sistema automobile, il sistema bancario, il sistema giudiziario.
Sistemi MISTI: sono i sistemi risultanti dall'intervento dell'uomo su fenomeni naturali.
Per esempio il sistema di produzione del sale marino dove l'acqua del mare viene
raccolta in vasche create dall'uomo, il sistema di trasformazione e produzione
dell'energia elettrica (ad es. pensare alle centrali idro-elettriche, centrali eoliche e
solari).
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Classificando i sistemi in base alla loro composizione questi possono essere:


Sistemi CONTINUI: sono i sistemi per i quali, eliminando un componente, si pregiudica il
funzionamento dell'intero sistema. Nel sistema orologio se manca un pezzo il
meccanismo non funziona. Nel sistema automobile se non funziona la batteria la
macchina non parte. Nelle serie luminose dell'albero di Natale se non funziona una
lampadina non funziona tutta la serie.
Sistemi DISCRETI: sono sistemi per quali il mancato funzionamento di una parte non
pregiudica il funzionamento dell'intero sistema. Per esempio in un supermercato, la
momentanea mancanza di un
prodotto non blocca il funzionamento dell'intero supermercato. In un appartamento, è
possibile abilitare disabilitare le varie parti dell'impianto elettrico mediante interruttori.
Ad esempio: un interruttore
dedicato alle prese di ciascun piano, un interruttore dedicato alle prese di potenza del
locale cucina, un interruttore dedicato ai punti luce di ciascun piano eccetera. Il fuori
servizio di una sezione non condiziona il resto dell'impianto.
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Classificando i sistemi in base al loro funzionamento questi possono essere:


Sistemi APERTI: Indicando con ambiente esterno tutto ciò che non appartiene al
sistema, si definiscono aperti sistemi che scambiano informazione, energia e materia
con l'ambiente esterno. Sono sistemi di questo tipo il sistema città, i sistemi meccanici, i
sistemi elettrici, i sistemi informatici. Un altro esempio di sistema aperto è un qualsiasi
elettrodomestico perché per funzionare ha bisogno di energia elettrica.
Sistemi CHIUSI: sono sistemi che non hanno un contesto, cioè non interagiscono con
l'ambiente esterno. In realtà non esistono sistemi chiusi in senso stretto, perché
qualsiasi sistema agisce comunque in un contesto e ne viene in qualche modo
influenzato. Per esempio un deposito bancario, anche se non sottoposto a versamenti o
prelevamenti, subisce comunque una variazione dei tassi di interesse che ne modificano
il comportamento costituto dall'ammontare del deposito. Quindi un sistema si può
considerare chiuso quando le interazioni con l'ambiente sono trascurabili rispetto al
comportamento studiato. Ad esempio l'universo creato.
Sistemi COMBINATORI detti anche senza memoria: sono i sistemi che forniscono la
stessa risposta in conseguenza della stessa sollecitazione d'ingresso. Per esempio un
circuito logico, costituito da sole
porte logiche, fornisce la stessa uscita quando è sollecitato con gli stessi valori di
ingresso. In un sistema combinatorio il comportamento del sistema dipende solo
dall'ultimo stimolo ricevuto. I sistemi combinatori non sono in grado di immagazzinare
energia, materia o informazione: sono cioè sistemi senza memoria. Un esempio di
sistema combinatorio è il telefono, in cui l'ultimo numero telefonico immesso è
indipendente da tutti quelli fatti in precedenza.
Sistemi SEQUENZIALI detti anche con memoria: sono sistemi in cui le uscite variano in
funzione delle sollecitazioni fornite dall'esterno e dallo stato in cui si trova il sistema il
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quale, a sua volta, dipende dalla sequenza degli stimoli ricevuti. Nel sistema ascensore,
premendo un pulsante relativo a un piano, esso può salire, scendere o restare fermo in
funzione del piano di partenza. Sono sistemi con memoria, cioè in grado di
immagazzinare energia, materia o informazione. Il distributore di lattine è sequenziale e
fornirà o meno la lattina a seconda della somma inserita fino a quel momento.

La definizione di un sistema dinamico, pertanto, sarà data dagli elementi e dalle


relazioni tra gli elementi del sistema nonché dalle leggi e dai criteri di evoluzione nel
tempo.
Lo spazio di esistenza dell'EVOLUZIONE del sistema è detto spazio degli stati o spazio
delle fasi ed è un'astrazione meramente concettuale, le cui coordinate sono le
componenti dello stato. Naturalmente le coordinate dello spazio delle fasi mutano con il
contesto. Anche se è riconosciuto che il comportamento dei sistemi dinamici caotici è
imprevedibile, lo spazio degli stati può essere utile a rappresentare tale
comportamento in forma geometrica.
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Attualmente le teorie del caos ancora non permettono di dare soluzione al problema
della previsione dell'evoluzione dei sistemi soprattutto perché esistono ancora molte
incognite sulla effettiva incidenza e sul significato del caos.
La centralità dei sistemi complessi è dunque costituita dall'organizzazione come sua
qualità intrinseca.
Si può definire come organizzazione la forma, la distribuzione e l'intensità delle relazioni
tra le componenti che costituiscono un'unità complessa o sistema. L'attitudine a
organizzarsi è una delle proprietà fondamentali di un sistema e può essere espressa
come l'evoluzione delle interazioni di carattere relazionale in organizzazione.
L'elevata quantità dei sistemi esistenti rende necessario realizzare una gerarchia e una
categorizzazione dei sistemi.
La determinazione del livello gerarchico di un sistema dipende fondamentalmente dalle
scelte e dalle decisioni dell'osservatore, dal quale dipende, in buona sostanza, la
rappresentazione stessa del sistema. Questo significa che nella definizione di un sistema
vi sono sempre decisioni e scelte di un soggetto che opera delle selezioni in base: alle
proprie finalità, agli strumenti disponibili e in relazione al contesto culturale e sociale.
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Tra gli infiniti sistemi in cui può essere articolata la realtà fisica, è indispensabile, per i
fini più recenti della ricerca avente come oggetto di studio il territorio, considerare la
città come un sistema dinamico a elevata complessità.
Affermare che la città è un sistema dinamicamente complesso, equivale ad asserire che
la città è:
• riconducibile a un insieme di parti tra loro in relazione, cioè è un sistema a tutti gli
effetti;
• i processi del sistema non sono gestibili e controllabili con strumenti deterministici per
cui siamo in presenza di un sistema complesso;
• l'evoluzione del sistema-città non è prevedibile linearmente sulla base della
conoscenza delle condizioni iniziali, si tratta pertanto di un sistema DINAMICO e
complesso.
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Il grado di complessità raggiunto dalla città è tale che non si è in grado di dare una
soluzione compatibile e adeguata ai problemi del suo sistema pesantemente sottoposto
ai processi di massimizzazione dell'entropia. In alcuni periodi della storia la città si è
sviluppata conservando armonia e compatibilità tra le sue parti, da alcuni decenni,
invece, assistiamo al verificarsi di eventi estremamente variabili difficilmente
riconducibili ad una unica causa determinando insopportabili condizioni di invivibilità.
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Queste condizioni sono -quasi sempre- frutto di molte cause in relazione tra loro e di
difficile interpretazione cui si accompagna l'incapacità di gestire fenomeni complessi,
non solo per l' inadeguatezza delle procedure adottate, ma anche per l'indisponibilità di
strumenti culturali efficaci.
La complessità del sistema società-città richiede metodi di lettura e di analisi adeguati,
nonché strumenti e tecniche di controllo innovative; da alcuni anni, la ricerca scientifica
nel campo urbano e territoriale concorda nel considerare la città come un "sistema"
definito da:
• gli elementi: le diverse attività e funzioni urbane;
• le interazioni e relazioni tra le sue molteplici componenti: comunicazioni materiali e
immateriali.
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Elementi e interazioni producono effetti difficilmente individuabili su tutte le parti della


città. In questa prospettiva il paradigma della complessità sembra offrire maggiori
garanzie di attinenza e relazione nell'interpretazione della varietà e
dell'interdipendenza dei fenomeni urbani, e può assumere un ruolo centrale anche
nella definizione degli strumenti e dei metodi di soluzione dei problemi. La lettura della
città è orientata ad individuare non solo gli aspetti fisici, ma anche quelli funzionali,
vale a dire le relazioni che esistono tra le sue componenti e le leggi che le regolano.
Questa strada spinge ad adottare l'approccio sistemico-processuale, orientato, appunto,
alla definizione del divenire delle influenze reciproche fra gli elementi del sistema e fra
sistema e componenti.
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Nel corso di questa unità abbiamo affrontato molto sommariamente le basi concettuali
della materia.
Si è trattato di un approccio forzatamente generico sia per l'argomento che non è
proprio quello del corso e sia per ragioni di spazio, tuttavia si ritiene che avere una
visione generale sulla materia e sui concetti fondamentali sistematizzati, aiuti a
comprendere meglio tutto il corso.

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