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Ermeneutica della temporalità:

il senso della tecnica nella temporalità dell'ermeneutica


-Ludovico Ercole-

Queste brevi considerazioni vogliono inserirsi all'interno


del discorso promosso in questo Convegno con una ben
precisa intenzione contributiva: evidenziare l'importanza
fondamentale, non soltanto giuridica, di un pensiero che si
muova ad indagare il rapporto tra interpretazione e tempo.
E' un intervento quindi che dirà poco, e soltanto della
bontà della strada intrapresa.
Ciò che si tenterà di dire attiene al perché, a parere di
chi scrive, la contemporaneità imponga di rimeditare la
temporalità in chiave ermeneutica.
La misura della contemporaneità, all'esito dell'imponente
“decostruzione” nichilistica del XX secolo, sembra
rinvenirsi nell'egemonia della tecnica in un contesto di
complessità aperta1.
Di questo cambiamento bisogna prender coscienza, se non si
vuol correre il rischio di guardare il mondo presente con
le svianti lenti di un passato totalizzante e chiuso.
Affermare il dominio della tecnica, come potenza
totalizzante, comporta tutta una serie di conseguenze dalla
1 La lettura della contemporaneità come “dominio della tecnica” si
ritrova, trasversalmente, nel pensiero di molti pensatori del XX
secolo. Si vedano: M. Heidegger, La questione della tecnica, trad.
it. In Saggi e discorsi, Mursia, 1976; E. Severino, La tendenza
fondamentale del nostro tempo, Adelphi, Milano 1988, U. Galimberti,
Psiche e techne, Feltrinelli, Milano 2007. All'interno di una
speculazione giusfilosofica indispensabile è il pensiero di Bruno
Romano in relazione ai concetti di nichilismo giuridico e
fondamentalismo funzionale – cfr. B. Romano, Fondamentalismo
funzionale e Nichilismo giuridico, postumanesimo noia
globalizzazione, Giappichelli, Torino 2004 – nonché le riflessioni
di N. Irti sul rapporto tra tecnica e diritto – cfr. N. Irti E.
Severino, Dialogo su diritto e tecnica, Laterza, Bari 2001.
portata enorme, che qui si cercherà, sinteticamente, di
delineare.

I) Innanzitutto, quale contenuto per il concetto di


tecnica?
La tecnica può assumersi, e comunemente si assume, come
l'insieme degli strumenti e delle procedure attraverso cui
l'uomo persegue i propri scopi. E' il “modo per”: la misura
del dominio umano sulla realtà.
Ma questa definizione non sembrerebbe più rispecchiare
l'essenza del fenomeno oggi. La concezione strumentale
della tecnica sembra sorpassata in una concezione,
solitamente non percepita, totalmente finalistica2: la
tecnica, cioè, da mezzo e strumento - “modo per” - diventa
fine.
La definizione di tecnica come la capacità di realizzare
infiniti scopi e soddisfare infiniti bisogni meglio si
presta, allora, a spiegare questo cambiamento, da strumento
per un fine a fine ultimo auto-fondantesi.
Ma non è sufficiente a dar conto della novità; per bene
comprendere questa nuova concezione deve prendersi
seriamente in considerazione la sentenza di morte di Dio
come crollo degli Immutabili3: finito il tempo della
2 E. Severino, La tendenza fondamentale del nostro tempo, Adelphi,
Milano 1988, p. 38: “Gli strumenti di cui l'uomo dispone hanno la
tendenza a trasformare la propria natura. Da mezzi tendono a
diventare scopi. Oggi questa fenomeno ha raggiunto la sua forma più
radicale. L'insieme degli strumenti delle società avanzate diventa
lo scopo principale di queste società. Nel senso che esse mirano ad
accrescere la potenza dei propri strumenti.”
3 E. Severino, Legge e caso, Adelphi, Milano 2002, pag. 26 “La legge
dell'immutabile impedisce al niente di essere niente, al caso di
essere caso, a divenire di essere divenire. E tuttavia questa legge
è stata evocata proprio per salvarsi da ciò che viene ritenuto la
realtà più reale e più ineludibile:il divenire, cioè l'ac-cadere
degli eventi che escono dal proprio niente.” L'A. sottolinea come la
spiegazione totalizzante e destinale del genere umano e
della tensione veritativa assoluta non esistono più scopi
di senso che orientino e limitino la capacità di dominio
del mondo, come realizzazione infinita di infiniti scopi,
in una parola la tecnica.
La tecnica si scopre nuda: modo d'essere dello stare al
mondo dell'uomo, del suo agire.
E se la tecnica è la condizione universale per realizzare
qualsiasi scopo questa si trasforma da mezzo in fine,
perché senza la disponibilità della tecnica non si dà
l'azione. Però, ciò comporta che, se la condizione
universale dell'azione è propriamente la tecnica, questa
diventa il fine ultimo di ogni azione, capace di ascendere
e giustificare il sacrificio di ogni altro fine. Ma il
mezzo diventato scopo non ha alcun orizzonte di finalità se
non sé stesso: la tecnica per la tecnica non altri fini se
non il suo auto-potenziamento (la tecnica non procede per
finalità: i risultati tecnico-scientifici sono a-
finalizzati, solo procedurali per l'auto-potenziamento, per
l'accumulo quantitativo), la tecnica in sé non ha direzioni
qualitative4.

legge dell'episteme, gli immutabili, con la propria totalizzante


pervasività, si spingono a mettere in forma anche il nulla, il caso,
il tempo, col paradossale effetto di negare in radice la pensabilità
di questi e per cui la legge degli immutabili si giustificava
funzionalmente: il, niente, il caso e il tempo sono semplici
apparenze. Mettendo in forma il caso e il tempo si arriva
immancabilmente ad un'abitudine raziocinante e quasi fideistica di
totale significazione assoluta della realtà in Verità e del tempo in
Storia.
4 Cfr. B. Romano, Sulla trasformazione della terzietà giuridica,
Giappichelli, Torino 2006, pp. 53-55 “Qui si coglie che il principio
'la funzione della funzione è la funzione' costituisce il nucleo del
fondamentalismo funzionale, svelatosi essere il compimento del
nichilismo giuridico. (…) Il nichilismo entra nella coesistenza,
anche giuridica, annichilendo il senso, ovvero gli scopi, i perché
dell'opera dell'uomo; cancella la differenza tra i fini, che
II) La descrizione della contemporaneità fin qui condotta
comporta, necessariamente, il ripensamento del concetto di
tempo e di storia. All'esito cioè della grande
trasformazione post-metafisica, nel segno dell'onnipotenza
della tecnica, risulta diverso e trasformato il concetto di
temporalità e del soggetto che questa temporalità abita.
Corollario dell'età della tecnica è, sul piano della
temporalità, l'abbandono del concetto di Storia, intesa
come tempo ordinato secondo un senso: “il carattere
afinalistico della tecnica, che non si muove in vista di
fini ma solo in vista di risultati che scaturiscono dalle
sue procedure, abolisce qualsiasi orizzonte di senso”5.
Il tempo della tecnica è il tempo senza storia
dell'accrescimento quantitativo delle capacità senza fini.
L'uomo vive una condizione di a-storicità; non è più
protagonista del senso che ordina il mondo e il suo
accadere, non è più cioè l'abitatore della Storia, come
soggetto del cammino di realizzazione di uno scopo di
“Senso”6.

appartengono ai programmi ed alle operazioni senza storia dei


sistemi biologici e macchinali, e gli scopi, che sono invece
imputabili esclusivamente alla libertà dell'uomo, che li istituisce
nelle modalità storiche del coesistere”.
5 U. Galimberti, Psiche e techne, Feltrinelli, Milano 2007, pag. 40.
6 Cfr. B. Romano, Fondamentalismo funzionale e nichilismo giuridico,
postumanesimo noia globalizzazione, Giappichelli, Torino 2004, pag.
287 in cui l'A. traccia le linee della condizione umana nel contesto
del fondamentalismo funzionale, secondo cui l'uomo è “ambientato
nella contemporaneità semplice, esaurendosi nel tempo-veduto,
attualmente divenuto il Potere dello spettacolo di Nessuno, che ha
il suo compimento nella noia della Globalizzazione. (…) si ha la
transizione verso il postumanesimo e i diritti della senzienza.”; e
L. Di Santo, Diritto e tempo nella riflessione filosofico-giuridica
di Bruno Romano, i-lex Rivista quadrimestrale, 2010, n. 9, pag. 133
“Il tempo 'veduto' incide in ciascuno e nella relazione come
costrizione a identificarsi con ciò che colma il vuoto lasciato dal
tempo 'esistito'. (…) Il tempo giusto della relazione con gli altri
Quindi la condizione di esilio dell'uomo dall'idea di
“soggetto” (come progetto, possibilità di senso) della
storia (tempo dotato di senso: la storia inizia con la
narrazione sensata, ordinante) e la riduzione del tempo ad
accadere insensato e quantitativo dello sviluppo
tecnologico sono le due grandi direttive del cambiamento.
Volendo riassumere: se il presente è dominato dalla tecnica
e se la storia è tempo dotato di un senso, di un fine
presupponente un soggetto che, agendo, quello realizzi,
allora o la tecnica è portatrice di un senso in se stessa
oppure è determinante una condizione della temporalità come
tempo insensato abitato dall'uomo che non arroga più a sé
il titolo di soggetto.
In definitiva il trionfo della tecnica comporta la fine
della storia: la tecnica è misura quantitativa di un tempo
insignificante.
A questo punto il grande nodo da sciogliere, senza chiudere
gli occhi sul cambiamento, per chiedersi se la condizione
umana sia o meno definitivamente da registrarsi come quella
post-soggettiva e di congedo dal senso, è propriamente se
la tecnica sia destinata ad una totale assenza di senso?
La risposta è di fondamentale importanza anche nell'ambito
giuridico.

III) Il quesito, appena sopra posto, volto in positivo si


chiarifica con la domanda: può, oggi, nell'età della
tecnica mantenersi il concetto di storia, come dotazione di
senso del tempo abitato dall'uomo come soggetto?
E anticipando la risposta: può mantenersi quell'idea come

si qualifica nel temporalizzarsi nella relazionalità del linguaggio,


nel costituirsi di ciascuno come 'chi' della 'parola-linguaggio'.”
tensione, non anticipabile una volta per tutte in quanto
oggettiva, ma quasi come istantanee continue di senso,
garantite dall'ermeneutica?
E' questa l'idea che vuol proporsi, l'idea che potrebbe
consentire di mettere a frutto la bontà della lezione
decostruttivista in senso lato del XX secolo senza, però,
dover disperare in risultati scettici verso il futuro.
Il risultato sarebbe che il tempo riacquista una dimensione
qualitativa e di senso e se non è più la Storia, unica e
rivelata o rivelabile, ad ogni modo può continuare a
parlarsi di storia come tempo sensato e abitato dall'uomo
come soggetto nella continuità del discorso ermeneutico e
intersoggettivo della comprensione.
La nostra contemporaneità è il risultato di un passaggio,
forse ancora incompiuto e incompreso, che giustizia di ogni
idea la propria maiuscola. La nostra è l'epoca delle idee
al minuscolo, delle idee fondate sull'interpretazione
intersoggettiva7.
La coscienza di questa condizione deve animare ogni campo
del sapere e in primis quello giuridico.

IV)Proprio nel giuridico la soluzione appena prospettata


può ritenersi essere propria del diritto e garantire
l'impossibilità di una riduzione della condizione umana a
mero apparato funzionale della tecnica e abitatore di un
tempo insensato. Può evitarsi di ridurre il fenomeno
giuridico a mera forma della forza imperante e insensibile
7 E. Severino, Legge caso, cit. p. 58-59, “Il mondo dominato dalla
scienza è il mondo intersoggettivo. Ma l'autocoscienza critica
dell'operare scientifico non riesce ancora a percepire che
l'inscrizione del dato nel contesto del consenso e del dissenso
intersoggettivo – l'inscrizione per la quale il dato acquista un
valore scientifico – è una interpretazione.”
ai contenuti.
Il carattere fondamentale del diritto che assicura la
risposta di senso anche a seguito della sentenza di morte
di Dio è propriamente la propria irriducibile e strutturale
vocazione ermeneutica.
Comprendere che il diritto abbia una vocazione
irriducibilmente ermeneutica significa comprendere che
l'interpretazione ha una valenza normativa8 del con-senso
intersoggetivo. E allora, se la scoperta decostruttivista
ci avverte che non c'è Senso unico e maiuscolo,
l'ermeneutica aggiunge, normativamente, che il senso vive
ad ogni modo come con-senso nell'intersoggettività degli
esseri umani9.
Ma in più il diritto, nella sua struttura temporale allo
stesso momento diacronica e sincronica10 (che permette sia

8 E. Severino, Op. ult. cit., pag.59 “L'interpretazione è la volontà


che il dato abbia un certo significato. Più precisamente, è la
volontà che il dato abbia un significato ulteriore, cioè addizionale
rispetto al significato in cui il dato consiste. Il dato addizionale
costituisce il contenuto dell'interpretazione, ed è in relazione a
questo contenuto che il dato che il dato si costituisce come
interpretato. (…). L'interpretazione è volontà perché sebbene siano
dati e il dato interpretato e il contenuto dell'interpretazione,
tuttavia l'affermazione che il dato ha un significato addizionale
non esprime una connessione data e non esprime nemmeno una
connessione logica di carattere analitico. L'esistenza della
connessione è un problema, ossia è anch'essa data, ma è data come
problema: l'interpretazione è il risolvimento pratico del problema,
nel senso appunto che è la volontà che tale connessione esista.”
9 B. Romano, Fondamentalismo funzionale e nichilismo giuridico,
postumanesimo noia globalizzazione, Op. cit., pag. 296 “Il dire
sempre eccedente il detto (numerico-digitalizzante) è il dirsi
(disnumerico-evocante) nella comunicazione interpretata come
movimento chiamata-risposta, ove chi chiama entra nella temporalità
dell'attesa di senso e dell'esercizio del differenziarsi, che
l'altro reciprocamente manifesta con il rispondere.”
10 Fondamentale in tal senso è la riflessione di S. Pugliatti sul
rapporto tra diritto ed esperienza storica: Cfr. S. Pugliatti,
Grammatica e diritto, Giuffrè, Milano 1978, pag. 377, in l'A. nota
come il diritto si strutturi allo stesso tempo, e necessariamente,
come previsione sincronica e risposta diacronica e che nella
dialettica continua e continuamente risolta di queste due componenti
di prevedere oggi per il futuro e sia di giudicare il
domani per il passato) adegua attraverso l'interpretazione,
i tre momenti – passato presente e futuro – nell'unicum
della normatività che è decisione intersoggetiva come con-
senso perennemente in formazione. E allora, se la scoperta
decostruttivista ci avverte che non c'è Storia unica e
maiuscola, l'ermeneutica aggiunge, normativamente, che il
senso vive ad ogni modo nell'interpretazione come
riconduzione ad unicum della dimensione diacronica e
sincronica del diritto11.

Se tali argomenti possono in qualche modo persuadere,


contemporaneamente si sarà persuasi che la direzione di
pensiero puntata sul rapporto tra tempo e diritto nel segno
dell'ermeneutica sia fondamentale per ricondurre la nostra
contemporaneità in un orizzonte di senso che mantenga
all'uomo il ruolo si soggetto.
In conclusione e tenendo fede al proposito d'apertura di
questo intervento, la bontà di un pensiero che si muova ad
indagare il ruolo dell'ermeneutica in rapporto al tempo,
con l'obiettivo di garantirlo come tempo-vissuto e mai come
tempo-veduto, pare confermarsi in duplice direzione : da un
lato come messa a frutto delle migliori idee
decostruttiviste del XX secolo e dall'altro come oriente
salvifico in grado di evitare l'estrema deriva nichilista.

viene a costituirsi il “senso” del diritto quale prodotto, in


continua formazione: “forma e sostanza non possono che vivere in
perfetta e costante simbiosi e una divaricazione non dovrebbe
risultare non soltanto ammissibile ma neppure possibile in base al
principio, connaturato alla storia, della integrazione del
discontinuo astratto con il continuo concreto.”
11 S. Pugliatti, Grammatica e diritto, Giuffrè, Milano 1978, pag 93 in
cui lapidariamente afferma la natura del diritto come: “sintesi del
molteplice nell'uno”.
Non resta che continuare a rinnovare quotidianamente questa
fatica.

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