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Valdarchi - Tecnica e vita storica

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Matteo Valdarchi

UNIVOCITÀ DELLA TECNICA


E PLURIVOCITÀ DELLA VITA STORICA
Ethos come salvaguardia della pluralità del vivente umano

1. Introduzione

Un alone di inefficace inutilizzabilità circonda gli scritti heidegge-


riani sulla questione della “tecnica”. La meditazione del pensatore di
Meßkirch sembra eludere il confronto duro e quotidiano con le urgenti
questioni che lo sviluppo e il progresso tecnologico pongono all’umano
oggi, per trovar riparo sotto la coltre di nebbia di una ideologia anti-
tecnica o «tecnofobica»1. Una simile considerazione, tuttavia, non co-
glie il nocciolo della questione.
Scopo del presente lavoro è di mostrare che la peculiarità dell’impo-
stazione della questione della “tecnica” in Heidegger consista nel ruolo
decisivo che in essa gioca l’interpretazione-appropriazione dell’essenza
del linguaggio. Questo tratto della riflessione heideggeriana sulla tec-
nica emerge con forza in uno scritto degli anni Sessanta, il testo per la
conferenza Überlieferte Sprache und technische Sprache2 (1962).
Pertanto, si intende sviluppare un’analisi puntuale di questo testo,
al fine di lasciar affiorare la risonanza fondamentale della meditazione
sull’essenza del linguaggio nel cuore della “cosa” della tecnica.

2. L’essenza storica della tecnica

La domanda da cui prende le mosse la nostra indagine è la seguente:


in che modo la “tecnica” emerge come questione nella meditazione di
Heidegger? Esso si lascia vedere già nell’inizio destabilizzante del testo
del ’53, La questione della tecnica: «In queste pagine, noi poniamo la
domanda circa la tecnica. [...] La tecnica non si identifica con l’essenza

1
Cfr. G. Kovacs, Heidegger’s Insight into the History of Language, in «Heidegger Studies»
29(2013), p. 127.
2
Da qui in poi indicato come usts.
194 Parte terza - Questioni

della tecnica»3. L’impostazione heideggeriana della questione della tec-


nica mira alla sua essenza; ma essa non è nulla di tecnico. In altre parole,
l’essenza della tecnica non può esser compresa, colta nel suo nocciolo
problematico tecnica-mente, ossia mediante il modo di pensare tecnico;
essa esige, esorta un altro pensiero.
L’inadeguatezza del pensiero tecnico nel determinare a sufficienza
ciò che è in gioco nell’essenza della tecnica viene problematizzata im-
mediatamente anche nel testo per la conferenza usts: invero, i nomi
che compaiono nel titolo «linguaggio, tecnica, tradizione – nominano
qualcosa cui manca una sufficiente determinazione»4. Dunque, il primo
passo necessario per esperire ciò che di essenziale vi è nella tecnica è
di mettere in questione le rappresentazioni correnti mediante le quali
vengono di solito pensate “tecnica”, “linguaggio”, “tradizione”.
Se poniamo attenzione, anzitutto, al modo in cui la tecnica irrompe
come questione, non possiamo lasciarci sfuggire il fatto che solo una
preliminare messa in questione del modo in cui viene concepita la tec-
nica e ciò che di essenziale v’è in essa, ossia del linguaggio attraverso
cui viene veicolata, consenta di porre la tecnica in questione. Pur se non
esplicitamente tematizzata, tale preliminare messa in questione del lin-
guaggio costituisce il punto d’appoggio iniziale da cui muove l’intera
riflessione dipanata nella conferenza del 1962.
Il primo termine messo in questione è quello che, a ben vedere, do-
mina l’intero ambito della nostra ricerca: la “tecnica”. Essa, così come
tramandata nella rappresentazione corrente, mostra due tratti fonda-
mentali, interdipendenti fra loro. Anzitutto,

«la tecnica moderna, al pari di ogni tecnica precedente, vale come qualco-
sa di umano, qualcosa di scoperto, compiuto, sviluppato, diretto e assicurato
dall’uomo per l’uomo»5.

La conferma della configurazione antropologica della tecnica mo-


derna viene rilevata da Heidegger nell’indicazione, fornita dalla rap-
presentazione abituale, secondo cui la tecnica «è fondata sulla scienza
moderna della natura»; quest’ultima, invero, «noi l’intendiamo come

3
M. Heidegger, La questione della tecnica, in Id., Saggi e discorsi, ed. G. Vattimo, Mursia,
Milano 20162, p. 5.
4
M. Heidegger, Linguaggio tramandato e linguaggio tecnico, ed. C. Esposito, Edizioni ETS,
Pisa 1997, p. 28.
5
Ibi, p. 35.
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un compito e una prestazione dell’uomo»6. In virtù della rappresenta-


zione antropologica, la tecnica viene solitamente concepita come stru-
mento, come mezzo di cui l’uomo si serve per raggiungere e realizzare i
propri scopi.
Da questa sintetica ricognizione dei momenti caratterizzanti la raf-
figurazione abituale della tecnica, possiamo trarre alcune indicazioni.
In primo luogo, emerge quasi di soppiatto un tratto peculiare del modo
ordinario di concepire la “tecnica”: la continuità fra tecnica antica e tec-
nica moderna; infatti,

«la tecnica moderna costituisce l’evoluzione – progredita in modo costante e


graduale – dell’antica tecnica artigianale, secondo le possibilità offerte dalla
civiltà moderna»7.

Tecnica moderna come graduale e progressivo sviluppo di quella an-


tica, dunque: essa non ha mutato il suo ruolo strutturale all’interno della
totalità di ciò che è; si è solo specializzata e perfezionata. Tuttavia, ap-
pare evidente che un simile orizzonte interpretativo non coglie affatto lo
stato delle cose. Mentre l’antica tecnica artigianale inscriveva il proprio
orizzonte d’azione all’interno della natura, la tecnica moderna, in quanto
«pro-vocazione (Herausfordern) la quale pretende dalla natura che essa
fornisca energia che possa come tale essere estratta (herausgefördert) e
accumulata»8, non si lascia ricondurre nel regime della natura, bensì gli
si staglia dinanzi per dominarla come fondo inesauribile di energia.
Inoltre, secondo la concezione abituale, la tecnica si configura come
applicazione, messa in pratica della moderna scienza della natura: essa sa-
rebbe dunque il risvolto pratico di un sapere teorico. Tuttavia, Heideg-
ger rileva, attraverso una meditazione sulla parola greca téchne, che essa
è legata fin dall’inizio alla parola greca epistéme. Essa significa: «L’in-
tendersi di qualcosa, e precisamente della produzione di qualcosa»9;
ovvero, secondo il suo tratto pro-ducente, il dis-velare qualcosa di non
presente portandolo alla presenza. Eppure, il carattere essenzialmente
dis-velante della tecnica intesa in senso greco non aveva ancora la forma
di una scienza ad esso conforme: questa si presenta solo con l’accadi-
mento storico-epocale all’interno del pensiero occidental-europeo che

6
Ibidem.
7
Ibi, p. 34.
8
M. Heidegger, La questione della tecnica, cit., p. 11.
9
Ibi, p. 38.
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prende il nome di scienza moderna della natura. In essa si è già deciso,


anzitutto, il carattere della realtà effettiva di ciò che è naturale:

«Max Planck, il fondatore della fisica dei quanti, ha espresso questa decisione
in una breve proposizione: “è reale ciò che si lascia misurare”. Solo ciò che è
preventivamente calcolabile vale come essente»10.

Tuttavia, poiché anche il calcolo preventivo della scienza moderna


“pro-voca” la natura a dare la risposta che il pensiero calcolante stesso
pre-vede, allora tecnica moderna e scienza moderna della natura sono
accomunate da una medesima origine: il «porre che provoca»11.
Ma come si presenta il carattere proprio di un simile “porre”? È a
questo punto della riflessione che si impone un altro fenomeno che,
insieme alla scienza moderna della natura, contraddistingue la tecnica
moderna: «Il carattere inarrestabile del suo illimitato dominio»12. Rappre-
sentarsi la “tecnica” come strumento nelle mani dell’uomo, utilizzato
per realizzare i propri fini, significa misconoscere che la pre-tesa che
pro-voca ciò che è, dunque anche noi stessi, sia più potente di ogni
altro scopo umano:

«L’uomo di oggi è pro-vocato egli stesso dalla pretesa di provocare la natura


per metterla a disposizione. L’uomo stesso è posto, e di conseguenza è recla-
mato per corrispondere alla suddetta pretesa»13.

Siamo dinanzi a un ulteriore mutamento di posizione nel rappor-


to tecnica-natura-uomo: l’uomo non è, mediante gli strumenti tecnici,
«il signore della tecnica», bensì «servo»14 di essa, in virtù della prete-
sa che questa rivolge all’uomo «a che provochi la natura in vista della
sua energia»15. È solo con quest’ultimo, decisivo passo che la tecnica si
affranca dal suo “luogo naturale”, ovvero l’umano, per im-porsi come
ciò che domina in ciò che oggi è, dunque come evento storico-epocale
e non più come abilità naturale. È solo ora che emerge la peculiarità

10
Ibidem.
11
Ibi, p. 44. È questa l’essenza della tecnica moderna che Heidegger, in altri scritti sul me-
desimo argomento, ma elaborati in un linguaggio filosoficamente più “tecnico”, nomina con la
parola “Ge-stell”.
12
Ibidem.
13
Ibi, 45.
14
M. Heidegger, Filosofia e cibernetica, ed. A. Fabris, Edizioni ets, Pisa 1989, p. 41.
15
M. Heidegger, Linguaggio tramandato e linguaggio tecnico, cit., p. 46.
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dell’approccio heideggeriano alla questione della tecnica: essa non è


mero prodotto naturale di quell’ente speciale che noi stessi siamo, ben-
sì, nell’epoca moderna, evento storico.

3. Univocità senza plurivocità: il linguaggio cibernetico

L’essenza della tecnica moderna, conformemente alla lettura che ne


fornisce Heidegger, ci si è manifestata come quel “porre che pro-voca”,
affrancato dal suo luogo naturale, l’umano, e proprio perciò dominan-
te l’essere umano stesso, come colui che provoca la natura a prodursi
in quanto energia, assicurandosela e accumulandola. Ma allora, in che
modo sussiste in sé la “tecnica”, non dipendendo più dall’umano? Cosa
domina nell’essenza dell’essere umano tale che consenta il dominio su
di esso? Ciò che domina nell’essenza dell’essere umano è il linguaggio16.
È dunque solo una determinata configurazione dell’essenza del linguag-
gio che permette alla tecnica moderna di sussistere in sé, senza biso-
gno dell’uomo: tale determinazione, in particolare nella conferenza del
1962 e in quella del 1965, pubblicata con il titolo Das Ende des Denkens
in der Gestalt der Philosophie [Filosofia e cibernetica], prende il nome di
“cibernetica”. Quest’ultima determina il linguaggio come sistema uni-
voco di segni, capace di regolarsi e di controllarsi, mettendo in sicurezza i
propri risultati, ossia la comunicazione dell’informazione17.
Al fine di lasciar vedere come solo il controllo del linguaggio consenta
alla tecnica moderna il dominio planetario, risulta necessario seguire la
riflessione heideggeriana con ordine. Si soffermi l’attenzione sulla mes-
sa in questione della rappresentazione corrente del secondo termine in
gioco, il “linguaggio”. Esso è «informazione»18. È il mero strumento di
quell’animale che, unico fra tutti, è dotato di linguaggio, che permette
di comunicare informazioni. Ora,

«in che senso, anche nella trasformazione del linguaggio in mera informazio-
ne, ed esattamente in essa, si fa valere ciò che è proprio della tecnica moderna,

16
In queste pagine si condensa attorno, o meglio alla radice della questione della “tecnica”,
la riflessione che ha coinvolto Heidegger in modo particolare negli anni ’50, pur se attraversando
trasversalmente la sua intera produzione filosofica: quella intorno all’essenza del linguaggio. Gli
scritti fondamentali a riguardo, che coprono l’arco temporale che va dal ’50 al ’59, sono raccolti in
In cammino verso il Linguaggio, ed. A. Caracciolo, Mursia, Milano 2014.
17
Cfr. M. Heidegger, Linguaggio tramandato e linguaggio tecnico, cit., p. 53.
18
Ibi, p. 48.
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vale a dire il fatto che essa provoca, e cioè porta l’uomo a rendere disponibile e
ad assicurarsi l’energia naturale?»19.

Il peso cruciale di ciò che è in gioco in questa domanda non tarda a


farsi avvertire: è, infatti, «esattamente» nella determinazione univoca del
linguaggio come informazione che la tecnica moderna esercita tutto il suo
incontrastato potere sull’essenza dell’essere umano. Inoltre, la possibilità
della trasformazione del linguaggio in informazione non viene, per così
dire, da un luogo esteriore rispetto al linguaggio, bensì dalla sua propria
essenza: «In che senso è nella struttura stessa del linguaggio che si trova
il terreno su cui esso viene attaccato, e la possibilità di una sua trasforma-
zione in linguaggio tecnico, cioè in informazione?». È nell’essenza del lin-
guaggio che riposa la possibilità della sua riduzione, e dunque della cor-
rispondente dominazione dell’umano da parte dell’essenza della tecnica20.
Nel pericolo estremo, perciò, si intrecciano l’essenza del linguaggio,
della tecnica e dell’umano: ma cosa è il linguaggio nella sua essenza, se
il carattere di “informazione” non la esaurisce, ma pure ritrova in essa la
sua possibilità? L’essenza del linguaggio è il parlare21; «parlare, però, è
propriamente dire»22. Per indicare il “parlare” «in tedesco abbiamo una
sola parola adeguata a ciò, ed è sagen, “dire”. Un tratto capitale del dire
è il far apparire raccogliendo»23. Ci viene qui incontro l’essenza del lógos
determinato in modo originario: «Dire nel senso del far apparire e del
portare dinanzi (vorbringen)»24. Sagen è dunque zeigen, mostrare: «Far
vedere, far ascoltare qualcosa, portare qualcosa ad apparire»25. Sennon-
ché, proprio in virtù della sua essenza, il mostrare, il linguaggio può
essere ridotto a segno:

«conformemente alla sua essenza originaria, il mostrare non ha bisogno pro-


prio dei segni, [...] ma è anzitutto il mostrare in quanto far apparire che rende
possibile la creazione e l’utilizzazione di segni»26.

19
Ibi, p. 49.
20
Sulla natura ambivalente del linguaggio nella riflessione heideggeriana sulla “tecnica” cfr.
I. Schüssler, Le langage comme «fonds disponible» (Bestand) et comme «événement-appropriement»
(Ereignis) selon Martin Heidegger, in «Heidegger Studies» 22(2006), pp. 71-92.
21
Cfr. M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, cit., p. 43: «Il linguaggio parla».
22
M. Heidegger, Linguaggio tramandato e linguaggio tecnico, cit., p. 50.
23
M. Heidegger, Conferenze di Brema e Friburgo, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 2002,
p. 202.
24
Ibi, p. 203.
25
M. Heidegger, Linguaggio tramandato e linguaggio tecnico, cit., p. 50.
26
M. Heidegger, Conferenze di Brema e Friburgo, cit., p. 213.
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È necessario qui sottolineare che con “segno” Heidegger intenda il


carattere proprio dei segni naturali, ovvero dei segnali, il quale si con-
cretizza nel loro essere univocamente determinati. Essi, invero, di per
sé, da se stessi, non mostrano nulla, non dicono nulla; possono però
entrare in funzione di significati se e solo se determinati dall’esterno, da
altro da loro: «Essi vengono prodotti e determinati come segni, solo se
prima si sia concordato, cioè si sia detto, che cosa di volta in volta essi
debbano significare»27. Ma è esattamente questa la condizione di possi-
bilità del “linguaggio tecnico”, ovvero della “cibernetica”. Essa ritrova il
suo tratto fondamentale nel carattere inesorabilmente univoco dei suoi
segni/segnali, esemplificato dai segnali Morse:

«In questo caso la sequenza dei segnali viene ricondotta alla sequenza tipica
delle decisioni sì-no, e per produrla vengono predisposte delle macchine, in
cui le emissioni e i colpi della corrente eseguono uno schema di segnalazione
astratta e forniscono i messaggi corrispondenti. Ora, perché una notizia di
questo tipo diventi possibile, ogni segno dev’essere definito univocamente»28.

Pertanto, è solo il controllo della strutturale plurivocità di ciò che si


mostra nel linguaggio, attraverso una determinazione estrinseca, a de-
terminare univocamente i segni del “linguaggio tecnico” e a consentire
così il suo dominio planetario. Per comprendere meglio le conseguenze
della configurazione cibernetica del linguaggio, risulta necessario get-
tare luce sul fatto che l’univocità pretesa dal sistema dell’informazione,
in quanto sua condizione di possibilità, appiattisca la peculiarità del lin-
guaggio: «Il dire in quanto mostrare e far apparire il presente e l’assente,
la realtà effettiva nel suo senso più ampio»29. Emerge a questo livello la
minaccia che l’essenza della tecnica, scorta nella prospettiva della ciber-
netica, muove all’essenza del linguaggio, dunque all’essenza dell’umano.
Abbiamo messo in luce come il carattere proprio dell’univocità dei si-
stemi di segni del “linguaggio tecnico” consista nel significare, di volta
in volta, o l’una o l’altra alternativa su cui si basa il linguaggio binario
(segnali Morse, codice binario); è dunque certo che, nel codice, com-
parirà di volta in volta un solo segno, anche se non sappiamo in anticipo
quale dei due. Ma ciò significa che il “linguaggio tecnico” è caratteriz-
zato costitutivamente dalla necessaria esclusione, di volta in volta, di una

27
M. Heidegger, Linguaggio tramandato e linguaggio tecnico, cit., p. 50.
28
Ibi, p. 51.
29
Ibi, p. 52.
200 Parte terza - Questioni

delle due alternative a disposizione. È impossibile per un simile sistema


che, allo stesso tempo, entrambi i segni alternativi siano compresenti.
Eppure, è proprio la compresenza strutturale dell’alterità a istituire ciò
che è proprio del linguaggio “naturale”, in quanto dire, mostrare:

«Il non-detto è ciò che ancora non è mostrato, ciò che ancora non è giunto
all’apparire. Ma ciò che, mediante il dire, viene ad apparire è qualcosa di pre-
sente – il fatto che esso è presente e come lo è; e anche ciò che è assente, in
quanto tale, viene ad apparire nel dire»30.

È precisamente nella capacità del linguaggio di mostrare ad un tem-


po la presenza di ciò che è presente e la sua assenza, a rendere ricca e
plurivocamente inesauribile la vita effettiva. Ma di quale “vita” si sta
parlando? Quale “vita” è in pericolo nella riduzione univoca della “ciber-
netica”? La vita storica nella quale siamo radicati, nella quale viviamo:
la tradizione. Sarà, pertanto, solo la chiarificazione dell’ultimo termine
a indirizzare lo sguardo della nostra riflessione su ciò che è in gioco
nell’epoca della tecnica e ciò da cui l’essere umano è chiamato, in quan-
to tale, eticamente, a (cor-)rispondere.

4. Il compito e(rmeneu)tico dell’uomo nell’epoca della tecnica

Il tentativo messo in opera da Heidegger nella conferenza usts è


rischioso. È lo stesso autore che ce ne informa, avvisandoci all’inizio
del discorso: «In che senso questo è un rischio? Lo è in quanto medita-
zione [Besinnung] significa: risvegliare il senso per ciò che è inutile»31.
Abbiamo rilevato, nel mettere in moto la nostra riflessione, che solo
un pensiero che non pensa tecnicamente, ma altrimenti, possa cogliere
la portata decisiva dell’essenza della tecnica. Ma cosa sfugge al modo
tecnico di pensare, che risulta invece cruciale per comprendere a fondo
il nostro tempo, la nostra epoca storica? «In un mondo per il quale vale
solo ciò che è immediatamente utile e va in cerca solo dei bisogni e del
consumo, un richiamo a ciò che è inutile potrebbe di primo acchito
parlare a vuoto»32. Per noi, oggi, essere è consumo; consumo che accre-
30
Ibi, p. 50.
31
Ibi, p. 29. Sulla necessità di una Besinnung sull’essenza della tecnica, nel tempo del pieno
compimento del pensiero scientifico, cfr. M. Heidegger, Scienza e meditazione, in Id., Saggi e
discorsi, cit., pp. 28-44.
32
Ibidem.
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sce su di sé il suo infinito bisogno. Perciò, ridestare il senso di ciò che è


inutile, in quanto non consumabile, restio a lasciarsi accumulare, non
solo è un tentativo rischioso, ma anche sommamente necessario. Se
l’epoca contemporanea, tecnica, si caratterizza per il ritrarsi dell’essere,
il suo abbandono delle cose concedente il dominio degli enti da parte
della tecnica non è altro che il chiamare a sé l’altro pensiero, quello ca-
ratterizzato dalla «cura per l’uso del linguaggio»33. Così l’abbandono non
è mero rifiuto, ma custodia. L’altro pensiero è chiamato a cor-rispondere
al movimento dell’essere nell’epoca del dominio tecnico: alla salvaguar-
dia della pluralità di significato che gli enti sono, onde preservare la
possibilità della sorpresa, della meraviglia.
Nel mondo della tecnica, nel nostro mondo, la presenza di ciò che
è presente è caratterizzata univocamente dalla sua utilizzabilità, impie-
gabilità: mantenere desta la possibilità della plurivocità dei significati
della cosa, dell’ente nella sua presenza, lasciare aperto lo spazio al “sor-
prendente”, risulta essere il compito etico dell’ente che, unico, può cor-
rispondere al linguaggio. Ma da dove proviene questo “sorprendente”
che, se atteso, costituisce il motore del nostro futuro?

«Tradizione non è mera trasmissione; essa è conservazione [Bewahrung] dell’i-


niziale, è custodia [Verwahrung] di nuove possibilità del linguaggio già parlato
[Die gesprochene Sprache]. È questo linguaggio stesso che contiene e dona il
non-detto [Ungesprochene]»34.

Il pericolo che si annuncia nel cuore della tecnica, pericolo che mi-
naccia l’uomo nella sua essenza storica, scaturisce dal suo «rapporto alla
totalità di ciò che è stato, di ciò che è a venire, di ciò che è presente»35,
vale a dire dalla storia della totalità di ciò che è, dell’essere. Eppure,
proprio laddove l’essere stesso si mette a rischio, ossia nella storia del suo
tra-mandarsi storico, del suo lasciarsi portare al linguaggio, affiora la
possibilità della sua salvaguardia. L’accadere della custodia della plu-
rivocità dell’essere, oppure dell’appiattimento univoco di esso a mero
“segno”, sono affidati all’atteggiamento che l’uomo assume all’interno
del suo mondo tecnico:

33
M. Heidegger, Poscritto a: «Che cos’è Metafisica?», in Id., Che cos’è Metafisica?, Adelphi,
Milano 2001, p. 84.
34
M. Heidegger, Linguaggio tramandato e linguaggio tecnico, cit., p. 55.
35
Ibidem.
202 Parte terza - Questioni
«Quella che di primo acchito sembrerebbe soltanto una differenza tra due tipi
di linguaggio [tecnico e tramandato], si mostra come un accadere [Geschehen,
che risuona in Geschichte, storia] che vige sull’uomo, e che riguarda e sconvolge
niente di meno che il rapporto dell’uomo al mondo»36.

Un simile rapporto si costituisce nel «mistero [Geheimnis] del


linguaggio»37. “Das Geheimnis” è ciò che comporta la possibilità del me-
raviglioso. Pertanto, prima di domandarsi quale programma politico
o etico attuare per contrastare l’avanzata gloriosa e inarrestabile della
tecnica, sarebbe appena il caso di chiedersi se sia possibile comportarsi
altrimenti all’interno del mondo tecnico, in vista della salvaguardia del
meraviglioso, ossia della radicale e irriducibile plurivocità dell’esser pre-
sente di ciò che è presente.
Concludendo, il guadagno concettuale che l’impostazione heideg-
geriana apporta a una riflessione sul tema “tecnica ed etica”, quale quel-
lo del nostro convegno, sembra essere, nell’ottica specifica di un ripen-
samento essenziale del rapporto tra uomo, linguaggio ed essere, l’apertura
di una possibile etica nella tecnica, o etica cor-rispondente alla chiamata
della tecnica.

36
Ibidem.
37
Ibi, p. 56.

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