Sei sulla pagina 1di 8

Matteo Valdarchi

EDUCARE ALLA PRESENZA


L’educazione come ri-appropriazione dell’umano
nell’epoca della tecnica in Martin Heidegger

1. Introduzione

Pur continuando ad esercitare un notevole influsso sulla attuale


“filosofia della tecnologia”1, la comprensione della riflessione heideg-
geriana sulla tecnica moderna, sembra ormai attestarsi o su una mera
ripetizione scolastica priva di vita, o su una liquidazione rapida e pri-
va di critica. La ragione di un destino così funesto risiede, con buone
probabilità, nel fatto che all’interno della meditazione di Heidegger
sull’essenza della tecnica non vi siano esplicite indicazioni pratiche o eti-
che per l’agire umano nell’epoca contemporanea, sicché tale riflessione
risulta, nella percezione più diffusa, o un cimelio di famiglia da mettere
in mostra, o un vaneggiamento di un sognatore smarrito nell’incubo
della tecnologia. Forse, confrontandoci criticamente con un simile sfor-
zo speculativo, anche a costo di andare con Heidegger, oltre Heidegger,
sarà possibile lasciar emergere il latente contributo propriamente etico
di tale proposta, rendendo nuovamente possibile ascoltare con sobria
attenzione l’appello che tale pensiero ancora ci rivolge.
Il presente contributo si propone di mostrare come la comprensione
del fenomeno tecnologico da parte di Heidegger fornisca alcune chia-
vi di lettura dell’agire (propriamente) umano nell’epoca della tecnica,
mettendo a fuoco un fenomeno che pervade l’intera produzione hei-
deggeriana, ma che trova altresì un’eccellente e feconda connessione
con la questione dell’essenza della tecnica: quello della crisi dell’educa-
zione nell’epoca della tecnica moderna2. Scopo della presente ricerca,

1
Cfr. D. Ihde, Heidegger’s Technologies. Postphenomenological Perspectives, Fordham Universi-
ty Press, New York 2010, p. 1.
2
Cfr. I.D. Thomson, Heidegger on Ontotheology. Technology and the Politics of Education,
Cambridge University Press, New York 2005; cfr. anche: N. Curcio, La didattica della filosofia
in Martin Heidegger negli anni di «Essere e tempo», in L. Illetterati (ed.), Insegnare filosofia, utet,
Torino 2007, pp. 204-229.
332 Matteo Valdarchi

dunque, è di lasciar parlare tale cuore speculativo attraverso un lavoro


di scavo ermeneutico di alcuni passi testuali, che focalizzano il rapporto
tra la tecnica moderna e la Bildung, al fine di evidenziare la centralità
dell’educazione come processo di ri-appropriazione da parte dell’uomo
della propria essenza, obliata nell’epoca della tecnica moderna.

2. L’essenza della Gefahr: l’umano ridotto a risorsa

Come evidenziato nelle conferenze tenute a Brema nel 1949, ol-


tre che dallo scritto La questione della tecnica del 1953, il pericolo [die
Gefahr] che minaccia l’uomo nell’epoca del dominio tecnologico non
consiste tanto nell’uso scorretto delle nuove tecnologie o nella loro pre-
sunta essenza catastrofica3, quanto piuttosto nell’oblìo della stessa essen-
za dell’uomo. Poiché, infatti, l’essenza della tecnica risiede nel Ge-stell,
ossia nell’impianto tecnologico che ordina tutto ciò che è ad essere mera
risorsa da impiegare, l’uomo stesso, in quanto è, viene compreso (e si
comprende) come risorsa. Nell’epoca del dominio della tecnica, infatti,

«il pericolo, vale a dire l’essere stesso che si mette in pericolo nella verità della
sua essenza, rimane nascosto e occultato. Questo occultamento è ciò che il
pericolo ha di più pericoloso. Conformemente all’occultamento del perico-
lo dovuto all’ordinare dell’impianto sembra ancora, e sempre di nuovo, che
la tecnica sia uno strumento in mano all’uomo. In verità è invece l’essenza
dell’uomo che, ora, è ordinata a dare una mano all’essenza della tecnica»4.

L’uomo, ridotto nel suo essere a mera risorsa da impiegare e a imma-


gine da fruire5, dimentica la sua essenza, ovvero la sua chiamata a portare
l’essere al linguaggio6, a rispondere all’appello che la presenza di ciò che
è presente gli rivolge di volta in volta, invitandolo a conferirgli senso7.

3
Cfr. M. Heidegger, Conferenze di Brema e Friburgo, Adelphi, Milano 2002, p. 70.
4
M. Heidegger, Conferenze di Brema e Friburgo, cit., p. 81. Cfr., inoltre, M. Heidegger, Lin-
guaggio tramandato e linguaggio tecnico, a cura di C. Esposito, Edizioni ets, Pisa 1997.
5
Cfr. F. Schalow, Toward a Phenomenology of Addiction: Embodiment, Technology, Transcen-
dence, Springer International Publishing, Switzerland 2017, pp. 89-91; in quest’ottica diventa
decisiva la lettura heideggeriana dell’essenza dell’età moderna, articolata in Die Zeit desWeltbildes.
6
La coappartenenza di essere e uomo nell’evento del linguaggio, è il tema centrale della rifles-
sione heideggeriana sull’essenza del linguaggio che viene sviluppata tra gli anni ’40 e gli anni ’60.
7
Sul rapporto tra Besinnung come impegno nel Senso e tecnica moderna Cfr. M. Heidegger,
Scienza e meditazione, in Id., Saggi e discorsi, a cura di G. Vattimo, Mursia, Milano 20162.
Educare alla presenza 333

Ora, tale oblìo, tale riduzione dell’uomo a risorsa sembra essere alla
radice della crisi dell’educazione contemporanea, nell’epoca della tecnica.
Nell’articolo apparso il 18 maggio 2020 su La Stampa, Massimo
Cacciari e altri sedici noti e influenti intellettuali italiani denunciavano
il pericolo di un uso improprio della tecnica all’interno dell’orizzonte
educativo, realizzato attraverso la “Didattica a distanza”, mettendo in
luce la tendenza di quest’ultima ad «appiattire il complesso processo
dell’educazione sulla dimensione riduttiva dell’istruzione», auspicando,
di contro, una riscoperta repentina di quell’essenza propria della scholé,
che coincide con la socialità8. Ma si tratta davvero, essenzialmente, di
schierarsi pro o contro l’utilizzo della tecnologia all’interno della dimen-
sione scolastico-educativa, oppure non sarebbe il caso di domandare
circa il fondamento epocale che ha reso possibile, già da molto tempo,
tale riduzione?

3. La minaccia compiuta: dal Vor-bild al Bild

La riduzione dell’educazione a mera istruzione e trasmissione di dati


viene rinvenuta da Heidegger all’interno della sua riflessione sulla tec-
nica moderna e il suo rapporto essenziale con la metafisica occidentale,
in particolare nell’interpretazione della Dottrina platonica della verità
(1930-31/1940)9. Infatti, poiché la paideia investe l’uomo nella sua es-
senza, e poiché, nel tempo del pieno dominio della tecnica, ciò che
rimane velato è l’essenza dell’uomo, allora si genera, nell’epoca della
tecnica, la crisi dell’educazione, o meglio la sua riduzione a istruzione:

«la paideia non ha la sua essenza nell’infondere delle mere conoscenze in un’a-
nima impreparata come in un qualsiasi vaso vuoto che ci trovassimo davanti.
La formazione autentica, invece, coinvolge e trasforma l’anima stessa nella sua
totalità, trasferendo l’uomo nel suo luogo essenziale e abituandolo ad esso»10.

8
Cfr. M. Cacciari, La scuola è socialità, in «La Stampa», 18 maggio 2020.
9
Pur venendo tematizzata in questo scritto, una simile preoccupazione permea dall’inizio alla
fine l’intero Denkweg heideggeriano, tanto da risultare la cifra del suo possibile contributo “etico”
al pensiero contemporaneo.
10
Cfr. M. Heidegger, La dottrina platonica della verità, in Id., Segnavia, ed. F. Volpi, Adelphi,
Milano 20085, p. 173.
334 Matteo Valdarchi

Invero, l’educazione si riduce ad allenamento e incremento di “com-


petenze” e “abilità”, che renderanno le giovani menti “spendibili” sul
mercato del lavoro.
Tuttavia, vi è un’indicazione essenziale in questo testo, una chiave
per leggere e comprendere ciò che è in gioco nel rapporto tra tecnica ed
educazione, che costituisce, a ben vedere, la traccia “etica” della rifles-
sione heideggeriana sulla tecnica moderna. Invero, al principio dello
sforzo ermeneutico nei confronti del “mito della caverna” platonico, il
pensatore tedesco ci indica l’essenza di ciò che i greci chiamavano paide-
ia e che noi moderni, in tedesco, chiamiamo Bildung, ossia formazione
o educazione:

«La parola tedesca Bildung(“formazione”) è ancora quella che corrisponde


meglio, anche se non completamente, al termine paideia. [...] Bildung vuol
dire due cose: in primo luogo è un formare nel senso di imprimere alla cosa il
carattere del suo sviluppo. Ma questo “formare” “forma” [...] in quanto nello
stesso tempo con-forma già a qualcosa di determinante che ha in vista, e che
perciò si chiama forma modello (Vorbild). Bildung significa allora imprimere
un carattere e con-formare a un modello [Vor-bild]»11.

Il termine Vor-bild, anche se non viene discusso in modo più appro-


fondito da Heidegger in questa sede, lascia scorgere il suo significato
se in esso si ascolta un altro termine, che pure lo costituisce e lo “mi-
naccia”: das Bild (immagine). Tale riferimento è tutt’altro che estrinse-
co: qualche anno prima, infatti, Heidegger aveva riflettuto sull’essenza
dell’età moderna, dominata dalla tecnica, indicando nella riproduzione
del mondo come immagine (appunto, Bild) il suo tratto distintivo:

«Il processo fondamentale dell’Età moderna è la conquista del mondo come


immagine [Weltals Bild]. La parola “immagine” significa ora: il formato im-
magine del produrre rappresentativo, il prodotto del proporre e del disporre
ripresentante»12.

Nell’epoca del mondo ridotto a immagine, l’educatore [derLehrer13]


è chiamato a recuperare la sua essenza, ossia la sua vocazione a farsi

11
M. Heidegger, La dottrina platonica della verità, cit., p. 173.
12
Cfr. M. Heidegger, L’epoca dell’immagine del mondo, in Id., Holzwege. Sentieri erranti nella
selva, Bompiani, Milano 2014, p. 221.
13
Non a caso viene così denominato da Heidegger uno dei tre personaggi nel dialogo Per
indicare il luogo dell’abbandono, in Id., L’abbandono, Il nuovo melangolo, Genova, 1995.
Educare alla presenza 335

modello [Vor-bild]; ma è evidente che proprio in tale chiamata risieda,


allo stesso tempo, il pericolo che l’essenza della tecnica moderna porta a
compimento: la riduzione del Vor-bild a Bild, ossia dell’educatore come
modello all’educatore come “immagine”, ossia come mero ripetitore di
dati predefiniti; proprio in un altro testo degli anni ’50, Heidegger evi-
denzia tale possibile esito:

«La parola bilden (formare) significa anzitutto: istituire una immagine-mo-


dello (Vor-bild), produrre una pre-scrizione (Vor-schrift). [...] La cultura in
quanto Bildung abbisogna di una immagine direttiva stabilita in anticipo»14.

Tuttavia, Heidegger non sviluppa fino in fondo, nel testo del ’40,
il modo in cui l’educatore è chiamato a essere modello [Vor-bild] e così
ridestare il senso dell’essere umano nell’essere umano stesso, poiché la
principale preoccupazione heideggeriana, in quella sede, è di interpre-
tare il mito platonico della “caverna” in vista del mutamento avvenuto
nell’essenza della verità all’inizio del pensiero metafisico-occidentale.
Eppure, nella produzione immediatamente successiva, troviamo
alcuni spunti interessanti per tentare di rispondere alla domanda: in
che modo l’educatore (o, più in generale, l’intellettuale) funge da modello?
Cosa svela il “modello” con il suo agire essenziale15?

4. L’agire essenziale del Vor-bild: per un’etica della presenza

Poniamo attenzione, dunque, ad alcuni luoghi testuali della pro-


duzione heideggeriana degli anni ’40 e ’50, al fine di portare alla luce
la possibile traccia “etica” della meditazione di Heidegger sulla tecnica
moderna.
Se l’agire del modello vuole essere davvero essenziale, allora il suo
operare non dovrà essere guidato dal mero arbitrio o dalla vana ripeti-
zione di schemi predefiniti; piuttosto, il suo agire consisterà nello stare
in ascolto e nel cor-rispondere, o meglio, nel cor-rispondere stando in ascolto:

«l’uomo è pertanto uomo in quanto corrisponde alla parola della Differenza e


la annuncia nel messaggio che ad essa la Differenza ha affidato»16.

14
M. Heidegger, Scienza e meditazione, in Id., Saggi e discorsi, cit., p. 43.
15
Cfr. M. Heidegger, Lettera sull’«umanismo», Adelphi, Milano 1995, p. 34.
16
Cfr. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, Mursia, Milano 2014, p. 105.
336 Matteo Valdarchi

Ora, poiché cor-rispondere stando in ascolto significa, per lo Heideg-


ger degli anni ’50, pensare17, allora il Lehrer è propriamente colui che
pensando, insegna a pensare; ovvero, stando in ascolto, lascia che gli altri
imparino a stare in ascolto18:

«L’insegnare è più difficile dell’imparare. Il vero insegnante è avanti, rispetto


agli alunni, unicamente per il fatto di dover imparare ancora molto più di loro,
e cioè per dover imparare a lasciar imparare. (Imparare: portare tutto il nostro
fare a corrispondere a quell’essenziale che di volta in volta ci parla)»19.

Imparare a stare in ascolto è l’essenza dell’imparare; ma a stare in


ascolto di cosa?

«L’Essere stesso – ciò significa: la Presenza di ciò che può farsi presente, vale
a dire la Differenza dei due momenti sulla base dell’unità. È questa Differenza
che esige l’uomo per la sua propria essenza»20.

In quanto tale, l’uomo è chiamato a corrispondere stando in ascolto


della presenza di ciò che è presente; e, in tale ascolto, custodirne la ric-
chezza. Ma dove può venir custodita (e dunque già sempre sottoposta
alla minaccia dello smarrimento) tale presenza?

«Ciò che predomina e regge nel rapporto dell’essenza dell’uomo con la Diffe-
renza è il Linguaggio»21.

In particolare, essa è salvaguardata o smarrita (dunque, messa a ri-


schio) nel linguaggio tramandato, ossia in quel linguaggio che conserva
e sostiene una tradizione storica:

«Tradizione non è mera trasmissione; essa è conservazione [Bewahrung] dell’i-


niziale, è custodia [Verwahrung] di nuove possibilità del linguaggio già parlato
[Die gesprocheneSprache]. È questo linguaggio stesso che contiene e dona il
non-detto [Ungesprochene]»22.

17
Cfr. M. Heidegger, Che cosa significa pensare?, Sugarco, Città di Castello 1996.
18
Cfr. I.D. Thomson, Heidegger on Ontotheology. Technology and the Politics of Education, cit.,
pp. 165-169.
19
M. Heidegger, Linguaggio tramandato e linguaggio tecnico, cit., p. 27.
20
Cfr. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 105.
21
Cfr. ibidem.
22
Cfr. M. Heidegger, Linguaggio tramandato e linguaggio tecnico, cit., p. 55.
Educare alla presenza 337

Detto in altre parole, il lasciar essere presente ciò che è presente si at-
tua nel lasciar parlare i significati originari custoditi nelle parole traman-
date dalla tradizione storica, nella quale siamo innestati e dalla quale
attingiamo linfa vitale per il futuro; non già ripetizione dell’Uguale,
dunque, ma scoperta del nuovo nello Stesso23.
Dall’interpretazione del ruolo del Lehrer come Vor-bild, che ser-
peggia latente nella produzione heideggeriana dedicata al rapporto tra
tecnica, uomo e linguaggio, emerge il possibile peso etico della medi-
tazione di Heidegger, laddove però il termine “etico” si intenda alla
luce del pensiero dell’essere, ovvero nei termini di un’etica originaria,
come espresso nel Brief del 194624. Tale contributo, interrogato a par-
tire dalla attuale crisi dell’educazione, lascia intendere che essa non si
dà ora, attraverso una “didattica a distanza” o una mancanza di “valori”
nell’insegnamento; piuttosto, essa esprime il cuore del pericolo nell’epo-
ca della tecnica: l’oblìo dell’essenza dell’uomo, come di colui che ha da
corrispondere all’appello della presenza di ciò che è presente. Dunque,
tale crisi riposa nell’oblìo dell’educatore come Vor-bild.

5. Conclusione: educare alla presenza

Se l’eccesso della tecnica consiste nella sua determinazione del de-


stino dell’umano come risorsa, un agire che rispetti e conservi l’ecceden-
za di ciò che è, è chiamato a destare nuovamente il senso dell’umano
nell’uomo stesso. Questo compito è riservato, in ogni epoca, ai pensatori
e agli educatori: non a caso, nel discorso tenuto per la festa inaugurale
del Liceo di Messkirch il 14 luglio 1973, Heidegger ricorda ai presenti:

«Il Liceo non ha il compito di porre la domanda che cos’è o chi è l’uomo
nell’attuale età del mondo, o addirittura di rispondere a essa. Però il Liceo sta
lungo il sentiero nel campo – tanto che i suoi docenti o studenti lo sappiano
e lo pensino espressamente oppure no – sta ai margini di questa domanda in-
calzante: chi o cosa è l’uomo d’oggi? Donde viene la determinazione di chi sia
l’uomo d’oggi? [...] L’incalzare della domanda sul destino dell’uomo riguarda
ogni Liceo. [...] Di più: ogni scuola [...] l’intero sistema scolastico, e lo Stato,
non possono sottrarsi all’urgenza della domanda sul destino dell’uomo, perché

23
Cfr. M. Heidegger, Conferenze di Brema e Friburgo, cit., pp. 63-64.
24
Cfr. M. Heidegger, Lettera sull’«umanismo», cit. p. 93.
338 Matteo Valdarchi
l’uomo, a causa della finitezza del suo essere, rimane sempre esposto al perico-
lo dell’errore ed è destinato a porre la domanda: chi è l’uomo?»25.

Non è dunque un caso che, nell’epoca dell’oblìo dell’umano, si dif-


fonda il fenomeno della crisi dell’educazione; tuttavia, proprio perché
tempo della minaccia dell’umano, l’epoca tecnologica è anche tempo
della sua possibile salvaguardia: a patto, tuttavia, che i pensatori e gli
educatori cor-rispondano all’appello che è loro rivolto dalla presenza di
ciò che è presente, ossia ad essere modelli (Vorbilder) dell’umano per
l’umano, custodendo la presenza di ciò che è presente, quell’eccedenza di
senso all’interno del reale che la cieca fagocitazione tecnologica riduce a
mera risorsa da impiegare.
Già nella lettera del 5 marzo 1916, Heidegger si augurava, scriven-
do alla futura moglie Elfride, di poter essere in grado di dare ai giovani,
di ritorno dai campi di battaglia, pane in luogo di pietre:

«Quando, affamati, fanno ritorno dal campo di battaglia, non dobbiamo dare
ai nostri giovani eroi pietre in luogo di pane, non categorie irreali e prive di
vita, non forme indistinte e scomparti esangui nei quali conservare con ordine,
lasciandola ammuffire, la vita razionalisticamente ridotta in frammenti»26.

Questo augurio è il medesimo che noi, oggi, dobbiamo farci in


quanto pensatori ed educatori. La lezione, infatti, anziché il luogo in
cui si viene informati dei fatti, del luogo in cui “si raccolgono pietre”
per costruire chissà quale incomprensibile e incomunicabile Torre di
Babele, è piuttosto il luogo dello spezzarsi del pane, ossia dello spezzarsi
delle parole della tradizione, affinché esse lascino essere coloro che ascol-
tano, destandoli al loro compito di esseri umani, ovvero di cor-rispondere
all’appello della presenza di ciò che è presente, anziché appiattirsi sui
dati e sulle informazioni presenti: in altre parole, la lezione è il luogo
in cui educare alla presenza. Infatti, concludendo la nostra riflessione, è
necessario ricordare, con Heidegger, che:

«Un “è” si dona, là dove la parola si spezza»27.

25
M. Heidegger, Discorsi e altre testimonianze del cammino di una vita (1910-1976), Il nuovo
melangolo, Genova 2005, p. 653-654.
26
G. Heidegger (ed.), «Anima mia diletta!». Lettere di Martin Heidegger alla moglie Elfride
(1915-1970), Il nuovo melangolo, Genova 2007, p. 34.
27
M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, cit., p. 170 [traduzione nostra].

Potrebbero piacerti anche