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“A proposito di Microstoria”
Il saggio in oggetto è stato elaborato da G. Levi, il quale cerca di identificare i principali elementi
che caratterizzano la “Microstoria”.
La microstoria è una pratica storiografica che si può sintetizzare nella riduzione della scala di
osservazione dell'oggetto studiato per arrivare a chiavi di lettura più generali e scoprire fenomeni
prima non considerati.
( detto in parole semplici, la MICROstoria è una pratica storiografica che analizza le realtà micro,
quegli elementi che appaiono quasi insignificanti ma possono significare molto; è una pratica
storiografica che tende ad evitare il più possibile la generalizzazione estrema, le semplificazioni
eccessive preferendo pratiche descrittive assai complesse e articolate ma che diano un quadro
completo dell’oggetto di ricerca).
Per capire meglio cosa sia la microstoria, Jacques Revel la definisce come la volontà di studiare il
sociale non come un oggetto dotato di proprietà ma come un insieme di interrelazioni mobili (non
statiche) entro configurazioni in costante adattamento; inoltre, la microstoria ha l’obiettivo di
provare a costruire una concettualizzazione più mobile e meno rigida e gerarchizzata rispetto alla
ricerca storiografica tradizionale, una classificazione del sociale e del culturale meno
pregiudiziale, un quadro d’analisi che rinunciasse alle semplificazioni, alle ipotesi dualistiche e
alle polarizzazioni, alle tipologie rigide, e tutti quegli altri elementi che caratterizzano la ricerca
storiografica tradizionale. Jacques Revel, sostanzialmente, asseriva che gli storici hanno sempre
avuto la tendenza a semplificare la realtà; egli sostiene che gli storici dovrebbero riuscire a
descrivere la complessità del reale anche ricorrendo a tecniche descrittive, argomentative più
articolate e complesse, rispetto alle modalità sinora utilizzate che, sicuramente, rendevano il tutto
più semplice ma forse fin troppo riduttivo.
L’autore del saggio in questione, fa un “passo avanti” rispetto alla teorizzazione di Jacques Revel,
sottolineando in modo particolare (come leggeremo di seguito) la volontà antirelativistica e
l’aspirazione formalizzante che il lavoro dei microstorici ha.
La pratica storiografica della microstoria riguarda innanzitutto le procedure del lavoro dello storico.
Giovanni Levi, nel saggio in questione, analizza alcuni degli elementi distintivi della microstoria:
a. Riduzione di scala
b. Critica del funzionalismo
c. Discussione sulla razionalità
d. Carattere indiziario del paradigma scientifico
e. Ruolo dell’indivudale non in contrapposizione con quello del sociale
f. Attenzione agli aspetti argomentativi e narrativi
g. Definizione specifica del contesto
h. Rifiuto del relativismo
Eppure, la pratica microstorica è stata assai criticata. E’ importantissimo sottolineare come siano
strettamente collegate la microstoria con le ricerche antropologiche. In particolar modo, il testo cita
numerose volte Geertz, un antropologo molto importante per le ricerche da lui condotte e le
teorizzazioni proposte.
Quindi, per sintetizzare questo passaggio, si tratta di identificare scale dimensionali differenti MA
compresenti nei fenomeni sociali. Ci si potrebbe chiedere, ma a che serve analizzare questi
fenomeni micro? La risposta è molto semplice ed importante: potremmo considerare l’analisi micro
come un’analisi fatta su esempi, una procedura semplificativa di analisi; una selezione che consente
di esemplificare i concetti generali in un punto specifico della vita reale. La dimensione del mondo
sociale di differenti categorie di persone e la dimensione dei vari campi strutturati di relazioni
mostrano proprio la scala operante nella realtà, consentono cioè di definire le diverse articolazioni
delle società complesse senza dover ricorrere (come gli storici tradizionali) a quadri teorici e
paradigmi assunti a propri.
- Nonostante sia nata nell’ambito della ricerca storica, molte delle caratteristiche della
microstoria mostrano un forte legame, come accennavamo prima, tra storia e antropologia;
soprattutto si fa riferimento alla THICK DESCRIPTION DESCRIZIONE DENSA
con cui Geertz ha definito la propria prospettiva di lavoro antropologico.
La descrizione densa non è altro che quella pratica di osservazione e ricerca che, invece di
cominciare con osservazioni e tentare di sottoporle ad una legge che le governi, comincia da
una serie di segni significanti per collocarli entro una struttura intellegibile.
“La descrizione densa viene definita come la fissazione in uno scritto di quell’insieme di
fatti significanti, interpretati attraverso l’inserimento in un contesto che è il flusso del
discorso sociale, in un lavoro microscopico che da conoscenze molto approfondite di
faccende estremamente piccole giunge alle più interpretazioni e alle analisi astratte”. La
descrizione densa corrisponde alla procedura adottata dall’etnologo.
E’ importante soffermarci sul lavoro dell’antropologo: l’antropologo studia ciò che è
estraneo ai nostri occhi, studia i mondi lontani, le culture dei popoli e l’interpretazione
rappresenta un elemento fondamentale; la cultura, infatti, consiste in una “ragnatela di
significati” l’analisi di questi significati non è una scienza sperimentale in cerca di leggi
ma una scienza interpretativa in cerca di significato.
Ma ciò non vuol dire, secondo Gerrtz, che gli approcci interpretativi debbano rinunciare ad
una formulazione/sviluppo di teorie; ma, ovviamente, date le caratteristiche
dell’interpretazione culturale, lo sviluppo teoretico è certamente difficile (n.b.:
l’interpretazione di ciascun antropologo, ricercatore è soggettiva, pur sempre a rischio di
inferenze, di giudizi soggettivi ecc… per cui la formulazione di teorie è assai difficoltosa;
non si tratta di una scienza come le altre).
L’obiettivo quindi non è di creare postulati e paradigmi astratti ma di rendere la descrizione
densa possibile e non di generalizzare attraverso i casi, ma al loro interno.
Infatti, nell’etnografia, il compito della teoria è di fornire un vocabolario in cui si può
esprimere quello che l’azione simbolica ha da dire su di sé, cioè il ruolo della cultura nella
vita umana.
Più che creare una teoria a partire dai dati dell’esperienza interpretativa, i concetti e le teorie
fanno parte proprio della descrizione densa, nella speranza di rendere scientificamente
eloquenti dei semplici eventi, ma non di creare concettualizzazioni astratte nuove.
Una differenza fondamentale tra antropologia interpretativa e microstoria sta nel fatto
che l’antropologia ritiene significativi in modo OMOGENEO simboli e significati
pubblici la microstoria si sforza proprio di definire i simboli e significati pubblici in
base alle molteplicità delle rappresentazioni sociali che producono e con cui si misurano.
Secondo la prospettiva microstorica, la quantità e la qualità delle informazioni non sono
socialmente uniformi bisogna esaminare la pluralità di modelli di razionalità limitata
operanti nella realtà che si analizza, frutto di meccanismi protettivi di fronte all’eccesso
di informazioni; pensiamo a tutti quei processi di semplificazione, agli slogan
semplificati nelle scelte politiche, alle tecniche di persuasione pubblicitaria, ecc.
Date queste variabili di informazioni, diversamente manipolate, non sembra possibile un
discorso generale sul funzionamento simbolico di fronte ad una informazione che è
continuamente ricercata. E’ importante invece cercare di misurare i meccanismi
operativi della razionalità limitata per consentire la lettura differenziale delle culture di
invidividui, gruppi, società in luoghi o tempi differenti secondo diversi modi di accesso
all’informazione. Questa sorta di “comparazione” è possibile attraverso i repertori di
descrizioni dense nelle quali si possono pescare informazioni importanti per chiarire,
secondo regole non esplicitate, altri casi; quindi non si tratta di costruire una scienza
comparativa.