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In questa unità didattica andremo a esaminare gli strumenti a disposizione del tecnico
urbanistico per descrivere sinteticamente il territorio. In particolare andremo ad
analizzare, ancorché brevemente, gli strumenti di sintesi derivanti dalle moderne
scienze informatiche.
L’urbanistica per il vero non è interessata direttamente alla redazione di queste sintesi,
ma è una semplice disciplina utilizzatrice degli strumenti messi a disposizione.
Conoscere, tuttavia, da dove provenga la documentazione, dove reperirla e quale sia la
più approfondita costituisce un background indispensabile per un’operatività più
efficace.
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I dati possono essere conservati e classificati sotto diverse forme: carta, supporto
digitale, alfabeto, immagine, suoni e altri supporti.
Il processo di registrazione dei dati in una memoria si chiama, appunto, memorizzazione.
Ogni supporto capace di contenere una serie di dati prende, invece, il nome di
DATABASE o archivio dati. I dati memorizzati devono, poi, essere facilmente ricavabili
mediante un'operazione denominata interrogazione del registro dei dati o query del
database.
Clicca sui pulsanti per approfondire le diverse tipologie di dato.
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• dati quantitativi: possono essere suddivisi, a loro volta, in discreti o continui a seconda
che rispettivamente assumano solo valori interi o qualsiasi valore reale. La superficie a
verde rappresenta, ad esempio, un dato continuo, il numero dei parchi in città, invece,
un dato discreto.
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• omogenei. Devono, quindi, provenire dallo stesso tipo di fonte, utilizzare le stesse
definizioni di base, devono essere aggregati con lo stesso metodo in base ai medesimi
criteri temporali o di numerosità
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• chiari nel metodo di raccolta. In modo tale che chi li utilizza sappia come sono stati
assunti e, quindi, decidere se possono essergli di aiuto a ottenere le informazioni di suo
interesse, oppure anche, nel futuro si possa utilizzare il medesimo metodo.
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• precisi per scopo, in modo da essere certi che il dato sia raccolto correttamente e
possa essere utilizzato da chi ha scopi affini.
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I dati possono essere aggregati o disaggregati a seconda che soddisfino una specifica
condizione o meno (indicatori). I dati aggregati sono, dunque, mischiati e indifferenziati,
mentre quelli disaggregati sono riassunti per specifici parametri. I dati disaggregati sono
sempre i più utili, ma anche i più dispendiosi -in termini economici- da ottenere.
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I dati raccolti per l'urbanistica hanno sempre come riferimento la descrizione del
territorio oggetto di studi in tutte le sue forme. Gli strumenti di osservazione, pertanto,
non s'interesseranno, ad esempio, della lettura della diffusione delle malattie nelle
abitazioni - ovviamente fatto salvo il caso eccezionale - ma verteranno tutti, appunto,
sulla lettura e descrizione della morfologia del territorio e degli avvenimenti di interesse
comune che su di esso si manifestano. Gli strumenti servono, quindi, a leggere e a
sintetizzare i dati raccolti in cartografie e database speciali.
Le geomatica è, in perfetta coerenza con quanto appena osservato, la disciplina che si
occupa di acquisire, modellizzare, interpretare, elaborare, archiviare e divulgare
informazioni dette GEOREFERENZIATE, ovvero informazioni caratterizzate da una
posizione in un prescelto sistema di riferimento.
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Il termine fu utilizzato per la prima volta negli anni 70 da un geografo per riferirsi
all'unione tra le scienze aventi come oggetto lo studio e la misurazione della terra e lo
sviluppo informatico. Il termine è stato adottato inizialmente in Canada per poi
diffondersi rapidamente in tutto il mondo a seguito della sua adozione da parte
dell'international standardization organization (ISO) e, di conseguenza, dai vari istituti di
unificazione nazionali, anche se in alcuni paesi, tra cui anche gli Stati Uniti, si utilizza con
maggior favore il termine TECNOLOGIA GEOSPAZIALE.
La geomatica è, pertanto, una disciplina recente la quale, in pratica, raccoglie dei dati
direttamente collegati con la loro posizione spaziale, li studia, classifica e, quindi, rende
pubblici i risultati ottenuti. La Geomatica, in pratica, è un neologismo per una disciplina
antica: la scienza del rilevamento del territorio e della gestione delle informazioni
geografiche.
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La geomatica per la rilevazione dei dati utilizza degli strumenti definiti “sensori”, vale a
dire attrezzature in grado di acquisire i dati elementari. Questi dati sono, poi,
immagazzinati in memorie di massa su supporto informatico, per essere in un secondo
tempo studiati ed elaborati a tavolino con l'ausilio di software. Il prodotto che si ottiene
da questi studi viene distribuito attraverso degli apparecchi in dotazione in pratica a
quasi tutta la popolazione detti “device”, vale a dire gli smartphone, i tablet, i PC e tutte
le apparecchiature con le quali abbiamo ormai contatto quotidiano. I dati sono anche
tradotti su cartografie, vale a dire trasformati in rappresentazioni simboliche bi o
tridimensionali della realtà. Le cartografie sono anch'esse distribuite attraverso i device
per essere loro stesse dato oggetto di studi più approfonditi.
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Tra i modelli di tipo fisico il Geoide è quello che più si avvicina alla reale forma e
dimensione della Terra e coincide con il pelo libero dei mari supposti in equilibrio e in
assenza di azioni perturbatrici locali come possono essere il moto ondoso, le maree, la
temperatura eccetera, considerati liberi di estendersi sotto le terre emerse in modo da
formare una superficie continua e chiusa, perpendicolare in ogni suo punto alla
direzione della forza di gravità.
Tuttavia, pur essendo liscia, la superficie del Geoide presenta continue gobbe e
ondulazioni dovute a variazioni locali della densità e delle masse terrestri che la
rendono difficilmente trattabile da un punto di vista matematico.
Per questo motivo, a livello internazionale si è convenuto assumere come superficie di
riferimento della Terra la superficie dell'ellissoide per il rilevamento planimetrico e
quella del geoide per il rilevamento altimetrico.
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Lo strumento per eccellenza per rilevare gli oggetti fisici e la loro riduzione su carta è
sicuramente la fotogrammetria, la quale sempre grazie all'evoluzione rapidissima
dell'informatica consente di velocizzare i rilievi e tutti i calcoli necessari per restituire su
piano bidimensionale, vale a dire il foglio di carta o il video del computer medesimo, ciò
che nella realtà fisica è tridimensionale, vale a dire la superficie terrestre.
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La fotogrammetria è una tecnica che senz'altro può essere considerata come facente
parte del complesso multidisciplinare detto GEOMATICA, poiché il suo scopo è
senz'altro georeferenziato e fa uso di strumentazioni informatiche. La fotogrammetria,
infatti, è una tecnica che ha lo scopo d'ottenere informazioni sulla natura fisica degli
oggetti per mezzo della: registrazione, misurazione e interpretazione d'immagini
fotografiche o, anche, ottenute per mezzo di radiazioni elettromagnetiche o da altri
fenomeni.
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- Fase di presa: nella presa sono noti due gruppi di parametri: l'oggetto del rilievo X,Y,Z e
la fotocamera, vale a dire la posizione e tipo di fotocamera, cioè i parametri della
trasformazione; restano incognite le coordinate dell'oggetto nello spazio
bidimensionale;
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- Fase di orientamento: ancorché fissati nella fase precedente, e dunque per questo
conoscibili fin da allora, si preferisce determinare a posteriori il gruppo Γ (gamma) dei
parametri della trasformazione; questa determinazione si chiama orientamento e si
effettua disponendo di un certo numero di punti di cui si conoscano le posizioni nei due
spazi in modo da poter risalire ai parametri della trasformazione. Sono quindi note le
coordinate dell'oggetto nello spazio 3d reale e nello spazio 2d dell'immagine, mentre
sono da definire i parametri della trasformazione
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- Fase di restituzione: con i parametri ormai noti, si possono ora trasformare gli spazi
immagine 2D nello spazio oggetto 3D quindi dar luogo alla restituzione dell'oggetto
rilevato. Note le coordinate bidimensionali nello spazio immagine e i parametri di
trasformazione, si possono ricavare tutti i punti necessari nello spazio 3d.
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Date due o più fotografie si chiamano PUNTI OMOLOGHI le diverse rappresentazioni sui
due fotogrammi dello stesso particolare. Al momento dello scatto ciascun punto
fotografico, il suo corrispondente punto oggetto ed il centro di proiezione giacciono su
di una retta.
Il punto origine O di coordinate (Xo, Yo, Zo) viene detto CENTRO DELLA PROIETTIVITÀ. Per
esso passano tutte le rette proiettive in quanto le sue coordinate corrispondono a una
qualunque coppia (x,y) di coordinate immagine. I parametri della matrice di
trasformazione sono propri dell'insieme di rette passanti per il centro della proiettività,
o centro di proiezione. L'insieme delle rette proiettive si definisce stella o fascio
proiettivo.
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Come già anticipato, è necessario conoscere dei punti, detti PUNTI NOTI, in ambedue
gli spazi: oggetto e immagine; questi dovranno essere presenti e individuabili in
ambedue le prese fotografiche, vale a dire nei due spazi immagine, come punti
omologhi.
Il sistema di rilevamento fotogrammetrico tramite coppie di prese fotografiche, cioè la
determinazione dello spazio oggetto attraverso due spazi bidimensionali), viene detto
RILIEVO FOTOGRAMMETRICO STEREOSCOPICO proprio in virtù della registrazione visiva,
appunto, stereoscopica dell'oggetto.
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La fotogrammetria ANALOGICA, è la più antica visione della disciplina, vale a dire quella
che ha fatto uso della stereoscopia per raggiungere i propri scopi restitutivi della realtà,
è stata utilizzata fino all'ultimo dopoguerra, quando il dott. Hellmut Schmid introdusse
l'uso della fotogrammetria analitica.
La fotogrammetria ANALITICA è basata su una notazione a matrice con il metodo dei
minimi quadrati, introdotta appunto dal dott. Hellmut Schmid. In buona sostanza un
punto viene individuato nello spazio misurando due differenti fotografie, una per ogni
occhio, e grazie al metodo dei minimi quadrati si riesce a calcolare la posizione nello
spazio. La fotogrammetria analitica rimane in uso sino all'era digitale la quale esplose
negli anni ottanta con l'invenzione del personal computer.
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I restitutori analogici sono degli strumenti ottico-meccanici che hanno fatto la storia
della fotogrammetria fin dai suoi inizi, ma sono ormai destinati alla obsolescenza anche
se sopravvivono e sono ancora largamente diffusi. In essi la ricomposizione delle
corrispondenze geometriche dei raggi omologhi avviene per analogia allo schema della
presa. I raggi proiettivi, dopo aver ricostruito in laboratorio lo schema della presa,
vengono realizzati con restitutori meccanici o con restitutori ottici.
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Il telerilevamento può essere di tipo attivo o passivo. In quello attivo le radiazioni sono
emesse da una sorgente, queste vanno quindi a colpire il corpo di cui si vuole conoscere
la morfologia e in base all'assorbimento si riesce a definire i dati d'interesse; il principio
che sottende questo tipo di rilievo è basato sul fatto che ogni corpo assorbe e si lascia
attraversare dalle onde elettromagnetiche in maniera singolare.
In quello passivo, invece, la misurazione avviene sulla base delle radiazioni emesse
spontaneamente dal corpo da analizzare. Quest'ultimo sistema è basato sul principio
che tutti i corpi dalla superficie esterna con una temperatura superiore allo zero
assoluto, cioè -273,15 °C, emettono comunque radiazioni elettromagnetiche.
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Questi coefficienti dipendono strettamente dalla natura fisica delle superfici e dal loro
grado di rugosità o di lucidatura. Ad esempio una medesima superficie può riflettere
molto nella luce verde e poco nella luce rossa e blu: in questo caso la superficie
illuminata con luce bianca, apparirà a noi come essenzialmente verde; la neve è bianca
nel visibile e quasi nera nell'I.R. termico. Dalla composizione delle varie percentuali con
cui una superficie riflette le luci blu, verde, rossa nasce il cosiddetto colore della
medesima: una superficie bianca rifletterà bene sia il rosso e sia il verde e il blu. Per ogni
superficie si può perciò costruire un grafico, che ci informa sulle capacità di riflessione
in funzione della lunghezza d'onda della radiazione incidente: questo grafico,
caratteristico di ogni superficie, si chiama firma o risposta spettrale.
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Queste considerazioni stanno alla base delle tecniche sviluppate per il riconoscimento
delle superfici con metodi tipici delle teleosservazioni“. È chiaro, infatti, che se è
possibile esplorare in varie lunghezze d'onda la luce riflessa da una superficie,
ottenendo un grafico dello spettro elettromagnetico, e se si dispone di una statistica di
comportamento di tale spettro sulle superfici sufficientemente vasta, si può pensare di
riconoscere la natura dell'oggetto investigato.”
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Bisogna osservare che, riducendo ai minimi termini l'ampiezza delle bande di lunghezza
d'onda, aumenta contestualmente il “rumore” associato all'informazione perdendo lo
strumento di precisione; aumentando il numero di bande di lunghezza d'onda
memorizzati nello stesso strumento aumenterà di conseguenza il tempo di elaborazione
dei dati che in caso di letture particolarmente complesse può diventare anche un
tempo apprezzabile. Uno strumento ottimale dovrà, pertanto, possedere un buon
equilibrio tra ampiezza minima della lunghezza d'onda rilevabile, numero di bande
memorizzate e, ovviamente, il costo.
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Gli strumenti per il rilievo sono comunemente definiti sensori e possono essere
classificati in PRODUTTORI DI MISURE e PRODUTTORI D'IMMAGINI. I primi sono
ovviamente definibili anche come semplici MISURATORI e rientrano in questa categoria:
radiometri, spettrofotometri e via dicendo, nella seconda troviamo, invece, gli strumenti
A CAMERA in quanto dotati di un dispositivo finalizzato a catturare, oltre al dato
numerico, anche l'immagine.
I sensori per il telerilevamento possono, come detto, essere passivi o attivi. I sensori
attivi presentano il vantaggio di non essere influenzati dal filtro naturale provocato dagli
strati di nuvole e di poter operare di giorno o di notte.
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Abbiamo parlato sino ad adesso di strumenti utili per rilevare il territorio oggetto di
studio. Andiamo ora ad analizzare i prodotti che si possono ricavare dai predetti
strumenti. Prodotti che possono essere utilizzati direttamente durante le fasi preliminari
alla progettazione dello strumento urbanistico.
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La cartografia non può, ovviamente, essere estesa a tutti gli argomenti e a tutta la
superficie terrestre, ma occorre restringere a un numero limitato di parametri di
osservazione e uno spazio fisico ben delimitato.
La cartografia tematica, di quasi esclusivo interesse urbanistico, rappresenta una lettura
particolare della distribuzione qualitativa e o quantitativa di un dato d'interesse. Anche
la cartografia tematica ha necessità di restringere lo spazio e limitare il numero dei dati
quali quantitativi per facilitare la successiva lettura delle stesse cartografie.
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- il repertorio codificato del segno: individua con simbologie o tratti grafici i criteri
utilizzati per la trasposizione su carta della realtà osservata al fine di permettere al
lettore di procedere in senso inverso e, quindi, decodificare i segni utilizzati. I segni più
comunemente adottati sono: linee di diverso spessore, retinature più o meno intense,
coloriture diverse, sfumature e, infine, simboli grafici adottati dalla geometria o ideati ex
novo. Le codifiche, tranne che per i segni più comuni, presentano differenze tra loro. Si
consiglia, pertanto, di rifarsi sempre a una codifica specifica e dichiararla nelle note a
margine.
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La rappresentazione della Terra è una delle attività più complesse delle Geologia.
Accanto ai tradizionali metodi di rappresentazione bidimensionali (carte geologiche e
geotematiche) trovano ormai, sempre più spesso, spazio le metodologie di
rappresentazione tridimensionale. Un modello tridimensionale (3D) è, infatti, più
immediato ed è di più facile comprensione e lettura della rappresentazione codificata
secondo le regole delle cartografie geotematiche. Norme spesso ignorate dalle persone
estranee ai lavori e che non si occupano direttamente di Scienze della Terra.
I modelli tridimensionali della realtà, anche quella più complessa, con lo sviluppo
imponente delle scienze informatiche e in particolar modo dei software vettoriali -
sempre più sofisticati- diventano realistici e immediati.
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Un notevole passo avanti è stato compiuto con la definizione del progetto Open VRML,
subito diventato un punto di riferimento per la distribuzione di modelli tridimensionali e
standard ISO. L'interesse delle Scienze della Terra, seppur con un po' di ritardo, ha
portato così alla nascita di particolari derivazioni del VRML, per esempio il GeoVRML.
Allo stato attuale il VRML è un ottimo, se non il migliore, punto d'incontro tra Web
Cartography e Web-3D e permette di creare applicazioni web in cui s'integrano mappe
bidimensionali, modelli tridimensionali e banche dati alfanumeriche.
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Roger Tomlinson è nato nel 1933 a Cambridge, in Inghilterra, si è trasferito Canada solo
nel 1957 per rimanervi definitivamente. Durante la primavera del 1962 Tomlinson
incontrò un altro geografo canadese, Lee Pratt, all'epoca capo del catasto geografico, al
quale fu affidato in quel periodo il compito di redigere una cartografia completa dell'uso
del suolo del Canada per circa 500 kmq. Fu in occasione di tale incarico, succeduto,
appunto, all'incontro con Tomlinson, che quest'ultimo gli suggerì molte delle sue idee
mediante le quali avrebbero potuto accelerare il massacrante lavoro di mappatura. Pratt
nominò, quindi, immediatamente Tomlinson a capo del programma che portò poi alla
elaborazione del primo GIS.
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Prendere delle decisioni su base geografica, del resto, fa parte della natura del pensiero
umano, anche nelle decisioni più semplici. Dove dobbiamo andare? Che percorso fare?
Che rischi ci sono? Con la comprensione della geografia si possono prendere decisioni
informate circa il nostro modo di vivere il pianeta.
Un sistema d'informazione geografica (GIS) è, in pratica, uno strumento tecnologico per
comprendere la geografia e rendere le nostre decisioni intelligenti. Il GIS organizza,
infatti, i dati geografici in modo tale che leggendo una mappa è possibile selezionare i
dati necessari per particolari specifiche di progetto. Un GIS è nmolto spesso associato
con una mappa. Una mappa, tuttavia, è solo un modo di poter lavorare con i dati
geografici in un GIS, è un solo tipo di prodotto generato da un GIS.
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• GIS orientati alla teoria dei database: il GIS, in questo caso è un geodatabase, vale a
dire una banca di dati geografici, in pratica si tratta di un sistema d'informazioni per la
geografia; detto in altre parole, il GIS è basato su una banca dati strutturata che
descrive il mondo in termini geografici;
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• GIS orientati alla cartografia: il GIS è un insieme di carte intelligenti che mostrano
caratteristiche e funzionalità delle relazioni sulla superficie della terra. Le mappe
d'informazione geografica ovviamente possono essere utilizzate come finestre della
banca dati che si aprono alle interrogazioni del database. Per questo tipo di GIS si ha una
prevalenza delle competenze di rappresentazione grafica su carta
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Una doverosa precisazione va fatta in merito a un luogo comune esistente nel mercato
del software, dove viene generalmente considerato come GIS qualsiasi programma in
grado di visualizzare e stampare delle mappe, mentre, come abbiamo visto, il sistema è
più complesso e deve essere in grado non solo di rappresentare graficamente il
territorio, ma anche di fornire informazioni e relazioni tra gli elementi che ne fanno
parte. Diciamo, quindi, che la capacità di visualizzare e stampare delle mappe è una
condizione necessaria al funzionamento di un GIS, ma non certo sufficiente.
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In termini pratici dov'è la differenza? Un rilievo sappiamo tutti come viene tradotto su
carta. Un rilievo alfanumerico, invece, prevede che i dati siano memorizzati tramite le
coordinate rilevate con un opportuno criterio su un supporto elaborabile dal calcolatore.
Cosa se ne fa l'utente di questi dati memorizzati? Per usarli deve avere un computer
dotato di video con funzionalità grafiche e sul quale sia installato un software in grado:
- di leggere il supporto magnetico dei dati nel formato col quale sono stati memorizzati
- di ricostruire sul video, in funzione di essi, un disegno del tipo di quello che il topografo
eseguiva tradizionalmente col montaggio del disegno nella costruzione della carta
disegnata
- di effettuare delle elaborazioni sulla cartografia numerica come selezioni, calcoli di
aree e distanze eccetera
- di produrre, tramite un plotter, un elaborato grafico che rappresenti la cartografia
numerica sotto la forma di carta disegnata
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La rappresentazione dei dati a video avviene secondo due formati essenziali: raster e
vettoriale. Per cercare di capire meglio i due concetti fondamentali della cartografica
numerica è prima necessario sapere che un'immagine, per essere tradotta su un
computer, deve essere rappresentata in forma digitale, cioè 0 o assenza dato e 1 o
presenza dato. Tale rappresentazione può essere portata a termine in vari modi.
La rappresentazione RASTER. Si tratta della forma più semplice dove ogni elemento
minimo, detto PIXEL, che costituisce l'immagine viene rappresentato separatamente. La
descrizione di un singolo pixel diventa, dunque, la descrizione del suo colore. Tutte le
immagini rappresentate in questo modo sono, dunque, chiamate immagini RASTER. Il
formato raster attraverso la ripetizione dei vari pixel permette di riprodurre fedelmente
qualsiasi documento e consente, pertanto, una visualizzazione delle mappe
perfettamente coincidente col prodotto di partenza, dove, a ogni pixel della mappa
corrispondono un numero di pixel della realtà, pari alla scala della cartografia
In pratica si tratta di una fotocopia in scala del prodotto originale.
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Nel caso limite di una linea sfumata da un colore a un altro occorrerà ugualmente
indicare, come nel raster, le coordinate di tutti i punti che la rappresentano. Tuttavia, a
parte questo caso limite, nella grafica vettoriale riducendosi il numero dei dati da
trattare per rappresentare un'immagine, c'è un minore dispendio di memoria e una
maggiore velocità dei calcoli oltre a una definizione nitida a qualsiasi scala. Le immagini,
infatti, appaiono sullo schermo sulla base di una funzione e non di un singolo pixel,
ragione per la quale i dati da conservare sono soltanto le coordinate iniziali e finali della
curva da considerare e la funzione che la definisce, in luogo dei dati di tutti i punti che la
compongono.
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applicazioni su misura;
garantisce un buon livello di sicurezza, soprattutto in ambienti multiutente.
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La gestione dei record nei database di tipo gerarchico è organizzata secondo uno
schema ad albero. Ogni dato è collegato con un solo record di gerarchia superiore,
mentre a livello inferiore può essere collegato a uno o più record. Ogni accesso alla
banca dati parte dal punto più alto della gerarchia per ridiscendere ai rami più bassi o
viceversa, non è previsto invece il passaggio tra due rami in maniera orizzontale. Non
essendo previsti passaggi di quest'ultimo tipo le interrogazioni del database sono
piuttosto lente e, quindi, è poco adatto all'utilizzo nei GIS.
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Il modello reticolare si differenzia poco da quello gerarchico. Ogni record può essere
collegato anche a più di un elemento di livello superiore. Potremo, quindi, avere una
propagazione con più rami sia a livello superiore e sia inferiore conferendo, appunto,
una struttura al database simile a un reticolo.
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Il modello relazionale risulta essere più semplice, in quanto tutti i dati sono
rappresentati in tabelle composte da righe e colonne. Un database relazionale è, quindi,
un insieme di dati organizzati in una serie di tabelle formalmente descritta da dati che
può essere letta o riassemblata in molti modi diversi senza dover riorganizzare le
tabelle del database.
L'utente standard e l'applicazione del programma di un database relazionale è la
Structured Query Language (SQL). Le istruzioni SQL sono utilizzate sia per le query
(interrogazioni) interattive e sia per la raccolta di dati e di relazioni.
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Notes:
L'analisi dei dati nell'ambito di un GIS avviene attraverso uno specifico software il quale
deve possedere la capacità di elaborare i problemi che s'intende analizzare e risolvere.
Il software deve essere idoneo a garantire:
- un agevolato inserimento dei dati nell'archivio;
- la strutturazione e memorizzazione delle informazioni;
- una facile consultazione e aggiornamento del database;
- una elaborazione e analisi dei dati in base ai problemi da risolvere;
- una facile visualizzazione dei dati in uscita.
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In definitiva il GIS deve essere provvisto di un software articolato in più moduli o, anche,
più software integrati tra loro che consentano di svolgere una serie di funzioni. Deve
essere altresì prevista la possibilità d'impiego dei linguaggi di programmazione per
ovviare a eventuali e specifiche situazioni non contemplate in fase di progettazione.
L'immissione dei dati nell'archivio deve avvenire, ovviamente, in formato digitale. Nel
caso in cui il dato disponibile non lo sia occorrerà, pertanto, procedere alla sua
digitalizzazione affinché possa essere catturato correttamente dal sistema.
Esistono svariate apparecchiature in grado di digitalizzare il dato in entrata; queste
possono essere delle semplici periferiche come, ad esempio, uno scanner o, anche,
dell'ulteriore software dedicato a questo scopo, come un interprete ottico del tipo OCR.
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L'analisi spaziale è l'aspetto distintivo che caratterizza un GIS rispetto a sistemi simili.
Questo tipo di analisi presuppone che i dati disponibili siano adeguatamente manipolati
e trasformati in maniera tale da essere applicati ai dati geografici aggiungendo valore
informativo a essi.
L'analisi spaziale viene definita anche geoprocessing ed è definibile, in pratica, come
quella serie di operazioni che consentono di automatizzare il GIS.
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Per costruire un buon GIS si può partire da programmi software presenti comunemente
sul mercato per apportarvi le opportune modifiche
adattate alla realtà oggetto di analisi in modo da ottimizzarne le capacità operative.
I GIS hanno molte caratteristiche in comune con tutte le tipologie di sistemi
georeferenziati, ma con l'aggiunta di alcune funzioni che permettono di compiere delle
operazioni analitiche. La capacità dei GIS ad analizzare dati spaziali è, pertanto, un
elemento chiave che consente di distinguerli dagli altri sistemi il cui scopo primario è,
invece, esclusivamente la produzione di mappe. In conclusione l'analisi spaziale e la
possibilità di sovrapporre più mappe sono le sole operazioni che consentono di
distinguere i GIS dagli altri sistemi.
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In questa unità abbiamo esaminato gli strumenti a disposizione del tecnico urbanistico
per descrivere sinteticamente il territorio. In particolare abbiamo analizzato gli
strumenti di sintesi, derivanti dalle moderne scienze informatiche.