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In questa unità didattica andremo a esaminare gli strumenti a disposizione del tecnico
urbanistico per descrivere sinteticamente il territorio. In particolare andremo ad
analizzare, ancorché brevemente, gli strumenti di sintesi derivanti dalle moderne
scienze informatiche.
L’urbanistica per il vero non è interessata direttamente alla redazione di queste sintesi,
ma è una semplice disciplina utilizzatrice degli strumenti messi a disposizione.
Conoscere, tuttavia, da dove provenga la documentazione, dove reperirla e quale sia la
più approfondita costituisce un background indispensabile per un’operatività più
efficace.
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Per conoscere la realtà del territorio occorre leggerla, analizzarla e raccogliere le


informazioni in maniera organizzata. Questa operazione di immagazzinamento dati è
molto importante per riuscire a conoscere con adeguata profondità la città dove il
progettista dovrà operare. Per facilitare questo compito intervengono in aiuto del
tecnico dei metodi di raccolta e degli apparati. Questi metodi sono semplicemente
definiti come raccolta dati, mentre gli apparati coincidono con i cosiddetti database
dove all'interno trovano posto, appunto, i dati desunti dalla realtà, disaggregati per
argomento omogeneo di interesse e con la possibilità di recuperarli in qualsiasi
momento.
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La complessità crescente della realtà territoriale ha come conseguenza l'impossibilità


di intervenire settorialmente, vale a dire agire su limitate porzioni della stessa realtà
considerandola come una parte a sé stante e avulsa dal tutto.
Per conoscere, analizzare e comprendere la realtà occorre, pertanto, assumere un
approccio dinamico e relazionale; per governare il territorio, poi, e ancor di più, è
assolutamente necessario dotarsi di strumenti di semplificazione della complessità e di
sintesi della stessa con dati oggettivi e non controvertibili.
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In aiuto all'urbanista intervengono però oggi, nel campo dell'analisi e rappresentazione


della realtà, strumenti sempre più precisi, dettagliati e sofisticati, il tutto grazie
soprattutto allo sviluppo delle geotecnologie, delle scienze statistiche e dell'informatica.
La parola “dato” deriva dal latino datum che letteralmente sta a significare “fatto”. In
pratica si tratta di una descrizione elementare, spesso codificata, della realtà, ma può
anche trattarsi semplicemente di una cosa, di una transazione, di un avvenimento o di
altro. I dati di per sé servono a poco, è necessario studiarli, analizzarli ed elaborarli per
ottenere la conoscenza di una informazione.
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I dati possono essere conservati e classificati sotto diverse forme: carta, supporto
digitale, alfabeto, immagine, suoni e altri supporti.
Il processo di registrazione dei dati in una memoria si chiama, appunto, memorizzazione.
Ogni supporto capace di contenere una serie di dati prende, invece, il nome di
DATABASE o archivio dati. I dati memorizzati devono, poi, essere facilmente ricavabili
mediante un'operazione denominata interrogazione del registro dei dati o query del
database.
Clicca sui pulsanti per approfondire le diverse tipologie di dato.
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• dati quantitativi: possono essere suddivisi, a loro volta, in discreti o continui a seconda
che rispettivamente assumano solo valori interi o qualsiasi valore reale. La superficie a
verde rappresenta, ad esempio, un dato continuo, il numero dei parchi in città, invece,
un dato discreto.
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Clicca sui pulsanti per approfondire le diverse caratteristiche dei dati.


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• coerenti e comparabili. Per permetterne facilmente il confronto o anche l'utilizzo con


dati raccolti da altri; per ottenere lo scopo è sufficiente normalizzare i valori attraverso
l'adozione di banche dati di grande utilizzo o conformare i dati raccolti a questi;
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• omogenei. Devono, quindi, provenire dallo stesso tipo di fonte, utilizzare le stesse
definizioni di base, devono essere aggregati con lo stesso metodo in base ai medesimi
criteri temporali o di numerosità
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• chiari nel metodo di raccolta. In modo tale che chi li utilizza sappia come sono stati
assunti e, quindi, decidere se possono essergli di aiuto a ottenere le informazioni di suo
interesse, oppure anche, nel futuro si possa utilizzare il medesimo metodo.
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• accessibili. I dati non devono essere nascosti o, comunque, difficilmente raggiungibili e,


pertanto, non devono essere espressi con termini troppo specialistici e incomprensibili ;
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• precisi per scopo, in modo da essere certi che il dato sia raccolto correttamente e
possa essere utilizzato da chi ha scopi affini.
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I dati possono essere aggregati o disaggregati a seconda che soddisfino una specifica
condizione o meno (indicatori). I dati aggregati sono, dunque, mischiati e indifferenziati,
mentre quelli disaggregati sono riassunti per specifici parametri. I dati disaggregati sono
sempre i più utili, ma anche i più dispendiosi -in termini economici- da ottenere.
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I dati raccolti per l'urbanistica hanno sempre come riferimento la descrizione del
territorio oggetto di studi in tutte le sue forme. Gli strumenti di osservazione, pertanto,
non s'interesseranno, ad esempio, della lettura della diffusione delle malattie nelle
abitazioni - ovviamente fatto salvo il caso eccezionale - ma verteranno tutti, appunto,
sulla lettura e descrizione della morfologia del territorio e degli avvenimenti di interesse
comune che su di esso si manifestano. Gli strumenti servono, quindi, a leggere e a
sintetizzare i dati raccolti in cartografie e database speciali.
Le geomatica è, in perfetta coerenza con quanto appena osservato, la disciplina che si
occupa di acquisire, modellizzare, interpretare, elaborare, archiviare e divulgare
informazioni dette GEOREFERENZIATE, ovvero informazioni caratterizzate da una
posizione in un prescelto sistema di riferimento.
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Andiamo adesso ad analizzare alcune discipline complementari all'urbanistica che


aiutano la raccolta dei dati. Partiamo dalla geomatica.
La geomatica è una multi-disciplina, direttamente collegata con le moderne tecniche
informatiche, avente come scopo essenziale quello di raccogliere dati geografici, di
immagazzinarli, di analizzarli e, quindi, di diffonderli. La diffusione del dato è, dunque,
uno degli elementi fondanti la disciplina.
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Il termine fu utilizzato per la prima volta negli anni 70 da un geografo per riferirsi
all'unione tra le scienze aventi come oggetto lo studio e la misurazione della terra e lo
sviluppo informatico. Il termine è stato adottato inizialmente in Canada per poi
diffondersi rapidamente in tutto il mondo a seguito della sua adozione da parte
dell'international standardization organization (ISO) e, di conseguenza, dai vari istituti di
unificazione nazionali, anche se in alcuni paesi, tra cui anche gli Stati Uniti, si utilizza con
maggior favore il termine TECNOLOGIA GEOSPAZIALE.
La geomatica è, pertanto, una disciplina recente la quale, in pratica, raccoglie dei dati
direttamente collegati con la loro posizione spaziale, li studia, classifica e, quindi, rende
pubblici i risultati ottenuti. La Geomatica, in pratica, è un neologismo per una disciplina
antica: la scienza del rilevamento del territorio e della gestione delle informazioni
geografiche.
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La geomatica per la rilevazione dei dati utilizza degli strumenti definiti “sensori”, vale a
dire attrezzature in grado di acquisire i dati elementari. Questi dati sono, poi,
immagazzinati in memorie di massa su supporto informatico, per essere in un secondo
tempo studiati ed elaborati a tavolino con l'ausilio di software. Il prodotto che si ottiene
da questi studi viene distribuito attraverso degli apparecchi in dotazione in pratica a
quasi tutta la popolazione detti “device”, vale a dire gli smartphone, i tablet, i PC e tutte
le apparecchiature con le quali abbiamo ormai contatto quotidiano. I dati sono anche
tradotti su cartografie, vale a dire trasformati in rappresentazioni simboliche bi o
tridimensionali della realtà. Le cartografie sono anch'esse distribuite attraverso i device
per essere loro stesse dato oggetto di studi più approfonditi.
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La disciplina s'inquadra, quindi, come un contenitore di procedure destinato a mappare


il territorio e attribuendo a tale rappresentazione delle caratteristiche non solo
morfologiche, ma anche quantitative e qualitative, in un crescendo d'informazioni
sempre più sottilizzate che permettono una rappresentazione della realtà spaziale
ancor più dettagliata.
Il termine si applica indifferentemente sia alla scienza, così come descritta, e sia alla
tecnologia preposta alla semplificazione dei processi di rilevamento e analisi dei dati, e
integra le seguenti discipline:
- geodesia
- rilevamento
- posizionamento
- cartografia numerica
- telerilevamento
- fotogrammetria
- sistemi informativi territoriali o GIS
- sistemi di posizionamento globale o GPS
- modellazioni numeriche
- analisi spaziali statistiche.
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Parlare di geomatica come strumento per l'urbanistica è improprio perché in realtà la


geomatica è un insieme di strumenti, tutti gli strumenti in grado di descrivere a
qualsiasi livello il territorio e che utilizzano la strumentazione informatica per
raccogliere, analizzare e distribuire i dati. Per cui saranno le varie discipline di cui è
costituita la geomatica a essere effettivamente utili all'urbanista per la raccolta dei dati
descrittivi dello strumento urbanistico.
Il problema fondamentale della descrizione della terra è dovuta al fatto che la SFERA
come solido geometrico è una pura astrazione. La terra, infatti, ha una forma assai
irregolare. Per cui, mentre i modelli di tipo geometrico, quali la sfera o l'ellissoide di
rotazione, sono facilmente trattabili dal punto di vista matematico e risultano adatti alla
costruzione di sistemi di riferimento per la determinazione della posizione di un punto
per mezzo di coordinate, i modelli di tipo fisico approssimano in modo più fedele la
reale forma della Terra, determinata, appunto, da una combinazione di forze fisiche.
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Tra i modelli di tipo fisico il Geoide è quello che più si avvicina alla reale forma e
dimensione della Terra e coincide con il pelo libero dei mari supposti in equilibrio e in
assenza di azioni perturbatrici locali come possono essere il moto ondoso, le maree, la
temperatura eccetera, considerati liberi di estendersi sotto le terre emerse in modo da
formare una superficie continua e chiusa, perpendicolare in ogni suo punto alla
direzione della forza di gravità.
Tuttavia, pur essendo liscia, la superficie del Geoide presenta continue gobbe e
ondulazioni dovute a variazioni locali della densità e delle masse terrestri che la
rendono difficilmente trattabile da un punto di vista matematico.
Per questo motivo, a livello internazionale si è convenuto assumere come superficie di
riferimento della Terra la superficie dell'ellissoide per il rilevamento planimetrico e
quella del geoide per il rilevamento altimetrico.
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Definita dunque la superficie di riferimento, e tralasciando la componente altimetrica, la


posizione di un punto sulla superficie terrestre viene espressa mediante le coordinate
del corrispondente punto sull'ellissoide di riferimento. A tale scopo è però opportuno
stabilire preventivamente un sistema di coordinate. In Geodesìa il sistema di coordinate
geografiche viene utilizzato per l'individuazione dei punti sull'ellissoide di riferimento
mediante due grandezze, definite latitudine e longitudine, rispettivamente determinate
come misura dei valori φ (fi) e λ (lambda), dove φ è l'angolo che la normale n
all'ellissoide passante per P forma con il piano equatoriale e λ è l'angolo formato tra il
meridiano di riferimento e il meridiano passante per il punto P; per convenzione è stato
assunto come meridiano di riferimento quello passante per Greenwich.
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Lo strumento per eccellenza per rilevare gli oggetti fisici e la loro riduzione su carta è
sicuramente la fotogrammetria, la quale sempre grazie all'evoluzione rapidissima
dell'informatica consente di velocizzare i rilievi e tutti i calcoli necessari per restituire su
piano bidimensionale, vale a dire il foglio di carta o il video del computer medesimo, ciò
che nella realtà fisica è tridimensionale, vale a dire la superficie terrestre.
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La fotogrammetria è una tecnica che senz'altro può essere considerata come facente
parte del complesso multidisciplinare detto GEOMATICA, poiché il suo scopo è
senz'altro georeferenziato e fa uso di strumentazioni informatiche. La fotogrammetria,
infatti, è una tecnica che ha lo scopo d'ottenere informazioni sulla natura fisica degli
oggetti per mezzo della: registrazione, misurazione e interpretazione d'immagini
fotografiche o, anche, ottenute per mezzo di radiazioni elettromagnetiche o da altri
fenomeni.
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Con la fotogrammetria il rilievo di un oggetto qualsiasi, anziché essere eseguito


mediante la misurazione diretta dei PUNTI SIGNIFICATIVI che contribuiscono
univocamente a definire la forma dello stesso, viene ottenuto utilizzando la sua
rappresentazione d'immagine, in pratica una comune fotografia, con la restituzione su
carta tramite stereoscopia. L'operazione può essere condotta analogicamente a
tavolino o mediante dato digitale, in quest'ultimo caso si può parlare, appunto, di
fotogrammetria digitale.
I primi utilizzi della fotogrammetria si manifestarono nel campo militare, la riduzione in
mappe geografiche del territorio mediante semplici scatti fotografici ottenuto con uno o
più voli sui luoghi d'interesse rappresentò, infatti, un micidiale strumento di strategia
bellica.
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A livello teorico l'applicazione fotogrammetrica comporta la risoluzione di un problema


di fondo che è quello di relazionare lo spazio oggetto tridimensionale con lo spazio
immagine bidimensionale in maniera univoca e così da poter far corrispondere punti
discreti, opportunamente scelti, nei due sistemi di grandezze. Superato questo
obbiettivo sarà poi possibile relazionare qualsiasi punto del continuo spazio immagine
al corrispondente punto nello spazio oggetto.
In fotogrammetria si individuano pertanto tre tipi di grandezze:
- le coordinate 3D (X,Y,Z) dell'oggetto;
- le coordinate 2D (x,y) dell'immagine;
- i valori dei parametri di orientamento Γ (gamma);
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Per meglio chiarire quanto sopra si danno le seguenti definizioni:


- per spazio oggetto si intende l'oggetto da rilevare nella sua volumetria;
- per spazio immagine si intende la ripresa fotografica dell'oggetto da rilevare;
- per punti discreti si intendono dei punti, che siano ben individuabili sia sull'oggetto che
sull'immagine fotografica dello stesso.
- i parametri di orientamento sono quelli che governano i rapporti fra lo spazio oggetto
3D e quello immagine 2D: essi esprimono le caratteristiche del mezzo fotografico e il suo
posizionamento fra i due tipi di spazi.
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Nel processo di rilevamento fotogrammetrico, si individuano tre fasi principali nelle


quali: le grandezze dell'oggetto, dell'immagine e i parametri di orientamento sono
relazionate in maniera differente. Clicca sui pulsanti per approfondire ogni fase.
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- Fase di presa: nella presa sono noti due gruppi di parametri: l'oggetto del rilievo X,Y,Z e
la fotocamera, vale a dire la posizione e tipo di fotocamera, cioè i parametri della
trasformazione; restano incognite le coordinate dell'oggetto nello spazio
bidimensionale;
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- Fase di orientamento: ancorché fissati nella fase precedente, e dunque per questo
conoscibili fin da allora, si preferisce determinare a posteriori il gruppo Γ (gamma) dei
parametri della trasformazione; questa determinazione si chiama orientamento e si
effettua disponendo di un certo numero di punti di cui si conoscano le posizioni nei due
spazi in modo da poter risalire ai parametri della trasformazione. Sono quindi note le
coordinate dell'oggetto nello spazio 3d reale e nello spazio 2d dell'immagine, mentre
sono da definire i parametri della trasformazione
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- Fase di restituzione: con i parametri ormai noti, si possono ora trasformare gli spazi
immagine 2D nello spazio oggetto 3D quindi dar luogo alla restituzione dell'oggetto
rilevato. Note le coordinate bidimensionali nello spazio immagine e i parametri di
trasformazione, si possono ricavare tutti i punti necessari nello spazio 3d.
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La relazione fra lo spazio 2D di e lo spazio 3D è nota come proiettività ed è governata


da precise relazioni matematiche e geometriche: il problema è affrontabile infatti sia
per via analitica che attraverso applicazioni della geometria descrittiva.
In altre parole, si può affermare che fra i due spazi esiste una proiettività quando è
possibile trovare una matrice di parametri A, fungente da operatore di trasformazione,
tale che, individuato un generico punto oggetto P, che descrive lo spazio 3D, detto
spazio OGGETTO, esista un corrispondente punto P' che descrive lo spazio 2D, detto
spazio IMMAGINE.
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In questa trattazione semplificata sono omesse le formulazioni analitiche del calcolo


matriciale che traducono l'impostazione teorica del problema, tuttavia la relazione è
schematizzabile con la seguente relazione proiettiva fra lo spazio bidimensionale
dell'immagine e lo spazio tridimensionale dell'oggetto:
u = AU, dove u piccolo è una matrice colonna con le coordinate bidimensionali dello
spazio immagine, A è la matrice di trasformazione, contenente i parametri di
orientamento, ed U grande è una matrice colonna con le coordinate tridimensionali
dello spazio oggetto.
Il problema così strutturato può essere infine esplicitato in sistemi di equazioni che
conducono a varie dimostrazioni per via analitica.
Per poter calcolare i 12 parametri della matrice A, fungente da operatore di
trasformazione, sono necessarie almeno 12 equazioni: occorre un insieme di punti noti
nei due spazi; ogni punto consente di scrivere due equazioni. Con un minimo di sei punti
si ricavano tutte le incognite.
Le operazioni di restituzione prevedono complesse procedure che sono eseguite dai
cosiddetti RESTITUTORI.
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Una delle dimostrazioni più importanti, al fine di comprendere l'impostazione teorica


del rilievo fotogrammetrico, è quella in cui si esprimono le coordinate bidimensionali
x,y dello spazio immagine, in funzione di quelle tridimensionali X,Y,Z o spazio oggetto: il
sistema di equazioni in questo caso non fornisce una sola soluzione.
Ad un punto 2D corrispondono infatti infiniti punti 3D, tutti quelli che si ottengono
fissando il valore di una delle tre coordinate, la Z per esempio, ed ottenendo così le
restanti due. Al variare della Z, da -∞ a +∞ il punto oggetto P, descrive così una retta
detta retta proiettiva, congiungente il punto immagine P' al punto oggetto P.
Da quanto ora esposto, si intuisce che nella risoluzione del problema fotogrammetrico
una sola immagine, rappresentante lo spazio oggetto e relazionata ad esso tramite
parametri di orientamento, non dà luogo ad una sola soluzione, e pertanto si può
ricavare che da una sola fotografia non è possibile ricavare misure tridimensionali a
meno che non si pongano particolari vincoli riguardanti la forma dell'oggetto. Nel caso
generale per poter effettuare misure tridimensionali occorre, dunque, considerare più
foto dell'oggetto.
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Date due o più fotografie si chiamano PUNTI OMOLOGHI le diverse rappresentazioni sui
due fotogrammi dello stesso particolare. Al momento dello scatto ciascun punto
fotografico, il suo corrispondente punto oggetto ed il centro di proiezione giacciono su
di una retta.
Il punto origine O di coordinate (Xo, Yo, Zo) viene detto CENTRO DELLA PROIETTIVITÀ. Per
esso passano tutte le rette proiettive in quanto le sue coordinate corrispondono a una
qualunque coppia (x,y) di coordinate immagine. I parametri della matrice di
trasformazione sono propri dell'insieme di rette passanti per il centro della proiettività,
o centro di proiezione. L'insieme delle rette proiettive si definisce stella o fascio
proiettivo.
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Come già anticipato, è necessario conoscere dei punti, detti PUNTI NOTI, in ambedue
gli spazi: oggetto e immagine; questi dovranno essere presenti e individuabili in
ambedue le prese fotografiche, vale a dire nei due spazi immagine, come punti
omologhi.
Il sistema di rilevamento fotogrammetrico tramite coppie di prese fotografiche, cioè la
determinazione dello spazio oggetto attraverso due spazi bidimensionali), viene detto
RILIEVO FOTOGRAMMETRICO STEREOSCOPICO proprio in virtù della registrazione visiva,
appunto, stereoscopica dell'oggetto.
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La fotogrammetria ANALOGICA, è la più antica visione della disciplina, vale a dire quella
che ha fatto uso della stereoscopia per raggiungere i propri scopi restitutivi della realtà,
è stata utilizzata fino all'ultimo dopoguerra, quando il dott. Hellmut Schmid introdusse
l'uso della fotogrammetria analitica.
La fotogrammetria ANALITICA è basata su una notazione a matrice con il metodo dei
minimi quadrati, introdotta appunto dal dott. Hellmut Schmid. In buona sostanza un
punto viene individuato nello spazio misurando due differenti fotografie, una per ogni
occhio, e grazie al metodo dei minimi quadrati si riesce a calcolare la posizione nello
spazio. La fotogrammetria analitica rimane in uso sino all'era digitale la quale esplose
negli anni ottanta con l'invenzione del personal computer.
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La fotogrammetria DIGITALE è dunque, in buona sostanza, una tecnica di rilievo degli


oggetti collegato con la nascita e l'evoluzione della fotografia e sviluppato in tempi
recenti per mezzo dell'uso di tecniche informatiche. La crescita esponenziale della
diffusione del computer e l'aumento della capacità d'immagazzinamento dei dati da
parte degli stessi, nonché l'evolversi continuo dei software di grafica, hanno permesso
la diffusione della fotogrammetria a qualsiasi livello a costi notevolmente bassi rispetto
a quelli osservabili soltanto qualche decennio fa.
L'avvento della rete mondiale nota come internet o web ha, poi, permesso la
pubblicazione costante dei risultati ottenuti in maniera tale da consentirne un accesso
pubblico e capillarmente diffuso. Oggi la fotogrammetria è il sistema più rapido,
semplice, affidabile ed economico per la definizione spaziale degli elementi che
costituiscono il territorio e per il monitoraggio, in tempi quasi reali, delle modifiche che
avvengono in esso.
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I Restitutori si distinguono in tre categorie: gli analogici, gli analitici, i digitali.


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I restitutori analogici sono degli strumenti ottico-meccanici che hanno fatto la storia
della fotogrammetria fin dai suoi inizi, ma sono ormai destinati alla obsolescenza anche
se sopravvivono e sono ancora largamente diffusi. In essi la ricomposizione delle
corrispondenze geometriche dei raggi omologhi avviene per analogia allo schema della
presa. I raggi proiettivi, dopo aver ricostruito in laboratorio lo schema della presa,
vengono realizzati con restitutori meccanici o con restitutori ottici.
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I restitutori analitici, ormai in disuso o limitati all'impiego della produzione di carte a


piccola scala o, più frequentemente, per scopi didattici, il modello ottico viene creato
nello spazio dell'osservatore attraverso la proiezione delle due immagini filtrate
rispettivamente nel campo del rosso e del blu e viene osservato con occhiali che hanno
a loro volta una lente blu e una rossa. Questo metodo, detto dell'anaglife, fa sì che la
due immagini già orientate in modo da far incontrare tutti i punti omologhi, vengano
osservate separatamente dagli occhi. Il restitutore analitico ricostruisce i raggi omologhi
analiticamente a partire dalle coordinate di lastra di punti omologhi misurate da uno
stereocomparatore.
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Il restitutore digitale è costituito da un computer nel quale vengono caricate immagini


digitali, cioè immagini costituite da matrici bidimensionali di toni di grigio o di colore.
L'osservazione stereoscopica può avvenire in più modi, ma comunque osservando con
speciali occhiali il video dove si osservano separatamente con gli occhi le due immagini
costituenti il modello proiettato sul video. Il futuro, almeno per la maggior parte degli
impieghi della fotogrammetria, sta in questa sostituzione in cui l'hardware non ha parti
in movimento e il cui sviluppo in termini di capacità di elaborazione e di memoria, è in
continua e rapidissima evoluzione.
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Il telerilevamento rappresenta uno strumento per il rilievo della superficie terrestre


eseguito come se la postazione fosse in alto nel cielo e, quindi, consente una visione
realistica del territorio oggetto di studio. Per permettere questa suggestiva operazione il
rilievo viene condotto a distanza attraverso apparecchiatura poste appunto al di sopra
della superficie esaminata. Andiamo dunque a vedere i principi generali che consentono
questa astrazione.
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Il Telerilevamento definito anche come Remote Sensing è l'insieme di tecniche,


strumenti e mezzi interpretativi che permettono di estendere e migliorare le capacità
percettive dell'occhio, fornendo all'osservatore informazioni qualitative e quantitative
su oggetti posti a distanza, e quindi sull'ambiente circostante.
Il telerilevamento è, dunque, in altre parole il rilievo a distanza della morfologia
generale di un territorio o delle sue condizioni atmosferiche o ambientali o, anche, delle
sue risorse naturali.
In pratica si ottengono i dati d'interesse sulla misurazione -mediante uno o più sensori-
delle onde elettromagnetiche emesse, diffuse o trasmesse da un corpo qualsiasi dotato,
in quanto tale, di specifiche proprietà fisiche e chimiche permettendo di ottenere, così,
informazioni sui fenomeni anche a distanza.
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Il telerilevamento può essere di tipo attivo o passivo. In quello attivo le radiazioni sono
emesse da una sorgente, queste vanno quindi a colpire il corpo di cui si vuole conoscere
la morfologia e in base all'assorbimento si riesce a definire i dati d'interesse; il principio
che sottende questo tipo di rilievo è basato sul fatto che ogni corpo assorbe e si lascia
attraversare dalle onde elettromagnetiche in maniera singolare.
In quello passivo, invece, la misurazione avviene sulla base delle radiazioni emesse
spontaneamente dal corpo da analizzare. Quest'ultimo sistema è basato sul principio
che tutti i corpi dalla superficie esterna con una temperatura superiore allo zero
assoluto, cioè -273,15 °C, emettono comunque radiazioni elettromagnetiche.
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Come funziona in pratica il telerilevamento?


Poniamo di avere una superficie da rilevare ESSE. Su questa poniamo di inviare un raggio
di energia Ei detta energia incidente e che andrà a impattare sulla superficie ESSE nel
punto Pi. Tale raggio di energia al momento dell'impatto con la superficie si scomporrà
in tre raggi:
- Raggio dell'energia trasmessa che è rappresentata da quella porzione di energia che
riesce ad attraversare il punto di impatto e proseguire al di sotto della superficie.
- Raggio dell'energia assorbita che è rappresentata da quella porzione di energia che si
propaga attraverso la superficie
- Raggio dell'energia riflessa che è rappresentata da quella porzione di energia che
viene riflessa dalla superficie
Ognuno dei raggi elencati ha un coefficiente detto, rispettivamente, di trasmissione, di
assorbimento e di riflessione.
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Questi coefficienti dipendono strettamente dalla natura fisica delle superfici e dal loro
grado di rugosità o di lucidatura. Ad esempio una medesima superficie può riflettere
molto nella luce verde e poco nella luce rossa e blu: in questo caso la superficie
illuminata con luce bianca, apparirà a noi come essenzialmente verde; la neve è bianca
nel visibile e quasi nera nell'I.R. termico. Dalla composizione delle varie percentuali con
cui una superficie riflette le luci blu, verde, rossa nasce il cosiddetto colore della
medesima: una superficie bianca rifletterà bene sia il rosso e sia il verde e il blu. Per ogni
superficie si può perciò costruire un grafico, che ci informa sulle capacità di riflessione
in funzione della lunghezza d'onda della radiazione incidente: questo grafico,
caratteristico di ogni superficie, si chiama firma o risposta spettrale.
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Queste considerazioni stanno alla base delle tecniche sviluppate per il riconoscimento
delle superfici con metodi tipici delle teleosservazioni“. È chiaro, infatti, che se è
possibile esplorare in varie lunghezze d'onda la luce riflessa da una superficie,
ottenendo un grafico dello spettro elettromagnetico, e se si dispone di una statistica di
comportamento di tale spettro sulle superfici sufficientemente vasta, si può pensare di
riconoscere la natura dell'oggetto investigato.”
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Un tipo di telerilevamento passivo è quello da satellite, dove l'osservazione avviene da


una piattaforma orbitante mediante la misurazione della radiazione elettromagnetica
emergente dal corpo d'interesse.
I principi base del telerilevamento attivo e passivo permettono perciò all'osservatore,
dove esista un'adeguata statistica di comportamento delle onde elettromagnetiche del
corpo, di rilevare con precisione gli elementi di interesse che lo definiscono. Questo
processo di rilevamento, grazie allo sviluppo delle scienze informatiche, può essere
condotto direttamente dalle apparecchiature preposte all'emissione o all'osservazione
delle onde elettromagnetiche in maniera del tutto automatica. Oggi esistono
apparecchiature in grado di riconoscere anche minime sfumature della lunghezza
d'onda e, quindi, riconoscere e definire una moltitudine sterminata di corpi e superfici.
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Bisogna osservare che, riducendo ai minimi termini l'ampiezza delle bande di lunghezza
d'onda, aumenta contestualmente il “rumore” associato all'informazione perdendo lo
strumento di precisione; aumentando il numero di bande di lunghezza d'onda
memorizzati nello stesso strumento aumenterà di conseguenza il tempo di elaborazione
dei dati che in caso di letture particolarmente complesse può diventare anche un
tempo apprezzabile. Uno strumento ottimale dovrà, pertanto, possedere un buon
equilibrio tra ampiezza minima della lunghezza d'onda rilevabile, numero di bande
memorizzate e, ovviamente, il costo.
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Gli strumenti per il rilievo sono comunemente definiti sensori e possono essere
classificati in PRODUTTORI DI MISURE e PRODUTTORI D'IMMAGINI. I primi sono
ovviamente definibili anche come semplici MISURATORI e rientrano in questa categoria:
radiometri, spettrofotometri e via dicendo, nella seconda troviamo, invece, gli strumenti
A CAMERA in quanto dotati di un dispositivo finalizzato a catturare, oltre al dato
numerico, anche l'immagine.
I sensori per il telerilevamento possono, come detto, essere passivi o attivi. I sensori
attivi presentano il vantaggio di non essere influenzati dal filtro naturale provocato dagli
strati di nuvole e di poter operare di giorno o di notte.
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La caratteristica fondamentale del telerilevamento è dunque la possibilità di


raccogliere informazioni a distanza dal corpo oggetto di studio. La misura di questa
distanza può essere contenuta in qualche metro, nei cosiddetti rilievi prossimali, sino ad
anche decine di migliaia di chilometri, nei rilievi remoti.
Le fasi del rilievo possono essere fondamentalmente sintetizzate in tre parti:
- raccolta dei dati mediante sensori
- elaborazione dei dati
- analisi dei dati.
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Abbiamo parlato sino ad adesso di strumenti utili per rilevare il territorio oggetto di
studio. Andiamo ora ad analizzare i prodotti che si possono ricavare dai predetti
strumenti. Prodotti che possono essere utilizzati direttamente durante le fasi preliminari
alla progettazione dello strumento urbanistico.
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La cartografia è una riduzione essenzialmente bidimensionale di una particolare realtà


attraverso una simbologia iconica che ne permetta la successiva lettura. Comunemente,
in urbanistica, le cartografie sono sempre riferite alla rappresentazione della superficie
terrestre, tuttavia, in altri tipologie di studi possono anche rappresentare altre realtà
fisiche o non fisiche.
Clicca sui pulsanti per approfondire.
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La cartografia georiferita è di notevole interesse per gli studi urbanistici poiché


rappresenta una lettura particolare della superficie della terra. Essa ha dunque come
scopo quello di individuare degli oggetti o dei fenomeni sul territorio e di ridurli su carta
mediante una proporzione diretta, coerente e omogenea. Tale proporzione
dimensionale prende comunemente il nome di scala di riferimento dove a una certa
quantità di “oggetto” o di “fenomeno” corrisponde sempre, una proporzionale quantità
sulla carta.
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La cartografia non può, ovviamente, essere estesa a tutti gli argomenti e a tutta la
superficie terrestre, ma occorre restringere a un numero limitato di parametri di
osservazione e uno spazio fisico ben delimitato.
La cartografia tematica, di quasi esclusivo interesse urbanistico, rappresenta una lettura
particolare della distribuzione qualitativa e o quantitativa di un dato d'interesse. Anche
la cartografia tematica ha necessità di restringere lo spazio e limitare il numero dei dati
quali quantitativi per facilitare la successiva lettura delle stesse cartografie.
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La Web mapping o cartography o, semplicemente, cartografia web è, in pratica, la


pubblicazione dei dati cartografici in rete con le potenzialità enormi legate a questo
strumento ormai diffuso in tutto il mondo e che offre la possibilità di accesso
simultaneo a uno sterminato numero di utenti. Le enormi potenzialità della cartografia
applicata a internet hanno permesso la nascita di nuove figure professionali legate a chi
aveva competenze in entrambe le discipline.
La Web cartography presuppone, quindi, la necessaria conoscenza delle informazioni
fondamentali di carattere scientifico rispetto alla cartografia ma, nel medesimo tempo,
anche adeguate conoscenze in campo informatico e nella fattispecie nell'uso avanzato
dei siti web.
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La cartografia di per sé non permette l'immediato utilizzo in rete, ma è necessaria


un'opera di adattamento della stessa al mezzo informatico mediante l'acquisizione del
dato cartografico e sua digitalizzazione e, solo in seguito, l'inserimento del dato stesso
sulla rete.
In rete il concetto di cartografia si estende, poi, alla possibilità d'interagire con le
banche dati mediante strumenti multimediali. La carta è, pertanto, pur sempre una
rappresentazione del territorio in scala opportuna, ma intervengono nuove potenzialità
quali la possibilità di inserire dei testi di spiegazione (ipertesto) o persino delle
fotografie o dei filmati delle aree esplorate dall'utente sulla cartografia medesima.
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La cartografia di base del piano regolatore prevede l'utilizzo di una scala di


rappresentazione, per la valutazione del territorio nella sua interezza, non inferiore a
1:5000. Per le zone speciali tipo: centro storico, aree di riqualificazione urbana ecc. si
raccomanda, invece, una scala non inferiore a 1:2000.
Gli oggetti o i fenomeni descritti dalla cartografia comunemente sono definiti come
elementi cartografici.
Ogni cartografia contiene anche annotazioni a margine ed un repertorio codificato del
segno. Clicca sui pulsanti per approfondire.
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- le annotazioni a margine: si tratta di appunti o commenti aventi come scopo quello di


facilitare l'inquadramento territoriale della superficie presa in considerazione e in
particolare di specificare quale sia l'oggetto o il fenomeno rappresentato. Nelle varie
annotazioni, in generale, deve essere sempre riportato: a) l'elemento cartografico preso
in considerazione, b) il sistema di riferimento, c) il grado di aggiornamento della
cartografia, d) le indicazioni utili per la lettura della carta;
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- il repertorio codificato del segno: individua con simbologie o tratti grafici i criteri
utilizzati per la trasposizione su carta della realtà osservata al fine di permettere al
lettore di procedere in senso inverso e, quindi, decodificare i segni utilizzati. I segni più
comunemente adottati sono: linee di diverso spessore, retinature più o meno intense,
coloriture diverse, sfumature e, infine, simboli grafici adottati dalla geometria o ideati ex
novo. Le codifiche, tranne che per i segni più comuni, presentano differenze tra loro. Si

consiglia, pertanto, di rifarsi sempre a una codifica specifica e dichiararla nelle note a
margine.
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La rappresentazione cartografica mediante tridimensionale rappresenta l'evoluzione


naturale e per il futuro delle attuali cartografie bidimensionali. La simulazione della
tridimensionalità attraverso effetti di prospettiva o l'uso di speciali visori permette
infatti di correggere la visione binoculare dell'uomo e nel contempo ridurre i problemi di
rappresentazione legati alla forma estremamente irregolare della sfera terrestre.
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La rappresentazione della Terra è una delle attività più complesse delle Geologia.
Accanto ai tradizionali metodi di rappresentazione bidimensionali (carte geologiche e
geotematiche) trovano ormai, sempre più spesso, spazio le metodologie di
rappresentazione tridimensionale. Un modello tridimensionale (3D) è, infatti, più
immediato ed è di più facile comprensione e lettura della rappresentazione codificata
secondo le regole delle cartografie geotematiche. Norme spesso ignorate dalle persone
estranee ai lavori e che non si occupano direttamente di Scienze della Terra.
I modelli tridimensionali della realtà, anche quella più complessa, con lo sviluppo
imponente delle scienze informatiche e in particolar modo dei software vettoriali -
sempre più sofisticati- diventano realistici e immediati.
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La rappresentazione della superficie terrestre attraverso un modello matematico


tridimensionale non è solamente utile per la presentazione dei dati, ma anche per tutte
le indagini che con esso si possono realizzare come: il calcolo delle pendenze e
dell'orientamento dei versanti, l'intersezione e la deformazione delle superfici.
L'utilizzo d'immagini telerilevate assieme ai Modelli Digitali del Terreno -DEM Digital
Elevation Model- ha fornito un ottimo mezzo per le indagini d'impatto ambientale. La
pianificazione ambientale ha risentito positivamente della possibile integrazione dei
modelli 3D del territorio con le banche dati geografiche (GIS) e con programmi di
Geostatistica per tutte le problematiche di pianificazione ambientale e di calcolo di
rischio idrogeologico e sismico.
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Ultimamente con l'avvento di Internet e, soprattutto, del VRML (Virtual Reality


Modeling Language) la modellazione 3D ha trovato un canale di distribuzione delle
informazioni di carattere tridimensionale che raggiunge un enorme numero di utenti
indipendentemente dalla piattaforma e dal sistema operativo che questi utilizzano. La
modellazione tridimensionale è stata adottata dalle Scienze della Terra da diversi anni,
principalmente per la rappresentazione del territorio e del sottosuolo. Ha sicuramente
goduto dei recenti miglioramenti tecnologici, che hanno portato a ottenere modelli
sempre più complessi e realistici, ma risente ancora delle difficoltà che si hanno nella
presentazione e distribuzione. La presentazione d'immagini o filmati realizzati a partire
dall'ambiente operativo è, infatti, un'opzione che ne limita la comprensione. Più
funzionale è, invece, la possibilità di presentare i risultati in un ambiente
tridimensionale e interattivo, che sia non legato ad ambienti software precisi o a
particolari piattaforme e con interfacce cross-browser.
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Un notevole passo avanti è stato compiuto con la definizione del progetto Open VRML,
subito diventato un punto di riferimento per la distribuzione di modelli tridimensionali e
standard ISO. L'interesse delle Scienze della Terra, seppur con un po' di ritardo, ha
portato così alla nascita di particolari derivazioni del VRML, per esempio il GeoVRML.
Allo stato attuale il VRML è un ottimo, se non il migliore, punto d'incontro tra Web
Cartography e Web-3D e permette di creare applicazioni web in cui s'integrano mappe
bidimensionali, modelli tridimensionali e banche dati alfanumeriche.
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I GIS rappresentano la sintesi tra tutte le tecniche di rappresentazione esaminate e la


loro integrazione con le tecniche informatiche. I GIS, infatti, danno la possibilità di
ottenere tramite interrogazioni del database, posto al loro interno, dati di tipo
cartografico, vale a dire rappresentativo della realtà del territorio a due o anche a tre
dimensioni, informano sulla consistenza delle superfici, sulla loro altimetria e numerose
altre informazioni. Andiamo a esplorare in cosa consiste il mondo dei GIS e cosa significa
quest’acronimo.
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La sigla GIS rappresenta nient'altro che l'acronimo di Geographic Information System,


vale a dire tradotto in Italiano: Sistema Informativo Geografico. L'espressione, forse non
propriamente appropriata, ma ormai comunemente utilizzata, è stata coniata dal
geografo Roger Tomlinson, padre inventore del GIS, noto scienziato visionario che ha
concepito e sviluppato il programma per conto del Canada Land Inventory portando alla
nascita il primo GIS. Il suo lavoro pionieristico ha cambiato il volto alla geografia. I
governi e gli scienziati di tutto il mondo, ancora oggi, si rivolgono a lui per capire meglio
l'ambiente, cambiare i modelli di utilizzo del territorio e anche per gestire meglio lo
sviluppo urbano e l'uso delle risorse naturali.
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Roger Tomlinson è nato nel 1933 a Cambridge, in Inghilterra, si è trasferito Canada solo
nel 1957 per rimanervi definitivamente. Durante la primavera del 1962 Tomlinson
incontrò un altro geografo canadese, Lee Pratt, all'epoca capo del catasto geografico, al
quale fu affidato in quel periodo il compito di redigere una cartografia completa dell'uso
del suolo del Canada per circa 500 kmq. Fu in occasione di tale incarico, succeduto,
appunto, all'incontro con Tomlinson, che quest'ultimo gli suggerì molte delle sue idee
mediante le quali avrebbero potuto accelerare il massacrante lavoro di mappatura. Pratt
nominò, quindi, immediatamente Tomlinson a capo del programma che portò poi alla
elaborazione del primo GIS.
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Tomlinson individuò nel GIS un sistema di archiviazione dei dati informatizzato e


finalizzato a descrivere le risorse naturali di un territorio quale supporto a decisioni
successive di carattere operativo. Oggi, con il termine GIS, si usa definire l'integrazione
tra hardware, software e dati per acquisire, gestire, analizzare e visualizzare tutte le
forme di informazioni geograficamente referenziate.

Il GIS consente, quindi, di visualizzare, capire, interrogare, interpretare e visualizzare i


dati in molti modi che rivelano i rapporti, i modelli e le tendenze in forma di mappe,
relazioni e tabelle. Aiuta a rispondere alle domande e risolvere i problemi analizzando i
dati con un metodo di facile e immediata comprensione.
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Prendere delle decisioni su base geografica, del resto, fa parte della natura del pensiero
umano, anche nelle decisioni più semplici. Dove dobbiamo andare? Che percorso fare?
Che rischi ci sono? Con la comprensione della geografia si possono prendere decisioni
informate circa il nostro modo di vivere il pianeta.
Un sistema d'informazione geografica (GIS) è, in pratica, uno strumento tecnologico per
comprendere la geografia e rendere le nostre decisioni intelligenti. Il GIS organizza,
infatti, i dati geografici in modo tale che leggendo una mappa è possibile selezionare i
dati necessari per particolari specifiche di progetto. Un GIS è nmolto spesso associato
con una mappa. Una mappa, tuttavia, è solo un modo di poter lavorare con i dati
geografici in un GIS, è un solo tipo di prodotto generato da un GIS.
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I GIS possono essere sintetizzati in tre gruppi fondamentali ciascuno caratterizzato da


uno specifico interesse. Ogni tipologia avrà i propri specifici strumenti funzionali in base
al campo di attenzione, tuttavia esistono anche integrazioni tra le diverse tipologie e
strumenti che rappresentano la sintesi di due o anche tutti e tre gli orientamenti
esaminati. Clicca sui pulsanti per approfondire.
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• GIS orientati alla teoria dei database: il GIS, in questo caso è un geodatabase, vale a
dire una banca di dati geografici, in pratica si tratta di un sistema d'informazioni per la
geografia; detto in altre parole, il GIS è basato su una banca dati strutturata che
descrive il mondo in termini geografici;
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• GIS orientati alla cartografia: il GIS è un insieme di carte intelligenti che mostrano
caratteristiche e funzionalità delle relazioni sulla superficie della terra. Le mappe
d'informazione geografica ovviamente possono essere utilizzate come finestre della
banca dati che si aprono alle interrogazioni del database. Per questo tipo di GIS si ha una
prevalenza delle competenze di rappresentazione grafica su carta
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• GIS orientati all'analisi spaziale: quest'ultima tipologia di GIS è un insieme di


strumenti di elaborazione e trasformazione delle informazioni che derivano dal
database geografico. Queste funzioni dette di geoprocessing consistono nel prendere
informazioni dai dati esistenti, a cui applicare funzioni analitiche e, quindi, scrivere i
risultati ottenuti come nuovi dati. In questo caso abbiamo una serie di competenze
prevalentemente geografiche.
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Una doverosa precisazione va fatta in merito a un luogo comune esistente nel mercato
del software, dove viene generalmente considerato come GIS qualsiasi programma in
grado di visualizzare e stampare delle mappe, mentre, come abbiamo visto, il sistema è
più complesso e deve essere in grado non solo di rappresentare graficamente il
territorio, ma anche di fornire informazioni e relazioni tra gli elementi che ne fanno
parte. Diciamo, quindi, che la capacità di visualizzare e stampare delle mappe è una
condizione necessaria al funzionamento di un GIS, ma non certo sufficiente.
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Il GIS è dunque l'unione di più mondi dell'informatica con la geografia: il CAD, la


cartografia computerizzata, i database, l'analisi dei dati e l'analisi spaziale. Il CAD in
sostanza permette di tracciare linee e curve secondo le intenzioni dell'operatore ed è
finalizzato, proprio per questa sua caratteristica, alla progettazione architettonica
assistita, appunto, dal computer. Si tratta di uno strumento abbastanza rudimentale
nell'ambito del GIS in quanto permette la rappresentazione schematica di solidi semplici
o di piccole porzioni di territorio. Il dettaglio di cui ha bisogno il CAD non ne permette,
infatti, un agevole uso a livello di grande scala come può essere il territorio geografico.
Il GIS è uno strumento complesso in evoluzione esponenziale, in questo momento il GIS,
infatti, sta già evolvendo verso nuove funzionalità pratiche.
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La cartografia numerica o computerizzata è lo strumento di maggiore utilizzo


nell'ambito del GIS per la sua caratteristica principale che è quella di estrarre dei dati,
classificarli e rappresentarli in automatico a video, e quindi anche su carta, tramite dei
simboli grafici.
Gli elementi che differenziano la cartografia numerica da quella tradizionale disegnata,
riguardano solo marginalmente i metodi di produzione, che possono essere considerati
quasi uguali per entrambe; la differenza riguarda invece la natura dei due prodotti, e
cioè:
- la cartografia tradizionale disegnata consiste nella rappresentazione del territorio
mediante un disegno su un supporto cartaceo
- la cartografia numerica consiste in un insieme di dati numerici e alfanumerici
memorizzati, con un'opportuna struttura, su supporti elaborabili dal calcolatore
elettronico; su tali dati possono essere eseguiti elaborazioni mediante programmi di
calcolo e da essi possono essere ottenute visualizzazioni su videografici di computer o su
supporti cartacei per tracciamento automatico mediante plotter
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In termini pratici dov'è la differenza? Un rilievo sappiamo tutti come viene tradotto su
carta. Un rilievo alfanumerico, invece, prevede che i dati siano memorizzati tramite le
coordinate rilevate con un opportuno criterio su un supporto elaborabile dal calcolatore.
Cosa se ne fa l'utente di questi dati memorizzati? Per usarli deve avere un computer
dotato di video con funzionalità grafiche e sul quale sia installato un software in grado:
- di leggere il supporto magnetico dei dati nel formato col quale sono stati memorizzati
- di ricostruire sul video, in funzione di essi, un disegno del tipo di quello che il topografo
eseguiva tradizionalmente col montaggio del disegno nella costruzione della carta
disegnata
- di effettuare delle elaborazioni sulla cartografia numerica come selezioni, calcoli di
aree e distanze eccetera
- di produrre, tramite un plotter, un elaborato grafico che rappresenti la cartografia
numerica sotto la forma di carta disegnata
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La rappresentazione dei dati a video avviene secondo due formati essenziali: raster e
vettoriale. Per cercare di capire meglio i due concetti fondamentali della cartografica
numerica è prima necessario sapere che un'immagine, per essere tradotta su un
computer, deve essere rappresentata in forma digitale, cioè 0 o assenza dato e 1 o
presenza dato. Tale rappresentazione può essere portata a termine in vari modi.
La rappresentazione RASTER. Si tratta della forma più semplice dove ogni elemento
minimo, detto PIXEL, che costituisce l'immagine viene rappresentato separatamente. La
descrizione di un singolo pixel diventa, dunque, la descrizione del suo colore. Tutte le
immagini rappresentate in questo modo sono, dunque, chiamate immagini RASTER. Il
formato raster attraverso la ripetizione dei vari pixel permette di riprodurre fedelmente
qualsiasi documento e consente, pertanto, una visualizzazione delle mappe
perfettamente coincidente col prodotto di partenza, dove, a ogni pixel della mappa
corrispondono un numero di pixel della realtà, pari alla scala della cartografia
In pratica si tratta di una fotocopia in scala del prodotto originale.
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Tuttavia tale tipo di rappresentazione ha delle ovvie limitazioni, diminuendo, infatti, la


scala della mappa, al pixel sulla carta non corrisponde più il numero di pixel che
descrivono la realtà, ma questi si riducono, dovendo necessariamente essere più grandi
per comprendere lo stesso territorio preso in esame dal pixel medesimo. In questo
ingrandimento la rappresentazione della realtà diventa sempre meno definita sino a
mostrare i caratteristici quadretti che delimitano le linee quando si cerca di ingrandire
troppo delle immagini raster. Le immagini raster poi, essendo costruite pixel per pixel,
occupano un'eccessiva memoria e provocano dunque un rallentamento, a volte anche
notevole, dell'elaborazione dei dati.
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Le immagini vettoriali sono descritte da funzioni matematiche rappresentative delle


primitive geometriche quali il punto e la linea. Per descrivere una linea sarà sufficiente
indicare le coordinate cartesiane del punto d'inizio e fine della stessa e conoscere la
funzione, mentre nella rappresentazione raster era necessario descrivere ogni punto.
Per la definizione accurata dei colori, però, occorre sempre rifarsi al singolo pixel, sarà
pertanto necessario descrivere ogni segmento della linea avente lo stesso colore
indicandone le coordinate del punto d'inizio e di conclusione.
Clicca sul pulsante per approfondire la definizione dei colori in un'immagine vettoriale.
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Nel caso limite di una linea sfumata da un colore a un altro occorrerà ugualmente
indicare, come nel raster, le coordinate di tutti i punti che la rappresentano. Tuttavia, a
parte questo caso limite, nella grafica vettoriale riducendosi il numero dei dati da
trattare per rappresentare un'immagine, c'è un minore dispendio di memoria e una
maggiore velocità dei calcoli oltre a una definizione nitida a qualsiasi scala. Le immagini,
infatti, appaiono sullo schermo sulla base di una funzione e non di un singolo pixel,
ragione per la quale i dati da conservare sono soltanto le coordinate iniziali e finali della
curva da considerare e la funzione che la definisce, in luogo dei dati di tutti i punti che la
compongono.
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La cartografia è però, qualcosa di più della sola rappresentazione delle immagini, è


anche la traduzione simbolica del territorio su carta e per fare ciò è necessario un
abaco dei segni, destinati a definire lo spazio geografico, molto dettagliato ed esteso.
Per permettere questo agli inizi della tecnologia GIS gli investimenti della ricerca erano
essenzialmente destinati alla cartografia digitale e in minima parte allo sviluppo del
sistema informativo.
Oggi, grazie alla diffusione in rete e alla disponibilità crescente di cartografia numerica è
possibile allocare le risorse principalmente allo sviluppo del GIS. I database, la loro
teoria e il loro sviluppo sono parte integrante della tecnologia GIS.
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Un DATABASE è un insieme di dati strettamente correlati, memorizzati su un supporto


di memoria di massa, costituenti un tutt'uno, che possono essere manipolati, da più
programmi applicativi.
Un DATABASE MANAGEMENT SYSTEM è un sistema software per la gestione di basi dati
che si occupa dell'aggiornamento, della manutenzione e della consultazione di un
insieme di registrazioni contenute in un supporto di memoria di massa.
Clicca sul pulsante per scoprire quali sono i vantaggi di un programma di database.

L'utilizzo di un programma di database presenta i seguenti vantaggi:


 permette un uso friendly delle procedure di gestione di facile utilizzo all'utente,
rendendo trasparenti allo stesso tutti i dettagli fisici del programma;
 evita la programmazione per i compiti comuni posto che il programma incorpora una
serie di funzioni che consentono di svolgere operazioni senza la necessità di
conoscere un linguaggio di programmazione;
 riduce le ripetitività, basti pensare agli archivi cartacei delle biblioteche, in cui i
volumi sono ordinati per autori e per titoli;
 un database permette di relazionare dati tra loro, ciò che riduce di molto le
duplicazioni;
 riduce i costi perché sono prodotti standard, per questo risultano più economici di
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applicazioni su misura;
 garantisce un buon livello di sicurezza, soprattutto in ambienti multiutente.
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La gestione dei dati spaziali si attua attraverso metodologie estremamente diverse. Le


teorie sulle modalità gestione dei database prevedono, infatti, quattro sistemi
fondamentali:
- database gerarchico;
- database reticolare;
- database relazionale;
- database a oggetti.
Clicca sui pulsanti per approfondire
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La gestione dei record nei database di tipo gerarchico è organizzata secondo uno
schema ad albero. Ogni dato è collegato con un solo record di gerarchia superiore,
mentre a livello inferiore può essere collegato a uno o più record. Ogni accesso alla
banca dati parte dal punto più alto della gerarchia per ridiscendere ai rami più bassi o
viceversa, non è previsto invece il passaggio tra due rami in maniera orizzontale. Non
essendo previsti passaggi di quest'ultimo tipo le interrogazioni del database sono
piuttosto lente e, quindi, è poco adatto all'utilizzo nei GIS.
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Il modello reticolare si differenzia poco da quello gerarchico. Ogni record può essere
collegato anche a più di un elemento di livello superiore. Potremo, quindi, avere una
propagazione con più rami sia a livello superiore e sia inferiore conferendo, appunto,
una struttura al database simile a un reticolo.
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Il modello relazionale risulta essere più semplice, in quanto tutti i dati sono
rappresentati in tabelle composte da righe e colonne. Un database relazionale è, quindi,
un insieme di dati organizzati in una serie di tabelle formalmente descritta da dati che
può essere letta o riassemblata in molti modi diversi senza dover riorganizzare le
tabelle del database.
L'utente standard e l'applicazione del programma di un database relazionale è la
Structured Query Language (SQL). Le istruzioni SQL sono utilizzate sia per le query
(interrogazioni) interattive e sia per la raccolta di dati e di relazioni.
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Il database a oggetti riprende la stessa logica della programmazione a oggetti. Il data


base è costituito da più unità di archiviazione autosufficienti e al cui interno esiste una
logica di interrogazione e di archiviazione conclusa. Il vantaggio precipuo del data base a
oggetti è dato dalla possibilità di unire più oggetti di archiviazione in tempi successivi e
illimitatamente dove le modalità di aggregazione dei dati sono definite dalla
programmazione medesima. Lo svantaggio è che non è possibile avere una
standardizzazione presente, invece, nei database relazionali.
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Un database relazionale ha l'importante vantaggio di essere facile da estendere. Dopo la


creazione del database originale, infatti, una nuova categoria di dati può essere
aggiunta senza necessità che tutte le applicazioni precedenti siano modificate.
Il database è sostanzialmente composto di un insieme di tabelle contenenti dei record
detti anche semplicemente dati inseriti in categorie predefinite dette anche campi. Ogni
tabella contiene una o più categorie di campi espressi mediante colonne. Ogni riga
contiene un valore record per ogni categoria definita dalle colonne.
La rigorosità e semplicità di tale rappresentazione e la facilità di costruzione -e
modifica- hanno contribuito moltissimo ad una rapida adozione del modello relazionale
nell'ambito dei GIS.
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I VANTAGGI dei sistemi relazionali possono essere così riassunti:


- progettazione del data base basata su principi teorici di tipo matematico;
- rappresentazione dei dati cui possono essere ricondotte anche tutte le altre strutture
dei database;
- facilità di costruzione e impiego;
- nuove tabelle (relazioni) e nuove colonne (campi) possono essere aggiunte senza
difficoltà;
- operazioni di ricerca flessibili;
Lo SVANTAGGIO si ha nel caso in cui siano utilizzati molti legami di relazione dove si ha
un rallentamento delle operazioni d'interrogazione, tuttavia questo dipende anche dalle
capacità di memoria del computer e dalla velocità del processore.
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Notes:

L'analisi dei dati nell'ambito di un GIS avviene attraverso uno specifico software il quale
deve possedere la capacità di elaborare i problemi che s'intende analizzare e risolvere.
Il software deve essere idoneo a garantire:
- un agevolato inserimento dei dati nell'archivio;
- la strutturazione e memorizzazione delle informazioni;
- una facile consultazione e aggiornamento del database;
- una elaborazione e analisi dei dati in base ai problemi da risolvere;
- una facile visualizzazione dei dati in uscita.
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In definitiva il GIS deve essere provvisto di un software articolato in più moduli o, anche,
più software integrati tra loro che consentano di svolgere una serie di funzioni. Deve
essere altresì prevista la possibilità d'impiego dei linguaggi di programmazione per
ovviare a eventuali e specifiche situazioni non contemplate in fase di progettazione.
L'immissione dei dati nell'archivio deve avvenire, ovviamente, in formato digitale. Nel
caso in cui il dato disponibile non lo sia occorrerà, pertanto, procedere alla sua
digitalizzazione affinché possa essere catturato correttamente dal sistema.
Esistono svariate apparecchiature in grado di digitalizzare il dato in entrata; queste
possono essere delle semplici periferiche come, ad esempio, uno scanner o, anche,
dell'ulteriore software dedicato a questo scopo, come un interprete ottico del tipo OCR.
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La strutturazione e memorizzazione delle informazioni avviene attraverso un software


idoneo allo scopo dove gli attributi spaziali sono raccolti per mezzo di un database,
generalmente relazionale, e i dati geometrici mediante immagini o mappature in
formato vettoriale o anche raster. Per avere una facile consultazione e aggiornamento
del database occorre soddisfare una serie di funzioni specifiche:
- interrogazione del database;
- calcolo dei dati geometrici (distanze, aree, volumi) in maniera completamente
automatizzata;
- calcolo di parametri statistici;
- modifica interattiva dei dati geometrici e degli attributi.
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L'elaborazione e analisi dei dati disponibili si ottiene mediante tecniche di simulazione


tradotte in specifici algoritmi.
Nella visualizzazione finale il sistema deve garantire la possibilità di modificare i
parametri di rappresentazione e di sovrapporre i livelli informativi o fogli;
I dati in uscita devono essere esportabili nei formati di uso comune ed essere letti da un
plotter e, quindi, stampati su carta.
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L'analisi spaziale è l'aspetto distintivo che caratterizza un GIS rispetto a sistemi simili.
Questo tipo di analisi presuppone che i dati disponibili siano adeguatamente manipolati
e trasformati in maniera tale da essere applicati ai dati geografici aggiungendo valore
informativo a essi.
L'analisi spaziale viene definita anche geoprocessing ed è definibile, in pratica, come
quella serie di operazioni che consentono di automatizzare il GIS.
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Le operazioni base dell'analisi spaziale devono prevedere:


A) le interrogazioni dette tecnicamente query: sono le operazioni base dell'analisi
spaziale mediante le quali il GIS risponde alle domande poste dall'utente. Con
un'interrogazione non c'è modifica del database o produzione di nuovi record, ma
semplicemente la risposta a una domanda. Le interrogazioni possono variare da
richieste semplici a domande più complesse. Un'interrogazione può attuarsi attraverso
parecchi metodi:
- puntando un luogo sulla cartografia;
- digitando una frase;
- scegliendo tra varie opzioni disponibili in un menù o cliccando uno tra più bottoni;
- esprimendo una richiesta direttamente in linguaggio SQL;
B) le misurazioni: sono le operazioni che permettono di ottenere valori numerici
descrittivi delle proprietà e delle relazioni degli oggetti rappresentati nel database
spaziale, mediante l'utilizzo di unità di misura prestabilite;
C) le trasformazioni;
D) le ottimizzazioni;
E) le verifiche.
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Per costruire un buon GIS si può partire da programmi software presenti comunemente
sul mercato per apportarvi le opportune modifiche
adattate alla realtà oggetto di analisi in modo da ottimizzarne le capacità operative.
I GIS hanno molte caratteristiche in comune con tutte le tipologie di sistemi
georeferenziati, ma con l'aggiunta di alcune funzioni che permettono di compiere delle
operazioni analitiche. La capacità dei GIS ad analizzare dati spaziali è, pertanto, un
elemento chiave che consente di distinguerli dagli altri sistemi il cui scopo primario è,
invece, esclusivamente la produzione di mappe. In conclusione l'analisi spaziale e la
possibilità di sovrapporre più mappe sono le sole operazioni che consentono di
distinguere i GIS dagli altri sistemi.
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In questa unità abbiamo esaminato gli strumenti a disposizione del tecnico urbanistico
per descrivere sinteticamente il territorio. In particolare abbiamo analizzato gli
strumenti di sintesi, derivanti dalle moderne scienze informatiche.

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