Sei sulla pagina 1di 5

LEZIONE VI

Abbiamo visto un nuovo modo di concepire il crimine, un nuovo modo di approcciarsi allo studio
del delitto realizzando un passaggio da uno studio astratto e concreto – ad uno studio pratico.
Passaggio epocale che si è manifestato attraverso gli studi di ‘statistica morale’ = la analisi della
quantità di crimine che si produce in una Nazione per avere l’idea della Moralità della Nazione.
Questo studio è un Indice atto a misurare la entità morale di una Nazione.
Questo approccio contiene dentro/si occupa anche dell’analisi della incidenza dei fattori sociali sul
crimine (Venivano fuori, attraverso la statistica, le percentuali intorno alla tipologia di crimini
commessi dalle donna/dai ragazzini etc.. nelle diverse regioni d’Italia etc..).
Questo passaggio ha prodotto anche una nuova idea intorno al crimine e alla criminalità perché si è
scoperto che non tanto e non soltanto la povertà è la matrice del crimine (povero =essere
pericoloso) ma anche, soprattutto, IL DIVARIO/LA DISTANZA TRA LA POVERTA’ E LA
RICCHEZZA E’ SPINTA DELLA CRIMINALITA’, MAGGIORE E’ LA DISTANZA
MAGGIORE E’ LA CRIMINALITA’.
Si scopre, anche, che rispetto alla criminalità sia possibile descrivere/tratteggiare, attraverso i dati
statistici, un quadro oggettivo rispetto alla QUANTITA’ E QUALITA’ DEI DELITTI [si capisce
che come l’anno precedente anche nell’anno successivo ci sarà una certa tipologia di persone
(donne) che fanno un certo tipo di reati etc..]. Si scopre che c’è UNA CERTA STABILITA’ DI
QUANTITA’ E QUALITA’ DEL CRIMINE A CERTE PREMESSE DATE.
Quindi UNA COSTANZA DI TIPOLOGIA DELITTUOSA MA ANCHE UNA COSTANZA
DELLE CLASSI SOCIALI NEL CRIMINE. Si disegna un quadro fatto di dati oggettivi in grado di
dirci quali siano i livelli di criminalità= Ha un effetto dirompente  la scoperta, alla luce di ciò, di
poter prevedere cosa accadrà da qui ad un anno.
Tutto ciò ha un effetto dirompente perché=
Il delitto non è più letto come una esperienza del singolo, ma perché c’è un fenomeno di
carattere sociale ed ampio che ha ad oggetto il crimine e la criminalità  CRIMINE COME
FATTO CONNATURATO AD UNA CERTA STRUTTURA SOCIALE.
All’interno di questo ambito viene a collocarsi il pensiero di Emile Durkheim. Il suo lascito è
importante perché lui, sostanzialmente, scrive che ‘Il crimine costituisce un fatto generale di tutte
le società organizzate in un certo tipo’, quindi il crimine non è la anomalia della società, non è
un aspetto patologico della società, ma è un ‘fatto strutturalmente parte di una società fatta di
un certo tipo’. Quindi è evidente, dice Durkheim. ‘che il crimine è un fatto storicamente
normale’se fa strutturalmente parte di una società di un certo tipo.
Questo non significa volerlo giustificare dal punto di vista etico o morale, Durkheim voleva
semplicemente dire che il crimine è un fatto normale non in senso morale ma in senso storico, un
qualche cosa di ovvio e inevitabile, bisognerebbe darlo per scontato.
Posto in questi termini ‘Il crimine diviene anche inevitabile’, quasi come per dire ‘non vi
innamorate dell’idea che il crimine deve scomparire’ perché in un certo tipo di società, quella in cui
viveva Durkheim e molto simile a quello in cui viviamo oggi, è evidente la presenza di un tasso di
crimine. Se è inevitabile non si può sradicare. Questo significa che dobbiamo fare i conti con esso
(‘fa parte del prezzo del biglietto’ cit. Camilleri), sicuramente si deve fare in modo da ridurlo, da
renderlo meno violento.
Il delitto non è fatto straordinario ma fatto normale  e questo comporta una concezione
particolare sulla “pena”. Se la pena non è agganciata al singolo che delinque, la pena può
avere una funzione diversa che è quella della “coesione sociale”.
La pena, quindi, non è minacciata dal legislatore al soggetto che delinque per ottenere chissà quale
risultato, ma la pena è irrogata dal giudice per ristabilire la coesione sociale, a ristabilire da quel
momento di turbamento che suscita il reato nell’animo altrui. La pena serve non perché svolge un
ruolo utile nei confronti del reo (al delinquente non serve la coesione sociale, non interesse, perché
lui viola le leggi) , ma serve perché ci fa risentire protetti, è la risposta al turbamento creato
dal delitto.
Questa è davvero una novità perché che si possa ragionare in questi termini è davvero qualcosa di
innovativo per garantire un momento di coesione sociale che non ce l’ha chi delinque ma serve per
quelli che non delinquono per dare a loro un senso.

[Domanda: La pena è meramente simbolica quindi? E si però dovete fare attenzione perché
quando si parla di diritto penale simbolico si vuole dire un concetto diverso ovvero si vuole mettere
in luce un concetto populista del legislatore penale. Cioè ad esempio un aspetto di legislazione
simbolica è lo stalking in cui si parla sempre della donna vessata dall’uomo violento e allora si
pensa di risolvere il problema con una norma penale come se non ci fosse già il delitto di omicidio,
di maltrattamenti ecc. Quando si parla di diritto simbolico nella nostra materia si fa riferimento ad
un’idea precisa che non può essere detta come ha detto lei perché l’idea di Durkheim non è
un’idea simbolica nel senso della letteratura simbolica del diritto penalista. È un simbolo cioè la
pena come simbolo di un qualche cosa che serve alla comunità; E quindi? Arriviamo al paradosso
di Durkheim = LA PENA NON SERVE AL DELINQUENTE MA ALLE PERSONE ONESTE.
Ragionamento innovativo e diverso. (Ma cosi non finiamo per abbandonare il singolo che ha
commesso il delitto? Lasciando sempre indietro il delinquente? C’è questo rischio)

Domanda: volevo fare una domanda in merito alla pena che non serve al delinquente ma alle
persone oneste. In questo senso non si lascia ancora indietro il delinquente andando a vedere
che la pena serve più alla collettività?
Cioè non si declassa ancora di più il delinquente? sono pienamente d’accordo perché questa
interpretazione ha come ovvia conseguenza l’abbandono del singolo che ha commesso il delitto e
quindi un disinteresse rispetto ad una serie di leggi che invece potrebbero essere utili per noi
singolarmente. Certo vi è quindi questo rischio e bisogna fare attenzione. Non so se ha mai avuto a
che fare con i cavalli ma io penso che il modo migliore per descrivervi il sistema penale sia il
cavallo nel senso che il cavallo è sensibilissimo perché in natura è una preda ed in base alla sua
postura percepisce tutto quello che sta per accadere e quindi reagisce in maniera nervosa e fa
danni quando noi ci muoviamo in maniera sbagliata.
Allora il parlamento con il diritto penale dovrebbe comportarsi così come l’uomo con il cavallo
con grande attenzione e sensibilità invece si muove con gamba tesa e quindi il cavallo fa danni
assolutamente.]

Siamo nel periodo che va verso fine ottocento ed inizio novecento, accennato prima, è di grande
fermento culturale ed intellettuale perché iniziarono a coalizzarsi le prime associazioni di operai
anche se lo sciopero era un fatto assolutamente criminoso (il delitto di sciopero già nel codice
penale Sardo che poi era stato esteso in tutta Italia; incriminato nel codice Zanardelli e poi nel
Codice Rocco) e quindi gli operai dovevano restare in silenzio e lavorare e deve subire le condizioni
di lavoro. Il capitalismo ha quindi prodotto tantissimo benessere e ricchezza però questa grande
ricchezza è tributaria di un debito alla classe dei lavoratori e degli operai.

In questo periodo in cui Durkheim imperava, un magistrato francese Gabriel Tarde, studioso di
problemi sociali ed autore di scritti filosofici, intuì un aspetto che fino a quel momento non era stato
colto nella criminologia e nel crimine e che aveva ad oggetto ‘il passaggio, all’interno di una
società, dalla povertà alla ricchezza’. Secondo Tarde questo passaggio finiva per essere
causalmente, eziologicamente connessa alla criminalità. Questa transizione portava con sé due
aspetti molto importanti:
1) DISVALORE/VALORE DELLA IPERSTIMOLAZIONE DELLE ASPIRAZIONI (tipico
di questa fase di industrializzazione) = una fase in cui si scopre e si capisce che tutti, anche
quelli provenienti dalle fasce sfavorite della popolazione, possono avere successo. Era una
cosa grande perché la società veniva da secoli di ‘stabilità sociale’, la società era rigida,
iniqua ma sicuramente stabile (colui che nasce contadino, muore contadino). Quando arriva
l’industria, quando si affaccia il nuovo ceto sociale del proletariato e allora si arriva
all’Iperstimolazione delle aspirazioni, allora si può avere successo anche se si avevano delle
origini contadine perché si poteva realizzare un’industria e avere successo;
Altro lato della medaglia = colui che non ce la fa a cambiare è accecato da una
frustrazione
2) FRUSTRAZIONE DERIVANTE DALL’ALTRUI SUCCESSO: questa frustrazione porta a
delinquere. Se io vedo che caio, di origine contadine come me, riesce a diventare capo di
impresa e riscuote grande successo io mi sento inutile perché non sono riuscito a
realizzarmi come lui e magari continuo a condurre una vita poco dignitosa che non mi
permette neanche di poter fare regali. Allora che faccio? Delinquo. L’iperstimolazione se
non viene canalizzata fa quindi enormi danni. E allora se io non ho la possibilità di
raggiungere le mete elevate rispettando la legge cerco il modo di sottrarmi al dispiacere di
essere un fallito nel modello sociale;
Quando l’iperstimolazione non è canalizzata fa danni enormi, si inizia a delinquere.
Se tutto questo è vero raggiungiamo un risultato straordinario:
CAPIAMO CHE QUANTO PIU’ È RICCA E PROSPEROSA UNA SOCIETA’, QUANTO PIU’
CI METTE IN FACCIA L’OPULENZA, TANTO PIU’ AVREMMO CRIMINALITA’.
Quindi avremo l’equazione maggiore prosperità = maggiore criminalità;
non più maggiore povertà = maggiore criminalità.
Tutto questo irrompere della sociologia e della statistica portato sul piano astratto e sociale METTE
IN CRISI IL MODELLO IDEOLOGICO LIBERALE. Crisi nel senso greco del termine, lo pone
davanti alla necessità di una scelta decisiva, nel senso che il modello liberale non è più condivisibile
se le condizioni sociali comprimono fortemente il concetto di libero arbitrio.
[Domanda: L’ultima cosa che abbiamo detto è che il modello liberale non è più accoglibile se le
condizioni sociali comprimono fortemente il concetto di libero arbitrio. Non ho allora capito un
passaggio perché quel sistema sociale in cui anche il contadino può arrivare a determinate mete
di successo non esalta il concetto di libero arbitrio anziché comprimerlo? Lei dice che lo esalta
ma io direi che lo scatena ossia quel libero arbitrio che dice lei forse è un qualche cosa che viene
indotto nel senso che vedendo che ci si riesce allora si pensa che tutti possono provarci.
Probabilmente se io non avessi visto da quando la mia generazione sta sulla faccia della terra che
tutti quanti hanno servito il padrone, probabilmente non avrei pensato di mettere la mia industria,
la mia fabbrica. Però proprio per il fatto che vi è un’induzione a questo tipo di nuovo modus
operandi per cui non vi è più la segregazione nella propria classe anche l’induzione
verso questa nuova facoltà del singolo di elevarsi e di raggiungere posizioni migliori rispetto alla
nascita porta al concetto per cui “Ognuno può e quindi ognuno fa” non trova? Si certo, io le dico
che condivido il suo pensiero ma volevo far notare che se io do libero sfogo al mio libero arbitrio
in realtà sto sempre dentro ad una gabbietta cioè nel senso che comunque alla fine se faccio
industria è perché oggi si fa industria e tutti possono fare industria quindi faccio industria e se non
posso, non fa niente. Quindi comunque sto dentro una gabbietta e ricevo una spinta poi però allo
stesso tempo vi è una contraddizione perché lei dice “Si d’accordo, vi è una spinta, ma finalmente
mi sento libero di comportarmi come mi pare” e questo è vero ma è un come mi pare indotto,
quindi non nasce spontaneamente ma è indotto.
Domanda: Secondo lei se non ci fosse più quel sentimento di frustrazione, si potrebbe ridurre la
criminalità? Certamente, specie quando si adottano le politiche da stato sociale di diritto si riduce
la criminalità. Quando si investe sul territorio, la criminalità diminuisce mentre schizza se si
adottano politiche di stampo liberista].

Tutta questa struttura sociale, tutto questo modello, sottrae spazio all’idea della libertà del volere,
perché quella grande libertà non è altro che una libertà indotta. Da questa crisi si dimostra che le
azioni umane e non solo quelle criminose sono fortemente influenzate dai fattori sociali. Le
statistiche addirittura dimostravano che le azioni umane erano ineluttabilmente destinati a
perpetrarsi. Tutti questi fattori sociali determinano allora un momento di rottura con il passato, è
come se questa rottura avesse lasciato uno spazio libero vuoto che fu subito occupato dal
‘DETERMINISMO’.
Abbiamo Darwin, che studia l’evoluzionismo, questa idea che i più forti vanno avanti e i più deboli
periscono.
Poi c’è stato anche Morell che elabora un pensiero intorno all’idea di degenerazione dell’essere
umano. Questo pensiero ha influenzato tutta la psichiatria arrivando fino ad oggi. Questo Morell
attribuiva le cause del crimine ad una ‘degenerazione psichiatrica ereditaria’ cioè una forma di
malattia trasmissibile ereditariamente che portava via via ad una degenerazione di quel ceppo
familiare fino ad arrivare alla sua estinzione totale (potremmo dire una Teoria della evoluzione al
contrario, una teoria fatta per guardare alle persone che si estinguono).
Le conseguenze di questo “modello teorico” = l’idea terribile che dalla MALATTIA
PSICHIATRICA NON SI GUARISCE, NON SI CURA. Quello su cui il prof si vuole soffermare
non è tanto il concetto di cura psichiatrica ma di ‘cura della persona’. Bisogna vedere l’uomo e non
il malato. Morell vedeva solo la malattia. Per noi la malattia psichiatrica va sì curata sul piano
medico ma bisogna far in modo che la persona stia bene nonostante questa malattia, cioè se ci
prendiamo cura della vita della persona. Questo Morell non lo vedeva, anzi, la sua idea ha
determinato come conseguenza che generazioni di psichiatri, fino ancora ad oggi, hanno creduto
che dalla malattia non si guarisce non prendendo in considerazione che guarigione vuol dire
garantire il benessere della persona che ha le sue difficoltà, non eliminazione della malattia-
Questi modelli teorici sono stati l’archetipo delle teorie criminologiche = Cesare Lombroso.
Con le sue opere ha aperto gli studi della personalità del delinquente. Al centro del suo
ragionamento c’è la teoria del “delinquente nato”.
Lombroso aveva l’idea che “la delinquenza è innata”, cioè appartiene alle caratteristiche
biologiche della persona. “Caio è nato falsario. Ha anche gli occhiali tipici del falsario perché sta lì a
studiare come fare la banconota” . E’ il fondatore della ‘Scuola di antropologia criminale’. La sua
teoria più famosa è quella del “delinquente nato”, un soggetto individuabile sulla base delle sue
caratteristiche morfologiche.
Teoria dell’“Atavismo”: nella psicanalisi si studiano le varie fasi di crescita del bambino e via via
si forma la sua personalità. Secondo questa teoria il grado di sviluppo del criminale si fermava al
primo stadio di sviluppo della persona, una sorta di selvaggio, di soggetto primordiale.
Tutto questo modo di ragionare lo portò a distinguere ‘il maschio bianco (soggetto più elevato)
dalla donna” e alla obiezione che vi fu che la donna non compariva nelle statistiche sulla
delinquenza lui rispose ‘e certo perché lei fa la prostituta, e la prostituzione non è compreso come
delitto, se fosse compreso come delitto sarebbero molto più delinquenti.
Quest’idea del maschio bianco e delle razze colorate ha portato a ritenere Lombroso il precursore,
per quanto ebreo e socialista, fu considerato precursore delle teorie razziste e addirittura delle idee
nazionalsocialiste.
Il suo successore fu Enrico Ferri, che pur professandosi socialista, si legò a Mussolini tanto da
diventare senatore del Regno intorno al ’29.
Ci fu uno studioso Ghering che contestò a Lombroso di fare una ricerca infantile. Diceva : “Ma
come puoi pensare? Tu te ne vai al carcere, vai a misurare le persone e poi te ne esci che poiché
hai misurato il braccio agli assassini hai trovato queste fattezze fisiche allora tutti quelli che hanno
queste fattezze fisiche sono assassini”. Ghering prese queste misure e le andò a confrontare con dei
ragazzi di un college inglese e va lì e ritrova le stesse misure, in quei ragazzi che invece di
commettere stupri e omicidi, studiavano.
Nella fase più matura degli studi di Lombroso entra anche il ‘Determinismo Sociale’. Quindi il
determinismo biologico della prima fase lascia spazio a quello sociale, soprattutto grazie
all’influenza del suo allievo Ferri che è proiettato più su questo tipo di condizionamenti e non su
quelli biologici. Lombroso si avvicina ai crimini di criminalità bancaria, dicendo che era una
criminalità evoluta, ma arriva a mettere a fuoco le problematiche del determinismo sociale.
Lombroso stesso si affrettò a dire che il poveraccio va spedito in galera di più rispetto al ricco
possidente colto, e quindi mise anche lui a fuoco le problematiche del determinismo sociale.
Resta però sbilanciato sul determinismo biologico; Resta sbilanciato sull’idea che il criminale fosse
un diverso, un soggetto che deve essere o eliminato o rimesso a posto. Questo ha prodotto tutto un
filone di studi che ha spinto la comunità scientifica medica a “curare” il criminale attraverso
farmaci, tecniche di condizionamento della personalità, attraverso psicofarmaci ed interventi
chirurgici di carattere neurologico.
[Domanda: Mi chiedevo, a questo punto Lombroso è un contemporaneo a Sutherland che ha
determinato poi il tema dei colletti bianchi? No, è un predecessore perché Sutherland appartiene
alla scuola sociologica nord americana che si è sviluppata quando in Italia vi era il fascismo. Da
noi la sociologia non si è sviluppata durante il fascismo perché Mussolini non voleva che si facesse
una critica sociale e addirittura fu anche vietata, all’epoca, la cattedra di criminologia. Tenga
presente che intorno alla fine dell’Ottocento noi avevamo un altro studioso che si occupava della
criminalità dei ricchi che si chiamava Rodolfo Laschi ma anche questo è precedente a
Sutherland.]

Potrebbero piacerti anche