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Psicologia dello sviluppo e

dell'educazione
Psicologia Dello Sviluppo
Università degli Studi di Catania
74 pag.

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1. LO SVILUPPO MOTORIO

Il movimento è causa ed effetto di cambiamenti cognitivi, percettivi e sociali e ha il grande vantaggio


metodologico di essere oggetto di studio direttamente osservabile e misurabile.
I comportamenti motori implicano un controllo adattivo che coinvolge il binomio corpo-ambiente attraverso
elaborati processi di percezione, di apprendimento, di decision making e di interazione sociale.

Le pratiche educative messe in atto dai caregiver possono facilitare o limitare lo sviluppo motorio.

- L’esame della letteratura consente di individuare tre macroapprocci teorici: maturativo, cognitivo ed
ecologico. Questi tre approcci riprendono le tre età metaforiche che, secondo Thelen, caratterizzano lo
sviluppo motorio:

1. Età dell’oro → periodo fecondo e ricco di studi


2. Età dormiente → riduzione d’interesse da parte degli psicologi dello sviluppo:
3. Età della rinascita → rinnovato interesse

- (Thomas) Approccio dell’elaborazione delle informazioni →l’esecuzione di un atto motorio viene


spiegata come un processo di risoluzione di problema caratterizzato da una sequenza coordinata di movimenti
finalizzati al raggiungimento di un obiettivo. Tale processo implica tre fasi: elaborazione di input sensoriali,
pianificazione dell’azione, opportuna selezione di strategie motorie ed esecuzione motoria finale.

I Gibson evidenziano l’importanza della diade percezione-azione e analizzano la capacità del bambino di
estrapolare informazioni attraverso l’esplorazione delle caratteristiche dell’ambiente (affordance) e di utilizzare
tali informazioni per organizzare la propria azione motoria.
- La teoria dei sistemi dinamici → analizza lo sviluppo delle abilità motorie all’interno di un processo che
coinvolge fattori neurali per il controllo dei muscoli, fattori fisici e biomeccanici quali cambiamenti nelle
proporzioni delle diverse parti del corpo. (es. il riflesso di marcia automatica scompare quando la forza
muscolare delle gambe non è in grado di sostenere il peso del corpo per il progressivo accumulo di grasso
sottocutaneo. Tale comportamento permane in un ambiente acquatico → differenze di tali comportamenti
vanno ricondotto alla relazione tra fattori centrati sull’individuo e sull’ambiente.
- Alle tre età individuate da Thelen, alla luce degli studi attuali aggiungeremmo una quarta età
corrispondente alla realizzazione di un approccio multidisciplinare (applica i risultati di ricerche di kinesiologia,
anatomia, neuroscienze e scienze dello sviluppo dell’ambito educativo).

Tale contributo si manifesta nello studio dell’influenza delle capacità motorie sullo sviluppo delle funzioni
esecutive → sempre più apprezzati i benefici dello svolgimento regolare di attività motorie o sportive sulle
prestazioni in compiti di memoria di lavoro, pianificazione ecc.

Le ragioni di questa relazione sono di varia natura:


- Spiegazioni di natura fisiologica → le attività motorie incrementano la densità dei capillari (angiogenesi)
e dunque favoriscono l’aumento del volume e della velocità del flusso sanguigno cerebrale con relativa
ossigenazione delle aree cerebrali prefrontali, aumentano inoltre il rilascio di neurotrasmettitori cerebrali
(norepinefina\noradrenalina) che sono rilevanti per le funzioni esecutive.

- Spiegazioni di natura psicologica → azione positiva sulla dimensione emotivo-motivazionale:


partecipare alle attività sportive stimola emozioni positive di gioia, orgoglio e soddisfazione.

Queste emozioni, insieme all’opportunità di confrontarsi con i coetanei, migliorano la percezione della propria
competenza fisica\motoria, con il conseguente innalzamento del livello di autostima.

Inoltre, le attività svolte all’interno del contesto di squadra sportiva, avviano scambi sociali che consentono di
sperimentare esperienze di cooperazione nel rispetto di regole comuni.
1.2 LE COMPONENTI DEL MOVIMENTO

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Lo sviluppo motorio rappresenta l’insieme dei cambiamenti nei comportamenti motori e nei sottostanti processi,
che si realizzano dalla nascita, ancora prima della vita intrauterina, sino alla senescenza.

Comportamenti dapprima regolati dai centri sottocorticali, ad esempio i riflessi primitivi, vengono sostituiti da
comportamenti controllati da strutture corticali.

Le componenti del movimento si articolano prevalentemente in schemi motori di base, schemi posturali e
capacità motorie.
Gli schemi motori e gli schemi posturali si sviluppano per primi e sono fondamentali per l’acquisizione delle
successive componenti motorie.

- Gli schemi motori → caratterizzati da dinamicità e si sviluppano nelle tre dimensioni dello spazio
(lunghezza, larghezza, altezza) e nella dimensione del tempo.
Sono: camminare\correre\saltare\arrampiacare\lanciare.

- Gli schemi posturali → possono essere statici o dinamici e si sviluppano nelle tre dimensioni dello
spazio.
Sono: flettere\spingere\piegare\inclinare\ruotare.

Le capacità motorie rappresentano le caratteristiche motorie, fisiche o sportive che consentono all’individuo
l’apprendimento e l’esecuzione delle azioni motorie. Comprendono:

- Le capacità senso-percettive → riguardano il rapporto tra il corpo e il mondo esterno e la relativa


percezione di tale rapporto attraverso il trasferimento di informazioni che provengono dall’ambiente esterno,
fornite dagli analizzatori cinestetici, tattili, visivi, uditivi.
- Le capacità condizionali → riguardano i processi di produzione, trasporto e utilizzo dell’energia
necessaria per il movimento e si articolano in tre sistemi: capacità di forza, velocità e resistenza.
- Le capacità coordinative → sovrintendono ai processi di controllo e di regolazione dei movimenti
grossolani e fini in modo rapido, fluido e finalizzato. (movimenti grossolani richiedono azione di un’ampia
muscolatura come ad esempio lo spostamento del corpo nello spazio. I movimenti fini coinvolgono gruppi
muscolari circoscritti quali mano e dita).

Le capacità coordinative sono dunque capacità di apprendimento motorio, orientamento nello spazio, ritmo,
equilibrio.
- Le capacità di mobilità articolare → consentono l’esecuzione di movimenti con un buon livello di fluidità
e grande ampiezza.

1.3 LE FASI DELLO SVILUPPO MOTORIO

Lo sviluppo delle diverse componenti del movimento si realizza come un’evoluzione progressiva e cumulativa
nel corso dell’intero ciclo di vita, al fine di acquisire la padronanza di movimenti abili, caratterizzati sia da
efficienza fisiologica e psicologica, sia di adattabilità, ossia la capacità di modificarsi al variare delle condizioni
ambientali.

Questa evoluzione trova una spiegazione nella metafora della scalata della montagna che Clark e Metcalfe
adottano per rivisitare i sei periodi di sviluppo motorio nel percorso evolutivo.

L’individuo si pone l’obiettivo dell’autonomia e intraprende un percorso, non sempre lineare, segnato da tappe,
che si adatta o riorganizza in base agli eventuali imprevisti. Questa scalata si intraprende a partire dal terzo
mese di gestazione ed è influenzato dalle condizioni di vita e le condizioni dell’ambiente in cui vivono i genitori,
capaci di influenzare le primissime fasi di vita.

La vera e propria scalata è connotata da sei tappe fondamentali:

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1. Il periodo dei riflessi → va dal 3 mese di gestazione fino a 2 settimane dopo la nascita.
Obiettivo: adattarsi al passaggio dall’ambiente intrauterino a quello extrauterino per consentire la
sopravvivenza autonoma assolvendo funzioni di base come la suzione e la nutrizione (per esempio riflesso di
suzione) o la protezione (per esempio riflesso di Moro).

2. Il periodo dei movimenti preadattati → si protrae fino ai 9-12 mesi caratterizzato dalla comparsa dei
movimenti volontari.
Obiettivo: raggiungere l’indipendenza sia per nutrirsi autonomamente sia per muoversi nell’ambiente
conquistando la posizione eretta e la capacità di locomozione.

3. Il periodo degli schemi di base → si prolunga fino a 7 anni circa.

Obiettivo: a partire dagli schemi di locomozione e manipolazione già padroneggiati, costruire un repertorio
diversificato che consenta di apprendere azioni motorie in grado di adattarsi ai diversi contesti.
In virtù del livello di stimolazione ambientale e delle diversificate esperienze, iniziano ad emergere le differenze
individuali.

4. Il periodo dei movimenti contesto-specifici → va fino all’inizio della pubertà.

Obiettivo: adattare gli schemi motori di base a una molteplicità di situazioni. Caratterizzato da una maggiore
individualizzazione nelle prestazioni motorie, frutto del peso di fattori familiari, sociali e culturali.

5. Il periodo dei movimenti abili → ha inizio con l’età puberale (11-13 anni).

Obiettivo: pervenire a comportamenti motori efficienti caratterizzati dall’abilità di usare strategie adeguate allo
scopo di massimizzare la prestazione motoria riducendo lo sforzo fisico.

Caratterizzato da incremento di forza, cambiamenti nella sfera cognitivo-emozionale.


6. Periodo di compensazione → caratterizzato dalla capacità del sistema di riorganizzarsi in modo
adattivo quando insorgono cambiamenti associati ai processi di invecchiamento o causati da un danno al
sistema (es. disabilità).

1.4 LO SVILUPPO MOTORIO 0-2 ANNI

Il bambino, attraverso il movimento, impara a conoscere il proprio corpo, a interagire con l’ambiente che lo
circonda, a strutturare gli schemi motori di base, a realizzare le proprie capacità espressivo-comunicative.

Il neonato presenta un repertorio di riflessi ovvero risposte involontarie a specifici stimoli esterni, di cui alcuni
sono in continuità con azioni involontarie compiute durante la vita gestazionale, ad esempio il riflesso di
suzione; altri sono destinati a scomparire e ripresentarsi in forme più evolute, ad esempio il riflesso di marcia
automatica che scompare dopo il 3 mese e ricompare intorno al compimento del I anno di vita.

I primi due anni di vita sono connotati da abilità che rappresentano pietre miliari nell’acquisizione di
competenze sia di:

- motricità grossolana → controllo della postura, capacità di transizione dalla posizione seduta a quella
eretta, locomozione
- sia di motricità fine, quali prensione e manipolazione di oggetti.

Tale sviluppo è regolato dalla legge della progressione cefalo-caudale (anticipazione cronologica del controllo
della testa e del tronco sul controllo degli arti) e della progressione prossimo-distale (anticipato sviluppo dei
movimenti delle parti prossimali degli arti rispetto alle parti distali).

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Ad esempio, la comparsa dei movimenti di manipolazione segue una evoluzione segnata da tentativi iniziali di
raggiungere e afferrare un oggetto con prensione palmare (con un basso livello di coordinazione) fino a
movimenti controllati di prensione a pinza, acquisiti grazie al controllo della postura.

1.5 LO SVILUPPO MOTORIO 3-5 ANNI

Il periodo che coincide con la frequenza della scuola dell’infanzia si caratterizza per l’affinamento delle
competenze di motricità grossolana e fine, in concomitanza a cambiamenti fisici e corporei.

Abilità sempre più varie, complesse e sofisticate si affiancano e perfezionano quelle raggiunte nell’età
precedente.

I ritmi di sviluppo possono variare da un bambino all’altro. Tale variabilità interindividuale tende ad accentuarsi
al crescere dell’età per fattori relativi allo sviluppo percettivo, cognitivo e sociale e anche per fattori legati alle
pratiche educative.

Ad esempio, prestazioni in compiti di costruzioni, copiato di disegni, e disegno di una figura sono predittori del
successivo rendimento scolastico in prove di matematica, lettura di parole, comprensione della lettura,
vocabolario e consapevolezza fonologica. Per quanto riguarda le pratiche educative di alfabetizzazione
motoria, in età prescolare si possono strutturare giochi di movimento, percorsi e circuiti per allenare la capacità
di adattamento motorio (es. la capacità di resistenza, oltre che con circuiti, può essere migliorata con staffette
che richiedono impegno).

1.6 LO SVILUPPO MOTORIO IN ETA’ SCOLARE

Successivamente alla stabilizzazione del repertorio degli schemi motori di base, il bambino comincia ad
applicare e adattare tali schemi a una sempre più ampia molteplicità di compiti e contesti ambientali.

Gli schemi motori di base rappresentano quel set di abilità legate alla capacità di locomozione e controllo degli
oggetti, che cominciano a essere appresi durante la prima infanzia.

Gli schemi motori rappresentano la base e i prerequisiti delle capacità motorie mature che permeano la vita di
ogni individuo e sono funzionali all’autonomia della persona e alla strutturazione dell’immagine di sé.

La competenza motoria sin da quest’età contribuisce al processo di strutturazione di componenti della


personalità, che avranno un peso peculiare in età adolescenziale, riguardanti l’autostima e l’immagine
corporea.

Studi recenti hanno dimostrato gli effetti positivi di buone competenze motorie sulle abilità scolastiche di lettura,
scrittura e calcolo attraverso l’azione su variabili cognitive intermedie come l’attenzione, la concentrazione, la
pianificazione e la memoria di lavoro.

E’ proprio in questo periodo che si registra una maggiore frequenza di richieste di valutazione da parte di
genitori per il sospetto di disturbo della coordinazione motoria (DCD) → insieme di disturbi del neurosviluppo
caratterizzati da goffaggine, lentezza e imprecisione nello svolgimento delle attività motorie che interferiscono
con la vita quotidiana e le attività scolastiche.

1.7 LO SVILUPPO MOTORIO IN ETA’ ADOLESCENZIALE

Il passaggio dall’infanzia alla preadolscenza prima e all’adolescenza poi. rappresenta un’importante svolta
evolutiva segnata da radicali cambiamenti fisici e significative conquiste sul piano intellettivo e sociale.

Lo sviluppo motorio è legato alla realizzazione di una serie di compiti evolutivi connessi alla crescita fisica, alla
maturazione sessuale e all’identità corporea, fondamentali per la transizione dallo status di bambino a quello di
adulto.

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Tali compiti riguardano la conoscenza e l’accettazione di un corpo nuovo, la gestione, anche sociale, del
proprio ruolo maschile o femminile e il raggiungimento dell’autonomia.

Cominciano a evidenziarsi dapprima lievi cambiamenti corporei, cui seguono cambiamenti più rapidi, a volte
poco armoniosi, che segnano, da una parte:

- il cosiddetto scatto di crescita, dato dall’aumento di peso e altezza;


- dall’altro, la completa maturazione sessuale con il pieno sviluppo dei caratteri sessuali primari,
funzionali alla riproduzione;
- secondari (sviluppo del seno e comparsa della barba)

Questi cambiamenti hanno ritmi diversi in funzione del genere:


- ragazze: altezza 15/16 anni.
Rischi: difficoltà emotive, disturbi alimentari.
- ragazzi: altezza fino ai 19 anni.
Rischi legati a una maturazione precoce o tardiva: condotte antisociali, disturbi alimentari.

Sviluppo motorio e della personalità → L’accrescimento fisico ha un peso cruciale sullo sviluppo della
personalità in quanto influenza la progressiva organizzazione del concetto di sé e il livello di autostima.

Il continuo processo di elaborazione dell’aspetto fisico da parte dell’adolescente è fondato sia su una maggiore
capacità di introspezione, sia sul continuo confronto con il gruppo dei pari.

L’immagine corporea assume un significato fondamentale nella vita dell’adolescente, al punto di essere spesso
fonte di preoccupazione che genera vissuti di inadeguatezza e inferiorità.

La distorsione dell’immagine corporea, in associazione con un anomalo rapporto con il cibo, può essere
all’origine di disturbi del comportamento alimentare o vigoressia, sia nelle femmine che nei maschi, laddove si
inserisca un quadro di predisposizione biologica.

1.8 LO SVILUPPO MOTORIO IN ETA’ ADULTA E SENESCENZA


Il decremento motorio è spiegato da cambiamenti :
- sia nelle strutture periferiche → quali recettori sensoriali, muscoli, nervi periferici;
- sia nelle strutture centrali a causa di mutamenti strutturali → riduzione di materia bianca e riduzione del
volume della materia grigia.

Inibizioni nel controllo motorio in età senile si associano a cambiamenti nel funzionamento sia sensoriale
(sistema uditivo e visivo) sia cognitivo (memoria).
E’ opportuno fare una distinzione tra le due componenti della competenza motoria:

prestazione motoria e apprendimento motorio.

- Prestazione motoria → tendenza caratterizzata da peggioramenti genericamente dati da maggiore lentezza e


minore accuratezza nell’esecuzione dei movimenti. Difficoltà di coordinazione e di elaborazione visuo-motoria
influenzano negativamente lo svolgimento delle attività della vita quotidiana, così come deficit nell’equilibrio e
nell’andatura sono causa di ferite o cadute.
-Apprendimento motorio → la capacità di apprendimento di compiti motori, invece, in età senile non registrano
decrementi

Recentemente, sempre maggiore attenzione viene rivolta alle misure per migliorare anche in età senile il
benessere e la qualità della vita attraverso l’implementazione di programmi di attività motoria adattata →
programmi finalizzati alla prevenzione del rischio di cadute, incremento della forza muscolare, miglioramento di
equilibrio.

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2.LO SVILUPPO DELLE EMOZIONI E DELLA COMPETENZA SOCIOEMOTIVA

A partire dalla rivoluzione cognitiva avviata negli anni Sessanta del secolo scorso, lo studio delle emozioni è
divenuto oggetto di ricerca scientifica al pari di altre funzioni psicologiche, come la memoria, il linguaggio o il
ragionamento.

Emozione = processo multi- componenziale che coinvolge principalmente la valutazione cognitiva degli eventi,
l’attivazione neurofisiologica e l’espressività.

2.1 LO SVILUPPO EMOTIVO

Nell’affrontare lo studio delle emozioni nei bambini il ricercatore s’imbatte in numerosi problemi metodologici.

Qui sotto verranno elencate le prospettive teoriche più accreditate circa lo sviluppo emotivo.

2.1.1 La teoria differenziale

Tale teoria è sostenuta principalmente da Izard che afferma l’esistenza di un certo numero di emozioni innate e
universali detto :

- set di emozioni primarie e di base → paura, collera, gioia, tristezza e disgusto.


Queste emozioni emergono strutturate come totalità, sulla base di un programma innato e universale.
Inoltre, fin dalla nascita, le espressioni facciali costituiscono dirette e attendibili manifestazioni delle esperienze
emotive in corso.
La concordanza espressione/esperienza emotiva garantisce l’effettiva comunicazione sociale da parte del
bambino anche nella fase di sviluppo preverbale.

- Le emozioni non di base, dette complesse o secondarie, includono un elevato numero di stati
emotivi→ vergogna, la colpa, l’imbarazzo, l’odio e si presentano in relazione all’emergere della consapevolezza
di Sé, quindi solo a partire dalla fine del primo anno di vita.

Nel corso del I anno di vita, Izard individua:

1. Primo livello di sviluppo emotivo (0-2 mesi) detta esperienza sensorio-affettiva → presenza di emozioni
come il disgusto, lo sconforto e l’interesse, con cui comunica i propri bisogni.

2. Esperienza percettivo-affettiva (3-9 mesi) → il bambino è in grado di esplorare l’ambiente e compaiono


la collera, la tristezza e la paura.
3. Esperienza cognitivo-affettiva (9-24 mesi) → nel corso del secondo anno di vita compaiono emozioni
complesse come la colpa, la vergogna, la timidezza che attestano il crescere della consapevolezza di Sé.

L’approccio teorico differenziale trova oggi riscontro nel campo delle neuroscienze affettive, che studiano i
meccanismi neurali delle emozioni condividendo l’assunto dell’esistenza di emozioni innate di base.
Tuttavia, secondo alcuni studiosi, i punti deboli di tale teoria sono rappresentati dall’affermazione del primato
del piano emotivo su quello cognitivo.

2.2 Teoria della differenziazione

Tale teoria è rappresentata da Sroufe. Egli ritiene che alla nascita sarebbe possibile distinguere uno stato di
maggiore o minore eccitazione generalizzata che si differenzierebbe in stati di sconforto e di piacere.

Nel processo di differenziazione, che porta alle emozioni vere e proprie, sarebbero coinvolti i sistemi :

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- piacere\gioia → nei primi 2 mesi di vita il piccolo produce un sorriso endogeno, che è funzione di
eventi interni, segnala una condizione di benessere. Solo a partire dai 3 mesi per l’autore si può parlare di
piacere in relazione alla comparsa del sorriso sociale, mentre la vera e propria emozione differenziata di gioia
emerge dal quarto mese.
8 mesi → sorriso, riso e gioia sono sempre più determinanti dal significato che l’evento assume per il bambino.
- circospezione\paura → nel periodo neonatale si osserva in alcune circostanze un incremento dello
stato di attivazione fisiologica che è il precursore della paura vera e propria, destinata a comparire intorno ai 7
mesi.
- frustrazione\rabbia → ha a che fare con situazioni di impedimento della motricità e di costrizione
fisica. Dopo i 6 mesi compare la rabbia vera e propria.

2.3 Approccio funzionalista

Tale approccio sottolinea la natura funzionale delle emozioni nella regolazione delle interazioni individuo-
ambiente.
In particolare:

- la funzione biologica ha a che fare con la sopravvivenza degli individui (es. disagio psicologico si
accompagna al pianto che produce attenzioni del caregiver);
- La funzione comunicativa → tale funzione è stata approfondita studiando il fenomeno del riferimento
sociale (attraverso l’osservazione dell’espressione facciale materna, il bambino, in situazioni di pericolo, mostra
tale espressione).
- Funzione di informare circa il raggiungimento di scopi e desideri in precise situazioni
contestuali → il contesto è fondamentale per dare significato a esperienze ed espressioni emotive (lo stesso
evento-stimolo può produrre emozioni diverse a seconda del contesto particolare e degli scopi del bambino in
un certo momento).

2.4 LO SVILUPPO DELLA COMPETENZA SOCIOEMOTIVA

L’attenzione degli studiosi si è poi spostata sul ruolo o funzione che le esperienze emotive assumono nella vita
quotidiana.
Questa centratura ha caratterizzato sia la ricerca sociologica con l’enfasi sul concetto di “cultura emotiva”, sia
gli studi psicologici finalizzati alla misurazione del cosiddetto “quoziente emotivo” o intelligenza emotiva.
La competenza emotiva è costituita da un insieme di abilità necessarie per essere efficaci in particolare nelle
transazioni sociali che producono emozioni e in cui gli eventi assumono significato. Saarni approfondisce 8
abilità:
- consapevolezza del proprio stato emotivo
- capacità di riconoscere le emozioni degli altri
- abilità di usare il lessico emotivo
- capacità di coinvolgimento empatico
- simpatia nelle esperienze altrui

Le varie abilità del costrutto sono state ricondotte a tre macroaree o dimensioni:

- l’espressione delle emozioni.


L’espressione emotiva è la manifestazione esterna delle emozioni che si realizza attraverso i canali della
comunicazione non verbale e verbale.
- la regolazione delle emozioni
La regolazione emotiva concerne i processi estrinseci e intrinseci coinvolti nel monitoraggio, valutazione e
modifica delle reazioni emotive rispetto ai parametri di intensità e durata.
- conoscenza o comprensione delle emozioni
La comprensione delle emozioni riguarda la conoscenza della natura delle emozioni, delle cause che le
provocano e delle strategie che si possono utilizzare per regolarle.

2.5 Lo sviluppo dell’espressione delle emozioni

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L’espressione delle emozioni avviene attraverso diversi canali comunicativi e precisi segnali dapprima non
verbali e dal secondo anno di vita anche verbali.

Nella comunicazione emotiva, particolarmente importanti risultano essere il volto, lo sguardo, i gesti, i
movimenti corporei, la voce e il contatto, approfonditi da autori del filone di ricerca sull’intersoggettività (Thelen,
Fogel) e che hanno individuato le principali fasi di sviluppo dell’espressività emotiva-

1. Prima fase → risposte presenti fin dalla nascita e fondamentali per la sopravvivenza del neonato che
sono di tipo riflesso e regolate da processi biologici: reazione alla sollecitazione gustativa, ai forti rumori ecc.

Per quanto riguarda le emozioni, si parla della comparsa del sorriso endogeno o automatico che si presenta in
assenza di stimoli esterni.
2. Seconda fase → si situa intorno ai 2 mesi e si protrae per tutto il primo anno di vita del bambino.
Compaiono comportamenti espressivi inizialmente non intenzionali che divengono sempre più intenzionali e
funzionali allo sviluppo psicologico del piccolo. Il particolare scambio di tipo protoconversazionale tra bambino
e caregiver è un vero e proprio dialogo emotivo che si instaura dal secondo mese di vita. In questo periodo
compaiono il sorriso sociale, attivato dal volto umano proteso verso il bambino e dalla voce umana
caratterizzata da toni alti, la sorpresa, la rabbia.In questo periodo si verifica per Izard la comparsa della
vergogna.

3. Terza fase → si colloca a partire dal 2° anno di vita fino a circa i 3 anni.

Compaiono le espressioni di emozioni dette sociali o complesse come la vergogna, l’imbarazzo e la colpa.
A partire dai 15 mesi → manifestazione visiva del disprezzo, e all’espressione di emozioni miste. Negli anni
successivi, l’espressione delle emozioni può essere controllata e modificata volontariamente.

Spesso questa modificazione avviene per adeguarsi alle aspettative e agli standard culturali di riferimento,
vengono definite “regole di esibizione” consentendo al soggetto di apparire adeguato al contesto sotto il profilo
emotivo, accentuando, attenuando, neutralizzando o simulando la manifestazione emotiva.

A 2 anni i bambini sono in grado di mascherare i pattern espressivi facciali, tuttavia, a 6 anni, i bambini
mostrano ancora difficoltà nel celare i sentimenti reali e nel modulare l’espressione dei vari stati emotivi in
funzione delle circostanze sociali, un’abilità che continua a svilupparsi in età scolare.

2.6 Lo sviluppo della regolazione delle emozioni

Le regolazione delle emozioni si configura come l’insieme dei processi coinvolti nel monitoraggio, valutazione e
modifica delle risposte emotive.
Grazie a questi processi, gli individui possono attingere alle risorse in loro possesso per far fronte alle svariate
situazioni ambientali nel modo più efficace possibile.

Tronick, a metà degli anni Settanta ha messo a punto un paradigma sperimentale chiamato still face
paradigm per osservare, in condizioni controllate, l’interazione tra madre e bambino.

A partire da 2 mesi i bambini mostrano uno stato di confusione, sconcerto e disagio dovuto al fatto di non
riuscire a provocare nella madre la consueta reazione, quando questa assume l’espressione del “volto
immobile”. I comportamenti del bambino nel ridurre il proprio disagio possono essere:

- eterodiretti → ricerca dello sguardo\vocalizzazioni\mimica facciale\agitazione motoria


- autodiretti → distoglimento dello sguardo\ succhiamento del corpo e oggetti.

Nell’interazione, madre e bambino danno luogo a un sistema diadico di mutua regolazione: se la regolazione
materna viene meno, il bambino modifica immediatamente le sue modalità comunicative.

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Come per l’espressione, anche per la regolazione emotiva è possibile individuare alcune fasi principali del
processo evolutivo:

1. 0-1 anno→ il ruolo esterno dell’adulto è fondamentale per fare un significato alle esperienze del
bambino. Molto presto si osservano condotte autoregolatorie, come la suzione del pollice per calmarsi o il
distogliere lo sguardo da uno stimolo molto eccitante. Tali condotte nel corso del primo anno di vita acquistano
un carattere di maggiore intenzionalità.
2. 1-3 anni → periodo molto importante per l’acquisizione delle competenze motorie, cognitive,
linguistiche ed emotivo-affettive. Il bambino, infatti, inizia ad esplorare l’ambiente, a comunicare anche
verbalmente.
3. 3-5 anni → fase di incremento delle capacità linguistiche e cognitive, di sviluppo della Teoria della
Mente ovvero di abilità nell’assumere la prospettiva dell’altro che viene riconosciuto come persona dotata di un
mondo interno costituito da pensieri, credenze, emozioni.
In questo periodo è in grado di gestire le proprie emozioni durante il gioco e di alleviare la tristezza dei
compagni con atteggiamenti consolatori.
4. 5-6 anni → abilità di autoregolazione si accrescono.
Il bambino utilizza varie strategie di regolazione emotiva grazie al crescere della comprensione emotiva.
Tra i 6 e i 10 anni l’uso di strategie cognitive e di meccanismi di difesa nell’autoregolazione diviene più
marcato, consentendo un buon adattamento alle situazioni d’interazione con gli adulti e con i pari.
5. Preadolescenza → esperienze emotive, anche in relazione allo sviluppo ormonale e neurologico, si
fanno particolarmente intense.

2.6 Lo sviluppo della comprensione delle emozioni

Lo sviluppo della comprensione emotiva è stata studiata soprattutto da Denham e Harris.

Denham ha mostrato come bambini di due\tre anni sappiano affrontare sia compiti in cui viene chiesto di
nominare le emozioni di base osservando le espressioni facciali sia prove di riconoscimento dell’espressione
emozionale a partire dall’etichettamento verbale.

Harris e collaboratori hanno indagato 9 componenti che riguardano la comprensione dei seguenti aspetti:
espressione facciale, influenza dei ricordi, ruolo dei desideri ecc.

Essi hanno proposto un modello di sviluppo della comprensione delle emozioni, che copre la fascia d’età 3-11
anni, costituito da tre principali livelli: esterno, riflessivo, mentale che racchiudono le 9 componenti.

- Livello esterno → raggiunto dai bambini tra i 3 e i 5 anni


- Livello mentale → 5\6 e gli 8 anni circa
- Livello riflessivo → 10\11 anni

Gli studiosi si sono chiesti quali siano le cause dei diversi ritmi evolutivo nello sviluppo della comprensione
delle emozioni, individuandoli primariamente nei processi di socializzazione emotiva.

3. LA SOCIALIZZAZIONE EMOTIVA

I primi studi sulla socializzazione emotiva risalgono agli inizi degli anni 80 allorché è stato posto l’accento sulle
strategie messe in atto dagli adulti che interagiscono con il bambino per promuoverne la competenza emotiva,
in accordo con le norme del gruppo sociale e culturale di riferimento.

La ricerca in questo ambito si è focalizzata:


- sui contenuti che vengono socializzati → etichettamento verbale delle emozioni, riconoscimento negli
altri e in sé stessi di vissuti emotivi ecc..

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- Processi di insegnamento-apprendimento

Ha riguardato inoltre :
- la socializzazione emotiva genitoriale, mettendo a fuoco il contesto familiare;
- contesto culturale → approfondendo le pratiche di socializzazione più diffuse nelle diverse culture;
- modalità socializzanti che si realizzano in contesti educativi extrafamiliari (nido,scuole)

3.1 La socializzazione emotiva in famiglia

Saarni → facendo riferimento alla relazione genitore-figlio, ha proposto la distinzione tra modalità indirette e
modalità dirette di socializzazione emotiva.

- Modalità indirette → forme di insegnamento non intenzionali né consapevoli attraverso le quali i


bambini acquisiscono conoscenze circa il significato delle emozioni (come apprendimento per imitazione e
riferimento sociale). Riferimento sociale = fenomeno per cui il bambino si orienta nella conoscenza del mondo
attraverso le espressioni emotive facciali del caregiver.

- Modalità dirette → strategie esplicitamente e consapevolmente usate dal genitore allo scopo di
insegnare al bambino come esprimere le emozioni, come modularle, quali nomi dare a esse.

Il tema della socializzazione emotiva è stato approfondito anche da Gottman che hanno definito filosofia della
metaemozione l’insieme di opinioni e convinzioni sulle emozioni che un adulto possiede.

Vi sono due filosofie metaemotive dei genitori:

- guida delle emozioni

- messa al bando delle emozioni

Le differenze sostanziali tra le due riguardano il grado di consapevolezza delle emozioni proprie e del proprio
figlio, la capacità di assistere il bambino durante l’esperienza emotiva.

La socializzazione emotiva avviene dunque sia attraverso l’osservazione del comportamento espressivo
verbale e non verbale del genitore, sia per mezzo degli insegnamenti esplicitamente forniti, sia in virtù delle
stesse reazioni prodotte di fronte alle manifestazioni emotive del bambino.

Le ricerche hanno rivelato che i figli di genitori coaching risultino socialmente più competenti e siano più capaci
di abbassare il livello delle emozioni a valenza negativa. Coaching =
Denham individua tre tipologie di socializzazione emotiva complementari:

- Modeling → fa riferimento a una modalità basata sull’osservazione. I bambini fin da piccoli sono
esposti all’osservazione dei comportamenti verbali e non verbali degli altri, e sono influenzati sul piano delle
loto stesse condotte.
L’osservazione dei modi di esprimere, verbalmente o meno, e di regolare le emozioni da parte dei genitori,
funge da vero e proprio modello di comportamento.

- Coaching → modalità di socializzazione emotiva in cui l’apprendimento avviene sulla base di un


insegnamento esplicito da parte dei genitori.
Il genitore sfrutta l’occasione offerta dal figlio per insegnargli intenzionalmente, per esempio, il significato di
alcune emozioni, le espressioni che le accompagnano, strategie per modularne l’intensità → ha a che fare con
l’insegnamento diretto e consapevole dell’adulto, avvalendosi di strumenti linguistici.

- Contingency → apprendimento attraverso le reazioni dell’adulto immediatamente successive


all’espressione emotiva dei bambini (es. consolando o mostrandosi indifferente).

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In sostanza, quando un bambino prova una certa emozione, per esempio la tristezza e la mostra apertamente,
la reazione del genitore diventa fonte di apprendimento per il figlio sul significato dell’esperienza che sta
provando, sulle cause che l’hanno prodotta (es. in virtù di un commento) e sulle strategie per gestirla.

I comportamenti dei membri familiari, le pratiche quotidiane messe in atto nei confronti delle esperienze ed
espressioni emotive dei figli e il clima emotivo familiare hanno un impatto sulla regolazione emotiva del
bambino.

3.2 La socializzazione emotiva nei contesti extrafamiliari

Durante l’età prescolare i contesti extrafamiliari diventano sempre più importanti per lo sviluppo del bambino. I
bambini acquisiscono conoscenze sulle emozioni nelle interazioni quotidiane con gli insegnanti e i pari.

Le insegnanti della scuola svolgono la funzione di facilitazione dello sviluppo della competenza socioemotiva
dei bambini → livelli elevati di supporto emozionale dell’insegnante sono associati a migliori abilità emotive dei
bambini.

Per quanto riguarda la modalità del teaching (simile al coaching) recenti studi hanno approfondito il ruolo di
particolari pratiche o formati educativi nello sviluppo di competenze socioemotive dei bambini.

Anche la formazione continua delle insegnanti di scuola dell’infanzia produce in loro stessi un maggior
benessere e una migliore competenza emotiva, promuovendo abilità al servizio di un’efficace educazione
emotiva dei bambini.

3.I LEGAMI DI ATTACCAMENTO NEL CICLO DI VITA

La teoria dell’attaccamento giunge a una sua prima formulazione nel decennio 1970\1980 con:

- la trilogia di John Bowlby intitolata Attaccamento e perdita

- i lavori osservativi di Mary Ainsworth sulle prime relazioni madre\bambino. Essa può essere
considerata una teoria dello sviluppo della personalità basata sull’analisi dei percorsi evolutivi e delle differenze
individuali.

Questa teoria rappresenta un significativo cambio di paradigma basato sui contributi più innovativi della cultura
scientifica del suo tempo quali l’etologia, la psicologia cognitiva, la teoria dell’informazione e la biologia
evoluzionista.

L’ipotesi chiave è che il bambino sia dotato di una predisposizione biologica innata a costruire legami di
attaccamento ricercando prossimità e contatto fisico con i suoi caregivers con la finalità di ottenere conforto e
protezione sia a livello fisico che emotivo.

Tale tendenza, evolutivamente funzionale alla sopravvivenza, gli permette, utilizzando la figura di attaccamento
come fonte di conforto e come base sicura per l’esplorazione, che costituirà il fondamento delle competenze
relazionali ed emotive che svilupperà nel corso del ciclo di vita.
Gli studi condotti negli anni Quaranta e Cinquanta evidenziano gli effetti negativi di una precoce separazione
dalla madre o di deprivazione dall sue cure sulla salute mentale del bambino → studi di Anna Freud sugli orfani
della II Guerra Mondiale, quelli di Spritz sui bambini ospedalizzati che ne evidenziano le reazioni tipiche
costituite da protesta, disperazione, distacco rispetto alla separazione dalla madre.

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La carenza di cure materne può avere conseguenze rilevanti sullo sviluppo della personalità e sull’insorgenza
di gravi disturbi; secondo uno studio, alla base di comportamenti delinquenziali degli adolescenti, ci siano
prolungate esperienze di deprivazione affettiva nell’infanzia, con conseguente sviluppo di ritiro emotivo e
anaffettività.

La considerazione di Bowlby per gli studi osservativi relativi alla relazione madre\bambino lo portano al
contempo a rimanere profondamente colpito e influenzato dalle ricerche che in quegli anni venivano condotte
in primis da Lorenz e successivamente da Harlow nell’ambito della psicologia comparata e dell’etologia, una
disciplina quest’ultima volta a studiare il comportamento degli animali ne loro ambiente naturale.

Cruciale a questo riguardo l’esperimento condotto da Harlow con giovani scimmie da cui emerse che la ricerca
del contatto fisico e della protezione sia prioritaria nell’infanzia rispetto ad altri bisogni quali la ricerca di cibo.

1. SVILUPPO E TIPOLOGIE DI ATTACCAMENTO

Bowlby ipotizza che il bambino sia spinto a formare legami di attaccamento con figure capaci di proteggerlo,
essendo dotato fin dai primi mesi di vita di modalità comunicative quali il pianto, il sorriso, le vocalizzazioni, in
grado di attivare l’intervento dei caregivers, conquistandosi la loro protezione.

Tali modalità si articoleranno in concomitanza con lo sviluppo delle capacità locomotorie, in comportamenti volti
a conquistarsi la prossimità con i caregivers (andare in contro, aggrapparsi).

Parallelamente a tali comportamenti il bambino sviluppa anche un approccio esplorativo verso l’ambiente che
lo circonda, reso possibile dal poter disporre di una figura da utilizzare come base sicura per l’esplorazione in
situazioni di tranquillità.

Si struttura un sistema di attaccamento che ha lo scopo di mantenere un equilibrio omeostatico tra prossimità
al caregiver in condizioni percepite di pericolo o stress e distanziamento dal caregiver ed esplorazione
dell’ambiente in condizione di assenza di stress.

Il caregiver deve essere in grado di rispondere alle richieste di vicinanza e protezione del bambino in modo
sensibile, aiutandolo nella regolazione delle emozioni di paura e stress, assecondandone al contempo il
distacco da lui e la conseguente esplorazione dell’ambiente in tranquillità.

Bowlby e Ainsworth studiano l’evoluzione dello sviluppo dei legami di attaccamento, distinguendo differenti fasi
nei primi anni di vita.

1. Primi 2 mesi → bambino è già in grado di esprimere i suoi bisogni di attaccamento, attraverso il
repertorio comunicativo che ha a disposizione (pianto, sorrisi, vocalizzi).

2. 3-6 mesi → il bambino inizia a privilegiare le figure familiari e in particolare la figura che si occupa
prevalentemente di lui.
3. 6 mesi- 2 anni → orientamento preferenziale verso una o più figure di attaccamento si definisce in
modo specifico anche grazie all’acquisizione delle capacità locomotorie (gattonare e camminare).

Il bambino sviluppa ansie di separazione quando tali figure si allontanano.

4. Rapporto tra il bambino e le sue figure di attaccamento si delinea maggiormente reciproco mentre la
comunicazione da parte del bambino è sempre più intenzionale e orientata al raggiungimento di scopi condivisi
con il caregiver.

1.2 I pattern di attaccamento

Il sistema di attaccamento ideato da Bowlby, fondato sul raggiungimento di un equilibrio ottimale tra ricerca di
prossimità\protezione e capacità di esplorazione da parte del bambino nella prima infanzia, si rivelò variare

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considerevolmente a seconda dei bambini osservati. Al momento della separazione e della riunione con la
madre, emersero notevoli differenze individuali.

Sulla base di tali osservazioni ella mise a punto un paradigma sperimentale chiamato strange situation, in
grado di attivare nel bambino comportamenti di attaccamento attraverso la sua esposizione a condizioni
mediamente stressanti, quali la separazione dalla madre e la presenza di un adulto sconosciuto.

Utilizzando questo paradigma, Ainsworth ha distinto tre tipologie o pattern di attaccamento:

1. Pattern sicuro → il bambino utilizza il genitore come base per esplorare l’ambiente quando
quest’ultimo è presente, manifesta disagio alla separazione e ricerca il contatto con lui al momento della
riunione. Se è a disagio, si mostra facilmente consolabile e la relazione con l’estraneo è percepita in modo
moderatamente stressante.

2. Pattern insicuro evitante → il bambino non condivide la propria attività di gioco o di esplorazione con
il genitore quando presente, né mostra disagio alla separazione con quest’ultimo. Negli episodi di riunione evita
il contatto, distogliendo lo sguardo e continuando a giocare o esplorare l’ambiente.
Non appare turbato quando lasciato solo con l’estraneo.
L’attaccamento di tipo insicuro evitante è suddiviso in due sottogruppi a seconda del grado di evitamento più o
meno marcato.

3. Pattern insicuro ambivalente\resistente → il bambino si mostra focalizzato sul genitore nel corso
dell’intera procedura sperimentale, rivelandosi in difficoltà nell’esplorare l’ambiente e a disagio durante la
separazione da quest’ultimo. Manifesta rabbia e\o inconsolabilità alla riunione con lui, alternate a ricerca di
contatto.
Non ritorna a giocare dopo la riunione e può mostrare paura o rabbia nei confronti dell’estraneo.
E’ suddiviso in due sottogruppi a seconda che il bambino mostri segni di rabbia nei confronti dei genitori o
reagisca allo stress più passivamente, mostrandosi inconsolabile.

4. Pattern disorganizzato\disorientato → adozione da parte del bambino di strategie incoerenti nei


confronti della figura di attaccamento. Mette in atto comportamenti contraddittori (es. ricerca il contatto con il
genitore mostrando anche evitamento nei suoi confronti) oppure può apparire disorientato, con immobilità a
livello mimico e motorio e stereotipie.
La principale caratteristica è la mancanza di una strategia di attaccamento coerente. Alla base di tale
attaccamento ci sono interazioni con la figura di attaccamento che inducono paura (il bambino è posto di fronte
a un conflitto senza soluzione: quando è a disagio si rivolge al genitore come fonte di consolazione, ma il
genitore è anche fonte di paura).

Varie ricerche hanno dimostrato come i diversi pattern di attaccamento che il bambino sviluppa nei confronti
della madre siano correlati alla sensibilità che quest’ultima ha dimostrato nei suoi rigurardi nel corso del primo
anno di vita.

Ainsworth ha valutato la sensibilità analizzando diverse componenti di tipo comportamentale, tra cui:

1. la capacità di rispondere in modo pronto e adeguato ai bisogni del bambino;

2. Consolarlo rispetto al pianto e di stabilire un buon contatto fisico Componenti relative alla
comunicazione affettiva:
- Disponibilità emotiva dimostrata nel gioco faccia a faccia - cooperazione nei confronti della sua attività

Sulla base di un altro studio è emerso che i bambini sicuri appaiono godere a 4 mesi di una più adeguata
contingenza interattiva con la loro madre sia a livello di attenzione visiva e tattile che di rispecchiamento
emotivo.
Essi appaiono perciò fare affidamento sulla capacità di sintonizzazione emotiva delle loro madri, e grazie alla
madre che è in grado di rispondere in modo contingenete e prevedibile alla loro comunicazione.

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La mancata corrispondenza che il futuro bambino disorganizzato incontra rispetto alla madre, a diversi livelli,
può minare non solo la sua organizzazione emotiva di base ma l’integrazione stessa della sua personalità
emergente.

Cruciale dunque per la formazione dei pattern di attaccamento appare, da una parte, la sensibilità dimostrata
dalla figura di attaccamento nei confronti del bambino, dall’altra gli stili comunicativi diadici che si strutturano tra
i due partner.

2.2 Attaccamento e regolazione emotiva

I pattern di attaccamento che il bambino forma nei primi anni di vita con le figure più significative possono
essere considerati come stili di regolazione emotiva che egli sperimenta rispetto alla disponibilità emotiva
fornita dai caregivers.

Il bambino, fin dai primi mesi di vita, ha a disposizione modalità di fronteggiare il distress e l’attivazione
emotiva, tra le quali il distogliere lo sguardo dallo stimolo stressante e l’autoconsolarsi, manipolando parti del
proprio corpo (es. dito in bocca). Queste modalità non sono tuttavia in grado di garantirgli un’adeguata
regolazione emotiva per tempi lunghi; per ottenerla, egli ricorre a modalità di comunicazione di tipo
eteroregolatorio, rivolte ai caregiver, per mobilitare il loro intervento.

Tali modalità sono basate sull’espressione del volto, la tonalità della voce, lo sguardo.

Tra di esse si può cogliere:

- coinvolgimento sociale → bambino sorride, guarda la madre ed emette vocalizzazioni positive


- protesta attiva → il bambino piange e si distanzia da lei con espressione di rabbia e ritiro.

L’attaccamento sicuro è risultato correlato alla possibilità sperimentata dal bambino nei primi anni di vita di
comunicare emozioni positive e negative al caregiver, percepito come emotivamente disponibile ed efficace
nella regolazione emotiva. Altri tipi di attaccamento → restrizione di tale capacità:

- Attaccamento insicuro evitante → deattivazione del sistema di attaccamento da parte del bambino,
accompagnato da una riduzione della comunicazione delle emozioni, percepite come rifiutate dal geniore;

- Attaccamento insicuro ambivalente → massimizzazione del sistema di attaccamento espressa


attraverso le richieste di eteroregolazione emotiva rivolte al genitore, percepito come non responsivo in modo
prevedibile.

- Attaccamento insicuro disorganizzato → implica un break down delle strategie di regolazione emotiva
del bambino, a fronte di un caregiver percepito come incapace di regolare le emozioni proprie e del bambino.

3.MODELLI OPERATIVI INTERNI DI ATTACCAMENTO NEL CICLO DI VITA

Bowlby e Main hanno ipotizzato che i bambini nel primo anno di vita inizino a formarsi dei modelli mentali delle
figure di riferimento.

Le esperienze che ha vissuto nelle sue interazioni con i genitori e caregiver vengono organizzate in schemi
specifici (memoria episodica).

La generalizzazione di tali schemi porta alla costruzione di un modello “sintetico” di tali interazioni (memoria
semantica) in grado di riassumere la relazione con quella figura.

I modelli operativi interni, concepiti come strutture affettivo-cognitive basate sulla generalizzazione delle
esperienze di attaccamento, hanno un doppio ruolo:

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- Organizzano le informazioni e le emozioni relative alle differenti esperienze di attaccamento vissute dal
bambino;
- Svolgono una funzione motivazionale, fungendo da guida rispetto al comportamento relazionale del
soggetto nelle esperienze interpersonali.

Particolare rilevanza hanno i modelli operativi interni che il soggetto costruisce nei suoi primi anni di vita, in
quanto essi funzionano, in larga parte in modo inconsapevole, come filtro rispetto alle successive esperienze di
attaccamento sperimentate dal soggetto nel corso della sua vita infantile e adulta.

Nel caso di forme di attaccamenti non adattivi, la funzione di filtro si trasforma in una funzione di tipo difensivo.

3.1 Attaccamenti multipli

La formazione dei modelli operativi interni prosegue anche nelle fasi successive. In tali fasi è molto importante
il dialogo relativo alle emozioni che intercorre tra il bambino e le sue figure di attaccamento → contribuisce alla
evoluzione dei modelli operativi formati nella prima infanzia.

A partire dagli anni Novanta sono iniziati studi sull’attaccamento alla figura paterna, che hanno evidenziato una
distribuzione dell’attaccamento sicuro al padre simile a quello riscontrato nei confronti della madre, per cui
l’attaccamento al padre e alla madre sono tra loro parzialmente indipendenti.

I comportamenti paterni maggiormente in grado di predire la qualità dell’attaccamento dei loro figli siano la
capacità di sostenere il gioco del bambino e la sua attività esplorativa fornendogli sicurezza nell’esplorazione.

Nei primi anni i bambini sono in grado di sviluppare legami di attaccamento anche con caregivers non familiari
(es. educatrici).

3.2 Attaccamento in età adolescenziale\ adulta

- Adult Attachment Interview → Main ha messo a punto questa intervista che, attraverso uno specifico
protocollo e un correlato sistema di codifica, permette di indagare in soggetti di età adolescenziale e adulta lo
stato mentale generale del soggetto rispetto alle sue esperienze di attaccamento.
Le aree indagate dall’intervista riguardano da una parte le esperienze vissute dal soggetto nell’infanzia rispetto
alle principali figure di attaccamento e i sentimenti relativi a tali esperienze.
Dall’altra la capacità del soggetto di comprendere tali vicende, nonché la successiva evoluzione delle relazioni
con tali figure. Assume particolare rilievo l’indagine intorno a eventi di lutto o traumatici vissuti dall’intervistato.
Il soggetto poi viene assegnato a una delle 5 categorie: sicuro\autonomo; distanziante; preoccupato; irrisolto\
disorganizzato nei confronti del lutto e del trauma; non classificabile.

- Per valutare i modelli di attaccamento nell’età preadolescenziale → Separation anxiety test (serie di
immagini che raffigurano situazioni di separazioni di un bambino dai genitori).
L’analisi delle differenti reazioni emotive alla separazione e delle modalità adottate dal bambino per
fronteggiarle permette di individuare i modelli di attaccamento sicuri o insicuri.

- Attaccamento preadolescenza e adolescenza (dai 9 ai 16 anni) → Friends and family interview →


attaccamento non solo riferito ai genitori ma anche ai fratelli\migliori amici

3.3 Nuovi legami di attaccamento nell’adolescente e giovane adulto

Nel corso dell’adolescenza si assiste a un progressivo spostamento da parte degli adolescenti dai genitori
come principali figure di attaccamento agli amici, in particolare dello stesso sesso, e successivamente ai
partner sentimentali.

Gli adolescenti e in seguito i giovani adulti si rappresentano gli amici e i partner sentimentali anche come figure
di attaccamento, rivolgendosi a loro con l’obiettivo di:

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- Ricercarne il contatto fisico per mantenere il senso di sicurezza;

- Utilizzarli come base sicura per l’esplorazione;

- Fruirli come porto sicuro per ottenere conforto e regolazione emotiva in caso di eventi stressanti.

Durante l’adolescenza il legame con il migliore amico assolve la funzione di porto sicuro e contatto fisico
mentre quello con la madre continua a svolgere quello di base sicura. Durante la giovane età adulta si assiste
a un progressivo spostamento delle tre funzioni alla relazione con il partner.

4.MODELLI DI ATTACCAMENTO E TRAIETTORIE EVOLUTIVE

L’impatto della qualità dell’attaccamento infantile, combinata con altre variabili, è risultata esercitare la sua
influenza anche a lungo termine, dalla media infanzia all’adolescenza fino all’età adulta. Le cure materne e
pattern di attaccamento considerati nei primi due anni di vita sono determinanti per l’acquisizione di
competenze di autonomia e autorganizzazione e per le relazioni sociali con i pari fino ai tre anni. Le
competenze influenzano, a loro volta, insieme alle cure genitoriali considerate nello stesso periodo, lo sviluppo
socioemotivo successivo, determinando la qualità delle amicizie nella media infanzia e nella preadolescenza,
qualità che saranno influenti rispetto alle competenze sociali e relazioni sentimentali nell’età adulta e
adolescenza.

- Attaccamento sicuro come fattore di protezione rispetto alla comparsa di comportamenti disadattivi
dopo i 5 anni. I bambini sicuri, a fronte di eventi stressanti intervenienti, si sono dimostrati più in grado di
fronteggiarli, senza sviluppare disturbi, come invece è accaduto a bambini valutati insicuri.

E’ emerso dunque come basti un attaccamento sicuro a una delle due figure per svolgere un’azione protettiva
rispetto a problematiche psicopatologiche.

4.2 La trasmissione intergenerazionale dell’attaccamento

Attraverso l’analisi dell’Adult attachment interview, svolto con genitori nei primi mesi di vita del bambino i in
gravidanza, si sono potuti individuare i modelli di attaccamento dei genitori stessi nei confronti delle proprie
figure di attaccamento. Tali modelli sono stati confrontati con quelli del loro bambini valutati con la Strange
Situation a 12 mesi.

Secondo i risultati raggiunti, un genitore, madre o padre, con un modello di attaccamento sicuro ha un’elevata
probabilità di avere un bambino a sua volta con attaccamento sicuro nei suoi confronti. Tra i fattori che
spiegano tale trasmissione si possono individuare sia la qualità della responsività dimostrata dal genitore
rispetto ai bisogni fisici del bambino, sia la capacità di sintonizzarsi e rispecchiare le emozioni espresse nei
suoi confronti.

Un ulteriore fattore chiave è la capacità del genitore di riflettere sugli stati mentali del bambino, attribuendo a
quest’ultimo, fin dai primi mesi di vita, desideri, emozioni e pensieri.

4.3 Attaccamento e rischio psicopatologico

Un terzo filone di studi è quello che indaga l’influenza dei diversi tipi di attaccamento stabilitisi nella prima
infanzia rispetto alle emergenze di problematiche psicopatologiche. Un punto su cui i ricercatori appaiono
convergere è la funzione di protezione svolta dall’attaccamento sicuro rispetto al rischio psicopatologico
considerato nel ciclo di vita.

- L’attaccamento insicuro, sia evitante sia resistente, è risultato un fattore di rischio per esiti
psicopatologici.
- L’attaccamento disorganizzato si è delineato invece un predittore di patologie di tipo esternalizzante
nell’infanzia e di disturbi della personalità borderline e di rischio suicidario nell’adolescenza e nell’età adulta.

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L’attaccamento disorganizzato appare correlato a caregiver sperimentati come ostili e terrorizzanti o
cronicamente ritirati; questo può comportare la comparsa di condotte non adattive, ad esempio controllanti e di
role-reversing nei confronti dei genitori.

4.4 Interventi di prevenzione

Molti interventi vengono definiti “Attachment based” in quanto i loro obiettivi sono mutuati dalla teoria
dell’attaccamento. Obiettivo primario in questo tipo di interventi, di cui molti fondati sull’uso del video-feedback,
è rendere adeguata la relazione tra bambino e genitore.

4.LO SVILUPPO COGNITIVO

In questo capitolo verranno analizzati i diversi approcci allo studio dello sviluppo cognitivo, ovvero le diverse
idee che sono state formulate su come cambino le nostre funzioni mentali e perché questo avvenga.

Saranno inoltre presentati alcuni tra i più illustri studiosi dello sviluppo cognitivo e le teorie proposte nell’ambito
di diversi approcci.

1. APPROCCI TEORICI

Nel tempo gli psicologi hanno sviluppato idee differenti circa i meccanismi responsabili del cambiamento e
delle differenze individuali che osserviamo nel corso del ciclo di vita. Evoluzione storica che ha caratterizzato
l’emergere dei diversi approcci (tutti sviluppati nel corso del Novecento):

- Comportamentismo → prende avvio a inizio secolo in America sotto l’influenza della teoria empiristica.
In base all’approccio comportamentista occorre rinunciare a studiare il funzionamento della mente, poiché
l’attenzione va rivolta al comportamento.
Il nostro agire sarebbe influenzato dalle stimolazioni ambientali e dall’esperienza.

- Approccio costruttivista→ L’approccio costruttivista ha le sue radici nella filosofia dialettica e nella
corrente filosofica del costruttivismo. (Svizzera, Piaget) Secondo l’approccio costruttivista lo sviluppo è il frutto
delle operazioni che il soggetto conoscente compie per conoscere la realtà.
L’interesse di Piaget per la biologia ci aiuta a comprendere la sua visione di sviluppo intellettivo, da lui inteso
come processo di adattamento dell’individuo all’ambiente.

Il principale interesse di Piaget consisteva nell’osservare attentamente i bambini e interagire con loro per
scoprire come essi ragionano e come scoprono nuovi strumenti cognitivi.
I bambini di una certa età fornivano in maggioranza risposte simili a quesiti standard perché erano allo stesso
stadio evolutivo (es. quantità di liquido versata in due contenitori).
In questo compito di conservazione della quantità, i bambini più piccoli si fanno ingannare dal dato percettivo e
non hanno la capacità di considerare contemporaneamente il livello del liquido e la forma del contenitore, nè
riescono a considerare che se nessuno ha aggiunto o tolto il liquido la quantità deve essere la stessa.

Secondo la sua teoria, l’essere umano passa attraverso diversi stadi di sviluppo: dalla nascita fino all’ingresso
in adolescenza evolviamo gradualmente attraverso 4 stadi fino al raggiungimento delle abilità di pensiero
tipiche dell’adulto.

Il passaggio da uno stadio a un altro è da considerarsi come il frutto di diverse scoperte parziali.
Le età sono da considerarsi come indicative, vi è infatti una certa variabilità nei tempi con cui ogni individuo
progredisce attraverso i diversi stadi, in quanto possono esservi delle differenze individuali tuttavia secondo
Piaget la sequenza degli stadi è fissa e universale.

1. Stadio sensomotorio (0-1 anno e mezzo). Lo stadio motorio, a sua volta, comprende 6 sottostadi:

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1) esercizio dei riflessi (0-1 mese) → il bambino mette in atto i primi schemi sensomotori, cioè i riflessi primari
(es. riflesso di prensione)
2) reazioni circolari primarie (1-4 mesi) → il bimbo esegue ripetutamente alcune azioni; emergono le prime
forme di coordinazione di schemi (es. afferrare e succhiare un oggetto)
3) Reazioni circolari secondarie (4-8 mesi) → un’azione compiuta casualmente e che ha prodotto un
interessante spettacolo nell’ambiente esterno, per cui il bambino prova a riprodurla
4) Coordinazione degli schemi acquisiti (8-12 mesi) → capacità di coordinare più schemi per un obiettivo
5) Reazioni circolari terziarie (12-18 mesi) → il bambino introduce variazioni all’azione come per studiarne gli
effetti (es. lascia cadere gli oggetti)
6) Invenzione di mezzi nuovi (18-24 mesi) → il bambino non si muove più per tentativi ma sembri aver
progettato le azioni da compiere.
Gli schemi prima solo sensomotori, divengono poi schemi di azioni pensate prima di metterli in atto, schemi
mentali.

La fine dello stadio sensomotorio vede emergere la funzione simbolica, evidente nell’imitazione differita
(mettere in atto un comportamento che si è osservato in un contesto diverso in precedenza) e nel gioco
simbolico, nelle maggiori competenze linguistiche.

1. Stadio preoperatorio (2-6 anni) → il bambino usa simboli e possiede semplici regole e concetti, ma
l’indizio percettivo prevale ancora sulla rappresentazione mentale.
E’ il periodo dell’egocentrismo infantile, e di tutta una serie di fenomeni che fanno capire quanto ancora sia
rudimentale la comprensione del mondo di cui il bambino dispone.
Pensiero egocentrico cioè il bambino non è ancora in grado di considerare altri punti di vista oltre al suo.
I bambini credono che gli oggetti siano vivi (animismo), che gli eventi accadano in favore delle persone
(finalismo) e che elementi del mondo naturale siano stati costruiti dagli esseri umani (artificialismo).

2. Stadio operatorio concreto (7 anni) → il bambino inizia a disporre del pensiero logico.
I bambini riescono a tenere a mente più punti di vista come più proprietà degli oggetti. Il dato percettivo non
porta più all’errore perché i bambini dispongono di operazioni, cioè rappresentazioni mentali su cui riesce a
operare.
Esse sono azioni interiorizzate e irreversibili (es. bambino che pensa a cosa accedrebbe se il liquido fosse
riversato nel contenitore iniziale).

3. Stadio operatorio formale (inizia nella preadolescenza) → sono possibili forme complesse di
ragionamento ipotetico.
La differenza tra uno stadio e l’altro concerne il tipo di strutture cognitive di cui la persona dispone.

Gli schemi possiedono secondo Piaget due proprietà: l’assimilazione e l’accomodamento.


Assimilazione = capacità di applicare ciò che si conosce già, per cui si interagisce con l’ambiente secondo il
modo di pensare di cui disponiamo (es. bambino conosce la parola cane e la usa per nominare sia i cani sia gli
animali a 4 zampe).
Un bambino interagisce con il mondo soprattutto assimilando le informazioni che possono essere comprese
attraverso gli schemi di cui dispone. Lo schema si può modificare per assimilare nuove informazioni.

Accomodamento = proprietà dello schema di modificarsi (il bimbo differenzia i gatti dai cani e li nomina
correttamente).
La possibilità di acquisire nuovi schemi e coordinarli tra loro è determinata dalla stessa attività del bambino.
Se nel suo agire un bambino incontra un disequilibrio, un conflitto cognitivo, è possibile che si attivi un
cambiamento (es. gioca con le costruzioni e la ricerca delle varie soluzioni, p.80).
Attraverso questi accomodamenti parziali il bambino può generare schemi d’azione nuovi ed efficaci → il
cambiamento, lo sviluppo, l’incremento di conoscenza avviene quando il bambino riesce a utilizzare i feedback
negativi o le informazioni contraddittorie per superare i limiti degli schemi preesistenti e costruire nuovi
strumenti di conoscenza. (idea costruttivista di sviluppo)

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Lo sviluppo è dunque un cambiamento qualitativo → il fatto che il sistema cognitivo non sia rigido, ma evolva di
fronte a inadeguatezze degli schemi posseduti ed elementi della realtà dipende da un processo di
equilibrazione: il sistema ricerca un nuovo equilibrio.

Secondo Piaget ogni nuovo schema acquisito non rimane isolato ma stimola una crescita globale: il sistema
nel tempo progredisce verso una nuova organizzazione.
Il bambino, grazie a questi meccanismi (assimilazione, accomodamento, equilibrazione e organizzazione)
costruisce schemi via via più funzionali a interagire con la realtà, a comprenderla e ad adattarsi ad essa.
Il bambino è dunque, secondo Piaget, costruttore del suo sviluppo.

- Approccio storico-culturale → Vygotskij

Nel considerare lo sviluppo psichico del bambino ci si interroga sulle influenze sociali e culturali esperite. Si
tratta dunque di cogliere quanto la cultura di appartenenza contribuisca a strutturare l’abilità di pensiero.

Secondo Vygotskij, la teoria di Piaget, trascura l’importanza dell’influenza dei fattori sociali e culturali dello
sviluppo cognitivo.
Secondo Vygotskij lo sviluppo cognitivo di ciascun individuo è influenzato dagli strumenti che il contesto in cui
questo individuo vive gli ha messo a disposizione. Il pensiero raggiunge un pieno sviluppo quando la persona
si è appropriata di ciò che la cultura e la società hanno messo a disposizione per interagire con quel particolare
contesto. (può dunque accadere che alcuni individui non arrivino a sviluppare un pensiero astratto, la cui
acquisizione dipende dalle stimolazioni culturali offerte).

Nella concezione di Vygotskij, i bambini passano da una fase in cui sono caratterizzati naturalmente da
processi psichici elementari (percezione, attenzione spontanea, memoria non volontaria) a una fase in cui
emergono funzioni psichiche superiori (memoria, attenzione volontaria).

Il passaggio da una fase all’altra è determinata dall’interazione sociale sperimentata → è con l’interazione con
gli altri che il bambino scopre i mediatori culturali, cioè tutte quelle scoperte e invenzioni di cui una cultura si fa
portartice, a cui il bambino è esposto fin dalla più tenera età e che influenzano il suo modo di pensare.

Tra i diversi mediatori, egli assegna al linguaggio un ruolo di particolare rilievo. Il linguaggio viene sviluppato
dai bambini grazie all’interazione sociale. Dapprima funzione unicamente sociale, il linguaggio assume poi una
funzione intrapsichica, diviene linguaggio interno, contribuendo in modo decisivo allo sviluppo del pensiero,
funzionamento della coscienza.

Vygotskij ha poi elaborato l’idea di zona di sviluppo prossimale → rappresenta il potenziale di sviluppo, cioè
quelle abilità che il bambino da solo non manifesta ancora ma può dimostrare se aiutato opportunamente.
Le riflessioni di Vygotskij continuano ad essere fonte di stimolo per la psicologia e pedagogia.

Sono numerosi gli studiosi che si sono ispirati all’approccio storico culturale:

- Bruner → presta attenzione al ruolo delle influenze culturali e sostiene l’importanza del ruolo degli
adulti che, nell’interazione con i bambini, offrono elementi di sostegno (scaffolding) alle loro acquisizioni
cognitive.

Bruner ipotizza che i bambini conoscano il mondo prima attraverso rappresentazioni esecutive (azioni,
procedure) successivamente possano anche utilizzare rappresentazioni iconiche (immagini della realtà) infine
divengano capaci di rappresentazioni simboliche (formulazione di ipotesi).
Queste tre forme di rappresentazione, o sistemi di codifica, compaiono in successione (una volta presenti non
eliminano quelle precedenti ma coesistono con esse):

- rappresentazioni esecutive → 1 anno di vita


- rappresentazioni iconiche → 12 mesi e si affermano pienamente 5\7 anni

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- rappresentazioni simboliche → 18 mesi e si stabilizzano negli anni dell’adolescenza.

- Approccio dell’elaborazione delle informazioni → nasce nell’ambito della psicologia sperimentale


statunitense in contrapposizione al comportamentismo. In questo approccio è rilevante comprendere come il
nostro sistema cognitivo elabora le informazioni: come i dati sono codificati, immagazzinati ed elaborati nella
nostra mente.
Obiettivo di tale approccio è definire un modello dei processi cognitivi che spieghi le prestazioni osservate
(l’emergere di questi tipi di modelli deriva dal confluire sulle ricerche sulla percezione, memoria,
comunicazione). L’avvento del computer è stato rilevante.

I primi modelli cognitivisti ipotizzavano che la mente funzionasse in modo simile a un computer. Il computer e la
mente sono ritenuti simili in quanto entrambi sono sistemi che codificano informazioni e le trasformano in
rappresentazioni (informazione che è stata acquisita dal sistema cognitivo).

Nell’ambito di questo approccio, indagare lo sviluppo cognitivo significa indagare cosa consenta nel corso degli
anni al sistema di elaborare in modo più efficiente le informazioni.

Nel tempo migliorano i processi di codifica, diveniamo capaci di creare rappresentazioni sempre più complesse
dell’ambiente, il sistema sviluppa strategie che riesce a utilizzare efficacemente (es. automatizzazione si
intende l’esecuzione sempre più efficiente di una procedura che libera risorse mentali per altri scopi → es.
quando il bambino impara a leggere, p.85).

Per quanto riguarda l’uso di strategie, un esempio è la reiterazione (ripetizione a voce o a mente per
mantenere in memoria le informazioni, i bambini in età prescolare non sono ancora in grado di farlo → fase in
cui il bambino non dispone di una strategia, fase in cui viene stimolato e infine fase in cui ricorre a tale
strategia).

Lo sviluppo cognitivo è inteso come un progressivo incremento delle conoscenze rappresentate nella memoria
a lungo termine e dell’efficienza dei diversi meccanismi che partecipano all’elaborazione delle informazioni.
Inoltre, lo sviluppo può coinvolgere in momenti diversi abilità differenti.

- Approccio neopiagetiano → Un gruppo di ricercatori, tra cui Pascual- Leone,

Halford, Case, Fischer si sono definiti neopiagetiani: le loro diverse teorie riprendono la proposta di Piaget
modificandola però profondamente e integrandola con l’approccio dell’elaborazione delle informazioni.

La teoria di Piaget costituisce per questi autori un’utile base di partenza, una descrizione approssimativa dei
modi con cui il bambino cerca di risolvere i problemi. Tuttavia essi utilizzano anche concetti tratti dall’approccio
cognitivista, considerando lo sviluppo del sistema cognitivo che elabora informazioni.

- Pascual-Leone → prima teoria neopiagetiana è stata proposta da lui, che fu allievo e collaboratore di
Piaget negli anni Sessanta, a cui propose una riformulazione della teoria ma Piaget la rifiutò e le loro strade si
divisero. Egli riprende da Piaget il concetto di schema come unità di base delle rappresentazioni mentali e delle
elaborazioni cognitive. La soluzione dei problemi cognitivamente complessi richiede, in genere, di coordinare
schemi diversi.

In generale, l’idea da lui proposta, è che il grado di complessità del ragionamento di un bambino dipenda
soprattutto da quanti schemi riesce a coordinare mentalmente e che le risorse attentive disponibili per questo
scopo crescano con l’età.

Egli distingue tra: situazioni fuorvianti (problematiche, in cui si può essere tratti in inganno dalle apparenze o
applicare erroneamente gli schemi ben appresi ma inappropriati al contesto) e situazioni facilitanti (dati
percettivi e gli apprendimenti precedenti facilitano l’attivazione di schemi appropriati).

I compiti piagetiani sono fuorvianti e le differenze individuali di stile cognitivo possono essere importanti.

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Oltre alla capacità di coordinare più schemi, anche lo stile cognitivo avrà un impatto sulle risposte dei bambini
ai problemi piagetiani.
Una serie di ricerche convalida il modello della crescita quantitativa delle risorse attentive utili all’attivazione
degli schemi (M capacity)
Nelle situazioni facilitanti, il bambino può riuscire a coordinare un numero di schemi ancor maggiore, grazie alla
sinergia fra la M capacity e altre risorse del sistema cognitivo.

- Halford → dopo l’acquisizione della funzione simbolica sul finire del periodo sensomotorio, i bambini
passerebbero da una serie di stadi caratterizzati dalla capacità di svolgere compiti e risolvere problemi che
comportano relazioni fra diversi elementi, a relazioni sempre più complesse che richiedono di tenere presente
un numero crescente di elementi.

Ciò sarebbe reso possibile, secondo l’autore, dalla crescita delle risorse attentive e della memoria di lavoro.

- Case → nuova idea che arricchisce il panorama delle teorie neopiagetiane; il costrutto di “strutture
concettuali centrali”.
Queste emergerebbero intorno ai 4 anni come una sorta di reti di schemi che interconnettono le
rappresentazioni del bambino in domini cognitivi molto generali (es. struttura concettuale per la conoscenza
sociale).

Ognuna di queste strutture concettuali è centrale in quanto permette di organizzare le conoscenze anche in
domini molto diversi: ad esempio la struttura concettuale spaziale serve al bambino per orientarsi nell’ambiente
in cui vive, per comprendere le mappe, per imparare concetti fisici, geometrici e grafici ma anche per acquisire
abilità in giochi sportivi che richiedono di padroneggiare relazioni spaziali.

Ogni struttura concettuale centrale si sviluppa indipendentemente dalle altre, anche in base alle esperienze,
agli interessi del bambino. Tuttavia, lo sviluppo di ciascuna struttura concettuale e la complessità crescente
delle relazioni che essa comprende dipendono dalla crescita della capacità della memoria di lavoro.

- Approccio neurocostruttivista → riprendono alcuni concetti di Piaget e dell’elaborazione di informazioni


integrandole con idee nuove.

Con il neurocostruttivismo l’attenzione è rivolta allo sviluppo cognitivo in relazione allo sviluppo del cervello.
Ci si interroga come nel corso del tempo si acquisiscano maggiori conoscenze e competenze cognitive.
Una delle voci che maggiormente hanno contribuito alla diffusione dell’approccio neurocostruttivista è quella di
Smith, la quale si era formata con Piaget.

Viene ripresa l’idea costruttivista proposta da Piaget in base alla quale il bambino è costruttore del suo
sviluppo: secondo questo approccio il sistema cognitivo e il cervello si modificano in relazione all’attività del
soggetto in interazione con l’ambiente.

Diversamente da quanto proposto dalla teoria stadiale di Piaget, non si ipotizza che lo sviluppo cognitivo
coinvolga simultaneamente tutto il nostro sistema cognitivo. Sono infatti considerati diversi domini di
conoscenza così come proposto dall’approccio dell’elaborazione delle informazioni (dominio =insieme delle
rappresentazioni che fanno parte di un ambito di conoscenza).

Il livello di specializzazione cognitivo e neurale che caratterizza gli adulti non è già presente nei bambini e non
è prestabilito, ma è l’esito di un processo di sviluppo.
Non condivide l’idea che ci sarebbero aree cerebrali dedicate in modo innato a specifiche funzioni cognitive ma
ipotizza che il sistema vada incontro a una progressiva specializzazione per via dell’interazione con l’ambiente.

E’ invece accolta l’idea che possano essere innate le predisposizioni che ci orientano verso alcuni aspetti
dell’ambiente (es. tendenza dei neonati a fissare lo sguardo su qualsiasi configurazione simile a un volto → le
nostre predisposizioni guidano la nostra attenzione verso particolari stimoli dell’ambiente, che a sua volta
influenza i successivi processi di sviluppo).

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Modularizzazione → la mente nel corso dello sviluppo si modularizzi ovvero si costituiscano moduli sempre più
specializzati nel processare specifiche informazioni. La mente non è quindi modulare alla nascita ma si
modularizza attraverso l’esperienza.

Secondo questa autrice la mente evolve a fasi nel senso che si ha uno sviluppo di più processi dominio-
specifici invece che una maturazione globale.

Vi può essere uno sviluppo indipendente nei diversi ambiti di conoscenza (domini); esiste tuttavia un processo
che si attiva per ogni dominio, il processo di ridescrizione rappresentazionale → nel corso dello sviluppo si
assiste a una ridescrizione delle rappresentazioni che consente il passaggio da rappresentazioni implicite della
mente, per cui diviene possibile riflettere su rappresentazioni della conoscenza acquisita in un dominio e
verbalizzarle o renderle disponibili anche per altri domini.

1) Prima fase del processo di ridescrizione rappresentazionale è caratterizzata dal livello I (implicito) → i
bambini prendono il blocco, lo posizionano sul supporto e muovendosi per tentativi di errori cercano il punto in
cui ciascun blocco sta in equilibrio. L’azione è guidata dalle informazioni ricevute dall’ambiente, ogni blocco è
considerato come un problema diverso da risolvere.

Livello E-1 (esplicito 1) → bambini affrontano il compito sulla base di una rappresentazione che si sono creati
con l’esperienza, per cui i blocchi stanno in equilibrio se posizionati considerando il loro centro.

Ciò dimostra che, una volta acquisita esperienza in un ambito, il bambino sia in grado di sviluppare una
rappresentazione unitaria del problema (il bimbo ha una teoria di come si posiziona un blocco in equilibrio).
Livello esplicito 2 ed esplicito 3 → i bambini divengono consapevoli dell’idea che guida il loro comportamento
(al livello E-2 sono consapevoli della loro teoria, al livello 3 sono in grado di verbalizzarla).

Questo processo di ridescrizione rappresentazionale si suppone avvenga ripetutamente all’interno dei domini
lungo tutto l’arco dello sviluppo e perfino in età adulta quando ci si trova di fronte a nuove acquisizioni.

7.ABILITA’ E SVILUPPO

Informazioni sullo sviluppo cognitivo e nel suo divenire, si tratta di acquisire

conoscenze rispetto sia al come evolviamo sia rispetto alle diverse ipotesi sul perché questo avvenga. Lo
sviluppo prosegue per l’intero processo di vita.

7.1 Infanzia

La concezione della prima infanzia è nel tempo cambiata. Oggi si ha infatti un’idea di neonato molto più
competente e attivo rispetto al passato.

L’infanzia inoltre è considerata una delle fasi di maggiori cambiamento. In soi due anni dalla nascita i bambini
acquisiscono numerose e complesse competenze (es. sviluppo motorio\abilità comunicative).

Questi progressi rendono i bambini sempre più competenti nell’interagire con il mondo fisico e sociale.

Piaget si è per primo dedicato a comprendere le caratteristiche cognitive dei bambini nelle diverse fasi di vita.
Anche oggi si ritiene che vi sia un’evoluzione dai riflessi primari a comportamenti sempre più controllati e
intenzionali.

Inoltre, al termine della prima infanzia, proprio come aveva osservato Piaget, sono evidenti una serie di
comportamenti indicativi della capacità dei bambini di rappresentarsi la realtà percepita e di usare i simboli.

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Secondo Piaget, il passaggio dai riflessi primari alla possibilità di avere una rappresentazione mentale della
realtà e delle azioni che in essa si possono compiere è lento.
Numerose conoscenze sono derivate dagli studi sulla percezione → sono state esaminate le variazioni a livello
delle risposte comportamentali e fisiologiche come l’analisi dello sguardo, ritmo suzione, variazione ritmo
cardiaco.

Questa attivazione è maggiore di fronte a stimoli nuovi e decresce di fronte a uno stesso stimolo ripetuto nel
tempo → questo fenomeno viene chiamato abituazione, che ha consentito di ideare esperimenti finalizzati a
studiare lo studio percettivo.

Se il bambino rinnova il suo interesse quando si presenta uno stimolo nuovo, possiamo inferire che abbia colto,
percettivamente, la differenza tra stimolo a cui si è abituato e il nuovo.

Sono state osservate reazioni comportamentali in risposta all’emissione di un suono in prossimità del ventre
materno.

Alla nascita le abilità uditive non sono identiche a quelle dell’adulto, e le abilità visive migliorano rapidamente.

Il neonato possiede una serie di abilità percettive che gli consentono di cogliere gli stimoli del mondo esterno
grazie sia alla funzionalità dei diversi organi di senso, sia alla coordinazione intersensoriale, evidente ad
esempio nella tendenza a orientare lo sguardo verso una fonte sonora, sia alla percezione transmodale, ovvero
la capacità di integrare le informazioni provenienti dai diversi sensi.

Fin dalle primissime fasi di vita, i bambini mostrano delle preferenze verso certi stimoli (es. voce materna\ tra i
volti, già all’età di pochi giorni sono prediletti i volti umani familiari).

Nello sviluppo cognitivo sono rilevanti molteplici abilità come l’abilità rappresentativa, capacità della memoria di
lavoro) → esempio errore A non B (p.96)

7.2 Seconda infanzia

Cambiamenti che occorrono tra i 2-3 anni e i 5-6 anni, riconoscendo questa fascia di età come un periodo
importante per lo sviluppo.

Una significativa acquisizione è la funzione simbolica che si colloca intorno ai 18 mesi.

Le acquisizioni di questo periodo:

- Funzione simbolica → la capacità di rappresentarsi qualcosa tramite simboli; è proprio tra i 3 e i 5


anni che si assiste ad un incremento di tutte le manifestazioni che sono legate all’uso di questa funzione, tra
cui il linguaggio, il gioco di finzione, il disegno.

- Gioco di finzione → il bambino intenzionalmente sovrappone una situazione ipotetica a una effettiva
con finalità ludiche; (es. quando il bambino muove un lego, mimando il rumore dell’auto).

Successivamente la capacità di gestire la distanza tra finzione e realtà aumenta e consente di svolgere
un’azione per finta anche senza la presenza di oggetti concreti.

Inoltre, nel tempo il gioco diventa più complesso; i bambini attribuiscono ruoli a sé stessi e agli altri,
drammatizzando gli scenari che conoscono, per cui il gioco di finzione diventa una palestra in cui si allenano
immaginazione e creatività.

I bambini mostrano di saper passare abilmente tra gioco di finzione e di realtà.

- Scripts → durante l’età prescolare sono significative le conoscenze che i bambini acquisiscono della
realtà circostante e delle routine che sono solitamente agite. Con questo termine si intende un particolare

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schema, costituito da una sequenza di eventi generalizzata e organizzata temporalmente e spazialmente,
relativa a una routine familiare. Gli scripts consentono ai bambini di avere un maggior grado di controllo
sull’esperienza che vivranno.

- Capacità di concettualizzare → nell’età prescolare i bambini incrementano in modo significativo la loro


conoscenza sul mondo. Il concetto può essere definito come la rappresentazione mentale di una categoria.

Per poter classificare occorre essere in grado di cogliere somiglianze fondamentali tra le diverse unità.

- Abilità di contare → questa abilità compare già al termine della prima infanzia (fino ad un certo punto)
abilità che si perfezionerà durante l’età scolare.

Oggi sappiamo che il nostro sistema cognitivo è capace di più funzioni mnestiche: è in grado di ricordare
alcune informazioni a lungo, di tenere a mente alcuni dati per il tempo utile ad eseguire un’operazione,
mantenere più informazioni e contemporaneamente operare su queste.

- La memoria di lavoro → capacità di mantenere ed elaborare le informazioni al fine di eseguire un


compito è stata ampiamente indagata.
Il bambino di 3 anni sembra in grado di elaborare una sola informazione per volta, mentre intorno ai 4\5 anni
emerge la capacità di tenere presenti due diverse informazioni.
- Funzioni esecutive → insieme di abilità funzionali alla regolazione cognitiva e comportamentale, tra cui
la capacità di controllare le risposte impulsive o di non farsi distrarre da stimoli irrilevanti, la capacità di
aggiornare le informazioni in memoria di lavoro, la capacità di passare da uno stato mentale a un altro.

- Disegno → verso i due anni e mezzo emerge un’intenzione rappresentativa che tuttavia non si traduce
in forme riconoscibili. Il bambino può notare la somiglianza tra la forma che ha disegnato e qualche oggetto
noto.

Verso i 3-4 anni appaiono le prime semplici forme schematiche, una delle più tipiche è il “pupazzo testone” .
Successivamente, il bambino inizia a utilizzare forme convenzionali (casa,albero). Verso i 5 anni organizza la
distribuzione delle forme sul foglio secondo un ordine lineare.

7.3 La fanciullezza (o età scolare)

Rispetto al bambino in età prescolare, il bambino in età scolare mostra una serie di caratteristiche che gli
consentono di divenire più competente nell’interazione con il mondo.

I bambini in età scolare considerano più elementi, aumenta inoltre la capacità di considerare quali operazioni
possono aver determinato quella situazione e cosa succederebbe se queste operazioni venissero svolte in
ordine inverso.

Il pensiero in età scolare diventa reversibile, tendono a ragionare valutando più dimensioni.

- il linguaggio e il disegno → continuano a svilupparsi non solo con l’acquisizione di simboli nuovi ma
evolve il modo con cui sono organizzati.
Dai 7 anni la composizione del disegno si organizza secondo due dimensioni; l’asse verticale del foglio viene
usato per rappresentare la distanza.

Dai 9 ai 12 anni migliora l’abilità di tenere conto di più relazioni spaziali, quindi di coordinare la
rappresentazione delle tre dimensioni dello spazio nelle due dimensioni del foglio.
- Pensiero narrativo → con l’età si sviluppa l’abilità di narrare storie più complesse.
- Esperienza → il bagaglio di conoscenze acquisite si consolida ed è possibile analizzare una situazione
con maggiore competenza e pianificare la soluzione più funzionale. La situazione pregressa viene infatti
utilizzata per orientarsi rispetto alla situazione contingente.

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Inoltre, grazie all’esperienza, si può contare su una serie di conoscenze e procedure che possono essere
applicate ormai in automatico.

- Capacità di elaborare le informazioni → aumenta il quantitativo di informazioni che la persona riesce a


tenere a mente e utilizzare per risolvere un compito.
- Migliorano i compiti di memoria di lavoro, che richiedono di tenere a mente alcune informazioni ma
anche di rielaborarle;
- Velocità con cui elaboriamo le informazioni → l’efficienza del sistema cognitivo è correlata anche a
questa capacità.
Tale velocità aumenta nel passaggio dalla seconda infanzia all’età scolare.
- Strategie più funzionali → i bambini ad esempio in età scolare ripetono a bassa voce o a mente le
informazioni da ricordare, mentre i più piccoli non ricorrono spontaneamente a questa strategia.
- Abilità di calcolo → la progressione di questa abilità è favorita dall’educazione formale. Le capacità di
calcolo trasmesse dall’adulto al bambino divengono una risorsa del bambino utile a comprendere per mezzo
dei numeri le misure dello spazio, del tempo e di ogni sorta di quantità.
- Metacognizione → conoscenze che abbiamo sul nostro funzionamento cognitivo e la capacità di usarla
per regolare il nostro pensiero e comportamento.

7.4 Adolescenza

L’adolescenza si configura come un’altra fase di vita ricca di sfide evolutive. L’adolescente è chiamato a gestire
significative trasformazioni somatiche e psicologiche.

Il superamento di queste sfide dovrebbe consentire la conquista di una propria autonomia psicologica, la
definizione dell’identità, l’acquisizione dello status di adulto. Nella teoria piagetiana, con il passaggio al
pensiero operatorio formale, i ragazzi mostrano di affrontare i problemi con maggiore strategicità, elaborando
un piano che precede l’azione.

Gli adolescenti riescono ad utilizzare il pensiero ipotetico-deduttivo, grazie al quale l’adolescente può valutare
le diverse soluzioni possibili, e verificare la correttezza delle diverse soluzioni considerando la logica del
ragionamento stesso.

Grazie a questa nuova forma di pensiero, il ragazzo non ha più necessità di agire concretamente, ma può
utilizzare solo le sue rappresentazioni.

- Incremento nella competenza logica → la capacità di pensare a tutti i casi possibili, cioè a tutte le
combinazioni. L’abilità di poter variare una sola variabile per volta mantenendo uguali tutte le altre condizioni
così da verificare il peso delle diverse variabili; la capacità di comprendere il concetto di proporzionalità e le
sue varie applicazioni, riuscire a considerare leggi teoriche e situazioni reali.

- Maggiori abilità di comprensione → può essere determinato da fattori esperienziali, dovuti a maggiore
variabilità dei contesti di sviluppo.

- Le narrazioni si arricchiscono → ciò è dovuto ad un aumento di capacità della memoria di lavoro. Nel
narrare i bambini di 10 anni i bambini riescono a raccontare storie anche complesse, non vi è tuttavia
riferimento alla vita interiore dei personaggi, le intenzioni, gli stati mentali spiegano non sono messi in relazione
alla storia psicologica dei diversi personaggi.

- La capacità di considerare più rappresentazioni possibili in relazione tra loro sostiene gli adolescenti
anche nel valutare moralmente una situazione considerando più variabili: i valori universali, i valori presenti in
una cultura, i bisogni di chi è coinvolto direttamente nella situazione da valutare.

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5.LO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO E DELLA COMUNICAZIONE

Il linguaggio verbale svolge la funzione di rinvio simbolico non tanto alla realtà concreta, quanto a
rappresentazioni mentali, rendendole condivisibili intersoggettivamente. Comunicare significa mettere in
comune, scambiare, partecipare.

E’ possibile distinguere due concezioni complementari della comunicazione:


- Comunicazione come scambio interpersonale di qualcosa che preesiste allo scambio, ad esempio i
bisogni individuali (comunicazione fondata).
Essa è possibile sulla base di una predisposizione innata a interagire, per mezzo di segnali naturali, con i
membri della propria specie.
- Comunicazione come costruzione e fondazione della soggettività, frutto di esperienze condivise
(comunicazione fondante).
Essa comporta un’interazione partecipativa e costruttiva di nuove rappresentazioni.

La comunicazione, sfondo continuo dell’esperienza, ha un ruolo fondante la relazione interpersonale (rapporto


io-tu) così come la relazione intrapsichica (rapporto io-me). E’ lo scambio comunicativo con altri esseri umani
che consente al bambino di costruire il senso della propria collocazione nel mondo al fine di prenderne parte
attiva, colmando il gap tra le risorse cognitive di cui dispone alla nascita e la realtà socioculturale in cui si trova
immerso.

Nelle prime fasi dello sviluppo infantile, è possibile comunicare con i propri simili grazie a disposizioni
comportamentali innate che si attivano automaticamente in risposta a configurazioni di stimoli interni ed esterni
con valenza evocativa, al fine di garantire la sopravvivenza.

Nel neonato tali disposizioni si manifestano come semplici riflessi.

Mentre Piaget assume i riflessi come base per lo sviluppo di schemi cognitivi senso-motori, Bowlby li considera
precursori di comportamenti comunicativi volti a favorire il contatto sociale e la formazione del legame di
attaccamento.

Alla costruzione del sistema comportamentale dell’attaccamento concorrono sia le condotte di segnalazione
che le condotte di vicinanza.

- condotte di segnalazione → azioni-reazioni del bambino (pianto\sorriso\vocalizzi) per richiamare


l’attenzione dell’adulto.
- Condotte di vicinanza → tentativi del bambino di impedire che l’adulto si allontani (es. aggrappandosi ai
suoi abiti).

Già alla nascita il bambino è impegnato a preparare, in collaborazione con l’adulto, quel terreno comune di
condivisione per la costruzione progressiva dello sviluppo psicologico individuale e di quello socioculturale,
destinati a incontrarsi e integrarsi, soprattutto grazie al linguaggio verbale che svincola gli individui dalla
dipendenza dal contesto esperienziale.

Come si realizza tale processo di progressiva integrazione? Il bambino deve apprendere, il più precocemente
possibile, le regole basilari di tale attività condivisa, prima di tutte la distinzione tra i ruoli comunicativi.

Preliminare a un uso intenzionale dello scambio comunicativo è la scoperta dei ruoli alterni, reciproci e
complementari di emittente e ricevente.

Il neonato è selettivamente orientato verso la voce umana e le configurazioni visive costituite dai volti. Il
bambino si pone come sin dalla nascita come partner competente nell’interazione con l’adulto, in grado non

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solo di assumere il ruolo di ricevente, ma anche di emettere informazioni sul proprio stato e sui propri bisogni
per default, cioè spontaneamente.

A partire dall’alternanza di momenti di attività e passività, esperiti, ad esempio, nei ritmi di poppata, nello
scambio di sguardi, vocalizzi e sorrisi, o nel cosiddetto dialogo tonico tra il proprio corpo e quello della madre, il
bambino partecipa a delle effettive protoconversazioni in cui sperimenta i primi comportamenti di turn taking e
role taking. La responsività, la coerenza e insieme la flessibilità dei comportamenti della figura materna
facilitano questo apprendimento, favorendo la cruciale scoperta dell’intenzionalità comunicativa.

Il bambino, inizialmente, non piange per attirare l’attenzione della madre. E’ l’accorrere della madre,
l’interpretazione e la risposta che dà che fanno scoprire al bambino di poter utilizzare il pianto come mezzo per
ottenere qualcosa.

E’ il processo di interpretazione che favorisce l’incontro di due intenzionalità.

Considerando la sequenza nella comparsa delle funzioni comunicative, si osserva che la funzione base,
propedeutica a tutti i successivi scambi interpersonali è la funzione di contatto (o fatica) che consente agli
individui di segnalare gli uni agli altri la propria presenza, richiamando l’attenzione su di sé. Qualcosa di
analogo succede nei primi mesi di vita tra bambino e caregiver nello scambio di sorrisi e vocalizzazioni,
espressione del riconoscimento reciproco e premessa per interazioni più articolate.

Nelle abilità comunicative, come in quelle cognitive, il percorso di sviluppo procede da modalità autocentrate
(l’altro non esiste ancora) verso la progressiva conquista dell’individuazione e del decetramento (separazione e
distinzione tra sé e l’altro) grazie alle quali si possono confrontare, orientare e negoziare bisogni, stati d’animo,
punti di vista.

GESTI COMUNICATIVI E INTENZIONALITA’ COMUNICATIVA

Per lo sviluppo delle funzioni comunicative più evolute è necessaria la scoperta dell’intenzionalità
comunicativa. L’intenzionalità comunicativa è implicitamente presente già nell’uso dei gesti comunicativi: gesto
richiestivo (dammi) e gesto dichiarativo (guarda).

Quando, tra i 9 e i 12 mesi, il bambino inizia a scoprire l’altro come dotato di intenzionalità, si realizza la
conquista che Tomasello chiama “rivoluzione sociocognitiva del nono mese”.

Essa consiste nel passaggio dall’intento comunicativo all’intenzione vera e propria.

Il bambino che non sa ancora parlare, effettua già movimenti controllati delle braccia, inizia ad usare i gesti,
associati o meno a vocalizzazioni, per comunicare con l’adulto e influenzarne il comportamento. Dapprima
esibisce il gesto richiestivo o imperativo che consiste nell’allungare il braccio verso qualcosa che vuole
ottenere, successivamente il gesto di indicare il cui fine è l’attenzione dell’adulto su qualcosa di interessante
(attenzione congiunta).

Il gesto per condividere ha una funzione dichiarativa ed è considerato un precursore dello sviluppo della Teoria
della Mente, ovvero la scoperta che l’altro è dotato di stati interni su cui si può agire per mezzo della
comunicazione.

I gesti sia richiestivi che indicativi sono accompagnati (preceduti e\o seguiti) da uno scambio di sguardi con la
funzione di segnalare all’altro che si sta cercando di entrare in contatto con lui.

Il gesto indicativo segna l’inizio dell’interazione triadica: io, tu, l’oggetto di interesse. Ricerche hanno dimostrato
che l’uso comunicativo dell’indicare è un predittore dello sviluppo linguistico, in generale e delle competenze
grammaticali, in particolare.

Tra i 9 e i 12 mesi il bambino inizia a produrre le prime parole con una forma fonetica e un contenuto che si
avvicinano sempre più ai segni convenzionali del codice linguistico (protoparole).

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SVILUPPO DEL LINGUAGGIO VERBALE: MODELLI TEORICI

E’ durato a lungo il dibattito sulle contrapposte posizioni dell’innatismo e dell’ambientalismo.

- Chomsky considera il linguaggio come parte di una facoltà simbolica più generale, la cui peculiarità
consiste in una capacità combinatoria di unità discrete, secondo modelli di grammatica universale generativa.

L’abilità linguistica sarebbe il prodotto dell’attivazione, su base maturativa, di un dispositivo specializzato


localizzato nel cervello: LAD (Language Acquisition Device).

- Bruner considera sia gli aspetti funzionali del comportamento sia gli aspetti biologico-evoluzionistici
della cultura umana (modello sociocostruttivista).

Egli ha posto l’accento sul ruolo dell’interazione sociale come specifico sistema di supporto all’apprendimento
del linguaggio: LASS (language acquisition support system).

La tendenza dell’adulto a commentare l’azione del bambino, a nominare e\o descrivere gli oggetti a cui sta
prestando attenzione favorirebbero l’apprendimento del lessico.

Senza l’ambiente linguistico in cui è immerso sin dalla nascita, il bambino andrebbe ben poco oltre i primi
balbettii.

IL RUOLO DELL’ADULTO

Adulti e bambini collaborano nella costruzione dell’abilità comunicativo-linguistica, essendo entrambi


predisposti biologicamente a entrare in contatto (intersoggettività primaria) e a cooperare tra loro
(intersoggettività secondaria).

La responsività della madre è predittiva non solo per lo sviluppo della comunicazione ma anche per lo sviluppo
mentale.

Motherese o baby talk → le madri si rivolgono ai figli piccoli utilizzando uno specifico stile linguistico che
presenta alcune caratteristiche: semplificazione, ridondanza, toni acuti, ritmo più lento che richiamano
l’attenzione del bambino sulla parola e sullo scambio comunicativo.

Le madri hanno la tendenza ad adattare stili comunicativi differenti (espressivo o referenziale) in analogia o
contrasto con l’organizzazione cognitiva dei loro bambini,
Stile espressivo → incentrato sugli aspetti emotivi dello scambio interpersonale;
Stile referenziale → approccio cognitivo al contesto

Inoltre sono state individuate strategie materne idonee a promuovere lo sviluppo del linguaggio:
- Contingenza tematica → Aderenza al contesto immediato a cui il bambino sta prestando attenzione;
- Contingenza semantica → espansione delle espressioni linguistiche del bambino.

Sarebbero più utili i comportamenti comunicativi dell’adulto che lasciano a lui l’iniziativa di dettare il tema dello
scambio.

Funzioni comunicative materne:

- Funzione tutoriale → di sostegno allo spontaneo comportamento del bambino (es. attraverso ripetizioni
e riformulazione delle sue espressioni)
- Funzione di controllo→ tende a correggere e dirigere il comportamento infantile
- Funzione asincronica → non è coordinata rispetto al comportamento del bambino.

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- Funzione didattica → proposta di nuovi stimoli e informazioni per l’ampliamento delle competenze del
bambino
- Funzione di conversazione → centrata sulle abilità di scambio interpersonale

ACQUISIZIONE E SVILUPPO DEL LESSICO

Le prime parole vengono mediamente acquisite tra i 12 e i 18 mesi.

Tra i 2 e i 3 anni il lessico si arricchisce di altre parole-contenuto (verbi e aggettivi) e di parole-funzione (articoli,
preposizioni, pronomi).

E’ più facile apprendere i nomi concreti in quanto si applicano a precisi referenti sensorialmente identificabili.
Anche le componenti sintattiche del linguaggio contribuiscono alla costruzione del significato delle parole e dei
discorsi.

Ad esempio, i primi significati dei verbi dipendono dalla percezione di stati, azioni. La modificabilità delle parole
e la diversa combinabilità tra loro permettono la formazione di unità semantiche differenziate e quindi la
codifica di un numero di informazioni sempre più ampio.

Verso i 3 anni esplodono nel lessico del bambino i termini psicologici, prima riferiti alle emozioni (es. triste,
piangere) poi alle valutazioni morali (es. buono, cattivo) e infine alla dimensione cognitiva (es. pensare).

7.1 Linguaggio tra concetto e significato

- Il concetto svolge una funzione di tipo adattivo rispetto alla società mentre il significato svolge una
funzione di tipo comunicativo sociale.
La formazione del concetto inizia in fase preverbale attraverso attività di esplorazione e categorizzazione
senso-motorie, precede e prepara la costruzione del significato delle parole.

- Il significato è un’entità più ampia che dipende anche da convenzioni linguistiche e socioculturali,
variabili storicamente e individualmente.

Il sistema semantico è una conoscenza organizzata linguisticamente, per cui i significati sono connessi tra loro
da reti semantiche.

- Il rapporto tra parole e significati riguarda l’abilità metalinguistica, che si manifesta dapprima in forme
implicite e successivamente in forme sempre più decontestuali.

- Comunicare efficacemente il contenuto di un termine non richiede solo la capacità di riflettere sul
linguaggio (atteggiamento metalinguistico) ma anche mettersi dal punto di vista delle esigenze informative
dell’altro (atteggiamento metarappresentativo) rispettando le regole della cooperazione comunicativa.

LINGUAGGIO E COGNIZIONE

- Secondo Piaget il linguaggio socializzato è espressione dapprima di un sottostante pensiero


egocentrico, poi di una costruzione endogena di strutture di pensiero reversibili e generalizzanti.

- Vygotskij → funzione di supporto al pensiero da parte del linguaggio sociale, per sua natura
interpsichico (sociale e comunicativo) e successivamente intrapsichico (interiore e privato).

Alla fine del secondo anno di vita il linguaggio verbale da mezzo per la comunicazione interpersonale si integra
progressivamente con il sistema cognitivo diventando un mezzo elettivo di costruzione e organizzazione delle
conoscenze. Il linguaggio avvia il lungo e mai concluso processo che porta alla costruzione intersoggettiva
della mente mediata e ibrida, per cui la cultura, assimilata dall’individuo, integra rappresentazioni cognitive e
vissuti individuali, rendendoli condivisibili intersoggettivamente. Tale condivisione si realizza grazie alla

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scolarizzazione, attraverso cui il bambino impara ad utilizzare il linguaggio rispettando le regole di forma e
contenuto.

Il contemporaneo sviluppo cognitivo consente di usare il linguaggio con funzione argomentativa, ovvero la
capacità di sostenere ragionamenti e punti di vista e confutare quelli di altri.

Lo sviluppo del linguaggio verbale, dunque, si colloca in continuità funzionale rispetto al più generale sviluppo
delle abilità comunicative e come prevalga un modello interpretativo non deterministico ; l’ipotesi più
accreditata è il ruolo cruciale svolto dall’adulto. In sintesi, il linguaggio verbale svolge funzioni sia interpersonali
sia intrapsichiche: designazione della realtà (funzione referenziale), organizzazione del pensiero (funzione
cognitiva), riferimento autoriflessivo al linguaggio stesso (funzione metalinguistica). Il linguaggio verbale
fornisce un contributo allo sviluppo della consapevolezza, dell’autoconsapevolezza e pertanto alla formazione
dell’identità personale (funzione di individuazione).

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6.LA TEORIA DELLA MENTE

L’espressione “Theory of Mind” (ToM) si riferisce ad un’abilità psicologica fondamentale per la vita sociale: la
capacità di capire e prevedere il comportamento sulla base della comprensione degli stati mentali (intenzioni,
emozioni, desideri, credenze) proprie e altrui (risale al 1978 con lo studio sugli scimpanzé).

Successivamente durante gli anni 80, iniziò un ricco filone di studi sullo sviluppo della ToM in età evolutiva.
Questi lavori misero a punto diverse versioni di quello che divenne un compito prototipico:

- il compito della falsa credenza → si chiede al bambino come il protagonista di una storia agirà, tenendo
conto della falsa credenza di questo e non del dato di realtà, noto soltanto a lui e allo sperimentatore.

- Spostamento inatteso → il soggetto deve predire dove il protagonista della storia andrà a cercare un
oggetto da lui inizialmente riposto in un contenitore e poi spostato in un un altro recipiente dall’altro
personaggio a sua insaputa.

- Scatola ingannevole → sperimentatore mostra al soggetto sperimentale una scatola chiusa di


caramelle il cui contenuto è stato sostituito a insaputa del soggetto medesimo. Dopo che il soggetto ha risposto
alla domanda circa il contenuto, gli viene chiesto di prevedere che cosa un’altra persona penserà vi sia nella
scatola quando lo sperimentatore gliela mostrerà chiusa, come ha appena fatto con lui.

Per risolvere questo genere di prove il bambino deve momentaneamente sospendere la propria conoscenza
sulla realtà, assumere la prospettiva dell’altro.
Pensiero ricorsivo (io penso\io credo) e metaconoscenza costituiscono la base di quell’insieme di concezioni
che ogni persona si costruisce sulla modalità di funzionamento della mente e sui suoi nessi con il
comportamento.

- Approccio Theory-Theory → Quando un bambino verso i 4 anni è in grado di comprendere che il modo
con cui l’altro agisce è guidato dalle sue credenze sul mondo e che queste credenze non sono
necessariamente lo specchio fedele della realtà, ma sono appunto referenzialmente opache rispetto a esso,
quel soggetto possiede una ToM o capacità di mindreading;

- Approccio della simulazione → maggior accento sul ruolo della conoscenza in prima persona
nell’attribuzione degli stati mentali, per cui il bambino arriverebbe a comprendere gli stati mentali attraverso il
lavoro dell’immaginazione.

- Comprensione della soggettività → la capacità di riconoscere che l’altro possa avere una credenza che
si discosta non solo dalla propria, ma anche dal dato di realtà, apre la strada alla comprensione e alla
consapevolezza della soggettività degli stati mentali, che consente di uscire dall’egocentrismo intellettivo e di

intervenire per influenzare gli stati mentali, modificando il corso delle azioni. Le tre prospettive teoriche sopra
citate hanno dominato la scena fino ai primi anni Novanta.
- L’approccio delle forme di vita → attribuisce un peso notevole ai processi di socializzazione;
- Punto di vista narrativo → pone l’accento sul ruolo rivestito dall’esperienza quotidiana che, corredata da
strumenti culturali quali script e format, conduce il bambino alla costruzione della teoria della mente;

Prospettiva interazionista → sottolinea il peso determinante dei contesti affettivamente connotati nel guidare il
bambino alla costruzione della capacità di mentalizzazione.

Questa svolta in direzione sociocontestualista ha anche aperto proficue connessioni con il dominio dello
sviluppo affettivo.

Due autori che meritano di essere considerati sono: Meins e Fongay.

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La Mind-Mindedness materna, definita come la propensione a trattare il proprio figlio come soggetto attivo,
dotato di una mente, e a usare nell’interazione termini che si riferiscono in modo appropriato a stati mentali.

- Meins → capacità delle madri con attaccamento sicuro di svolgere il ruolo di scaffolding. Meins
propende per un modello in cui la sicurezza nella relazione bambino-caregiver esercita un effetto a livello
metacognitivo attraverso la mediazione di specifici processi sociali come, per esempio, il gioco di finzione e
linguaggio.

- Fonagy → utilizzo di due etichette per designare la capacità di comprendere gli stati mentali propri e
altrui: funzione riflessiva del Sé o mentalizzazione. L’autore assegna un’importanza fondamentale alla
responsività materna, che fin dalle prime interazioni diadiche bambino-caregiver apre la strada alla costruzione
della comprensione mentalistica da parte del piccolo.

Egli definisce la capacità di contenimento materna come una competenza di tipo metacognitivo, che rende la
madre in grado di concepire il proprio figlio come soggetto mentale, e di restituirgli, attraverso le interazioni,
tale immagine di sé come soggetto dotato di una mente.

La sistematica mancanza di tale capacità da parte del caregiver, condurrebbe al fallimento nello sviluppo nel
bambino della capacità di mentalizzazione.

Con la funzione riflessiva del sé (o mentalizzazione) si intende la capacità intersoggettiva di comprensione


di sé e degli altri, che si sostanzia nella relazione primaria tra il piccolo e il caregiver.

2. LE TAPPE EVOLUTIVE DELLA TOM: DAGLI STUDI CENTRATI SULL’ETA’ EVOLUTIVA ALLA
PROSPETTIVA DEL CICLO DI VITA

Un primo elemento di indagine su cui gli studiosi si focalizzarono fu quello di stabilire a quale età i bambini
raggiungessero la capacità di ragionare sul comportamento in termini metarappresentazionali.

Il compito di falsa credenza venne utilizzato come cartina al tornasole per la verifica del possesso della ToM.

Tre sono le ragioni che spiegano la centralità della comprensione delle credenze per la nostra vita sociale:

- la predicibilità del comportamento → diviene non solo comprensibile ma anche prevedibile se sappiamo
tutto ciò che l’altro crede;
- la spiegazione del comportamento → anche e soprattutto per quei comportamenti che sembrano strani,
divengono più chiari grazie al nostro sforzo di inferire cosa passi per la testa dell’altro;

- manipolazione del comportamento → conoscere le credenze dell’altro ci consente di intervenire su di


esse.
L’età dei 4 anni è considerata una sorta di spartiacque tra una fase evolutiva in cui il bambino non è ancora in
grado di ragionare a livello metarappresentazionale sulla credenza, tanto da commettere quello che nei compiti
di falsa credenza è definito “errore realistico” (cioè estendere la propria conoscenza della realtà all’altro) e una
fase successiva in cui raggiunge tale abilità che gli consentirà, negli anni seguenti, di articolare livelli di
ricorsività del pensiero sempre più complessi.

Già nei primi 2 anni di vita i bambini mostrano di possedere strutture e schemi cognitivi che preparano la
comparsa della ToM, veri e propri precursori quali:

- Il riferimento sociale (social referencing)


- L’attenzione condivisa (joint-attention)
- Il gesto di indicare con funzione dichiarativa (declarative pointing);
- Comprensione dell’agency

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- La comprensione della percezione visiva
- Il gioco di finzione

L’attenzione condivisa e i gesti deittici costituiscono tappe fondamentali dello sviluppo comunicativo e
linguistico; i gesti deittici svolgono inizialmente una funzione imperativa o richiestiva.

Per esempio, un bambino di 6 mesi indica l’oggetto lontano (pointing) o alterna lo sguardo tra esso e l’adulto
(joint-attention) affinché l’adulto a sua volta lo guardi, lo prenda e glielo porga: si tratta del performativo
richiestivo.

Tra gli 11 e i 14 mesi → il bambino indica ma lo fa anche per attirare l’attenzione su qualcosa che per lui è
interessante (performativo dichiarativo).

Quello che muta è la finalità del gesto deittico, in quanto viene usato per influenzare lo stato mentale.

Con il termine agency si intende la comprensione che gli esseri animati agiscono autonomamente, causando a
propria volta degli effetti su altri oggetti\agenti .

Tale concezione costituisce la base per l’elaborazione di nozioni quali la distinzione tra essere animato e
inanimato, da cui scaturirà la concezione dell’altro come essere autonomo.

La comprensione della percezione visiva → costituisce un prerequisito per la capacità di lettura della mente,
nel momento in cui il bambino di 2 anni capisce a quali condizioni una persona può percepire un oggetto e che
tale percezione può essere divisa dalla propria.

Gioco di finzione → i diversi elementi in esso presenti, favoriscono la possibilità di concepire e manipolare un
mondo possibile accanto al mondo reale.

Il gioco di finzione è stato annoverato tra le abilità psicologiche maggiormente implicate nello sviluppo della
capacità di comprensione della mente fin dai primi contributi sistematici sulla ToM.

Verso la fine degli anni Novanta del secolo scorso e inizio anni Duemila, l’interesse per il percorso evolutivo
della ToM si è aperto a una prospettiva del ciclo di vita che considera lo sviluppo come un processo complesso,
multicomponenziale e multifattoriale. Tale percorso non si conclude con il raggiungimento della prima età
adulta ma è soggetto a continue trasformazioni anche nell’età adulta successiva e nell’età anziana.

3. LA TOM IN PROSPETTIVA LIFE SPAN: QUESTIONI EMERGENTI

Occuparsi di ToM in prospettiva life span che mettesse a tema gli sviluppi della comprensione di sé e dell’altro
successiva al superamento del compito di falsa credenza di secondo ordine (7-8 anni) ha richiesto agli studiosi
di prendere in considerazione diversi elementi.

Innanzitutto la necessità di mettere a punto compiti sempre più complessi come le false credenze di terzo
ordine, compiti avanzati che valutino componenti meno ricorsive e più ecologiche del costrutto di ToM, quali le
strange stories, fino a prove mentalistiche articolate da quelle più semplici sino a quelle più complesse.

Ciò che è stato messo in discussione non è la presenza\assenza della ToM negli adulti, quanto la sua modalità
di utilizzo. (vedere p.137)

4.LINGUAGGIO E TOM: ASPETTI TIPICI E ATIPICI

Il legame tra ToM e linguaggio è stato oggetto di studio fin dall’inizio nell’ambito della ricerca sulla ToM dal
momento che rimangono evidenze della variabilità interindividuale nel superamento del compito di falsa
credenza.

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Inoltre, il compito di falsa credenza fa perno sulla capacità linguistica del bambino, sia a livello di comprensione
della storia, sia a livello di produzione della risposta fornita e della capacità di giustificare tale risposta.

Dalle ricerche è emersa la conferma dell’esistenza di una relazione, da moderata a forte, tra abilità linguistiche
e risposte al compito di falsa credenza, che sussiste indipendentemente da fattori quali età e il genere.

Un secondo risultato è relativo a fattori più specifici tra cui la semantica, il vocabolario recettivo, la sintassi e la
memoria per la complementazione.

Il fattore più forte è la capacità di comprendere e produrre frasi sintatticamente sempre più complesse.

Altri elementi rilevanti per la questione del legame tra ToM e linguaggio sono: elemento culturale e pragmatico
conversazionale e clinico.

L’elemento pragmatico- conversazionale sposta l’attenzione sul supporto della dimensione relazionale con il
caregiver e con i pari.

L’evidenza del legame tra linguaggio e ToM nello sviluppo tipico è stata ulteriormente confermata anche da
studi condotti in condizioni di sviluppo atipico, in particolare nel disturbo specifico del linguaggio, nella sordità,
nel Disturbo dello Spettro Autistico e nelle condizioni di danno cerebrale.
Per quanto concerne i bambini con sordità, il deficit e ritardo nello sviluppo della capacità di
metarappresentazione sarebbe imputabile, secondo gli autori, a una scarsa partecipazione alle conversazioni
quotidiane.

5. PROSPETTIVE FUTURE

L’interesse degli studiosi ha iniziato a dirigersi anche verso il versante dell’intervento educativo e\o riabilitativo
al fine di supportare questa abilità. Una prima, stimolante prospettiva è quella dei training, volti a supportare lo
sviluppo della ToM lungo diverse traiettorie: interventi direttamente rivolti a soggetti in condizioni evolutive
tipiche e a persone in età anziana.

Un secondo filone di indagine riguarda i rapporti tra ToM e processi decisionali nel ciclo di vita → decidere in
modo efficace è fondamentale per il nostro adattamento alla vita sociale, e la ToM entra in gioco nei processi
decisionali interattivi sia sul piano comportamentale.

7.LO SVILUPPO MORALE E SOCIALE

L’architettura del funzionamento morale è complessa e articolata e comprende al suo interno dimensione di
ordine diverso:

- cognitivo → come processi di ragionamento e decisione morale in merito a cosa sia giusto o sbagliato
- cognizione morale → comprensione delle norme che definiscono obblighi di azione;
- emotivo → in riferimento a provare emozioni morali, empatiche o di colpa e vergogna.

Dal comprendere e dal sentire morale deriva l’azione morale che risente anche di influssi sociali differenti e può
scostarsi o contraddire la valutazione di quale comportamento sia giusto porre in essere.

2.LE ORIGINI DELLA MORALITA’

Secondo Elliot Turiel, la moralità attiene a due principali dimensioni delle relazioni interumane: cura ed equità.

- La dimensione della cura ha a che fare con un sentimento di preoccupazione per il benessere altrui (far
male agli altri senza motivo è sbagliato mentre aiutare un individuo che soffre è giusto).

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- La dimensione della equità (o della giustizia) → riguarda il rispetto di regole, secondo il principio per cui
tutti gli individui dovrebbero godere degli stessi diritti.

I bambini si ritiene che siano spontaneamente egoisti.

- Thomas Hobbes afferma che gli individui, spinti dalla rivalità e dalla competizione per il
soddisfacimento dei propri bisogni, sarebbero condannati all’annientamento reciproco e, solo accordandosi gli
uni con gli altri, attraverso l’istituzione di norme sociali e morali, è possibile la convivenza civile.
- Anche secondo Freud lo sviluppo ontogenetico è basato sul passaggio dal cosiddetto “Principio del
piacere” al “principio della realtà” nel corso del quale il bambino rinuncerà al soddisfacimento delle proprie
pulsioni “naturali” a beneficio delle istituzioni sociali anche se ciò comporterà costi in termini di felicità e
appagamento (disagio della civiltà).
- Rousseau → nel 700 ipotizzò che l’essere umano nascesse buono e fossero proprio le regole e i valori
sociali a corromperne la natura durante la crescita.

Negli ultimi decenni, grazie a ricerche in area psicologica, il quadro di riferimento è mutato; ha cominciato a
farsi strada l’idea che i bambini tendano spontaneamente a mettere in atto condotte altruistiche.

2.1 L’empatia

Secondo Hoffman, l’empatia è il cardine intorno a cui si sviluppa la moralità.

La ricerca psicologica ha messo in luce tre componenti dell’empatia: affettiva, cognitiva e fisiologica.

Come espressione affettiva, l’empatia va intesa come condivisione emozionale, una risposta affettiva
corrispondente a quella di un’altra persona.

In termini cognitivi, essa va intesa come la comprensione dell’esperienza di un altro, come consapevolezza
cognitiva degli stati interni di un’altra persona.

La componente fisiologica dell’empatia, si riferisce al coinvolgimento di funzioni legate alle attività del sistema
nervoso autonomo o di substrati neurali o ormonali che operano nell’indurre un individuo a comportarsi e a
sentire in modo speculare a un’altra persona.
La scoperta dei neuroni specchio ha gettato nuova luce sulle basi neurali della capacità di comprendere lo
stato mentale dell’altro.
Essi sono un particolare tipo di neuroni motori collocati nella neo-corteccia che si attivano in modo del tutto
speculare ai neuroni di un altro soggetto che viene osservato compiere un’azione.
Probabilmente essi sono implicati nel processo innato dell’imitazione e svolgono un ruolo decisivo nella
comprensione e condivisione delle emozioni altrui e quindi dell’empatia.

Quando è possibile osservare le prime manifestazioni empatiche nel bambino? Secondo Hoffman sin dalla
nascita esiste una forma rudimentale di empatia, lo stadio zero che si osserva dutante il “pianto reattivo del
neonato” quel fenomeno per cui i neonati tendono a piangere nell’udire il pianto di un altro neonato.

Si tratta di una corrispondenza empatica molto primitiva, attivata da processi automatici e fisiologici (alcuni
studiosi definiscono questa esperienza come un “contagio emotivo”).
Il primo stadio di autentica empatia compare intorno ai 6 mesi, denominato “empatia egocentrica”, quando il
bambino manifesta disagio in presenza del malessere di un altro ma cerca conforto per sé stesso,
aggrappandosi, ad esempio, al petto di sua madre. Lo stadio successivo è quello dell’empatia “quasi
egocentrica” e si manifesta verso il secondo anno di vita.

In questa fase il bambino manifesta i primi veri e propri comportamenti di aiuto vrso una persona che mostra
sofferenza ma le modalità che utilizza nel prestare aiuto sono ancora molto rudimentali (es. offrire un gioco ad
un adulto che piange).

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Una forma più matura di empatia si osserva verso i 3 anni e corrisponde al terzo stadio di “empatia veridica” in
cui il bambino non solo comprende lo stato di malessere dell’altro ma pone in essere azioni di effettivo
beneficio all’altro.
L’ultimo stadio dell’empatia è quello della empatia per la condizione esistenziale dell’altro che può manifestarsi
solo quando sono state raggiunte nel corso dello sviluppo forme più astratte di pensiero.

In questo caso si può provare empatia anche in assenza di una manifesta espressione di sofferenza nell’altra
persona ma in relazione alle rappresentazioni mentali evocate dalla sua condizione esistenziale.

2.2 Il comportamento prosociale

Hoffman ha messo in relazione lo sviluppo della moralità allo sviluppo dell’empatia, che richiede una piena
integrazione tra maturazione affettiva e maturazione cognitiva con lo sviluppo delle abilità di Teoria della Mente,
alla base dell’abilità di perspective-talking (la capacità di comprendere lo stato mentale dell’altro).

Si potrebbe ipotizzare, quindi, che se si comprendono e si condividono le emozioni dell’altro, in particolar modo
quelle di sofferenza, questi vissuti dovrebbero promuovere una congruente azione di aiuto e supporto della
persona che soffre.

Si deve soprattutto a Nancy Eisenberg il merito di avere contribuito a comprendere il rapporto tra empatia,
prosocialità e moralità. Eisenberg ha posto attenzione alla sympathy (compassione), un sentimento che
origina dall’empatia, ma, che comprende anche un sentimento di preoccupazione verso la condizione dell’altro
che può precedere un vero e proprio comportamento prosociale.

L’attivazione empatica non sempre si traduce in un comportamento prosociale e morale, dal momento che
condividere la sofferenza di un altro implica che si sperimenti anche una condizione di disagio personale
(personal distress), che può divenire così intenso da indurre a un ritiro egoistico allo scopo di evitare di
sperimentare la stessa sofferenza che prova l’altro.

Per Eisenberg, il fattore chiave alla base dell’evoluzione dell’empatia in sympathy, e quindi del comportamento
prosociale, risiede in primo luogo nella capacità di self-regulation → processi psicologici implicati nella gestione
e modulazione degli stati emotivi, motivazionali e fisiologici.

L’autoregolazione emotiva è determinata da un tratto temperamentale denominato effortful-control, che


sovrintende all’abilità di pianificare le proprie azioni e rilevare errori nella propria condotta.

Quando si è a contatto con un’altra persona che prova un intenso dolore, si può verificare un eccesso di
attivazione empatica e sperimentare livelli elevati di disagio personale. Di conseguenza, i bambini potrebbero
tenere a rifuggire da tale situazione. Se, però, essi sono in grado di mantenere l’attivazione emotiva entro livelli
moderati, grazie alle abilità di effortful-control, sarà possibile dare conforto all’altro che ha bisogno di aiuto e
trasformare l’esperienza empatica in sympathy.

Quali sono i fattori alla base di una risposta empatica di tipo simpatetico? Se, da un lato, fattori biologici di tipo
temperamentale hanno un ruolo rilevante, dall’altro anche i fattori educativi e relazionali svolgono un ruolo
fondamentale. E’ stato osservato come un clima familiare positivo, improntato al calore e alla condivisione di
stati emotivi, possa influenzare i livelli di sympathy nei bambini.

Quando i genitori sono in grado di instaurare con i figli una relazione improntata al calore, di creare le
condizioni per un legame di attaccamento sicuro e offrono essi stessi un modello di comportamento prosociale
ai figli, quest’utlimi esibiscono livelli più elevati di sympathy.

2.3 Le origini naturali del “buono” e del “giusto”

Quale vantaggio deriverebbe dal dedicare tempo, risorse ed energie per aiutare un altro individuo? La risposta
risiede nella stessa teoria dell’evoluzione dell’uomo, la cui sopravvivenza è stata resa possibile proprio dalla

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propensione naturale di creare alleanze, di cooperare, di costruire rapporti basati sulla reciprocità. Alcuni
comportamenti altruistici sono sorprendenti non solo nella specie umana ma in molte specie animali.

Una spiegazione fornita dagli evoluzionisti è quella della kin selection, ovvero della selezione di parentela, per
cui gli individui agiscono in modo altruistico soprattutto nei confronti di altri individui con cui vi è uno stretto
legame di parentela.

Tuttavia, comportamenti di cooperazione e altruismo non sono stati attivati solo verso i consanguinei ma anche
verso un numero più esteso di individui.

E’ quella che viene definita “morale nel modo della seconda persona”, una sorta di innato modulo morale che
guiderebbe il comportamento e il giudizio delle persone e dei bambini fin dalla più tenera età, sulla base del
principio che aiutare gli altri è giusto e che esista una sorta di equivalenza tra gli esseri umani per cui il senso
del noi sostituisce il senso dell’io nel prendere decisioni.

Persino bambini molto piccoli sembrano in grado di discernere un comportamento ingiusto da uno equo e
mostrano di preferire quest’ultimo.

3.LA COGNIZIONE MORALE

Gli approcci classici allo sviluppo morale, a differenza di studi più recenti che si sono focalizzati sulle
dimensioni emotive della moralità, si sono incentrati principalmente sulle dimensioni cognitive, connesse ai
processi di valutazione e presa di decisione morale e all’architettura della conoscenza relative a norme e
regole.

3.1 I modelli stadiali


In questa prospettiva rientrano i modelli stadiali proposti da Piaget, Kohlberg e Gibbs. Questi autori sono
accomunati da un’impostazione strutturalista e cognitivo-evolutiva che vincola lo sviluppo della capacità di
compiere ragionamenti e inferenze di tipo morale allo sviluppo delle più generali abilità cognitive, che
nell’ipotesi formulata da Piaget, dovrebbe avvenire secondo una sequenza stadiale comune a tutte le persone.

Piaget ritiene che il cambiamento con l'età dei processi di ragionamento morale dipenda principalmente
dall'evolvere nel tempo dell'organizzazione cognitiva e delinea una sequenza di sviluppo morale in tre periodi.

- Per i primi 4-5 anni di vita il bambino vivrebbe in una condizione di anomia morale, in cui non
mostrerebbe interesse per le regole e il suo comportamento eterodiretto dall'adulto.

- Fino ai 7-8 anni il bambino si troverebbe nel primo vero stadio della moralità, denominato di realismo
morale.
In questa fase la comprensione morale del bambino sarebbe caratterizzata da una concezione della norma
come eteronoma, ossia fondata da un'autorità esterna (l'adulto) e avente valore solo nella misura in cui
l'autorità è in grado di farla rispettare.

In questa fase il bene si identifica con l'obbedienza e il rispetto di una regola deriva dal fatto che dalla sua
trasgressione deriva una punizione.
In questo periodo, nel valutare un'azione il bambino considera prevalentemente le conseguenze che essa
produce(responsabilità oggettiva) e non l'intenzione che anima.

- Allo stadio del realismo morale segue l'ultimo stadio di sviluppo morale denominato di relativismo
morale (o soggettivismo). Questo stadio compare intorno ai 10 anni e la concezione della norma che lo
contraddistingue è di una norma che ha valore per sé stessa (moralità autonoma) , perché fondata sulla
cooperazione, la reciprocità e la negoziazione sociale.

In questa fase la valutazione morale si basa su principi interiorizzati che esprimono un ideale di giustizia
avvertito come esigenza interiore, indipendentemente dai dettami dell'autorità e nel giudicare l'azione prevale
la valutazione dell'intenzione da cui l'atto origina (responsabilità soggettiva).

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- Kohlberg condusse una serie di studi in cui a partecipanti di diversa età venivano proposte situazioni
dilemmatiche ipotetiche poche richiedevano di scegliere tra due principi morali.

Egli ha proposto un modello stadiale fondato sull'acquisizione del concetto di convenzionalità, secondo il
quale lo sviluppo morale prevede un progressivo adeguamento alle norme morali dei gruppi sociali a cui si
appartiene con una sequenza evolutiva si tre livelli di ragionamento morale, ciascuno suddiviso in due sotto
livelli o stadi.

Il primo livello è il "preconvenzionale" e prevale fino ai 9-10 anni di età. In questo livello il pensiero del bambino
appare superficiale e autocentrato, con una concezione della norma eteronoma.

Nello stadio 1 il bambino nel valutare la situazione privilegia i bisogni personali e ubbedisce alla norma per
evitare le punizioni.

Nello stadio 2 le regole sono rispettate quando ne deriva un vantaggio e si agisce in funzione dei propri
bisogni.

Segue il livello convenzionale, riconoscibile intorno ai 13 anni fino ai 20, in cui le regole e le aspettative sociali
vengono interiorizzate e che comprende lo stadio 3 e il 4.

Nello stadio 3 il giovane tende a conformarsi alle aspettative del proprio gruppo sociale e agisce al fine di
sentirsi buono e ottenere considerazione dagli altri.

Nello stadio 4 la regola è riconosciuta come fondata dalla necessità di mantenere l'ordine sociale e il giovane
agisce per senso di responsabilità verso le istituzioni.

L'ultimo livello, il postconvenzionale, compare intorno ai 20 anni ed è contraddistinto da una concezione dei
valori morali più complessa in cui è presente l'idea che esistano dei principi etici universali a cui si aderisce per
scelta e che possono confliggere con le regole sociali e convenzionali.

Nello stadio 5 il giovane nel valutare l'azione è ora pienamente consapevole dell'esistenza di opinioni e valori
diversi a seconda dei gruppi sociali ma riconosce anche l'esistenza di alcuni valori assoluti validi anche quando
contrastano il valore della maggioranza.

Nel sesto stadio, i principi etici universali sono concepiti come vero e più profondo fondamento della legge e se
vi è contrasto tra regole sociali e principi universali, questi ultimi vegono privilegiati.

Un aspetto importante di tale modello è la transizione dallo stadio 2 allo stadio 3, grazie al quale avviene il
passaggio a una moralità più matura e questo elemento è ripreso nel modello stadiale proposto da Gibbs.

Gibbs --> Anche Gibbs ritiene che il ragionamento morale evolva con una sequenza stadiale, ma distingue due
aspetti che denomina fasi dello sviluppo: la fase dello sviluppo morale standard e la fase esistenziale.

- Lo sviluppo morale standard è la componente di base e riguarda la comprensione delle regole e la


valutazione dell'azione giusta o sbagliata. Al suo interno è compresa una sequenza di stadi.

I due stadi iniziali sono detti immaturi o superficiali, in questi stadi il ragionamento morale appare autocentrato.

Nello stadio 1 il pensiero morale è influenzato da tendenze e motivazioni egocentriche e nella valutazione della
situazione prevalgono i dati fisici, mentre nello stadio 2 è presente una morale pragmatica e autocentrata.
I due stadi compaiono nella tarda infanzia\ prima adolescenza e sono denominati di moralità matura, compare
nel ragionamento un principio di reciprocità morale ideale che

- nello stadio 3 si fonda sulla fiducia e il rispetto reciproci come base delle relazioni interpersonali.

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- nello stadio 4 si incardina sul riconoscimento e l'accetazione dei valori e delle istituzioni presenti nel
sistema sociale in quanto necessari.

La fase di sviluppo esisteziale riguarda la comparsa e l'evoluzione delle abilità di riflessione contemplative e
metaetiche. Queste capacità permettono di riflettere sulle ragioni dell'etica e di elaborare filosofie e principi
morali.

Nel suo modello Gibbs conserva alcuni degli assunti di base delle concettualizzazioni di Piaget e Kohlberg, in
particolare l'idea che sia possibile riconoscere una sequenza invariante di stadi a cui fondamento vi è lo
sviluppo cognitivo, che rende possibile l'accesso agli stadi più maturi grazie alla comparsa delle funzioni
operatorie, seppure sia comunque possibile che si verifichi un blocco o un ritardo morale (moral delay) per cui
la persona può rimanere vincolata ai primi stadi di moralità immatura.

3.2 Dal ragionamento all'azione morale

- Teoria dei domini --> gli studiosi pongono in discussione l'ipotesi che lo sviluppo morale proceda
secondo una sequenza di stadi di ragionamento caratterizzati da una diversa visione della norma e
propongonon che la cognizione morale, ossia la conoscenza connessa a tipi diversi di regole e alle condizioni
della situazione che influiscono sulla valutazione di un'azione come giusta, sia articolata in domini cognitivi
separati.

Vengono distinte tre tipologie di regole a cui fanno riferimento domini diversi.

- Regole morali --> hanno il loro fondamento sul principio che si debba salvaguardare il benessere delle
persone, esemplificato dalla norma che non si debba procurare dolore agli altri. Esse sono percepite avere
valore in modo universale, trasversalmente alle culture e indipendentemente dai dettami delle autorità.

- Regole socioconvenzionali --> mirate a preservare l'ordine sociale. Esse trovano il loro fondamento
nell'autorità che le definisce e che è in grado di farle rispettare, non sono universali ma valide nel contesto in
cui sono formulate e la loro trasgressione è avvertita come meno grave di quella delle regole morali. (es. regola
nelle scuole che vieta di indossare un certo tipo di abbigliamento).

- Principi di scelta personale --> non soggetti ai dettami dell'autorità e dipendenti esclusivamente dalla
decisione della persona. Esse riflettono la distinzione tra moralità eteronoma (in cui la norma vale per l'autorità
che l'istituisce) e autonoma (in cui la norma ha valore in stessa) proposta nelle teorie stadiali.
Già nei primi anni di vita i bambini sarebbero in grado di comprendere le norme morali come valide per sé
stesse, distinguendole dalle regole socioconvenzionali il cui valore è relativo al contesto e alla loro
esplicitazione da un'autorità.

A seconda di quale tra questi tre aspetti di dominio prevale nella valutazione personale, l'eventuale
trasgressione commessa viene valutata come più o meno grave. La differenza nelle tendenze personali a
favorire un dominio all'altro nelle situazioni concrete di dominio misto, quindi, potrebbe spiegare perché è
possibile mettere in atto azioni trasgressive di regole morali riconosciute in astratto come inviolabili.
Bandura contesta l'impostazione eccessivamente razionalistica dei modelli stadiali, valutati come troppo
distanti dalla realtà sociale e da come gli individui giudicano nella vita reale. Bandura sostiene che nelle
interazioni con il contesto sociale, in primo luogo famiglia e gruppo dei coetanei, il bambino apprende e
interiorizza le norme morali e impara i criteri da utilizzare per le valutazioni morali.

In questo processo, particolarmente rilevante è il ruolo degli adulti che attraverso premi, rinforzi, proibizioni e
sanzioni guidano la condotta del bambino e facilitano la sua comprensione di cosa sia socialmente approvato o
disapprovato.

Dal contesto sociale, tuttavia, il bambino apprende anche a utilizzare processi cognitivi di disimpegno morale,
che consentono di evitare la reazione affettiva interna conseguente all'avere trasgredito i propri standard di
condotta e i principi morali interiorizzati.

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I meccanismi di disimpegno morale sono 8 e operano ristrutturando a livello di pensiero la portata della propria
azione trasgressiva (ad esempio confrontandola con una più grave), il peso della propria responsabilità
nell'azione (attribuendo la responsabilità ad altri) il ruolo della vittima o le conseguenze dell'atto, che vengono
minimizzate.

In questo modo l'azione trasgressiva viene presentata a sé stessi come accettabile. Nel modello di Bandura,
pertanto, i principi morali interiorizzati non assicurano la messa in atto di azioni moralmente giuste, come nei
modelli stadiali, ma i processi di autoregolazione della condotta e i meccanismi di disimpegno morale di
interpongono come mediatori tra la valutazione del giusto e l'azione concreta.

3.3 Il comportamento aggressivo come azione immorale

Diversi studi hanno rivelato che bambini e adolescenti aggressivi o prepotenti ricorrono maggiormente al
disimpegno morale.

Per comprendere meglio la relazione tra cognizione morale e sociale e condotta aggressiva, è tuttavia
necessario distinguere aspetti e tipi diverso di questo comportamento.

- Aggressione → atto che procura danno agli altri;

- Aggressività → tendenza come stile personale di condotta a porre in essere aggressioni;


- Aggressività reattiva → tendenza ad agire risposte distruttive emotivamente calde a una situazione
percepita come un attacco;
- Aggressività proattiva → l’aggressione è posta in essere al fine di ottenere un beneficio materiale
sociale o emotivo.

L’aggressività proattiva è meno emotivamente pregnante e spesso pianificata e calcolata. Nello stesso
comportamento aggressivo possono esservi sia componenti di aggressività reattiva che di aggressività
proattiva e una stessa persona può mettere in atto condotte aggressive di entrambi i tipi.

Un modello dei processi sociocognitivi che possono soggiacere a spiegare la condotta aggressiva è il modello
dell’elaborazione dell’informazione sociale, secondo cui le interazioni sociali spesso costituiscono problemi da
risolvere in cui la persona deve comprendere le intenzioni alla base delle azioni dell’altro e decidere che azione
porre in essere in risposta.

Nell’immediatezza dell’interazione sociale si attiverebbe in modo pressoché automatico un processo


sequenziale di analisi ed elaborazione dell’informazione sociale a sei passi:

1. Codifica dello stimolo sociale → viene posta attenzione ai comportamenti del partner dell’interazione;
2. Interpretazione dello stimolo → viene attribuita all’azione dell’interlocutore un’intenzione (es. attacco);
3. Definizione degli obiettivi → la persona definisce gli obiettivi che vuole raggiungere con l’azione che
metterà in atto, di mantenimento delle buone relazioni con l’altro (relational goals) o di raggiungimento di un
vantaggio personale (instrumental goals);
4. Ricerca di una risposta → la persona elabora tutte le possibili azioni che può agire per raggiungere i
suoi obiettivi;
5. Scelta della risposta da mettere in atto → avviene sulla base dell’analisi della situazione e in base a
quanto la persona si sente efficace nel mettere in atto un comportamento;

6. Messa in atto della risposta → La risposta agita produrrà negli interlocutori e negli astanti delle reazioni
(feedback) che consentono nel futuro di affinare o modificare il processo.

L’intero processo è inoltre influenzato da fattori emotivi.

Crick e Dodge sostengono come alla base del comportamento aggressivo vi siano distorsioni cognitive (bias) e
alterazioni nella qualità dell’elaborazione dell’informazione sociale durante questo processo.

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- Secondo questo studio, bambini e adolescenti aggressivi-reattivi focalizzano l’attenzione su quegli
elementi che segnalano una possibile minaccia e propendono più facilmente ad attribuire all’altro una volontà
di attaccare e, quindi un’intenzione ostile verso di sé → tendenza all’attribuzione ostile.

- Bambini e adolescenti proattivi → sembrano presentare distorsioni in particolare nei passi di definizione
degli obiettivi e di valutazione e scelta della risposta: tendono a privilegiare il raggiungimento dei vantaggi
personali e tendono a scegliere di mettere in atto aggressioni, poiché le valutano strumenti utili per ottenere i
loro obiettivi.

La condotta aggressiva può essere dovuta al verificarsi di uno scivolamento (shift) di dominio, per cui il
comportamento aggressivo verrebbe considerato dalla persona come un’azione regolata da norme specifiche
di contesto, dipendenti dai dettami dell’autorità e dalla sua capacità di fare rispettare la regola, o dai criteri di
scelta personale.

4. LA SOCIALIZZAZIONE MORALE: I CONTESTI DI CRESCITA

4.1 Il ruolo della cultura

Il confronto tra diversi modelli di moralità è un tema attuale poiché si è di fronte a società multiculturali in cui
convivono differenti sistemi valoriali e modelli normativi di comportamento. Un interrogativo che guida gli
studiosi è se tali differenze siano profonde o superficiali, se cioè, al di là di alcune evidenti differenze, le diverse
culture condividano gli stessi principi morali di base o se, invece, il processo di acculturazione abbia prodotto
una varietà di principi da renderli inconciliabili.

- Approccio evoluzionistico o approccio stadiale → lo sviluppo morale procede lungo una analoga
sequenza invariante in tutti gli individui.
Ad esempio, secondo Kohlberg, le differenze socioculturali, identificate nel livello di maggiore o minore
complessità e flessibilità della struttura economica e sociale, possono influire sui livelli di moralità che
l’individuo raggiunge nel corso della vita ma non sull’ordine gerarchico con cui i livelli di moralità compaiono nel
corso dello sviluppo individuale.

- Approccio culturalista → le persone che appartengono a una specifica cultura acquisiscono i modelli di
moralità dominanti nella società cui essi appartengono.

Una delle classificazioni è quella che distingue le società in individualistiche e collettivistiche.


- Le culture con un orientamento individualistico (per lo più occidentali) → lo sviluppo deve procedere
verso una sempre maggiore autonomia dell’individuo e che i principi che guidano l’esistenza umana siano la
libertà individuale e il perseguimento dei propri obiettivi personali.

- Le culture con un orientamento collettivistico (per lo più Asia, Africa, Sud-America) → strutturano
l’esperienza sociale in modo da consolidare sempre più i legami verso strutture collettive come la famiglia e la
comunità. Gli individui interiorizzano come norma morale dominante il rispetto dei doveri verso la comunità a
scapito della realizzazione personale e i fondamenti della moralità sono la conservazione dei valori morali della
tradizione, a cui si associa un elevato controllo sui comportamenti individuali che devono essere conformi a
pratiche culturalmente accettabili.

Due diversi codici morali, etichettati rispettivamente come “etica dell’autonomia” e “etica della comunità”.

- Etica dell’autonomia → il discorso sulla morale è incentrato sui temi della cura verso gli altri, la difesa
dei diritti inalienabili dell’individuo, i principi dell’equità e il valore della libertà.

- Etica della comunità → i discorsi sulla morale vertono sulla valutazione del grado di accordo tra il
comportamento individuale e le norme della comunità in cui la persona vive.

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Alcuni studi hanno evidenziato come, sin dai primi anni di vita. i bambini tendono a formulare giudizi su temi
morali conformi ai pattern culturali dominanti nella società di appartenenza.

4.2 Il ruolo della famiglia

La trasmissione dei valori morali dai genitori ai figli avviene durante il percorso della socializzazione, un
insieme di processi costituiti da pratiche educative, formazione, imitazione attraverso cui il bambino farà propri,
percependoli come autogenerati e indipendenti da fattori contestuali, valori e norme di comportamento che gli
consentiranno di adattarsi al contesto in cui vive.

Ha luogo tuttavia un processo di “riproduzione interpretativa”, termine con cui si enfatizza il contributo attivo del
bambino nel filtrare, selezionare, elaborare i contenuti tramandati dalle generazioni precedenti e, al tempo
stesso, creare nuove norme sociali nel corso dello sviluppo.

Grusec e Godnow enfatizzano il ruolo del figlio nel percepire e interpretare i valori genitoriali. Secondo gli
autori, diversi fattori influenzano il processo di internalizzazione dei valori morali genitoriali da parte dei figli.

- Accuratezza della percezione → la chiarezza con cui il figlio percepisce i valori dai propri genitori.
Perché ciò avvenga, è necessario che vi sia un elevato grado di accordo nella coppia genitoriale su quali siano
i principi morali più importanti in base a cui

educare i figli.

Al contrario, il disaccordo valoriale nella coppia genitoriali genererà confusione nei figli sui valori di riferimento.

- Ridondanza → tendenza dei genitori a ribadire in più occasioni il proprio punto di vista ai figli, che in tal
modo avranno meno incertezze su quali siano i principi morali dei genitori.

Necessaria è anche la coerenza che i genitori devono mostrare tra i principi professati e comportamento
concreto.

- Flessibilità educativa associata a un clima relazionale positivo → un’eccessiva rigidità genitoriale non
favorisce l’internalizzazione dei valori morali, che non può avvenire sulla base di costrizioni. I figli saranno più
motivati e sollecitati ad aderire ai valori morali genitoriali se si sentiranno accolti nei propri bisogni.

Vi è ampio accordo tra gli studiosi che un clima affettivo improntato al calore e all’aiuto reciproco nell’ambito
familiare rappresenti un fattore cruciale per lo sviluppo della moralità nei bambini.

Inoltre, nel quadro di un attaccamento sicuro vi è meno timore nell’esprimere i propri sentimenti e punti di vista.

Tuttavia, è soprattutto nell’analizzare lo stile educativo genitoriale e le pratiche disciplinari che gli psicologi dello
sviluppo hanno individuato i fattori chiave alla base del processo di internalizzaizone morale.
Hoffman definisce “incontro disciplinare” una situazione in cui un bambino mette in atto un comportamento
ritenuto indesiderabile dal genitore il quale interviene allo scopo di prevenirlo, reprimerlo o modificarlo.

Essi raggiungono il picco intorno ai 2-3 anni e tendono progressivamente a diminuire. Secondo Hoffman le
modalità educative che i genitori adottano durante gli incontri disciplinari sono particolarmente influenti sul
processo di internalizzazione dei pincipi morali. Egli distingue tre diverse modalità:

- Disciplina basata sul potere → può essere esercitata attraverso richieste autoritarie al bambino (“si fa
così perché lo dico io!”) punizioni fisiche, privazione o cessazione di privilegi.

Quest’approccio disciplinare si caratterizza per l’assenza di spiegazioni circa la fonte stessa dell’autorità (il
genitore) e quindi il bambino non ne comprenderà a fondo il significato.

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Con questo approccio disciplinare non viene promossa un’autentica interiorizzazione della norma in quanto
rispettata solo in presenza di un controllore esterno o per il timore di una punizione.
- Disciplina basata sul ritiro dell’amore → tecnica sintetizzabile salle ingiunzioni “se ti comporti così, non
ti voglio più bene!”.
Esso fa leva sul rapporto affettivo esistente tra genitori e figli per cui quest’ultimi sono spinti a comportarsi nel
modo desiderato dal timore di perdere l’affetto o il supporto genitoriale. Quest’approccio, oltre a generare forti
sentimenti di ansia nei figli, non favorisce una reale internalizzazione dei valori morali perché il bambino è
spinto a compiacere i genitori.

- Disciplina induttiva → è un forte attivatore d’interiorizzazione dei principi morali. Le tecniche induttive
hanno l’obiettivo di indurre il bambino a comportarsi nel modo desiderato non imponendo il rispetto della norma
ma facendo in modo che il bambino stesso giunga a considerarla positivamente e percepisca un sentimento
interno di obbligazione a rispettarla.

Le tecniche induttive sono incentrate sul role-taking, nel fare in modo che il bambino si metta nei panni della
vittima e giunga automaticamente alla valutazione del comportamento.

Il processo avviene in tre tempi: dapprima si pone l’attenzione sulla condizione provata dalla vittima, poi si
invita il bambino a mettersi nei suoi panni attraverso un’attivazione empatica e, infine, si chiede al bambino
come si sentirebbe lui se si trovasse effettivamente al posto dell’altro.

In questo modo il bambino giunge automaticamente a valutare quale sia il modo adeguato di comportarsi e
riesce anche a generalizzare una regola di comportamento.

4.3 Il ruolo dei coetanei

Anche i coetanei costituiscono una fonte di influenza per lo sviluppo morale. E’ soprattutto Bandura a
evidenziare il ruolo svolto dai coetanei nel fornire modelli e rinforzi al comportamento e spunti e informazioni
per l’elaborazione degli standard morali. Bandura ha anche suggerito che nella prima adolescenza gli amici
esercitano effettivamente un’influenza sullo sviluppo del disimpegno morale.

Similmente, anche le norme informali che si strutturano nel gruppo, in termini di credenze condivise tra i
coetanei in merito all’accettabilità morale di comportamenti sociali come il bullismo sono risultate influenzare il
comportamento morale del singolo. Il funzionamento morale è complesso e non basta, quindi, riconoscere ciò
che è giusto per farlo e anche la comprensione del giusto e dello sbagliato segue percorsi di sviluppo articolati
e culturalmente influenzati.

8.LE FAMIGLIE DI FRONTE ALLA SFIDA EDUCATIVA

Oggi si parla di famiglia con uno sguardo molto più ampio rispetto al passato: famiglie monogenitoriali, famiglie
con genitori omosessuali, famiglie ricostituite o famiglie ricomposte. Diventare oggi genitori significa dunque
confrontarsi con una realtà complessa che genera sfide di diversa natura.

Da una parte, infatti, la famiglia è chiamata ad affrontare le sfide educative che tradizionalmente connotano il
rapporto genitori-figli.

Dall’altra, assistiamo all’emergere di nuove sfide educative, legate alla società che cambia.

Le principali sfide che riguardano i genitori sono rintracciabili nei cambiamenti a livello sociale, culturale ed
economico che hanno visto l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro e la conseguente difficoltà a conciliare
il tempo della cura dei figli e il tempo della professione. Questa sfida educativa si lega a un’altra sfida relativa ai
ruoli di genere, in particolare alla divisione dei compiti tra madri e padri.

La transizione alla genitorialità è un momento delicato in cui entra in gioco anzitutto la ridefinizione dell’identità,
personale ma anche sociale.

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Genitorialità consiste in un modo di percepire le attese da parte del contesto su cosa vuol dire essere genitori
competenti e preparati.

I genitori non hanno semplicemente un ruolo di accudimento e accompagnamento alla crescita ma sono fautori
dello sviluppo emotivo, cognitivo e fisico del bambino. Diventare genitori richiama, inoltre il legame con i propri
genitori, poiché entra in gioco il sistema di attaccamento e come questo abbia profondamente modellato la
personalità dell’individuo.

Una volta divenuti adulti e genitori, queste esperienze possono essere inconsapevolmente riprodotte sui figli,
ricreando situazioni già vissute e non elaborate; per questo motivo è fondamentale lavorare sulle esperienze
del passato per poter essere genitori consapevoli e capaci di creare una relazione di attaccamento sicuro volta
a promuovere il benessere dei figli.

GENITORI OGGI

Le motivazioni all’origine della profonda trasformazione della famiglia sono da ricercarsi nelle caratteristiche
tipiche della società contemporanea.

La prima e fondamentale caratteristica è la conformazione demografica delle figure genitoriali attuali.

Oggi si diventa genitori più tardi rispetto al passato, e ciò è legato a una molteplicità di fattori, come:
- rivoluzione nella definizione di coppia → non più destinata esclusivamente sulla procreazione ma
calibrata sui bisogni e desideri di autorealizzazione professionale di ciascun partner;

- Si sceglie di fare figli sulla base delle risorse economiche disponibili;

- E’ cambiato il ruolo della donna → si può parlare anche in questo caso di rivoluzione, iniziata intorno
agli anni Sessanta-Settanta e ancora attualmente attiva. La donna decide di investire in una carriera lavorativa
e dunque abbandona l’immagine esclusiva di madre.

Le donne, inoltre, prestano maggiore quota di sovraccarico tra impegni lavorativi e familiari rispetto agli uomini.
La figura della materna è inoltre spesso discriminata perché costretta a farsi carico di entrambi i ruoli di madre
e lavoratrice.
La mancanza di politiche di sostegno che possano supportare la donna nel percorso della maternità
contribuisce alla scelta di non fare un secondo figlio.

- Per quanto concerne i padri → oggi sembrano allontanarsi dal ruolo che hanno investito nelle epoche
precedenti e anche dal loro modello di padre; sono più presenti e partecipi, si prendono cura della casa e dei
figli, non soltanto attraverso il contributo economico ma anche con una forte partecipazione attiva al lavoro
domestico, ricoprendo sia una funzione affettiva che educativa.

Questa figura, tuttavia, non attraversa tutte le categorie socioeconomiche. Si parla di rivoluzione (di genere)
incompiuta o in stallo dal momento che la gran parte delle trasformazioni hanno riguardato la partecipazione e
femminilizzazione del lavoro, ma non la partecipazione e maschilizzazione del lavoro familiare.

Il ruolo predominante sembrerebbe essere quello relativo a questioni familiari come la pianificazione, il
controllo e la preoccupazione per gli aspetti finanziari.

I ricercatori hanno messo in luce come alla base di un buon funzionamento familiare vi sia il modello della
cogenitorialità che si riferisce al modo con cui i genitori si relazionano tra loro nel ruolo di genitore e all’alleanza
che si crea e che permette ai partner di comunicare apertamente e in modo efficace sui temi e scelte che
riguardano i figli.

I genitori dovrebbero rappresentare i punti di riferimento da seguire, le guide autorevoli che sappiano fornire gli
strumenti adeguati per affrontare questa società mutevole, in cui l’imperativo a consumare tutto e subito, a

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omologarsi al pensiero e al comportamento comune, può condurre all’appiattimento dell’individualità e
all’oscuramento della propria realtà interiore.

I FIGLI OGGI

I cambiamenti a livello sociale ed economico descritti per le figure genitoriali si ripercuotono con un impatto
notevole anche sulle figure dei figli.

Si assiste a una nuova relazione genitore-figlio, portando all’emergere di due fenomeni che si collocano su due
poli opposti:

- Tendenza da parte dei genitori a costruire per i loro figli un mondo ovattato → i bambini vengono
sollevati da ogni possibile responsabilità, con il rischio di sviluppare un atteggiamento di non cura e non
responsabilità.

L’esempio di questo fenomeno è quello relativo al complicato rapporto che sussiste tra scuola e famiglia.
Spesso, infatti, si assiste a una forte contrapposizione tra la figura dell’insegnante e la figura del genitore che
cerca di proteggere il proprio figlio da eventuali comportamenti di sopruso. Questo mondo ovattato, deprivato
dal senso di responsabilità individuale, si connota anche per il continuo soddisfacimento delle richieste del
bambino.

- Propensione a incentivare sempre più prematuramente nei figli una sorta di autonomia e capacità di
badare a sé stessi → contribuisce al fenomeno della precocità nella crescita.

Si assiste infatti a una anticipazione dell’età adolescenziale che porta i bambini intorno ai 9-10 anni ad
assumere atteggiamenti da adolescenti.

Su entrambi i poli si avverte l’influenza notevole della tecnologia che caratterizza la nostra società. L’idea di
poter avere tutto e subito è favorita dai nuovi mezzi tecnologici, ciò può veicolare il messaggio di facile fruibilità
e immediato successo nella vita, che non corrisponde alla realtà, la quale invece chiama alla tolleranza della
frustrazione e all’accettazione della discrepanza tra mondo ideale e mondo reale.

La potenzialità dei media, se non correttamente gestita dagli adulti, va a intaccare il senso del desiderio e
dell’attesa nella realizzazione di quel desiderio: i bambini sono continuamente esposti a messaggi pubblicitari e
ciò può generare il fattore assillo, ossia quella pressione che i bambini fanno sui genitori per ottenere ciò che
desiderano. Anche la precoce adultizzazione dei bambini può essere veicolata dai media (age compression =
prodotti o messaggi originariamente pensati per i più grandi vengono adattati ai più piccoli).

L’adolescenza è caratterizzata dal tema dell’identità; i social network portano all’attenzione collettiva il mondo
interiore del ragazzo.

Questa continua esposizione agli altri è una traduzione in termini virtuali del fenomeno dell’egocentrismo
adolescenziale.

Se, da una parte, i social network consentono la costruzione della propria identità attraverso la narrazione di sé
condivisa con i pari, dall’altra, il rischio che si annida in questo fenomeno è legata all’eccessiva considerazione
del giudizio altrui, su cui spesso si basa l’autostima dell’adolescente. (es. likes facebook\instagram).

AFFRONTARE LE SFIDE EDUCATIVE: QUALI STRUMENTI?

E’ necessario che la rivoluzione dei ruoli genitoriali vada sempre più verso il modello di cogenitorialità, in cui ci
sia il superamento della rigida divisione dei ruoli di genere.

E’ necessario infatti che, sia il padre che la madre, siano attivi nel percorso educativo dei figli.

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E’ necessario un atteggiamento di cura e responsività da una parte e un atteggiamento di supervisione,
dall’altra. (Gli stili genitoriali)

E’ importante che i genitori rappresentino un porto sicuro su cui fare affidamento per soddisfare i bisogni
affettivi, ma al tempo stesso siano guide salde che conoscano i loro figli e sappiano indirizzarli verso la giusta
direzione.
Un altro elemento importante è l’educazione affettiva che si declina in un atteggiamento di attenzione e cura
verso la sfera emotiva dei figli, con comportamenti di ascolto e di accoglienza da una parte, e di condivisione e
narrazione delle emozioni e sentimenti espressi dai figli dall’altra. E’ inoltre necessario superare il tradizionale
modello del doppio standard educativo, per il quale vi è la tendenza a parlare maggiormente di emozioni con le
figlie femmine.

Uno strumento efficace è la narrazione. I ricercatori hanno trovato che, quando madre e bambino discutono di
esperienze negative, utilizzano un numero più ampio di parole emotive e si impegnano maggiormente in
riflessioni sulle emozioni del bambino.

Questo potrebbe essere spiegato dalla funzione che ha la reminiscenza emotiva legata agli eventi negativi,
ovvero quella di aiutare il bambino a comprendere e risanare un’affettività negativa.

La condivisione delle emozioni in una comunicazione basata sul senso di unione e sintonia tra genitore e figlio
aiuta il bambino a creare una storia coerente e integrata della sua vita.

La narrazione condivisa si configura come uno strumento efficace nel percorso di crescita dei figli; essa
presuppone un atteggiamento di apertura e accettazione da parte del genitore nei confronti del figlio, il quale,
sentendosi accolto, può più facilmente aprirsi al dialogo.

E’ dunque necessario che i genitori siano ascoltatori empatici, poiché un ascoltatore non responsivo ostacola
non soltanto l’apertura di sé e l’espressività emozionale ma anche l’espressione della propria identità.

9.SERVIZI EDUCATIVI PER LA PRIMA INFANZIA

L’origine dell’asilo nido in Italia è comunemente fatta risalire all’ONMI (Operazione nazionale maternità e
infanzia), creata dal regime fascista del 1925.

L’ONMI istituisce asili nido e consultori. La principale caratteristica di questi servizi è quella di essere centrati
sull’aspetto igienico-sanitario, senza attenzione alle necessità educative dei bambini. Questo modello
infermieristico è ribaltato negli anni Sessanta-Settanta dall’istituzione dei primi nidi a gestione comunale, e
dalla legge 1044\1971.

Questa legge vede il servizio nido soprattutto come servizio di accudimento per le madri lavoratrici, in un’ottica
di conciliazione e riconoscimento del valore dell’infanzia e della responsabilità educativa verso i più piccoli
come dovere della comunità.

- In quel periodo è vivace il dibattito sull’asilo nido, in relazione alla divulgazione della teoria di Bowlby
sull’attaccamento, teoria che si traduceva in indicazioni molto restrittive circa le cure esclusivamente materne.

Emergono inoltre studi circa gli aspetti educativi della vita in collettività per i piccolissimi.

- In Italia la riflessione sull’attaccamento si traduce in un’attenzione al momento dell’inserimento, pensato


come un periodo di presenza della madre accanto al bambino per introdurlo nel nuovo spazio di vita e per
favorire la costruzione di nuove relazioni di fiducia con l’educatrice, relazioni non sostitutive ma integrative di
quelle familiari.

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- L’idea di servizio educativo e non assistenziale inizia ad affermarsi con la nascita di servizi integrativi al
nido che accolgono sia bambini che genitori assieme, sia bambini per periodi più limitati di tempo, con la
funzione di offrire un contesto di gioco e relazione con i pari che la famiglia nucleare non riesce più a dare.

- Legge 107\2015 → inserisce a pieno titolo il nido nelle strutture educative

CURA ED EDUCAZIONE, LA PROSPETTIVA EUROPEA

I documenti della Comunità Europea con il termine Early Child Education and Care (ECEC) si riferiscono a tutti
i servizi che forniscono “educazione e cura” ai bambini in età prescolare, in qualunque forma integrino
l’accudimento familiare, con la presenza di più bambini.

Una buona qualità di questi servizi costituisce un investimento per tutta la comunità. Non solo dal punto di vista
educativo, ma anche della produttività dell’investimento sociale: l’investimento per ridurre le diseguaglianze
legate all’origine familiare ha una ricaduta molto superiore quando è fatto nelle prime fasi di vita, rispetto alle
età successive.

I principi che devono guidare la diffusione e la qualificazione di questi servizi sono:


- accessibilità e inclusione → i servizi devono offrire un’ampia possibilità di accesso anche alle famiglie
con meno risorse e devono avere un’offerta flessibile in relazione alle diverse esigenze delle famiglie.

- Qualificazione delle educatrici e dei professionisti → non solo la qualificazione iniziale ma anche la
formazione in servizio;
- Curriculum → inteso come una prospettiva complessiva sul bambino che lo aiuti a sviluppare le sue
possibilità;
- Monitoraggio → pratica autoriflessiva delle educatrici, di verifica della corrispondenza tra obiettivi e
organizzazione effettiva;

- Disponibilità di risorse e supporto dalle scelte politiche sui servizi → obiettivo di servizi di qualità dovrebbe
essere condiviso dai responsabili politici dei paesi europei;

GLI EFFETTI DELLE CURE EXTRAFAMILIARI

Secondo uno studio le caratteristiche dei genitori e della famiglia sono più robustamente legate allo sviluppo
dei bambini di quanto non siano le modalità di cura nell’infanzia. I bambini mostrano un migliore sviluppo
cognitivo, linguistico, maggiore competenza sociale e migliore relazione con i genitori quando i genitori sono
istruiti, hanno un reddito più alto e offrono un ambiente emotivamente supportivo e cognitivamente ricco.

Il nido sembra intervenire come fattore protettivo proprio rispetto a queste diseguaglianze.

4.1 Attaccamento e la relazione professionale con il bambino

L’attenzione alle conoscenze sullo sviluppo dell’attaccamento ha portato a considerare il sostegno al ruolo
genitoriale come un aspetto imprescindibile della professionalità dell’educatrice, soprattutto nei primissimi mesi
di vita.

I bambini mostrano di essere attaccati all’educatrice mostrando che il pattern di attaccamento non è una
caratteristica individuale ma relazionale.

Gli educatori devono essere in grado di evitare un eccessivo coinvolgimento emotivo, per cui è importante che
essi possano descrivere e parlare liberamente delle proprie emozioni, che si possano confrontare ed
eventualmente avere una supervisione su come gestirle.

4.2 L’importanza dell’esperienza nel nido come stimolo allo sviluppo

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L’offerta di un ambiente ricco e cognitivamente stimolante è fondamentale per lo sviluppo e molte delle attività
che il bambino può fare al nido gli consentono di sperimentare i propri sensi e la propria motricità in modo più
ricco e libero di quanto potrebbe fare nel solitamente limitato ambiente domestico.

5. L’OSSERVAZIONE COME STRUMENTO PROFESSIONALE

Un aspetto fondamentale della competenza professionale è quello dell’osservazione che è uno strumento di
base della professionalità.

L’osservazione del bambino è fondamentale per conoscerli, apprezzare il suo sviluppo e proporgli esperienze
ricche e adeguate alle sue competenze.

Inoltre, l’osservazione e la capacità di riflettere sul proprio operato hanno una ricaduta effettiva sulla qualità dei
servizi. Il benessere e il buon funzionamento del gruppo richiedono un’attenzione costante che è la condizione
di qualunque attività o esperienza di gioco dei bambini.

10. LE TECNOLOGIE DELL’INFORMAZIONE E DELLA


COMUNICAZIONE A SCUOLA

Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) rappresentano l’insieme dei metodi e delle
tecnologie utili alla trasmissione, ricezione ed elaborazione di informazioni sia web che digitali; le TIC sono
presenti nella scuola a partire dagli anni 80. la loro diffusione, le modalità d’intervento e le strategie didattiche
usate sono ovviamente differenziate sia in base ai paesi in cui sono state implementate nel tempo sia in
relazione all’ordine di scuola in cui vengono proposte; sicuramente negli ultimi anni vi è stato un utilizzo
crescente di queste tecnologie (esempio LIM- lavagna interattiva multimediale). L'implementazione e la
diffusione delle TIC ha portato con sé un forte dibattito suscitando domande anche fondative sul loro senso,
sulla loro reale efficacia: sicuramente sono diverse le ragioni che hanno portato al crescente interesse verso
queste tecnologie, esse infatti possono modificare la natura delle materie, fornire nuovi modi di supportare gli
studenti ed inoltre da un punto di vista cognitivo le TIC migliorerebbero i processi di memorizzazione rendendo
l’allievo più attivo e collaborativo aumentando la sua produttività. È necessario quindi spostare il focus dalla
tecnologia in sé a come la tecnologia consenta d’insegnare ed apprendere.

In un’interessante rassegna del 2004 Naismith e colleghi individuano quattro approcci teorici collegati
all'apprendimento con dispositivi mobili:
-l’apprendimento comportamentale ( in cui i dispositivi mobili sono utilizzati per presentare il materiale e
ottenere risposte dagli studenti);
-l’apprendimento costruttivista (in cui gli studenti vengono incoraggiati a ricercare in prima persona le
conoscenze e gli ambienti d’apprendimento)
-l'apprendimento situato (in cui la conoscenza deve essere presentata in contesti autentici e reali e gli studenti
sono chiamati a partecipare a una comunità di pratiche)
-l’apprendimento collaborativo (in cui le tecnologie mobili promuovono e consentono interazioni e
collaborazione fra studenti).
Quanto più le attività di apprendimento vengono progettate rifacendosi agli ultimi tre modelli teorici tanto più
efficaci in termini di sviluppo di pensiero critico e creatività saranno gli interventi; la via migliore sembrerebbe
essere quella di provare a integrare i dispositivi mobili con strategie di tipo collaborativo al fine di avere ricadute
efficaci sull’apprendimento degli studenti ed la conoscenza di modelli teorici come quelli appena descritti
dovrebbe consentire agli insegnanti di scegliere al meglio il dispositivo mobile da usare in linea con i loro
obiettivi formativi.

2. IMPLICAZIONI DELLE TIC NEI SETTING FORMATIVI E SULL’APPRENDIMENTO

Come già detto sono molti i dubbi riguardo la reale efficacia delle TIC e ad oggi il loro effettivo imparto sulla
scuola è stato debole e oggetto attuale di dibattito: Richard Clark riteneva inutile mettere a confronto situazioni

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educative con tecnologia e senza tecnologia poiché la differenza stava nei progetti educativi e non nel solo uso
della tecnologia mentre altri ricercatori, al contrario, ritenevano che le caratteristiche stesse dei computer
incidessero direttamente sull’apprendimento e sull’insegnamento. Dal 1980 sono state realizzate più di 60
metanalisi con diversi focus sul tema ma nessuna di queste capace di dimostrare un chiaro impatto
complessivo delle tecnologie sui risultati degli studenti; ciò che emerge è che è più importante concentrarsi su
studi che confrontino condizioni differenti in cui gli studenti usano la tecnologia poiché essa comprende
un’ampia varietà di modalità, strumenti e strategie. Fra le principali variabili considerate nelle ricerche e che
sembrano maggiormente fare la differenza in termini di effetti e di esiti sui processi di apprendimento vi sono:
l’ordine di scuola, il setting più o meno formale in cui sono proposti gli interventi ( gli esiti migliori si hanno nei
contesti informali) e la materia di cui si parla (quelle più studiate e con migliori esiti sono quelle scientifiche).
Infine tra le tecnologie maggiormente utilizzate nelle scuole vi sono i tablet sicuramente per le caratteristiche
intrinseche dello strumento come il touch screen e la facile trasportabilità
. Ciò che viene spesso ribadito è che non sono le tecnologie a fare la differenza ma la guida e la formazione
del docente e la sua costante attenzione a fornire e valorizzare i feedback dati agli studenti.

La diffusione delle TIC e gli esiti che esse possono portare dipendono ovviamente moltissimo dal ruolo degli
insegnanti quindi dalla loro preparazione e competenza tecnologica in generale e poi riferita a un particolare
dispositivo tecnologico; alcuni autori distinguono due tipologie di insegnanti cioè quelli che hanno un approccio
più costruttivista (che utilizzano metodologie più centrate sullo studente) contro quelli con un approccio più
comportamentale ( che usano direttive didattiche più direttive). Purtroppo troppo spessi gli insegnanti tendono
ad un utilizzo limitato invece di usare le TIC per implementare effettivi approcci centrati sugli studenti; Welliver
e colleghi già molti anni fa proponevano un modelli di familiarizzazione alle tecnologie da parte degli insegnanti
a 5 livelli: familiarizzazione, utilizzo, integrazione, riorientamento ed evoluzione con conseguenze molto diverse
sull’apprendimento.
Hennessy e colleghi, per quanto riguarda gli insegnanti e il loro ruolo, sottolineano l’importanza dell’impegno
che gli insegnanti devono mettere nel provare ad integrare le TIC nell’insegnamento delle discipline quindi essi
devono accettare le tecnologie capendone l’efficacia di situazione in situazione.

I nativi digitali, ovvero coloro nati dopo il 1980, avrebbero una serie di competenze tecnologiche sofisticate e
nuovi stili cognitivi in grado di promuovere migliori competenze e performance cognitive; e a questo proposito
qualcuno crede che i nuovi studenti digitali avrebbero più difficoltà ad apprendere produttivamente mentre altri
ritengono che sia responsabilità di chi educa adottare le proprie modalità di insegnamento ai bisogni delle
nuove generazioni. Ciò che emerge da diverse rassegne è un quadro molto variegato per cui in termini di
competenze e di uso la generazione dei nativi digitali non può essere considerata come un’unica generazione;
i nuovi studenti digitali si concentrerebbero su alcuni strumenti come email, internet e social network e
difficilmente avrebbero familiarità con tecnologie avanzate.
Infatti come sottolinea lo studio di Calvani gli studenti sono sicuramente in grado di svolgere attività sofisticato
dal punto di vista tecnico con i dispositivi mobili ma ciò non li porta a sviluppare competenze tecnologiche
elevate. Nonostante ciò comunque è chiaro che laddove questa nuova generazione di studenti vengono inseriti
in attività che utilizzano le TIC e richiedono la loro attiva partecipazione gli esiti dal punto di vista
dell’apprendimento sono migliori.

3. RUOLO DELL’ATTEGGIAMENTO VERSO LE TIC SULL’EFFICACIA DEL LORO UTILIZZO

Elemento che influenza molto le modalità d’uso delle TIC è quello dell’atteggiamento e a proposito i principali
modelli teorici di riferimento sono:
1 la teoria dell’azione ragionata, 2 la teoria del comportamento pianificato,
3 il modello di accettazione della tecnologia e 4 la teoria unificata dell’accettazione e dell’uso della
tecnologia.

1 Secondo la prima teoria di Ajzen, ciò che sostiene una persona nell’adottare un certo comportamento sono
l’intenzione a usare quest’ultimo, l’atteggiamento e le norme soggettive sviluppati nei confronti del
comportamento stesso; sulla base di questo primo modello e delle critiche che esso ricevette, 2 fu sviluppata la
teoria del comportamento pianificato che aggiunse alle variabili prima considerate quella del “controllo
comportamentale percepito” tra i fattori che influenzano le intenzioni di comportamento e con questa variabile

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si intende la fiducia che un individuo ha nel ritenere di possedere le capacità per portare a termine un
determinato compito.
3 Il terzo modello sul tema è il modello dell’accettazione della tecnologia sviluppato da Davis che individua
nell’utilità percepita e nella facilità d’uso percepita i due fattori in grado di determinare l’accettazione o meno di
una nuova tecnologia e la sua intenzione ad adottarla.

Quest’ultima teoria subì diverse modifiche negli anni successivi sopratutto da Davis e Venkatesh fino a
giungere nel 2003 all’ultimo modello 4 che integra i diversi approcci teorici precedenti e in esso i fattori che
maggiormente influiscono sull’accettazione e sull’utilizzo di una tecnologia sono: le aspettative di utilità, le
aspettative relative allo sforzo, l’influenza sociale e le condizioni facilitanti.

Per quanto riguarda l’utilità percepita ha un ruolo fondamentale la formazione degli insegnanti cosicché loro
possano capire le potenzialità e le modalità d’utilizzo delle TIC così da essere motivati ad integrarle nelle loro
classi.
Invece parlando della percezione di facilità d’uso, molto dipende da quanto l’insegnante si sente a proprio agio
con una certa tecnologia infatti lo scetticismo è spesso collegato a scarsa formazione e informazione che fa
vedere il dispositivo come una distrazione piuttosto che come uno strumento utile all’apprendimento. Altro
fattore che influenza l’accettazione delle TIC è il sapere quanto gli altri desiderino e pensino importante che
venga utilizzata una certa tecnologia e sono gli insegnanti meno esperti ad essere sensibili alle norme
soggettive diventando quindi determinanti nell’aumentare la familiarità con nuovi strumenti; infine abbiamo le
condizioni facilitanti: sentire da parte dei docenti il supporto tecnico adeguato a disposizione fa apparire più
semplice la tecnologia aumentando l’intenzione di uso arrivando a pesare più delle norme soggettive e
dell’influenza sociale.
Parlando invece degli studenti sono significative la chiarezza e la trasparenza con cui viene loro comunicato il
motivo dell’utilizzo delle TIC e i benefici che esse porteranno al loro apprendimento; essi saranno sensibili
all’utilità percepita più che all’influenza sociale e alla facilità d’uso.

11. CRESCERE NELL’ERA DEI NEW MEDIA

Per descrivere e comprendere meglio lo sviluppo umano occorre considerare gli artefatti culturali, ossia
strumenti e segni che non solo condividiamo e interpretiamo “come funziona l’ambiente circostante” (fisico e
sociale), ma diventiamo più adatti a vivere in tale ambiente.

Essi modificano il nostro comportamento e le nostre attività e il loro progresso richiede anche a noi di evolvere
il nostro modo di essere, pensare e agire.

Per comprendere tale dinamica, si può ricorrere al concetto vygotskiano di zona di sviluppo prossimale, il quale
esprime il potenziale di sviluppo che caratterizza i processi cognitivi umani laddove l’individuo, anziché agire
autonomamente, interagisce con un altro individuo che lo supporta e lo aiuta durante lo svolgimento dell’attività
(scaffolding).

Vygotskij concentrò gran parte del suo lavoro sull’interazione e sull’importanza del linguaggio, identificato come
strumento di mediazione principe per lo sviluppo cognitivo umano.

Un collaboratore di Vygotskij, Leont’ev, evidenziò la rilevanza degli artefatti tecnologici a supporto dell’attività
umana, ampliando il concetto di zona di sviluppo prossimale e proponendo il concetto di organo funzionale.

Esso rappresenta l’integrazione fra un’abilità umana e uno strumento che garantisce una prestazione che né
l’una né l’altro potrebbero garantire separatamente (es. forbici e occhiali).

Nel primo caso supporta un’abilità umana, mentre nel secondo caso gli strumenti compensano una carenza
umana e riportano la prestazione a un livello ottimale.

Gli artefatti tecnologici possono influire su almeno quattro specifici elementi che caratterizzano il sistema:

1. L’interazione dell’individuo con la propria comunità di riferimento;

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2. Le modalità con cui si agisce per raggiungere l’obiettivo

3. Le norme\regole implicite ed esplicite che regolano l’attività;

4. I ruoli (compiti e responsabilità) che caratterizzano le persone che partecipano a tale attività

Un esempio in ambito scolastico può essere lo svolgimento di compiti supportati dallo smartphone e
interagendo e condividendo contenuti con i loro compagni di classe tramite diverse applicazioni (es. Whatsapp,
Facebook).

Abbiamo dunque una differente modalità di interazione che consente agli studenti di comunicare e di
conseguenza anche il ruolo dell’insegnante cambia radicalmente.

Il sistema cerca di raggiungere un nuovo equilibrio e, laddove le pratiche e le norme adottate in precedenza
non funzionino, deve trovare soluzioni creative che vadano oltre quelle dimostratesi efficaci in passato.
Questa spinta viene definita da Engestrom apprendimento espansivo e riproduce una spirale evolutiva che
rappresenta l’anima creativa di qualsiasi sistema di attività umana.

Questa spinta evolutiva ha però dei potenziali rischi determinati dalla rapidità con cui si manifesta, che significa
altrettanta rapidità nell’adattarsi ai cambiamenti generati dalle tecnologie digitali.

2. LA FUNZIONE DELLE TECNOLOGIE DIGITALI NELLO SVILUPPO UMANO

Riprendendo la prospettiva di Leont’ev si può affermare che quando l’utilizzo di una tecnologia è di supporto a
un’attività umana (o ne compensa le carenze) per raggiungere un obiettivo o per facilitarne il raggiungimento,
allora tale tecnologia è funzionale allo sviluppo.

Quando, invece, l’obiettivo per cui viene utilizzata si discosta dalla funzione originaria di quella stessa
tecnologia, allora vi è il rischio di strumentalità inversa, ovvero di un utilizzo disfunzionale che può avere
ripercussioni sul comportamento e sullo sviluppo.

Un’interessante prospettiva è quella proposta da Zywica e Danowski nella loro ipotesi del potenziamento
sociale contrapposta alla compensazione sociale.

Secondo gli autori l’uso problematico che facciamo delle applicazioni Internet, sarebbe determinato dal fatto
che spesso le utilizziamo per compensare carenze e lacune che sentiamo di avere nella vita quotidiana.

La percezione di bassa autostima e di scarsa soddisfazione di vita, spesso determinata da esperienze poco
stimolanti e poco valorizzanti nella vita quotidiana, può sfociare nel rifugiarsi all’interno di mondi artificiali (es.
the sims)

La funzione di partenza del gioco, essenzialmente ludica e volta al relax dell’individuo, viene deviata su una
funzione di crescita di autostima e rivalsa sociale.

Sulla relazione adolescenza-autostima, il ruolo principale è giocato dai Social Networking Sites (SNS).

Molto spesso le persone inseriscono contenuti semplicemente per attirare feedback positivi per cui la funzione
originaria della tecnologia viene traslata su un’esigenza secondaria compensativa rispetto a una carenza che la
persona vive nella vita quotidiana.

Inoltre, la difficoltà di costruire relazioni sociali nel quotidiano può portare a sovrastimare le potenzialità di
Internet e vedere nelle relazioni sociali online, più facili da costruire e non basate sulla prossimità, un modo per
sopperire alla carenza di relazioni offline

4. RISCHI CONNESSI ALL’UTILIZZO DELLE TECNOLOGIE DIGITALI DURANTE LO SVILUPPO

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L’età in cui consegnare uno smartphone deve essere decisa sulla base dell’esigenza del bambino o
dell’adolescente determinata dal periodo di sviluppo che sta attraversando. Se una tecnologia è inserita troppo
in anticipo nello sviluppo del bambino o di un adolescente rispetto alle esigenze del periodo che sta
attraversando, le potenzialità positive di quella tecnologia restano inespresse e non sarà di alcuna utilità.

A partire dall’infanzia sino al termine della scuola primaria, l’utilizzo che il bambino fa degli strumenti tecnologici
è essenzialmente volto al gioco; per questo motivo è indicato il tablet.

Il tablet è rivolto essenzialmente all’interazione digitale con le applicazioni installate o alla visione di immagini e\
o video.

Se l’utilizzo è attivo e volto a costruire il mondo esperienziale del bambino, ad esempio attraverso la visione
insieme ai genitori di video, immagini o attraverso il gioco, allora quella tecnologia supporta pienamente
l’ampliamento delle conoscenze del bambino e di conseguenza tale utilizzo è funzionale al suo sviluppo.

Viceversa, se viene utilizzato in modo passivo (es. tenere occupato il bambino mentre i genitori sono
impegnati) allora quella stessa tecnologia diviene disfunzionale e serve solo a isolare il bambino.

Spesso i genitori “abbandonano” i bambini davanti agli schermi dei dispositivi tecnologici in modo che non
creino disturbo. Ciò può avere diversi risvolti negativi:
- Il bambino viene isolato e le potenzialità educative della tecnologia svaniscono;

- Al bambino non viene data la possibilità di imparare a gestire la frustrazione (dover attendere per
giocare con i genitori);
- Al bambino non viene data la possibilità di imparare a gestire i momenti di attesa e la noia, un aspetto
importante per lo sviluppo della creatività

5. ALCUNE OPPORTUNITA’ CONNESSE ALL’UTILIZZO DELLE TECNOLOGIE DIGITALI DURANTE LO


SVILUPPO

Attualmente le ricerche mostrano che l’utilizzo delle tecnologie digitali non determina tanto il multitasking, come
spesso erroneamente si pensa. Infatti, le azioni umane si susseguono sequenzialmente e il multitasking può
svolgersi solo laddove vi siano attività automatizzate che non richiedono un investimento cosciente
dell’attenzione, cosa difficile negli ambienti digitali.
Alcune ricerche hanno evidenziato che l’uso del tablet, sin dai primi anni scolastici, ha migliorato le abilità
comunicative e ha avuto un impatto positivo sulla lettura, scrittura e sull’abilità di calcolo, grazie a modalità più
coinvolgenti e stimolanti rispetto ad approcci tradizionali.
I SNSs fungono, in un certo senso, da agenzie di presocializzazione prima di immergersi completamente in un
nuovo contesto (università, trovare un appartamento, locali da frequentare ecc.).
Inoltre garantiscono, da un lato, il mantenimento dei contatti con la rete di relazione del contesto di partenza e,
dall’altro, permettono di costruire una nuova rete di relazioni all’interno del contesto di arrivo.
Il mezzo tecnologico è un semplice strumento mentre intorno si intreccia e si costruisce la conoscenza, fatta di
interazioni, suggerimenti e discussioni. In adolescenza questo aspetto garantisce la condivisione e il confronto
anche online con il proprio gruppo e\o con gruppi differenti, nonché l’incontro -scontro con molteplici punti di
vista che possono essere di forte impulso per l’apertura mentale e la creatività.

12. FATTORI DI RISCHIO E DI PROTEZIONE NELLA GENITORIALITA’ FRAGILE

Il concetto di fragilità genitoriale richiama la presenza di difficoltà e sofferenza psichica, sociale ed educativa
nei genitori, che influenzano o potrebbero influenzare le traiettorie
di sviluppo dei figli, evolvendo versi forme di disagio croniche e di disadattamento o che, viceversa, potrebbero
modificarsi positivamente attraverso il rinforzamento delle risorse e competenze individuali e familiari.

Fragile, quindi, nel senso di delicato, debole, gracile e quindi soggetto a spezzarsi.

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Ma, anche, nel senso di bisognoso, necessitante, richiedente e sprovvisto di risorse per far fronte alle difficoltà
e agli ostacoli-

Tra le tante forme di fragilità genitoriale, richiede attenzione quella che si manifesta attraverso azioni omissive
e commissive nei confronti dei figli, che vengono dimenticati o trascurati o diventano bersaglio di violenza
fisica, verbale o sessuale, con la finalità di cogliere quell’intreccio tra fattori negativi e risorse utili a delineare
eventuali azioni di supporto e sostegno, finalizzate al recupero di traiettorie evolutive positive per i figli.

1.BAMBINI VITTIME DI VIOLENZA

Per violenza intendiamo “tutte le forme di maltrattamento fisico e\o emotivo, abuso sessuale, trattamento
negligente nonché sfruttamento sessuale o di altro genere che provocano un danno reale o potenziale alla
salute, alla sopravvivenza, allo sviluppo o alla dignità del bambino, nell’ambito di una relazione di
responsabilità, fiducia o potere”.
La iniziale focalizzazione sulle singole tipologie di violenza è stata progressivamente superata dalla
constatazione che le azioni commissive ed omissive di violenza non si presentano in forme distinte e separabili
ma sono compresenti e spesso interconnesse e intessono la vita dei soggetti più deboli configurandosi come
vere e proprie esperienze avverse.
La letteratura ha ampiamente documentato che essere maltrattati, trascurati, e\o abusati durante l’infanzia
rappresenti un’importante condizione traumatica per l’individuo con ripercussioni che possono affiorare e
influire negativamente a breve, medio e lungo termine sul processo di formazione e sullo sviluppo cognitivo,
emotivo, affettivo, sociale, morale, sessuale e comportamentale della vittima.
I bambini e gli adolescenti vittimizzati presentano sintomi di internalizzazione e\o esternalizzazione che
possono toccare livelli importanti di invasività e gravità. che comprendono la depressione, l’ansia, i disturbi
della condotta, difficoltà relazionali, abuso di sostanze, disturbi alimentari, disturbi dissociativi e da stress post-
traumatico. Tra le molte conseguenze negative, la distorsione del legame di attaccamento col caregiver, con la
formazione di modelli operativi interni (MOI) di tipo disorganizzato, costituisce una delle principali fonti di
disagio futuro clinicamente rilevante → genitori fragili e non protettivi inducono nei bambini sentimenti di paura,
che non possono essere contrastati se non da solidi legami affettivi che, se essi stessi sono fonte di paura,
alimentano un circolo vizioso disgregante nella organizzazione del legame affettivo.

La paura è una reazione emotiva, automatica e adattiva a eventi che mettono a rischio la incolumità fisica e
psicologica dell’individuo, che attiva sistemi fisiologici finalizzati a predisporre l’organismo a reagire per
difendersi dai pericoli e dalle minacce.
I circuiti attivati dalla paura hanno sede nella profondità dell’encefalo in una struttura antichissima, il sistema
limbico (talamo, ipotalamo, ippocampo e amigdala)
Dalla paura è possibile difendersi attraverso il legame con altre persone e, in particolare nei primi anni dello
sviluppo, attraverso quegli specifici comportamenti che massimizzino la vicinanza alle figure di riferimento
allevanti.

L’adulto accudente, con il suo comportamento rassicurante, riduce e contrasta le paure, regola le emozioni del
bambino, lo rassicura, in modo tale che il bambino possa sviluppare:

- fiducia e speranza negli altri e nelle loro capacità protettive;

- Certezza e fiducia nelle sue capacità di riconoscere e affrontare i pericoli;

- Un certo grado di sicurezza nell’ambiente;

Quando nella vita delle vittime vengono a mancare esperienze protettive e quando i legami disfunzionali
perdurano nel tempo, il trauma da attaccamento può evolvere verso due principali direzioni:
- distacco, aggressività ostile e strumentale (infliggere un danno e ottenere benefici per sé) caratteristici
di una iper regolazione del sistema di sicurezza e paura, poiché implicano una sorta di evitamento preventivo
della intimità affettiva e delle situazioni che potrebbero provocare delusioni;

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- Espressioni inappropriate di dolore, ansia, possesso, gelosia, aggressività reattiva in risposta a
interazioni percepite come ostili e segno di una iporegolazione affettiva.

Non va inoltre sottovalutato l’effetto dello stress cronico sulla salute fisica. Infatti, l’esposizione continuativa a
condizioni di deprivazione e paura altera i processi neurobiologici che concorrono alla regolazione dello stress.
Si viene a generare il cosiddetto “sovraccarico allostatico” vale a dire il logoramento di organi e tessuti causato
dalle reazioni fisiologiche con cui l’organismo risponde alle domande ambientali.
E’ stata accertata la gravità di particolari condizioni familiari disfunzionali in cui la relazione allevante diviene
essa stessa “traumatogenica” in quanto connotata da forme gravi di trascuratezza multisensoriale, che
permangono cronicamente invariate per lungo tempo.
La prospettiva in cui il ruolo delle prime esperienze viene interpretato alla luce della continuità dei contesti di
crescita e in cui molti problemi tendenzialmente coesistono in fasi diverse, ha indotto sia a spostare l’attenzione
dal ruolo delle prime esperienze ai processi di sviluppo e ai fattori che ne potrebbero riorientare la direzione,
sia a concludere che i percorsi evolutivi non sono immodificabili, ma possono essere influenzati da esperienze
protettive capaci di riorientarli.

2. FATTORI DI RISCHIO E FATTORI PROTETTIVI

Nell’ambito della ricerca si è affermata una prospettiva dinamica dello sviluppo basata sull’interconnessione tra
vulnerabilità, fattori di rischio e fattori protettivi che vede convergere nel processo evolutivo una molteplicità di
condizioni.
In particolare, vengono proposti i concetti di pluralismo evolutivo e di percorsi multipli, che prevedono traiettorie
verso la normalità, la atipicità o la patologia non determinabili a priori, ma guidate dai principi di multifinalità
(secondo cui da condizioni iniziali simili possono deviare esiti diversi) e di equifinalità (da condizioni iniziali
diverse possono deviare esisti simili).

Inoltre, i cambiamenti sono concepiti come possibili in diverse fasi dello sviluppo, sebbene guidati dal principio
di canalizzazione, in base al quale più a lungo un individuo permane in un percorso disadattivo, più diventa
difficile recuperare una traiettoria di sviluppo tipica.
Nel modello di process-oriented la direzione delle influenze non procede in modo rettilineo, ma è mediata da
specifici processi psicologici e da fattori che riflettono il funzionamento quotidiano dei bambini in molteplici
contesti.
L’attenzione è pertanto rivolta ai pattern comportamentali, vale a dire alle sequenze ripetitive che definiscono le
relazioni e non semplicemente alle singole unità comportamentali che possono essere invece temporanee,
occasionali casuali.
In tale prospettiva, dunque, la interconnessione tra fattori di rischio e di protezione genera specifiche dinamiche
nel funzionamento psicologico che concorrono a produrre esiti non sempre uguali.
Sono i meccanismi e i processi attraverso cui si articolano le risposte individuale, relazionali e sociali a definire
il significato, la direzione e la coloritura effettiva delle traiettorie evolutive.
La presenza di fattori di rischio singoli o multipli, che nello sviluppo introducono aspetti di vulnerabilità, possono
intersecare esperienze protettive, capaci di trasformare in senso positivo un percorso potenzialmente
disadattivo.
Analogamente, condizioni di fragilità generate da situazioni problematiche possono evolvere in senso negativo,
se ulteriori fattori prossimali di rischio e di vulnerabilità interferiscono in modo continuativo nel percorso dello
sviluppo.
In sintesi, l’effetto dei fattori di rischio dipende dai cosiddetti mediatori (esplicativi del perché e come certe
condizioni possano influenzare l’esito evolutivo).
Eventi o situazioni simili possono configurarsi talvolta come impedimenti allo sviluppo di percorsi adattivi,
talvolta come opportunità.
I diversi fattori, inoltre, assumono gradi diversi di importanza in funzione della fase evolutiva.
La capacità di superare le difficoltà e gli ostacoli dipende, dunque, dalla forza di fattori che ne contrastino
l’effetto, svolgendo un ruolo di protezione che solleciti le cosiddette capacità resilienti, in relazione ai diversi
compiti di sviluppo.
La ricerca in ambito evolutivo fa riferimento alla resilience-as-a-process, intesa come la capacità di bambini e
adolescenti di affrontare e completare i compiti di sviluppo, acquisire adeguate competenze e adattarsi in modo

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positivo alle richieste dell’ambiente sociale, nonostante condizioni oggettive di rischio, come povertà, traumi,
maltrattamenti e stress cronici.
Si parla di resilience-as-a-process per sottolineare la dimensione dinamica e non statica
della resilienza, che è il risultato del modo in cui i fattori protettivi si amalgamano in relazione alla specificità
della fase

3. LA RESILIENZA NEI BAMBINI A RISCHIO

La successiva riformulazione del termine “resiliente”, oltre a includere una dimensione dinamica, ha
evidenziato la non uniformità dell’adattamento positivo e la stretta interconnessione con i contesti relazionali e
ambientali. Da una ricerca è emersa l’esistenza di tre gruppi:

- Soggetti resilienti → caratterizzati da competenze adeguate nonostante livelli di avversità elevate


durante la vita;
- Disadattati → basse competenze e numerose avversità;
- Soggetti competenti → adeguate competenze e livelli bassi di avversità.

Le competenze intellettive e la qualità del parenting sono emersi come gli aspetti predittivi più significativi per
due motivi: capacità più elevate in tutti i domini di sviluppo e in quanto fattori di contrasto di comportamenti
antisociali.
Il successo e la stabilità nell’adattamento positivo in età adulta sono risultate associate non solo a risorse
individuali e sociorelazionali (funzionamento intellettivo, qualità della relazione con i genitori) ma anche a
competenze adattive che emergono nella transizione dall’adolescenza all’età adulta (motivazione al successo,
capacità di progettare il futuro).
Se invece consideriamo bambini che vivono condizioni familiari estreme, caratterizzate da violenza accertata e
spesso compresenza di altri problemi, notiamo come le competenze di funzionamento resiliente siano più
ridotte.
Tra i predittori principali associati alle competenze di resilienza, spesso viene indicato il funzionamento
cognitivo, anche se il modo in cui l’intelligenza svolge una funzione protettiva non è ancora del tutto chiaro. E’
probabile che l’intelligenza promuova ambizione e successo scolastico e, quindi agisca in associazione con
altre componenti motivazionali e di personalità.

Le caratteristiche individuali dei bambini, non sono tuttavia sufficienti da sole a spiegare un buon adattamento,
che viene promosso anche dalla integrazione con fattori extrafamiliari (supporto da parte degli insegnanti e dei
pari) e da caratteristiche familiari (relazione affettiva calda e un buon legame di attaccamento).

4. PROTOCOLLO SUI FATTORI DI RISCHIO E DI PROTEZIONE NELLA VALUTAZIONE DELLA


GENITORIALITA’ FRAGILE

L’attuazione di interventi di contrasto della violenza e della trascuratezza e di potenziamento delle competenze
dei genitori sembrano i modi più efficaci per ridurre le condizioni di rischio e far emergere e attivare le risorse
che sostengono i processi di resilienza.
La valutazione del rischio è un importante obiettivo di istituzioni e ricercatori che intendano individuare in modo
accurato e tempestivo quelle situazioni in cui vi sia la probabilità che i bambini possano essere coinvolti in
relazioni disfunzionali.
L’idea di elaborare un protocollo sui fattori di rischio e di protezione per la valutazione della genitorialità fragile
nasce sia dall’esigenza di rendere concreto e operativo un modello concettuale basato sulla valorizzazione dei
fattori protettivi e sul loro impatto positivo nel mediare le condizioni di rischio, sia dalla necessità di prefigurare
percorsi di intervento differenziati.
Il protocollo rielabora e modifica il modello process-oriented adattandolo all’analisi delle competenze parentali
che mettono a rischio lo sviluppo del bambino.
Il protocollo è basato sull’analisi della letteratura scientifica sulla genitorialità fragile e analizza la interrelazione
tra vulnerabilità, fattori di rischio e fattori protettivi. Sebbene predittivi di esiti negativi, i fattori di rischio vanno
intesi come elementi dotati di un’intrinseca processualità e attivamente connessi ai processi che caratterizzano
la storia e l’evoluzione del sistema costituito dalle persone e dall’ambiente. Per comprendere l’intreccio di
questi elementi, occorre tenere presenti:

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A) La distinzione tra fattori di rischio distali e prossimali;
Con fattori di rischio si intendono le circostanze e\o le condizioni capaci di danneggiare e\o minare l’assetto
psicologico del genitore con conseguenze potenzialmente disadattive sui figli.
E’ Baldwin a proporre la distinzione tra fattori di rischio distali e prossimali, così chiamati in ragione della
distanza o contiguità delle influenze che essi esercitano nel quotidiano.
- Fattori di rischio distali → esercitano un’influenza indiretta, contribuiscono a generare uno stato di
disagio generale, preoccupazioni, incertezze e un clima di insicurezza.
Il protocollo individua come alcuni principali fattori di rischio la povertà cronica, basso livello di istruzione,
giovane età della madre, mono-genitorialità, esperienze di rifiuto o abuso durante l’infanzia, accettazione della
violenza come pratica educativa, scarse conoscenze e disinteresse per lo sviluppo del bambino. Essi non sono
da soli cause sufficienti per generare forme di disagio psicologico o ripercussioni sui figli ma determinano una
sorta di debolezza che rende le famiglie e gli individui più vulnerabili, rendendoli fragili di fronte ai disagi e agli
ostacoli esistenziali.
- Fattori di rischio prossimali → si esprimono direttamente nel quotidiano, impregnano le relazioni, si
rispecchiano nelle pratiche educative e nei comportamenti individuali, esercitano un’influenza diretta nelle
relazioni e investono lo spazio della vita, le emozioni e i comportamenti abituali.
Possono avere una valenza negativa e per questo contribuiscono a potenziare il rischio, oppure una valenza
positiva che contribuisce a ridurre l’effetto dei fattori di rischio.
Nel primo caso si tratta di fattori prossimali di amplificazione del rischio → nel protocollo sono: psicopatologia,
devianza sociale, abuso di sostanze, debole\assente capacità di assunzione di responsabilità, impulsività,
scarsa tolleranza alla frustrazione, ansia da separazione, gravidanza non desiderata, relazioni difficili con la
propria famiglia di origine e\o con il partner, violenza domestica, presenza nel bambino di malattie fisiche o
disturbi alla nascita.
Nel secondo caso si parla di fattori prossimali protettivi e di riduzione del rischio → elementi che entrano in
gioco riducendo l’effetto dei fattori di rischio.
Essi coincidono con aspetti, condizioni e competenze specifiche che l’individuo ha a disposizione nei momenti
di bisogno per far fronte agli ostacoli.
Questo significa che, particolari eventi o relazioni, che in condizioni abituali non esercitano alcuna funzione
particolare, assumono un valore protettivo quando intersecano situazioni di rischio e quindi entrano a far parte
di un processo protettivo.
Quando un fattore protettivo viene adeguatamente utilizzato è molto probabile che contribuisca a mitigare
l’impatto delle condizioni avverse.
Nel Protocollo vengono indicati come fattori prossimali protettivi e di riduzione del rischio: rielaborazione del
rifiuto e della violenza subiti nell’infanzia, capacità empatiche, desiderio di migliorarsi, autonomia personale,
buon livello di autostima, capacità di gestire i conflitti e temperamento facile del figlio.

B) L’importanza del costrutto di vulnerabilità, come conseguenza della esposizione a fattori di rischio;

C) L’influenza benefica dei fattori di protezione che intersecano quelli di rischio in una trama di transazioni
e di relazioni che evolve e si modifica nel tempo.

13. LINGUAGGIO SCRITTO, SISITEMA DEL CALCOLO E RAGIONAMENTO MATEMATICO

1. LE BASI DELL’APPRENDIMENTO DEL LINGUAGGIO SCRITTO

Spesso si crede che il bambino impari a leggere e scrivere a partire dall’inizio della scuola primaria ma in
realtà l’interesse per la lingua scritta nasce molto prima e l’apprendimento soprattutto inizialmente è legato alla
dimensione emotivo-affettiva che questo tipo di attività veicola (l’emozione di scrivere il proprio nome su un
disegno per esempio); si tratta comunque di una sfida complessa per i bambini e che deve appunto essere
vista come tale affinché i bambini possano essere adeguatamente accompagnati nel loro percorso evolutivo. Il
modello triangolare formulato da Seidenberg e McClelland può fornire una buona rappresentazione per
cogliere la continuità tra apprendimento del linguaggio orale e apprendimento del linguaggio scritto; questo
modello è stato formulato all’interno del paradigma connessionista cioè nell’ambito di quel filone di studi che ha

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cercato di spiegare il funzionamento mentale attraverso l’utilizzo di reti neurali e, l’idea di fondo è che il
comportamento osservabile (output) sia il risultato di un insieme di attivazioni-inibizioni tra unità neurali che
interagiscono in risposta ad uno stimolo (input) e in funzione degli apprendimenti pregressi. In base quindi al
modello triangolare possiamo dire che si sarà realizzata un’associazione stabile tra un pattern di attivazione
delle attività neurali corrispondente ad una rappresentazione semantica e un pattern di attivazione
corrispondente ad una rappresentazione fonetica che permette al bambino di capire il significato della parola
pronunciata da altri e di produrne il suono quando necessario.
All’inizio della scuola primaria l’insegnante farà in modo che il bambino impari a riconoscere in quel suono
unitario una sequenza di suoni distinti sviluppando le sue abilità metafonologiche , cioè la sua capacità di
riflettere sui suoni della propria lingua.

Si è venuto a definire in letteratura un nuovo costrutto, quello di alfabetizzazione emergente, riferito


all’insieme delle competenze e delle conoscenze sul linguaggio scritto che si sviluppano prima
dell’apprendimento esplicito della lettura e della scrittura.
Gli studi condotti in lingua inglese e francese hanno evidenziato il ruolo della consapevolezza fonologica e
della consapevolezza testuale, cioè la capacità di comunicare eventi e descrivere oggetti in modo ben
articolato; tuttavia Pinto e colleghi hanno proposto un modello in cui è stato attribuito un ruolo rilevante anche
alla conoscenza notazionale definita come la capacità del bambino di età prescolare di elaborare forme di
scritture simili all’ortografia convenzionale e si è rilevato che la conoscenza notazionale predice la capacità
iniziale di scrittura di parole mentre la consapevolezza fonologica predice la scrittura di numeri e non di parole.

2. LETTURA E SCRITTURA: MODELLI A CONFRONTO

Uta Frith ha proposto un modello sequenziale dell’iterevolutivo che porta il bambino all’apprendimento del
linguaggio scritto a partire dalle conoscenze e competenze maturate in età prescolare; il modello si articola in 4
fasi: si passa da una fase logografica in cui il bambino prima dell’insegnamento formale della lettura, sa
riconoscere poche parole con specifiche caratteristiche percettive, alla fase alfabetica in cui egli apprende
l’associazione grafema-fonema e successivamente alla fase ortografica nella quale diventa capace di
riconoscere sequenze di lettere corrispondenti a parola fino ad arrivare alla fase lessicale in cui è in grado di
attuare l’accesso diretto al significato a partire dalla parola scritta.
L’autrice ha elaborato un modello combinato che rende conto della reciproca influenza tra lettura e scrittura e
del ruolo che quest’ultima svolge nel sostenere l’apprendimento della lettura.
Secondo la Grain-size theory, in lingue con elevato grado di regolarità nella traduzione dei grafemi in fonemi,
come l’italiano, si possono raggiungere buoni livelli di correttezza e velocità nella lettura pur utilizzando solo
una procedura alfabetica di conversione grafema-fonema; quindi secondo questa teoria i lettori abili dell’italiano
potrebbero anche fare a meno di accedere alle rappresentazioni ortografiche. Per quanto riguarda la scrittura,
la lingua italiana non è regolare come nella lettura perché si riscontrano alcune ambiguità che rendono
necessario l’utilizzo di rappresentazioni ortografiche come nel caso della parole che iniziano con o contengono
il suono kw (cuoco, quadro) o il suono sc ( scienza, conoscenza) poiché in quel caso è necessario avere
accesso alla rappresentazione ortografica perché la conversione fonema-grafema risulta ambigua.
La complessità dei dati sperimentali raccolti in questo ambito di ricerca può trovare un utile riscontro in un
modello computazionale in cui possono essere valutate le complesse relazioni tra caratteristiche degli stimoli e
procedure di elaborazione degli stessi; il modello di riferimento più seguito in ambito neuropsicologico per
descrivere il processo di lettura è il modello a due vie elaborato a partire dalle osservazioni cliniche effettuate
su pazienti adulti con lesioni cerebrali ma considerato anche un utile strumento per descrivere i processi di
lettura in ambito evolutivo. Questo modello prevede che vi sia una fase iniziale di elaborazione, deputata
all’analisi delle caratteristiche visive delle lettere e all’identificazione delle lettere presenti nello stimolo; dopo
questa prima analisi dello stimolo vi sarebbero due possibili modalità di decodifica del testo scritto: una più
analitica detta extralessicale, che opera la conversione del singolo grafema nel fonema corrispondente e una
più sintetica detta lessicale diretta che prevede il riconoscimento della configurazione globale della parola.
Il modello a due vie è stato considerato utile anche per spiegare il processo di scrittura poiché sia essa che la
lettura coinvolgono gli stessi meccanismi e le stesse rappresentazioni ovviamente in direzione opposta

3.TRAIETTORIE TIPICHE E ATIPICHE NEL PROCESSO DI LETTURA E SCRITTURA

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Tutti i bambini inizierebbero a leggere utilizzando la via extra lessicale del modello a due vie cioè quella più
lenta e sequenziale, applicando le regole di conversione grafema- fonema trasmesse dall’insegnante; affinché
questo processo possa avvenire correttamente, il bambino deve essere in grado di distinguere tra loro i suoni
anche quelli più simili , cioè le cosiddette “coppie minime” cioè deve aver affinato la sua competenza
percettivo- uditiva, quella che distingue tra loro i suoni sordi e sonori che vengono prodotti con la stessa
conformazione dell’apparato fono-articolatorio ma che si distinguono solo per il ritardo con cui il suono viene
emesso, il cosiddetto Voice On set Time.
Alcuni hanno cercato di riferire i disturbi di lettura a una difficoltà di discriminazione del VOT ma i risultati
sembrano indicare che il disturbo riguardi un sottogruppo molto circoscritto di bambini; Un'altra teoria che
invece cerca di spiegare le difficoltà nella percezione dei suoni dei bambini dislessici è quella proposta da
Tallal, conosciuta come teoria dell'elaborazione uditiva rapida. In base ad essa i bambini con dislessia
avrebbero difficoltà a discriminare tra suoni consonantici simili ( esempio B e P ) solo se il segnale acustico si
compone di variazioni molto ravvicinate nel tempo però anche in questo caso non si sono ottenuti dati univoci;
altri autori ancora hanno riferito le difficoltà dei bambini che confondono le coppie minime ad un disturbo nei
meccanismi di esclusione del rumore percettivo per cui le difficoltà si osserverebbero solo quando dopo un
determinato suono se ne presenta un altro che “maschera” il primo.
Inoltre, si è notato che spesso i bambini confondono tra loro anche le lettere che non lo stampato minuscolo
sono simmetriche come b e d o p e q e questo ha fatto pensare che in alcuni casi la causa del disturbo sia
riferibile ai meccanismi visuo- percettivi deputati alla rilevazione delle asimmetrie; Lachmann e Van Leeuwen
hanno invece proposto il Functional Coordination Approach secondo cui l'apprendimento della lettura non
comporterebbe un cambiamento delle funzioni svolte da alcune aree corticali, ma piuttosto una progressiva
specializzazione di quelle aree per cui si passerebbe da una percezione olistica ad una analitica proprio come
nel modello di uta frith , ed all’invarianza dell orientamento alla sensibilità all’asimmetria , per poi passare
dall’associazione tra grafemi e fonemi al riconoscimento di unità sublesscalii più estese del singolo grafema
fino al riconoscimento di intere parole. Altre ricerche hanno evidenziato che alcuni bambini sembrano avere più
difficoltà dei loro coetanei a elaborare simultaneamente più lettere contemporaneamente per cui in lingue a
ortografia trasparente come l'italiano risultano marcatamente piu lenti nella lettura rispetto ai loro coetanei di
lingue a ortografia opaca come l'inglese; per spiegare a queste difficoltà sono state avanzate varie ipotesi infatti
alcune fanno riferimenti ad aspetti attentivi e visuo-percettivi, altre a processi di automatizzazione e alla
velocità di elaborazione come rilevato dal compito di Rapid automatized naming (RAN).
Zoccolotti e colleghi hanno proposto nel 2014 un modello integrato in cui la velocità di lettura del testo viene
spiegata non soltanto dall’ortographic decoding factor , valutato con una prova di lettura di pseudo parole, ma
anche dall’efficienza nell’elaborazione di stimoli multipli misurata attraverso il RAN , cioè una prova di
denominazione rapida di oggetti, cifre e colori; Solo per i bambini con apprendimento della lettura tipico a
questi fattori si aggiunge anche un fattore riferito alla velocità di elaborazione in un compito cognitivo, mentre
per i bambini dislessici è preponderante il ruolo del primo fattore.
L'ipotesi del doppio deficit formulata precedentemente da Wolf e Bowers per la lingua inglese può essere
considerata sostanzialmente in linea con le approccio di Zoccolotti e colleghi, secondo tale ipotesi la maggior
parte delle difficoltà di lettura coinvolgono i processi fonologici ma si possono osservare anche i casi in cui la
caratteristica principale del disturbo è costituita da una scarsa velocità di lettura; I disturbi più gravi si
caratterizzano per entrambi gli aspetti (doppio deficit).

Friedmann e Coltheart hanno recentemente proposto una revisione del modello a due vie, con una maggiore
focalizzazione sulle prime fasi di elaborazione dello stimolo e hanno indicato ben 19 tipi diversi di disturbi di
lettura; In generale vi è nella letteratura internazionale un buon grado di accordo nel riconoscere due forme di
dislessia evolutiva, principali: la dislessia fonologica e la dislessia superficiale. La prima viene riferita alla
presenza di disturbi che rendono difficoltosa la traduzione dei grafemi in fonemi, quindi si nota una lettura lenta
e poco accurata che renderà molto complesso affrontare serenamente gli apprendimenti scolastici. La dislessia
superficiale, invece, viene riferita soprattutto ai disturbi nei meccanismi di elaborazione delle stringhe di lettere
come configurazione unitaria, cioè il bambino riesce ad automatizzare la conversione grafema-fonema ma fa
fatica a riconoscere le parole intere. Quindi in questo caso la lettura è corretta ma rimane più lenta rispetto ai
bambini con sviluppo tipico e si notano tipicamente degli errori di accento che indicano un mancato
riconoscimento del significato della parola letta. In questo caso il profilo di funzionamento è meno
compromesso del quadro descritto per la dislessia fonologica, perché la ripetuta e massiva esposizione al
linguaggio scritto induce comunque un certo grado di apprendimento.

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I trattamenti nel tempo possono ridurre la gravità del disturbo ma non eliminarlo del tutto , per questo motivo è
necessario tutelare il bambino con una diagnosi tempestiva che permetta un' adeguata presa in carico da parte
di specialisti e una personalizzazione delle modalità didattiche.

4.L’APPRENDIMENTO MATEMATICO: UN PROCESSO COMPLESSO

I numeri ci circondano e richiamano continuamente la nostra attenzione costituendo uno stimolo e un


allenamento costante per la nostra mente; una buona capacità di ragionamento matematico contribuisce
all’adattamento e al benessere personale, sociale ed economico degli individui ed è un processo molto
articolato sia per l’ampiezza e la complessità del campo di indagine rappresentato dalla matematica, sia per la
varietà di abilità che a livelli diversi sono implicate nei compiti matematici. Ogni dominio della matematica come
l’aritmetica o la geometria, richiede la coordinazione di capacità interconnesse di più basso livello come la
lettura e la scrittura dei numeri e dei segni delle operazioni, la conoscenza dei fatti numerici, la comprensione
del sistema numerico decimale . Ciascuna di esse è a sua volta fondata su conoscenze concettuali e
procedurali di base: per esempio il conteggio, la comprensione e l’incolonnamento dei numeri, l'uso del prestito
e del riporto. Quindi nell’apprendimento matematico entrano in gioco precursori cognitivi sia dominio-specifici
sia dominio- generali; della prima categoria fa parte il cosiddetto senso del numero cioè l'abilità di riconoscere
ed elaborare i numeri simbolici e di abbinare le rappresentazioni non simboliche ai simboli corrispondenti, le
abilità di conteggio e di ordinamento; tra i precursori cognitivi dominio-generali implicati nell'apprendimento
della matematica ritroviamo ad esempio il livello intellettivo, la memoria di lavoro, le funzioni esecutive e la
velocità di elaborazione.
A fronte della complessità dell apprendimento matematico è evidente che i bambini possano manifestare
pattern e profili di difficoltà molto diversi, contrastando le ipotesi dell'esistenza di un unico deficit di base nel
cosiddetto modulo numerico; In linea con l'idea che i disturbi dell’apprendimento matematico possano essere
sottesi da deficit molteplici ed eterogenei , il DSM-5 richiede di specificare a che livello si situi la difficoltà
ovvero se la compromissione è nel concetto di numero, nella memorizzazione dei fatti aritmetici, nel calcolo
accurato o fluente o nel ragionamento matematico corretto. La letteratura internazionale suggerisce che il
disturbo del calcolo sia riscontrabile in una porzione compresa tra il 5 ed il 7% della popolazione scolastica e in
Italia attualmente circa 5 bambini per classe vengono segnalati come bambini aventi difficoltà di calcolo. La
maggioranza delle segnalazioni non fa riferimento a casi di disturbo specifico del calcolo ma piuttosto a casi di
difficoltà di apprendimento, non persistenti nel tempo e facilmente migliorabili con interventi adeguati .
Nell'ambito dei processi di apprendimento possono entrare in gioco oltre ai fattori cognitivi, anche componenti
emotivo-motivazionali e aspetti socio culturali ed educativi; tra i fattori emotivi ad esempio un buon livello di
autoefficacia, autostima e capacità di comprendere e padroneggiare le esperienze risulta funzionale
all’apprendimento mentre viceversa un senso di scarsa competenza può contribuire a rendere gli studenti
ansiosi e meno motivati. Risulta quindi indispensabile tanto nello sviluppo tipico quanto in quello atipico,
considerare sia il profilo cognitivo del bambino sia gli aspetti emotivo-motivazionali e il contesto socioculturale
ed educativo in cui i processi dell apprendimento matematico si sviluppano

5.DAL SENSO DEL NUMERO AL CONTEGGIO: LE BASI DELL’APPRENDIMENTO MATEMATICO

Quello del senso del numero è un concetto molto sfumato e variegato utilizzato in letteratura per indicare la
capacità di percepire e rappresentare quantità numeriche ; Si tratta di una capacità innata, pre verbale e non
simbolica condivisa con una varietà di specie animali non umane che consente agli individui di trattare le
informazioni numeriche e quantitative in diversi contesti. L'Object Tracking. System è un sistema cognitivo
che attraverso il processo del subitizing consente agli individui la rappresentazione esatta di piccole quantità di
oggetti attraverso un’enumerazione rapida e accurata. L’ Approximate Number System invece permette la
rappresentazione approssimata e intuitiva di grandi quantità di oggetti senza ricorrere al conteggio o ai numeri
simbolici; Entrambi questi sistemi sono determinati biologicamente e rappresentano il substrato cognitivo
dell'intelligenza numerica innata.
Secondo Diversi studi pionieristici tra cui le ricerche di Starkey e Cooper ricorrendo alla tecnica dell'
abituazione-disabitauzione dimostrarono sperimentalmente come a soli quattro- sei mesi i bambini fossero
sensibili e reagissero alla numerosità osservando significativamente più a lungo gli stimoli nuovi , disabituanti,
dotati di una numerosità differente rispetto a quella degli stimoli precedenti che avevano determinato
abitazione. Appunto secondo Butterworth il primo collegamento tra natura e cultura, cioè tra il senso del
numero innato del bambino e gli aspetti concettuali e procedurali più avanzati della matematica, forniti dalla

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cultura di appartenenza, è rappresentato dal conteggio. Gelman e Gallistel hanno identificato 5 principi che
scandiscono il processo del conteggio:

1. il processo principio dell ordine stabile per cui le parole- numero di cui abbiamo bisogno per contare
un determinato insieme di oggetti devono essere ordinate secondo una sequenza fissa e modificabile;
2. il principio della corrispondenza uno a uno, secondo il quale ciascuna parola- numero deve essere
collegata a uno e uno solo, degli oggetti da contare e viceversa ;
3. il principio della cardinalità, che assume che l'ultima parola- numero utilizzata nel conteggio definisce
la numerosità dell’insieme di oggetti contati ;
4. il principio dell astrazione, per cui qualsiasi insieme di elementi può essere contato purché gli elementi
siano entità distinte, discrete e quindi numerabili;
5. il principio dell' irrilevanza dell ordine, che afferma che il conteggio può iniziare da qualsiasi elemento
della serie che si intende contare.

All'età da circa due anni/due anni e mezzo i bambini sembrano comprendere cosa sia una parola- numero e
indipendentemente dalla conoscenza della sequenza verbale delle parole-numero, mostrano di aver acquisito
la corrispondenza biunivoca che emerge chiaramente quando si chiede loro di nominare o semplicemente di
indicare le persone presenti in una stanza; a tre anni e mezzo i bambini sono molto abili anche a identificare le
violazioni del principio della corrispondenza uno a uno. Il processo di acquisizione del principio di cardinalità
impegna i bambini per circa due anni in genere dall'età di due anni fino all'età di quattro anni e mezzo/ cinque.

6.IL SISTEMA DEL CALCOLO: MODELLI ESPLICATIVI, STRATEGIE ED ERRORI

L'abilità di conteggio è propedeutica allo sviluppo della capacità di calcolo cioè l'insieme dei processi cognitivi
che permettono di operare sui numeri attraverso operazioni aritmetiche; nel panorama degli studi condotti
nell'ambito della neuropsicologia cognitiva, i modelli dei meccanismi cognitivi implicati nel sistema dei numeri e
del calcolo che hanno assunto maggiore rilevanza sono il modello modulare di McCloskey, il modello del triplo
codice di Dehaene e quello di Butterworth. Il modello elaborato da McCloskey nel 1992 propone
un'architettura altamente modulare della cognizione numerica articolata in tre componenti di elaborazione
funzionalmente distinte e autonome le une dalle altre ma collegate tra loro indirettamente tramite la
rappresentazione astratta di quantità o sistema semantico che rappresenta il nucleo centrale del modello. I tre
moduli sono: il sistema deputato alla comprensione dei numeri, il sistema di calcolo e il sistema deputato alla
produzione dei numeri; da una parte il sistema di comprensione trasforma la struttura superficiale dei numeri in
una rappresentazione astratta di quantità, dall'altra il sistema di produzione traduce le rappresentazioni interne
in risposte numeriche; questi due sistemi sono dotati di meccanismi codice- specifici in grado di elaborare
rispettivamente il codice arabico e quello verbale. Inoltre il numerale a livello sia di comprensione sia di
produzione può essere sottoposto a due tipi di elaborazione, lessicale o sintattica: la prima riguarda
l'elaborazione delle singole cifre o parole contenute nel numerale per ricavarne il nome, la seconda riguarda
invece l'elaborazione delle regole di composizione e dei rapporti reciproci tra le cifre o le parole del numerale al
fine di comprenderne l'ordine di grandezza.Il sistema di comprensione e di produzione dei numeri forniscono
rispettivamente l’input e l’ output al sistema di calcolo che assume questa rappresentazione e la elabora
attraverso tre componenti funzionalmente autonome: i fatti aritmetici , ovvero le operazioni elementari di base, i
segni delle operazioni espressi in codice sia arabico sia verbale e le procedure di calcolo cioè gli algoritmi
utilizzati ai fini dello svolgimento di un calcolo complesso. La modularità del modello di McCloskey lo ha reso
un utile riferimento teorico per la classificazione e l'interpretazione dei disturbi in ambito numerico poiché
piegava da un punto di vista teorico i casi caratterizzati da una compromissione a carico di una sola
componente di elaborazione del modello ma comunque numerose critiche hanno evidenziato l’ eccessiva
semplificazione delle abilità numeriche contemplate nel modello.
Un modello alternativo è il modello del triplo codice proposto da Dehaene fondato su evidenze provenienti
dalla psicologia dello sviluppo e comparata, dalla neuropsicologia e dalle neuroscienze; secondo questo
modello la nostra mente rappresenta i numeri in tre diversi formati: il codice verbale uditivo, che traduce i
numeri in sequenze sintatticamente organizzate di parole, il codice arabico visivo, che rappresenta i numeri
come stringhe di cifre e infine un codice analogico di grandezza, che rappresenta i numeri come porzione di
attivazione lungo una linea numerica mentale ipotetica; inoltre ciascuno dei tre codici possiederebbe i propri
specifici processi di input e output e sarebbe deputato a compiti numerici specifici. In particolare il codice

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verbale uditivo sfruttando i processi di elaborazione più generali del linguaggio scritto e parlato, è reclutato
nella comprensione e produzione di parole – numero , nel conteggio e nel recupero dei fatti aritmetici; il codice
arabico visivo è invece specifico per la lettura e scrittura di numeri in notazione araba , per la risoluzione di
calcoli complessi e operazioni scritte con numeri a più cifre, infine il codice analogico di grandezza è reclutato
nei compiti che richiedono la comprensione delle quantità come le stime di grandezza, i confronti numerici e il
calcolo approssimativo. Nel suo modello dunque Dehaene enfatizza il ruolo del senso del numero innato nello
sviluppo di ogni altra abilità numerica e offre un' implementazione neurale del modello identificando il solco
intraparietale come locus neurale determinato a sostegno specificamente del senso del numero.
Recentemente Butterworth e colleghi hanno elaborato un modello causale della discalculia molto più
articolato di quello di Dehaene evidenziando le possibili interrelazioni tra i livelli biologico, cognitivo e
comportamentale, considerati nell’ambito del più ampio contesto culturale ed educativo di riferimento; Il
modello suggerisce che il solco intraparietale è solo una delle componenti del complesso network corticale
implicato nella cognizione matematica in cui ciascuna area assolve una funzione specifica. Secondo questo
modello quando le aree associate alla cognizione numerica non seguono uno sviluppo tipico, si riscontrano
compromissioni a livello cognitivo con conseguenti manifestazioni atipiche a livello comportamentale;
Nell'apprendimento delle procedure vero e proprio del calcolo, le prime informazioni che il bambino elabora
sono i segni delle operazioni indispensabili da un lato per definire la natura del compito aritmetico da seguire
dall'altro per accedere ai fatti aritmetici. Nello svolgimento di un compito aritmetico i bambini possono ricorrere
a due tipi di strategie: la prima è basata sul recupero dei fatti aritmetici dalla memoria a lungo termine senza
utilizzare particolari procedure di calcolo , la seconda invece implica il ricorso a determinate regole procedurali
generiche e specifiche che una volta presa e sono facilmente generalizzabili e applicabili a operazioni sia
semplici che complesse; La scelta del tipo di strategia varia in funzione dell'età del bambino, del tipo di
operazioni da svolgere ed è l'esperienza che il bambino ha con essa.
In un' ottica di potenziamento, assume notevole importanza l’analisi degli errori nel sistema di calcolo
commessi dai bambini in termini sia quantitativi (frequenza) sia qualitativi (tipologia); più nello specifico gli errori
possono essere riscontrati a diversi livelli e attribuiti a quattro principali tipi di difficoltà cioè: errori
nell’applicazione di procedure e strategie, errori nel mantenimento e nel recupero di procedure e strategie,
errori nel recupero dei fatti aritmetici e infine errori legati a difficoltà visuo-spaziali.

1. Per quanto riguarda il primo tipo di errori i bambini possono incontrare difficoltà in 5 casi: nello stabilire
le prime cose da fare per svolgere una delle quattro operazioni , nella scelta delle procedure da seguire per la
specifica operazione in questione, nell’applicazione delle regole del prestito e del riporto, nel passaggio ad una
nuova operazione e infine nella progettazione e nella verifica delle difficoltà ed eventuali strategie da usare.
2. Gli errori nel mantenimento e nel recupero di procedure e strategie si verificano invece quando le
procedure e le strategie che e semplificano il calcolo non sono ancora consolidate e padroneggiate;
3. la terza tipologia di difficoltà si riferisce a errori nel recupero dei fatti aritmetici della memoria a lungo
termine infatti secondo Ashcraft le conoscenze aritmetiche sono rappresentate come una fitta rete organizzata
di informazioni che vengono recuperate attraverso un processo di attivazione che si diffonde :nella rete le cifre
da 0 a 9 rappresentano i nodi genitori che si attivano fino a determinare l'attivazione del nodo di intersezione
tra i due (un errore di questo tipo e la confusione tra addizione e moltiplicazione nel recupero dei rispettivi fatti
aritmetici);
4. una quarta categoria di difficoltà può essere riferita a più generali componenti visuo-spaziali che
possono intaccare il processo di risoluzione corretta dei calcoli aritmetici; un problema percettivo può
compromettere il riconoscimento dei segni delle operazioni.

7.LA CAPACITÀ DI SOLUZIONE DEI PROBLEMI: IL RUOLO DELLA MEMORIA DI LAVORO, DELLE
FUNZIONI ESECUTIVE E DELLE ABILITÀ METACOGNITIVE

Nell’analisi di apprendimento matematico è importante focalizzarsi non solo sul calcolo ma anche sulla
soluzione dei problemi indagando le specifiche capacità e quindi anche le eventuali difficoltà sottese a questo
complesso processo e comprendendone l'importanza delle attività di vita quotidiana. un problema esiste
quando un solutore ha uno scopo ma non sa come raggiungerlo e nel caso dei problemi matematici la
risoluzione richiede l'applicazione di una procedura matematica come per esempio operazioni algebriche o
aritmetiche. Il processo di soluzione di un problema può essere suddiviso in un certo numero di fasi nell’ambito
delle quali sono implicati diversi processi cognitivi dominio generali e/o dominio specifici necessari per arrivare

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alla soluzione corretta; un modello teorico oggi ampiamente condiviso distingue 5 componenti fondamentali del
abilità di problem solving ognuna delle quali può risultare selettivamente compromessa:
-comprensione del testo del problema ;
-rappresentazione delle informazioni attraverso l'individuazione di uno schema del problema in grado di
organizzarle e integrarle in una struttura unitaria;
-categorizzazione del problema ;
-pianificazione delle operazioni necessarie per la risoluzione del problema;
-valutazione della correttezza della procedura applicata. Una prova specifica disponibile in Italia è il test delle
abilità di soluzione dei problemi matematici basato sul modello a 5 componenti e utile per indagare le difficoltà
nella soluzione di problemi aritmetici presentati in forma verbale.
È evidente che per risolvere un problema matematico servano anche capacità cognitive di carattere più
generale come la memoria di lavoro e le funzioni esecutive e possa risentire dell'influenza delle abilità
metacognitive; per quanto riguarda la memoria di lavoro essa è coinvolta nel mantenimento delle informazioni
implicate nella formulazione verbale del problema o nello svolgimento dei calcoli , nel mantenimento e nella
gestione delle visualizzazioni implicate dei dati del problema, nello sviluppo della rappresentazione mentale
della situazione problematica e nel controllo richiesto durante la pianificazione e lo svolgimento del problema.
Essendo implicato in tutti questi passaggi la memoria di lavoro deve disporre di risorse sufficienti per
mantenere attive e facilmente disponibili tutte le informazioni necessarie nelle diverse fasi di soluzione di un
problema; anche le funzioni esecutive in particolare la capacità di aggiornamento e inibizione delle
informazioni, risultano connesse e funzionali alla corretta risoluzione di un problema matematico. I bambini con
disturbo da deficit di attenzione o iperattività riscontrano rispetto ai bambini con sviluppo tipico più difficoltà nel
selezionare i dati appropriati prima di svolgere un calcolo e nel trovare la soluzione corretta di un problema
soprattutto nel caso dei problemi che richiedono l'aggiornamento delle informazioni da elaborare quindi una
buona capacità di updating. Nell’apprendimento matematico e in particolare nella soluzione dei problemi
giocano un ruolo sostanziale anche le abilità metacognitive che definiscono l'uso e il controllo consapevole che
un individuo fa e ha delle proprie funzioni cognitive; La metacognizione comprende sia la consapevolezza
metacognitiva cioè la conoscenza posseduta da un soggetto relativamente al funzionamento della propria
mente, sia i processi di controllo che presiedono, guidano e accompagnano l'esecuzione di un compito e che a
loro volta sono guidati dalla consapevolezza metacognitiva dell'individuo. In particolare Brown ha distinto alcuni
processi metacognitivi di controllo implicati nella risoluzione di un problema ovvero le capacità di previsione,
pianificazione, monitoraggio e infine valutazione.

8.TRAIETTORIE ATIPICHE NELLO SVILUPPO DELL’APPRENDIMENTO MATEMATICO

Alla luce di quanto detto prima che nega l'ipotesi di un singolo disturbo primario, emerge la necessità di una
visione più integrata dello sviluppo atipico dell’apprendimento matematico, che tenga conto degli aspetti
cognitivi, i fattori emotivo-motivazionali ed il contesto socio culturale ed educativo. Rubinsten e Henik hanno
messo in luce l’eterogeneità e la multifattorialità dell'eziopatogenesi dei disturbi dell’apprendimento matematico
proponendo un’inquadramento diagnostico con importanti implicazioni da un punto di vista sia teorico sia
clinico; in particolare essi propongono tre macro categorie diagnostiche contraddistinte da differenze a livello
biologico, cognitivo e comportamentale: la prima corrisponde alla cosiddetta discalculia pura , il disturbo
primario del senso del numero e della rappresentazione della quantità o modulo numerico, caratterizzato da
una persistente difficoltà altamente selettiva nella capacità di apprendimento, rappresentazione ed
elaborazione delle informazioni numeriche da un deficit specifico nel solco intraparietale; la seconda macro
categoria comprende un'ampia classe di disturbi definiti con l'espressione più generale di disturbi dell
apprendimento matematico e non associati ad altri disturbi dell'apprendimento, questi sono causati non solo
da difficoltà legate ad abilità cognitive dominio-specifiche di tipo numerico ma anche da una compromissione di
abilità cognitive più generali come la memoria di lavoro e le funzioni esecutive. La terza e ultima macro
categoria diagnostica include i casi di comorbilità in cui la discalculia si manifesta in associazione ad altri
disturbi come la dislessia, il disturbo da deficit di attenzione o iperattività o il disturbo dello sviluppo della
coordinazione motoria. Anche il modello di Butterworth e colleghi risulta in linea con la visione di Rubinsten e
Henik: Butterworth ritiene infatti che il network corticale implicato nella condizione matematica possa risultare
compromesso in vari modi conducendo a pattern diversi di discalculia che possono essere caratterizzati
dall’associazione di un deficit numerico di base con altri deficit cognitivi.

9.POSSIBILITÀ DI TRAINING E INTERVENTO NEI DISTURBI DELL’APPRENDIMENTO

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Da un punto di vista pratico emerge l'importanza di arrivare , tramite i modelli esplicativi e le teorie
interpretative, a suggerimenti e indicazioni concrete in ambito riabilitativo tenendo presente però che le
difficoltà tendono a modificarsi nel tempo; infatti è la valutazione accurata e approfondita delle diverse abilità
del bambino che evidenzia gli aspetti e le competenze maggiormente compromesse e ciò è indispensabile per
la progettazione di un intervento specifico mirato ma soprattutto efficace. Proprio in questo ambito un crescente
interesse è rivolto ai training computerizzati finalizzati al potenziamento dell’apprendimento nei bambini con
sviluppo sia tipico che atipico. È importante tenere in considerazione anche la parte emotivo-motivazionale
finalizzata alla modifica delle eventuali credenze disfunzionali e dell' atteggiamento negativo generale del
bambino nei confronti degli apprendimenti scolastici; in conclusione è fondamentale sia tener conto delle abilità
cognitive generali e specifiche e dei fattori emotivo- motivazionali del bambino sia rendere partecipi attivamente
sia genitori che insegnanti poiché un approccio integrato e sinergico è una condizione imprescindibile per il
successo di qualsiasi tipo di programma o intervento preventivo, formativo o di recupero.

14. SVILUPPO PSICOLOGICO E NUOVE DIPENDENZE SENZA SOSTANZE

1.FRA VECCHIE E NUOVE FORME DI DIPENDENZA: DEFINIZIONI E CARATTERISTICHe

Sin dall'antichità era solito ricorrere all'uso di sostanze per alleviare il dolore mentale, la sofferenza fisica,
produrre uno stato di euforia o piuttosto un senso di benessere e già qualche decennio fa l'organizzazione
mondiale della sanità descriveva la dipendenza patologica come quella condizione psichica e talvolta anche
fisica derivante dall'interazione tra un organismo vivente e una sostanza tossica e caratterizzata da risposte
comportamentali e da altre reazioni comprendenti sempre un bisogno compulsivo di assumere la sostanza in
modo continuativo o periodico così da evitare il malessere dato dalla sua eventuale privazione. Prima della
quinta edizione del manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, veniva fatta la distinzione tra
dipendenza e abuso da sostanza mentre successivamente la categoria abuso da sostanze non è stata più
contemplata all'interno del DSM- 5 poiché per quest'ultimo la dipendenza è considerata una modalità
patologica d'uso della sostanza che conduce a disagio o a compromissione clinicamente significativi.
Le New addiction o nuove dipendenze sono invece quelle forme di dipendenza senza sostanza cioè quei
comportamenti in cui la sostanza chimica non è presente e in cui è il comportamento stesso ad essere oggetto
della dipendenza come per esempio il gioco d'azzardo patologico, la dipendenza da internet o piuttosto lo
shopping compulsivo; va sottolineato inoltre che con l'eccezione del gioco d'azzardo, le nuove forme di
dipendenza non sono contemplate né nel DSM- 5 né in altri manuali diagnostici. Griffiths già negli anni '90 del
secolo scorso sottolineava come le nuove dipendenze comportamentali abbiano caratteristiche molto simili a
quelle legate alla sostanza e descritte nel DSM soprattutto in termini di: dominanza , tolleranza, sintomi di
astinenza, conflitto, alterazione dell'umore e infine ricaduta.
Per spiegare e comprendere le nuove dipendenze è bene analizzare i comportamenti patologici partendo dalle
caratteristiche culturali sociali e contestuali insieme alle caratteristiche individuali, come le motivazioni
consapevoli e non consapevoli; molte di quelle che vengono definite nuove dipendenze comportamentali
hanno come oggetto attività quotidiane spesso socialmente incoraggiate come la capacità di saper usare
internet, la pratica di uno sport, l'acquisto di beni di consumo, o la pratica di una professione per cui è
improponibile pensare di eliminare tali attività. Il limite che divide i comportamenti adattivi da quelli disadattivi è
legato al valore soggettivo che tali comportamenti hanno per la persona come per esempio il valore che
assumono per superare stati interni di malessere o per gestire la sofferenza derivante dalla gestione delle
relazioni sociali; infine bisogna tener presente il potente ruolo delle coercizioni sociali in grado di spingere
l'individuo verso l'estremo limite della frequenza di un comportamento che sfocia poi in dipendenza.

2.DIPENDENZA DA INTERNET O INTERNET ADDICTION

Nel periodo che va dalla pubertà alla prima età adulta, le nuove tecnologie hanno notevole impatto sullo
sviluppo psico sociale infatti molti studi sottolineano come internet venga usato in maniera diffusa tra gli
adolescenti e in molte nazioni d'europa vi è una prevalenza del 4,4% di uso patologico di internet proprio in
quella fascia di età; In Giappone è diffusissimo il termine hikikomori cioè le persone che vivono
volontariamente a casa per lunghi periodi e la caratteristica essenziale è appunto l'auto isolamento, cioè il

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rifiuto della vita sociale. Tale condizione può essere ricondotta a uno spettro di problemi sociali dissociativi che
vanno da un semplice disimpegno dei ruoli sociali fino al rifiuto della scuola, del lavoro e di altri compiti e
questa forma di comportamento atipico colpisce principalmente adolescenti o giovani adulti che vivono in
clausura all'interno delle case dei loro genitori; essi infatti rifiutano di comunicare con i propri genitori e passano
più di 12 ore al giorno davanti al computer con giochi o social network e sono proprio queste le persone a
rischio di una vera e propria dipendenza dalla rete. Il comportamento incontrollato ed eccessivo dei dipendenti
verso la rete può condurre a una riconosciuta sofferenza (quindi sintomo egodistonico) che quindi porta alla
richiesta d'aiuto oppure può essere considerato parte dell'identità (quindi sintomo egosintonico); la rete è usata
per instaurare legami, esplorare il mondo sociale o sperimentare i propri bisogni emotivi poiché l'adolescente si
sente libero di esprimere il proprio punto di vista e i propri problemi condividendoli. Purtroppo però i social
media trasformano il mezzo in oggetto di desiderio poiché si arriva all’isolamento sociale, a perdere la
percezione di sé e del proprio autocontrollo. Young a tal proposito sottolinea l'esistenza di tre fasi verso la
dipendenza da internet: il coinvolgimento, la sostituzione e la fuga dal mondo reale; caratteristica
preponderante è la perdita del controllo quindi la tendenza ad usare in maniera continuativa e prolungata la
rete per soddisfare il proprio bisogno o ricercare emozioni forti senza tener conto delle conseguenze negative.
Altre caratteristiche degli individui che manifestano internet addiction sono il ritiro sociale, la vergogna è l’
inibizione; d'altronde la rete viene scelta perché offre la possibilità di esporsi senza conseguenze reali evitando
quindi l’incontro diretto con l'altro.
Il problema centrale in questo tipo di dipendenza è la sostituzione della realtà con una realtà mediatica e la
saturazione dei bisogni emotivi attraverso esperienze virtuali: l'adolescente crede di aver trovato un luogo
sicuro in cui sentirsi tranquillo ma non capisce che così facendo sacrifica occasioni per sperimentare realmente
il proprio sé perché è proprio nelle vere relazioni sociali che si costruisce l'identità. Come affermava Erikson la
rete non crea integrazione di identità ma diffusione e confusione del sé.
Come sottolineano molti studi internazionali in adolescenza è abbastanza frequente la possibile relazione fra
internet addiction e comportamenti di tipo internalizzante ed esternalizzante: nel primo caso tali condotte
sarebbero predittrici di un uso incontrollato della rete o potrebbero esserne la più diretta conseguenza; la
dipendenza da internet può altresì costituire un tentativo vano all autoregolazione

3.INTERNET GAMING DISORDER

In Italia secondo un'indagine condotta dall' isef e il gioco online e quello che trova maggior diffusione è la
tipologia più popolare tra i videogiocatori e più indagata dal punto di vista scientifico e quella dei giochi di ruolo
multigiocatore di massa online che permettono di interagire a migliaia di giocatori nello stesso mondo di gioco
senza vincoli spazio- temporali. Esiste appunto una vera e propria dipendenza patologica da videogame
assimilabile paragonabile per caratteristiche e virgola conseguenze e correlati neurofisiologici ad altre forme di
dipendenza come per esempio quella dal gioco dust d'azzardo oppure al disturbo da uso di sostanze; bisogna
però distinguere un elevato coinvolgimento nell’attività videoludica dalla dipendenza da videogiochi infatti il
tempo trascorso video giocando non costituisce un indicatore sufficiente per definire il gioco patologico. Il
disturbo da gioco su internet, inserito nel DSM- 5, viene definito come un uso persistente e ricorrente di internet
per partecipare a giochi, con altri giocatori virgola che porta a compromissione o disagio clinicamente
significativi come indicato dalla presenza dei 5 o più criteri per un periodo di gli 12 mesi ; I criteri diagnostici
proposti comprendono: preoccupazione riguardo ai giochi su internet, sintomi di astinenza, tolleranza, perdita
di interesse verso precedenti hobby, uso eccessivo e continuativo dei giochi su internet, aver ingannato
qualcuno riguardo alla quantità di tempo trascorso a giocare su internet, eludere o mitigare stati d'animo
negativi tramite l'uso dei giochi su internet eccetera eccetera. La prevalenza del disturbo sembra essere più
alta tra gli adolescenti maschi e nei paesi asiatici mentre la prevalenza più bassa cioè il 0,2% è stata rilevata
nella popolazione tedesca. Sono molti i fattori di rischio associati all’emergere della dipendenza da videogiochi
e sono suddivisi in fattori individuali, fattori familiari e fattori legati alle motivazioni di gioco; tra i fattori individuali
rientrano il genere maschile, tratti di personalità come nevroticismo, aggressività e accettazione della violenza ,
impulsività e perdita di autocontrollo, la bassa autostima. Per quanto riguarda invece i fattori familiari: scarso
supporto parentale , frequente uso di videogame da parte dei genitori e infine la separazione o divorzio dei
genitori.
Alcuni autori hanno evidenziato l'importanza di indagare anche il contesto e le motivazioni di gioco dei
videogiocatori poiché i significati che vengono attribuiti all’attività di gioco possono portare a condizioni e
conseguenze molto diverse tra loro; In particolare costituiscono un fattore di rischio l'uso del gioco come
strategia di coping e di fuga dagli stressors quotidiani e dalle emozioni negative, la ricerca di relazioni e

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amicizie online, la ricerca di compensazione per la mancanza di successo nella vita reale e la ricerca di
immersione e dissociazione.
Per quanto riguarda le conseguenze della dipendenza da videogiochi al momento la letteratura evidenzia
correlazioni con molteplici sintomi psicologici, disturbi comportamentali e problemi sociali : a livello psicologico
la dipendenza dai videogiochi sembra essere connessa con sintomi depressivi, disturbi d'ansia, aggressività e
attacchi di panico mentre per quanto riguarda le problematiche comportamentali e le difficoltà sociali sono state
individuate relazioni significative con sacrificio delle relazioni reali in favore di quelle virtuali, disturbi della
condotta, peggioramento delle performance scolastiche e consumo di nicotina, alcol e droghe.
Costituirebbero invece dei fattori protettivi le attenzioni e cure paterne, la supervisione da parte dei genitori,
una buona integrazione all'interno della classe e un buon livello di benessere correlato alla scuola; tra l'altro in
merito alla stabilità del disturbo nel ciclo di vita, sembrerebbe che il gioco patologico tende a protrarsi a lungo
quindi la dipendenza da gioco online non sembrerebbe essere semplicemente una fase ma una vera e propria
spia di maladattamento che necessita di specifica attenzione.

4.VIGORESSIA

Il notevole impatto che i media hanno sulla vita di adolescenti e adulti ha permesso la propagazione di
paradigmi culturali e sociali talvolta stereotipati e questi modelli generalmente si ispirano a un'immagine
perfetta sia dell'uomo che della donna portando chi guarda all’emulazione di standard praticamente
irraggiungibili. Soprattutto durante la fase dello sviluppo dell’identità l'individuo potrebbe sentire la necessità di
raggiungere dei livelli di soddisfazione corporea così da migliorare il proprio senso di autoefficacia e la propria
autostima; questa necessità, se funzionale, quindi se non sfocia in comportamento patologico, serve a
soddisfare un vero e proprio bisogno evolutivo cioè quello di piacersi e di sentirsi accettato. La soddisfazione
corporea è un fattore cruciale in adolescenza connesso allo sviluppo del sé e ad eventuali condotte atipiche
messe in atto per ottenere un corpo utopisticamente perfetto. Se da un lato la preoccupazione eccessiva per il
corpo può portare, sia nell'uomo che nella donna, a condotte alimentari distorte che causeranno psico
patologie come anoressia e bulimia, dall'altro può portare ad un' estrema ricerca quasi compulsiva di
perfezione fisica e muscolare raggiunta mediante un allenamento sfrenato. La vigoressia , sebbene sembri un
comportamento atipico recente, era già descritta nel 1993 in uno studio condotto su 108 uomini bodybuilders; il
termine reverse anorexia si riferisce appunto al fatto che la persona nonostante abbia sviluppato muscoli fuori
dal normale continui a sentirsi gracile e quindi insoddisfatto. Il profilo del vigoressico e quindi quello di una
persona che trascorre molto tempo in palestra , sottoponendosi ad esercizi di potenziamento muscolare,
perennemente attento alla propria forma e a quella sei proprio muscoli, guardandosi perennemente allo
specchio , sottoponendosi a diete iperproteiche , pesandosi di continuo e utilizzando integratori o nei casi più
gravi farmaci anabolizzanti così da aumentare la massa muscolare e migliorare la forma fisica.
Considerate queste premesse e vista la mancanza di un etichetta diagnostica, la vigoressia costituisce oggi un
comportamento atipico non ancora facilmente collocabile nella rosa dei disturbi; essa infatti potrebbe essere
considerata a cavallo fra un disturbo alimentare, un comportamento additivo o un disturbo ossessivo-
compulsivo e anche questo comportamento atipico come l'uso problematico di internet, ha un impatto notevole
sulla riduzione delle attività sociali e degli scambi interpersonali , utili strumenti per la formazione del
consolidamento sia del sé sociale che di quello individuale ; Inoltre la perenne insoddisfazione legata al proprio
corpo che non raggiunge mai la perfezione può indurre la persona a vivere con perenni stati di angoscia,
rabbia e frustrazione.

5.GIOCO D’AZZARDO PATOLOGICO

Il gioco d'azzardo può essere inquadrato secondo un continuum , composto da tre stadi:
1. gioco d'azzardo informale e ricreativo, cioè un comportamento fisiologico in cui il gioco è saltuario ,
motivato dalla spinta alla socializzazione e dall’impulso alla competizione;
2. gioco d'azzardo problematico, mette a rischio la salute psicologica fisica e sociale e porta ad una
evoluzione verso il disagio patologico per il tempo e le spese dedicate adesso;
3. gioco d'azzardo patologico ovvero quando il comportamento assume connotati di disagio psicofisico
importanti cioè e quotidiano, intensivo, caratterizzato dal desiderio incontrollabile tipico delle dipendenze, da
inquietudine quando non si può giocare e le spese notevoli che portano a conseguenti indebitamenti.

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Il gioco d'azzardo patologico o gambling si collocava tra i disturbi del controllo degli impulsi non specificato
poiché era definito dall’incapacità di resistere al persistente e ricorrente impulso di giocare somme di denaro
elevate invece il DSM nella sua ultima edizione, lo classifica come disturbo da gioco d'azzardo e ne riconosce
la caratteristica di addiction; è importante sottolineare come l'andamento di tale patologia sia spesso cronico e
come accade per altre forme di dipendenza le conseguenze hanno un impatto significativo su attività sociali,
familiari, personali e lavorative della persona. Il disturbo a livello epidemiologico colpisce maggiormente gli
uomini, sia giovani che adulti; i giovani nonostante giochino meno rispetto agli adulti sembrano riportare episodi
più severi. È possibile che il giocatore d'azzardo patologico dimentichi i propri obiettivi: per esempio un
adolescente potrebbe mettere da parte le proprie ambizioni accademiche, infatti la sfida che il gambler vive e
che lo porta alla gratificazione è costituita dal puntare somme sempre più elevate per sopperire alla perdita dell'
eventuale denaro perso e per ricercare emozioni sempre più forti. Molti studi dimostrano che il gioco d'azzardo
patologico è spesso associato a elevati livelli di Sensation seeking cioè il giocatore d'azzardo ama il rischio
derivante da una meta non sicuramente raggiungibile, cioè la vittoria, perché produce in lui una spinta
adrenalinica legata alla genesi di emozioni forti; il gambling presenta molti tratti in comune con la vigoressia: i
comportamenti ossessivo- compulsivi fanno da base per la continua ricerca del gioco , seguita dalla
conseguente incapacità di smettere e questa ossessiva ricerca conduce a uno stato emotivo essenzialmente
positivo a cui il soggetto non può rinunciare poiché porterebbe ad una riduzione dell ansia e dell angoscia
interiore. Secondo studi su larga scala, il gioco d'azzardo patologico è spesso associato all'uso di sostanze,
disturbi dell'umore, disturbi d'ansia e disturbi di personalità sia negli uomini che nelle donne e può essere un
trampolino di lancio verso condotte devianti come attività delinquenziali, frode o altri comportamenti antisociali.

15. DAI BAMBINI AI ROBOT: MODELLI DI ROBOTICA DELLO SVILUPPO

Lo sviluppo umano è uno dei fenomeni più affascinanti della natura, basti pensare che i bambini nascono come
individui indifesi, con semplici abilità motorie e cognitive appena sufficienti loro per permettergli di sopravvivere
e badare a se stessi ma nel giro di pochi anni essi raggiungono livelli sofisticato di sviluppo mentale; questi
cambiamenti evolutivi presentano una serie di interrogativi importanti sullo studio dello sviluppo umano e la
psicologia lo sviluppo contribuisce alla verifica di teorie e ipotesi sullo sviluppo motorio, cognitivo, sociale e
all’individuazione dei principi generali alla base dell'acquisizione di capacità mentali. Queste conoscenze
teoriche sullo sviluppo umano oltre ad essere utili alle scienze umane possono avere importanti implicazioni
tecnologiche poiché comprendendo i meccanismi dello sviluppo della mente e della condizione dei bambini ,
esse possono essere usate per la progettazione delle capacità cognitive in agenti artificiali , come i robot.
Questi principi e meccanismi possono essere implementati nelle architetture cognitive dei robot e usati per
esperimenti di robotica con robot- bambini ed è questo l'obiettivo della robotica dello sviluppo che è
l’approccio interdisciplinare alla progettazione delle capacità comportamentali e cognitive in agenti artificiali,
che trae ispirazione da principi di sviluppo osservate nei sistemi cognitivi naturali dei bambini. In particolare,
l'idea principale è che il robot utilizzando una serie di principi di sviluppo intrinseci che regolano l'interazione in
tempo reale tra il corpo, il cervello e il suo ambiente, può acquisire un insieme sempre più complesso di
capacità mentali e senso-motorie. La robotica dello sviluppo si basa su uno sforzo altamente i planare delle
scienze empiriche dello sviluppo , come la psicologia evolutiva, le neuroscienze e la psicologia comparata
virgola e le discipline e computazionali e ingegneristiche come robotica e intelligenza artificiale; le scienze dello
sviluppo forniscono le basi empiriche e i dati per individuare i principi generali dello sviluppo, i meccanismi, i
modelli e i fenomeni che guidano l'acquisizione di abilità cognitive.

2.I PRINCIPI DELLA ROBOTICA DELLO SVILUPPO

I modelli di robotica dello sviluppo seguono un approccio basato sull’importanza dell’interazione dei fenomeni
nativisti-biologici ed empiristi-ambientali, sebbene con una maggior enfasi sui fattori ambientali e sociali; la
considerazione dell influenza dei fattori biologici e genetici include gli effetti dei fenomeni di maturazione nel
corpo dell'individuo e degli effetti di cognizione embodied (cioè del ruolo di fattori sensomotori in capacità
cognitive) nella struttura del suo cervello, il ruolo della motivazione intrinseca e l'istinto di imitare e imparare
dagli altri. Tra i fenomeni empiristi (detti anche costruttivisti in alcune teorie evolutive), della ricerca di robotica
evolutiva vi è un focus sull’apprendimento situato, ovvero sul contributo sia del contesto sociale che fisico nel
determinare lo sviluppo, e su una strategia di apprendimento aperto e cumulativo di abilità cognitive; i principi

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generali riflettono i numerosi fattori e processi implicati nella progettazione dello sviluppo mentale autonomo di
robot e di seguito Discuteremo i sei principi generali proposti da Cangelosi al fine di analizzare il progresso
degli studi della robotica dello sviluppo.

2.1 SVILUPPO COME SISTEMA DINAMICO

Un importante concetto preso in prestito dalla matematica e dalla fisica, che ha influenzato in modo
significativo le teorie generali dello sviluppo umano, è quello dei sistemi dinamici; in matematica un sistema
dinamico è caratterizzato da cambiamenti complessi nello stato di un sistema ed essi sono il risultato dell'
autorganizzazione delle interazioni tra molteplici variabili del sistema. La complessa interazione di fenomeni
non lineari risulta nella produzione di stati imprevedibili del sistema , indicati spesso come stati emergenti;
questo concetto è stato preso in prestito da psicologi dello sviluppo, in particolare da Thelen e Smith, per
spiegare lo sviluppo del bambino come il prodotto emergente dell’interazione intricata e dinamica di molte
micro- interazioni decentrate e locali, dei cambiamenti ma tu razionali del suo corpo e del suo cervello, dell
interazione fisica e sociale nel suo ambiente. Thelen e Smith hanno proposto che lo sviluppo di un bambino
dovrebbe essere visto come cambiamento in un sistema dinamico complesso, in cui la crescita del bambino
può generare nuovi comportamenti grazie alla sua interazione con l'ambiente. E tali stati comportamentali
vadano nei loro stabilità nel sistema complesso.

2.2INTERAZIONE FILOGENETICA E ONTOGENETICA

lo sviluppo è soggetto a diverse dimensioni temporali di cambiamento e queste includono i fenomeni onto
genetici di apprendimento, che si svolgono in un orizzonte temporale di ore o giorni , i fenomeni di
cambiamento per maturazione, che si verificano per periodi di mesi o anni, e infine un ulteriore più lento
fenomeno filogenetico , cioè l'effetto dei cambiamenti evoluzionistici lungo molte generazioni. Molto importante
sia per la psicologia che per la robotica dello sviluppo e il cambiamento è dovuto a maturazione di parti del
corpo dell'organismo e del suo cervello, in quanto questo riguarda più strettamente l'interazione tra i
cambiamenti filogenetici e ma tu razionali - onto genetici.

La maturazione si riferisce alle variazioni anatomiche e fisiologiche del cervello del bambino e del suo corpo
soprattutto durante i primi anni di vita ed esempi di fenomeni maturazionali legati al cervello sono la
diminuzione della plasticità del cervello durante i primi mesi e anni dello sviluppo, la graduale specializzazione
emisferica e la riduzione dei neuroni e delle connessioni. Modifiche della maturazione cerebrale sono state
proposte per spiegare i periodi critici di apprendimento, ovvero finestre temporali in cui un organismo è più
sensibile alla stimolazione esterna e più soggetto a eventi di apprendimento con effetti a lungo termine. Un
caso di periodo critico studiato estensivamente riguarda l'apprendimento del linguaggio: Lenneberg è stato
uno dei primi a proporre l'ipotesi neurale del periodo critico per lo sviluppo del linguaggio, che sostiene che le
modifiche del cervello tra i due e i sette anni di età sono responsabili dei problemi di apprendimento della
lingua dopo questa età. Per quanto riguarda i fenomeni di maturazione corporea del bambino questi hanno un
impatto significativo nello sviluppo motorio come nelle analisi di Thelen e Smith della transizione dal
camminare a gattoni fino a camminare con le due gambe.
Ulteriori studi dell’interazione tra i fattori ontogenetici e filogenetici si sono focalizzati su modelli ad agenti
adattivi; ad esempio, Nolfi, Parisi ed Elmann hanno sviluppato modelli di simulazione per spiegare gli effetti di
apprendimento in evoluzione, come per l'effetto Baldwin. Cangelosi ha testato gli effetti dei cambiamenti
eterocronici nell’evoluzione delle architetture di rete neurale per gli agenti simulati. Inoltre, la modellizzazione
dell'evoluzione di diverse morfologie del corpo e del cervello in risposta alle esigenze filogenetiche e
ontogenetiche è anche l'obiettivo dell' approccio computazionale evo-devo che ha lo scopo di simulare gli effetti
simultanei di adattamento dello sviluppo ontogenetico e filogenetico delle morfologie del corpo del cervello in
risposta alle caratteristiche dell'ambiente.

2.3 COGNIZIONE EMBODIED E SITUATA

Vi sono numerose prove empiriche e teoriche sul ruolo fondamentale del corpo nella cognizione e
nell’intelligenza (embodiment), sul ruolo dell interazione situata tra il corpo e il suo ambiente situato
(situatedness) e la generazione autonoma di un modello del mondo attraverso interazioni sensomotorie
(enaction). Questa visione del mondo della cognizione come sistema embodied, situato e di enaction è

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importante per le teorie dello sviluppo poiché il corpo del bambino e la sua interazione con l'ambiente
determinano il tipo di rappresentazioni, modelli interni e strategie cognitive apprese durante lo sviluppo.
In psicologia e nelle scienze cognitive, gli studi sulla cognizione embodied hanno approfondito le basi neurali
del comportamento e il ruolo di azione, percezione ed emozioni nel fornire le basi delle funzioni cognitive come
la memoria e il linguaggio; in neuroscienze, studi di Brain-imaging hanno dimostrato che le funzioni di ordine
superiore , come la semantica delle parole, co-attivano substrati neurali normalmente connessi con
l'elaborazione di azioni motorie. Nella robotica e nell’intelligenza artificiale, gli studi di embodied intelligence
seguono questo approccio e hanno influenzato significativamente la robotica dello sviluppo, nella quale tutti i
modelli pongono grande enfasi sulle relazioni tra il corpo del robot e l'ambiente. In relazione al movimento,
Pfeifer e Bongard hanno dimostrato che l’organismo può sfruttare le proprietà morfologiche del corpo del robot
e le dinamiche di interazione con l'ambiente fisico per produrre un comportamento intelligente ed uno degli
esempi più noti di questo fenomeno è il robot che cammina con dinamica passiva quindi robot bipedi in grado
di camminare su un pendio senza l'uso di alcun attuatore.

2.4 LA MOTIVAZIONE INTRINSECA E L’ISTINTO SOCIALE

La robotica dello sviluppo ha storicamente dato molta rilevanza ai metodi per progettare motivazioni intrinseche
all’azione e all’apprendimento grazie all’interazione sociale; un robot intrinsecamente motivato esplora
l'ambiente in modo completamente autonomo, decidendo da sé ciò che vuole imparare, quali obiettivi vuole
conseguire e quando vuole esplorare e apprendere. Oudeyer, Kaplan e Hafner hanno presentato una cornice
teorica per la ricerca sui modelli di motivazione intrinseca e hanno proposto due approcci principali:
-gli approcci basati sulla conoscenza, di cui alcuni centrati sul concetto di novità, come nel caso in cui il robot
confronti il suo stato sensoriale corrente con le esperienze precedenti, e altri metodi centrati sul concetto di
predizione, cioè che utilizzano modelli usati per predire gli Stati futuri del mondo;
-gli approcci basati sulla competenza, nei quali il robot è motivato a esplorare e sviluppare le competenze che
producono conseguenze positive ed un elemento chiave di questo approccio è la diagnosi della contingenza,
cioè la capacità di rilevare quando le proprie azioni hanno un impatto sull’ambiente.
Mentre l’approccio della basato sulla conoscenza motiva l’agente verso la scoperta di proprietà del mondo, l
approccio basato sulle competenze motiva l’agente a scoprire cosa può fare con il mondo.
Il principio della motivazione intrinseca è anche legato a quello dell’istinto all interazione e all’apprendimento
sociale e ciò è dimostrato da osservazioni su neonati, per esempio, che rivelano la presenza del’ istinto di
imitare il comportamento degli altri già dal primo giorno di vita. Vi sono numerosi studi ed esperimenti di
robotica dello sviluppo per la motivazione intrinseca e l’istinto sociale a imitare e apprendere dagli altri.

2.5 INTERAZIONI NON LINEARI PER STADI DI SVILUPPO QUALITATIVI

La letteratura sulla psicologia infantile è caratterizzata da tante teorie e modelli che propongono una sequenza
di fasi di sviluppo ed ogni fase è caratterizzata dall’acquisizione di specifiche strategie comportamentali e
mentali che ovviamente diventano più complesse e articolate quando il bambino progredisce verso queste fasi.
Una delle teorie a fasi di sviluppo più conosciuta è quella di Piaget, con i quattro stadi di sviluppo del pensiero;
un'altra nota teoria dello sviluppo che si basa sui cambiamenti qualitativi durante la crescita è quella della
ridescrizione delle rappresentazioni di Karmiloff- Smith e sebbene in questa teoria si eviti esplicitamente
l’identificazione di stati definiti per le varie età del bambino, il suo modello assume l'esistenza di diversi livelli di
sviluppo che vanno dall'uso di rappresentazioni implicite verso livelli di strategie di conoscenza e
rappresentazioni esplicite.
La linearità del processo di sviluppo e i meccanismi di transizione qualitativa nelle strategie mentali e di
rappresentazioni della conoscenza sono stati ampiamente studiati attraverso il fenomeno dell apprendimento a
U invertita; il fenomeno dello sviluppo esponenziale del vocabolario è un esempio di cambiamento non lineare
e qualitativo durante lo sviluppo: l'esplosione del vocabolario si verifica nel periodo che va dai 18 ai 24 mesi.
Molti studi sulla robotica e lo sviluppo mirano a modellare la progressione di fasi durante lo sviluppo del robot;
per esempio Nagai e colleghi hanno esplicitamente simulato le fasi di sviluppo delle capacità di attenzione
condivisa proposte dallo psicologo Butterworth. Il modello robotico di Nagai ha dimostrato che i cambiamenti
qualitativi tra le diverse fasi sono il risultato dei cambiamenti graduali di apprendimento neurale nell'architettura
cognitiva del robot, piuttosto che manipolazioni ad hoc delle strategie di attenzione del robot.

2.5 APPRENDIMENTO ONLINE APERTO E CUMULATIVO

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Lo sviluppo umano è caratterizzato da un progresso di apprendimento on line, aperto e cumulativo: il termine
online indica che l'apprendimento avviene mentre il bambino interagisce con l'ambiente, il concetto di sviluppo
aperto si riferisce al fatto che l'apprendimento non si avvia e ferma a fasi specifiche ma piuttosto costituisce
un'esperienza di apprendimento che continua per tutta la vita e il concetto di apprendimento cumulativo implica
che il bambino immagazzina conoscenza durante tutte le fasi dello sviluppo e ciò porta a cambiamenti
qualitativi di strategie cognitive , proprio come nel fenomeno dell’esplosione del vocabolario e nella teoria del
processo di ridescrizione delle rappresentazioni di Karmiloff-Smith.

Una conseguenza dell apprendimento aperto e cumulativo è il fenomeno del bootstrapping cognitivo: in
psicologia dello sviluppo il bootstrap cognitivo è stato per lo più applicato allo studio dell apprendimento dei
numeri e di conoscenza della matematica e secondo questo meccanismo, un bambino acquisisce e integra la
conoscenza e la rappresentazione dei concetti numerici e quindi induttivamente utilizza questa conoscenza per
definire il significato di nuove parole, numeri e concetti matematici.
Gentner ha anche proposto che il bootstrap cognitivo generale sia ottenuto attraverso l'uso del ragionamento
analogico e l'acquisizione di conoscenze simboliche. Nella maggior parte dei modelli di robotica dello sviluppo
è stata meno studiata l'applicazione dei principi di apprendimento cumulativo e aperto mentre l'apprendimento
online in essi è stato implementato; la maggior parte degli attuali modelli robotici si concentra sull acquisizione
di un solo compito o di una sola modalità e pochi studi considerano uno sviluppo parallelo e l'interazione tra le
modalità e le funzioni cognitive.

3.ESEMPI DI MODELLI DI ROBOTICA DELLO SVILUPPO

Per modellare il ruolo dell' embodiment nell'apprendimento delle parole è stato proposto un modello di
modellazione della robotica dello sviluppo chiamato Epigenetic Robotic Architecture che si basa su un insieme
di reti neurali artificiali utilizzate per implementare l'apprendimento da stimoli multimodali e per controllare il
comportamento del robot; essa è formata da varie mappe neurali ognuna realizzata tramite la Self Organizing
Map. Oltre all'architettura della rete neurale il robot è pre programmato con un meccanismo di motivazione
intrinseca per studiare la posizione dei soggetti in movimento come ad esempio il guardare una persona che
agita la mano. Il robot umanoide iCub che viene utilizzato per gli esperimenti, è una piattaforma robotica open
source. La procedura sperimentale del robot segue esattamente quella sugli studi dell apprendimento delle
prime parole utilizzata negli esperimenti di psicologia dello sviluppo :: lo sperimentatore si trova dinanzi al
robot, davanti ad un tavolo bianco dove alcuni oggetti sono esposti e viene detto il loro nome; ogni volta che il
robot vede un oggetto si muove , cambiando la sua posizione per guardare verso l'oggetto e imparare a
categorizzarlo in base alle sue caratteristiche visive come colore e forma appunto ogni prova è composta da 8
fasi:
o fase 1-2: lo sperimentatore mostra due nuovi oggetti al robot: l'oggetto bersaglio, il cui nome deve
essere appreso e un altro oggetto che funge da distruttore
o fase 3-4: i due oggetti vengono mostrati nuovamente
o fase 5: lo sperimentatore nasconde gli oggetti e dirigere l'attenzione del robot verso il lato destro dove
viene mostrato il bersaglio e dice “questo è Modi”
o fase 6-7: i due oggetti vengono nuovamente mostrati uno alla volta come nei passaggi iniziali
o fase 8: entrambi gli oggetti vengono presentati contemporaneamente, in una nuova posizione dal
centro del tavolo e viene chiesto al robot di trovare Modi.
[…..]

Nel complesso questo modello dimostra che è possibile costruire un sistema cognitivo embodied che sviluppi
capacità linguistiche nel senso motorie grazie alle interazioni con il mondo.

3.2 APPRENDIMENTO DEI NUMERI

Il ruolo dei gesti di contare con le dita usati dai bambini e anche l'apprendimento delle capacità numeriche e un
interessante fenomeno evolutivo embodied che mostra un legame tra strategie senso motorie, competenze pre
verbali approssimative di quantificazione e precise capacità di manipolazione dei simboli. Esistono vari studi

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che dimostrano l'effetto positivo delle strategie senza mod ore sulle abilità di conteggio e vi sono tre ipotesi
principali sul ruolo e sul meccanismo che è coinvolgono tale fenomeno :
uno i gesti possono sostenere i bambini a superare i limiti delle risorse convive disponibili
due possono svolgere una funzione coordinativa combinando una corrispondenza temporale con il linguaggio e
una corrispondenza spaziale con gli elementi conteggiati in un attività corporea
tre i gesti possono facilitare l'apprendimento sociale fornendo feedback dei progressi di apprendimento del
bambino.

Un modello di robotica dello sviluppo sull'utilizzo di gesti di conteggio per la produzione dei numeri è basato su
una rete al ricorrente di helman, cioè una rete neurale artificiale con uno strato di memoria che permette di
imparare sequenze di parole o numeri il; in input la rete del robot vede una serie di oggetti e dispone di una
unità che decide il momento in cui bisogna iniziare a contare mentre in output il robot recita i numeri uno alla
volta fino al numero massimo di oggetti mostrati. Gli esperimenti di simulazione robotica hanno dimostrato che
l'attivazione della rete con informazioni in input sui gesti ha permesso di migliorare significativamente
l'accuratezza del conteggio e questo modello ha fornito la prima prova del fatto che gesti di conteggio sono una
strategia embodied utile all acquisizione dei numeri nei robot umanoidi.
In un altro modello con il robot iCub il paradigma della robotica dello sviluppo è stato utilizzato specificatamente
per studiare se il conteggio delle dita e l'associazione di parole numeriche per ciascun dito può aiutare un robot
ad acquisire rappresentazioni numeriche; sono stati condotti diversi esperimenti e i robot che imparano a
ripetere la sequenza dei numeri senza usare le dita ottengono peggiori prestazioni. Questi due modelli del
contare nei robot sia con gesti di puntamento che con il contare le dita, mostrano come l'utilizzo di strategie
sensomotorie embodied può aiutare alcuni sistemi artificiali a sviluppare competenze e rappresentazioni
numeriche.

4.APPLICAZIONI E DIREZIONI DI RICERCA NELLA ROBOTICA DELLO SVILUPPO

L’uso di piattaforme robotiche in ambito psicologico e assistenziale ha messo a disposizione dei terapeuti e
degli psicologi dello sviluppo nuovi strumenti con potenziali applicazioni cliniche; Alcuni studi di robotica dello
sviluppo a sostegno della terapia con bambini con disturbo dello spettro dell'autismo (ASD) mostrano i benefici
dell'uso di robot nella terapia nonostante la loro efficacia e accettabilità siano in fase di valutazione. I robot
suscitano nei bambini risposte sociali positive e sono spesso usati dagli psicologi per aumentare il
coinvolgimento emotivo favorendo l'interazione sociale e la creazione di abilità durante l'interazione.
L'applicazione della robotica nella terapia dei bambini con spettro dell'autismo rappresenta attualmente una
nuova sfida scientifica e l'obiettivo è quello di insegnare ai bambini le abilità sociali di base , l'interazione e la
comunicazione e alcuni studi pionieristici tra cui quello di Robins, hanno evidenziato come bambini con ASD
preferiscono i robot agli esseri umani. I risultati di vari studi sperimentali indicano che le reazioni prevedibili di
un robot possono aiutare i bambini con autismo nell interazione con una persona umana , tenendo conto dell'
espressività del volto che in alcuni robot è volutamente accentuata.
Scassellati ha studiato l'impiego di robot sociali per completare la diagnosi e il trattamento dell'autismo ed egli
afferma che i dispositivi robotici forniscono dati quantitativi che potrebbero essere utilizzati dai medici per il
monitoraggio delle condizioni dei pazienti ed altre ricerche hanno dimostrato che i robot generano un elevato
livello di motivazione e impegno nei pazienti. Un recente studio di Conti e colleghi che ha coinvolto un
campione di bambini italiani si è concentrato principalmente sull’imitazione di abilità grosso motorie dei
partecipanti come strumento di supporto alla terapia ASD con disabilità intellettiva di tipo moderato e grave;
l'esperimento consiste in un gioco imitativo corporeo in cui il ruolo del bambino è di essere prima imitatore e poi
iniziatore dell’imitazione e durante il gioco il ricercatore controlla i movimenti e opera da remoto sul robot
umanoide che è capace di produrre gesti altamente espressivi ; L'esperimento è composto da quattro fasi e
l'analisi dei dati ha prodotto alcuni promettenti risultati relativamente all abilità dei bambini sia per l'interazione
sociale sia per le loro capacità imitative supportando quindi l'idea che i robot possono essere usati in ambiente
sanitario integrandoli in programmi di trattamento esistenti ed efficaci.

5.DIREZIONI DI RICERCA FUTURE

Precedentemente si è parlato dei principi fondamentali della robotica dello sviluppo e di alcuni studi che hanno
direttamente trattato e implementato queste linee guida ma lo scopo generale della psicologia e della robotica
dello sviluppo, cioè comprendere i meccanismi di sviluppo nei sistemi cognitivi naturali e la loro

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operazionalizzazione e attuazione nei sistemi cognitivi robotici artificiali, è un compito molto complesso e lascia
aperte una serie di sfide scientifiche e tecnologiche che affronteremo qui.
Anche se vi sono moltissimi modelli di apprendimento dello sviluppo di capacità sensoriali, motorie, sociali solo
in pochissimi casi questi sono stati integrati in un unico agente robotico che cumula e integra diverse capacità
e modalità cognitive; un modo per affrontare questo problema è la creazione di un sistema cognitivo integrato
per il controllo dei robot.
Ad esempio in modelli di sviluppo del linguaggio, lo stesso controllore dovrebbe essere usato per aggiungere
cumulativamente e gerarchicamente competenze fonetiche e dell apprendimento di parole singole e in
parallelo lo stesso robot deve essere in grado di integrare conoscenze lessicali, semantiche e grammaticali con
rappresentazioni senso motorie, sulla linea dell approccio di cognizione embodied nello sviluppo della mente.
Un'altro approccio al problema dell apprendimento cumulativo è l'uso di architetture cognitive che propongono
un metodo intrinseco all integrazione di molteplici comportamenti permettendo l'apprendimento integrato di
molte competenze cognitive nel robot bambino.
Per quanto riguarda le direzioni di ricerca future su motivazione intrinseca legata all'apprendimento cumulativo,
uno degli obiettivi primari è dimostrare l'apprendimento gerarchico e di trasferimento di competenze tra diversi
compiti e modalità e in questo caso sono stati proposti in letteratura alcuni quadri concettuali per lo studio del
trasferimento di competenze tra diversi contesti e domini; in particolare è stato proposto che molte competenze
importanti siano inizialmente acquisite semplicemente per divertimento o gioco ma che poi possano più tardi
essere reclutate e riutilizzate come elementi di comportamenti più complessi. Il progresso scientifico e
tecnologico nella progettazione della robotica dello sviluppo ha importanti implicazioni per la progettazione di
robot interattivi intelligenti in una varietà di settori e in particolare le ricerche di robotica dello sviluppo hanno
portato alla progettazione e sperimentazione di applicazioni di SAR per bambini e questo campo prende il
nome di Child- Human- robot-interaction e l'uso dei robot per assistenza sociale ha implicazioni importanti e
solleva problemi critici sui principi etici dell'uso di robot in particolare con i bambini.
Infine la ricerca e le applicazioni pratiche di interazione uomo- robot propone questioni più generali relative all
etica della robotica e sono state per esempio esaminate le implicazioni etiche dell uso di robot per la cura e
l'assistenza di anziani e persone con disabilità proponendo un quadro di azione in cui i progettisti di robot
devono essere espliciti sui valori, gli usi e i contesti di utilizzo del robot fin dalle prime fasi di progettazione di
uno studio robotico; Nel particolare caso dei robot assistenziali per pazienti anziani, la principale
raccomandazione è quella di responsabilizzare tutti gli utenti come medici e pazienti affinché professionisti
della salute mantengono la piena responsabilità piuttosto che delegarle alla tecnologia.

16. LE SFIDE DEL MULTICULTURALISMO

1.IL PARENTING

Il parenting può essere definito come un insieme di pratiche genitoriali specifiche che influiscono
significativamente sulla strutturazione dei comportamenti infantili ; I genitori infatti contribuiscono direttamente
allo sviluppo dei figli trasmettendo il proprio patrimonio genetico ma soprattutto prendendosene cura e
strutturando le loro prime esperienze e il tipo di ambiente in cui i bambini cresceranno. È proprio la cultura in
cui i genitori sono immersi ad avere un ruolo determinante soprattutto quando una società si trasforma da
monoculturale in multiculturale; sono stati per primi Super e Harkness a proporre il concetto di nicchia
evolutiva cioè l'ambiente di sviluppo del bambino e lo specifico contesto che sta intorno ad un determinato
individuo all'interno di una determinata cultura e di essa fanno parte le abitudini, i luoghi, le contingenze
materiali, la personalità e il temperamento di chi si prende cura del bambino. Elemento centrale della nicchia è
dunque il modo in cui genitori si rappresentano il bambino e la sua crescita e le teorie che i genitori sviluppano
all'interno della loro cultura per comprendere il figlio e per dare un significato al loro essere genitori; visto che
tali teorie genitoriali sono fortemente influenzate dalla tradizione culturale in cui genitori vivono, esse vengono
definite da due studiosi statunitensi etnoteorie parentali cioè i modelli culturali che rappresentano le idee dei
genitori sui propri figli, sul loro sviluppo, su cosa sia importante fare o non fare per essere dei buoni genitori.
Se etnoteorie parentali diverse si incrociano all'interno dello stesso sistema sociale, come nel caso di famiglie
migranti, i genitori devono riuscire a rielaborare il proprio modello originario senza perdere di vista l'obiettivo
primario cioè lo sviluppo fisico e psicologico del proprio figlio; la letteratura internazionale suggerisce che i

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genitori appartenenti a minoranze etniche hanno credenze e valori che da una parte si sovrappongono a quelli
del gruppo maggioritario mentre dall’altra se ne differenziano notevolmente.
Utilizzando il modello ecologico-culturale di Ogbu, si potrebbe affermare che i genitori migranti sviluppano
atteggiamenti e comportamenti del tutto peculiari definiti come formule culturalmente standardizzate con
l'obiettivo di promuovere nel bambino particolari competenze e comportamenti, socialmente adeguati ai canoni
culturali del paese che li ospita. In psicologia l'interesse per il contesto culturale in cui avviene lo sviluppo di un
bambino risale alla metà del XX secolo e negli anni '60 si comincia a delineare la concezione secondo la quale
gli spazi, non solo fisici, nei quali i bambini crescono e si sviluppano sono i contesti socioculturali in cui genitori
vivono con le loro consolidate abitudini e sono proprio gli spazi identificati poi con il termine di nicchie evolutive.
Vista la profonda influenza della cultura sul processo di parenting e quindi sullo sviluppo stesso del bambino
presentiamo tre modelli che hanno cercato di descrivere il complesso intreccio di sviluppo individuale e
processi culturali: il modello psicoculturale di Beatrice e John Whiting, il modello ecologico di Urie
Bronfenbrenner e infine il modello storico-culturale di Lev Vygotskij.

1.1

L approccio proposto da Beatrice e John Whiting Nasce da un analisi generale dei processi culturali, in
contrapposizione a quanto avveniva spesso nelle indagini che si limitavano a stabilire relazioni tra lo sviluppo
del bambino e macro categorie, come la cultura, la classe sociale o il genere. In particolare Beatrice Whiting
sollecitó i ricercatori a non considerare semplicemente queste variabili come indipendenti o omnicomprensive
ma piuttosto ad analizzarle a fondo cercando di individuarne le connessioni che le pongono in relazione ed ella
ribadì più volte che per comprendere le dinamiche di sviluppo di un bambino è necessario acquisire dettagliate
informazioni sulle situazioni in cui esse hanno luogo. Secondo i due studiosi lo sviluppo è dunque la risultante
di una serie di condizioni sociali e culturali in cui il bambino si trova immerso a vivere e comprendono
l'ambiente, la storia, i sistemi di sussistenza e l'ambiente di apprendimento del bambino ma accanto a queste
condizioni socioculturali, esistono poi una serie di condizioni riguardanti l'individuo stesso che comprendono
fattori innati e fattori appresi. Alla base di questo modello si presuppone un rapporto di causalità lineare tra i
diversi fattori che giunge fino al contesto di apprendimento e di sviluppo del bambino; questa impostazione ha
permesso ai due studiosi statunitensi di elaborare uno schema concettuale di riferimento ma come fa notare
Rogoff il loro schema contiene una serie di ipotesi sul rapporto tra individuo e cultura che non sembra tenere in
conto la dimensione dinamica dell'interazione tra diversi fattori implicati nello sviluppo.

Un secondo importante modello di riferimento per lo studio e la comprensione degli aspetti culturali implicati
nelle attività dei genitori è la teoria ecologica di urie Bronfenbrenner che si differenzia dal primo approccio pur
sollevando problemi similari soprattutto rispetto all opportunità di considerare disgiuntamente gli aspetti culturali
implicati nello sviluppo e gli aspetti invece individuali. Bronfenbrenner sottolinea il ruolo delle interazioni tra un
individuo e l'ambiente evidenziandone la continua evoluzione che connota entrambi E rappresenta la sua teoria
ecologica con una serie di cerchi concentrici in cui il più grande include il più piccolo :: gli individui e contesti più
ampi sono separati e possono essere definiti indipendentemente e ne consegue che contesti più ampi
influenza né quelli più piccoli i quadri a loro volta, influenza lo sviluppo del bambino.
Questo modello ha offerto un prezioso contributo nel sottolineare il ruolo delle relazioni tra molteplici situazioni
e differenti contesti culturali e i risultati del suo lavoro hanno svolto un ruolo importante nell indicare ai
ricercatori la necessità di includere l’analisi del contesto nelle proprie ricerche sottolineando come la psicologia
non avesse fino a quel momento considerato a sufficienza tutti i diversi livelli implicati nello sviluppo.

A differenza delle precedenti due teorie dello sviluppo che considerano separatamente l'individuo e il contesto
culturale, l approccio di Vygotskij che propone invece di considerare lo sviluppo del bambino come
inscindibilmente legato al suo contesto storico, sociale e culturale: quindi il comportamento del bambino e il suo
sviluppo non sono mai comprensibili se vengono separati dalla cultura di cui fanno parte . Egli inoltre affronta il
ruolo degli strumenti culturale (come la scrittura, la matematica) sullo sviluppo delle abilità cognitive del
bambino ed inoltre riteneva che i bambini da un punto di vista cognitivo imparassero ad utilizzare una precisa
una precisa serie di strumenti culturali attraverso l'interazione con partner più competenti che egli ha definito
zona di sviluppo prossimale e grazie a cui il bambino può partecipare ad attività che da solo non sarebbe stato
in grado di affrontare. Gli strumenti culturali quindi vengono ereditati dai genitori e dalle generazioni precedenti
e vengono trasformati dalle generazioni successive: infatti per lui la cultura non è un concetto statico ma si

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forma e si trasforma in conseguenza all interazione tra le persone che utilizzano e adattano gli strumenti
materiali e simbolici che hanno ereditato dal passato.

2.L’IDENTITÀ ETNICA

Nell'ambito degli studi relativi alle dinamiche culturali generate dall incontro tra migranti e autoctoni, una delle
prospettive teoriche più usate e ancora oggi quelle di J. Berry, che descrive atteggiamenti e comportamenti dei
migranti nell’interazione con la società che li accoglie ed è proprio a questo modello che ci riferiremo nel
delineare le ipotesi identitarie che si presentano a un minore con un background migratorio mentre cerca di
mantenere un unico sé nelle diverse situazioni. Il concetto di identità etnica è usato per indicare il sentimento
di appartenenza ad un gruppo etnico o la condizione di essere etnici; identità etnica viene scoperta nell
individuo soprattutto quando si trova a vivere in condizioni di mutamento e trasformazione della società quindi
quando alcuni aspetti importanti della propria tradizione culturale vengono messi in discussione da un processo
di erosione culturale. Spesso la propria etnicità non viene nemmeno riconosciuta dal paese di immigrazione,
salvo per ciò che riguarda gli aspetti somatici, e ciò comporta molte difficoltà a riprodurre pratiche culturali e
strutture sociali a base etnica e quindi viene compromessa significativamente la possibilità di mantenere
l'identità etnica originaria; I genitori quindi propongono come modello proprio questa etnicità senza radici ma
poiché il rapporto con il paese di origine dove spesso si vuole tornare ma da dove si è anche scappati risulta
ambiguo accanto ad una identità etnica originaria, la famiglia migrante trasmette ai propri figli questi vissuti che
influenzano la formazione della loro identità.
Quindi i minori stranieri devono confrontarsi con diverse ipotesi di identità etnica: quella del paese di origine
della famiglia, quella del paese dove ora vivono, quella che nel paese di arrivo è ritenuta l’etnicità presente nel
paese di origine e infine quella che la famiglia ritiene essere l’etnicità del paese di immigrazione. I minori con
un background migratorio sono sottoposti ad un duplice processo di acculturazione e socializzazione che
determina quello che molti studiosi definiscono una lacerazione dell io , diviso tra istanze culturali in conflitto; al
minore è affidato il difficile compito di trovare , spesso da solo, una soluzione di mediazione tra questi due
universi per cui, secondo bastianoni, il minore tenta di ricomporre le lacerazioni che si trova a vivere adottando
una di quattro possibili soluzioni:

2.1 IDENTITÀ REATTIVA

La prima soluzione è quella della cosiddetta identità reattiva: il termine reattiva sottolinea l’atteggiamento
assunto dal minore nei confronti degli autoctoni e il suo tentativo di fare riferimento alla cultura e all'identità
etnica originaria proposta dai propri genitori , accentuandone i molteplici aspetti e per quanto riguarda le
amicizie tendono ad escludere i coetanei autoctoni e a privilegiare i connazionali. Secondo alcuni studiosi
l'identità reattiva dovrebbe essere promossa in quanto rafforza l’identità originaria, permettendo così al minore
di sviluppare una maggiore stima di sè , unica garanzia per prevenire i processi di marginalizzazione; in tale
prospettiva, la resistenza culturale rappresenterebbe un momento di rafforzamento dell identità etnica che però
non deve portare ad una chiusura ghettizzante ma ad un pluralismo multiculturale che garantisca il rispetto
delle diversità. L'etnicità è intesa quindi come valorizzazione della cultura d'origine e come risorsa e risposta
adeguata ai bisogni d'identità diffusi nella società altamente differenziate e questo aspetto rivendicativo si
incentra su una sorta di protezione dell'esperienza religiosa del paese di origine oppure riguarda aspetti
somatici, un uso quasi esoterico nella lingua originaria ho una marcata valorizzazione di aspetti culturali
tradizionali.

2.2 ASSIMILAZIONE

La seconda soluzione invece legata al processo di assimilazione: il minore straniero aderisce cioè alla
proposta identitaria che gli viene offerta nella società di arrivo e rifiuta tutto ciò che ha a che fare con la propria
cultura di origine, come la lingua, il cibo e i valori ritenendoli inadeguati alla cultura del paese di arrivo.
Diversi studiosi ritengono che l'assimilazione sia la modalità che sottende le relazioni tra i popoli e rappresenta
quindi per un immigrato il raggiungimento del vero equilibrio identitario soprattutto per i processi migratori più
recenti, che risentono dei processi di omologazione globale, tanto che si parla di socializzazione anticipatoria
cioè di un processo attraverso il quale gli aspiranti emigranti acquisiscono grazie alla diffusione dei media , già
nelle loro terre i valori e gli orientamenti della società di arrivo e in questo caso l’elemento etnico è considerato
un residuo temporaneo che ostacola il processo di avvicinamento. tra gli aspetti positivi dell' assimilazione vi è

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il fatto che i giovani stranieri sono messi nelle condizioni di apprendere rapidamente la lingua e la cultura del
paese di immigrazione e quindi stabilire facilmente le legami con i coetanei autoctoni; Il problema che spesso
accompagna questo tipo di soluzione identitaria è un acceso conflitto con i genitori.

2.3 MARGINALITÀ

La terza soluzione è quella che viene definita della marginalità e che da molti è presentata come la condizione
più frequente tra i minori di seconda generazione cioè minori che vivono ai margini sia della cultura d'origine
della famiglia sia di quella del paese di immigrazione e quindi incapace di costruirsi una soluzione identitaria
adeguata quindi emarginata dal gruppo dei coetanei. Essi non si sentono di appartenere ad alcuna delle due
culture ma piuttosto si collocano passivamente tra entrambe incapaci di scegliere tra affetti familiari e fascino
dell’emancipazione e questo è sicuramente la condizione che più rischia di mettere a repentaglio il benessere
psichico del minore poiché in lui prevale la confusione che spesso si esprime attraverso un imperfetto
bilinguismo; bisogna inoltre distinguere tra marginalità da frustrazione, intesa come soluzione adottata a
seguito di una frustrazione che il minore ha subito nel tentativo di inserirsi nella nuova società, e la marginalità
di passaggio intesa invece come fase di cambiamento verso una nuova identità e questa seconda situazione
non considera la marginalità come una condizione psichica negativa ma come il segno di una non
appartenenza sia alla cultura originaria sia a quella del paese di immigrazione.

2.4 DOPPIA ETNICITÀ

L'ipotesi della possibilità di una identità plurima per alcuni studiosi rappresenta la soluzione più idonea per una
società come quella post moderna in cui rapide trasformazioni che la riguardano rendono impossibile
sviluppare un reale e costante sentimento di appartenenza ma nella quale ci sia, almeno apparentemente,
maggiore libertà nel modellare la propria identità e la propria vita. è il caso della cosiddetta doppia etnicità, in
genere il frutto di un lento ma profondo lavoro in cui l’identità viene plasmata dal continuo confronto tra i due
mondi che porta ad un costante ed equilibrato processo di selezione e adeguamento e non a risoluzioni
definitive o estreme; in questo caso si tratterebbe di minori con familiari che sono riusciti a inserirsi
positivamente nel nuovo contesto sociale in cui si sono trovati a vivere e quindi di conseguenza hanno favorito
nei figli stessi un processo di sviluppo che non negato alcuni aspetti dell’originaria etnicità. La doppia etnicità è
considerata la soluzione identitaria migliore perché permette al minore con un background migratorio un
maggiore equilibrio; il modello che più si avvicina, nella realtà, a questa soluzione è costituito dalle cosiddette
“identità col trattino”, che mantengono un forte ed equilibrato legame con entrambe le culture.

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