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A Chiara
PREFAZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA
“Marx dice che le rivoluzioni sono la locomotiva della storia universale. Ma forse le
cose stanno i modo del tutto diverso. Forse le rivoluzioni sono il ricorso al freno di
emergenza da parte del genere umano in viaggio su questo treno.”
W. Benjamin
“Non ci si può più permettere di essere come un giovane che non fa niente. Chi non
lavora? Non si può più vivere senza lavorare, è una cosa orrenda. Mi ricordo di un
libro che si chiama II diritto all’ozio; questo diritto non esiste più.”
M. Duchamp
“John Cage si vanta di aver introdotto il silenzio nella musica. Io
mi vantavo di aver introdotto l’ozio nell’arte”1, dice da qualche parte
Marcel Duchamp. Il “grande ozio” di Marcel Duchamp ha sconvolto
l’arte in maniera più radicale e duratura della sfrenata attività e
produttività di un Picasso con le sue 50.000 opere.
Duchamp pratica un rifiuto ostinato del lavoro, che si tratti di
lavoro salariato o di lavoro artistico. Rifiuta di sottomettersi alle
funzioni, ai ruoli e alle norme della società capitalista. Questo rifiuto
non interroga solamente l’arte e l’artista, perché differenziandosi dal
“rifiuto del lavoro” teorizzato dall’operaismo italiano degli anni
Sessanta, l’atteggiamento di Duchamp ci può aiutare a comprendere
quei “rifiuti” che si sono espressi dopo il 2008 sulle piazze e nelle
strade del pianeta (Turchia, Brasile, Spagna, Stati Uniti, ecc.).
Da una parte Duchamp estende il suo campo d’azione al di là del
rifiuto del lavoro salariato, verso tutte le funzioni e i ruoli che ci
vengono assegnati (donna/uomo, consumatore, utente, comunicatore,
disoccupato, ecc.). Come la maggior parte di queste funzioni, quella
dell’artista non è subordinata a un padrone, ma a una serie di
dispositivi di potere. Come per il “capitale umano”, l’artista, di cui è
divenuto il modello nel neo-liberalismo, deve sottrarsi non solo ai
poteri “esterni”, ma anche alla gestione del proprio “io” (l’io-creatore
per l’artista e l'io-imprenditore per il capitale umano), che dà a
entrambi l’illusione di essere liberi.
Dall’altra parte, Duchamp ci permette di pensare e di praticare un
“rifiuto del lavoro” a partire da un principio etico-politico che non sia
quello del lavoro. Si tratta così di uscire dal circolo vizioso della
produzione, della produttività e dei produttori. Il lavoro è stato allo
stesso tempo il punto di forza e il tallone d’achilie della tradizione
comunista. Emancipazione dal lavoro o emancipazione attraverso il
lavoro? Un’ambiguità senza via d’uscita. Il movimento operaio è
esistito solamente perché lo sciopero era allo stesso tempo un rifiuto,
un non-movimento, un’inoperosità radicale2, una non azione, un
arresto della produzione, che sospendeva i ruoli, le funzioni e le
gerarchie della divisione del lavoro in fabbrica. Problematizzare un
solo aspetto della lotta, la dimensione del movimento, è stato un
grande ostacolo, che ha fatto del movimento operaio un accelleratore
del produttivismo, dell'industrializzazione e un apologia del lavoro.
Con il neoliberalismo, l'altra dimensione della lotta, che implica il
‘rifiuto del lavoro'', il non-movimento o la de-mobilitazione, è stata
abbandonata o insufficientemente problematizzata.
Il rifiuto del lavoro operaio nella prospettiva comunista, rimanda
sempre a qualcos'altro da sé stesso, alla politica nella sua doppia
forma del partito e dello Stato. Duchamp ci invita a soffermarci sul
rifiuto, sul non-movimento, sulla smobilitazione e a sviluppare e
sperimentare tutto ciò che l'azione oziosa crea come possibilità per
operare una riconversione della soggettività, inventando delle nuove
tecniche desistenza e dei nuovi modi di abitare il tempo. I movimenti
femministi, dopo il rifiuto di esercitare la funzione (e il lavoro) di
“donna", sembra abbiano seguito questa strategia piuttosto che
l'azione politica classica. L'antropologia del rifiuto operaio resta in
ogni modo un'antropologia del lavoro, la soggettivazione di classe è
sempre una soggettivazione di “produttori” e di “lavoratori”. L’azione
oziosa apre a tutt’altra antropologia e a tutt’altra etica. Scalzando le
fondamenta del lavoro, scuote non solo l’identità dei produttori, ma
anche le loro assegnazioni sessuali. Ciò che è in gioco è l’antropologia
della modernità: il soggetto e l’individuo, la libertà dell’uomo,
l’universalità dell’uomo.
Il movimento comunista ha avuto la possibilità di produrre altre
antropologie e altre etiche rispetto a quelle della modernità
lavoratrice, e altri processi di soggettivazione rispetto a quelli centrati
sulla produzione. Il diritto all'ozio, redatto da Paul Lafargue, genero
di Marx, rispondeva al “diritto al lavoro” di Louis Blanc, e aveva le
proprie radici nell’“ozio” degli antichi, che Lafargue ha cercato di
ripensare in rapporto alla democratizzazione della schiavitù operaia,
realizzata attraverso il lavoro salariato. I comunisti non hanno visto le
implicazioni ontologiche e politiche che apre la sospensione
dell’attività e del comando. Hanno così perso la possibilità di uscire
dal modello dell'homo faber, dall’orgoglio dei produttori e dalla
promessa prometeica del dominio sulla natura che questo modello
implica. Spetta a Duchamp sviluppare la sua radicalità, perché il
diritto all’ozio, “un diritto che non esige né una giustificazione né
qualcosa in cambio”, attacca i tre fondamenti della società capitalista.
Prima di tutto lo scambio: “Chi ha inventato lo scambio a uguaglianza
di valore, che è diventato una legge poliziesca delle relazioni tra
individui nella società attuale?”3. In secondo luogo, ancora più a
fondo, attacca la proprietà, condizione di possibilità dello scambio:
“Possessione - d’altronde l’idea di scambio presuppone la possessione
nel senso proprietario del termine”4. E infine attacca il lavoro. In
Marx il lavoro è il fondamento vivente della proprietà, quest’ultima
non è che lavoro oggettivato. Se si vuole dare un colpo mortale alla
proprietà, dice Marx, bisogna combatterla non solo come condizione
oggettiva, ma anche come attività, come lavoro. Il diritto all’ozio
distrugge lo scambio, la proprietà e il lavoro, ma lo fa aggirando la
tradizione marxista.
1. IL RIFIUTO DEL LAVORO
Contro il linguaggio
Rose Sélavy