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CAPITOLO 13: NASCITA E MORTE DELLA JUGOSLAVIA

1. La nascita e la prima dissoluzione

Durante la 1WW le componenti slave tra Austria e Grecia avviarono colloqui e accordi per il futuro.
Questi portarono all’accordo del ’17 tra croati, sloveni e serbi per la nascita di uno stato jugoslavo. A
guerra finita, i serbi si sentirono vincitori della guerra, visto che croati e sloveni erano sudditi
dell’Austria-Ungheria (quindi andavano considerati come sconfitti, dal loro punto di vista).

23 novembre ’18, costituzione del regno Serbo-Croato-Sloveno (SHS)  ottenuta dal politico
radicale serbo Nikola Pasic, fu affidati alla dinastia dei Karadjordjevic. Si caratterizzò per la forte
pressione dell’oligarchia serba su tutte le altre etnie. Elezioni ’20  vittoria dei partiti tradizionale
serbi e del partito contadino croato di Radic, nato a difesa dell’identità croata.

Costituzione del 28 giugno ’21  sistema centralizzato alla francese, prescindendo dalle tradizioni
storiche e dalle etnie. Si cercò di serbizzare la Macedonia (espellendo i Bulgari) e il Kosovo
(criminalizzando gli albanesi). Tutto ciò provocò dure sommosse, dure repressioni e attentati: nel ’28
venne ucciso in parlamento il leader croato Stjepan Radic. Nel ’29 re Alessandro approfittò della
situazione per creare una dittatura personale, sciogliendo il parlamento e cambiando il nome in
Jugoslavia (“Slavia” del Sud).

Nella sostanza non cambiò nulla. L’opposizione croata si fece sempre più dura: nel ’34 un attentato
a Marsiglia degli estremisti nazionalisti croati (gli Ustasa) portò all’uccisione del Re. Il Reggente
Paolo provò ad avviare un rinnovamento per spezzare il potere oligarchico (non manifestò simpatie
verso i serbi). La proposta del suo ministro Stojadinovic di firmare un concordato con la Chiesa
scatenò una violentissima protesta in Serbia e tra gli ortodossi, poiché quella era una mossa per
riconciliarsi con i croati (cattolici). Si riuscì a regolare i rapporti tra serbi e croati con l’accordo per
fare della Jugoslavia uno stato bipolare, nel 1939. Accordo che non risolse i problemi:

- I croati pretendevano altre terre, rimaste fuori dall’accordo che portò alla creazione di una
loro provincia
- I nazionalisti serbi interpretarono l’autonomia concessa ai croati come un tradimento vero e
proprio

Per questo motivo i serbi approfittarono del fatto che il reggente Paolo e ministro Cvetkovic
firmassero l’adesione all’asse Roma-Berlino per rovesciarli con un golpe e avvicinarsi agli inglesi
(marzo ’41). Il cambio di alleanze fece intervenire i tedeschi (e gli italiani con loro) col
bombardamento di Belgrado, il 6 aprile ’41. Il tutto si concluse con la disfatta e la dissoluzione della
Jugoslavia, il 17 aprile ’41.

La Jugoslavia venne smembrata:

- Slovenia venne divisa tra Italia e Germania


- Croazia divenne uno stato indipendente retto dal fascista Pavelic e comprendente l’intera
Bosnia-Erzegovina
- Montenegro fu posto sotto l’occupazione italiana (era la patria della regina Elena).
- La Dalmazia fu annessa all’Italia
- La Serbia tornò ai confini del ’14, sotto occupazione militare tedesca.
- I territori residui vennero ceduti agli stati confinanti (Bulgaria, Ungheria, Albania). Vennero
ampliate le province di Fiume e Zara, create quelle di Spalato e Cattaro. Lubiana diventò
provincia speciale autonoma.
- Alle spalle della Dalmazia italiana venne costituita una “seconda zona” smilitarizzata, sotto
la sovranità croata.

La Croazia avrebbe dovuto ruotare intorno all’influenza italiana, tanto che il suo Capo dello Stato
avrebbe dovuto diventare il principe Aimone di Savoia Aosta, che però non fece niente per prendersi
il potere. Situazione si rivelò precaria fin da subito, con il diffondersi di rivolte e movimenti di
resistenza, tanto che l’esercito italiano fu inviato ad occupate anche la “seconda zona” smilitarizzata
(e poi anche la terza) e a scontrarsi direttamente con la resistenza slava. Nel luglio ’41 scoppiò una
ribellione generalizzata in Montenegro, gli alti comandi italiani decisero di rispondere con estrema
brutalità. Servì un mese per domare la rivolta, che rimase endemica per tutto il periodo seguente.

Il regime di Pavelic in Croazia stava avviando una guerra di annientamento etnico contro le comunità
serbe o musulmane, oltre a intraprendere una politica di sterminio di ebrei e zingari. Le forza italiane
d’occupazione riuscirono a frenare tale sviluppo, creando però altre frizioni con la Croazia, il suo
supposto stato vassallo.

Si sviluppo una resistenza partigiana armata, divisa in gruppi avversari:

- I Cetnici – bande armate serbe in guerra contro gli Ustasa, tedeschi e italiani
- Contro tutti quanti si mosseor i partigiani comunisti del croato Tito, fautore della multietnicità

Si creò un clima di crudeltà inaudite. I comandi italiani non riuscirono a inventare una efficace
risposta politica e finirono per oscillare tra due estremi:
- Trattare con le bande, sostenendo in particolare i Cetnici di Mihajlovic contro i comunisti. I
tedeschi erano contrari, tanto che nel ’43 avviarono il disarmo di queste formazioni
- Massicce operazioni di rappresaglia armata, che causarono altre azioni di resistenza

2. Il dopoguerra e la rinascita della Jugoslavia

Accordo tra Tito e il governo di Belgrado, voluto dagli inglesi, ’44  finì per condannare Mihajlovic
al suo destino: catturato nel ’45 e fucilato dai partigiani comunisti. Dopo l’accordo, Tito liberà
Belgrado con le sue forze, il 20 ottobre ’44. Da lì avviò la rinascita della Jugoslavia, fondata
sull’apporto delle diverse nazionalità.

29 novembre ’45  nasce la Repubblica popolare federativa di Jugoslavia. Applicarono lo schema


sovietico di federazione, puntando all’equilibrio tra Serbia e Croazia tramite la forza unificatrice del
Partito Comunista. Era formata da 6 repubbliche:

- Croazia
- Serbia
- Slovenia
- Bosnia-Erzegoniva
- Montenegro
- Macedonia

Elezioni ’45 Fronte Popolare ottiene il 90%, poiché le opposizioni ritirarono i loro candidati per
protesta. Venne avviata una dura repressione contro borghesi e fascisti (circa 100mila vittime), vide
l’esperienza delle foibe. Fu avviata la nazionalizzazione delle industrie e la riforma agraria.

Maturò in breve tempo lo scontro tra Stalin e Tito, con diverse cause scatenanti:

- La forza e i successi militari dei partigiani comunisti di Tito


- I tentativi sovietici di controllo e infiltrazione
- La questione delle compagnie commerciali miste
- Le ipotesi di federazione balcanica tra Jugoslavia e Bulgaria (avversata e poi proposta da
Mosca)
- L’espansionismo jugoslavo in Albania
- Le gelosie personali tra i due e il prestigio nazionale di Tito.

Tito resistette alle rimostranze di Stalin, non partecipò al Cominform del ’48. Il 28 giugno venne
esplicitato l’atto d’accusa sovietico al PCJ e l’invito alla ribellione del popolo jugoslavo contro Tito.
Quest’ultimo si appellò al paese col congresso del PCJ del luglio ’48 e consolidò il suo potere. Da
quel momento i comunisti jugoslavi vennero definiti come traditori della causa comune. L’Urss provò
più volte a rovesciare Tito, inutilmente. La Jugoslavia abbandonò il modello sovietico di società per
passare ad un sistema di autogestione che voleva tenere in equilibrio il centralismo con forme di
controllo dal basso, senza rinunciare alle repressioni.

3. La leadership di Tito

Appena uscito dalla morsa sovietica, Tito mosse una politica originale.

Politica estera  Si mise alla testa del movimento dei non allineati insieme all’Egitto di Nasser e
all’India di Nehru, specialmente con la conferenza di Bandung (Indonesia) del ’55.

Politica interna  organizzazione produttiva ed economica basata su forme di autogestione delle


aziende statali. Principale teorico su Milovan Djilas, uno dei protagonisti della Resistenza e della
rinascita del regime. Presto, però, inizio a scrivere articoli critici sui vertici del partito e sul futuro del
paese. Il caso esplose nel ’54, quando dovette dimettersi da presidente della Camera. Quando nel ’56
prese posizione a favore degli insorti ungheresi venne arrestato (venne poi rilasciato e autorizzato ad
andarsene negli USA).

Crescevano le differenze economiche tra le repubbliche, anche a causa dell’autonomia in campo


imprenditoriale. In Serbia si sviluppò una letteratura critica che riprese i miti nazional-patriottici. Si
intensificavano però le pressioni delle altre etnie jugoslave, favorevoli al decentramento e al
federalismo (mentre la Serbia sognava uno stato forte e accentrato). Avvenimenti successivi:

- ’67, la Macedonia istituì una chiesa autocefala


- ’68, gli albanesi del Kosovo, tartassati da polizia e servizi segreti (in mano ai serbi) chiesero
la costituzione di uno stato autonomo (per ora era una regione)
- ’70-’71, proteste nazionaliste croate
- ’74, Nuova costituzione federale  complicata, riconosceva il pluralismo delle etnie
(rappresentanze paritarie nel Consiglio Federale e nel Consiglio delle Repubbliche, cosa che
danneggiava i serbi), ruolo di garanzia della Lega dei comunisti jugoslavi (LCJ).

I serbi si sentivano minacciati poiché si trovavano in minoranza in varie repubbliche (es. Bosnia) e
consapevoli che la loro situazione sarebbe peggiorata. Ci fu un certo sviluppo economico-industriale
tra gli anni ’60 e ’70, grazie all’apertura al turismo e ad altre concessioni del regime (il più blando
nelle repressioni, rispetto agli stati vicini).
Con la Costituzione Tito venne eletto presidente a vita nel ’74. Mantenne ottimi rapporti con tutti i
principali leader mondiali, si propose come mediatori di contese storicamente intricante, soprattutto
in Medio Oriente. Tito morì l’8 maggio ’80.

4. Verso una nuova dissoluzione

Con la morte di Tito scoppiarono le rivalità delle varie repubbliche. Per circa un decennio i centri di
potere e i meccanismi di governo restarono inalterati, mentre l’autorità federale cercava di reprimere
ovunque i nazionalismi, dentro e fuori dal partito. Iniziò il processo di disgregazione, nell’81 scoppiò
una rivolta albanese in Kosovo, con una dura repressione serba.

Gli anni ’80 furono caratterizzati da una crisi economiche che colpì in modo diverso i vari paesi,
esasperando la situazione:

- Al Nord la Slovenia era piuttosto progredita e guardava alla vicina Austria, così come la
Croazia (in parte)
- La Serbia era molto più arretrata economicamente
- Bosnia, Montenegro e Macedonia erano quelle nelle condizioni peggiori, con ampie sacche
di povertà e miseria.

’89, spaccatura nella Lega dei Comunisti Jugoslavi  si staccarono i delegati sloveni e croati.

In Serbia divenne leader dei comunisti, confluiti nel nuovo Partito Socialista, il nazionalista Slobodan
Milosevic. Divenne presidente della repubblica di Serbia nel ’90. Era sostenitore di una “Grande
Serbia”, fece proprio il memorandum preparato dall’Accademia delle scienze di Belgrado (’86) del
nazionalista Dobrica Cosic che negava l’assunto per cui solo indebolendo la Serbia si sarebbe potuta
costruire una Jugoslavia forte. A suo parere era proprio il contrario. Da questi ambienti venivano le
critiche ad ogni forma di concessione alle minoranze in serbia (Albanesi in Kosovo, Ungheresi in
Vojvodina, croati etc). egli mise nel mirino le Costituzioni federali e serba, revocando le autonomie
riservate al Kosovo. Gli albanesi rifiutarono i cambiamenti, ma Milosevic reagì con ferocia. Istituì
leggi eccezionali, licenziò dirigente, sospese l’insegnamento dell’abanese. Gli albanesi reagirono
separandosi di fatto, auto-organizzandosi e ricevendo aiuti crescenti dall’estero.

Slovenia  anche li fu preparato un manifesto di stampo nazionalistico. Si faceva strada l’idea che
rimanere nella Jugoslavia avrebbe comportato l’impossibilità di agganciarsi alla Comunità Europea.

Croazia  al potere salì Franjo Tudman, nazionalista, pronto a rivendicare per sé il possesso della
Bosnia.
1990, ultimo congresso unitario della Lega dei Comunisti ed elezioni pluralistiche (prima volta) 
L’Armata Popolare era l’unico baluardo unitario, il problema è che era composto in maggioranza da
serbi al vertice, così che divenne solo un mero strumento di repressione dei nazionalismi.

5. La guerra aperta in Slovenia e in Croazia

Agosto ’90, primi scontri armati tra croati e serbi. Le varie etnie si organizzarono un po' ovunque:

- Nacque un partito serbo nella regione croata di Kraijna e un altro in Bosnia


- In Bosnia vi erano 3 partiti etnico religiosi: il partito serbo guidato dallo psichiatra Radovan
Karadzic (si autoproclamò presidente della repubblica serbo-bosniaca); quello croato e quello
musulmano
- Slovenia e Croazia iniziarono a prepararsi per l’indipendenza importando clandestinamente
armi e divise.

25 giugno ’91  Croazia e Slovenia dichiarano l’indipendenza. Guerra di pochi giorni tra la Slovenia
e l’esercito federale. La Slovenia prese il controllo delle frontiere jugoslave, anche perché la Serbia
non aveva interesse a fermare questa prima secessione.

Luglio ’91, Armata Popolare inizia le operazioni in Croazia  gli ufficiali e i soldati d’origine croata
disertarono e si unirono alle forze croate. Tuttavia, lo squilibrio tra le forze in campo era notevole.
L’Armata occupò un terzo del territorio croato, nell’estate ’91 procedette al cannoneggiamento delle
città croate sulla costa della Dalmazia. Venne colpita soprattutto la Slavonia (Croazia orientale), le
città di Vukovar e Osijek vennero distrutte. I serbi fondarono una Repubblica serba di Krajina in
quella regione.

La fase più acuta del conflitto durò pochi mesi, ma i combattimenti proseguirono anche dopo. Passo
importante per la Croazia fu il suo riconoscimento internazionale da parte della CE (grazie alla spinta
della Germania), il 15 gennaio ’92.

Solo nel ’95 la Croazia riuscì a rioccupare quasi totalmente il territorio della Repubblica serba di
Kraijna, in coincidenza con la guerra in Bosnia. La parte restante rimase sotto il controllo ONU e
restituita pacificamente alla Croazia nel ’98. La Croazia poté così mantenere i confini originari, oltre
ad avere pieno riconoscimento internazionale. La fine della guerra portò ad un forte movimento
migratorio che coinvolse 250mila serbi.

6. La guerra in Bosnia

In Bosnia-Erzegovina il presidente nazionalista Alija Izetbegovic proclamò l’indipendenza della


repubblica nella primavera ’92. Indipendenza confermata da un referendum popolare, disertato però
dai serbo-bosniaci poiché contrari alla separazione dalla Jugoslavia. Essi diedero vita alla Repubblica
del Popolo Serbo della Bosnia-Erzegovina.

Primavera ’92, inizio guerra in Bosnia  truppe serbe, croate e musulmane. Le etnie in questa
repubblica erano fisicamente mescolate tra loro in città e villaggi, oltre che in aree di predominanza
d’una o dell’altra. Il 44% della popolazione era bosniaco musulmano, il 31% e il 17% croato.

Aprile ’92, inizio pulizia etnica delle milizie serbe  “Le Tigri”, guidate da Zeljko Raznatovic
(oppure Arkan, suo nome di battaglia), ex capo-ultras della Stella Rossa. Squadre paramilitari che
misero a ferro e fuoco i villaggi bosniaci.

5 aprile ’92, inizia l’assedio di Sarajevo  sulle alture (Sarajevo è formata da un’ampia conca
circondata da montagne e colline) si stazionarono i reparti dell’Armata Popolare e delle milizie serbo-
bosniache. Sistematico cannoneggiamento e fuoco dei cecchini. La città rimase isolata, divenne
totalmente dipendente dai rifornimenti internazionali dell’ONU. L’assedio durò dal 5 aprile al 29
febbraio ’96, causando intorno ai 12mila morti.

Lenta reazione della comunità internazionale  numerosi tentativi di cessate il fuoco non ebbero
esito. La condanna dell’Onu alla Serbia fu seguita dalla creazione di zone di sicurezza edall’invio di
truppe internazionali Nato/UE. Nel ’93 fu nominato all’Aja un tribunale internazionale per punire i
criminali di guerra. Germania e Vaticano furono più prudenti, mentre Clinton assunse maggiore
iniziativa visti i rischi d’espansione del conflitto. Gli Usa si sostituirono all’Onu per guidare una
mediazione internazionale: nel marzo ’94 riuscirono ad imporre la fine dei combattimenti tra croati e
musulmani bosniaci.

Dopo la seconda strage del mercato a Sarajevo la NATO scelse di attaccare le postazioni serbe attorno
alla città: è l’operazione Deliberate Force del 30 agosto ’95, durante la quale vennero bombardate le
forze serbo-bosniache. La pressione militare e politica ebbe effetto.

1 – 26 novembre ’95, firma degli accordi di pace a Dayton (Ohio), ratificati formalmente il 14
dicembre a Parigi. Ai colloqui parteciparono i 3 leader principali:

- Alija Iztebegovic per la parte musulmana


- Franjo Tudman per i croati
- Slobodan Milosevic per i serbi

I colloqui stabilirono:

- Le frontiere dei nuovi Stati indipendenti dovevano ricalcare le precedenti frontiere delle
repubbliche jugoslave
- Per la Bosnia-Erzegovina si decise la creazione di due entità: una croato-musulmana con il
51% del territorio ed una serba al 49%. Queste due parti ottennero larga autonomia, ma sempre
dentro uno stato unitario.
- Venne deciso che la presidenza collegiale della Bosnia-Erzegovina sarebbe stata composta da
un serbo, un croato e un musulmano che si sarebbero alternati alla carica di presidente ogni 8
mesi (ricalca lo schema della vecchia Jugoslavia). Precario equilibrio, che regge tutt’ora.

La guerra costò intorno alle 250mila morti e provocò intorno ai 3 milioni di profughi. Il triennio ’92-
’95 fu quello della pulizia etnica (non esclusivamente serba, anche se per la maggior parte).
Consistette in massacri d’interi villaggi, costrizione alla fuga, internamento nei lager e stupri
sistematici sulle donne bosniache. Particolarmente noto fu il massacro di Srebrenica compiuto dai
serbi (luglio ’95), dove le squadre di Ratko Mladic e di Arkan uccisero intorno agli 8.000/10.000
uomini e giovani maschi (dai 14 ai 65 anni), i cui corpi vennero gettati in fosse comuni. Genocidio
che avvenne sotto gli occhi delle truppe olandesi dell’Onu, che non poterono (o non vollero) fare
niente.

7. La guerra in Kosovo

Ibrahim Rugova, leader della comunità albanese organizzata nella Lega Democratica del Kosovo
(LDK), puntò su una composizione non violenta e pacifica. Era consapevole che Milosevic non si
sarebbe lasciato sfuggire anche il Kosovo (dopo aver perso la Macedonia nel ’91). La maggioranza
dei kosovari è di lingua e cultura albanese, era presente però una consistente minoranza serba. Inoltre,
il Kosovo aveva per i serbi un significato storico e simbolico poiché ritenuto la terra culla della
religiosità e dell’identità nazionale serba, manifestata dalla numerosa presenza di santuari ortodossi.
Relativa calma durante la guerra in Bosnia.

’96-’97 primi attentati dell’UCK  Cioè l’Esercito di Liberazione del Kosovo, organizzazione che
Rugova definì agente dei serbi, almeno inizialmente. Dal ’97 diverse zone del Kosovo passarono
sotto il controllo dell’UCK.

28 febbraio ’98, Milosevic inizia la riconquista del Kosovo  usò le forze speciali militari,
moltiplicando uccisioni e stragi. I serbi usavano l’artiglieria per spianare i villaggi legati (o ritenuti
tali) all’UCK. Questo si rivelo un avversario forte, finanziato dall’estero e ben coordinamento
strategicamente. Però iniziò a subire pesanti sconfitte dall’estate ’98.

Sul piano internazionale l’UCK riuscì a colpire la sensibilità dell’opinione pubblica, sfruttando anche
la pessima reputazione dei serbi dopo le ultime due guerre. La scoperta di fosse comuni fece diventare
il Kosovo un problema internazionale. Trovò sostegnò dagli Usa, che li sostennero, e si rinforzò
grazie ai probabili traffici di droga.

Marzo ’99, accordi di Rambouillet, vicino Parigi. Falliti.  venne imposto ai protagonisti di
organizzare un referendum sul futuro del Kosovo entro 3 anni. I serbi videro ciò come l’anticamera
dell’indipendenza kosovara e si ritirarono dalle trattative.

24 marzo ’99, inizio delle operazioni NATO contro i serbi in Kosovo  bombardamenti, anche le
truppe italiane parteciparono (governo D’Alema). Attacchi anche sulla Serbia stessa, con ripetuti
attacchi missilistici su Belgrado. Bombardamenti finirono il 10 giugno ’99, provocarono la morte di
500 civili. I bombardamenti Nato esasperarono la pressione dei serbi sui kosovari, che aumentarono
stragi e stupri in quel periodo.

Resa della Serbia. Ciò consentì di far intervenire una forza di pace gestita dall’ONU, la missione
KFOR, che non riuscì ad impedire l’esodo di massa della popolazione serba, così come le violenze
contro gli albanesi. Da allora il Kosovo è sotto protettorato internazionale, ha potuto darsi un governo
ed un parlamento. Divenne indipendente solo nel 2008, ma non è stata riconosciuta da Serbia, Russia
e Cina, oltre che qualche paese dell’UE.

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