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di Chiaro Davanzati
Tenzoni
Con Monte e con Maestro Rinuccino
104 Di pic<c>iolo alber grande frutto atendo 214
I
(V CXIX)
FRATE UBERTINO
< . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . -eso 45
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . -ere
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . -ato
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . -eso
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . -ere
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . -ato 50
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . -ondo
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ero
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ero
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ate
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ate
I
(V CC)
(V CXCVIII)
FRATE UBERTINO
Un segnore tereno
comune in ogni regno ha segnoria; 35
II
(V CCI)
III
(V CCII)
di tutta la valenza
senza nesuna intenza;
là ov’è mia donna fa’ dimoramento:
dille che mi perdoni 65
s’aggio fallato in dire,
ch’io non posso covrire
ch’io di lei no ragioni:
ch’amore ed essa m’ha˙ffatto credente
che più gioia che i˙llor non sia neiente 70
IV
(V CCIII)
ma d’amare è la via
omo di sua ofesa render pace;
e tut<t>o ciò disia
lo mio cor, s’a voi piace, 20
e com’oro in fornace
ci afina tutavia.
Se voi par villania
da me voi ricepere
lo parlare e ’l vedere, 25
guardate a lo savere,
come valere
po<tesse> donna sanza cortesia.
Cortesia è sofrire
doglia per istagione: 30
tut<t>o ciò vuol ragione,
ch’apresso oltra<ggio> nasce l<o> disire;
s’io misi mia intenzione
in voi per me’ gradire,
veg<g>io che v’è languire, 35
partir non pos’ la mia openïone.
Ma questa è la cagione
ca tut<t>o ciò ch’io dico m’<è> arivato
in bono usato:
che chi è amato 40
sì è blasmato,
se non ama, <ed> in fallo si ripone.
Ponesi in fallimento
donna senza pietate;
non s’aven protestate 45
là ov’è argogliamento;
la vostra richitate
venne in dibassamento,
L’umiltate mi guida
a una dolze speranza,
ché ’l chieder pïetanza
nesun amante isfida. 60
Visto l’ho per usanza
che lo leon per grida
cresce in vita e rafida
li figli suoi di pic<c>iola possanza:
così i˙lleanza 65
poreste voi di me, bene allegrando:
s’io per usando
merzé chiamando,
uno vostro comando
mi doneria possanza. 70
V
(V CCIV)
VI
(V CCV)
Lungiamente portai
mia ferita in celato
e fui temente di dir mia doglienza;
tut<t>o in me ’maginai
vostro prencipio stato, 5
credendo in voi campar per ubidenza:
ché la valenza – di voi, donna altera,
fueme pantera – e presemi d’amore
come d’aulore
<che> d’essa <ven> si prende ogn’altra fera: 10
così di voi mi presi inamorando;
mercé chiamando, – istato son cherente,
se fosse a voi piacente,
di dare ancor ciò che dimostro in cera.
VII
(V CCVI)
VIII
(V CCVII)
IX
(V CCVIII)
a tal sembianza,
canzon, vatene in corso
ad ogne fino amante ovunque sede,
che deg<g>iano per me gridar merzede;
ché se per lor non m’è fatto socorso, 45
fra i ternafin’ del disperar son corso.
X
(V CCIX)
Gravosa dimoranza
faccio, poi che disparte
convenmi contro a voglia adimorare,
metendo la speranza
là ove non ag<g>io parte 5
altro che solamente tormentare,
da poi non veg<g>io possasi partire
da me punto languire:
più disïando là dov’aio spera,
penando, trovo fera 10
per me pietà e la mercé calare.
Se ’n disperar dimoro
da tutto meo disio 35
e di tornar non ag<g>io libertate,
de lo talento moro:
ché sanza ’l core mio
non posso dimorare a le contrate.
E la valente, in cui messo ag<g>io intenza, 40
s’eo non veio in presenza,
non pote gioia aver già la mia vita,
ma di crudel ferita
conven morir con fera niquitate.
Ordunque, canzonetta, 45
poi di lontana via
ti convene far <corso> a l’avenente,
dille ch’altro no aspetta
<or> la speranza mia
solo che˙llei vedere di presente; 50
e questo è ciò laond’io riprendo gioia
de la mia pena e noia,
<pur> atendendo a˙llei tosto redire:
se non torna in fallire
lo mio pensero, alegr<er>ò sovente. 55
XI
(V CCX)
ch’avere
non pote donna pregio veramente,
se gaia e bella sète
e già non provedete
ciò che vi fa valere 70
e dispiacere:
pietate ed umiltate solamente.
XII
(V CCXI)
XIII
(V CCXII e CCXXXVIII)
XIV
(V CCXIII)
Madonna, rimembrando
ove credo avenire,
non m’è noia languire,
ma disïosa vita veramente:
però mi vo alegrando, 20
so˙nno de lo disire
ch’aio di pervenire
a l’adornezza che ’n voi è piagente:
ché là ove aüsate
non pò parir nebiore, 25
XV
(V CCXIV)
XVI
(V CCXV)
1
<Messere>
XVII
(V CCXVI)
2
<Madonna>
XVIII
(V CCXVII)
Di cantare ho talento,
membrando ciò ch’amore
m’ha˙ffatto di martìri in gioia tornare;
ma tutora pavento,
sed io faccio sentore, 5
non paia quello ch’io vorei celare.
Ma˙ss’io voglio mostrare
de la mia benenanza,
ché ben saria fallanza
sed io alquanto non mi ralegrasse 10
e con gioia cantasse,
ricelando la mia dolze speranza
laonde nasce tal disio menare.
Disio ho di valenza
quant’è lo mio piacere, 15
ché son ruscito di gran manentia,
e son dato a servenza
là ov’è tut<t>o valere,
pregio ed onor, larghezza e cortesia.
E di mia gran follia 20
certo son commendato,
com’om c’ha disïato
lo suo gravoso danno e disinore,
poi, me’ conoscidore,
ritornò al dritto stato 25
seguendo il bene, e lo suo male obria.
Obrïar mi convene
lo tempo c’ho perduto,
e umilemente fino amor seguire;
e lo grande mio bene, 30
Disïat’ag<g>io invano: 40
non ne fui conoscente
di reo segnor la sua openïone:
era gechito e umano,
come buon soferente,
non credendo partir sanza cagione. 45
Or sono al paragone:
laond’io m’alegro e canto,
e ’l mio tormento e pianto
ch’ag<g>io portato, meterò ’n obrio;
ma buon segnore ho <’n> fio 50
non savria dir lo quanto,
tanto m’ha dato e dà più ch’è ragione.
XIX
(V CCXVIII)
<..............–anza>
primer di piacimento,
e poi tolle allegranza;
segue lo tradimento:
in ciò ferma talento 35
ed ogne poso mette in obrïanza;
e sì come lo foco è colorato,
bello a vedere: usato,
chi lo toc<c>a, è cocente,
e divora presente 40
ciò che gli è dimostrato,
e la grande alegrezza fa dolente.
XX
(V CCXIX)
XXI
(V CCXX)
e credetelo, gente: 5
glorificando me in grande stato,
fate sì come apone
lo savio, sormonando
che, la cera guardando,
lo voler dentro si può giudicare. 10
Ben’è <’n> tut<t>o ragione
che tal chiarore spanda
chent’ha chi la mi manda,
per zo che naturalmente il de’ fare.
XXII
(V CCXXI)
XXIII
(V CCXXII)
Allegrosi cantari,
molta merzé vi chero,
ché mi’ facc<i>a dimossa,
Sì ho ferma credenza
che lo mio nascimento 30
fosse in mala pianeta,
che ’l mi’ prego tegn’<i>o nave afondata;
e lunga soferenza
di gravoso tormento
in ciò creder m’aqueta; 35
poi che nulla nonn-è per distinata
e tut<t>o ben vi sta,
XXIV
(V CCXXIII)
Co la credenza inganno
la mia mente e me stesso:
credo parlare a boc<c>a. 15
Sì come ’l pesce a ’nganno
prende a l’amo se stesso,
così il mio core imboc<c>a
ciò ch’amore li dà:
credene aver, no ’nd’ha: 20
mostrali gioco a punta,
prendelo a taglio e punta.
Son caduto, or m’apiglio:
neiente è ciò ch’io piglio.
XXV
(V CCXXIV)
XXVI
(V CCXXV)
la tempesta il maroso, 15
d<ov>unque là ove inchiuder non si pote:
@ dunque elli in cui lo getta
fior’è ch’è tempestoso
e che gioie per stagion menare pote.
E da ch’è così certo, 20
bene faria fallanza
chi ponesse fallanza
in ch’io lo metto sper<t>o:
facesse in ciò pur d’una
guisa, com’ so, mal sona, 25
ché mare, com’ tempesta, l’onda butta. @
XXVII
(V CCXXVI)
Compimento di frutto
non mi fa rallegrare
né sì lodar d’amore,
perciò ched io no l’ag<g>io,
e zo riman perch’io non so dov’ène: 105
ché ’l suo valore in tutto
è fermo zo me dare:
ma ralegra il mio core
e lod’amor ch’è mag<g>io,
perch’a la som<m>a gioia m’aferma spene. 110
Ché sae guiderdonar l’omo di bene
l’amar, quando s’aprende
aprendersi di tale
ch’altri non ne riprende
ed amor no ne g<r>ava del parere. 115
XXVIII
(V CCXXVII)
Se m’avesse commiato
di partire donato, 50
non blasmerei, poi che fallasse:
ché m’era ben gran doglia,
poi ch’e<i> fiore e foglia,
<che> frutto <ancora> di lei <non> pigliasse.
Ma ella mi mostrava 55
di lëalmente amare,
né partir non volea:
ed altro omo amava!
No lo potea celare;
ch’io la vidi che celar lo volea. 60
XXIX
(V CCXXVIII)
XXX
(V CCXXIX)
Dotto ed ho paura
di mostrarle cad eo
l’ami come molto amo,
però ch’oltre misura, 40
secondo che veg<g>io eo,
ella sormonta d’amo
Asdegn<and>ome gesse,
inver’ le sue altezze 50
maraviglia no m’ène,
ch’anche pintura in gesse
di cotante adornezze
non si fece néd ène.
A lo sol dà chiarore, 55
ogni sper’ha splendore
da˙llëi, quanta splende;
ogni vertù ne scende;
l’amar la doteria,
tant’ha di segnoria. 60
XXXI
(V CCXXX)
Dice lo Vangelisto
che Dio fue primamente,
ch’Ello criò quanto èie 15
con grande disider<ï>o d’Amore:
dunque l’Amor è Cristo
e da˙lLui è vegnente,
da che l’Amor non èie
A cui e’ si convene
l’oro de’ esser dato,
e ’l piombo, chi più su ha, 55
nonn-è degno che dëa prosedere.
Amore per Amore s’inantisca:
non per Amor fiorisca
né dar pregio gradisca
voler donna com’ pecato seguisca. 60
XXXII
(V CCXXXI)
Maravigliomi forte
ch’ag<g>io trovato assai
ch’a l’amor danno blasmo,
che dicon che dà morte
crudel, piena di guai; 5
chi˙ll’ha ’n sé bene blasmo:
e’ fo˙ragione fan lo<r> fallimente,
ché nonn-è discendente
di lui altro che bene:
savio e cortese sanza noia vene 10
chi da˙llui è distretto;
e que’ ch’è ric<c>o face dispendente,
( . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . -ente)
e pagato si tiene,
e co˙lli rei non vene: 15
tut<t>i gli ha in dispetto.
volenterosamente
ogne mal far ten reo;
e sempre l’alte cose disïare
e ’l core umilïare
e servir sanza detto 25
(...........-etto)
e dona guiderdono,
ché dipo servire fa ’mperïare
e del guiderdonare
al servidor perfetto 30
non falla, cotant’è leale e netto,
sommo di tut<t>o bono.
XXXIII
(V CCXXXII)
Secondo la scrittura 25
verace amore è Deo,
e Deo l’amore ène:
una propia figura,
secondo che veg<g>io eo,
è come il pro c’ha bene. 30
XXXIV
(V CCXXXIII)
De la vostra amistate
non voglio troppo dire:
dëa sentenza il fatto, non parole;
dico a voi che membriate
che non par inantire 15
lo civaliere che ’nantir non vole
a lo torneio, vogliendo cavalcare
ad un’or due civalli:
e zo è ben ragione,
ché ciascun de’ avere suo guidare. 20
Se om’è da blasmare
che vuol ciò che non dee,
ben sète da blasmare, zo mi sembra,
ché voi volete stare
papa e ’mper<ï>o, ch’èe 35
contra ragione, ed avenir ta’ membra.
Prendete l’una de le due richesse,
e pensate ch’augello
mai non avreb<b>e posa,
volando ello, se mai non si ponesse. 40
XXXV
(V CCXXXIV)
XXXVI
(V CCXXXV)
in voi è lo potere. 20
Quando mi risovene
come non pò capere
in voi per suo valere,
sospiri n’ag<g>io e pene:
ché so che sag<g>io siete 25
in ogne altra scïenza,
ma de la mia ubidenza
contraro vi tenete
e già non provedete:
la mia fedel voglienza 30
in celato e ’n parvenza
con voi sempre movete.
Audit’ag<g>io nomare
che ’n gentil core amore
fa suo porto, e lo core 35
sol si mantien d’amare;
e quando al servitore
piacegli meritare,
no atende dimandare,
ché desto n’è ad ognore. 40
E ’n voi è gentilezza,
credo, senno e misura;
di ciò coreg<g>e e dura
ogne orata richezza:
se ’n voi regna ferezza, 45
parmi contra natura,
o mia disaventura
v’aduce in tale asprezza.
XXXVII
(V CCXXXVI)
<MESSERE:>
Donna, la disïanza
ch’ag<g>io di voi veg<g>endo,
vami lo cor prendendo
di fina ’namoranza:
perzò merzé cherendo 5
son voi con umilianza
che n’ag<g>iate pietanza,
ch’io non perd’atendendo:
che se tarda lo fin coninzamento,
lo tempo passa: per tardar non vene 10
alcuna cosa a bene,
m’a fero ismarimento;
ma, s’è perseverato il coninzare,
pòsi la fine in gioia giudicare:
ond’io che spero, atendo compimento. 15
<DONNA:>
<MESSERE:>
Donna, lo ’namorare
natura ave del foco,
ch’al primo pare un poco,
poi cresce in breve stare.
Quand’i’ fuï ne˙loco 5
là’nd’io atendea alegrare,
presivi a risguardare:
laond’io ne ’ncendo e coco:
che s’io v’adimandai, in parte n’èi,
ma non già sì com’era mia credenza: 10
però feci partenza,
non da li pensier’ mei,
ma solamente ch’amor m’incendea;
e ancor lo grande dolore ch’avea,
ch’io non ne presi quando sola v’èi. 15
<DONNA:>
<MESSERE:>
<DONNA:>
XXXVIII
(V CCXXX)
La gioia e l’alegranza,
la voglia e lo talento
che ’nfra lo mio cor sento,
m’ha messo in disianza
di far cominzamento 5
ed i<n> cantar mostranza
per la gioia ch’avanza
l’altre di piacimento,
poi che veduto l’ag<g>io,
lo suo ric<c>o bellore, 10
che luce e dà splendore
più che ’l sole di mag<g>io:
ché tanto ch’om la vede
non poria mal pensare
né mai alcun follore adoperare; 15
e vada a lei veder chi no ’l mi crede.
e li cigli neretti
e vòlti com’archetti,
con due oc<c>hi morati,
li denti minotetti
di perle son serrati; 30
lab<b>ra vermiglia, li color’ rosati:
cui mira, par che tut<t>e gioie saetti.
tenesselo a segnore. 60
Che val chi no ragiona
sempre del suo valore?
Poco, ché <già> non credo ch’ag<g>ia core
a cui no mette ’n isperanza bona.
XXXIX
(V CCXXXIX)
XL
(V CCXL)
XLI
(V CCXLI)
Lo core e ’l pensamento,
ogne vertute mia
in vostra segnoria
fatt’ha dimoramento;
ed io mai non ardia 20
mostrarvi il mio talento,
perché avëa pavento
darvi maninconia:
ché di cortese e puro
amor sempre v’amai 25
ed amo, bella, senza villania;
ché vostra cortesia
m’ha fatto come l’antalosa face,
che ’l suo diletto che tanto le piace
l’aduce in parte e loco non sicuro. 30
Sicuro mi rendea,
madonna, mante volte
di vostre ric<c>he acolte,
che da voi, bella, avea;
so˙mi alungiate e tolte 35
là ov’io le vedea;
non sì come credea,
mad i<n> più rade volte.
Similemente, io creo,
madonna, m’adivene
come quelli che tene
da buon segnore in feo,
che tant’ha bona spene 50
che conforta lo reo.
Voi siete lo mi’ Deo
onde ’l baldor mi vene,
e credomi salvare
per questa deïtate, 55
e commendare ogn’altro mio pecato.
Madonna, se v’è ’n grato
mia fedalia in vostro rimembrare,
nul<l>’altra gioia aver mai non mi pare
che sol a voi servire in veritate. 60
XLII
(V CCXLII)
per me è ’n discuranza,
ché quei che ll’ha in possanza
n’ha più che non disia,
ed io n’ho carestia
e largo di pesanza. 30
Però, s’ogne altra gioia
avesse in me presente,
pensando in ciò, neiente
prezzeria più che noia:
e la sua dolze cera riguardando, 35
mi faria ric<c>o un sol motto parlando.
XLIII
(V CCXLIII)
XLIV
(V CCXLIV)
XLV
(V CCXLV)
Madonna, di cherere
merzé non fino mai,
a ciò che sia vertate
che regna in gentil core;
né ’l cor nonn-ha valere 5
né poco néd assai,
se nonn-ha in sé pietate
o volontà d’amore.
E ’n voi è ’l cor gentile,
valore e piacimento, 10
di pregio il compimento
più d’in altra vivente:
dunqua, s’io son cherente
merzé a voi, amorosa,
dovete esser pietosa, 15
ché fina donna aiuta suo servente.
XLVI
(V CCXLVI)
XLVII
(V CCXLVII)
e no˙ll’ag<g>io veduto,
lungo tempo è passato,
onde ’l cor m’ha colpato 15
d’<a>ver tal gio’ per<d>uto.
or ti renda l’ardire
ch’avei, ché lo ti tene.
XLVIII
(V CCXLVIII)
XLIX
(V CCXLIX)
L
(V CCL)
LI
(V CCLI)
LII
(V CCLII)
LIII
(V CCLIII)
Lo ’namorato core,
messere, se paventa,
nonn – è da blasimare,
ché fino amor nonn – è sanza temere:
da poi ch’è nato amore, 5
non par che˙lli consenta
mai che˙llüi pensare,
co rimembranza di sua gioia vedere;
e sforza di valere
che piacc<i>a a se medesimo ed altrui: 10
ch’amor è dato a cui?
a cortesia, a pregio ed a piacere,
e per me<r>zé cherere
passar durezza e divenire umile;
e quest’è cor gentile, 15
sir meo, a render vita a quei che père.
Tormento né pesanza,
non dico ciò mi sia,
madonna, in voi amare, 35
ma <’n> rimembrar la mia propia statura,
che nonn-è d’aguaglianza
con vostra giovania,
né di biltà non pare
in simiglianza di vostra figura. 40
Adunque ag<g>io paura:
ch’io v’amo, sire, sì teneramente,
ch’avendovi presente,
pensando lo partire, ag<g>io rancura:
ch’amore ’l cor mi fura 45
e tut<t>a la vertute e ’l pensamento;
e qual è il mio pavento
non vi smarisca, e la mia morte dura!
La speme e lo disio 65
che sì fedel vi porto,
per la temenza ch’ave
ciò c’ha di voglia non sa proferere:
ma di voi tiene in fio
quant’ha gioia e conforto, 70
né di sua pena grave
non fa mostranza, tant’ave disire:
però de’ provedere
vostra nobilità ver’ la mia cera,
che˙n ci è alcuna fera 75
che, pur servendo lei, doni dolere,
LIV
(V CCLIV)
Di gioia e d’alegranza
com’altro innamorato 15
soleva avere e <di> grazza abondosa:
ahimè, quant’ho pesanza,
quand’ag<g>io ben pensato
ch’io son disparte da la più amorosa,
in cui sempre dimora 20
valore e caonoscenza,
bieltate con valenza!
Ogn’altra impar ne fora,
ché là dov<unqu’>ella <suole> apare<re>
LV
(V CCLV)
LVI
(V CCLVI)
LVII
(V CCLVII)
Di lontana riviera
sospirl e pensamento
m’aduce amor, memblando a l’avenente,
de la sua dolce cera
e ’l sag<g>io parlamento 5
ch’io n’avëa, ond’io n’era gaudente;
or che sono alungato,
dimoro sanza core,
sovente travagliando in mia pesanza,
ché di nulla alegranza, 10
lasso, non mi sovene,
se non torna e rivene
la mia bona ventura al primo stato.
LVIII
(V CCLVIII)
Madonna, disïando 65
vostro amoroso viso,
non posso soferire
la mia voglia d’alquanto dimostrare;
se la dico in cantando,
non son perciò diviso 70
del vostro amor covrire,
ché sempre l’ag<g>io a mente d’oservare;
ma siavi ricordato,
s’io vi son servo dato,
di faremi gioioso; 75
non vi paia noioso – meo cantare;
non ag<g>iate riguardo
da darmi il dolze sguardo
ch’io <ne> solea avere,
che mi facea valere – e gioia menare. 80
LIX
(V CCLIX)
Adunque valimento
vale per ubidenza,– com’ semenza
che doplica di frutto adoperando: 45
così di placimento
amor nasce ed agenza – in canoscenza,
che sanza ciò di gioia va alungiando;
ché l’agua sogottando
a dura pietra tolle 50
e partela, ch’è molle:
così per soferire
si prosiede disire:
se˙ll’una parte tace,
orgoglio vene in pace; 55
per sì e no si va contrariando.
LX
(V CCLX)
LXI
(V CCLXXXV)
LXI a
(V CCLXXXVI)
MONTE
1
(V 350)
2
(V 352)
3
(V 353)
4
(V 354)
5
(V 355)
6
(V 356)
7
(V 357)
8
(V 378)
9
(V 379)
10
<V 380>
11
(V 545)
12
(V 546)
13
(V 547)
14
(V 548)
15
(V 549)
16
(V 550)
17
(V 551)
18
(V 552)
19
(V 553)
20
(V 554)
21
(V 555)
22
(V 556)
23
(V 557)
24
(V 558)
25
(V 559)
26
(V 560)
27
(V 561)
28
(V 562)
29
(V 563)
30
(V 564)
31
(V 565)
32
(V 566)
33
(V 567)
34
(V 568)
35
(V 569)
36
(V 570)
37
(V 571)
38
(V 572)
39
(V 573)
40
(V 574)
41
(V 575)
42
(V 576)
43
(V 577)
44
(V 578)
45
<V 579>
46
(V 585)
47
(V 586)
48
(V 587)
49
(V 588)
50
<V 589>
51
(V 590)
52
(V 591)
53
(V 592)
10
54
(V 593)
55
(V 594)
56
(V 351 e 595)
57
(V 596)
58
(V 597)
59
(V 598)
60
(V 599)
61
(V 600)
62
(V 601)
63
(V 602)
Tant’ho dis<a>ventura,
credo per mio pecato,
che la divina altura
verà per me spietato. 18
64
(V 722)
1
<MESSERE>
65
(V 723)
2
<MADONNA>
66
(V 724)
3
<MESSERE>
67
<V 725>
4
<MADONNA>
68
(V 726)
5
<MESSERE>
69
(V 727)
6
<MADONNA>
70
<V 728>
7
<MESSERE>
71
(V 729)
8
<MADONNA>
72
(V 730)
9
<MESSERE>
73
(V 731)
10
<MADONNA>
74
(V 732)
11
<MESSERE>
75
(V 733)
12
<MADONNA>
76
(V 734)
13
<MESSERE>
77
(V 735)
14
<MADONNA>
78
(V 736)
15
<MESSERE>
79
<V 737>
1
<MESSERE>
80
(V 738)
2
<MADONNA>
81
(V 739)
1
<MESSERE>
82
(V 740)
2
<MADONNA>
83
(V 741)
3
<MESSERE>
84
(V 742)
1
<MESSERE>
85
(V 743)
2
<MADONNA>
86
(V 744)
3
<MESSERE>
87
(V 745)
4
<MADONNA>
88
(V 746)
5
<MESSERE>
89
(V 747)
6
<MADONNA>
90
(V 748)
7
<MESSERE>
91
(V 749)
8
<MADONNA>
92
(V 750)
9
<MESSERE>
93
(V 751)
10
<MADONNA>
94
(V 752)
11
<MESSERE>
95
(V 580 e 753)
12
<MADONNA>
96
(V 581 e 754)
13
<MESSERE>
97
(V 582 e 755)
14
<MADONNA>
98
(V 583 e 756)
15
<MESSERE>
99
(V 584 e 757)
16
<MADONNA>
100
(V 758)
1
<MESSERE>
101
(V 759)
2
<MADONNA>
102
(V 760)
3
<MESSERE>
103
(V 761)
4
<MADONNA>
TENZONI
I
TENZONE CON MONTE
E CON MAESTRO RINUCCINO
(104-108 d)
104
(V 633)
104 a
(V 634)
2
MONTE
104 b
(V 635)
3
MONTE
105
(V 636)
106
(V 637)
106 a
(V 638)
6
MONTE
106 b
(V 639)
7
MONTE
107
(V 640)
108
(V 641 e 776)
108 a
(V 642)
10
MONTE
108 b
(V 645)
11
MAESTRO RINUCCINO
108 c
(V 644)
12
MAESTRO RINUCCINO
108 d
(V 643)
13
MAESTRO RINUCCINO
109
(V 670)
Ed io ve n’adimando veritate,
s’egli è o no così como si chiama,
ché la certezza in ciò saver voria. 14
109 a
(V 671)
2
PACINO
110
(V 672)
110 a
(V 673)
4
PACINO
111
(V 674)
111 a
(V 675)
6
PACINO
112
(V 676)
Lo confessare a me no mi è dispregio
ché quegli è sag<g>io ch’usa veritate:
or provedete ben ciò ch’è valegio. 14
112 a
(V 677)
8
PACINO
113
(V 678)
Rispondo a ritornello
ch’è ’n su’ logo ragione:
la sentenza no apello
ma vad’a so<r>gozzone. 18
114
(V 690)
114 a
(V 691)
2
MONTE
IV
TENZONE CON MONTE ANDREA
<115 a-115>
115 a
(V 768)
1
MONTE
115
(V 769)
V
TENZONE CON MONTE ANDREA
(116 a-116)
116 a
(V 770)
1
MONTE
116 b
(V 771)
2
MONTE
116
(V 772)
VI
TENZONE CON SER CIONE
(117-117 c)
117
(V 773)
117 a
(V 774)
2
SER CIONE
117 b
(V 775)
3
SER CIONE
117 c
(V 777)
4
SER CIONE
VII
TENZONE CON PACINO
DI SER FILIPPO ANGIULIERI
(118-118 a)
118
(V 791)
118 a
(V 792)
2
PACINO
VIII
TENZONE FRA MONTE E SER CIONE,
SER BEROARDO, FEDERIGO GUALTEROTTI,
CHIARO, MESSER LAMBERTUCCIO
FRESCOBALDI
(119 a-119)
119 a
(V 882)
1
MONTE
119
(V 886)
IX
TENZONE CON DANTE <DA MAIANO?>
<120 a-121>
120 a
1
DANTE
120
121 a
3
DANTE
121
X
TENZONE CON DANTE DA MAIANO
<122 a-122>
122 a
1
DANTE DA MAIANO A DIVERSI COMPOSITORI
122
D. 1 a
D. 1
(V 680)
D. 2 a
(V 681)
D. 2
(V 682)
D. 3
(V 358)
D. 4
(V 359)
D. 5
(V 360)
D. 6
(V 361)
D. 7
(V 362)
D. 8
(V 363)
D. 9
(V 364)
D. 10
D. 11
D. 12
D. 13
D. 14
(V 793)
D. 14 a
(V 795)
2
PACINO
D. 15
(V 794)
D. 15 a
(V 796)
4
PACINO
D. 16
(V 799)
D. 16 a
(V 800)
6
PACINO
D. 17
D. 18