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REGIONE SICILIANA P.O.R.

SICILIA
Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana 2000-2006
Dipartimento dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana
REGIONE
Area Soprintendenza Beni Culturali e Ambientali di Caltanissetta
SICILIANA Servizio per i Beni Archeologici

Traffici, commerci
e vie di distribuzione
nel Mediterraneo

Traffici, commerci e vie di distribuzione nel Mediterraneo


tra Protostoria e V secolo a.C.

tra Protostoria e V secolo a.C.


a cura di

Rosalba Panvini
Carla Guzzone
Lavinia Sole

Università degli studi di Catania Facoltà di Lettere e Filosofia Facoltà di Scienze della Formazione
REGIONE SICILIANA
Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana
Dipartimento dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana
Area Soprintendenza Beni Culturali e Ambientali di Caltanissetta
Servizio per i Beni Archeologici

Traffici, commerci
e vie di distribuzione
nel Mediterraneo
tra Protostoria e V secolo a.C.
Atti del Convegno Internazionale
Gela, 27-28-29 maggio 2009

a cura di
Rosalba Panvini - Carla Guzzone - Lavinia Sole

P.O.R. SICILIA 2000-2006


Coordinamento scientifico:
ROSALBA PANVINI (Soprintendente BB. CC. AA. di Caltanissetta)

Coordinamento tecnico e organizzativo:


ETTORE DIMAURO (Dir. Resp. U.O. VI), CARLA GUZZONE (Dir. Resp. Serv. Beni Archeologici), DANIELA VULLO (Dir. Resp.
U.O. III)

Segreteria scientifica:
LAVINIA SOLE (archeologo-collaboratore esterno Soprintendenza BB.CC.AA. di Caltanissetta)

Segreteria tecnica:
SALVATORE BARBERA, FRANCESCA BENNICI, ANTONIO CATALANO, LEONARDO CUMBO, IRENE D’ATRI, ROSANNA FISCI, CARMELO MO-
SCA, FRANCO GIAMBARRESI, CROCIFISSO CASSARINO, GIANNI ROMANO

Si ringraziano per la collaborazione:

PROVINCIA REGIONALE L’ISTITUTO MAGISTRALE


DI CALTANISSETTA “DANTE ALIGHIERI”
Assessorato Pubblica Istruzione di Gela
e Attività Culturali

Traffici, commerci e vie di distribuzione nel Mediterraneo tra protostoria e 5. secolo a. C. :


convegno internazionale, Gela, 27-28-29 maggio 2009 / a cura di Rosalba Panvini, Carla
Guzzone, Lavinia Sole. - Palermo : Regione siciliana, Assessorato dei beni culturali e
dell’identità siciliana, Dipartimento dei beni culturali e dell’identità siciliana, 2010.
ISBN 978-88-6164-135-8
1. Commercio – Mare Mediterraneo – Sec. 13.-5- a C. – Congressi – Gela – 2009.
4 I. Panvini, Rosalba <1953->. II. Guzzone, Carla <1954->.
III. Sole, Lavinia <1970->.
380.10937 CDD-21 SBN Pal0223430

CIP - Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace”


Presentazione 5

Il volume raccoglie i contributi scientifici presentati da illustri studiosi in occa-


sione del convegno “Traffici, commerci e vie di distribuzione del Mediterraneo
tra Protostoria e V secolo a.C.” tenutosi a Gela nel mese di Maggio del 2009. Es-
so è il frutto di una sinergica collaborazione tra Soprintendenza BB.CC.AA. di Cal-
tanissetta e Università degli Studi di Catania, in particolare, la Facoltà di Lettere
e Filosofia, la Facoltà di Scienze della Formazione e, sopratutto, la cattedra di To-
pografia Antica diretta da Edoardo Tortorici che, peraltro, ha seguito insieme a
me e ad Alessandra Benini la ricerca archeologica del relitto arcaico di Gela. L’idea
di organizzare un simile consesso è scaturita a seguito del completamento del-
le operazioni di recupero del relitto arcaico di Gela e, contestualmente, del suo
carico che giaceva sul fondo del mare. Infatti, la scoperta di un numero consi-
stente di anfore di varia tipologia, di ceramiche attiche figurate o di tipo colo-
niale, di vasellame da mensa e da cambusa, oltre a lucerne, borchie in origine
appartenenti alla kline del comandante della nave, nonché di alcuni oggetti del-
la sfera di culto praticato durante la navigazione, quale una statuetta fittile di
divinità assisa del tipo “con pettorali”, ha consentito non soltanto di conoscere
in maniera più dettagliata la vita di bordo, ma soprattutto di ottenere un qua-
dro più esaustivo delle rotte seguite dalla nave, dei partners commerciali di Ge-
la, e soprattutto di riconoscere l’esistenza di emporia: in questi luoghi di stoc-
caggio venivano sia convogliate le merci provenienti da varie zone del Mediter-
raneo, sia prelevati i prodotti scelti per soddisfare le esigenze della committen-
za e che, comunque, finivano per essere reinseriti nella rete dei traffici e degli
scambi tra i vari paesi che si affacciavano su quel Mare, da sempre elemento di
unione di civiltà e costumi anche profondamente diversi. Oltretutto è ben no-
to che la nave di età arcaica ritrovata di fronte alle coste dell’antica colonia ro-
dio-cretese, qualora avesse raggiunto il porto o l’approdo della città, avrebbe
scaricato parte del suo carico nell’emporio posto in prossimità della costa e re-
centemente riportato alla luce in località Bosco Littorio, ai piedi dell’acropoli.
Grazie alle fortunate scoperte effettuate in tale area ci si è resi conto che dal-
l’esame del materiale ritrovato può essere ricostruito un quadro più completo
delle rotte seguite dalle imbarcazioni e soprattutto delle merci introdotte nel-
l’ampia rete dei traffici.
Si è preferito concentrare i contributi scientifici entro un periodo che può sem-
brare a prima vista molto ampio, poiché esso copre l’arco cronologico compre-
so tra Protostoria e V secolo a.C., ma proprio durante tali secoli si intensificano
gli scambi tra l’Oriente egeo e l’area occidentale del Mediterraneo e vengono
percorse rotte che continueranno ad essere seguite anche dopo la fondazione
delle colonie greche d’Occidente; anzi, proprio attraverso tali vie di scambio,
ben note alla marineria del tempo, si rafforzarono i rapporti commerciali tra le
colonie sorte finanche sulle coste della Francia e della Spagna. In quest’ottica
non potevano non essere considerate le vie di comunicazione attraverso le qua-
li venivano distribuite le mercanzie importate nelle parti più interne delle aree
di pertinenza delle colonie, abitate da popolazioni indigene partecipi, pur esse,
di tali reti di scambi nelle quali immettevano i loro prodotti.
Ci si augura quindi che proprio questo convegno serva a ridisegnare il ruolo
commerciale dei paesi e dei popoli che vivevano lungo le coste del Mare no-
strum.
Non posso che ringraziare tutti i colleghi che hanno partecipato all’incontro e
che hanno consentito di mettere a confronto esperienze e conoscenze, acqui-
site in ambiti geografici differenti. Sono grata ad Enrico Iachello, Preside della
Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Catania, a Febronia Elia,
Preside della Facoltà di Scienze della Formazione, e a Dario Palermo, Presiden-
te del Corso di Laurea in Formazione Operatori Turistici, per aver sostenuto que-
sta iniziativa scientifica.
Un sentito ringraziamento rivolgo a quanti dei dirigenti e funzionari della So-
printendenza di Caltanissetta si sono prodigati per fare in modo che il conve-
gno si svolgesse nel migliore dei modi; tra tutti mi preme ricordare Ettore Di-
mauro, Daniela Vullo, Salvatore Barbera, Francesca Bennici, Antonio Catalano,
Leonardo Cumbo, Irene d’Atri, Rosanna Fisci, Carmelo Mosca, Franco Gianbarre-
si, Crocifisso Cassarino, Gianni Romano.
Inoltre esprimo apprezzamenti nei confronti della Provincia Regionale di Calta-
nissetta e soprattutto del Presidente, Pino Federico, e dell’Assessore alla Pubbli-
ca Istruzione e alle Attività Culturali, Pietro Milano, i quali si sono impegnati per
sostenere l’iniziativa offrendo l’ospitalità ai convenuti; un pensiero particolare
rivolgo a Gisella Trapani, Graziella Consiglio e Angelo Contrino per il sostegno
amministrativo prestato nell’occasione.
Infine, mi pregio di esprimere i sensi della più viva riconoscenza a Corrado Fer-
ro, Dirigente scolastico del Liceo Classico “Eschilo” di Gela, per avere messo a di-
sposizione i locali in cui svolgere il Convegno ed a Giuseppe Pisano, Presidente
del Consorzio ASI di Gela, per l’amichevole collaborazione prestata nella ricer-
ca degli sponsors locali.

Rosalba Panvini
Soprintendente BB. CC. AA. di Caltanissetta

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Rosalba Dall’emporio di Gela all’entroterra: 95
Panvini committenza e materiali d’importazione
tra il VII ed il V secolo a.C.

Gela costituisce un osservatorio privilegiato per analizzare la rete dei commerci e le


vie di distribuzione dei materiali importati, grazie soprattutto all’avanzamento della
ricerca nei diversi punti della città, ed anche a seguito delle recenti scoperte effettua-
te sia nel suo emporio1, sia sulla nave arcaica individuata ad appena 800 metri di di-
stanza dalla costa, in Contrada Bulala, ed ormai del tutto recuperata2. A ciò si aggiun-
ge l’evidenza archeologica del territorio sul quale si manifestò l’influenza della colo-
nia rodio-cretese, altrettanto ben esplorato; infatti, dall’esame dei contesti ritrovati nei
siti che vi ricadono, emergono spunti di riflessione circa la preferenza della commit-
tenza e le direttive commerciali attraverso le quali veniva ridistribuito il materiale eso-
tico o quello delle officine coloniali; prenderemo a campione sia alcuni siti dell’entro-
terra (Monte Bubbonia3, Sabucina4, Gibil Gabib5, Marianopoli6 e Polizzello7), sia altri
(Butera8 e Monte Saraceno di Ravanusa9) dislocati nel territorio che da Gela si dirige-
va verso Ovest, cioè nell’area dove poi sorse la sua sub-colonia Akragas (fig. 1).
Il quadro che se ne ricava allo stato attuale delle ricerche è ricco di suggestioni stimo-
lanti, ma suscettibile di approfondimenti che potranno nascere dal confronto con i col-
leghi presenti in questa sede e che, come me, hanno avuto l’opportunità di occuparsi
di colonie e dei relativi territori, ed anche di quell’area che rientrò nella sfera d’influen-
za di Gela nel momento in cui fu avviato il disegno politico di espansione dei suoi con-
fini territoriali.
L’emporio della colonia rodio-cretese sorgeva ai piedi dell’acropoli, a poche centi-
naia di metri dalla costa nella località oggi conosciuta con il toponimo di Bosco Lit-
torio e, per la parte finora esplorata, è databile al VI-V secolo a.C.10 (figg. 2-3). Com-
prendeva una serie di botteghe, talora con funzione di ambienti domestici, e risul-
ta inserito nella maglia del tessuto urbano, del quale rispecchia l’orientamento E-O,
pur restando al di fuori del circuito delle mura di cinta di età arcaica. Segno quindi
che questo spazio fondamentale della città era parte integrante del progetto urba-
nistico di tipo ortogonale, che, come noto, era stato attuato già alla fine del VI seco-
lo per poi essere completato progressivamente dopo il 475 a.C.
La sua scoperta, emblematica sotto molti punti di vista, ha contribuito ad aggiun-
gere tasselli fondamentali per la conoscenza dell’organizzazione degli spazi desti-
nati allo stoccaggio delle merci di ogni genere che vi venivano accumulate. Fino ad
oggi sono state scavate più di quindici botteghe, alcune delle quali conservavano
all’interno un forno per la cottura dei cibi (figg. 4-5). I vani, di forma quadrangola-
re, misurano tra i 10 ed i 16 mq, ed hanno le pareti costruite interamente con mat-
toni crudi conservati in uno stato eccezionale fino alla linea d’imposta delle travi del
tetto in cui peraltro sono ben leggibili i fori per il relativo alloggiamento (fig. 6). Più
volte modificate nell’articolazione interna, le botteghe prospettavano su un grande
spazio, quasi un cortile libero da strutture e soltanto parzialmente coperto sul lato
meridionale da un portichetto disposto innanzi agli ingressi, che è testimoniato da
un muro residuo alto circa 1 metro. Davanti ad uno degli ambienti sono state sco-
perte le tre grandi are fittili con decorazione figurata sulla parete anteriore le quali,
a tutt’oggi, costituiscono un eccezionale esempio dell’alto livello artistico dei coro-
plasti geloi11; i pregiati manufatti giacevano insieme a moltissimi altri oggetti al di
sotto di una coltre di sabbia, spessa anche 6 metri, depositatasi sul luogo abbando-

1 PANVINI 2009a, pp. 179-181, con bibliografia precedente.


2 PANVINI 2001.
3 PANCUCCI in PANVINI 2006, pp. 189-203, con bibliografia precedente.
4 PANVINI-GUZZONE-CONGIU 2009, con bibliografia precedente.
5 MICCICHE - PANVINI in PANVINI 2006, pp. 19-39, con bibliografia precedente.
6 PANVINI 2000, con bibliografia precedente.
7 PANVINI-GUZZONE-PALERMO 2009, con bibliografia precedente.
8 PANVINI 2003a, con bibliografia precedente.
9 CALDERONE-SIRACUSANO in PANVINI-SOLE 2009a, pp. 267-269, con bibliografia precedente.
10 PANVINI 2003b, pp. 215-227.
11 PANVINI in PANVINI -SOLE 2009b, pp. 418-421; PANVINI 2010, p. 138, con bibliografia precedente.
Fig. 1 - Carta della Sicilia centro-meridionale con indicazione dei centri indigeni menzionati nel testo

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Fig. 2 - Planimetria dell’empo-


rio greco-arcaico di Bosco Lit-
torio
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Fig. 3 - Panoramica dell’area archeologica


di Bosco Littorio

Fig. 4 - Bosco Littorio. Veduta di uno de-


gli ambienti dell’emporio

nato a causa di un evento traumatico (sisma o maremoto, peraltro provato anche a seguito delle ultime cam-
pagne di scavo) (fig. 7); all’esterno delle botteghe vi erano anche contenitori da trasporto di differente clas-
sificazione tipologica, ceramiche attiche, ceramiche coloniali di varia tipologia (coppette, ciotoline, skyphoi a
bande e skyphoi miniaturistici, anforette, kotyliskoi, olpai e brocchette); altro materiale simile al precedente è
stato rinvenuto, in frammenti o integro nel cortile. Non è chiaro se in origine i materiali fossero poggiati su
arredi lignei (panche o scaffali) dai quali comunque scivolarono nel momento in cui si verificò l’evento trau-
matico cui si faceva cenno, talché essi, al momento della scoperta, giacevano sul piano pavimentale in mo-
do disordinato.
I numerosi oggetti recuperati e le ceramiche attiche, verniciate, a figure nere e a figure rosse, tra le quali, per
brevità di tempo citiamo le anfore panatenaiche (almeno quattro ed una di Euphiletos), le coppe skyphoidi
del Gruppo CHC, del Dog Group, le lekythoi e le kilykes delle officine del Pittore di Haimon, del Pittore di Cay-
lus, del Pittore del pithos, nonché la kelebe a figure rosse del Pittore di Göttingen (fig. 8), sono inquadrabili
nel primo venticinquennio del V secolo a.C. e restituiscono un momento di vita cristallizzato della storia com-
merciale di Gela, che è possibile conoscere anche grazie ai ritrovamenti effettuati nel corso delle ricerche ar-
cheologiche susseguitesi in vari punti dell’area urbana e nel territorio oggetto di analisi12.
I contenitori da trasporto ritrovati rientrano nelle tipologie già note trattandosi di anfore chiote, samie, mile-
sie e corinzie A, databili tra la fine del VI e gli inizi del V secolo, i quali confermano il quadro già noto sulla cir-
colazione di simili manufatti nella colonia e nel suo retroterra13. Si segnala in particolare un’anfora samia ca-
duta innanzi ad una delle are fittili e nel cui interno vi erano fibre vegetali appartenenti alla pianta della va-
leriana a riprova che spesso i contenitori fittili non fossero riservati esclusivamente al trasporto di liquidi o di
alimenti in salamoia.
In notevole quantità poi risultavano presenti ceramiche acrome o verniciate prodotte nelle officine locali o
coloniali, scaricate nell’emporio dalle navi di passaggio per restare quindi a disposizione degli imprenditori

12 PANVINI 2003b, pp. 215-227.


13 ALBANESE PROCELLI 1996, pp. 91-126, con pertinente bibliografia.
che volevano farne rifornimento finendo anche per reinserirle nella rete degli scambi oltremarini o per via
terrestre. In proposito si ricorda un singolare contenitore a corpo panciuto con beccuccio di scolo in prossi-
mità del fondo, che è stato recuperato, in stato frammentario, innanzi ad una bottega insieme ad anfore di
diversa provenienza. Il vaso, confrontabile con gli esemplari rinvenuti in tre tombe di Butera (Sepp. 65; 40;
75)14 , serviva probabilmente a contenere liquidi o semiliquidi (si è pensato anche al miele o all’idromele) o
qualunque altro alimento che poteva essere spillato senza capovolgerlo; sicuramente da riferire ad officine
indigene sia per la particolare forma che per il corpo ceramico, esso documenta l’inserimento nella rete de-
gli scambi e dei commerci dei prodotti agricoli coltivati nella chora (abitata da Indigeni o Greci) forse trami-
te la mediazione di soggetti di etnia diversa da quella dei luoghi di provenienza.
È probabile che anche le are fittili siano state depositate provvisoriamente innanzi ad una bottega per essere
poi acquistate o trasferite in un’altra città della Sicilia; si potrebbe pensare addirittura a Siracusa dove, intorno
al 485 a.C., Gelone aveva fissato la sua residenza portandosi al seguito una parte della popolazione geloa15.
Le strutture riportate alla luce, unitamente all’analisi dei materiali presenti nel sito, restituiscono l’immagine
di un emporio munito di spazi funzionali in cui raccogliere le mercanzie, frequentato da imprenditori interes-
sati alla loro vendita e da commercianti disposti all’acquisto16.
Non è ancora stato scoperto, a causa della trasformazione della linea di costa, il punto esatto in cui insisteva
il porto della colonia, che potrebbe essere ricercato nell’area compresa tra l’emporio e la foce del fiume Ge-
las. Tuttavia, la sua esistenza è suggerita anche dal ben noto passo di Tucidide che riferisce di una flotta di 50
triremi messa a disposizione da Gela durante il conflitto tra Siracusa ed Atene17.
Verso tale porto stavano per dirigersi le due imbarcazioni scoperte sui fondali antistanti, dopo aver navigato
sottocosta, prima di affondare a causa delle avverse condizioni meteomarine18.
Non è superfluo ricordare la composizione del carico del relitto arcaico comprendente tra l’altro ceramiche
attiche a vernice nera, a figure nere e a figure rosse (presenti rispettivamente in numero di 41, 2 e 3) e cera-
miche laconiche (bacini, crateri e stamnoi nella proporzione 2/1 e 1). Alle botteghe attiche potrebbero ricon-
durre due piccoli piatti recentemente recuperati, dei quali si conserva il piede su basso stelo con piccolo in-
cavo circolare all’interno per la raccolta di intingoli19; quindi moltissime ceramiche di produzione coloniale,
acrome o verniciate o semiverniciate o di tipo ionico, soprattutto mykai, anforette, askoi e coppette nelle for-
me B1 e B2, ed inoltre una notevole quantità di anfore di diversa fabbrica (più di cento esemplari), chiote ad
ingobbio bianco e pseudo-chiote a superficie grezza, greco-occidentali (c.d. ionico-massaliote), corinzie di ti-
po A e B (per olio), clazomenie (per vino), lesbie (per vino), anfore SOS à la brosse (per olio), samie, milesie (per
vino ed olio) e puniche20. Non ci soffermiamo sulla percentuale in cui esse sono state ritrovate, anche perché
i dati rilevati nel 2001 hanno trovato una sostanziale conferma nel corso delle ultime scoperte subacquee ed
in merito si vedano anche i contributi di A. Benini ed E. Tortorici in questo stesso volume.
Alla notevole quantità degli oggetti ritrovati, evidentemente elementi residuali di un carico originario ben
più consistente, si aggiungono gli otto panieri intessuti con fibre graminacee e rivestiti di pece all’interno,
adatti a contenere cibi (gallette o alimenti in salamoia)21, i quali, insieme agli animali trasportati a bordo, in
quarti o macellati (buoi e cavalli), potevano servire per l’alimentazione dell’equipaggio, non potendo esclu-
dere però la possibilità della loro vendita una volta raggiunto il porto della città22.
Il carico recuperato però non induce ad ipotizzare una rotta con scali in diverse città ed isole del Mediterraneo e
dell’Egeo, peraltro difficile da praticare perché avrebbe comportato il raggiungimento di approdi e porti ben lon-
tani gli uni dagli altri, ma piuttosto l’esistenza di grandi punti di stoccaggio e redistribuzione delle mercanzie più
varie; da questi, verosimilmente dislocati lungo le coste dello Ionio (Magna Grecia e Sicilia orientale) fu caricata la
zavorra composta da materiale litico di differente conformazione geomorfologica (graniti, pietra lavica, calcare-
nite tipica del versante orientale della Sicilia) e furono acquistate le merci su specifica richiesta della committen-
za anche esigente che poteva, ad esempio, permettersi l’acquisto di vini ed olio di qualità superiore.
Vediamo adesso come potevano essere smistate le merci nel territorio di pertinenza della colonia; potrà es-
sere notato che i contenitori da trasporto sono quasi assenti soprattutto nell’area che da Gela si estende fin
nel centro della Sicilia, popolata, da Sicani.
A Monte Bubbonia, infatti, sono state recuperate due anfore di tipo corinzio A della seconda metà del VI seco-
98 lo, rispettivamente dall’area sacra dell’acropoli e dalla necropoli, quest’ultima peraltro ampiamente scavata23.

14 ADAMESTEANU 1958, pp. 351; 326; 358.


15 In proposito MAFODDA 1996, p. 68 ss.
16 Si vedano da ultimi, GRAS 2000, pp. 130-134; GRECO-GODART-LAFFINEUR-MARAZZI-SACCONI 2005.
17 Tuc., VII, 33.
18 PANVINI 2001, pp. 81-95; BENINI in PANVINI 2001, pp. 97-106.
19 Questi piatti richiamano gli esemplari delle officine attiche definiti “stemmed plates”; in proposito cfr. Athenian Agorà XII, p. 142, pl. 25 below. Tutta-
via non può essere escluso, in considerazione del loro corpo ceramico e della vernice anche una produzione coloniale ispirata a prototipi attici.
20 Sulla tipologia dei contenitori da trasporto si veda SOLE in PANVINI 2001, pp. 64-75; da ultimo cfr. il contributo di E. Tortorici in questo stesso vo-
lume.
21 Per l’ultimo paniere ritrovato e restaurato si veda AA.VV. 2005, p. 62.
22 DI PATTI-DI SALVO-SCHIMMENTI 2001, pp. 121-124.
23 PANCUCCI-NARO 1992, p. 54, n.140; pp. 95-96, n. 290.
A Sabucina è attestato, invece, un solo esemplare di anfore del tipo greco-occidentale dalla necropoli di NE 99
(tomba 6)24, mentre a Polizzello, nell’edificio di culto rettangolare prossimo ai grandi sacelli circolari, durante
le indagini condotte dall’equipe scientifica diretta da Dario Palermo, è venuta alla luce un’anfora greco-occi-
dentale degli inizi del V sec. a.C.25. Nessun esemplare di contenitori da trasporto si registra al momento a Gi-
bil Gabib, un centro indigeno a SE di Caltanissetta, e a Marianopoli di cui si conoscono sufficientemente i con-
testi funerari ed abitativi (Balate e Monte Castellazzo).
Lo screening evidenziato induce a ritenere che gli Indigeni dell’entroterra consumassero prevalentemente olio
e vino prodotti nelle proprie campagne assicurandone la conservazione e la circolazione in grandi recipien-
ti modellati nelle officine locali, un cui variegato campionario di forme è quello restituito dalle necropoli di
Butera26, Sabucina27 e Monte Bubbonia28; non vanno dimenticati i numerosi contenitori rifunzionalizzati nel-
le necropoli di Gela, in origine idonei al contenimento di derrate liquide e alimentari in genere e che andreb-
bero ristudiati nel tentativo di riconoscere gli ateliers di provenienza29.
Se ci si sposta nell’area a Nord-Ovest ed a Ovest di Gela, il quadro della circolazione dei contenitori da tra-
sporto cambia notevolmente; a Butera, ad esempio, sono presenti 4 anfore corinzie di tipo A, di cui 2 del VII-
VI secolo dalle necropoli, 2 del VI secolo dalla fattoria greca di Priorato, una samia della fine del VII secolo dal-
le necropoli ed una ionico-massaliota sempre da Priorato (VI secolo)30.
Durante il survey effettuato dalla Böchum University in tale territorio, coincidente con la chora della colonia,
pullulante di fattorie ed agglomerati rurali, sono stati recuperati molti frammenti di anfore corinzie A (Mon-
te Perciata Est, San Nicola, Milingiana, Carrubba, Torrente Desusino, Sorgente Castagnelle, San Cusmano, Ca-
stelluccio, Manfria Stallone), di anfore SOS à la brosse attiche (Torrente Desusino, Milingiana, Sorgente di Ca-
stagnelle31, San Pietro, Castelluccio), di anfore ionico-massaliota (Torrente Desusino, Tenutella, Monte Percia-
ta Est, San Nicola, San Pietro, Suor Marchesa), di anfore chiote (Milingiana, San Nicola e San Cusmano), di an-
fore samie (Desusino, Sorgente Castagnelle).
Contenitori da trasporto di tipo corinzio A provengono inoltre dall’abitato del centro indigeno ellenizzato di
Monte Saraceno di Ravanusa (4 dall’area sacra e 9 dall’abitato da cui peraltro sono stati restituiti 2 esemplari
di anfore chiote) e altri ancora da Licata (Torre di Gaffe e Portella di Corso)32; pertanto, non sembra azzarda-
to ritenere che la circolazione ed il commercio dell’olio e del vino pregiato possano avere seguito fin dall’ini-
zio prevalentemente questa direttiva territoriale in cui sono presenti comunità sicane entrate in contatto con
i Rodio-Cretesi, almeno a partire dalla metà del VII secolo, come indica la coppa rodia ad uccelli dall’acropo-
li di Monte Desusino, unico esemplare di tale tipo trovato in un centro indigeno ellenizzato33. Forse vini e oli
pregiati erano destinati ad esponenti dell’aristocrazia agraria, sia indigena che greca, arricchitisi con la colti-
vazione di grano e cereali il cui surplus della raccolta stagionale veniva destinato anche al commercio oltre-
marino servendosi sia di contenitori deperibili, sia di dolii e pithoi realizzati nelle officine locali ed alcuni esem-
plari dei quali sono stati ritrovati anche a Monte Saraceno34, a Polizzello35 e a Monte Bubbonia36.
Preme a questo punto sottolineare che la presenza delle anfore da trasporto a Butera, nella chora occidenta-
le di Gela ed a Monte Saraceno già a partire dalla seconda metà del VII secolo, la coppa rodia ad uccelli da
Monte Desusino, e la scarsa presenza o addirittura inesistenza di tali manufatti nel retroterra della colonia e
nel territorio più interno, da sempre considerato dipendente da Gela, fanno rilevare che il progetto espansio-
nistico di quest’ultima dovette innanzitutto rivolgersi verso Occidente e, soltanto a partire dalla metà del VI
secolo, dovette investire l’area più interna dell’Isola. Il caso dell’insediamento di Spina Santa (fattoria o bor-
go rurale?), nell’area ad Est di Gela, può essere spiegato come un tentativo da parte dei primi coloni di intro-
dursi in un territorio molto più densamente popolato da consistenti comunità sicane37, quali quelle stanzia-
te nel comprensorio di Dessueri38 e di Caltagirone. Peraltro il territorio che si estende dal Salso/Himeras al Pla-
tani/Alykos era da più lungo tempo frequentato da genti transmarine; commercianti egeo-ciprioti vi si erano
spinti tra il XVI ed il XIII secolo a.C. come si è avuto modo di dimostrare con gli scavi di Monte Grande di Pal-

24 L’esemplare è conservato nel Museo Archeologico Regionale di Caltanissetta.


25 PAPPALARDO in PANVINI-GUZZONE-PALERMO 2009, pp. 257, 268, cat. n. 3.
26 Si vedano ad esempio, le anfore delle Sepp. 4, 6, 11, 13, 15, 21, 23, 31, 32, 49, 54, 59, 62, 77, 79, 85 etc. (ADAMESTEANU 1958).
27 In proposito si vedano le anfore ed il cratere del corredo della tomba 5 (cfr. PANVINI-GUZZONE-CONGIU 2009, pp. 130, 132, 134).
28 In proposito si vedano le anfore dei corredi delle tombe 11/71, 6/72 (PANCUCCI in PANVINI 2006, pp. 194, 199).
29 Si vedano, ad esempio, i contenitori citati in ORSI 1906, c. 160, fig. 117, Sep. 341; c. 141, fig. 103, Sep. 276bis; c. 58, fig. 31, Sep. 77.
30 In proposito cfr. ALBANESE PROCELLI 1996, pp. 96, 107, 114.
31 Ringrazio per le informazioni il Prof. J. Bergemann che ha in corso di pubblicazione il volume sul survey effettuato nel territorio compreso tra
Butera e Gela.
32 Si veda ALBANESE PROCELLI 1996, pp. 98-99, 105-106.
33 PANVINI 1994, p. 105, tav. IV, fig. 1.
34 Cfr. CALDERONE in AA.VV. 1996, p. 74, tav. XCIII, 1; p. 84, tav. CV, 2.
35 TANASI in PANVINI-GUZZONE-PALERMO 2009, p. 85, fig. 158.
36 Alcuni grandi contenitori fittili sono stati rinvenuti nella necropoli del sito: ad esempio, si vedano quelli esposti nel Museo di Caltanissetta
(tomba 2/84).
37 CONGIU 2005-2006, p. 86 con bibliografia precedente.
38 PANVINI 1993-1994, p. 814.
Fig. 5 - Bosco Littorio. Parti-
colare di uno dei forni per la
cottura dei cibi

Fig. 6 - Bosco Littorio. Particolare di uno degli ambienti conservan- Fig. 7 - Bosco Littorio. Alcuni dei materiali abbandonati nello spa-
te i fori di alloggiamento delle travi del tetto zio antistante alle botteghe

100

Fig. 8 - Bosco Littorio. Kelebe attica a figure rosse del Pittore di Göt-
tingen al momento del ritrovamento
101

Fig. 9 - La fibula di argento dal relitto arcaico di Gela

ma di Montechiaro, di Milena e dell’insediamento emporico di Cannatello da cui provengono rispettivamen-


te ceramiche del Medio Elladico e del Tardo Elladico IA e IB; ed ancora, la ben nota leggenda di Kokalos e Mi-
nosse e la restituzione delle spoglie del talassocrate minoico è ambientata proprio nel territorio attraversato
dal Platani/Alykos, che dovette essere la principale via di penetrazione dei gruppi allogeni (atteso che esso
scorreva in un bacino ricco di zolfo, bitume e sale, risorse indispensabili per l’economia di ogni comunità)39.
Anche il Salso/Himeras attraversa nel tratto centrale del suo corso lo stesso bacino geominerario, ma è pro-
babile che esso rientrasse in un secondo momento nella sfera degli interessi delle popolazioni transmarine;
non a caso, centri come Sabucina, Gibil-Gabib, San Giuliano, prossimi a Caltanissetta, mostrano soltanto nel
VI secolo i segni del recepimento dei modelli culturali e delle tradizione allogene.
Spicca in questo contesto geografico il centro sicano di Polizzello, nella valle del Platani, che si rileva, fin dal VII
secolo, fortemente permeato di modelli e tradizioni artistiche estranee alla gente del luogo, mediate dai Cre-
tesi, giunti in Sicilia insieme ai Rodii, per fondare la nuova colonia40; tali influenze sono ben riconoscibili nelle
forme vascolari (cestini fittili e modellini di capanna), negli elementi del repertorio iconografico (protome del
toro); non mancano i manufatti importati da Creta e dall’area greco-orientale (elmo bronzeo, lamina di rivesti-
mento di scudo configurata a delfino, coppia di figurine femminili in avorio di tipo dedalico, placca in ambra
ed avorio con palmette contrapposte in avorio ed ambra, dai sacelli circolari dell’acropoli), moltissimi elemen-
ti di monili in avorio o in osso, nonché due scarabei in steatite della metà del VII secolo41, confrontabili con
quelli coevi di Butera (Sep. 39)42 e del santuario di Predio Sola a Gela43, importati dai primi coloni ovvero me-
diati dai commerci con le popolazioni levantine secondo il modello di scambi appena proposto.
Se passiamo a considerare le importazioni dalla Grecia dell’Est (piatti e aryballoi di fabbrica rodia, aryballoi e
alabastra in bucchero ionico, coroplastica, etc.), si potrà notare che esse circolano esclusivamente entro i li-
miti del territorio della colonia, dove si ritrovano nelle necropoli44 e nei santuari di Predio Sola, Bitalemi45 e
dell’acropoli46. Una particolare classe di materiali è costituita dai lydia, sicuramente importati, che si rintrac-
ciano in pochi esemplari nelle necropoli di Gela47 ed in un caso soltanto nelle necropoli di Monte Bubbonia
(tomba 13/71)48; sempre alle officine greco-orientali si riconducono le rare lekythoi samie dalle necropoli di
Gela49, dall’emporio in località Bosco Littorio, i pochi esemplari dalle tombe di Monte Bubbonia (ad esempio

39 CASTELLANA 2002, pp. 118-150 con pertinente e precedente bibliografia.


40 PALERMO in PANVINI-GUZZONE-PALERMO 2009, pp. 297-302 con bibliografia precedente.
41 Per gli oggetti citati si veda PANVINI-GUZZONE-PALERMO 2009, p. 84, n° 151, p. 85 ss., fig. 161 a-b, p. 66, fig. 86, p. 86, fig.166.
42 Cfr. AMATA in PANVINI 1998, p. 227.
43 ORLANDINI 1963, pp. 72-73, tav. XXX, h, i.
44 Cfr., ad esempio, OLIVERI in PANVINI 1998, p. 357; SOLE in PANVINI 1998, p. 358.
45 Cfr., ad esempio, SOLE in PANVINI 1998, p. 170.
46 Cfr. in proposito alcuni degli oggetti ritrovati nelle stipi dell’acropoli PANVINI-SOLE 2005, pp. 40-43; 59-63; e da ultimo FERRARA 2009, pp. 175-178.
47 Cfr., ad esempio, SOLE in PANVINI 1998, p. 381.
48 L’esemplare, inedito, è esposto nel Museo Archeologico di Caltanissetta.
49 Cfr., ad esempio, gli esemplari dalla Sep. 86 di Via Granvillano e dalla Sep. 285 di Via Di Bartolo, in ORSI 1906, c. 62, fig. 37 e c. 142, fig. 105.
tomba 11/71 e tomba 13/71)50 e uno dalla sepoltura 45 di Monte Saraceno51. Esse non incontravano facil-
mente il gusto della committenza che vi faceva ricorso soltanto per specifici rituali funerari.
Abbondanti sono piuttosto le ceramiche di produzione coloniale, trasportate a Gela, via mare. È probabile
che esse venissero smistate nell’immediato entroterra fino a Monte Bubbonia e nel territorio ad Occidente.
Per quanto riguarda la presenza a Polizzello di coppette di tipo ionico nelle varianti A2, B1 e B2 non è arduo
ipotizzare che esse provenissero da Himera, uno dei centri di produzione52; se così fosse, si potrebbe pensa-
re che siano stati utilizzati vettori viari sfruttati probabilmente già dal XII secolo a.C., per raggiungere le aree
interne dell’isola. È probabile quindi che attraverso questa direttiva siano giunte a Sabucina le ceramiche del-
l’Ausonio II (dolii cordonati, pithoi e tazze con ansa ad archetto sull’orlo)53 e le ambre del Baltico (vaghi di col-
lana dai santuari di Polizzello54, vaghi di collana e ciondolo in forma di ariete dalle tomba 21 di Valle Oscura
di Marianopoli55 ed i pendagli in forma di ariete dalle tombe a camera n. 1 di Capodarso e n. 397 di Sabuci-
na56). Altresì sarebbe ipotizzabile che questo asse commerciale sia stato sfruttato ancora tra il VI-V secolo a.C.,
quando i bacini ad orlo perlato di fabbrica etrusco-laziale compaiono a Sabucina, Terravecchia di Cuti, Mon-
te Chibbò57, centri sicani dislocati all’interno e nella zona centro-settentrionale della Sicilia. Non vi sono ele-
menti sufficienti per credere che l’unico bacino bronzeo ad orlo perlato che Paolo Orsi segnala a Gela pro-
venga effettivamente dal sito della colonia e, peraltro, non sono da inserire nell’ambito della rete dei com-
merci tra la colonia e l’Etruria i frammenti di tali recipienti trovati nei ripostigli di Bitalemi a Gela58. Costitui-
sce peraltro un esemplare unico, del quale va indagata la direttrice commerciale attraverso la quale esso vie-
ne distribuito, il kantharos in bucchero etrusco da una tomba arcaica di VII-VI di Via Crispi a Gela59, mentre
non può non essere evidenziata l’assoluta mancanza nel territorio in esame di anfore etrusche che, invece,
circolavano abbondantemente a Camarina a riprova dei legami rari ed episodici tra i mercati della nostra co-
lonia e quelli peninsulari.
Sempre riferendoci alla direttiva commerciale predetta si potrà notare come essa sia servita a diffondere le
coppe Iato K 480 attestate, sul finire del VI secolo, nei corredi funerari di Marianopoli, ma ampiamente diffu-
se ad Himera e nel suo territorio60. In tal modo si potrebbe spiegare ancora meglio l’interesse di Akragas nei
confronti dei centri sicani dell’entroterra e della costa tirrenica poiché da quelle aree poteva essere control-
lata una rete commerciale importante. Siamo pienamente coscienti che l’ipotesi proposta non incontrerà su-
bito un pieno consenso, poiché proprio per Gela era stato riconosciuto il ruolo di vettore commerciale per al-
cune particolari classi di materiali, quali anche i bacini ad orlo perlato; questi però non sono attestati in altri
siti del territorio esaminato e bisogna spiegarsene le ragioni. Ritengo, invece che, proprio grazie alla rete dei
commerci mediati dalla colonia siano pervenuti a Vassallaggi i bracciali bronzei del tipo a bugne (tomba a ca-
mera A2)61, databili nella seconda metà del VI secolo, confrontabili con i coevi esemplari da una deposizione
di Bitalemi. Non è il caso di addentrarci sulla officina di provenienza di tali pregiati monili in quanto essi so-
no stati oggetto di studi specifici da parte di Stefane Verger e di Lavinia Sole62, ma in qualunque area geo-
grafica si identifichi l’atelier di produzione (regione del Nord-Est dell’Europa ovvero il Sud della Francia?) an-
cora una volta troverebbe piena conferma l’ipotesi di identificare i punti di stoccaggio e di prelievo delle mer-
ci lungo le rotte di cabotaggio seguite dai mercantili.
Altre osservazioni in merito alla distribuzione dei materiali delle officine transmarine nascono in relazione al-
le ceramiche laconiche: crateri a staffa, crateri con orlo decorato da motivi geometrici, bacini con anse apica-
te, bacini ad orlo ingrossato, aryballoi con corpo ad anello e stamnoi; esse circolano a Gela a partire dalla me-
tà del VI secolo, venivano trasportate dalle navi mercantili e redistribuite quasi esclusivamente nella città (si
vedano in proposito i ritrovamenti dall’abitato, dal santuario di Bitalemi, dalle necropoli e dal relitto arcai-
co)63; soltanto un cratere a staffa compare in una tomba di Monte Bubbonia, mentre i due esemplari da Ma-
rianopoli (tombe 15 e 19), di fattura modesta, potrebbero essere riferiti a botteghe coloniali; si trattava di una

50 Gli esemplari citati sono inediti ed esposti nel Museo Archeologico di Caltanissetta.
51 DENTI in AA. VV. 1996, p. 104, Tav. CXVIII, 2.
102 52 PERNA cds.
53 In proposito si veda GUZZONE in PANVINI 2006, pp. 58, 63, con bibliografia precedente.
54 Molti esemplari inediti provengono dall’area sacra dell’acropoli e furono ritrovati nel corso degli scavi del 1988-1989; essi sono esposti nel Mu-
seo Archeologico di Caltanissetta. Monili in ambra sono stati recuperati più recentemente nella stessa area ed, in proposito, si veda PANVINI-
GUZZONE-PALERMO 2009, pp. 20-21.
55 Cfr. PANVINI 2000, pp. 49-50.
56 Cfr. PANVINI 2006, p. 258
57 Sulla distribuzione dei bacini ad orlo perlato si veda ALBANESE PROCELLI 2001, pp. 292-314 con bibliografia precedente.
58 Sole 2009, pp. 468-477 e in particolare p. 472, n. TA/194.
59 Cfr. scheda AMATA in PANVINI 1998, p. 360, con bibliografia precedente. In proposito si specifica che bisognerebbe accertare se il manufatto ven-
ne importato direttamente dall’Etruria, ovvero acquistato in un luogo di stoccaggio delle merci.
60 Cfr. PANVINI 2000, p. 44 ed inoltre VASSALLO 1993, pp. 89-112.
61 Cfr. GULLì 1991, p. 25, n. 4, tav. XIV, 1.
62 Cfr. VERGER 2003 e il contributo di Lavinia Sole in questo stesso volume.
63 Per la distribuzione delle ceramiche laconiche in Sicilia, si veda PELAGATTI 1989. Per gli esemplari dalla nave arcaica di Gela PANVINI 2001, pp. 44-
45, con bibliografia pertinente.
classe di materiali che non incontrava facilmente il gusto di una più larga fascia della committenza sicana.
103
Quest’ultima, invece, apprezzava preferibilmente le ceramiche attiche, di certo più prestigiose ed appariscen-
ti e più facilmente utilizzabili per veicolare, attraverso le iconografie simboliche delle pitture a figure nere e
a figure rosse, ideali sociali e messaggi di propaganda politica; finanche le forme con superficie verniciata ben
presto sostituiscono lo strumentario devozionale dei santuari sicani, come provano i ritrovamenti dei sacelli
di Sabucina64, di Polizzello e di Marianopoli ed entrano anche a fare parte dei servizi del banchetto funera-
rio; altre poi finiscono per essere imitate nelle officine coloniali e coprono abbondantemente le richieste del
mercato.
La ceramica attica è tuttavia assente a Butera e ciò, oltre a denotare il declino del centro già dalla seconda
metà del VI secolo, manifesta una preclusione della comunità locale verso certi pregiati prodotti che circola-
no a Gela ai primordi dello stesso secolo e che, sul suo volgere, raggiungono i mercati indigeni come dimo-
strano i corredi delle necropoli e i contesti dei santuari di Sabucina, Polizzello e Marianopoli.
Senza voler entrare nel merito della funzionalità di certe forme vascolari attiche all’interno dei corredi delle
tombe geloe e sicane, va rilevato che a Gela, Monte Bubbonia e Sabucina ne è documentato un vasto cam-
pionario, che comprende crateri, kylikes, coppe skyphoidi, patere, plemochoai, ma soprattutto lekythoi, men-
tre a Marianopoli si registra la presenza soltanto di una lekythos miniaturistica a vernice nera, con foglie lan-
ceolate sulla spalla (tomba 3)65 e nessun esemplare di tale tipo è a tutt’oggi attestato a Polizzello. Le anfore
panatenaiche, o di tipo panatenaico, ad esempio, non circolano al di fuori dei confini di Gela; un esemplare
è stato restituito da una tomba di Gela (Sep. 8 INA Casa-Pittore di Oxford 218)66 e 4 esemplari frammentari
dall’emporio.
Vorremmo infine tornare su un particolare gruppo di ceramiche comunemente definite attiche, sia per la for-
ma che per le scene riprodotte; si tratta dei crateri a colonnette a figure nere e a figure rosse di dimensioni
alquanto ridotte, che non superano i cm 25 di altezza, sulla cui superficie risulta stesa una vernice nera non
brillante e facilmente scrostabile anche al minimo tatto. Questi particolari oggetti sono presenti esclusiva-
mente in alcuni centri sicani; a Sabucina compaiono a partire dalla fine del VI e fino alla metà del V secolo, a
Marianopoli, Capodarso, a Monte Bubbonia soltanto alla fine del VI secolo e a Vassallaggi intorno alla metà
del V secolo. In attesa di conoscere i risultati delle analisi petrografiche per individuare l’ubicazione delle ca-
ve di argilla ed i componenti della vernice nera, si è propensi ad attribuire questi particolari oggetti ad offici-
ne sorte in questa parte della Sicilia dove avrebbero operato artigiani locali od itineranti o provenienti dalla
Grecia e le cui produzioni riuscivano a soddisfare il gusto e la preferenza di una classe sociale media, che for-
se non poteva permettersi l’acquisto di vasellame di lusso importato dal Ceramico, ma al quale non voleva
rinunciare67.
L’analisi fino ad ora condotta permetterebbe di affermare che Gela non sia stato l’unico gestore della rete
commerciale nella Sicilia centro-occidentale in quanto, come speriamo di essere riusciti a dimostrare, essa
non era la sola mediatrice capace peraltro di controllare la rete dei traffici e della redistribuzione delle mer-
canzie d’oltre-mare nei centri indigeni esistenti nel territorio sottoposto alla sua sfera d’azione politica; le co-
munità sicane, infatti, si rivolgevano a partners di diversa referenza geografica o ad intermediari dai quali ot-
tenevano i prodotti e gli oggetti che potevano soddisfare il gusto e le esigenze della committenza locale.
Il modello proposto, applicabile, a nostro avviso, anche ad altri ambiti territoriali della Sicilia, rileva ancora una
volta l’evolversi, durante l’età arcaica e nel V secolo, di dinamiche commerciali complesse che rispecchiano
organizzazioni sociali ed economiche molto differenti da caso a caso, in cui entrano come protagonisti le clas-
si dell’aristocrazia agraria ed i ceti medi, ma anche mediatori di diversa etnia, che proponevano l’acquisto di
quanto comprato nei mercati di libero scambio.
Non si è in grado al momento, invece, di riconoscere il ceto degli individui che gestivano la rete dei traffici
commerciali, ma riprendendo un vecchio concetto di Mauro Cristofani68, crediamo che appartenessero alla
borghesia; di quest’ultima faceva parte il naukleros della nave arcaica di Gela, proprietario del carico, abile nel
tenere la contabilità di bordo e conoscitore delle merci più facilmente piazzabili. La sua presenza sulla nave
arcaica è attestata dal ritrovamento di uno stilo in osso per scrivere, incidendole, sulle tavolette di legno spal-
mate di cera, di una fibula ad arco gobbo per trattenere i lembi del mantello (fig. 9) e sulla quale sono rico-
noscibili segni incisi, forse per identificare il possessore (le fonti ricordano, infatti, che gli uomini dell’equipag-
gio viaggiavano nudi) e di alcune borchie metalliche per decorare la sua kline, che si può immaginare collo-
cata a prua, nella cabina di comando69.

64 Cfr. PANVINI 2009b, pp. 721-737.


65 Cfr. PANVINI 2000, p. 55.
66 PANVINI-GIUDICE 2003, p. 256.
67 Per una prima riflessione su questa problematica cfr. PANVINI 2003c, pp. 79-87.
68 CRISTOFANI 1998, pp. 205-232, con bibliografia precedente; PANVINI 2001, p. 35.
69 PANVINI 2001, pp. 62-63.
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Progetto grafico e impaginazione:
Splokay studio di grafica editoriale
di Antonio Talluto
splokay@gmail.com

Finito di stampare
per conto della Soprintendenza di Caltanissetta
nel mese di Dicembre 2009
REGIONE SICILIANA P.O.R. SICILIA
Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana 2000-2006
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REGIONE
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SICILIANA Servizio per i Beni Archeologici

Traffici, commerci
e vie di distribuzione
nel Mediterraneo

Traffici, commerci e vie di distribuzione nel Mediterraneo


tra Protostoria e V secolo a.C.

tra Protostoria e V secolo a.C.


a cura di

Rosalba Panvini
Carla Guzzone
Lavinia Sole

Università degli studi di Catania Facoltà di Lettere e Filosofia Facoltà di Scienze della Formazione

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