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Le imprese degli eroi che combattono a Troia

Lavoro a cura di Albano Gianluigi, Bassetto Martina,


De Filippi Elisa, Però Lucrezia, Tramacere Maria Elisa.

Introduzione
L’Iliade e l’Odissea raccontano storie apparentemente molto distanti l’una dall’altra, ma fondano la loro
trama su un una serie di leggende e miti condivisi: appartengono entrambe alla ‘saga troiana’.

Oggi, però, ci focalizzeremo sull’Iliade, il poema senza dubbio più avventuroso.


Attenendoci al mito, sappiamo che tutta la storia del poema ruota intorno a una donna, Elena, moglie di
Menelao, rapita da Paride, figlio di Priamo, e portata nella leggendaria città.
Troppo poco, forse, per giustificare una guerra di dieci anni: ma è certamente un elemento dal fascino
romanzesco: al centro del poema rimane sempre il conflitto.

Il tema di cui andremo a parlare in quest’elaborato, difatti, sono proprio le imprese degli eroi a Troia.

Nel mondo guerriero dell’Iliade, sono ovviamente numerosi i duelli, nonché le aristie dei singoli eroi
(da αριστός, valorosissimo), ovvero i momenti in cui gli dei infondono nei protagonisti il furore bellico che

permette loro di compiere azioni sovrumane e fare strage di molti nemici in poco tempo.

Per mettere a fuoco questo concetto, è utile fare riferimento al tredicesimo testo dell’Iliade.
Il brano, intitolato La morte di Patroclo, narra proprio dello scontro tra quest’ultimo e il più valoroso dei
Troiani: Ettore.

Tuttavia, a indebolire Patroclo, a disarmarlo e ucciderlo non sono tanto i nemici umani, quanto il dio Apollo,
che, stordendo l’eroe avvolto dalla sua nuvola, porta a compimento il volere del destino.

Il guerriero, ferito dal colpo della lancia e dall’apparizione del protettore dei Troiani che gli fa cadere l’elmo,
indietreggia tra i compagni.
Ogni dio, nei poemi omerici, esprime preferenze, si schiera a favore di questo di quell’eroe, scende a
contesa per favorire o punire una morte.

Bisogna tenere presente che si tratta sempre di figure antropomorfe che sviluppano affinità esattamente
come noi uomini: nel nono testo, Diomede contro Ares (T9), per esempio, il dio della guerra si lamenta di
essere stato ferito da Diomede con l’aiuto di Atena.

Anche in letto di morte Patroclo volle sminuire quanto più possibile l’impresa: non si lamentò di essere
rimasto solo e non mostrò paura per la morte. Tutt’altro, ridusse al minimo il valore dell’omicidio di Ettore,
attribuendo il tutto alla forza degli dei.

Versi 843-850 “Adesso, Ettore, vantati pure tanto, perché hanno dato a te la vittoria Zeus Cronide e Apollo
che mi hanno vinto facilmente: loro mi hanno tolto le armi dalle spalle
Se venti uomini come te mi avessero affrontato, sarebbero stati tutti morti qui, vinti dalla mia lancia. Ma la
sorte rovinosa e il figlio di Latona mi hanno ucciso, e tra gli uomini Euforbia: tu arrivi per terzo a spogliarmi
dalle armi”.

Nei poemi omerici, infatti, temere la morte non equivale a fare dell’eroe un codardo: colui che prova paura
è solo un individuo che constata i propri limiti e fa del suo meglio per superarli.
Ci troviamo, dunque, di fronte all’ideale di ‘bella morte’: la figura del combattente che da tutto sé stesso
alla patria e si spegne nel fiore della giovinezza, evitando la decadenza di un fisico che rimarrà per sempre
prestante.

Le ultime parole dell’eroe suggeriscono, poi, un elemento ricorrente nei duelli corpo a corpo: la profezia
pronunciata dal morente, a cui l’eroe vincitore non può sottrarsi.

Versi 844-846 “Ti dirò una cosa, e tu ficcatela in mente: certo nemmeno tu vivrai a lungo, ma ormai ti
stanno accanto la morte e la moira vigorosa, ucciso dalle mani di Achille perfetto, il discendente di Eaco”.
In questi versi Patroclo cita la μοίρα, la parte di destino che tocca a ciascuno, la forza misteriosa che tiene a
bada il potere arbitrario degli dei.
Al contrario di quanto emerge da quest’analisi, però, Ettore non è un eroe attratto dalla guerra: combatte
perché lo deve a se stesso, alla sua famiglia e ai suoi concittadini, prova αιδώς.
Gli eroi omerici si muovono sullo sfondo di una civiltà di vergogna (shame culture): chi ha αιδώς teme un
eventuale giudizio di condanna da parte della comunità per aver tenuto una condotta non adeguata.

Per esempio, nel brano intitolato Le incertezze di Ettore (T17), l’eroe è preoccupato che il suo compagno,
Polidamante, non gli rinfacci la sua codardia: quest’ultimo, in assemblea, propone di tornare dentro le mura
della città, ma Ettore rifiuta, decidendo di scendere in campo. L’eroe si pentirà amaramente di questa
scelta, compiuta solo perché, se non avesse combattuto, Polidamante gliel’avrebbe rinfacciato.

All’apertura dello stesso brano possiamo notare una similitudine: Ettore viene paragonato ad un δράκων
πελώριος ελισσόμενος: un serpente straordinario che continuamente si avvolge nella tana, poiché l’animo
delle eroe si attorciglia in tanti rivolgimenti e la decisione si fa attendere.

Versi 93-97 "Aspettava il gigantesto Achille che si stava avvicinando. Come nel suo covo un serpente
montano saturo di erbe maligne e gonfio di veleno attende un passante e avvolgendosi vicino alla sua tana
lo fissa minaccioso cosi Ettore covava impeto insopprimibile senza arretrare...”.

Le similitudini che ricorrono costanti nei poemi omerici sono un residuo di composizione orale, poi
divenuto tratto di stile dell’epica, che ha la funzione di arricchire la narrazione dell’aedo e di renderla più
chiara.
Gli elementi più comunemente oggetto di comparazione sono gli eroi: Omero li confronta prevalentemente
con il mondo della natura e degli animali, specialmente perché la natura era in grado di offrire scene di
lotta facilmente confrontabili con i contesti guerreschi.

Nel brano narrante L’attacco troiano (T12), per esempio, il poeta inserisce tre similitudini:
1. In una prima similitudine ,Ettore viene paragonato ad un cavallo fiero che corre in pianura (Come
un cavallo di scuderia, verso 263);
2. Nella seconda, ancora, Ettore viene paragonato ad un leone che mette in fuga cani e contadini,
paragonati agli achei (Come quando i cani e i contadini inseguono un cervo con grandi corna oppure
una capra selvatica, versi 271-272);
3. Un'ultima similitudine suggella, alla fine, la ritirata degli Achei, paragonando Ettore e Apollo a due
fiere che sconvolgono l’esercito, comparandoli addirittura a una mandria di buoi o pecore senza
pastore.
Ulteriore indice di oralità sono le formule fisse, in particolare gli epiteti, che evidenziano una caratteristica
o una qualità del nome a cui sono affiancati.
Nel T22, La morte di Ettore (anche questa una ‘bella morte’), Achille che si rivolge ad Ettore usando
l’epiteto “cane” per via della presunta sfrontatezza di quest’ultimo.

Verso 345 “ Non mi implorare, cane, per le mie ginocchia e per i miei genitori..”.

Nello stesso brano, Ettore definisce Achille, “colui che ha un cuore di ferro nel petto”.
Con quest’espressione si vuole far capire quanto Achille sia privo di pietà; ci troviamo davanti ad un’altra
figura retorica: la metafora, che dal canto suo contribuisce a rendere dinamico il testo.

Grazie a tutti questi coinvolgenti elementi, è facile sentirsi toccati emotivamente e anche l’autore non
riesce a farne a meno: spesso, nel corso della narrazione, Omero si rivolge direttamente agli eroi,
utilizzando la seconda persona singolare.

Verso 843 “E tu, perdendo le forze, gli rispondesti (προσεφης: προσφημι; indic, imperf, attivo; 2 PS) così,
Patroclo cavaliere”.
Quest’estratto del T13, La morte di Patroclo, ne è un esempio pratico.

Per citare un elaborato in cui l’autrice è profondamente coinvolta, per esempio, si può fare riferimento a
‘La canzone di Achille’, libro di Madeleine Miller.
Il romanzo ripercorre la storia di Achille e Patroclo, dall'esilio di Patroclo adolescente all'incontro
con Achille, per poi narrare l'addestramento dei due con il centauro Chirone, l'amore che nasce tra i due
principi, la guerra di Troia e infine la morte e il successivo incontro nell'Ade dei due eroi.

Sin dalle scuole medie si comincia a scoprire il mondo omerico ma, realizzando questo lavoro con molti più
strumenti a disposizione e uno spirito critico sicuramente più sviluppato, siamo sicuri di poter concludere
dicendo che chi ha occasione di rileggere alcuni brani del poema anche in età più adulta scopre sempre
qualcosa in più, che si era sottovalutato in passato: L'Iliade, insomma, è un poema straordinario sotto ogni
aspetto che merita di essere studiato e approfondito.

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