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Corso di

ORGANIZZAZIONE AZIENDALE

DISPENSA
TECNOLOGIA E ORGANIZZAZIONE:
IL CONTRIBUTO DI J. WOODWARD

A cura di
D. Scarozza
Tecnologia e Organizzazione: il contributo di J. Woodward
D. Scarozza

1. Tecnologia e organizzazione
L’interazione tra tecnologia e organizzazione non presenta solo un
interesse di ricerca, quanto e soprattutto una valenza pratica e progettuale,
che si è venuta accentuando con l’affermarsi e lo sviluppo dell’informatica,
della telematica e di tutti quei sistemi tecnologici definiti, appunto,
“tecnologie di organizzazione”. La tecnologia, dunque, rappresenta
chiaramente un fattore importante nella progettazione organizzativa:
l'organizzazione é strettamente interconnessa con la tecnologia. Si tratta di
un concetto molto ampio che é stato utilizzato, e di cui si é talvolta abusato,
in molti contesti; per questo motivo, in questa sede, l'attenzione sarà
concentrata su un'accezione molto più ristretta di tecnologia, riferendoci
esclusivamente agli strumenti e ai mezzi utilizzati per trasformare gli input
in output e che, nel proseguo della trattazione, sarà di sovente indicato con il
termine di sistema tecnico.
Il concetto di tecnologia, infatti, è diventato negli anni sempre più
ampio passando da una concezione riduttiva legata alla macchina a una
legata all’intero sistema organizzativo. A questo ultimo riguardo gli autori
della scuola socio-tecnica, e in particolare i ricercatori del Tavistock
Institute, considerano la tecnologia in strettissima connessione con il
contesto organizzativo. Trist (1981), uno dei maggiori esponenti di questa
scuola di pensiero, afferma: “il concetto di sistema socio-tecnico nacque dalla
considerazione che qualunque sistema produttivo richiede
contemporaneamente l’organizzazione delle tecnologie e l’organizzazione del
lavoro correlata a tutti gli altri fattori necessari alla svolgimento del
compito”.
In modo analogo, la Woodward (1965) collega la tecnologia al flusso di
lavoro, al processo di produzione e ai materiali, estendendo il concetto della
produzione in serie a tutti i tipi di produzione.
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D. Scarozza

A seguire e da un punto di vista più generale, Thompson nel 1967,


definisce e lega essenzialmente la tecnologia al tipo e al livello di
interdipendenza tra le unità organizzative.
Infine Perrow (1967), contemporaneamente a Thompson, pur se con
delle possibili eccezioni sviluppa il concetto di tecnologia in riferimento alle
caratteristiche degli oggetti prodotti. Per Perrow la tecnologia è definibile
come l’insieme di azioni che un individuo effettua su di un oggetto, con o
senza l’aiuto di strumenti meccanici, al fine di ottenere una qualche
trasformazione dell’oggetto stesso.
La definizione del concetto di tecnologia è indispensabile tanto per
l’analisi quanto per la progettazione organizzativa. Nel periodo degli studi
che va sotto il nome di “teorie contingenti”, si è giunti a considerare normale
e scontata l’esistenza di un rapporto, di una vera e propria interdipendenza
tra tecnologia delle attività produttive, strutture organizzativa e prassi
gestionale di un’azienda: questa interdipendenza è, ancora oggi, accettata.
Forse, però, il problema più importante per chi progetta e chi gestisce
quotidianamente le organizzazioni è quello di individuare delle modalità di
analisi e di misurazione della tecnologia. Come è ovvio, le tecniche e le scale
pensate per misurare e analizzare la tecnologia derivano dal concetto
definitorio di base, ovvero dalla definizione data da ciascuna scuola di
pensiero e, in particolare, da ciascun autore tra quelli sopra ricordati e
menzionati.
Sul rapporto tecnologia-organizzazione sono state intraprese
numerose ricerche empiriche tanto negli Stati Uniti che in Europa: spesso si è
rilevato che anche nei casi in cui non era stato previsto di far corrispondere
alle trasformazioni tecnologiche delle trasformazioni organizzative, queste
ultime finivano con il verificarsi come conseguenze inevitabili delle prime.
Tra i modelli proposti e più noti, che si focalizzano sui caratteri e sulla
complessità del sistema tecnico, troviamo quello di Joan Woodward che,
concentrandosi sul grado di continuità dei processi di trasformazione (degli
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input in output), propone una delle classificazioni più importanti nella


ricerca di tipi di sistemi tecnici atti a spiegare i diversi assetti delle variabili
organizzative.

2. La ricerca della Woodward


Un primo passo verso lo studio del suddetto rapporto tra tecnologia e
organizzazione può essere considerata la ricerca effettuata dalla Woodward
(1965) su un centinaio di aziende manifatturiere situate nel sud
dell’Inghilterra. La ricercatrice anglosassone aveva intuito che il modello
burocratico poteva essere applicato in modi diversi, più o meno distinti dal
modello originario.
Al fine di individuare i mezzi adatti per misurare le variabili
tecnologiche di una determinata situazione produttiva e valutarne le
conseguenze sul piano organizzativo e su quello del comportamento, il
concetto di tecnologia venne definito come un combinato disposto di due
“componenti”:
a) una conoscenza tecnologica di base (che costituisce un vincolo per
tutte le organizzazioni);
b) l’insieme di condizioni tecniche e organizzative, che presiedono ai
processi di trasformazione materiale, spaziale e temporale degli
input produttivi (specifica di ogni organizzazione).
Alla luce di questa definizione Woodward ha utilizzato una scala di
complessità (Tabella 1) così da poter classificare le aziende studiate in 3
gruppi principali e in 11 sotto-gruppi in funzione di criteri derivati dal tipo di
produzione e dal flusso produttivo. Questi 11 livelli di complessità sono stati
poi raccolti in 3 gruppi che la stessa Woodward ha definito come le principali
categorie di tecnologie:
1. produzione unitaria o a piccoli lotti;
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2. produzione su grandi lotti o di massa;


3. produzione a processo continuo.
Muovendosi dalla tecnologia per piccoli lotti verso la tecnologia a ciclo
continuo, secondo le caratteristiche della tecnologia di produzione impiegata,
la complessità tecnologica aumenta (Figura 1).

Tabella 1 – Scala di complessità tecnologica della Woodward


Scala di Numero di
Scala delle
complessità Sistema di produzione imprese del
principali categorie
tecnica campione
Gruppo I Produzione di unità su
1 5
Produzione unitaria ordinazione
o a piccoli lotti 2 Produzione di prototipi 10
3 Costruzione di grossi impianti 2
Produzione di piccole quantità
4 7
su ordinazione

Gruppo II 5 Produzione di grandi quantità 14


Produzione di Produzione di grandi quantità su
6 11
massa linee di assemblaggio
7 Produzione di massa 6

Gruppo III Produzione discontinua di


Processi continui 8 prodotti chimici in impianti 13
multiuso
Flusso produttivo continuo di
9 12
liquidi, gas, sostanze cristalline

Altri 10 Combinati 3
Sistemi combinati 11 Combinati 9

Non classificati 8 Non classificati 8

Fonte: adattamento da Woodward, 1965

La tipologia in questione rappresenta (forse indirettamente) un


modello a stadi successivi, che possono trovarsi realizzati in fasi sequenziali
di sviluppo tecnologico e organizzativo. Questa classificazione in 3 gruppi,
infatti, dà un quadro di quella che può essere la modalità di utilizzo della
tecnologia nelle singole organizzazioni in funzione delle seguenti variabili:
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- stadio di evoluzione dei processi produttivi;


- correlazione esistente fra gli elementi degli impianti tecnologici
impiegati nei diversi tipi;
- la ripetitività e/o la comparabilità delle operazioni effettuate
durante la produzione.

Figura 1 – Complessità tecnologica e tecnologie di produzione

Livello di
complessità
tecnologica •


Tecnologie di
produzione

Produzione Produzione Produzione


unitaria di massa per processo
continuo

La produzione di unità o piccoli lotti (produzione su commessa)


costituisce il sistema tecnico più antico: i materiali utilizzati nel processo
produttivo vengono trasferiti tra i diversi impianti o tra i diversi operatori
secondo sequenze non normalizzate e non ripetitive per realizzare prodotti
su misura, pezzi unici oppure in piccole quantità (Esempi: una tipografia che
fornisce partecipazioni di nozze incise a mano; un mobilificio che realizza
prodotti studiati in modo da soddisfare i gusti di un gruppo ristretto di
persone). La tecnologia per unità e piccole serie è quella caratterizzata dalla
complessità tecnologica più bassa, i macchinari utilizzati durante il processo
di trasformazione, infatti, sono meno importanti delle competenze delle
persone coinvolte. Inoltre, questo tipo di tecnologia è flessibile e consente di
realizzare un’ampia gamma di prodotti adattabili alle richieste dei clienti.
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Comporta, però, dei costi di gestione relativamente alti poiché la


realizzazione del lavoro è imprevedibile e così, al fine di aumentare il grado
di controllo sul processo di lavoro e fare in modo che diventi prevedibile, le
organizzazioni ricorrono all’uso di macchinari ed attrezzature aumentando,
in questo modo, anche la complessità tecnologica.
All’estremo opposto, i sistemi produttivi che impiegano una tecnologia
a ciclo continuo, costituiscono la forma di produzione più recente e più
avanzata: i materiali circolano secondo sequenze ripetitive e la complessità
tecnologica raggiunge il culmine. In questo tipo di produzione il processo di
trasformazione è quasi interamente automatizzato e meccanizzato (e non si
ferma mai) e il ruolo delle persone è quello di monitorare lo stabilimento e i
suoi macchinari, accertandosi che funzionino in modo efficiente. Ne consegue
che il compito dei dipendenti sarà quello di affrontare situazioni anomale
(rottura di un macchinario, malfunzionamento di un impianto, etc.). Tra le
organizzazioni che impiegano questa tecnologia è possibile trovare quelle
imprese che realizzano prodotti e agenti chimici basati, ad esempio, sul
petrolio come ENI, Shell.
Nel mezzo della scala della complessità tecnologica troviamo le
aziende che ricorrono alla produzione in serie o di massa che realizzano
grandi volumi di prodotti standardizzati (si pensi, ad esempio, ai processi
produttivi di autovetture, sedie e tavoli identici). In questa tipologia di
sistema tecnico le macchine governano il processo di lavoro, il loro utilizzo
consente di definire le specifiche delle attività e di programmarle a priori. La
produzione è spesso accelerata e gli obiettivi sono fissati a livelli elevati,
anche a costo di oltrepassare i limiti del ragionevole.

2.1 Sistemi tecnici e caratteristiche organizzative


Woodward ha riscontrato alcune chiare relazioni fra i tre sistemi
tecnici descritti e la progettazione organizzativa. La ricerca, infatti, ha
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permesso di accertare l’esistenza di differenze rilevanti, dal punto di vista


della struttura, fra i tre principali gruppi di aziende. A caratterizzare questo
studio rispetto agli altri, è che dalle singole osservazioni si è passati ad una
rappresentazione integrata di tre configurazioni organizzative
significativamente diverse in corrispondenza dei tre sistemi tecnici, tanto da
giungere alla formulazione di ipotesi universali e fondamentali sulle relazioni
tra organizzazione e sistema tecnico.
In primo luogo, dagli studi della Woodward è emerso che “maggiore é
il grado di regolazione del sistema tecnico, più l'attività operativa é
formalizzata e più l'organizzazione é burocratica”. Quando il grado di
regolazione del sistema tecnico aumenta, e cioè dà luogo a compiti semplici e
specializzati che eliminano la discrezionalità per coloro che utilizzano un tale
sistema, l'attività operativa diviene più di routine e più prevedibile e, quindi,
può essere più facilmente specializzata e formalizzata. Il controllo diviene
più impersonale, in ultima analisi meccanico, poiché coloro che sono
chiamati a progettare il flusso di lavoro sottraggono in misura crescente
potere sia ai lavoratori non qualificati che realizzano tale flusso sia ai
manager che dirigono tali lavoratori. Tutte queste relazioni sono
chiaramente rilevabili nelle imprese con produzione di grande serie studiate
dalla Woodward.
Che cosa accade invece nelle imprese con una produzione di processo?
In base alla descrizione di J. Woodward, il grado di regolazione di questo
sistema tecnico risulta essere pressoché totale (in altri termini il sistema
tecnico è automatico) A livello operativo, quindi, tutto, in un certo senso,
resta perfettamente burocratico: l'attività operativa, non implicando
l’intervento umano (tutto o quasi è fatto dalle macchine) può essere
completamente standardizzata. A livello direzionale, al contrario,
l’organizzazione tende a essere meno burocratica e formalizzata.
Da queste considerazioni, è stato possibile trarre un’altra ipotesi
fondamentale per gli studi della Woodward: “più il sistema tecnico é
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sofisticato, e cioè difficile da comprendere, più articolata é la struttura per la


parte che non riguarda l'attività operativa”. Se un'azienda impiega un sistema
tecnico complesso, essa deve dotarsi di specialisti che lo possano
comprendere, progettare, acquistare e modificare, attribuendo loro anche un
considerevole potere decisionale su quel sistema.
Studiando le imprese con una produzione di processo, infine, la
Woodward osservò che le aziende nelle quali da un punto di vista numerico é
preponderante la presenza di operatori non qualificati, chiamati a svolgere
un lavoro di routine, sono caratterizzate da rilevanti conflitti interpersonali
che derivano in larga misura dalla incompatibilità intrinseca del sistema
tecnico e del sistema sociale: spesso ciò che risulta ottimale per la
produzione (parte tecnica) ma non lo è per la parte sociale (ovvero le
persone che devono lavorare con quel sistema produttivo). Di conseguenza,
nelle imprese di grande serie si sviluppa un'ossessione verso il controllo: i
lavoratori devono essere costantemente controllati e stimolati se si vuole che
svolgano il loro lavoro. Questa mentalità di controllo investe tutti i livelli
della gerarchia: il controllo diviene la parola d'ordine dell'organizzazione.
Da queste considerazioni emerge la rilevanza dell’ultima ipotesi, per la
quale “l'automazione delle attività svolte dagli operatori trasforma una
struttura direzionale di tipo burocratico in una struttura di tipo organico”.
L'automazione, infatti, non comporta semplicemente una maggiore
regolazione delle attività ma, come abbiamo visto, elimina anche la causa di
molti conflitti sociali all'interno dell'azienda.
Richiamando anche la precedente ipotesi, inoltre, i sistemi tecnici
automatici, che tipicamente sono i più sofisticati, implicano la percentuale
più elevata (sul totale del personale) di specialisti che, per risolvere le
diverse problematicità tecniche che possono presentarsi, comunicando fra di
loro in modo informale. Da quanto esposto deriva un'interessante
implicazione sociale: la soluzione ai problemi della burocrazia impersonale
sembrerebbe consistere non in una minore regolazione ma in una maggiore
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regolazione dell'attività operativa che arrivi al punto di automatizzarla:


l'automazione, infatti, sembra rendere più umana la tradizionale
organizzazione burocratica.

Provando a sintetizzare le principali caratteristiche delle tre diverse


configurazioni organizzative associate, rispettivamente, ai tre sistemi tecnici
(Tabella 2) dalla ricerca è emerso che il sistema di supervisione, espresso e
misurato in termini di ampiezza di controllo risulta essere influenzato dal
fattore tecnologico: lo span of control, infatti, è maggiore per le imprese
appartenenti al secondo gruppo (produzione di massa) mentre risulta essere
più basso nelle organizzazioni degli altri due gruppi.

Tabella 2 – Tecnologia, produzione e caratteristiche organizzative

Caratteristiche Produzione unitaria/per


Produzione di massa
organizzative processo continuo

Bassa (escluso direttori


Elevata Ampiezza del controllo
generali)

Poco qualificata Forza lavoro Molto qualificata

Livello di
Basso Alto
autonomia/autocontrollo

Netta Distinzione line/staff Sfumata

Poco formalizzato (p.


unitaria) – Incorporato nel
Formalizzato/sofisticato Sistema di controllo
processo di trasformazione
(p. processo continuo)

Modalità prevalente di
Scritta Orale
comunicazione

Fonte: elaborazione propria


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Nelle aziende di produzione unitaria la percentuale di quadri direttivi e


personale di supervisione, in rapporto al resto dell’organico, è la più bassa,
mentre nelle organizzazioni a processo continuo tale percentuale è la più
elevata determinando differenze significative anche per quanto riguarda il
sistema di controllo di ciascuna configurazione organizzativa.
Tanto nella produzione continua, quanto in quella per unità si dà
grande importanza alla competenza tecnica dei capi intermedi; tuttavia, le
qualifiche tecniche e professionali richieste non sono identiche nei due tipi di
produzione: nelle organizzazioni con un sistema produttivo a processo
continuo le qualifiche tecniche richieste sono d’ordine intellettuale,
certificate da diplomi e basate sulle conoscenze generali, mentre nelle
organizzazioni con sistemi di produzione unitaria le qualifiche richieste sono
basate prevalentemente sull’intuizione, su una lunga esperienza e su tecniche
operative specifiche.
Dalle considerazioni finora fatte si possono notare alcune analogie tra
le organizzazioni collocate ai poli opposti della scala relativa alla complessità
tecnologica che la Woodward ha proposto. Mentre le organizzazioni con
produzioni di massa tendono a essere più meccaniche, perché caratterizzate
da compiti e responsabilità nettamente definiti, in quelle di produzione per
commessa e in quelle a processo continuo i sistemi organizzativi sono
tendenzialmente più flessibili. Nelle aziende collocate agli estremi opposti
della scala tecnologica si fa molto ricorso alla delega d’autorità e della
responsabilità decisionale, lo stile di direzione è aperto e partecipativo;
inoltre, si avverte meno fortemente l’esigenza di procedure e organigrammi,
gli specialisti sono meno numerosi, e l’organizzazione del lavoro è meno
rigida, meno pianificata e scarsamente concatenata.
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3. Considerazioni conclusive
L’interesse nella ricerca e nelle conclusioni a cui è giunta la Woodward
non sta, più di tanto, nella validità interpretativa delle variabili tecniche in sé,
bensì nel collegamento con le variabili organizzative. Proprio in quanto si è
parlato di sistemi tecnici, sia pure limitati ai processi di trasformazione, è
possibile intravedere la presenza di relazioni estese fra le caratteristiche di
tali sistemi e le proprietà assunte dal sistema organizzativo, tanto nelle
variabili di progettazione macro, quanto nelle variabili di progettazione
micro. Il contributo principale del modello proposto di Joan Woodward
consiste, quindi, nell’aver individuato nella tecnologia la variabile
indipendente da cui dipende il best fit dell’organizzazione: se la tecnologia è
per piccoli lotti/commessa, per esempio, allora la forza lavoro deve essere
qualificata. E così per tutte le altre dimensioni inerenti l’organizzazione. Si
tratta di un vero e proprio imperativo cogente.
Tuttavia, è anche opportuno porre in rilievo che il criterio in al quale
si valuta l’idoneità (il fit, per dirla con le parole dei contingenti) o la
inidoneità (il misfit) delle strutture organizzative (ossia la misura in cui
un’azienda si adatta alla sua tecnologia) è il successo o l’insuccesso delle sue
attività operative, valutato, ad esempio, in funzione della prestazione
economica e del tasso di sviluppo dell’organizzazione stessa. Non si tiene
conto nella stessa misura del successo “sociale” delle organizzazioni, vale a
dire dell’idoneità della struttura organizzativa alla tecnologia utilizzata nei
sistemi produttivi, in funzione dei motivi di soddisfazione o insoddisfazione
sociale che ne derivano.
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Riferimenti bibliografici

Ciborra C., Pugliese S., (1997), “La tecnologia”, in G. Costa, Nacamulli R.C.D. (a
cura di), Manuale di Organizzazione Aziendale, Utet, Torino,
Perrow C.A., (1967), “A Framework for the comparative Analysis of
Organization”, in American Sociological Review, 32(2): 194-208
Rugiadini A., Organizzazione d’impresa, Giuffrè Milano, 1979
Thompson J.D., (1967), Organizations in Action, McGraw-Hill, New York
Trist E.L., (1981), “The evolution of Sociotechnical Systems as a Conceptual
Framework and as an Action Research Program”, in Van de Ven A.H.,
Joyce W.F. (a cura di) Perspectives on Organization Design and Behavior,
Wiley, New York.
Woodward J., (1965), Industrial Organization: Theory and Practice, Oxford
University Press, Oxford.

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