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accademia nazionale di san luca

Quaderni della didattica

serie diretta da Francesco Moschini


accademia nazionale di san luca

Quaderni della didattica

serie diretta da Francesco Moschini


Arti Visive e Architettura
nella Società del Consumismo

volume secondo
Saggi dei relatori

a cura di
Francesca Gottardo

accademia nazionale di san luca


Arti Visive e Architettura
nella Società del Consumismo

volume secondo
Saggi dei relatori

a cura di
Francesca Gottardo

accademia nazionale di san luca


Indice

Corso 7
Presentazione > Francesca Gottardo
Arti Visive e Architettura nella Società del Consumismo
a cura di Paolo Portoghesi Saggi dei relatori

Accademia Nazionale di San Luca, Roma


9 Alberto Abruzzese > Insegnare comunicazione
26 maggio - 19 giugno 2014
14 Carlo Valerio Bellieni > La cultura dello scarto

17 Marino Bonaiuto, Ferdinando Fornara, Mirilia Bonnes > Psicologia ambientale


e psicologia architettonica

23 Giovanni Chiaramonte > Esercizi sul visibile

27 Enrico Crispolti > Urgenza nella città

33 Claudio D’Amato > Tipo e consumo in architettura. Muratori che sanno il latino o
artisti analfabeti?

36 Pietro Derossi > Abitare la città consumando

38 Marco Dezzi Bardeschi > Eterotopia: effetto Foucault, tra il visibile e l’indicibile.
L’altro spazio tra Venezia, Berlino e Los Angeles

42 Franco Ferrarotti > Ripensare la città – rimodellare l’ipercostruito informe – rivalutare


lo stile mediterraneo – contro la cementificazione selvaggia e il verticalismo insensato

52 Francesco Gesualdi > Dal consumismo al benvivere

55 Guido Guerzoni > I musei italiani e la sfida della sostenibilità globale

60 Fulvio Irace > Amazing Years. La Metropolis del consumo e le neoavanguardie

68 Anselm Jappe > Il gatto, il topo, la cultura e l’economia

75 Giacomo Marramao > La rivoluzione spaziale: luoghi e forme di vita

84 Simone Morandini > Sostenibilità: una prospettiva etico-teologica

89 Maurizio Pallante > Arte e decrescita

96 Franco Purini > Tre paradigmi

99 Andrea Segrè > 451 parole

107 Luciano Semerani > Il piacere del consumo e il consumo del piacere

112 Luigi Sertorio > La lumaca pensante

117 Pasquale Stanziale > Soggetti, media e godimenti nell’età del biocapitalismo

125 Guido Strazza > Arte, Comunicazione, Mercato

127 Vincenzo Trione > Ars memoriae. Tra arte e media

131 Gianpiero Vincenzo > Le vie del reincanto: l’opera d’arte nell’epoca del consumismo

140 Paolo Zermani > Il progetto della chiesa nel tempo dei mercanti
Indice

Corso 7
Presentazione > Francesca Gottardo
Arti Visive e Architettura nella Società del Consumismo
a cura di Paolo Portoghesi Saggi dei relatori

Accademia Nazionale di San Luca, Roma


9 Alberto Abruzzese > Insegnare comunicazione
26 maggio - 19 giugno 2014
14 Carlo Valerio Bellieni > La cultura dello scarto

17 Marino Bonaiuto, Ferdinando Fornara, Mirilia Bonnes > Psicologia ambientale


e psicologia architettonica

23 Giovanni Chiaramonte > Esercizi sul visibile

27 Enrico Crispolti > Urgenza nella città

33 Claudio D’Amato > Tipo e consumo in architettura. Muratori che sanno il latino o
artisti analfabeti?

36 Pietro Derossi > Abitare la città consumando

38 Marco Dezzi Bardeschi > Eterotopia: effetto Foucault, tra il visibile e l’indicibile.
L’altro spazio tra Venezia, Berlino e Los Angeles

42 Franco Ferrarotti > Ripensare la città – rimodellare l’ipercostruito informe – rivalutare


lo stile mediterraneo – contro la cementificazione selvaggia e il verticalismo insensato

52 Francesco Gesualdi > Dal consumismo al benvivere

55 Guido Guerzoni > I musei italiani e la sfida della sostenibilità globale

60 Fulvio Irace > Amazing Years. La Metropolis del consumo e le neoavanguardie

68 Anselm Jappe > Il gatto, il topo, la cultura e l’economia

75 Giacomo Marramao > La rivoluzione spaziale: luoghi e forme di vita

84 Simone Morandini > Sostenibilità: una prospettiva etico-teologica

89 Maurizio Pallante > Arte e decrescita

96 Franco Purini > Tre paradigmi

99 Andrea Segrè > 451 parole

107 Luciano Semerani > Il piacere del consumo e il consumo del piacere

112 Luigi Sertorio > La lumaca pensante

117 Pasquale Stanziale > Soggetti, media e godimenti nell’età del biocapitalismo

125 Guido Strazza > Arte, Comunicazione, Mercato

127 Vincenzo Trione > Ars memoriae. Tra arte e media

131 Gianpiero Vincenzo > Le vie del reincanto: l’opera d’arte nell’epoca del consumismo

140 Paolo Zermani > Il progetto della chiesa nel tempo dei mercanti
Presentazione

Architettura, arti visive e consumismo


L’Urlo di Edward Munch denuncia, con la forza dell’immagine espressionista, uno
dei momenti di rottura e di cambiamento irreversibile non solo nella storia delle arti
figurative. Lo spunto del quadro lo troviamo descritto nel suo diario: “camminavo
lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all’improvviso di
rosso sangue, mi fermai, mi appoggiai stanco morto a un recinto sul fiordo nerazzurro
e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco.
I miei amici continuavano a camminare e
io tremavo ancora di paura e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura”.
Dalla bocca spalancata escono le onde sonore dell’urlo che deformano ondularmente il
paesaggio, come un grido che sale dall’inconscio.
Manifesto della solitudine umana e dell’incomunicabilità, l’opera focalizza l’attenzione
sui principali interrogativi dell’uomo contemporaneo e individua i sintomi di un
profondo stato di malessere, espressione di una denuncia politica e sociale.
La progressiva e incalzante trasformazione, dovuta prevalentemente al dilagare di
un consumismo imperante che ha investito la società moderna, ha rappresentato una
sorta di rivoluzione copernicana che ha modificato radicalmente il modo di sentire e
I contributi riportati nel volume si riferiscono alle lezioni tenute nell’ambito del corso concepire le arti visive e l’architettura, snaturandone la forma, ma ancor più la sostanza,
Arti Visive e Architettura nella Società del Consumismo curato da Paolo Portoghesi alterandone e svuotandone il contenitore, ma ancor più il contenuto.
Si legge chiaramente, in molte architetture delle città, la filosofia consumistica che le ha
26 maggio 2014 Si può uscire dal consumismo? > Paolo Portoghesi ispirate, basata su un approccio alla vita “mordi e fuggi”, in cui tutto è veloce e in rapida
Cultura materiale e arti > Renato Barilli evoluzione; allo stesso modo alla mostra di opere d’arte si è affiancata la fruizione spesso
La cultura dello scarto > Carlo Valerio Bellieni istantanea dell’installazione, destinata a durare il tempo di un respiro, lo spazio di un
27 maggio 2014 Le nuove architetture museali, tra consumo culturale e sostenibilità > Guido Guerzoni battito d’ali.
Il piacere del consumo e il consumo del piacere > Luciano Semerani Esigenze consumistiche hanno generato mostri urbani, quali centri commerciali,
29 maggio 2014 Arte, Comunicazione, Mercato > Guido Strazza supermercati, outlet, che invadono prepotentemente le nostre città, portatori
La rivoluzione spaziale: luoghi e forme di vita > Giacomo Marramao apparentemente sani di valori effimeri, e di alcun interesse costruttivo, se non quello
commerciale. L’architettura residenziale, al pari di quella commerciale, ha gradualmente
3 giugno 2014 Tre paradigmi > Franco Purini
seguito analogo destino nell’anonima successione di spazi indifferenziati, ispirati più
Tipo e consumo in architettura > Claudio D’Amato
Tecniche di resistenza: consumismo e autenticità > Marco Dezzi Bardeschi
dalle esigenze omologate e standardizzate del vivere moderno che da uno studio per così
dire ridolfiano, sensibile e attento, delle abitudini e dei bisogni degli abitanti.
4 giugno 2014 La società dei consumi e l’architettura del tempo presente > Mario Pisani Il segnale più evidente di come il consumismo abbia pesantemente inciso nel modo
Primo, non sprecare > Andrea Segrè
di concepire e vivere lo spazio è dato dalla scarsa cura posta nella progettazione dei
5 giugno 2014 Il gatto, il topo, la cultura e l’economia > Anselm Jappe luoghi di sosta, considerati inutili orpelli destinati a una funzione sociale ormai in via
Medio ed estremo Oriente: rinascita e perdita > Leone Spita d’estinzione. Lo stato di incomunicabilità e di isolamento in cui l’uomo, chiuso in se
Abitare nella convivialità > Petra Bernitsa
stesso, si trova a vivere è allarmante e rappresenta probabilmente il più grande paradosso
10 giugno 2014 Arte e consumismo > Vittorio Sgarbi dell’era della comunicazione digitale.
Abitare la città consumando > Pietro Derossi Seguendo il principio secondo cui per individuare la cura è necessario innanzitutto,
Arte e tecnologia > Luigi Sertorio
ancor prima di conoscere la patologia e indagarne le cause, esserne coscienti (“i miei
11 giugno 2014 Ars memoriae. Tra arte e media > Vincenzo Trione amici continuavano a camminare”), il corso, organizzato dall’Accademia Nazionale
Design e deterrenza del tempo moderno > Alberto Abruzzese di San Luca, preso atto della minaccia rappresentata dal consumismo, di cui l’uomo
12 giugno 2014 Arte e decrescita > Maurizio Pallante è protagonista più o meno consapevole, si propone di dar voce a chi, contrastando
Funzione antagonista di immagine/segno > Enrico Crispolti quella logica divoratrice che consuma velocemente anche il pensiero e quell’esasperato e
Arte differente o globalizzata? > Concetto Pozzati forzato dinamismo cui la società sembra condannata, si è fermato a riflettere.
16 giugno 2014 Una civiltà dello scarto? Etica teologica e società dei consumi > Simone Morandini Le considerazioni proposte in questo volume esprimono le grida che da più parti e in più
Il progetto della chiesa nel tempo dei mercanti > Paolo Zermani campi si elevano per rivendicare il valore del tempo, delle relazioni umane e dell’abitare.
17 giugno 2014 Il predominio dell’audiovisivo e la fisicità dell’architettura.
Rimodellare l’ipercostruito informe > Franco Ferrarotti
Esercizi sul visibile > Giovanni Chiaramonte
Francesca Gottardo
18 giugno 2014 Psicologia architettonica e ambientale > Marino Bonaiuto
Architettura usa e getta: le neo-avanguardie e il consumo > Fulvio Irace
Dal consumismo al benvivere > Francesco Gesualdi
19 giugno 2014 Spazi e desideri nell’economia politica dell’immaginario > Pasquale Stanziale
Le vie del reincanto: l’opera d’arte nell’epoca del consumismo > Gianpiero Vincenzo

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Presentazione

Architettura, arti visive e consumismo


L’Urlo di Edward Munch denuncia, con la forza dell’immagine espressionista, uno
dei momenti di rottura e di cambiamento irreversibile non solo nella storia delle arti
figurative. Lo spunto del quadro lo troviamo descritto nel suo diario: “camminavo
lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all’improvviso di
rosso sangue, mi fermai, mi appoggiai stanco morto a un recinto sul fiordo nerazzurro
e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco.
I miei amici continuavano a camminare e
io tremavo ancora di paura e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura”.
Dalla bocca spalancata escono le onde sonore dell’urlo che deformano ondularmente il
paesaggio, come un grido che sale dall’inconscio.
Manifesto della solitudine umana e dell’incomunicabilità, l’opera focalizza l’attenzione
sui principali interrogativi dell’uomo contemporaneo e individua i sintomi di un
profondo stato di malessere, espressione di una denuncia politica e sociale.
La progressiva e incalzante trasformazione, dovuta prevalentemente al dilagare di
un consumismo imperante che ha investito la società moderna, ha rappresentato una
sorta di rivoluzione copernicana che ha modificato radicalmente il modo di sentire e
I contributi riportati nel volume si riferiscono alle lezioni tenute nell’ambito del corso concepire le arti visive e l’architettura, snaturandone la forma, ma ancor più la sostanza,
Arti Visive e Architettura nella Società del Consumismo curato da Paolo Portoghesi alterandone e svuotandone il contenitore, ma ancor più il contenuto.
Si legge chiaramente, in molte architetture delle città, la filosofia consumistica che le ha
26 maggio 2014 Si può uscire dal consumismo? > Paolo Portoghesi ispirate, basata su un approccio alla vita “mordi e fuggi”, in cui tutto è veloce e in rapida
Cultura materiale e arti > Renato Barilli evoluzione; allo stesso modo alla mostra di opere d’arte si è affiancata la fruizione spesso
La cultura dello scarto > Carlo Valerio Bellieni istantanea dell’installazione, destinata a durare il tempo di un respiro, lo spazio di un
27 maggio 2014 Le nuove architetture museali, tra consumo culturale e sostenibilità > Guido Guerzoni battito d’ali.
Il piacere del consumo e il consumo del piacere > Luciano Semerani Esigenze consumistiche hanno generato mostri urbani, quali centri commerciali,
29 maggio 2014 Arte, Comunicazione, Mercato > Guido Strazza supermercati, outlet, che invadono prepotentemente le nostre città, portatori
La rivoluzione spaziale: luoghi e forme di vita > Giacomo Marramao apparentemente sani di valori effimeri, e di alcun interesse costruttivo, se non quello
commerciale. L’architettura residenziale, al pari di quella commerciale, ha gradualmente
3 giugno 2014 Tre paradigmi > Franco Purini
seguito analogo destino nell’anonima successione di spazi indifferenziati, ispirati più
Tipo e consumo in architettura > Claudio D’Amato
Tecniche di resistenza: consumismo e autenticità > Marco Dezzi Bardeschi
dalle esigenze omologate e standardizzate del vivere moderno che da uno studio per così
dire ridolfiano, sensibile e attento, delle abitudini e dei bisogni degli abitanti.
4 giugno 2014 La società dei consumi e l’architettura del tempo presente > Mario Pisani Il segnale più evidente di come il consumismo abbia pesantemente inciso nel modo
Primo, non sprecare > Andrea Segrè
di concepire e vivere lo spazio è dato dalla scarsa cura posta nella progettazione dei
5 giugno 2014 Il gatto, il topo, la cultura e l’economia > Anselm Jappe luoghi di sosta, considerati inutili orpelli destinati a una funzione sociale ormai in via
Medio ed estremo Oriente: rinascita e perdita > Leone Spita d’estinzione. Lo stato di incomunicabilità e di isolamento in cui l’uomo, chiuso in se
Abitare nella convivialità > Petra Bernitsa
stesso, si trova a vivere è allarmante e rappresenta probabilmente il più grande paradosso
10 giugno 2014 Arte e consumismo > Vittorio Sgarbi dell’era della comunicazione digitale.
Abitare la città consumando > Pietro Derossi Seguendo il principio secondo cui per individuare la cura è necessario innanzitutto,
Arte e tecnologia > Luigi Sertorio
ancor prima di conoscere la patologia e indagarne le cause, esserne coscienti (“i miei
11 giugno 2014 Ars memoriae. Tra arte e media > Vincenzo Trione amici continuavano a camminare”), il corso, organizzato dall’Accademia Nazionale
Design e deterrenza del tempo moderno > Alberto Abruzzese di San Luca, preso atto della minaccia rappresentata dal consumismo, di cui l’uomo
12 giugno 2014 Arte e decrescita > Maurizio Pallante è protagonista più o meno consapevole, si propone di dar voce a chi, contrastando
Funzione antagonista di immagine/segno > Enrico Crispolti quella logica divoratrice che consuma velocemente anche il pensiero e quell’esasperato e
Arte differente o globalizzata? > Concetto Pozzati forzato dinamismo cui la società sembra condannata, si è fermato a riflettere.
16 giugno 2014 Una civiltà dello scarto? Etica teologica e società dei consumi > Simone Morandini Le considerazioni proposte in questo volume esprimono le grida che da più parti e in più
Il progetto della chiesa nel tempo dei mercanti > Paolo Zermani campi si elevano per rivendicare il valore del tempo, delle relazioni umane e dell’abitare.
17 giugno 2014 Il predominio dell’audiovisivo e la fisicità dell’architettura.
Rimodellare l’ipercostruito informe > Franco Ferrarotti
Esercizi sul visibile > Giovanni Chiaramonte
Francesca Gottardo
18 giugno 2014 Psicologia architettonica e ambientale > Marino Bonaiuto
Architettura usa e getta: le neo-avanguardie e il consumo > Fulvio Irace
Dal consumismo al benvivere > Francesco Gesualdi
19 giugno 2014 Spazi e desideri nell’economia politica dell’immaginario > Pasquale Stanziale
Le vie del reincanto: l’opera d’arte nell’epoca del consumismo > Gianpiero Vincenzo

7
Insegnare comunicazione

Alberto Abruzzese

Per gentile concessione “Quando leggiamo, qualcun altro pensa per noi: noi ripetiamo solamente il suo processo
dell’Autore, questo testo mentale. È come quando lo scolaro impara a scrivere ripassando con la penna i tratti a
riprende quanto già pubblicato
in Aa.Vv., Lo statuto
matita del maestro. Dunque quando si legge ci è sottratta la maggior parte dell’attività
dell’opera d’arte: marketing, di pensare. Da ciò deriva il sollievo palpabile quando smettiamo di occuparci dei nostri
gestione e comunicazione del pensieri e passiamo alla lettura. Durante la lettura la nostra testa è proprio un’arena di
prodotto culturale, (a cura di pensieri sconosciuti. Ma se togliamo questi pensieri, cosa rimane? Quindi accade che chi
Alessandro Masi e Valentina legge molto e per quasi tutto il giorno, rilassandosi nel frattempo con uno spensierato
Spata), Edizioni Sole24ore, passatempo, piano piano perde egli stesso la facoltà di pensare – come uno che cavalca
2014.
sempre e alla fine dimentica come si fa a camminare. Questo è il caso di molti dotti: hanno
letto fino a diventare sciocchi”. (Arthur Schopenhauer)
Qui mi immagino di fare una lezione, anzi addirittura una prolusione, in quanto il termine
prolusione ha in sé un richiamo al gioco – per quanto di corte, di guerra, d’accademia –
mentre invece, dicendo lezione, ci si riferisce a un termine etimologicamente radicato nel
verbo leggere. Dunque ad una pratica che ha in sé il marchio d’infamia dei docenti dediti
ancora a leggere, a sillabare, ciò che essi dicono agli studenti seduti in aula (“composti”, come
si diceva un tempo). Comunque decisi a parlare loro come se stessero leggendo tutti insieme.
Immaginiamoci, dunque, una prolusione accademica all’antica. Oggi nei processi formativi
non si dovrebbe più lavorare così, ma dato che qui si tratta in effetti di scrivere un testo perché
venga letto, condannato ad essere letto, immaginiamoci pure che esso sia la trascrizione di
una lezione rivolta agli studenti di un corso o master dedicato alla comunicazione dei beni
culturali. La scena è questa: il docente e i discenti sono raccolti in aula, al di là delle grandi
finestre c’è un cielo ingrato; lampi e venti di crisi, miseria del mondo, sofferenza e morte.
C’è stata un’epoca – all’alba del nazismo, dell’olocausto, della seconda guerra mondiale e
dell’atomica – in cui la missione del dotto precipitò nell’angoscia di quel terribile futuro.
Pochi furono i dotti che allora percepirono il disastro di quella umanità. E ancora di meno
sembrano quelli in grado di percepirla ora, nell’umanità presente.
Il docente è in questo caso – qui e ora – un mediologo, e già solo questa sua professione
gli impone una nota introduttiva sul perché si definisca tale. Dopo avere chiarito questo
primo punto, si passerà rapidamente a descrivere i punti salienti di ciò che più distesamente
riguarderanno le mie lezioni a venire. Lezioni che spero possano sentire, presentire, ciò che
fuori sta accadendo, è accaduto, sta per accadere.
1. Comunicare i beni culturali: c’è una forte densità simbolica in questa materia. Vediamo
di entrarci dentro. Chi abita l’Italia ha la fortuna di vivere un territorio straordinariamente
ricco, quanto mai è stato e potrà essere un altro luogo nel tempo e nello spazio. Ricchezza di
monumenti che sono sopravvissuti dalla civiltà antica sino al mondo presente e che dunque
condensano in una medesima sensibilità delle cose del mondo – delle cose estreme, ultime,
quindi più profonde del mondo – tanto le dimensioni dell’Autorità quanto quelle della sua
Rovina. Nessuna terra può meglio della nostra raccontare la nascita e il crollo di imperi e
religioni: il fermento da cui sono nate le etiche, politiche ed estetiche dell’Occidente.
A questo privilegio italico dovremo ispirarci nel ragionare sui contenuti e i mezzi con cui
mediare i beni culturali, ma prima va aperta una nota su quale possa essere il contributo
che un mediologo può dare ad un processo formativo destinato a soddisfare e incentivare
la domanda di un vastissimo settore di professioni della comunicazione (che a loro volta
sono tra loro diversificate: “lavoro nel campo dei media televisivi svolgendo la professione
di sceneggiatore, regista, ecc.”, oppure “lavoro in una fabbrica di automobili e devo sapere
come comunicare per venderle, fare marketing, comunicazione interna, gestire un ufficio
stampa, ecc).
I presupposti della mediologia discendono da una elaborazione che ha riferimenti teorici –
in sintesi, la linea di pensiero da Nietzsche a Benjamin e infine a McLuhan – assai divergenti
dalla impostazione sociologica convenzionale che è prevalsa e tuttora in larga misura

9
Insegnare comunicazione

Alberto Abruzzese

Per gentile concessione “Quando leggiamo, qualcun altro pensa per noi: noi ripetiamo solamente il suo processo
dell’Autore, questo testo mentale. È come quando lo scolaro impara a scrivere ripassando con la penna i tratti a
riprende quanto già pubblicato
in Aa.Vv., Lo statuto
matita del maestro. Dunque quando si legge ci è sottratta la maggior parte dell’attività
dell’opera d’arte: marketing, di pensare. Da ciò deriva il sollievo palpabile quando smettiamo di occuparci dei nostri
gestione e comunicazione del pensieri e passiamo alla lettura. Durante la lettura la nostra testa è proprio un’arena di
prodotto culturale, (a cura di pensieri sconosciuti. Ma se togliamo questi pensieri, cosa rimane? Quindi accade che chi
Alessandro Masi e Valentina legge molto e per quasi tutto il giorno, rilassandosi nel frattempo con uno spensierato
Spata), Edizioni Sole24ore, passatempo, piano piano perde egli stesso la facoltà di pensare – come uno che cavalca
2014.
sempre e alla fine dimentica come si fa a camminare. Questo è il caso di molti dotti: hanno
letto fino a diventare sciocchi”. (Arthur Schopenhauer)
Qui mi immagino di fare una lezione, anzi addirittura una prolusione, in quanto il termine
prolusione ha in sé un richiamo al gioco – per quanto di corte, di guerra, d’accademia –
mentre invece, dicendo lezione, ci si riferisce a un termine etimologicamente radicato nel
verbo leggere. Dunque ad una pratica che ha in sé il marchio d’infamia dei docenti dediti
ancora a leggere, a sillabare, ciò che essi dicono agli studenti seduti in aula (“composti”, come
si diceva un tempo). Comunque decisi a parlare loro come se stessero leggendo tutti insieme.
Immaginiamoci, dunque, una prolusione accademica all’antica. Oggi nei processi formativi
non si dovrebbe più lavorare così, ma dato che qui si tratta in effetti di scrivere un testo perché
venga letto, condannato ad essere letto, immaginiamoci pure che esso sia la trascrizione di
una lezione rivolta agli studenti di un corso o master dedicato alla comunicazione dei beni
culturali. La scena è questa: il docente e i discenti sono raccolti in aula, al di là delle grandi
finestre c’è un cielo ingrato; lampi e venti di crisi, miseria del mondo, sofferenza e morte.
C’è stata un’epoca – all’alba del nazismo, dell’olocausto, della seconda guerra mondiale e
dell’atomica – in cui la missione del dotto precipitò nell’angoscia di quel terribile futuro.
Pochi furono i dotti che allora percepirono il disastro di quella umanità. E ancora di meno
sembrano quelli in grado di percepirla ora, nell’umanità presente.
Il docente è in questo caso – qui e ora – un mediologo, e già solo questa sua professione
gli impone una nota introduttiva sul perché si definisca tale. Dopo avere chiarito questo
primo punto, si passerà rapidamente a descrivere i punti salienti di ciò che più distesamente
riguarderanno le mie lezioni a venire. Lezioni che spero possano sentire, presentire, ciò che
fuori sta accadendo, è accaduto, sta per accadere.
1. Comunicare i beni culturali: c’è una forte densità simbolica in questa materia. Vediamo
di entrarci dentro. Chi abita l’Italia ha la fortuna di vivere un territorio straordinariamente
ricco, quanto mai è stato e potrà essere un altro luogo nel tempo e nello spazio. Ricchezza di
monumenti che sono sopravvissuti dalla civiltà antica sino al mondo presente e che dunque
condensano in una medesima sensibilità delle cose del mondo – delle cose estreme, ultime,
quindi più profonde del mondo – tanto le dimensioni dell’Autorità quanto quelle della sua
Rovina. Nessuna terra può meglio della nostra raccontare la nascita e il crollo di imperi e
religioni: il fermento da cui sono nate le etiche, politiche ed estetiche dell’Occidente.
A questo privilegio italico dovremo ispirarci nel ragionare sui contenuti e i mezzi con cui
mediare i beni culturali, ma prima va aperta una nota su quale possa essere il contributo
che un mediologo può dare ad un processo formativo destinato a soddisfare e incentivare
la domanda di un vastissimo settore di professioni della comunicazione (che a loro volta
sono tra loro diversificate: “lavoro nel campo dei media televisivi svolgendo la professione
di sceneggiatore, regista, ecc.”, oppure “lavoro in una fabbrica di automobili e devo sapere
come comunicare per venderle, fare marketing, comunicazione interna, gestire un ufficio
stampa, ecc).
I presupposti della mediologia discendono da una elaborazione che ha riferimenti teorici –
in sintesi, la linea di pensiero da Nietzsche a Benjamin e infine a McLuhan – assai divergenti
dalla impostazione sociologica convenzionale che è prevalsa e tuttora in larga misura

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prevale negli studi sulla comunicazione. Un punto chiave è a mio avviso la flessione di nella propria consumazione. Nella propria frequentazione. Anche i discorsi di metodo sulla
significato (dunque di metodo e di visione) che il termine mediologia (discorso sui media) comunicazione avvengono in questo attrito tra corpi e parti di corpo. E se c’è una necessità
è in grado di assumere rispetto al termine sociologia (discorso sulla società). La ragione di di riconoscere questa trita natura delle cose del mondo essa riguarda anche, e in particolare,
questa scelta è tanto sostanziale da imporre non semplicemente una terminologia nuova, il luogo fisico (l’aula) o immateriale (i media) in cui il docente dovrebbe essere chiamato
più aggiornata, ma l’assunzione vera e propria di un paradigma diverso rispetto a quello – vocato – a tenere conto dell’esperienza comunicativa senza tempo e senza luogo in cui
su cui si sono fondate le discipline moderne. è immerso al pari dei suoi discenti. È di tale esperienza dal di dentro e dal di fuori della
Un salto di paradigma si rende urgente quando la crisi di un sistema di vita non può più propria pelle così come del proprio abitus che il discorso di chi prende parola – insieme,
essere risolta a partire dai contenuti del sistema stesso. Si arriva, cioè, ad un punto di ripeto, sulla comunicazione e nella comunicazione, questo il suo obbligo – può valere e cioè
catastrofe in cui non c’è contenuto in grado di trasformare un sistema dal suo interno, avere forza, acquisire un potere da spartire: essere tenuto da conto, contare. Tanto da essere
poiché a crollare è proprio la sua coesione più intima, interiore. Esso è allora destinato reputato come un agire comunicativo degno di essere tesorizzato, ripetuto di nuovo. Farsi
a disgregarsi, frantumarsi non più soltanto in periferia, sulle sue linee di frontiera, ma al reputazione.
proprio centro, al suo cuore. Ad opera di un contenuto in tutto discontinuo rispetto alla 3. Ritengo che si debba saltare il fosso, buttarsi al di là delle retoriche su marketing e
tradizione. Nuovo? Il termine nuovo è ambiguo, ostentativo e illudente, destinato dunque innovazione tecnologica, retoriche di cui sinceramente sarebbe bene sbarazzarsi al più
a morire con la modernità che lo ha inventato come dispositivo di potere. Meglio allora presto, avendo fatto di esse un uso ormai troppo autoreferenziale. Troppo disperato: alla
usare il termine “altro”, la cui ambiguità – che comunque c’è, e sempre dipende dalle cieca (sempre più sommersi, invece che alimentati, dalla trita sostanza in cui galleggiano i
necessità dei conflitti di potere – riguarda invece una questione diversa, più profonda, e regimi storici della società moderna). Sono dunque intenzionato a deludere chi qui si attenda
cioè il fatto che ogni innovazione tecnologica, ogni alterità umana socialmente costruita, da me un rapido approccio ai vari modi in cui la comunicazione (nonché le scienze della
ha sino ad oggi operato comunque in quanto forma di dominio antropocentrico sul comunicazione come pallido riflesso della sua viva esperienza) è servita, serve e servirà al
rimanente mondo. Di violenza. mercato e alla riproduzione di merci materiali e immateriali. Quindi, non solo al loisir e
Dunque, le cose stanno ora così: in ambito accademico e politico-culturale manca ogni al fitness ma all’intera gamma di gratificazioni psicosomatiche e culturali di cui la società
consapevolezza sulla necessità di mutare il paradigma con cui tali ambiti governano il moderna pre-dispone l’esistenza e la riproducibilità: dalle istituzioni pubbliche e dalle
proprio pensiero e le proprie azioni. Istituzioni del sapere e istituzioni della società: qui si imprese private ai beni storici, artistici e ambientali. La qual cosa non significa dire soltanto
annida la condivisa omertà che fa loro da reciproca copertura in questo attuale e più di ogni monumenti e paesaggi ma anche religioni, etiche e politiche, corpi e carne, desiderio e sesso.
altro clamoroso ciclo di crisi economico-politica. Quale la consapevolezza necessaria? Anche mode, felicità e paura. E infine: non solo oggetti ma anche soggetti. Cose dell’umano
Quale, se al necessario (ciò che deve essere perché una cosa si faccia cosa, esista davvero) va e dell’inumano. Dunque cose tutte essenziali alla nostra sopravvivenza antropologica,
ricondotto il doppio vincolo tra bisogno e desiderio su cui si fonda la volontà di potenza culturale. E per questo, è proprio dalla loro necessità – lo stato di necessità è quanto più
dell’essere umano? Ecco: nella storia moderna e post-moderna, cioè nello sviluppo dalla ci connette alla dimensione originaria dell’essere umano e al suo destino, quindi al suo
società industriale alla società post-industriale, i territori e le macchine – le tecnologie e presente – che deve partire un discorso teso a impostare il legame tra gli strumenti della
quindi anche le società e i corpi dell’essere umano, dei suoi tradizionali modi di abitare comunicazione e le strategie della loro produzione e riproduzione.
il mondo – hanno vissuto trasformazioni e innovazioni profondissime grazie ai processi
di smaterializzazione di ogni barriera spazio-temporale favoriti dallo sviluppo dei media. 4. Fare formazione nel campo dei media. Sembrerebbe la formula migliore da usare
In particolare la definita mediazione tra realtà e reale che si produce con la svolta delle in riferimento a corsi o master universitari dedicati alle teorie e pratiche dei media e alla
tecnologie digitali da Internet in poi. loro funzione sociale: etica e estetica, politica e economica. Eppure, in questa formula
apparentemente innocente c’è un grave difetto di pensiero mediologico. Presuppone, infatti,
2. Ora possiamo toccare alcuni punti in grado di funzionare da ispirazione per tutte le lezioni l’intenzione di volere separare spazialmente e temporalmente il luogo della formazione, il
a venire. Cominciamo da un “luogo comune”: niente di più trito e ritrito dei discorsi che si luogo spaziotemporale in cui si formano le specifiche competenze necessarie alle professioni
fanno – minuto per minuto e centimetro per centimetro – sulla comunicazione. Tuttavia, della comunicazione, dal luogo in cui tali competenze saranno chiamate ad operare. Il primo
attenzione: si può affermare l’esatto contrario di ciò che la frase appena detta sembra è un campo che potremmo chiamare istituzionale e sapienziale, il secondo è la vita quotidiana,
suggerire. Essa vorrebbe dire che nella vita quotidiana i linguaggi della comunicazione ciò che un mediologo chiama vita quotidiana in quanto territorio di relazioni che riguarda
sarebbero fatti oggetto di pensieri e giudizi banali? Oggetto di luoghi comuni che ritornano la realtà prodotta dalle strategie di potere e dai suoi conflitti tanto nelle sfere di pertinenza
sempre su se stessi e che dunque solo approcci più scientifici sarebbero in grado di superare sociale quanto in quelle dell’immaginario: sfere che, per essere davvero comprese, vanno
in virtù dei propri metodi? Oggetto, dunque, soltanto di un parlare emotivo, confuso in appunto considerate una espressione dell’altra.
una folla di rumori e di continue aliene presenze? Così si tende a credere, assoggettati dal Sino ad oggi, il paradigma sapienziale dei moderni ha insistito sul dividere i contenuti dagli
fascino che le credenze esercitano sul linguaggio. Ma esattamente la stessa frase, rovesciando strumenti: le tradizioni dell’umanesimo dalle “tecnicalità” delle professioni. Il contenuto
in positivo la sua lettura convenzionale e negativa, può dirci anche il contrario. dal medium. Questa è la divisione da abbattere, in quanto è la stessa distanza spaziale e
Basta cominciare a valutare diversamente il significato di un aggettivo come “trito” e temporale che, confidando nella placenta umanistica che ne garantirebbe la congruenza
rovesciare l’idea che l’atto di dire qualcosa “sulla” comunicazione possa avere un significato reciproca, divide i luoghi della formazione – scolastici e universitari, sia privati che
realmente distinto e distintivo dall’atto in se stesso del comunicare qualcosa, del metterla in pubblici, in quanto uniformati ad un unico modello – dai luoghi del lavoro professionale.
comune, dunque dell’appropriarsi delle forme di comunicazione così tanto da trovare una Lo scenario contemporaneo ci mostra una caduta verticale della reputazione dei ceti dirigenti
rassicurazione nella loro astrazione. E che dunque sia possibile privarle della loro infinita sia sul versante della ricerca e della formazione sia su quello delle forme di organizzazione
fluidità e praticare in esse una effettiva presa di distanza tra il soggetto che parla e l’oggetto sociale: stato e imprese. Che vuole dire intellettuali, politici, amministratori, professionisti,
parlato. In altre parole suggerisco qui la tesi non poco scandalosa per cui il punto di vista imprenditori, manager e artisti. Questa caduta di reputazione rivela l’estinguersi di ogni
e gli scopi di ogni atto comunicativo non possono liberarsi della trita sostanza grazie alla capacità di metabolizzazione culturale della complessità del mondo contemporaneo.
quale si riesce a comunicare assai più che esserne impediti. Siamo un immane accumulo di Un impoverimento progressivo di capacità di simbolizzazione che siano all’altezza
frammenti di esperienza quotidiana delle cose del mondo e dei nostri sensi: frammenti di della complessità dei conflitti di potere. Si è aperto un baratro tra i saperi istituzionali e
“altro” senza i quali abiteremmo il vuoto. l’immaginario dei consumi, dei suoi mercati, delle sue relazioni centrifughe (sempre più
Trito deriva infatti da tritare, sfregare. E rimanda a consumare: qualcosa che si disgrega e favorite e alimentate dal carattere personale e interattivo dei linguaggi digitali). Si tratta
fa polvere come il fuoco fa cenere, depositando in essa la sua scintilla. E attendendo che tuttavia di un insieme di rappresentazioni del mondo in cui la tradizione occidentale
si riaccenda. Trito viene dalla radice tar- ovvero da muovere e rimanda a trans- cioè un celebra la propria dissoluzione, senza tuttavia uscire da se stessa, senza dunque potere
muovere in qua e in là. Un consumo che non ha mai fine perché insiste, consiste in se stesso, esprimere una nuova soggettività per quanto sia eccezionalmente sensibile all’oggettività

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prevale negli studi sulla comunicazione. Un punto chiave è a mio avviso la flessione di nella propria consumazione. Nella propria frequentazione. Anche i discorsi di metodo sulla
significato (dunque di metodo e di visione) che il termine mediologia (discorso sui media) comunicazione avvengono in questo attrito tra corpi e parti di corpo. E se c’è una necessità
è in grado di assumere rispetto al termine sociologia (discorso sulla società). La ragione di di riconoscere questa trita natura delle cose del mondo essa riguarda anche, e in particolare,
questa scelta è tanto sostanziale da imporre non semplicemente una terminologia nuova, il luogo fisico (l’aula) o immateriale (i media) in cui il docente dovrebbe essere chiamato
più aggiornata, ma l’assunzione vera e propria di un paradigma diverso rispetto a quello – vocato – a tenere conto dell’esperienza comunicativa senza tempo e senza luogo in cui
su cui si sono fondate le discipline moderne. è immerso al pari dei suoi discenti. È di tale esperienza dal di dentro e dal di fuori della
Un salto di paradigma si rende urgente quando la crisi di un sistema di vita non può più propria pelle così come del proprio abitus che il discorso di chi prende parola – insieme,
essere risolta a partire dai contenuti del sistema stesso. Si arriva, cioè, ad un punto di ripeto, sulla comunicazione e nella comunicazione, questo il suo obbligo – può valere e cioè
catastrofe in cui non c’è contenuto in grado di trasformare un sistema dal suo interno, avere forza, acquisire un potere da spartire: essere tenuto da conto, contare. Tanto da essere
poiché a crollare è proprio la sua coesione più intima, interiore. Esso è allora destinato reputato come un agire comunicativo degno di essere tesorizzato, ripetuto di nuovo. Farsi
a disgregarsi, frantumarsi non più soltanto in periferia, sulle sue linee di frontiera, ma al reputazione.
proprio centro, al suo cuore. Ad opera di un contenuto in tutto discontinuo rispetto alla 3. Ritengo che si debba saltare il fosso, buttarsi al di là delle retoriche su marketing e
tradizione. Nuovo? Il termine nuovo è ambiguo, ostentativo e illudente, destinato dunque innovazione tecnologica, retoriche di cui sinceramente sarebbe bene sbarazzarsi al più
a morire con la modernità che lo ha inventato come dispositivo di potere. Meglio allora presto, avendo fatto di esse un uso ormai troppo autoreferenziale. Troppo disperato: alla
usare il termine “altro”, la cui ambiguità – che comunque c’è, e sempre dipende dalle cieca (sempre più sommersi, invece che alimentati, dalla trita sostanza in cui galleggiano i
necessità dei conflitti di potere – riguarda invece una questione diversa, più profonda, e regimi storici della società moderna). Sono dunque intenzionato a deludere chi qui si attenda
cioè il fatto che ogni innovazione tecnologica, ogni alterità umana socialmente costruita, da me un rapido approccio ai vari modi in cui la comunicazione (nonché le scienze della
ha sino ad oggi operato comunque in quanto forma di dominio antropocentrico sul comunicazione come pallido riflesso della sua viva esperienza) è servita, serve e servirà al
rimanente mondo. Di violenza. mercato e alla riproduzione di merci materiali e immateriali. Quindi, non solo al loisir e
Dunque, le cose stanno ora così: in ambito accademico e politico-culturale manca ogni al fitness ma all’intera gamma di gratificazioni psicosomatiche e culturali di cui la società
consapevolezza sulla necessità di mutare il paradigma con cui tali ambiti governano il moderna pre-dispone l’esistenza e la riproducibilità: dalle istituzioni pubbliche e dalle
proprio pensiero e le proprie azioni. Istituzioni del sapere e istituzioni della società: qui si imprese private ai beni storici, artistici e ambientali. La qual cosa non significa dire soltanto
annida la condivisa omertà che fa loro da reciproca copertura in questo attuale e più di ogni monumenti e paesaggi ma anche religioni, etiche e politiche, corpi e carne, desiderio e sesso.
altro clamoroso ciclo di crisi economico-politica. Quale la consapevolezza necessaria? Anche mode, felicità e paura. E infine: non solo oggetti ma anche soggetti. Cose dell’umano
Quale, se al necessario (ciò che deve essere perché una cosa si faccia cosa, esista davvero) va e dell’inumano. Dunque cose tutte essenziali alla nostra sopravvivenza antropologica,
ricondotto il doppio vincolo tra bisogno e desiderio su cui si fonda la volontà di potenza culturale. E per questo, è proprio dalla loro necessità – lo stato di necessità è quanto più
dell’essere umano? Ecco: nella storia moderna e post-moderna, cioè nello sviluppo dalla ci connette alla dimensione originaria dell’essere umano e al suo destino, quindi al suo
società industriale alla società post-industriale, i territori e le macchine – le tecnologie e presente – che deve partire un discorso teso a impostare il legame tra gli strumenti della
quindi anche le società e i corpi dell’essere umano, dei suoi tradizionali modi di abitare comunicazione e le strategie della loro produzione e riproduzione.
il mondo – hanno vissuto trasformazioni e innovazioni profondissime grazie ai processi
di smaterializzazione di ogni barriera spazio-temporale favoriti dallo sviluppo dei media. 4. Fare formazione nel campo dei media. Sembrerebbe la formula migliore da usare
In particolare la definita mediazione tra realtà e reale che si produce con la svolta delle in riferimento a corsi o master universitari dedicati alle teorie e pratiche dei media e alla
tecnologie digitali da Internet in poi. loro funzione sociale: etica e estetica, politica e economica. Eppure, in questa formula
apparentemente innocente c’è un grave difetto di pensiero mediologico. Presuppone, infatti,
2. Ora possiamo toccare alcuni punti in grado di funzionare da ispirazione per tutte le lezioni l’intenzione di volere separare spazialmente e temporalmente il luogo della formazione, il
a venire. Cominciamo da un “luogo comune”: niente di più trito e ritrito dei discorsi che si luogo spaziotemporale in cui si formano le specifiche competenze necessarie alle professioni
fanno – minuto per minuto e centimetro per centimetro – sulla comunicazione. Tuttavia, della comunicazione, dal luogo in cui tali competenze saranno chiamate ad operare. Il primo
attenzione: si può affermare l’esatto contrario di ciò che la frase appena detta sembra è un campo che potremmo chiamare istituzionale e sapienziale, il secondo è la vita quotidiana,
suggerire. Essa vorrebbe dire che nella vita quotidiana i linguaggi della comunicazione ciò che un mediologo chiama vita quotidiana in quanto territorio di relazioni che riguarda
sarebbero fatti oggetto di pensieri e giudizi banali? Oggetto di luoghi comuni che ritornano la realtà prodotta dalle strategie di potere e dai suoi conflitti tanto nelle sfere di pertinenza
sempre su se stessi e che dunque solo approcci più scientifici sarebbero in grado di superare sociale quanto in quelle dell’immaginario: sfere che, per essere davvero comprese, vanno
in virtù dei propri metodi? Oggetto, dunque, soltanto di un parlare emotivo, confuso in appunto considerate una espressione dell’altra.
una folla di rumori e di continue aliene presenze? Così si tende a credere, assoggettati dal Sino ad oggi, il paradigma sapienziale dei moderni ha insistito sul dividere i contenuti dagli
fascino che le credenze esercitano sul linguaggio. Ma esattamente la stessa frase, rovesciando strumenti: le tradizioni dell’umanesimo dalle “tecnicalità” delle professioni. Il contenuto
in positivo la sua lettura convenzionale e negativa, può dirci anche il contrario. dal medium. Questa è la divisione da abbattere, in quanto è la stessa distanza spaziale e
Basta cominciare a valutare diversamente il significato di un aggettivo come “trito” e temporale che, confidando nella placenta umanistica che ne garantirebbe la congruenza
rovesciare l’idea che l’atto di dire qualcosa “sulla” comunicazione possa avere un significato reciproca, divide i luoghi della formazione – scolastici e universitari, sia privati che
realmente distinto e distintivo dall’atto in se stesso del comunicare qualcosa, del metterla in pubblici, in quanto uniformati ad un unico modello – dai luoghi del lavoro professionale.
comune, dunque dell’appropriarsi delle forme di comunicazione così tanto da trovare una Lo scenario contemporaneo ci mostra una caduta verticale della reputazione dei ceti dirigenti
rassicurazione nella loro astrazione. E che dunque sia possibile privarle della loro infinita sia sul versante della ricerca e della formazione sia su quello delle forme di organizzazione
fluidità e praticare in esse una effettiva presa di distanza tra il soggetto che parla e l’oggetto sociale: stato e imprese. Che vuole dire intellettuali, politici, amministratori, professionisti,
parlato. In altre parole suggerisco qui la tesi non poco scandalosa per cui il punto di vista imprenditori, manager e artisti. Questa caduta di reputazione rivela l’estinguersi di ogni
e gli scopi di ogni atto comunicativo non possono liberarsi della trita sostanza grazie alla capacità di metabolizzazione culturale della complessità del mondo contemporaneo.
quale si riesce a comunicare assai più che esserne impediti. Siamo un immane accumulo di Un impoverimento progressivo di capacità di simbolizzazione che siano all’altezza
frammenti di esperienza quotidiana delle cose del mondo e dei nostri sensi: frammenti di della complessità dei conflitti di potere. Si è aperto un baratro tra i saperi istituzionali e
“altro” senza i quali abiteremmo il vuoto. l’immaginario dei consumi, dei suoi mercati, delle sue relazioni centrifughe (sempre più
Trito deriva infatti da tritare, sfregare. E rimanda a consumare: qualcosa che si disgrega e favorite e alimentate dal carattere personale e interattivo dei linguaggi digitali). Si tratta
fa polvere come il fuoco fa cenere, depositando in essa la sua scintilla. E attendendo che tuttavia di un insieme di rappresentazioni del mondo in cui la tradizione occidentale
si riaccenda. Trito viene dalla radice tar- ovvero da muovere e rimanda a trans- cioè un celebra la propria dissoluzione, senza tuttavia uscire da se stessa, senza dunque potere
muovere in qua e in là. Un consumo che non ha mai fine perché insiste, consiste in se stesso, esprimere una nuova soggettività per quanto sia eccezionalmente sensibile all’oggettività

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dei processi di catastrofe che la stanno disgregando. Ad un immaginario sempre più alieno. ceti egemoni – non si rendano conto di questa caduta? Di questa fine del proprio impero?
E allora? Questo scenario dimostra una cosa soltanto e cioè che, a non potere più funzionare,
6. Il comunicatore è chiamato a valorizzare ciò che comunica. Per dare reputazione al
sono le basi umanistiche su cui sino ad oggi sono state formate le classi dirigenti. Messa così
prodotto che comunica deve essere dotato di reputazione. Ma reputazione non significa
la questione, forse è più facile accettare l’idea che ho prima espresso riguardo all’urgenza
immagine: le immagini possono contribuire a crearla, anzi a questo fine strumentale
di imprimere una svolta radicale ai modi di formare nel campo dei beni culturali (che altro
(tecnologico) sono essenziali, ma esse non bastano a trasformarsi in reputazione. Per
se non giacimenti storici dell’umanesimo?). E rifiutarsi di continuare a stare al gioco delle
quanto avere una immagine, disporre di un abito, abbia a che vedere con la possibilità
parti che continua a legare tra loro gli interessi di sopravvivenza dei vecchi regimi del
di valorizzare e fare percepire un individuo o un apparato o una marca, va ricordato che
sapere e gli interessi sociali espressi dai vecchi modelli di organizzazione delle istituzioni
la percezione è sempre un rispecchiamento reciproco, una relazione asimmetrica, forse,
e del mercato.
ma comunque una relazione. Dunque la reputazione pretende qualcosa che non riguarda
L’umanesimo definisce una tradizione socioculturale che – passando dal mondo antico
soltanto il farsi vedere e l’essere visti, ma riguarda – e sempre di continuo ri-guarda, torna
a quello dei moderni: civiltà greco-romana, civiltà giudaico-cristiana, rinascimento, a guardare, toccare, investire – il sentire, la sua estensione e intensità di campo. Quindi
illuminismo, romanticismo, nazionalismo, cosmopolitismo, infine mondializzazione uno spazio relazionale fondato sulla fiducia e sulla partecipazione dei suoi attori reali e
capitalista, globalizzazione tecnologica e finanziaria – ha costruito un modello di dominio immaginari. Insieme reali e immaginari.
dell’essere umano fondato sullo spirito religioso e sulla sua capacità di farsi stato e Prima di parlare di reputazione, si devono valutare le condizioni dei dispositivi culturali,
ideologia della società civile grazie alla durata e all’intensità di straordinari processi di socio-antropologici e simbolici, che in un determinato ambiente – nella cerchia degli
mondanizzazione e modernizzazione della vita quotidiana. E da questo quadro di valori affetti familiari e amicali, dei gruppi sociali e della loro vita quotidiana, locale, nazionale
che si deve partire. Come vedete si tratta di ragionare su tutto ciò che dovrà essere e globale – sono ancora in grado di funzionare, agire, fare pratica del mondo. Andare nel
comunque materia di formazione per chi debba curare la comunicazione d’impresa, di senso della fiducia che serve allo scopo. Qui c’è di mezzo proprio il rapporto politico tra
una impresa pubblica e privata quali siano i suoi prodotti. E tanto più se culturali. Ma è il servo e padrone, la doppiezza enigmatica, originaria, del potere, del dominio. La fiducia
modo in cui ragionare che va cambiato. Prima di arrivare alle tecnicalità di una professione è un artefatto emotivo che serve a condividere, mettere in comune, valori e aspettative
qualsiasi, si devono inventare contenuti che non siano quelli di sistemi sociali destinati a individuali e collettive.
dissolversi. Si devono formare quadri intellettuali non riformisti, in grado di recuperare la Come tentare di avere una buona reputazione nel presente catastrofico che ci troviamo
reputazione sociale che il riformismo politico ha perduto. ad abitare? Iniziare con la consapevolezza che avere reputazione significa acquisire una
5. Prima di concludere sul cuore del discorso da seguire nelle lezioni a venire, proviamo a qualità tutta particolare, frutto di un continuo processo di negoziazione e rinegoziazione.
enunciare uno schema di ragionamento mediologico. Partiamo dalla splendida citazione Questo patrimonio di certo non si conquista per mezzo di un solo evento – adatto
in esergo a questo mio testo e in cui Schopenhauer (Parerga e paralipomeni, 1851) parla semmai a produrre miti e aureole ma non un processo, non la garanzia di una disponibilità
della lettura come si trattasse di una territorializzazione alla quale chi legge ha l’obbligo incondizionata, di una apertura all’altro che vi si voglia e possa intrattenere. Un evento
di attenersi. Non c’è bisogno di commentarne i contenuti, qui il filosofo è chiarissimo è adatto semmai a produrre potere ma non potenza. Una catena di eventi non è di per sé
(semmai ridimensiona, anticipandola di un secolo, la genialità delle tesi di McLuhan sui dinamica: a creare una reputazione è ciò che riempie i vuoti tra un evento e l’altro. È in
regimi alfabetici come essenza della modernità, delle sue costrizioni). Anzi, per dimostrare questi vuoti, in questo vuoto, che la vita quotidiana continua a sopravvivere. Mentre invece
quanto sia durata nel tempo la possibilità di intendere la lettura in uno stesso modo, la comunicazione pubblicitaria in senso stretto e allargato, quindi anche la comunicazione
leggiamo insieme anche un testo che, firmato da Guido Schittone, circola sulla rete con politica, sociale e di impresa, sembrano sempre più spesso decise a oscurare il vuoto di
altrettanta chiarezza ma, per il fatto di collocarsi nella civiltà dell’immagine, con qualche senso in cui la modernità si sta rivelando – a censurare la sua domanda di altro – invece di
complessità in più da capire: correre il rischio di farne esperienza sino in fondo. Sempre più decisa a coprire e mascherare
“Altra domanda: si legge per vedersi? Tutti parlano dei perché si scrive – che è una cazzata, i propri contenuti piuttosto che farli tacere, cadere nel loro stesso silenzio.
piuttosto in alcuni casi sarebbe meglio chiedere perché ti pubblicano – ma in pochi si 7. Quale è allora la sponda da cui partire per operare questo immane naufragio
chiedono perché si legge. Nel processo di identificazione tra osservante e immagine esiste dell’umanesimo? Riconoscere quelle forme di pensiero del dolore della vita umana –
appunto una dinamica visiva che aiuta. La fascinazione fa il resto. E poi non è detto: dunque non le retoriche di un soggetto moderno sicuro della salvezza che dio o lo stato
nel momento in cui accetto la mia parte di voyeur scopico, sono altro rispetto alla storia, possono garantirgli – che sono state elaborate dal pensiero negativo della cultura europea:
rispetto al personaggio. Mi pongo comunque con uno spirito critico di fronte al rotolarsi da Schopenhauer, appunto, a Nietzsche e a intellettuali come Bataille, una linea di pensiero
della pellicola. Sono un terzo e posso quindi non vivere in prima persona la storia anche se che il sapere e l’agire politico non hanno mai fatto propria in quanto allo spirito religioso
ne resto totalmente coinvolto. Nel libro, invece, non mi accade: è come se io mi incollassi del progresso avevano contrapposto i mondi inesprimibili del sacro. Alla luce della civiltà
alle pagine, è come se il mio corpo fosse dentro, si trasformasse in carattere tipografico, fosse il buio della sua origine primordiale. Alcune espressioni dell’arte hanno lavorato su
esso stesso riga, partecipasse. Il mistero della lettura è di gran lunga affascinante. Sai già questo nel primo novecento; ora sono le stesse esperienze di consumo. Quelle dal vivo
cosa leggerai. Sai già cosa vivrai, sai già cosa ti capiterà”. della catastrofe umana e non quelle pre-ordinate dalla comunicazione del marketing e dal
Ecco tracciato lo sviluppo dell’industria culturale e dei media, dalla prima Grande marketing della comunicazione. Mi si permetta a questo punto di concludere con le stesse
Esposizione Universale a Londra ai territori di Internet: dalla metà dell’Ottocento – parole che ho usato in Il crepuscolo dei barbari (2011), un mio recente saggio sul conflitto
quando la metropoli si compie e inizia a generare le forme centripete dello spettacolo, terminale tra civilizzazione e violenza umana, volontà di potenza dei rapporti sociali:
della messa in scena dal vivo, dei luoghi (vetrine, passages, grandi magazzini) deputati alla “Per quanti temano questo scenario e lo ritengano il segno della definitiva capitolazione
seduzione delle merci da consumare, e insieme genera le forme centrifughe della fotografia di qualsiasi intervento politico sulla realtà che, nel bene e nel male, tuttavia ci riguarda,
e poi dello schermo – alla attuale società delle reti. Ecco spiegato il dominio della scrittura penso possa valere l’ipotesi di un agire sociale finalmente consapevole della marginalità
sull’immagine praticato dai dispositivi della sceneggiatura cinematografica. Ma anche la del proprio tempo e dei propri luoghi, spinto in virtù di tale consapevolezza ad avere cura
potenza delle immagini sui corpi della vita sociale, pubblica e privata, che tanto ha contato almeno del proprio declino e a farsene carico nel modo migliore possibile. Ovvero con la
nei processi di modernizzazione: dal Liberty al design. Ma queste fantasmagorie – compiute pietà che merita ogni situazione di morte e di dolore. Sempre meglio riuscire a eseguire
nell’arco di più di due secoli – si stanno ormai svuotando di significato politico cioè di dignitosamente il requiem della propria civiltà piuttosto che pretendere di guarirla
contenuti di governo quanto più si stanno arricchendo dei linguaggi digitale, della loro riaffermando l’assurdità dei suoi valori e delle sue pratiche”.
straordinaria capacità di virtualizzazione della realtà. E dunque di de- realizzazione delle
identità sociali e dei valori della storia. Possibile che i sistemi della politica e dell’impresa
– anche a volere pensare al loro più mero interesse, alla loro semplice sopravvivenza di

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dei processi di catastrofe che la stanno disgregando. Ad un immaginario sempre più alieno. ceti egemoni – non si rendano conto di questa caduta? Di questa fine del proprio impero?
E allora? Questo scenario dimostra una cosa soltanto e cioè che, a non potere più funzionare,
6. Il comunicatore è chiamato a valorizzare ciò che comunica. Per dare reputazione al
sono le basi umanistiche su cui sino ad oggi sono state formate le classi dirigenti. Messa così
prodotto che comunica deve essere dotato di reputazione. Ma reputazione non significa
la questione, forse è più facile accettare l’idea che ho prima espresso riguardo all’urgenza
immagine: le immagini possono contribuire a crearla, anzi a questo fine strumentale
di imprimere una svolta radicale ai modi di formare nel campo dei beni culturali (che altro
(tecnologico) sono essenziali, ma esse non bastano a trasformarsi in reputazione. Per
se non giacimenti storici dell’umanesimo?). E rifiutarsi di continuare a stare al gioco delle
quanto avere una immagine, disporre di un abito, abbia a che vedere con la possibilità
parti che continua a legare tra loro gli interessi di sopravvivenza dei vecchi regimi del
di valorizzare e fare percepire un individuo o un apparato o una marca, va ricordato che
sapere e gli interessi sociali espressi dai vecchi modelli di organizzazione delle istituzioni
la percezione è sempre un rispecchiamento reciproco, una relazione asimmetrica, forse,
e del mercato.
ma comunque una relazione. Dunque la reputazione pretende qualcosa che non riguarda
L’umanesimo definisce una tradizione socioculturale che – passando dal mondo antico
soltanto il farsi vedere e l’essere visti, ma riguarda – e sempre di continuo ri-guarda, torna
a quello dei moderni: civiltà greco-romana, civiltà giudaico-cristiana, rinascimento, a guardare, toccare, investire – il sentire, la sua estensione e intensità di campo. Quindi
illuminismo, romanticismo, nazionalismo, cosmopolitismo, infine mondializzazione uno spazio relazionale fondato sulla fiducia e sulla partecipazione dei suoi attori reali e
capitalista, globalizzazione tecnologica e finanziaria – ha costruito un modello di dominio immaginari. Insieme reali e immaginari.
dell’essere umano fondato sullo spirito religioso e sulla sua capacità di farsi stato e Prima di parlare di reputazione, si devono valutare le condizioni dei dispositivi culturali,
ideologia della società civile grazie alla durata e all’intensità di straordinari processi di socio-antropologici e simbolici, che in un determinato ambiente – nella cerchia degli
mondanizzazione e modernizzazione della vita quotidiana. E da questo quadro di valori affetti familiari e amicali, dei gruppi sociali e della loro vita quotidiana, locale, nazionale
che si deve partire. Come vedete si tratta di ragionare su tutto ciò che dovrà essere e globale – sono ancora in grado di funzionare, agire, fare pratica del mondo. Andare nel
comunque materia di formazione per chi debba curare la comunicazione d’impresa, di senso della fiducia che serve allo scopo. Qui c’è di mezzo proprio il rapporto politico tra
una impresa pubblica e privata quali siano i suoi prodotti. E tanto più se culturali. Ma è il servo e padrone, la doppiezza enigmatica, originaria, del potere, del dominio. La fiducia
modo in cui ragionare che va cambiato. Prima di arrivare alle tecnicalità di una professione è un artefatto emotivo che serve a condividere, mettere in comune, valori e aspettative
qualsiasi, si devono inventare contenuti che non siano quelli di sistemi sociali destinati a individuali e collettive.
dissolversi. Si devono formare quadri intellettuali non riformisti, in grado di recuperare la Come tentare di avere una buona reputazione nel presente catastrofico che ci troviamo
reputazione sociale che il riformismo politico ha perduto. ad abitare? Iniziare con la consapevolezza che avere reputazione significa acquisire una
5. Prima di concludere sul cuore del discorso da seguire nelle lezioni a venire, proviamo a qualità tutta particolare, frutto di un continuo processo di negoziazione e rinegoziazione.
enunciare uno schema di ragionamento mediologico. Partiamo dalla splendida citazione Questo patrimonio di certo non si conquista per mezzo di un solo evento – adatto
in esergo a questo mio testo e in cui Schopenhauer (Parerga e paralipomeni, 1851) parla semmai a produrre miti e aureole ma non un processo, non la garanzia di una disponibilità
della lettura come si trattasse di una territorializzazione alla quale chi legge ha l’obbligo incondizionata, di una apertura all’altro che vi si voglia e possa intrattenere. Un evento
di attenersi. Non c’è bisogno di commentarne i contenuti, qui il filosofo è chiarissimo è adatto semmai a produrre potere ma non potenza. Una catena di eventi non è di per sé
(semmai ridimensiona, anticipandola di un secolo, la genialità delle tesi di McLuhan sui dinamica: a creare una reputazione è ciò che riempie i vuoti tra un evento e l’altro. È in
regimi alfabetici come essenza della modernità, delle sue costrizioni). Anzi, per dimostrare questi vuoti, in questo vuoto, che la vita quotidiana continua a sopravvivere. Mentre invece
quanto sia durata nel tempo la possibilità di intendere la lettura in uno stesso modo, la comunicazione pubblicitaria in senso stretto e allargato, quindi anche la comunicazione
leggiamo insieme anche un testo che, firmato da Guido Schittone, circola sulla rete con politica, sociale e di impresa, sembrano sempre più spesso decise a oscurare il vuoto di
altrettanta chiarezza ma, per il fatto di collocarsi nella civiltà dell’immagine, con qualche senso in cui la modernità si sta rivelando – a censurare la sua domanda di altro – invece di
complessità in più da capire: correre il rischio di farne esperienza sino in fondo. Sempre più decisa a coprire e mascherare
“Altra domanda: si legge per vedersi? Tutti parlano dei perché si scrive – che è una cazzata, i propri contenuti piuttosto che farli tacere, cadere nel loro stesso silenzio.
piuttosto in alcuni casi sarebbe meglio chiedere perché ti pubblicano – ma in pochi si 7. Quale è allora la sponda da cui partire per operare questo immane naufragio
chiedono perché si legge. Nel processo di identificazione tra osservante e immagine esiste dell’umanesimo? Riconoscere quelle forme di pensiero del dolore della vita umana –
appunto una dinamica visiva che aiuta. La fascinazione fa il resto. E poi non è detto: dunque non le retoriche di un soggetto moderno sicuro della salvezza che dio o lo stato
nel momento in cui accetto la mia parte di voyeur scopico, sono altro rispetto alla storia, possono garantirgli – che sono state elaborate dal pensiero negativo della cultura europea:
rispetto al personaggio. Mi pongo comunque con uno spirito critico di fronte al rotolarsi da Schopenhauer, appunto, a Nietzsche e a intellettuali come Bataille, una linea di pensiero
della pellicola. Sono un terzo e posso quindi non vivere in prima persona la storia anche se che il sapere e l’agire politico non hanno mai fatto propria in quanto allo spirito religioso
ne resto totalmente coinvolto. Nel libro, invece, non mi accade: è come se io mi incollassi del progresso avevano contrapposto i mondi inesprimibili del sacro. Alla luce della civiltà
alle pagine, è come se il mio corpo fosse dentro, si trasformasse in carattere tipografico, fosse il buio della sua origine primordiale. Alcune espressioni dell’arte hanno lavorato su
esso stesso riga, partecipasse. Il mistero della lettura è di gran lunga affascinante. Sai già questo nel primo novecento; ora sono le stesse esperienze di consumo. Quelle dal vivo
cosa leggerai. Sai già cosa vivrai, sai già cosa ti capiterà”. della catastrofe umana e non quelle pre-ordinate dalla comunicazione del marketing e dal
Ecco tracciato lo sviluppo dell’industria culturale e dei media, dalla prima Grande marketing della comunicazione. Mi si permetta a questo punto di concludere con le stesse
Esposizione Universale a Londra ai territori di Internet: dalla metà dell’Ottocento – parole che ho usato in Il crepuscolo dei barbari (2011), un mio recente saggio sul conflitto
quando la metropoli si compie e inizia a generare le forme centripete dello spettacolo, terminale tra civilizzazione e violenza umana, volontà di potenza dei rapporti sociali:
della messa in scena dal vivo, dei luoghi (vetrine, passages, grandi magazzini) deputati alla “Per quanti temano questo scenario e lo ritengano il segno della definitiva capitolazione
seduzione delle merci da consumare, e insieme genera le forme centrifughe della fotografia di qualsiasi intervento politico sulla realtà che, nel bene e nel male, tuttavia ci riguarda,
e poi dello schermo – alla attuale società delle reti. Ecco spiegato il dominio della scrittura penso possa valere l’ipotesi di un agire sociale finalmente consapevole della marginalità
sull’immagine praticato dai dispositivi della sceneggiatura cinematografica. Ma anche la del proprio tempo e dei propri luoghi, spinto in virtù di tale consapevolezza ad avere cura
potenza delle immagini sui corpi della vita sociale, pubblica e privata, che tanto ha contato almeno del proprio declino e a farsene carico nel modo migliore possibile. Ovvero con la
nei processi di modernizzazione: dal Liberty al design. Ma queste fantasmagorie – compiute pietà che merita ogni situazione di morte e di dolore. Sempre meglio riuscire a eseguire
nell’arco di più di due secoli – si stanno ormai svuotando di significato politico cioè di dignitosamente il requiem della propria civiltà piuttosto che pretendere di guarirla
contenuti di governo quanto più si stanno arricchendo dei linguaggi digitale, della loro riaffermando l’assurdità dei suoi valori e delle sue pratiche”.
straordinaria capacità di virtualizzazione della realtà. E dunque di de- realizzazione delle
identità sociali e dei valori della storia. Possibile che i sistemi della politica e dell’impresa
– anche a volere pensare al loro più mero interesse, alla loro semplice sopravvivenza di

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selezione prenatale alla selezione dei cibi che si buttano e quelli che si mangiano) sulla base
La cultura dello scarto di un utilitarismo debole perché basato su quello che vedo qui e ora; cioè sulla paura di
guardare oltre e di pensare oltre. Dovremmo perciò piuttosto chiamarla cultura del rifiuto,
perché il rifiuto viene un momento prima dello scarto; lo scarto agisce dopo l’esperienza,
Carlo Valerio Bellieni mentre il rifiuto nemmeno accetta l’esperienza, è il simbolo del pregiudizio, della paura. E il
pensiero moderno è basato sulla paura. Paura della disabilità, paura cosmica del terrorismo,
paura delle catastrofi o catastrofismo, paura dei propri difetti che ci si ingegna in tutti i modi
a nascondere, paura di invecchiare e di essere fuori moda.
E si mostra con costruzioni che non hanno futuro, con chiese orrende, con case e scuole fatte
La cultura dello scarto si articola in due fasi. Una che in quello che non sa utilizzare vede per contenere e non per far vivere.
solo scarto e un’altra che nello scarto vede una possibilità di uso.
Lo scarto nasce dalla perdita di contatto
A. Lo scarto l’abbiamo inventato noi
“Le mie mani cosa sono? La distanza infinita che mi separa dall’altro” scriveva Sarte. E da
C’è un primo tipo di cultura dello scarto: quella che sostiene che esiste qualcosa che non allora, dalla nascita di una cultura oculocentrica si è andato perdendo una cultura basata
serve. Lo spreco diventa allora quotidiano, e ci si deve opporre con forza ad un uso che sul contatto. Non si stringono più mani né si danno baci; gli strumenti fatti per avvicinare
nella pratica grida vendetta. E fa bene a farci sapere che gli sprechi sono evitabili perché per (telefono, cellulari, automobili…) in realtà allontanano. La vita è sempre più solitaria, e si
noi oggi lo spreco è la prassi! Una delle poche analisi disponibili a livello globale è quella crea su misura un mondo virtuale da godere in solitudine. Perché la realtà non interessa,
realizzata nel 2011 dalla Fao che stima uno spreco mondiale annuale di circa 1,3 miliardi o perché fa paura e soprattutto non interessa compartire o condividere un giudizio: il
di tonnellate (!), pari a circa un terzo della produzione totale di cibo destinato al consumo soggettivismo prevale e l’autodeterminazione è somma legge. E l’arte diventa soggettivismo,
umano: in media, solo il 43% dei prodotti coltivati a scopo alimentare viene effettivamente difficile da compartire con chi si sta vicino perché si pensa che la mia e la tua libertà non
consumato. A livello europeo la quantità di cibo che viene sprecato ogni anno ammonta a 89 possano mai coincidere (“la libertà è quella che finisce dove inizia quella altrui”). Perché
milioni di tonnellate, ovvero a 180 kg pro capite. Ma simbolo estremo è il crescere dei depositi l’altro, dopo decenni di critica consumistica e di pubblicità consumistica è diventato un
di spazzatura, di discariche legali ed abusive, tanto che non si sa più dove infilare i rifiuti. distante inarrivabile. E è facile far sparire l’altro, se dell’altro si ha solo una rappresentazione
Ma dove erano le discariche alla metà del secolo scorso? Perché è ovvio… da qualche parte visiva o mediatica; più difficile è farlo sparire (e far i conti con la realtà) se l’altro ti sfiora,
i rifiuti dovevano buttarli, non potevano restare monti di cartacce, di spazzatura bruciante è annusabile, “mangiabile”, fragile, capriccioso, imperfetto, fastidioso, buono. E si ricorre
e fumosa, di plastiche malfamate! A meno che… già, a meno che i rifiuti non ci fossero al oculocentrismo per evitare di compromettersi; per poter far sparire (scartare) quello che
proprio. Come è possibile? Già: nell’epoca in cui il mercato non la faceva da padrone e la non ci va, cioè il reale. Tanto che svanisce la solidarietà, e per sostenere la società civile la
gente comprava la roba perché gli serviva e non perché indotta dalla pubblicità o dall’ansia rimpiazzano al massimo una serie di contratti. Il medico diventa il fornitore di un servizio;
amara di ostentare più del vicino di casa, la roba non diventava un rifiuto, si riusava. Non così come l’artista; e il paziente o la persona diventano “utenza” dell’arte. Perché l’altro è
c’era da inventare scariche, discariche, riciclaggi, impianti vari: la sedia rotta si aggiustava e un distante inarrivabile e incomunicabile, qualcosa da cui difendersi e da far sparire quando
quando non si poteva aggiustare più ci si faceva il fuoco. Eccetera. Poi è successo qualcosa non serve o quando mette a rischio il nostro orizzonte. Uno scarto. E anche l’arte solida,
e sono nati i rifiuti, come un asteroide caduto sulla terra, come un’invasione di marziani, non solo estetica, fa paura. Infatti fiorisce l’arte “fruibile”, cioè un prodotto da usare e
come una mutazione genetica dovuta allo scoppio di una centrale termonucleare: è successo gettare, come una lattina di birra. E anche la costruzione “debole” fiorisce: quanto dura nel
improvvisamente qualcosa. Dal nulla è nata la spazzatura, l’immondizia, la “monnezza”, i tempo una casa costruita oggi? Quanto più l’arte diventa usa-e-getta, quanto più il rispetto
rifiuti, lo scarto… li abbiamo inventati noi, la nostra generazione ha moltiplicato quello che del patrimonio artistico si basa solo sul ritorno economico che determina, tanto più viene
avevano fatto mamma e papà, e che i nonni non conoscevano: inventare un prodotto prima approvata un’arte oculocentrica, scartabile; ben distante dalla solidità delle costruzioni e dei
ignoto. Il rifiuto. dipinti di chi sa costruire davvero.

Lo scarto dei rifiuti umani B. Dallo scarto, la rinascita


A lato dei rifiuti urbani, nasce il concetto di rifiuti umani, cioè tutte quelle periferie La maniera positiva di sopravvivere allo scarto è quella in cui c’è chi tenta di ricollocare
esistenziali che non sono previste dalla società, che la società non sa o non può o non vuole quello che si è scartato. è la cultura del riciclo o del riutilizzo. Riciclare è un termine zoppo
integrare. Dalle folle degli immigrati al bambino disabile. Dall’embrione “sovra numerario” se non si associa ad altre tre parole che iniziano con la “R”: ridurre, riusare, recuperare.
al demente. E l’integrazione sembra meno facile di quanto ci si aspettasse forse perché Ridurre significa smettere di produrre roba inutile, cianfrusaglie che oggi compro e domani
la società postmoderna che non basa più le sue regole su una razionalità modernista, ma o stasera finiscono nella spazzatura. Riusare indica che possiamo usufruire delle cose anche
sull’estetica (cioè sulla percezione limitata al senso della visione e non ad altro, con i problemi al di là del nostro uso personale, comprando e vendendo l’usato, ingegnandoci a capire se
che vedremo più avanti), sa integrare solo quello che vede utile, in una visione limitante del una piccola pecca davvero e immancabilmente ci obbliga a buttare via tutto un complicato
concetto di utilità che – per forza di cose le si rivolgerà contro perché chi non sa guardare marchingegno costato soldi e fatica. Recuperare vuol dire che dobbiamo imparare a riparare
con la prospettiva secolare il futuro non può azzardarsi a proporre cosa sia bene o male per e a pretendere che chi ci vende la roba ce la venda riparabile, cioè che non avvenga che
la società. Tanto che arriva a lasciar che molti filosofi tolgano il titolo di “persona” a chi non appena si rompe una cerniera si debba buttare tutta la valigia, che appena si rovina la batteria
sa autodeterminarsi, a chi non ha un livello accettabile (da chi?) di autocoscienza. si debba buttare il telefonino.
E anche a livello “animalista” notiamo la discriminazione basata sulla specie dell’animale: Ma c’è una maniera somma di vincere lo scarto: avere coscienza che lo scarto non esiste, che
lo “specismo”; per cui si salvaguarda l’animale non per salvaguardare la natura, ma perché nulla è scarto, che in natura, “omnis creatura bona”, che è un prinicpio evangelico (dopo la
l’animale “appare bello”. E si tutela il cucciolo di foca perché ha gli occhioni e non il maiale moltiplicazione dei pani e pesci Cristo ordinò di raccogliere gli avanzi perché anche quelli
perché è sporco; si tutela lo scimpanzé perché appare simile all’uomo e si scarta il pipistrello avevano un valore e un significato), e un principio sociale di sostenibilità: “qual è l’orologio
perché “fa paura”. più sostenibile?” chiedeva Enzo Tiezzi; e si rispondeva: “quello che già possiedo!”

Lo scarto nasce dalla paura Dallo scarto nasce provocatoria l’arte


La cultura dello scarto nasce dalla paura, da una vaga idea di sé che non sa orientarsi nel Ma anche nell’arte la provocazione di mostrare come il riciclare può diventare costruttivo
tempo e nello spazio e che crea un’arte debole e un pensiero debole. E seleziona (dalla è ben presente. Per Junk Art (in italiano: arte spazzatura) si intende una forma d’arte

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selezione prenatale alla selezione dei cibi che si buttano e quelli che si mangiano) sulla base
La cultura dello scarto di un utilitarismo debole perché basato su quello che vedo qui e ora; cioè sulla paura di
guardare oltre e di pensare oltre. Dovremmo perciò piuttosto chiamarla cultura del rifiuto,
perché il rifiuto viene un momento prima dello scarto; lo scarto agisce dopo l’esperienza,
Carlo Valerio Bellieni mentre il rifiuto nemmeno accetta l’esperienza, è il simbolo del pregiudizio, della paura. E il
pensiero moderno è basato sulla paura. Paura della disabilità, paura cosmica del terrorismo,
paura delle catastrofi o catastrofismo, paura dei propri difetti che ci si ingegna in tutti i modi
a nascondere, paura di invecchiare e di essere fuori moda.
E si mostra con costruzioni che non hanno futuro, con chiese orrende, con case e scuole fatte
La cultura dello scarto si articola in due fasi. Una che in quello che non sa utilizzare vede per contenere e non per far vivere.
solo scarto e un’altra che nello scarto vede una possibilità di uso.
Lo scarto nasce dalla perdita di contatto
A. Lo scarto l’abbiamo inventato noi
“Le mie mani cosa sono? La distanza infinita che mi separa dall’altro” scriveva Sarte. E da
C’è un primo tipo di cultura dello scarto: quella che sostiene che esiste qualcosa che non allora, dalla nascita di una cultura oculocentrica si è andato perdendo una cultura basata
serve. Lo spreco diventa allora quotidiano, e ci si deve opporre con forza ad un uso che sul contatto. Non si stringono più mani né si danno baci; gli strumenti fatti per avvicinare
nella pratica grida vendetta. E fa bene a farci sapere che gli sprechi sono evitabili perché per (telefono, cellulari, automobili…) in realtà allontanano. La vita è sempre più solitaria, e si
noi oggi lo spreco è la prassi! Una delle poche analisi disponibili a livello globale è quella crea su misura un mondo virtuale da godere in solitudine. Perché la realtà non interessa,
realizzata nel 2011 dalla Fao che stima uno spreco mondiale annuale di circa 1,3 miliardi o perché fa paura e soprattutto non interessa compartire o condividere un giudizio: il
di tonnellate (!), pari a circa un terzo della produzione totale di cibo destinato al consumo soggettivismo prevale e l’autodeterminazione è somma legge. E l’arte diventa soggettivismo,
umano: in media, solo il 43% dei prodotti coltivati a scopo alimentare viene effettivamente difficile da compartire con chi si sta vicino perché si pensa che la mia e la tua libertà non
consumato. A livello europeo la quantità di cibo che viene sprecato ogni anno ammonta a 89 possano mai coincidere (“la libertà è quella che finisce dove inizia quella altrui”). Perché
milioni di tonnellate, ovvero a 180 kg pro capite. Ma simbolo estremo è il crescere dei depositi l’altro, dopo decenni di critica consumistica e di pubblicità consumistica è diventato un
di spazzatura, di discariche legali ed abusive, tanto che non si sa più dove infilare i rifiuti. distante inarrivabile. E è facile far sparire l’altro, se dell’altro si ha solo una rappresentazione
Ma dove erano le discariche alla metà del secolo scorso? Perché è ovvio… da qualche parte visiva o mediatica; più difficile è farlo sparire (e far i conti con la realtà) se l’altro ti sfiora,
i rifiuti dovevano buttarli, non potevano restare monti di cartacce, di spazzatura bruciante è annusabile, “mangiabile”, fragile, capriccioso, imperfetto, fastidioso, buono. E si ricorre
e fumosa, di plastiche malfamate! A meno che… già, a meno che i rifiuti non ci fossero al oculocentrismo per evitare di compromettersi; per poter far sparire (scartare) quello che
proprio. Come è possibile? Già: nell’epoca in cui il mercato non la faceva da padrone e la non ci va, cioè il reale. Tanto che svanisce la solidarietà, e per sostenere la società civile la
gente comprava la roba perché gli serviva e non perché indotta dalla pubblicità o dall’ansia rimpiazzano al massimo una serie di contratti. Il medico diventa il fornitore di un servizio;
amara di ostentare più del vicino di casa, la roba non diventava un rifiuto, si riusava. Non così come l’artista; e il paziente o la persona diventano “utenza” dell’arte. Perché l’altro è
c’era da inventare scariche, discariche, riciclaggi, impianti vari: la sedia rotta si aggiustava e un distante inarrivabile e incomunicabile, qualcosa da cui difendersi e da far sparire quando
quando non si poteva aggiustare più ci si faceva il fuoco. Eccetera. Poi è successo qualcosa non serve o quando mette a rischio il nostro orizzonte. Uno scarto. E anche l’arte solida,
e sono nati i rifiuti, come un asteroide caduto sulla terra, come un’invasione di marziani, non solo estetica, fa paura. Infatti fiorisce l’arte “fruibile”, cioè un prodotto da usare e
come una mutazione genetica dovuta allo scoppio di una centrale termonucleare: è successo gettare, come una lattina di birra. E anche la costruzione “debole” fiorisce: quanto dura nel
improvvisamente qualcosa. Dal nulla è nata la spazzatura, l’immondizia, la “monnezza”, i tempo una casa costruita oggi? Quanto più l’arte diventa usa-e-getta, quanto più il rispetto
rifiuti, lo scarto… li abbiamo inventati noi, la nostra generazione ha moltiplicato quello che del patrimonio artistico si basa solo sul ritorno economico che determina, tanto più viene
avevano fatto mamma e papà, e che i nonni non conoscevano: inventare un prodotto prima approvata un’arte oculocentrica, scartabile; ben distante dalla solidità delle costruzioni e dei
ignoto. Il rifiuto. dipinti di chi sa costruire davvero.

Lo scarto dei rifiuti umani B. Dallo scarto, la rinascita


A lato dei rifiuti urbani, nasce il concetto di rifiuti umani, cioè tutte quelle periferie La maniera positiva di sopravvivere allo scarto è quella in cui c’è chi tenta di ricollocare
esistenziali che non sono previste dalla società, che la società non sa o non può o non vuole quello che si è scartato. è la cultura del riciclo o del riutilizzo. Riciclare è un termine zoppo
integrare. Dalle folle degli immigrati al bambino disabile. Dall’embrione “sovra numerario” se non si associa ad altre tre parole che iniziano con la “R”: ridurre, riusare, recuperare.
al demente. E l’integrazione sembra meno facile di quanto ci si aspettasse forse perché Ridurre significa smettere di produrre roba inutile, cianfrusaglie che oggi compro e domani
la società postmoderna che non basa più le sue regole su una razionalità modernista, ma o stasera finiscono nella spazzatura. Riusare indica che possiamo usufruire delle cose anche
sull’estetica (cioè sulla percezione limitata al senso della visione e non ad altro, con i problemi al di là del nostro uso personale, comprando e vendendo l’usato, ingegnandoci a capire se
che vedremo più avanti), sa integrare solo quello che vede utile, in una visione limitante del una piccola pecca davvero e immancabilmente ci obbliga a buttare via tutto un complicato
concetto di utilità che – per forza di cose le si rivolgerà contro perché chi non sa guardare marchingegno costato soldi e fatica. Recuperare vuol dire che dobbiamo imparare a riparare
con la prospettiva secolare il futuro non può azzardarsi a proporre cosa sia bene o male per e a pretendere che chi ci vende la roba ce la venda riparabile, cioè che non avvenga che
la società. Tanto che arriva a lasciar che molti filosofi tolgano il titolo di “persona” a chi non appena si rompe una cerniera si debba buttare tutta la valigia, che appena si rovina la batteria
sa autodeterminarsi, a chi non ha un livello accettabile (da chi?) di autocoscienza. si debba buttare il telefonino.
E anche a livello “animalista” notiamo la discriminazione basata sulla specie dell’animale: Ma c’è una maniera somma di vincere lo scarto: avere coscienza che lo scarto non esiste, che
lo “specismo”; per cui si salvaguarda l’animale non per salvaguardare la natura, ma perché nulla è scarto, che in natura, “omnis creatura bona”, che è un prinicpio evangelico (dopo la
l’animale “appare bello”. E si tutela il cucciolo di foca perché ha gli occhioni e non il maiale moltiplicazione dei pani e pesci Cristo ordinò di raccogliere gli avanzi perché anche quelli
perché è sporco; si tutela lo scimpanzé perché appare simile all’uomo e si scarta il pipistrello avevano un valore e un significato), e un principio sociale di sostenibilità: “qual è l’orologio
perché “fa paura”. più sostenibile?” chiedeva Enzo Tiezzi; e si rispondeva: “quello che già possiedo!”

Lo scarto nasce dalla paura Dallo scarto nasce provocatoria l’arte


La cultura dello scarto nasce dalla paura, da una vaga idea di sé che non sa orientarsi nel Ma anche nell’arte la provocazione di mostrare come il riciclare può diventare costruttivo
tempo e nello spazio e che crea un’arte debole e un pensiero debole. E seleziona (dalla è ben presente. Per Junk Art (in italiano: arte spazzatura) si intende una forma d’arte

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basata sull’utilizzo di prodotti di scarto della vita contemporanea ed al rifiuto quindi dei Psicologia ambientale e psicologia architettonica
materiali tradizionali dell’arte. Il termine fu coniato dal critico d’arte Lawrence Alloway nel
1961, in occasione della mostra “The Art of Assemblage”, tenutasi al Museum of Modern
Art di New York. In un certo senso nella pittura possono essere individuati elementi di
derivazione dai collage cubisti o dai ready-made dadaisti di Duchamp e Man Ray, ma Marino Bonaiuto, Ferdinando Fornara, Mirilia Bonnes
anche dai lavori di Kurt Schwitters e di Alberto Burri. Il termine fu successivamente
esteso anche alla scultura realizzata con metalli di scarto, legname usato, plastica, ecc. Il
movimento Junk risale agli anni cinquanta del Novecento, in particolare con il lavoro di
Robert Rauschenberg, che utilizzò nei dipinti stracci e brandelli di vestiti, ritagli e altri
Per gentile concessione degli 1. La nascita della psicologia ambientale
materiali di scarto. è forse anche queasta una maniera di affermare una protesta all’obbligo Autori, questo testo riprende
sociale di buttar via tutto, alla legge dell’obsolescenza programmata? quanto già pubblicato in M. Intorno alla fine degli scorsi anni ’50 e durante gli anni ’60 è emerso e si è sviluppato in Nord
Bonaiuto, F. Fornara, M. America ed in Europa, all’interno della psicologia, un settore di studio denominato “psicologia
C. Alla cultura del rifiuto si oppone una cultura del costruire Bonnes, (2004). Psicologia ambientale”. Tale definizione è legata all’iniziale interesse concettuale per l’influenza delle
ambientale e psicologia caratteristiche fisiche dell’ambiente sui processi psicologici e relativi comportamenti degli
Costruire è la massima opera di fiducia nel mondo e nella vita, è la risposta più forte alla architettonica. Il Progetto
paura, alla paura del mare che corrode con la salsedine, del vento, del terremoto. Chi dell’Abitare, 1, 32-35. individui (1). Successivamente, l’unità di analisi del campo si è ampliata, come testimoniano
costruisce non scarta, non rifiuta: assimila. Accetta il territorio, accetta la terra, accetta la definizioni più recenti, che identificano l’oggetto di studio nell’interfaccia tra individuo e
povertà. E con territorio, terra e povertà o ricchezza mette strato dopo strato, costruisce. ambiente socio-fisico (2).
Quanto più è innovativo, tanto più sa usare quello che già c’è, sa costruire in maniera Una delle tappe fondamentali per l’emergere del campo con specificità e peculiarità proprie
sostenibile, non ha bisogno di cercare lontano quello che è già sotto i suoi occhi, sia come è individuabile nel costituirsi, nel 1958, di un gruppo di ricerca, guidato dagli psicologi
materiale sia come idea. sociali W. Ittelson e H. Proshansky, presso la City University di New York, con l’obiettivo
Perché costruire – parola di derivazione dal latino struo –, è l’opera di mettere per strati di analizzare il ruolo dell’assetto fisico-spaziale di un ospedale psichiatrico in corso di
in atto un’opera, e per farlo usa lo strumento – sempre di derivazione dalla stessa parola rinnovo/restauro sul comportamento dei relativi pazienti (3). Il termine environmental
struo – cioè, a differenza degli animali, usa l’intelligenza. Usare degli strumenti è proprio psychology (“psicologia ambientale”) fu utilizzato per la prima volta dallo stesso Ittelson
dell’uomo, è segno della sua unica intelligenza: e lo strumento – segno dell’intelligenza nel 1964 a New York, nel corso di una conferenza della American Hospital Association sulla
– serve alla costruzione, non ad altro: a mettere per strati, uno dopo l’altro, quello che progettazione sanitaria. Questo termine da allora divenne comprensivo anche di un altro
ha a portata di mano, secondo un disegno che vede oltre l’oggi. Costruire (una casa, una termine spesso utilizzato per indicare questo nuovo campo di studio, ovvero “psicologia
famiglia) è l’atto di intelligenza suprema. architettonica”. Il gruppo di ricerca della City University di New York continuò la sua
Ma per costruire bisogna prima abitare. Sembrerebbe il contrario, cioè che si costruisca attività di ricerca sulle relazioni tra comportamento e ambiente fisico-spaziale; tale attività
per poi abitare, e questo in un certo senso è vero ma non si costruisce se prima non si portò alla pubblicazione di un volume, datato 1970, a cura di Proshansky, Ittelson e Rivlin
possiede il luogo e l’ambiente, cioè se non lo si guarda con uno sguardo che lo sorvoli (4), in cui il termine “psicologia ambientale” fu per la prima volta esplicitamente utilizzato
come l’aquila dal cielo che vede non il particolare a due centimetri ma tutto l’insieme del nel titolo (“Environmental Psychology: Man and His Physical Settings”). Nello stesso anno
territorio, e se non si guarda con uno sguardo che trapassi il tempo futuro e colga il tempo furono pubblicati due contributi introduttivi sulla disciplina. Il primo è rappresentato
passato in quel luogo. Abitare significa avere, anzi è avere all’ennesima potenza, perché da un capitolo a cura di Craik (5), intitolato “Environmental Psychology” e pubblicato
habito è il modo iterativo del verbo habeo. Per abitare bisogna possedere col cuore, e con nella serie New Directions in Psychology. Il secondo è l’articolo di Wohlwill (6) dal titolo
lo sguardo dell’aquila. Per poi costruire. “The Emerging Discipline of Environmental Psychology”, pubblicato in una delle più
La cultura dello scarto trova qui la sua morte. Nel possesso che tutto sa impiegare e prestigiose riviste internazionali di psicologia, l’American Psychologist. Intanto, nel 1968,
utilizzare e amare; per la costruzione che non teme la ruota del tempo. si era costituita negli Stati Uniti l’Environmental Design Research Association (Edra),
che raccoglieva studiosi provenienti da vari ambiti disciplinari, la quale comiciò a tenere
le sue conferenze con cadenza annuale. L’equivalente europeo dell’Edra è rappresentato
dalla International Association for People-environment Studies (Iaps), costituitasi nel 1981,
le cui conferenze sono regolarmente tenute con cadenza biennale. Anche all’interno della
più antica associazione scientifica internazionale di psicologia, la International Association
of Applied Psychology (Iaap), si è formata nel 1982 una divisione di psicologia ambientale.
Per quanto riguarda le pubblicazioni scientifiche periodiche specializzate sul tema, nel
1969 nasceva “Environment and Behavior”, la prima e più importante rivista americana
di psicologia ambientale, mentre in Europa nel 1981 veniva pubblicato il primo numero
del “Journal of Environmental Psychology”. Il delinearsi della psicologia ambientale, come
settore di studio particolare e distinto della psicologia, viene specificamente testimoniato
dalla pubblicazione, nel 1987, del primo Handbook of Environmental Psychology, curato
da D. Stokols e I. Altman (7). Recentemente, nel 2002, è stato anche pubblicato il secondo
Handbook di psicologia ambientale, curato da R. Bechtel e A. Churchman (8).

2. La psicologia architettonica
Lo studio condotto dal gruppo di ricerca di Ittelson e Proshansky nel 1958 non costituiva
in quegli anni un’eccezione. Infatti, l’interesse verso la progettazione architettonica di
ambienti ospedalieri e residenziali era emerso anche in altri gruppi di ricerca di vari altri
paesi. Ad esempio, lo psichiatra canadese Osmond avanzava, in quegli stessi anni, la sua
teoria circa l’esistenza di setting fisico-spaziali “sociofughi”, che inibiscono l’interazione
sociale, e setting “sociopeti”, che viceversa agevolano gli scambi relazionali (9). Partendo

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basata sull’utilizzo di prodotti di scarto della vita contemporanea ed al rifiuto quindi dei Psicologia ambientale e psicologia architettonica
materiali tradizionali dell’arte. Il termine fu coniato dal critico d’arte Lawrence Alloway nel
1961, in occasione della mostra “The Art of Assemblage”, tenutasi al Museum of Modern
Art di New York. In un certo senso nella pittura possono essere individuati elementi di
derivazione dai collage cubisti o dai ready-made dadaisti di Duchamp e Man Ray, ma Marino Bonaiuto, Ferdinando Fornara, Mirilia Bonnes
anche dai lavori di Kurt Schwitters e di Alberto Burri. Il termine fu successivamente
esteso anche alla scultura realizzata con metalli di scarto, legname usato, plastica, ecc. Il
movimento Junk risale agli anni cinquanta del Novecento, in particolare con il lavoro di
Robert Rauschenberg, che utilizzò nei dipinti stracci e brandelli di vestiti, ritagli e altri
Per gentile concessione degli 1. La nascita della psicologia ambientale
materiali di scarto. è forse anche queasta una maniera di affermare una protesta all’obbligo Autori, questo testo riprende
sociale di buttar via tutto, alla legge dell’obsolescenza programmata? quanto già pubblicato in M. Intorno alla fine degli scorsi anni ’50 e durante gli anni ’60 è emerso e si è sviluppato in Nord
Bonaiuto, F. Fornara, M. America ed in Europa, all’interno della psicologia, un settore di studio denominato “psicologia
C. Alla cultura del rifiuto si oppone una cultura del costruire Bonnes, (2004). Psicologia ambientale”. Tale definizione è legata all’iniziale interesse concettuale per l’influenza delle
ambientale e psicologia caratteristiche fisiche dell’ambiente sui processi psicologici e relativi comportamenti degli
Costruire è la massima opera di fiducia nel mondo e nella vita, è la risposta più forte alla architettonica. Il Progetto
paura, alla paura del mare che corrode con la salsedine, del vento, del terremoto. Chi dell’Abitare, 1, 32-35. individui (1). Successivamente, l’unità di analisi del campo si è ampliata, come testimoniano
costruisce non scarta, non rifiuta: assimila. Accetta il territorio, accetta la terra, accetta la definizioni più recenti, che identificano l’oggetto di studio nell’interfaccia tra individuo e
povertà. E con territorio, terra e povertà o ricchezza mette strato dopo strato, costruisce. ambiente socio-fisico (2).
Quanto più è innovativo, tanto più sa usare quello che già c’è, sa costruire in maniera Una delle tappe fondamentali per l’emergere del campo con specificità e peculiarità proprie
sostenibile, non ha bisogno di cercare lontano quello che è già sotto i suoi occhi, sia come è individuabile nel costituirsi, nel 1958, di un gruppo di ricerca, guidato dagli psicologi
materiale sia come idea. sociali W. Ittelson e H. Proshansky, presso la City University di New York, con l’obiettivo
Perché costruire – parola di derivazione dal latino struo –, è l’opera di mettere per strati di analizzare il ruolo dell’assetto fisico-spaziale di un ospedale psichiatrico in corso di
in atto un’opera, e per farlo usa lo strumento – sempre di derivazione dalla stessa parola rinnovo/restauro sul comportamento dei relativi pazienti (3). Il termine environmental
struo – cioè, a differenza degli animali, usa l’intelligenza. Usare degli strumenti è proprio psychology (“psicologia ambientale”) fu utilizzato per la prima volta dallo stesso Ittelson
dell’uomo, è segno della sua unica intelligenza: e lo strumento – segno dell’intelligenza nel 1964 a New York, nel corso di una conferenza della American Hospital Association sulla
– serve alla costruzione, non ad altro: a mettere per strati, uno dopo l’altro, quello che progettazione sanitaria. Questo termine da allora divenne comprensivo anche di un altro
ha a portata di mano, secondo un disegno che vede oltre l’oggi. Costruire (una casa, una termine spesso utilizzato per indicare questo nuovo campo di studio, ovvero “psicologia
famiglia) è l’atto di intelligenza suprema. architettonica”. Il gruppo di ricerca della City University di New York continuò la sua
Ma per costruire bisogna prima abitare. Sembrerebbe il contrario, cioè che si costruisca attività di ricerca sulle relazioni tra comportamento e ambiente fisico-spaziale; tale attività
per poi abitare, e questo in un certo senso è vero ma non si costruisce se prima non si portò alla pubblicazione di un volume, datato 1970, a cura di Proshansky, Ittelson e Rivlin
possiede il luogo e l’ambiente, cioè se non lo si guarda con uno sguardo che lo sorvoli (4), in cui il termine “psicologia ambientale” fu per la prima volta esplicitamente utilizzato
come l’aquila dal cielo che vede non il particolare a due centimetri ma tutto l’insieme del nel titolo (“Environmental Psychology: Man and His Physical Settings”). Nello stesso anno
territorio, e se non si guarda con uno sguardo che trapassi il tempo futuro e colga il tempo furono pubblicati due contributi introduttivi sulla disciplina. Il primo è rappresentato
passato in quel luogo. Abitare significa avere, anzi è avere all’ennesima potenza, perché da un capitolo a cura di Craik (5), intitolato “Environmental Psychology” e pubblicato
habito è il modo iterativo del verbo habeo. Per abitare bisogna possedere col cuore, e con nella serie New Directions in Psychology. Il secondo è l’articolo di Wohlwill (6) dal titolo
lo sguardo dell’aquila. Per poi costruire. “The Emerging Discipline of Environmental Psychology”, pubblicato in una delle più
La cultura dello scarto trova qui la sua morte. Nel possesso che tutto sa impiegare e prestigiose riviste internazionali di psicologia, l’American Psychologist. Intanto, nel 1968,
utilizzare e amare; per la costruzione che non teme la ruota del tempo. si era costituita negli Stati Uniti l’Environmental Design Research Association (Edra),
che raccoglieva studiosi provenienti da vari ambiti disciplinari, la quale comiciò a tenere
le sue conferenze con cadenza annuale. L’equivalente europeo dell’Edra è rappresentato
dalla International Association for People-environment Studies (Iaps), costituitasi nel 1981,
le cui conferenze sono regolarmente tenute con cadenza biennale. Anche all’interno della
più antica associazione scientifica internazionale di psicologia, la International Association
of Applied Psychology (Iaap), si è formata nel 1982 una divisione di psicologia ambientale.
Per quanto riguarda le pubblicazioni scientifiche periodiche specializzate sul tema, nel
1969 nasceva “Environment and Behavior”, la prima e più importante rivista americana
di psicologia ambientale, mentre in Europa nel 1981 veniva pubblicato il primo numero
del “Journal of Environmental Psychology”. Il delinearsi della psicologia ambientale, come
settore di studio particolare e distinto della psicologia, viene specificamente testimoniato
dalla pubblicazione, nel 1987, del primo Handbook of Environmental Psychology, curato
da D. Stokols e I. Altman (7). Recentemente, nel 2002, è stato anche pubblicato il secondo
Handbook di psicologia ambientale, curato da R. Bechtel e A. Churchman (8).

2. La psicologia architettonica
Lo studio condotto dal gruppo di ricerca di Ittelson e Proshansky nel 1958 non costituiva
in quegli anni un’eccezione. Infatti, l’interesse verso la progettazione architettonica di
ambienti ospedalieri e residenziali era emerso anche in altri gruppi di ricerca di vari altri
paesi. Ad esempio, lo psichiatra canadese Osmond avanzava, in quegli stessi anni, la sua
teoria circa l’esistenza di setting fisico-spaziali “sociofughi”, che inibiscono l’interazione
sociale, e setting “sociopeti”, che viceversa agevolano gli scambi relazionali (9). Partendo

16 17
da questo filone di studio, lo psicologo sociale Sommer, esaminando il comportamento dei esplicita all’interno del processo di progettazione, in particolare tramite lo sviluppo di
pazienti di ospedali geriatrici, ha formulato i concetti di “spazio personale” e “territorialità” strumenti standardizzati da utilizzare per la valutazione di vari e specifici aspetti degli edifici.
(che hanno avuto grande seguito sia nella psicologia ambientale, sia nel campo della Nei volumi “Psychology for Architects”, a cura di D. Canter (22), e “Psychology and the
progettazione architettonica) per indicare come le caratteristiche dell’ambiente fisico Built Environment”, a cura di D. Canter e T. Lee (23), vengono puntualizzati alcuni concetti
influenzino i meccanismi cognitivi/affettivi e comportamentali tramite i quali gli individui utili ai fini di una progettazione più centrata sugli utenti/utilizzatori. Canter (24) sosteneva
regolano le distanze interpersonali e l’uso dello spazio (10). In Europa, lo psichiatra francese che i progettisti devono sempre prendere in considerazione le implicazioni psicologiche
Silvadon avvia un gruppo di studio con un team di architetti per analizzare gli effetti della delle loro decisioni progettuali, in quanto il fatto di creare un assetto fisico-spaziale che
progettazione di un ospedale psichiatrico sulla salute dei pazienti (11). tenga conto, ad esempio, dell’effetto visivo provocato contiene implicite assunzioni sulla
La formazione di gruppi di ricerca multidisciplinari, comprendenti sia architetti sia psicologi, relazione tra le caratterististiche dell’assetto e le risposte psicologiche. Dunque, secondo
ha avuto inizio negli anni ’50 anche nei paesi anglosassoni e nordeuropei. Il principale impulso Canter, il ruolo della psicologia architettonica dovrebbe essere quello di fornire conoscenza
verso questa collaborazione viene dalle Scuole di Architettura e dalle grandi agenzie di scientifica su tali assunzioni. Canter e Lee (25) identificano tre principali ambiti sui quali la
progettazione architettonica, che sempre più avvertivano l’esigenza di progettare e costruire psicologia architettonica può fornire utili informazioni nella fase di progettazione, ovvero:
spazi che tenessero conto in modo specifico del punto di vista degli utenti/utilizzatori le attività delle persone (quali attività vengono svolte, dove e come esse sono svolte, come
(users), sia di fatto sia potenziali. Quest’area di studi multidisciplinari è stata definita esse cambiano); le valutazioni differenziate di queste (quali gerarchie di priorità esistono tra
architectural psychology (“psicologia architettonica”) sia in Nord America, sia in Europa queste attività , dal punto di vista sia pratico sia valoriale); la relazione tra comportamenti e
(in particolare in Gran Bretagna e Svezia). L’esigenza di collaborazione tra i campi della ambiente (con questo intendendo non solo le reazioni alle variabili architettoniche, ma anche
progettazione architettonico-edilizia e il campo delle scienze sociali e del comportamento i meccanismi soggiacenti a tali reazioni). In questo quadro, il contributo della psicologia
nasce dalla crescente consapevolezza, da parte di alcuni architetti, dei rischi connessi a un alla progettazione architettonica viene visto come differenziato in rapporto alle varie tappe
tipo di progettazione architettonica spesso basata principalmente sulla soddisfazione dei della progettazione stessa. Vengono così distinti i vari tipi di apporti in relazione ai seguenti
bisogni di auto-affermazione estetica del progettista, piuttosto che sulla soddisfazione delle diversi momenti del processo progettuale: a) fase di “ideazione”, quando possono essere
esigenze, aspirazioni e scopi degli utenti. Perdipiù, varie ricerche hanno dimostrato (12, utilizzate alcune indicazioni generali provenienti dalla ricerca psicologica sulla relazione
13, 14) l’esistenza di differenze di valutazione tra progettisti-architetti e utilizzatori, vale a tra caratteristiche architettoniche e comportamenti; b) fase di “specificazione”, quando
dire tra “esperti”, che utilizzano e possiedono determinati criteri valutativi derivati dal loro si cercano relazioni specifiche tra alcune caratteristiche fisiche dell’ambiente e particolari
background professionale, e persone comuni, le cui rappresentazioni dell’ambiente sono aspetti psicologici (ad esempio, relazione tra luminosità e insonnia, oppure tra rumorosità
socialmente e culturalmente costruite sia attraverso i processi di conoscenza, appropriazione e rendimento lavorativo); c) fase della “valutazione”, quando si analizza l’esistente anche
e azione guidata da scopi, sia tramite i sistemi di attività e pratiche che caratterizzano lo sotto il profilo degli effetti psicologici conseguenti, per individuare eventuali inadeguatezze
specifico luogo. o possibili direzioni di miglioramento, sia per il progetto in causa, sia per quelli futuri.
Negli Stati Uniti, la prima conferenza sulla psicologia architettonica fu organizzata In entrambi i volumi citati, è comunque già ben presente la necessità di superare la
dall’American Institute of Architects nel 1959 all’Università del Michigan. Il tema principale visione basata sul determinismo architettonico (in cui le risposte percettive, cognitive e
discusso riguardava come le scienze fisiche, biologiche e sociali potevano essere di aiuto comportamentali delle persone sono “determinate” da questo o quell’aspetto fisico-spaziale),
nella progettazione di ambienti ottimali che agevolino i comportamenti e le attività delle più tipica delle origini della psicologia architettonica e ambientale, per un approccio più
persone (15). Nel decennio successivo, altre conferenze di psicologia architettonica furono “molare” e transazionale, che renda cioè conto della complessa interazione tra le persone
organizzate, stimolando così anche la pubblicazione di una newsletter (Architectural e gli ambienti costruiti. Questo approccio è stato poi sistematizzato dallo stesso Canter
Psychology Newsletter), edita dall’Università dello Utah (16), per raccogliere e diffondere i (26), tramite la sua “ teoria del luogo”, per cui l’unità di analisi diventa appunto il “luogo”,
contributi di ricerca del campo. concepito quale interfaccia tra: (i) attributi fisico-spaziali, (ii) usi/attività e (iii) concezioni;
Lo sviluppo della collaborazione tra scienze della progettazione e scienze psicologiche e queste ultime possedute dai relativi utilizzatori in merito sia agli attributi fisico-spaziali, sia
sociali americane è stato molto stimolato anche dalla pubblicazione del volume dal titolo agli usi/attività che contraddistinguono il luogo stesso. La teoria del luogo si inserisce nella
“L’immagine della città” (17), scritto dall’urbanista K. Lynch, che proponeva un approccio più ampia prospettiva teorica considerata tipica della psicologia ambientale e definita come
alla pianificazione urbana per molti versi rivoluzionario, basato sull’idea che il punto di “transazionale-contestuale” (27), la quale mira ad introdurre un approccio tipicamente
partenza per un buon progetto di pianificazione dovrebbe consistere nell”immaginabilità” sistemico alla considerazione della persona, dell’ambiente e delle relazioni reciproche tra
della città nella mente dei suoi abitanti. In altre parole, secondo Lynch il principale- questi. I principali aspetti caratterizzanti questa prospettiva vengono indicati, fin dagli anni
riferimento per le decisioni in materia di urbanistica è costituito dagli usi e dalle immagini ’70, da Ittelson e coll. (28), quando mettono in evidenza le varie assunzioni teoriche implicite
dello spazio urbano, che sono il risultato della configurazione fisico-spaziale della città e nelle “transazioni persona-ambiente” (29). Per quanto riguarda in particolare il versante
dell’esperienza quotidiana della stessa da parte degli abitanti. dell’”ambiente”, le principali assunzioni sono le seguenti: a) l’ambiente è concepito come
Per quanto riguarda la situazione europea, in Gran Bretagna l’incontro tra le esigenze del spazialmente e temporalmente definito, organizzato dinamicamente, come sistema o ‘setting’,
mondo architettonico-urbanistico e quello psicologico viene fatto risalire da alcuni autori comprendente aspetti fisici, sociali e socio-culturali, o simbolici; b) l’ambiente è percepito in
addirittura ad un discorso fatto da Winston Churchill alla Camera dei Comuni, dopo che modo unico da ogni persona percipiente, ma è tipicamente neutro: la consapevolezza delle
questa era stata distrutta dai bombardamenti durante la II guerra mondiale (18). Churchill sue caratteristiche si verifica solo quando si introduce qualche cambiamento o novità; c)
disse che “noi diamo forma ai nostri edifici i quali a loro volta ci formano” (19). Nel l’ambiente, inteso anche come un sistema aperto, presenta caratteristiche fisiche che possono
complesso infatti tutto il discorso del primo ministro inglese in quell’occasione dimostra essere principalmente concepite come “facilitanti” o “supportive” o “di resistenza” nei
una particolare attenzione non solo verso gli aspetti funzionali, ma anche verso quegli aspetti confronti dei comportamenti ed esperienze dei partecipanti.
affettivi, comunicativi e simbolici della relazione tra le persone e l’assetto fisico-spaziale.
Seguendo questo tipo di evoluzione storico-concettuale, il campo della psicologia
Il contributo della psicologia al campo della progettazione architettonica in Gran Bretagna
architettonica si è andato sviluppando in Europa, oltre che in Gran Bretagna, anche in altri
è testimoniato da alcune pubblicazioni negli anni ’60 (20) e dalla costituzione, nella Facoltà
paesi, soprattutto a partire dagli anni ’70, particolarmente in Svezia, Paesi Bassi, Francia (30)
di Architettura dell’Università di Strathclyde (Glasgow), del Building Performance
e, più recentemente, anche in Italia (31, 32, 33).
Research Unit (Bpru), che nel 1969 a Dalandhui (Scozia) organizzò una delle prime
conferenze europee di psicologia architettonica, i cui contenuti sono stati pubblicati nel
3. La valutazione ambientale
successivo volume “Architectural Psychology” (21). Il Bpru aveva un marcato orientamento
multidisciplinare, comprendendo architetti, psicologi, ingegneri civili e medici. L’obiettivo Il tema della “valutazione ambientale” rappresenta una delle aree di ricerca/intervento della
dichiarato era quello di rendere la fase valutativa delle costruzioni edilizie più saliente ed psicologia ambientale (34) e, più specificamente, come detto sopra (35), uno dei principali

18 19
da questo filone di studio, lo psicologo sociale Sommer, esaminando il comportamento dei esplicita all’interno del processo di progettazione, in particolare tramite lo sviluppo di
pazienti di ospedali geriatrici, ha formulato i concetti di “spazio personale” e “territorialità” strumenti standardizzati da utilizzare per la valutazione di vari e specifici aspetti degli edifici.
(che hanno avuto grande seguito sia nella psicologia ambientale, sia nel campo della Nei volumi “Psychology for Architects”, a cura di D. Canter (22), e “Psychology and the
progettazione architettonica) per indicare come le caratteristiche dell’ambiente fisico Built Environment”, a cura di D. Canter e T. Lee (23), vengono puntualizzati alcuni concetti
influenzino i meccanismi cognitivi/affettivi e comportamentali tramite i quali gli individui utili ai fini di una progettazione più centrata sugli utenti/utilizzatori. Canter (24) sosteneva
regolano le distanze interpersonali e l’uso dello spazio (10). In Europa, lo psichiatra francese che i progettisti devono sempre prendere in considerazione le implicazioni psicologiche
Silvadon avvia un gruppo di studio con un team di architetti per analizzare gli effetti della delle loro decisioni progettuali, in quanto il fatto di creare un assetto fisico-spaziale che
progettazione di un ospedale psichiatrico sulla salute dei pazienti (11). tenga conto, ad esempio, dell’effetto visivo provocato contiene implicite assunzioni sulla
La formazione di gruppi di ricerca multidisciplinari, comprendenti sia architetti sia psicologi, relazione tra le caratterististiche dell’assetto e le risposte psicologiche. Dunque, secondo
ha avuto inizio negli anni ’50 anche nei paesi anglosassoni e nordeuropei. Il principale impulso Canter, il ruolo della psicologia architettonica dovrebbe essere quello di fornire conoscenza
verso questa collaborazione viene dalle Scuole di Architettura e dalle grandi agenzie di scientifica su tali assunzioni. Canter e Lee (25) identificano tre principali ambiti sui quali la
progettazione architettonica, che sempre più avvertivano l’esigenza di progettare e costruire psicologia architettonica può fornire utili informazioni nella fase di progettazione, ovvero:
spazi che tenessero conto in modo specifico del punto di vista degli utenti/utilizzatori le attività delle persone (quali attività vengono svolte, dove e come esse sono svolte, come
(users), sia di fatto sia potenziali. Quest’area di studi multidisciplinari è stata definita esse cambiano); le valutazioni differenziate di queste (quali gerarchie di priorità esistono tra
architectural psychology (“psicologia architettonica”) sia in Nord America, sia in Europa queste attività , dal punto di vista sia pratico sia valoriale); la relazione tra comportamenti e
(in particolare in Gran Bretagna e Svezia). L’esigenza di collaborazione tra i campi della ambiente (con questo intendendo non solo le reazioni alle variabili architettoniche, ma anche
progettazione architettonico-edilizia e il campo delle scienze sociali e del comportamento i meccanismi soggiacenti a tali reazioni). In questo quadro, il contributo della psicologia
nasce dalla crescente consapevolezza, da parte di alcuni architetti, dei rischi connessi a un alla progettazione architettonica viene visto come differenziato in rapporto alle varie tappe
tipo di progettazione architettonica spesso basata principalmente sulla soddisfazione dei della progettazione stessa. Vengono così distinti i vari tipi di apporti in relazione ai seguenti
bisogni di auto-affermazione estetica del progettista, piuttosto che sulla soddisfazione delle diversi momenti del processo progettuale: a) fase di “ideazione”, quando possono essere
esigenze, aspirazioni e scopi degli utenti. Perdipiù, varie ricerche hanno dimostrato (12, utilizzate alcune indicazioni generali provenienti dalla ricerca psicologica sulla relazione
13, 14) l’esistenza di differenze di valutazione tra progettisti-architetti e utilizzatori, vale a tra caratteristiche architettoniche e comportamenti; b) fase di “specificazione”, quando
dire tra “esperti”, che utilizzano e possiedono determinati criteri valutativi derivati dal loro si cercano relazioni specifiche tra alcune caratteristiche fisiche dell’ambiente e particolari
background professionale, e persone comuni, le cui rappresentazioni dell’ambiente sono aspetti psicologici (ad esempio, relazione tra luminosità e insonnia, oppure tra rumorosità
socialmente e culturalmente costruite sia attraverso i processi di conoscenza, appropriazione e rendimento lavorativo); c) fase della “valutazione”, quando si analizza l’esistente anche
e azione guidata da scopi, sia tramite i sistemi di attività e pratiche che caratterizzano lo sotto il profilo degli effetti psicologici conseguenti, per individuare eventuali inadeguatezze
specifico luogo. o possibili direzioni di miglioramento, sia per il progetto in causa, sia per quelli futuri.
Negli Stati Uniti, la prima conferenza sulla psicologia architettonica fu organizzata In entrambi i volumi citati, è comunque già ben presente la necessità di superare la
dall’American Institute of Architects nel 1959 all’Università del Michigan. Il tema principale visione basata sul determinismo architettonico (in cui le risposte percettive, cognitive e
discusso riguardava come le scienze fisiche, biologiche e sociali potevano essere di aiuto comportamentali delle persone sono “determinate” da questo o quell’aspetto fisico-spaziale),
nella progettazione di ambienti ottimali che agevolino i comportamenti e le attività delle più tipica delle origini della psicologia architettonica e ambientale, per un approccio più
persone (15). Nel decennio successivo, altre conferenze di psicologia architettonica furono “molare” e transazionale, che renda cioè conto della complessa interazione tra le persone
organizzate, stimolando così anche la pubblicazione di una newsletter (Architectural e gli ambienti costruiti. Questo approccio è stato poi sistematizzato dallo stesso Canter
Psychology Newsletter), edita dall’Università dello Utah (16), per raccogliere e diffondere i (26), tramite la sua “ teoria del luogo”, per cui l’unità di analisi diventa appunto il “luogo”,
contributi di ricerca del campo. concepito quale interfaccia tra: (i) attributi fisico-spaziali, (ii) usi/attività e (iii) concezioni;
Lo sviluppo della collaborazione tra scienze della progettazione e scienze psicologiche e queste ultime possedute dai relativi utilizzatori in merito sia agli attributi fisico-spaziali, sia
sociali americane è stato molto stimolato anche dalla pubblicazione del volume dal titolo agli usi/attività che contraddistinguono il luogo stesso. La teoria del luogo si inserisce nella
“L’immagine della città” (17), scritto dall’urbanista K. Lynch, che proponeva un approccio più ampia prospettiva teorica considerata tipica della psicologia ambientale e definita come
alla pianificazione urbana per molti versi rivoluzionario, basato sull’idea che il punto di “transazionale-contestuale” (27), la quale mira ad introdurre un approccio tipicamente
partenza per un buon progetto di pianificazione dovrebbe consistere nell”immaginabilità” sistemico alla considerazione della persona, dell’ambiente e delle relazioni reciproche tra
della città nella mente dei suoi abitanti. In altre parole, secondo Lynch il principale- questi. I principali aspetti caratterizzanti questa prospettiva vengono indicati, fin dagli anni
riferimento per le decisioni in materia di urbanistica è costituito dagli usi e dalle immagini ’70, da Ittelson e coll. (28), quando mettono in evidenza le varie assunzioni teoriche implicite
dello spazio urbano, che sono il risultato della configurazione fisico-spaziale della città e nelle “transazioni persona-ambiente” (29). Per quanto riguarda in particolare il versante
dell’esperienza quotidiana della stessa da parte degli abitanti. dell’”ambiente”, le principali assunzioni sono le seguenti: a) l’ambiente è concepito come
Per quanto riguarda la situazione europea, in Gran Bretagna l’incontro tra le esigenze del spazialmente e temporalmente definito, organizzato dinamicamente, come sistema o ‘setting’,
mondo architettonico-urbanistico e quello psicologico viene fatto risalire da alcuni autori comprendente aspetti fisici, sociali e socio-culturali, o simbolici; b) l’ambiente è percepito in
addirittura ad un discorso fatto da Winston Churchill alla Camera dei Comuni, dopo che modo unico da ogni persona percipiente, ma è tipicamente neutro: la consapevolezza delle
questa era stata distrutta dai bombardamenti durante la II guerra mondiale (18). Churchill sue caratteristiche si verifica solo quando si introduce qualche cambiamento o novità; c)
disse che “noi diamo forma ai nostri edifici i quali a loro volta ci formano” (19). Nel l’ambiente, inteso anche come un sistema aperto, presenta caratteristiche fisiche che possono
complesso infatti tutto il discorso del primo ministro inglese in quell’occasione dimostra essere principalmente concepite come “facilitanti” o “supportive” o “di resistenza” nei
una particolare attenzione non solo verso gli aspetti funzionali, ma anche verso quegli aspetti confronti dei comportamenti ed esperienze dei partecipanti.
affettivi, comunicativi e simbolici della relazione tra le persone e l’assetto fisico-spaziale.
Seguendo questo tipo di evoluzione storico-concettuale, il campo della psicologia
Il contributo della psicologia al campo della progettazione architettonica in Gran Bretagna
architettonica si è andato sviluppando in Europa, oltre che in Gran Bretagna, anche in altri
è testimoniato da alcune pubblicazioni negli anni ’60 (20) e dalla costituzione, nella Facoltà
paesi, soprattutto a partire dagli anni ’70, particolarmente in Svezia, Paesi Bassi, Francia (30)
di Architettura dell’Università di Strathclyde (Glasgow), del Building Performance
e, più recentemente, anche in Italia (31, 32, 33).
Research Unit (Bpru), che nel 1969 a Dalandhui (Scozia) organizzò una delle prime
conferenze europee di psicologia architettonica, i cui contenuti sono stati pubblicati nel
3. La valutazione ambientale
successivo volume “Architectural Psychology” (21). Il Bpru aveva un marcato orientamento
multidisciplinare, comprendendo architetti, psicologi, ingegneri civili e medici. L’obiettivo Il tema della “valutazione ambientale” rappresenta una delle aree di ricerca/intervento della
dichiarato era quello di rendere la fase valutativa delle costruzioni edilizie più saliente ed psicologia ambientale (34) e, più specificamente, come detto sopra (35), uno dei principali

18 19
interessi della psicologia architettonica. Quando si parla di valutazione ambientale, una Riferimenti bibliografici
prima importante distinzione da fare è quella tra: a) valutazione “oggettiva” o “esperta”,
che viene effettuata attraverso l’uso di strumentazioni tecniche e di indici oggettivi, oppure 1. Proshansky, H.M., Ittelson, W., Rivlin, L.G. (Eds.) (1970). Environmental psychology:
ricorrendo alle stime fornite da esperti competenti in relazione all’unità ambientale oggetto Man and his physical settings. New York: Holt, Rinehart & Winston.
di valutazione; b) valutazione “soggettiva” o “ingenua”, ovvero quella di cui si occupano 2. Stokols, D., Altman, I. (Eds.) (1987). Handbook of environmental psychology. New York:
gli psicologi ambientali, che si basa sui dati di natura percettivo-valutativa forniti dagli Wiley.
utilizzatori di un determinato contesto ambientale. L’importanza di analizzare i processi e i 3. Ittelson, W.H. (1960). Some factors influencing the design and functions of psychiatric
contenuti della valutazione “ingenua” è sottolineata anche dall’emergere, come già accennato, facilities. Progress Report, Brooklin College.
di frequenti incongruenze di queste rispetto alle valutazioni “oggettive” o “esperte” (36, 37). 4. op. cit. 1.
Tra i vari filoni di ricerca che riguardano il tema della valutazione ambientale, particolarmente 5. Craik, K.H. (1970). Environmental psychology. In K.H. Craik, R. Kleinmuntz, R.
importanti risultano quello della valutazione post-occupativa e quello della soddisfazione Rosnow, R. Rosenthal, J.A. Cheyne, R.H. Walters (Eds.), New directions in psychology, vol.
residenziale e degli indicatori di qualità urbana residenziale percepita. 4. New York: Holt, Rinehart & Winston, pp. 1-122.
6. Wohlwill, J.F. (1970). The emerging discipline of environmental psychology. American
3.1 Valutazione post-occupativa
Psychologist, 25, 303-312.
La “valutazione post-occupativa” (Post-Occupancy Evaluation – Poe) consiste in un esame
7. op. cit. 2.
dell’efficienza, sia funzionale che più specificamente psicologica, degli ambienti costruiti dal
8. Bechtel, R., Churchman, A., (Eds.) (2002). Handbook of environmental psychology. New
punto di vista degli utilizzatori che occupano tali ambienti (38). Una Poe si caratterizza per
il suo approccio analitico e sistematico, che implica, da un lato, l’inclusione nell’analisi sia York: Wiley.
di tutti i gruppi/categorie di occupanti, sia di tutti i principali usi/attività che avvengono 9. Osmond, H. (1957). Functions as the basis of psychiatric ward design. Mental Hospital, 8,
nello specifico ambiente; e, dall’altro lato, per la rigorosità di metodo nella raccolta e analisi 23-30.
dei dati valutativi. Un programma di Poe deve prevedere un’attenta pianificazione della 10. Sommer, R. (1969). Personal space: The behavioural basis of design. Englewood Cliffs,
ricerca, considerare le informazioni derivate dal contesto a diversi livelli (ambientale, sociale, NJ: Prentice-Hall.
organizzativo, ecc.), e deve essere condotto con l’intento di sviluppare una nuova conoscenza 11. Baker, A., Davis, R., Silvadon, P. (1960). Psychiatric services and architecture. Geneva:
(39). Le metodologie utilizzate per la raccolta dei dati valutativi comprendono questionari, World Health Organization.
interviste, osservazioni dei pattern comportamentali, osservazioni di tracce ambientali (cioè 12. Duffy, M., Bailey, S., Beck, B., Barker, D.G. (1986). Preferences in nursing home design:
gli effetti del comportamento sull’ambiente fisico), analisi di archivi. Sono stati al riguardo A comparison of residents, administrators, and designers. Environment and Behavior, 18,
anche costruiti specifici strumenti psicometrici per la valutazione di specifiche classi di 246-257.
edifici (o ambienti costruiti), tra cui residenze geriatriche (40), residenze psichiatriche (41), 13. Nasar, J.L., Purcell, T. (1990). Beauty and the beast extended: Knowledge structure and
istituti di pena (42), campus universitari (43). evaluation of houses by Australian architects and non-architects. In H. Pamir, V. Imamoglu,
N. Teymur (Eds.), Culture, space, history. Ankara (Turkey): Sevki Vanh Foundation for
3.2 Soddisfazione residenziale e indicatori di qualità residenziale percepita Architecture.
La soddisfazione residenziale è una risposta valutativa definibile come il piacere o la 14. Stamps, A.E. (1991). Comparing preferences of neighbors and a neighborhood design
gratificazione che deriva dal vivere ed abitare in un determinato luogo (44, 45). Uno studio review board. Environment and Behavior, 23, 618-629.
organico ed esauriente della soddisfazione residenziale deve necessariamente considerare le 15. Magenau, E. (Ed.) (1959). Research for architecture. Washington DC: American Institute
percezioni/valutazioni soggettive accanto ai parametri oggettivi, nell’intento di migliorare la of Architects.
qualità della vita nella relativa area abitativa. Ma l’analisi delle variabili soggettive si presenta 16. Archea, J. (Ed.) (1967-1969). Architectural psychology newsletter. Salt Lake City:
come complessa e delicata, anche per la difficoltà di definire i principali bisogni psicologici University of Utah.
sottesi alle risposte valutative. Lo specifico ambiente/luogo cui sono riferite le valutazioni 17. Lynch, K. (1960). The image of the city. Cambridge, MA: Mit Press.
di soddisfazione residenziale può essere costituito dall’abitazione, da un singolo edificio 18. Canter, D., Stringer, P. (Eds.) (1975). Environmental interactions. London: Surrey
oppure dal quartiere di residenza. Quest’ultimo rappresenta, insieme all’abitazione, il luogo University Press.
di più intensa esperienza ambientale (quantitativamente e qualitativamente) nell’arco di vita 19. Hansard, D. (1943). House of Commons rebuilding. Parlamentary Debates House of
(46) e si dimostra, più di altri luoghi, interessato a quei processi psicologici di transazione di Commons 393, n. 114. London: Hmso, pp. 404-474.
luogo (come l’identità e l’attaccamento) che ne rendono la valutazione articolata e complessa 20. Wells, B.W.P. (1965). Towards a definition of environmental studies: A psychologist’s
(47). Le ricerche sulla soddisfazione residenziale si sono spesso focalizzate sulle risposte contribution. Architects’ Journal, 142, 677-683.
valutative e i comportamenti espressi da specifiche categorie d’individui, come gli anziani, i 21. Canter, D. (1970). Architectural psychology. London: Royal Institute of British Architects.
bambini, i disabili (fisici e mentali) e le minoranze etniche, oppure manifestati in relazione 22. Canter, D. (1972). Psychology for architects. London: Applied Sciences.
a particolari eventi, come il cambiamento e la ri-allocazione residenziale. Soprattutto in 23. Canter, D., Lee, T. (Eds.) (1974). Psychology and the built environment. London:
questi ultimi casi, un elevato grado di soddisfazione è risultato dipendere dal buon esito Architectural Press.
dei processi di adattamento e aggiustamento (48). All’interno di questo filone di studio, 24. op. cit. 22.
sono state condotte anche in Italia una serie di ricerche per definire gli indicatori di qualità 25. op. cit. 23.
urbana residenziale percepita (49, 50), tramite la costruzione di indici psicometrici da poter 26. Canter, D. (1977). The psychology of place. London: Architectural Press.
confrontare con indici di valutazione “oggettiva”; questo spesso con intenti specificamente 27. op. cit. 2.
applicativi, come in particolare il caso di interventi di riqualificazione urbanistica o di 28. Ittelson, W., Proshansky, H.M., Rivlin, L.G, Winkel, G.. (Eds.) (1974). An introduction
progettazione ex-novo di complessi residenziali (51, 52). Gli aspetti dell’ambiente abitativo/ to environmental psychology. New York: Holt, Rinehart & Winston.
residenziale presi specificamente in considerazione da questi indicatori coprono elementi sia 29. Bonnes, M., Secchiaroli, G. (1992). Psicologia Ambientale. Introduzione alla psicologia
architettonico-urbanistici, sia di relazioni tra abitanti, sia di servizi, sia di contesto generale sociale dell’ambiente. Nis, Roma (trad. inglese Environmental psychology. A psycho-social
e consentono, ad esempio, di stabilire quali siano quelli cruciali per un buon rapporto tra introduction, London: Sage, 1995).
abitante e quartiere. 30. op. cit. 2.
31. Bonnes, M. (1978). L’emergere della Psicologia Ambientale: verso un nuovo
ambientalismo?. Rivista di Psicologia, 1-2, 97-107.
32. Bonnes, M., Secchiaroli, G. (1979). Il centro di Milano: spazio e significato nella

20 21
interessi della psicologia architettonica. Quando si parla di valutazione ambientale, una Riferimenti bibliografici
prima importante distinzione da fare è quella tra: a) valutazione “oggettiva” o “esperta”,
che viene effettuata attraverso l’uso di strumentazioni tecniche e di indici oggettivi, oppure 1. Proshansky, H.M., Ittelson, W., Rivlin, L.G. (Eds.) (1970). Environmental psychology:
ricorrendo alle stime fornite da esperti competenti in relazione all’unità ambientale oggetto Man and his physical settings. New York: Holt, Rinehart & Winston.
di valutazione; b) valutazione “soggettiva” o “ingenua”, ovvero quella di cui si occupano 2. Stokols, D., Altman, I. (Eds.) (1987). Handbook of environmental psychology. New York:
gli psicologi ambientali, che si basa sui dati di natura percettivo-valutativa forniti dagli Wiley.
utilizzatori di un determinato contesto ambientale. L’importanza di analizzare i processi e i 3. Ittelson, W.H. (1960). Some factors influencing the design and functions of psychiatric
contenuti della valutazione “ingenua” è sottolineata anche dall’emergere, come già accennato, facilities. Progress Report, Brooklin College.
di frequenti incongruenze di queste rispetto alle valutazioni “oggettive” o “esperte” (36, 37). 4. op. cit. 1.
Tra i vari filoni di ricerca che riguardano il tema della valutazione ambientale, particolarmente 5. Craik, K.H. (1970). Environmental psychology. In K.H. Craik, R. Kleinmuntz, R.
importanti risultano quello della valutazione post-occupativa e quello della soddisfazione Rosnow, R. Rosenthal, J.A. Cheyne, R.H. Walters (Eds.), New directions in psychology, vol.
residenziale e degli indicatori di qualità urbana residenziale percepita. 4. New York: Holt, Rinehart & Winston, pp. 1-122.
6. Wohlwill, J.F. (1970). The emerging discipline of environmental psychology. American
3.1 Valutazione post-occupativa
Psychologist, 25, 303-312.
La “valutazione post-occupativa” (Post-Occupancy Evaluation – Poe) consiste in un esame
7. op. cit. 2.
dell’efficienza, sia funzionale che più specificamente psicologica, degli ambienti costruiti dal
8. Bechtel, R., Churchman, A., (Eds.) (2002). Handbook of environmental psychology. New
punto di vista degli utilizzatori che occupano tali ambienti (38). Una Poe si caratterizza per
il suo approccio analitico e sistematico, che implica, da un lato, l’inclusione nell’analisi sia York: Wiley.
di tutti i gruppi/categorie di occupanti, sia di tutti i principali usi/attività che avvengono 9. Osmond, H. (1957). Functions as the basis of psychiatric ward design. Mental Hospital, 8,
nello specifico ambiente; e, dall’altro lato, per la rigorosità di metodo nella raccolta e analisi 23-30.
dei dati valutativi. Un programma di Poe deve prevedere un’attenta pianificazione della 10. Sommer, R. (1969). Personal space: The behavioural basis of design. Englewood Cliffs,
ricerca, considerare le informazioni derivate dal contesto a diversi livelli (ambientale, sociale, NJ: Prentice-Hall.
organizzativo, ecc.), e deve essere condotto con l’intento di sviluppare una nuova conoscenza 11. Baker, A., Davis, R., Silvadon, P. (1960). Psychiatric services and architecture. Geneva:
(39). Le metodologie utilizzate per la raccolta dei dati valutativi comprendono questionari, World Health Organization.
interviste, osservazioni dei pattern comportamentali, osservazioni di tracce ambientali (cioè 12. Duffy, M., Bailey, S., Beck, B., Barker, D.G. (1986). Preferences in nursing home design:
gli effetti del comportamento sull’ambiente fisico), analisi di archivi. Sono stati al riguardo A comparison of residents, administrators, and designers. Environment and Behavior, 18,
anche costruiti specifici strumenti psicometrici per la valutazione di specifiche classi di 246-257.
edifici (o ambienti costruiti), tra cui residenze geriatriche (40), residenze psichiatriche (41), 13. Nasar, J.L., Purcell, T. (1990). Beauty and the beast extended: Knowledge structure and
istituti di pena (42), campus universitari (43). evaluation of houses by Australian architects and non-architects. In H. Pamir, V. Imamoglu,
N. Teymur (Eds.), Culture, space, history. Ankara (Turkey): Sevki Vanh Foundation for
3.2 Soddisfazione residenziale e indicatori di qualità residenziale percepita Architecture.
La soddisfazione residenziale è una risposta valutativa definibile come il piacere o la 14. Stamps, A.E. (1991). Comparing preferences of neighbors and a neighborhood design
gratificazione che deriva dal vivere ed abitare in un determinato luogo (44, 45). Uno studio review board. Environment and Behavior, 23, 618-629.
organico ed esauriente della soddisfazione residenziale deve necessariamente considerare le 15. Magenau, E. (Ed.) (1959). Research for architecture. Washington DC: American Institute
percezioni/valutazioni soggettive accanto ai parametri oggettivi, nell’intento di migliorare la of Architects.
qualità della vita nella relativa area abitativa. Ma l’analisi delle variabili soggettive si presenta 16. Archea, J. (Ed.) (1967-1969). Architectural psychology newsletter. Salt Lake City:
come complessa e delicata, anche per la difficoltà di definire i principali bisogni psicologici University of Utah.
sottesi alle risposte valutative. Lo specifico ambiente/luogo cui sono riferite le valutazioni 17. Lynch, K. (1960). The image of the city. Cambridge, MA: Mit Press.
di soddisfazione residenziale può essere costituito dall’abitazione, da un singolo edificio 18. Canter, D., Stringer, P. (Eds.) (1975). Environmental interactions. London: Surrey
oppure dal quartiere di residenza. Quest’ultimo rappresenta, insieme all’abitazione, il luogo University Press.
di più intensa esperienza ambientale (quantitativamente e qualitativamente) nell’arco di vita 19. Hansard, D. (1943). House of Commons rebuilding. Parlamentary Debates House of
(46) e si dimostra, più di altri luoghi, interessato a quei processi psicologici di transazione di Commons 393, n. 114. London: Hmso, pp. 404-474.
luogo (come l’identità e l’attaccamento) che ne rendono la valutazione articolata e complessa 20. Wells, B.W.P. (1965). Towards a definition of environmental studies: A psychologist’s
(47). Le ricerche sulla soddisfazione residenziale si sono spesso focalizzate sulle risposte contribution. Architects’ Journal, 142, 677-683.
valutative e i comportamenti espressi da specifiche categorie d’individui, come gli anziani, i 21. Canter, D. (1970). Architectural psychology. London: Royal Institute of British Architects.
bambini, i disabili (fisici e mentali) e le minoranze etniche, oppure manifestati in relazione 22. Canter, D. (1972). Psychology for architects. London: Applied Sciences.
a particolari eventi, come il cambiamento e la ri-allocazione residenziale. Soprattutto in 23. Canter, D., Lee, T. (Eds.) (1974). Psychology and the built environment. London:
questi ultimi casi, un elevato grado di soddisfazione è risultato dipendere dal buon esito Architectural Press.
dei processi di adattamento e aggiustamento (48). All’interno di questo filone di studio, 24. op. cit. 22.
sono state condotte anche in Italia una serie di ricerche per definire gli indicatori di qualità 25. op. cit. 23.
urbana residenziale percepita (49, 50), tramite la costruzione di indici psicometrici da poter 26. Canter, D. (1977). The psychology of place. London: Architectural Press.
confrontare con indici di valutazione “oggettiva”; questo spesso con intenti specificamente 27. op. cit. 2.
applicativi, come in particolare il caso di interventi di riqualificazione urbanistica o di 28. Ittelson, W., Proshansky, H.M., Rivlin, L.G, Winkel, G.. (Eds.) (1974). An introduction
progettazione ex-novo di complessi residenziali (51, 52). Gli aspetti dell’ambiente abitativo/ to environmental psychology. New York: Holt, Rinehart & Winston.
residenziale presi specificamente in considerazione da questi indicatori coprono elementi sia 29. Bonnes, M., Secchiaroli, G. (1992). Psicologia Ambientale. Introduzione alla psicologia
architettonico-urbanistici, sia di relazioni tra abitanti, sia di servizi, sia di contesto generale sociale dell’ambiente. Nis, Roma (trad. inglese Environmental psychology. A psycho-social
e consentono, ad esempio, di stabilire quali siano quelli cruciali per un buon rapporto tra introduction, London: Sage, 1995).
abitante e quartiere. 30. op. cit. 2.
31. Bonnes, M. (1978). L’emergere della Psicologia Ambientale: verso un nuovo
ambientalismo?. Rivista di Psicologia, 1-2, 97-107.
32. Bonnes, M., Secchiaroli, G. (1979). Il centro di Milano: spazio e significato nella

20 21
rappresentazione cognitiva del centro di una grande città. Applicazioni Psicologiche, 2, 25-45. Esercizi sul visibile
33. op. cit. 29.
34. Holahan, C.J. (1986). Environmental Psychology. Annual Review of Psychology, 37,
403-22.
35. op. cit. 23. Giovanni Chiaramonte
36. Bonnes, M., Bonaiuto, M. (1995). Expert and layperson evaluation of urban environmental
quality: The ‘natural’ versus the ‘built’ environment. In Y. Guerrier, N. Alexander, J. Chase,
M. O’Brien, Eds., Values and the environment. A social science perspective. New York:
Wiley, pp. 151-163.
37. Bonaiuto, M., Carrus, G., Bonnes, M. (2002). Valutazioni “esperte” e valutazioni Ho cominciato a riflettere su quello che avrei potuto dire nella lezione, chiestami
“ingenue” nella percezione di qualità dell’ambiente urbano. Atti dei Convegni Lincei 182 dall’architetto Paolo Portoghesi per l’Accademia di San Luca, sulla condizione delle
“Ecosistemi urbani”, Roma, 22-24 ottobre 2001, Roma: Accademia Nazionale dei Lincei e arti nella società del consumismo, durante una passeggiata di primo mattino lungo
CNR, pp. 825-840. i viali milanesi che da casa portano verso lo studio; perché per me l’atto del pensare è
38. Zimring, C.M., Reizenstein, J.E. (1980). Post-occupancy evaluation: An overview. sempre stato legato all’atto del camminare e all’atto del vedere il mondo attraverso la città
Environment and Behavior, 12, 429-50. dell’uomo. Lungo il percorso, tra un albero e l’altro, i cartelloni pubblicitari offrivano alla
39. Zimring, C., Wener, R. (1985). Evaluating Evaluation. Environment and Behavior, 17, vista i grandi manifesti promozionali di prodotti alimentari in vendita negli ipermercati
97-117. e supermercati: carne in scatola, tonno in scatola, pomodori in scatola, piselli in scatola e
40. Moos, R.H., Lemke, S. (1984). Multiphasic Environmental Assessment Procedure: poi, ad un tratto, l’immagine di tre scatole color marrone in lontananza, la cui scritta mi
Manual. Palo Alto, CA: Social Ecology Laboratory, Veterans Administration and Stanford era nascosta dal tetto di un’auto. Incuriosito mi avvicinai, percependo in quell’immagine
University Medical Center. qualcosa di familiare e di già visto come un déja vu, finché la vicinanza mi permise di
41. Gabb, B.S., Speicher, K., Lodl, K. (1992). Environmental design for individuals with leggere il nome del produttore e il contenuto della scatola: Piero Manzoni, Merda d’artista,
schizophrenia: An assessment tool. Journal of Applied Rehabilitation Counseling, 23, 35-40. contenuto netto gr. 30, conservata al naturale, prodotta ed inscatolata nel maggio 1961.
42. Farbstein, J., Wener, R.E. (1982). Evaluation of correctional environments. Environment Su questo prodotto e sul processo dell’arte contemporanea, che riconosce in questo
and Behavior, 14, 671-694. oggetto di Piero Manzoni un’opera d’arte, la filosofia e la critica hanno già analizzato
43. Gerst, M., Moos, R.H. (1972). The social ecology of university student residences. Journal con metodo e con ragione tutto quello che c’era da comprendere, con Jean Baudrillard
of Educational Psychology, 63, 513-535. nel volumetto La sparizione dell’arte, edito nel 1988, col ponderoso saggio di Marc
44. Weideman, S., Anderson, J.R. (1985). A conceptual framework for residential satisfaction. Fumaroli, Lo Stato culturale. Una religione moderna, del 1991, sino al libro di Jean Clair,
In I. Altman, C. M. Werner (Eds), Home environments: Human behavior and environment, La responsabilità dell’artista, del 1997, in cui si può leggere: “Noi possediamo un corpo,
vol.8. New York: Plenum Press, pp. 153-212. e poiché questo corpo è indivisibile, vale a dire che non può essere diviso, esso ha un
45. Amérigo, M. (2002). A psychological approach to the study of residential satisfaction. In J. nome e un volto, possiede la propria identità … Nei primi momenti dopo il suo arrivo ad
I. Aragones, Francescato G., Gärling T. (Eds), Residential environments. Choice, satisfaction Auschwitz, Primo Levi, sotto choc per quanto vedeva, si mette d’un tratto a pensare al
and behavior, Westport, CT: Bergin & Garvey , pp. 81-100. verso di Dante, gridato dai demoni al dannato: ‘Qui non ha luogo il Santo Volto’. Questo
46. Lee, T. (1976). Psychology and the environment. London: Methuen (trad.it. Psicologia e non è luogo del Viso, del Volto, del faccia a faccia dell’Io con l’altro … la persona, qui,
ambiente, Bologna: Zanichelli, 1978). non ha il suo posto. L’Altro è abolito. E, con il sentimento dell’altro, il sentimento della
47. Bonnes, M., Secchiaroli, G., Rullo, G. (1987). Il quartiere di residenza, il centro, la propria esistenza … Il più alto ruolo dell’arte è sempre stato nominare gli individui e le
periferia della città di Roma: dalle “cognizioni” degli abitanti alla “immaginabilità sociale” cose, chiamarli esattamente parola a parola, così come si dice faccia a faccia. Giustezza
dei luoghi urbani. In M. Bonnes (a cura di), Ecologia urbana applicata alla città di Roma, della parola e dell’immagine, che vuol dire ricordarle a noi, nominarle e volgerle verso di
Progetto Unesco Mab n. 11, Progress Report n. 3, Roma: Istituto Psicologia CNR, pp. noi, tutte le cose, ‘sino agli animali stessi’, secondo la magnifica espressione di Rimbaud”1.
275-294. Qualche pagina prima, Jean Clair afferma che “non nei musei d’arte contemporanea o
48. Tognoli, J. (1987). Residential environments. In D. Stokols, I. Altman, (Eds), Handbook nelle gallerie si riescono a misurare le grandi rivoluzioni formali del nostro tempo, ma
of environmental psychology, Vol. 1, New York: Wiley, pp. 655-690. nei laboratori e negli studi in cui si sviluppano quelle nuove tecniche di fabbricazione
49. Bonaiuto, M., Aiello, A., Perugini, M., Bonnes, M., Ercolani, A.P. (1999). Multidimensional delle immagini che hanno preso il posto dei grandi problemi che l’arte pittorica sapeva
perception of residential environment quality and neighbourhood attachment in the urban ancora porsi e risolvere nel secolo scorso, in una febbre creativa che ricorda l’attività delle
environment. Journal of Environmental Psychology, 19, 331-52. botteghe … Le idee di apprendistato, di padronanza, di mestiere, di perfezione tecnica che
50. Bonaiuto, M., Fornara, F., Aiello, A., Bonnes, M. (2002c). Qualità urbana percepita. In hanno da un bel pezzo abbandonato gli studi, resistono tuttavia in altre forme d’arte che le
M. Prezza e M. Santinello (a cura di), Conoscere la comunità. Manuale per l’analisi degli richiedono oggi come ieri”2. Tra queste forme d’arte vi è la Fotografia ed io, per vocazione
ambienti di vita quotidiana, Bologna: Il Mulino, pp. 133-160. e per pratica lunghe quanto una vita, sono fotografo.
51. Bonaiuto, M., Bonnes, M. (2002). Residential satisfaction in the urban environment
within the Unesco-Mab Rome Project. In J. I.Aragones, G. Francescato e T. Garling (Eds.), 1. Quello che m’interessa del mondo, e che mi fa stare ancora con gioia nel mondo,
Residential environments: Choice, satisfaction and behavior, Westport, CT: Bergin & l’ho scorto e continuo a scorgerlo ogni qual volta osservo l’orizzonte che mi circonda
Garvey, pp.101-33. attraverso l’obbiettivo, nello schermo di visione della mia macchina fotografica. Lì,
52. Bonaiuto, M., Fornara, F. (2003). La consulenza psicologico-ambientale nella progettazione nell’inquadratura, quando il perenne movimento della vita improvvisamente si ferma
architettonica: due casi di studio. In A.M. Nenci (a cura di), Profili di ricerca e intervento nell’istante di un mistero percepito e si muta nella luce perenne di un’immagine messa per
psicologico-sociale nella gestione ambientale, Milano: Franco Angeli, pp. 111-142. sempre a fuoco nella memoria della camera oscura, soltanto lì e soltanto in quel momento
1 io so di avere incontrato una dimensione dell’esistenza che davvero mi riguarda: una
Jean Clair, La responsabilità dimensione fluttuante sulla superficie del visibile eppure invisibile alla percezione naturale
dell’artista, Allemandi, Torino degli occhi, perché è una dimensione presente nella profondità infinita del reale che
1997. soltanto l’obbiettivo può individuare e rivelare alla coscienza e che soltanto la fotografia
2 può portare alla luce dello sguardo e della conoscenza.
Ibidem. L’immagine della fotografia, come l’immagine del cinema e della televisione, è la vera

22 23
rappresentazione cognitiva del centro di una grande città. Applicazioni Psicologiche, 2, 25-45. Esercizi sul visibile
33. op. cit. 29.
34. Holahan, C.J. (1986). Environmental Psychology. Annual Review of Psychology, 37,
403-22.
35. op. cit. 23. Giovanni Chiaramonte
36. Bonnes, M., Bonaiuto, M. (1995). Expert and layperson evaluation of urban environmental
quality: The ‘natural’ versus the ‘built’ environment. In Y. Guerrier, N. Alexander, J. Chase,
M. O’Brien, Eds., Values and the environment. A social science perspective. New York:
Wiley, pp. 151-163.
37. Bonaiuto, M., Carrus, G., Bonnes, M. (2002). Valutazioni “esperte” e valutazioni Ho cominciato a riflettere su quello che avrei potuto dire nella lezione, chiestami
“ingenue” nella percezione di qualità dell’ambiente urbano. Atti dei Convegni Lincei 182 dall’architetto Paolo Portoghesi per l’Accademia di San Luca, sulla condizione delle
“Ecosistemi urbani”, Roma, 22-24 ottobre 2001, Roma: Accademia Nazionale dei Lincei e arti nella società del consumismo, durante una passeggiata di primo mattino lungo
CNR, pp. 825-840. i viali milanesi che da casa portano verso lo studio; perché per me l’atto del pensare è
38. Zimring, C.M., Reizenstein, J.E. (1980). Post-occupancy evaluation: An overview. sempre stato legato all’atto del camminare e all’atto del vedere il mondo attraverso la città
Environment and Behavior, 12, 429-50. dell’uomo. Lungo il percorso, tra un albero e l’altro, i cartelloni pubblicitari offrivano alla
39. Zimring, C., Wener, R. (1985). Evaluating Evaluation. Environment and Behavior, 17, vista i grandi manifesti promozionali di prodotti alimentari in vendita negli ipermercati
97-117. e supermercati: carne in scatola, tonno in scatola, pomodori in scatola, piselli in scatola e
40. Moos, R.H., Lemke, S. (1984). Multiphasic Environmental Assessment Procedure: poi, ad un tratto, l’immagine di tre scatole color marrone in lontananza, la cui scritta mi
Manual. Palo Alto, CA: Social Ecology Laboratory, Veterans Administration and Stanford era nascosta dal tetto di un’auto. Incuriosito mi avvicinai, percependo in quell’immagine
University Medical Center. qualcosa di familiare e di già visto come un déja vu, finché la vicinanza mi permise di
41. Gabb, B.S., Speicher, K., Lodl, K. (1992). Environmental design for individuals with leggere il nome del produttore e il contenuto della scatola: Piero Manzoni, Merda d’artista,
schizophrenia: An assessment tool. Journal of Applied Rehabilitation Counseling, 23, 35-40. contenuto netto gr. 30, conservata al naturale, prodotta ed inscatolata nel maggio 1961.
42. Farbstein, J., Wener, R.E. (1982). Evaluation of correctional environments. Environment Su questo prodotto e sul processo dell’arte contemporanea, che riconosce in questo
and Behavior, 14, 671-694. oggetto di Piero Manzoni un’opera d’arte, la filosofia e la critica hanno già analizzato
43. Gerst, M., Moos, R.H. (1972). The social ecology of university student residences. Journal con metodo e con ragione tutto quello che c’era da comprendere, con Jean Baudrillard
of Educational Psychology, 63, 513-535. nel volumetto La sparizione dell’arte, edito nel 1988, col ponderoso saggio di Marc
44. Weideman, S., Anderson, J.R. (1985). A conceptual framework for residential satisfaction. Fumaroli, Lo Stato culturale. Una religione moderna, del 1991, sino al libro di Jean Clair,
In I. Altman, C. M. Werner (Eds), Home environments: Human behavior and environment, La responsabilità dell’artista, del 1997, in cui si può leggere: “Noi possediamo un corpo,
vol.8. New York: Plenum Press, pp. 153-212. e poiché questo corpo è indivisibile, vale a dire che non può essere diviso, esso ha un
45. Amérigo, M. (2002). A psychological approach to the study of residential satisfaction. In J. nome e un volto, possiede la propria identità … Nei primi momenti dopo il suo arrivo ad
I. Aragones, Francescato G., Gärling T. (Eds), Residential environments. Choice, satisfaction Auschwitz, Primo Levi, sotto choc per quanto vedeva, si mette d’un tratto a pensare al
and behavior, Westport, CT: Bergin & Garvey , pp. 81-100. verso di Dante, gridato dai demoni al dannato: ‘Qui non ha luogo il Santo Volto’. Questo
46. Lee, T. (1976). Psychology and the environment. London: Methuen (trad.it. Psicologia e non è luogo del Viso, del Volto, del faccia a faccia dell’Io con l’altro … la persona, qui,
ambiente, Bologna: Zanichelli, 1978). non ha il suo posto. L’Altro è abolito. E, con il sentimento dell’altro, il sentimento della
47. Bonnes, M., Secchiaroli, G., Rullo, G. (1987). Il quartiere di residenza, il centro, la propria esistenza … Il più alto ruolo dell’arte è sempre stato nominare gli individui e le
periferia della città di Roma: dalle “cognizioni” degli abitanti alla “immaginabilità sociale” cose, chiamarli esattamente parola a parola, così come si dice faccia a faccia. Giustezza
dei luoghi urbani. In M. Bonnes (a cura di), Ecologia urbana applicata alla città di Roma, della parola e dell’immagine, che vuol dire ricordarle a noi, nominarle e volgerle verso di
Progetto Unesco Mab n. 11, Progress Report n. 3, Roma: Istituto Psicologia CNR, pp. noi, tutte le cose, ‘sino agli animali stessi’, secondo la magnifica espressione di Rimbaud”1.
275-294. Qualche pagina prima, Jean Clair afferma che “non nei musei d’arte contemporanea o
48. Tognoli, J. (1987). Residential environments. In D. Stokols, I. Altman, (Eds), Handbook nelle gallerie si riescono a misurare le grandi rivoluzioni formali del nostro tempo, ma
of environmental psychology, Vol. 1, New York: Wiley, pp. 655-690. nei laboratori e negli studi in cui si sviluppano quelle nuove tecniche di fabbricazione
49. Bonaiuto, M., Aiello, A., Perugini, M., Bonnes, M., Ercolani, A.P. (1999). Multidimensional delle immagini che hanno preso il posto dei grandi problemi che l’arte pittorica sapeva
perception of residential environment quality and neighbourhood attachment in the urban ancora porsi e risolvere nel secolo scorso, in una febbre creativa che ricorda l’attività delle
environment. Journal of Environmental Psychology, 19, 331-52. botteghe … Le idee di apprendistato, di padronanza, di mestiere, di perfezione tecnica che
50. Bonaiuto, M., Fornara, F., Aiello, A., Bonnes, M. (2002c). Qualità urbana percepita. In hanno da un bel pezzo abbandonato gli studi, resistono tuttavia in altre forme d’arte che le
M. Prezza e M. Santinello (a cura di), Conoscere la comunità. Manuale per l’analisi degli richiedono oggi come ieri”2. Tra queste forme d’arte vi è la Fotografia ed io, per vocazione
ambienti di vita quotidiana, Bologna: Il Mulino, pp. 133-160. e per pratica lunghe quanto una vita, sono fotografo.
51. Bonaiuto, M., Bonnes, M. (2002). Residential satisfaction in the urban environment
within the Unesco-Mab Rome Project. In J. I.Aragones, G. Francescato e T. Garling (Eds.), 1. Quello che m’interessa del mondo, e che mi fa stare ancora con gioia nel mondo,
Residential environments: Choice, satisfaction and behavior, Westport, CT: Bergin & l’ho scorto e continuo a scorgerlo ogni qual volta osservo l’orizzonte che mi circonda
Garvey, pp.101-33. attraverso l’obbiettivo, nello schermo di visione della mia macchina fotografica. Lì,
52. Bonaiuto, M., Fornara, F. (2003). La consulenza psicologico-ambientale nella progettazione nell’inquadratura, quando il perenne movimento della vita improvvisamente si ferma
architettonica: due casi di studio. In A.M. Nenci (a cura di), Profili di ricerca e intervento nell’istante di un mistero percepito e si muta nella luce perenne di un’immagine messa per
psicologico-sociale nella gestione ambientale, Milano: Franco Angeli, pp. 111-142. sempre a fuoco nella memoria della camera oscura, soltanto lì e soltanto in quel momento
1 io so di avere incontrato una dimensione dell’esistenza che davvero mi riguarda: una
Jean Clair, La responsabilità dimensione fluttuante sulla superficie del visibile eppure invisibile alla percezione naturale
dell’artista, Allemandi, Torino degli occhi, perché è una dimensione presente nella profondità infinita del reale che
1997. soltanto l’obbiettivo può individuare e rivelare alla coscienza e che soltanto la fotografia
2 può portare alla luce dello sguardo e della conoscenza.
Ibidem. L’immagine della fotografia, come l’immagine del cinema e della televisione, è la vera

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erede della tradizione artistica occidentale; essa, in ogni momento del suo processo, è un 3 5 altrettanto indicibili, non rappresentabili, indeterminabili, ultimamente non conoscibili
dono reso possibile dall’evoluzione continua della scienza e dell’industria e, grazie alla Andrej Tarkovskij, Scolpire il in Photography speaks, edited come un enigma senza soluzione, e le vede quindi mutare, corrompersi nell’evidenza stessa
tempo, Ubulibri, Milano 1988, by Brooks Johnson, New
rivoluzione delle tecnologie digitali, è forse quella più praticata e diffusa nel circuito ormai pp. 38-39. York 1989.
della loro esistenza, del loro uso, della loro liturgia, decadere allo stato di rudere e rovina,
planetario dell’arte contemporanea. ridursi a frammento e reperto catalogato negli ordinati scaffali di un nuovo museo o di
Su questo decisivo e problematico aspetto, ritengo fondante quanto scrive Andrej 4 6 un parco archeologico, fino a smarrirsi tra un mare di luce e buio nella polvere che invano
Mark Rothko, Scritti sull’arte, Pierpaolo Pasolini, Poesia in
Tarkovskij sulla differenza di principio e di metodo tra la modalità di conoscenza ha cercato di redimere l’arte alchemica di Marchel Duchamp. La passione dell’anima e
Donzelli, Roma 2006, p. 219. forma di rose, in Bestemmia 2,
scientifica e la modalità di conoscenza artistica: “Per mezzo dell’arte l’uomo si appropria Milano 1999. la crocefissione dello spirito nel dramma della realtà, il ricordo di chi non è più tra noi,
della realtà attraverso un’esperienza soggettiva. Nella scienza la conoscenza umana sparito per sempre dall’orizzonte del nostro sguardo, riportano il cuore al dolore primo e
del mondo procede lungo i gradini di una scala senza fine, venendo rimpiazzata da ultimo, ci spingono inesorabilmente verso quel punto estremo dove i confini del visibile
sempre nuove conoscenze su di essa, che spesso si confutano a vicenda in nome di verità schiumano sino a svanire sull’orlo di quella superficie senza fine da cui siamo emersi come
oggettive e particolari. La scoperta artistica, invece, nasce ogni volta come un’immagine isole nel mare del tempo.
nuova e irripetibile del mondo, come un geroglifico della verità assoluta. Essa si presenta In quel battito interiore che pulsa nel buio senza fondo del nostro respiro, il sentimento
come una rivelazione, come un desiderio appassionato e improvviso di afferrare di chi ci ha accolto e amato sino alla fine permane, luminoso come l’angelo sulla soglia del
intuitivamente tutto in una volta le leggi del mondo, la sua bellezza e il suo orrore, la sepolcro all’alba di quel nuovo giorno, il primo dopo il Sabato. Vivo oltre ogni possibile
sua umanità e la sua crudeltà, la sua infinità e la sua finitezza. L’artista le esprime creando fine, quel volto umano presente nella memoria, nella morte contempla e rispecchia uno
l’immagine artistica, che è uno strumento sui generis per cogliere l’assoluto. Per mezzo sguardo divino e infinito. Si può rimanere fermi e increduli ai margini di quelle tenebre
dell’immagine si mantiene la percezione dell’infinito dove esso viene espresso attraverso che salgono e s’infittiscono sino a coprire e spegnere ogni scintilla di luce nei nostri occhi.
il finito: lo spirituale attraverso il materiale, l’illimitato grazie al limite … L’arte esiste Si può aver fede in quella luce sino a immergersi nell’acqua interiore dello spirito e farsi
e si afferma là dove esiste quell’eterna insaziabile nostalgia dello spirito e dell’ideale portare dal suo fluire, attraverso ogni dimensione del reale, lungo la linea tracciata da quel
che raccoglie gli uomini attorno all’arte. è sbagliata la via per la quale si è avviata l’arte punto di fuga verso l’infinito che crea e sostiene in ogni istante del tempo l’impensabile
contemporanea, rinunciando alla ricerca del significato della vita in nome del valore profondità di una prospettiva eterna, nella mobile e viva dimora di ognuno di noi nella
autonomo della persona”3. gioia. Con Walker Evans posso dire che “quello che faccio è un atto di fede. Altri possono
Forse perché nato e vissuto in Russia sino all’età di dieci anni, Mark Rothko, pur accettando chiamarlo presunzione, ma io ho fede e convinzione. Mi è stata data e l’ho usata. Ho
con intensa sofferenza la commercializzazione dell’arte attraverso le gallerie, perché sofferto per la sua mancanza ma, ora che l’ho ricevuta, credo che appaia come una forma
assolutamente necessaria alla realizzazione della propria opera, nell’ultimo periodo della di egocentrismo. Devo aver fede o non posso agire. Penso che quel che faccio sia valido e
sua esistenza si è battuto con durezza implacabile contro la mercificazione indotta dalla che sia giusto farlo, e uso il termine trascendente”5.
Pop Art, che ha inserito la strategia del marketing pubblicitario all’interno del principio e Ogni vista, anche quella sulla più desolata e insignificante provincia della banalizzazione
del processo creativo dell’opera. globale, può assumere l’aspetto luminoso di un evento inaspettato e può mutarsi nello
La trasformazione del mercato della fotografia, intesa come opera d’arte, da una splendore di un’azione su cui non si può pretendere alcun potere o possesso e su cui
commercializzazione necessaria alla vita verso una mercificazione pianificata per le è impossibile esercitare alcuna forma di conoscenza definitiva. Ogni vista è immagine e
speculazioni finanziarie dell’economia globalizzata, è avvenuta, nel corso della mia come tale, nella prossimità rappresentabile di tutto ciò che ci circonda, mantiene intatta e
generazione, e per raccontare quanto avvenuto non posso trovare parole migliori di intangibile la presenza smisurata e sconfinata della totalità, l’evidenza di un mistero che
quelle scritte e dette da Rothko in occasione della Laurea Honoris Causa conferitagli appare in essa e attraverso di essa si fa visibile.
dall’Università di Yale: “Quand’ero più giovane, l’arte era una cosa solitaria: nessuna Quando il fuoco dell’obiettivo è accordato sul segno dell’infinito, anche la fotografia,
galleria, nessun collezionista, nessun critico, nessun soldo. Tuttavia era un’età dell’oro, nell’abbraccio della sua vista, si riscopre capace di attraversare ogni nascosta profondità del
perché non avevamo niente da perdere e avevamo una visione da guadagnare. Oggi non è reale, facendola emergere nel visibile della rappresentazione. Attraverso lo sguardo di una
più come una volta. è un periodo su cui pesano la prolissità, l’attivismo, il consumismo. persona, in quel punto e in quel momento, la speculare opacità di una fotografia può farsi
Quale condizione sia migliore per il mondo nel suo insieme, è quanto non mi arrischierò diafana trasparenza di una luce sul mondo e sull’uomo che precede e crea sia il mondo sia
a discutere. Ma so che gran parte di quanti sono incalzati da questo genere di vita sono l’uomo: una luce che soltanto nello sguardo di un uomo può generare un’immagine nuova
alla ricerca disperata di spazi di silenzio in cui possano mettere radici e crescere. Dobbiamo e significativa del mondo. Scrive Pasolini il 13 maggio 1962: “Solo il sole / imprimendo
tutti sperare che riescano a trovarli”4. pellicola può esprimere / in tanto vecchio odio un po’ di vecchio amore”6.
2. Oggi, a tanti anni di distanza dalla dichiarazione di Rothko e dalla sua tragica fine, nel 3. Sullo schermo di visione della mia camera ottica, nella nitida profondità di campo che dal
tempo dell’arte contemporanea il cui unico valore ormai è solo quello del mercato, io primo piano in cui sono immerso spinge e allarga lo sguardo lungo il punto di fuga verso
continuo a credere nella fotografia come arte, il cui primo scopo è aprire nello sguardo l’orizzonte dell’infinito, il reale mi è apparso sempre indeterminato e mai determinabile.
della coscienza il necessario spazio di silenzio attraverso cui contemplare ancora la forma Aver cercato di accogliere il reale nella sua totalità mi ha via via liberato da ogni possibile
del mondo e la figura del destino. determinazione, mi ha generato all’arte della vita e mi ha spalancato la visione dell’esistenza
Si può ancora vivere della propria arte, al di fuori e contro le logiche del marketing e che, impensata e impensabile, accade sempre nuova in noi e attorno a noi.
della pubblicità, abitando in un paese del sud del mondo soltanto perché lì, in una terra Realismo è l’esperienza e la rappresentazione dell’infinito nel non determinato e nel non
chiusa dai confini del mare, accidentata e difficile come l’Italia, un giorno qualcuno ci determinabile che è l’esistenza del mondo e dell’uomo nel suo essere evento, avvenimento,
ha accolto e amato sino alla fine. Oltre le distanze, gli abissi, i limiti, i mutamenti della storia.
condizione umana, quell’esperienza felice di un sentimento incondizionato e fedele ci ha Posso indicare col nome di realismo infinito il percorso della mia fotografia, perché l’atto
trasmesso la capacità di confessare e affrontare ogni errore e mancanza e ci ha dato la forza in cui essa viene alla luce si genera in questa esperienza e con questa modalità di visione.
di attraversare ogni smarrimento e peccato, donandoci la grazia di vedere la verità della Il realismo infinito è l’accoglienza dell’oggetto da parte del soggetto, è la comprensione
nostra immagine latente nel cuore di ognuno di noi: l’immagine che ciascuno è chiamato dell’Altro da parte dell’io in una relazione che lascia entrambi nella loro irriducibile
a rivelare e portare alla luce del visibile, nel dramma del reale. Su quella scena innalzata differenza e identità, ed è la trascrizione di ciò che è dato nel mondo davanti agli occhi e
attorno a noi come un labirinto, tra meandri, paradossi e contraddizioni del pensiero, il dentro gli occhi dell’uomo in immagine che lo rappresenta. L’immagine nella mia opera si
nostro sguardo osserva e contempla le forme e le figure del visibile con stupore e spavento, pone come specchio del mondo ed è sempre rivelazione della morte dell’uomo, non solo
meraviglia e repulsione, gioia e indifferenza sino alla noia: lo sguardo le riconosce tutte perché l’accoglienza, la comprensione, la trascrizione del dato ne indicano la presenza
apparentemente nominabili, descrivibili, eppure nello stesso tempo le scorge permanere nel mondo ma, soprattutto, perché è la dinamica stessa di questa accoglienza, di questa

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erede della tradizione artistica occidentale; essa, in ogni momento del suo processo, è un 3 5 altrettanto indicibili, non rappresentabili, indeterminabili, ultimamente non conoscibili
dono reso possibile dall’evoluzione continua della scienza e dell’industria e, grazie alla Andrej Tarkovskij, Scolpire il in Photography speaks, edited come un enigma senza soluzione, e le vede quindi mutare, corrompersi nell’evidenza stessa
tempo, Ubulibri, Milano 1988, by Brooks Johnson, New
rivoluzione delle tecnologie digitali, è forse quella più praticata e diffusa nel circuito ormai pp. 38-39. York 1989.
della loro esistenza, del loro uso, della loro liturgia, decadere allo stato di rudere e rovina,
planetario dell’arte contemporanea. ridursi a frammento e reperto catalogato negli ordinati scaffali di un nuovo museo o di
Su questo decisivo e problematico aspetto, ritengo fondante quanto scrive Andrej 4 6 un parco archeologico, fino a smarrirsi tra un mare di luce e buio nella polvere che invano
Mark Rothko, Scritti sull’arte, Pierpaolo Pasolini, Poesia in
Tarkovskij sulla differenza di principio e di metodo tra la modalità di conoscenza ha cercato di redimere l’arte alchemica di Marchel Duchamp. La passione dell’anima e
Donzelli, Roma 2006, p. 219. forma di rose, in Bestemmia 2,
scientifica e la modalità di conoscenza artistica: “Per mezzo dell’arte l’uomo si appropria Milano 1999. la crocefissione dello spirito nel dramma della realtà, il ricordo di chi non è più tra noi,
della realtà attraverso un’esperienza soggettiva. Nella scienza la conoscenza umana sparito per sempre dall’orizzonte del nostro sguardo, riportano il cuore al dolore primo e
del mondo procede lungo i gradini di una scala senza fine, venendo rimpiazzata da ultimo, ci spingono inesorabilmente verso quel punto estremo dove i confini del visibile
sempre nuove conoscenze su di essa, che spesso si confutano a vicenda in nome di verità schiumano sino a svanire sull’orlo di quella superficie senza fine da cui siamo emersi come
oggettive e particolari. La scoperta artistica, invece, nasce ogni volta come un’immagine isole nel mare del tempo.
nuova e irripetibile del mondo, come un geroglifico della verità assoluta. Essa si presenta In quel battito interiore che pulsa nel buio senza fondo del nostro respiro, il sentimento
come una rivelazione, come un desiderio appassionato e improvviso di afferrare di chi ci ha accolto e amato sino alla fine permane, luminoso come l’angelo sulla soglia del
intuitivamente tutto in una volta le leggi del mondo, la sua bellezza e il suo orrore, la sepolcro all’alba di quel nuovo giorno, il primo dopo il Sabato. Vivo oltre ogni possibile
sua umanità e la sua crudeltà, la sua infinità e la sua finitezza. L’artista le esprime creando fine, quel volto umano presente nella memoria, nella morte contempla e rispecchia uno
l’immagine artistica, che è uno strumento sui generis per cogliere l’assoluto. Per mezzo sguardo divino e infinito. Si può rimanere fermi e increduli ai margini di quelle tenebre
dell’immagine si mantiene la percezione dell’infinito dove esso viene espresso attraverso che salgono e s’infittiscono sino a coprire e spegnere ogni scintilla di luce nei nostri occhi.
il finito: lo spirituale attraverso il materiale, l’illimitato grazie al limite … L’arte esiste Si può aver fede in quella luce sino a immergersi nell’acqua interiore dello spirito e farsi
e si afferma là dove esiste quell’eterna insaziabile nostalgia dello spirito e dell’ideale portare dal suo fluire, attraverso ogni dimensione del reale, lungo la linea tracciata da quel
che raccoglie gli uomini attorno all’arte. è sbagliata la via per la quale si è avviata l’arte punto di fuga verso l’infinito che crea e sostiene in ogni istante del tempo l’impensabile
contemporanea, rinunciando alla ricerca del significato della vita in nome del valore profondità di una prospettiva eterna, nella mobile e viva dimora di ognuno di noi nella
autonomo della persona”3. gioia. Con Walker Evans posso dire che “quello che faccio è un atto di fede. Altri possono
Forse perché nato e vissuto in Russia sino all’età di dieci anni, Mark Rothko, pur accettando chiamarlo presunzione, ma io ho fede e convinzione. Mi è stata data e l’ho usata. Ho
con intensa sofferenza la commercializzazione dell’arte attraverso le gallerie, perché sofferto per la sua mancanza ma, ora che l’ho ricevuta, credo che appaia come una forma
assolutamente necessaria alla realizzazione della propria opera, nell’ultimo periodo della di egocentrismo. Devo aver fede o non posso agire. Penso che quel che faccio sia valido e
sua esistenza si è battuto con durezza implacabile contro la mercificazione indotta dalla che sia giusto farlo, e uso il termine trascendente”5.
Pop Art, che ha inserito la strategia del marketing pubblicitario all’interno del principio e Ogni vista, anche quella sulla più desolata e insignificante provincia della banalizzazione
del processo creativo dell’opera. globale, può assumere l’aspetto luminoso di un evento inaspettato e può mutarsi nello
La trasformazione del mercato della fotografia, intesa come opera d’arte, da una splendore di un’azione su cui non si può pretendere alcun potere o possesso e su cui
commercializzazione necessaria alla vita verso una mercificazione pianificata per le è impossibile esercitare alcuna forma di conoscenza definitiva. Ogni vista è immagine e
speculazioni finanziarie dell’economia globalizzata, è avvenuta, nel corso della mia come tale, nella prossimità rappresentabile di tutto ciò che ci circonda, mantiene intatta e
generazione, e per raccontare quanto avvenuto non posso trovare parole migliori di intangibile la presenza smisurata e sconfinata della totalità, l’evidenza di un mistero che
quelle scritte e dette da Rothko in occasione della Laurea Honoris Causa conferitagli appare in essa e attraverso di essa si fa visibile.
dall’Università di Yale: “Quand’ero più giovane, l’arte era una cosa solitaria: nessuna Quando il fuoco dell’obiettivo è accordato sul segno dell’infinito, anche la fotografia,
galleria, nessun collezionista, nessun critico, nessun soldo. Tuttavia era un’età dell’oro, nell’abbraccio della sua vista, si riscopre capace di attraversare ogni nascosta profondità del
perché non avevamo niente da perdere e avevamo una visione da guadagnare. Oggi non è reale, facendola emergere nel visibile della rappresentazione. Attraverso lo sguardo di una
più come una volta. è un periodo su cui pesano la prolissità, l’attivismo, il consumismo. persona, in quel punto e in quel momento, la speculare opacità di una fotografia può farsi
Quale condizione sia migliore per il mondo nel suo insieme, è quanto non mi arrischierò diafana trasparenza di una luce sul mondo e sull’uomo che precede e crea sia il mondo sia
a discutere. Ma so che gran parte di quanti sono incalzati da questo genere di vita sono l’uomo: una luce che soltanto nello sguardo di un uomo può generare un’immagine nuova
alla ricerca disperata di spazi di silenzio in cui possano mettere radici e crescere. Dobbiamo e significativa del mondo. Scrive Pasolini il 13 maggio 1962: “Solo il sole / imprimendo
tutti sperare che riescano a trovarli”4. pellicola può esprimere / in tanto vecchio odio un po’ di vecchio amore”6.
2. Oggi, a tanti anni di distanza dalla dichiarazione di Rothko e dalla sua tragica fine, nel 3. Sullo schermo di visione della mia camera ottica, nella nitida profondità di campo che dal
tempo dell’arte contemporanea il cui unico valore ormai è solo quello del mercato, io primo piano in cui sono immerso spinge e allarga lo sguardo lungo il punto di fuga verso
continuo a credere nella fotografia come arte, il cui primo scopo è aprire nello sguardo l’orizzonte dell’infinito, il reale mi è apparso sempre indeterminato e mai determinabile.
della coscienza il necessario spazio di silenzio attraverso cui contemplare ancora la forma Aver cercato di accogliere il reale nella sua totalità mi ha via via liberato da ogni possibile
del mondo e la figura del destino. determinazione, mi ha generato all’arte della vita e mi ha spalancato la visione dell’esistenza
Si può ancora vivere della propria arte, al di fuori e contro le logiche del marketing e che, impensata e impensabile, accade sempre nuova in noi e attorno a noi.
della pubblicità, abitando in un paese del sud del mondo soltanto perché lì, in una terra Realismo è l’esperienza e la rappresentazione dell’infinito nel non determinato e nel non
chiusa dai confini del mare, accidentata e difficile come l’Italia, un giorno qualcuno ci determinabile che è l’esistenza del mondo e dell’uomo nel suo essere evento, avvenimento,
ha accolto e amato sino alla fine. Oltre le distanze, gli abissi, i limiti, i mutamenti della storia.
condizione umana, quell’esperienza felice di un sentimento incondizionato e fedele ci ha Posso indicare col nome di realismo infinito il percorso della mia fotografia, perché l’atto
trasmesso la capacità di confessare e affrontare ogni errore e mancanza e ci ha dato la forza in cui essa viene alla luce si genera in questa esperienza e con questa modalità di visione.
di attraversare ogni smarrimento e peccato, donandoci la grazia di vedere la verità della Il realismo infinito è l’accoglienza dell’oggetto da parte del soggetto, è la comprensione
nostra immagine latente nel cuore di ognuno di noi: l’immagine che ciascuno è chiamato dell’Altro da parte dell’io in una relazione che lascia entrambi nella loro irriducibile
a rivelare e portare alla luce del visibile, nel dramma del reale. Su quella scena innalzata differenza e identità, ed è la trascrizione di ciò che è dato nel mondo davanti agli occhi e
attorno a noi come un labirinto, tra meandri, paradossi e contraddizioni del pensiero, il dentro gli occhi dell’uomo in immagine che lo rappresenta. L’immagine nella mia opera si
nostro sguardo osserva e contempla le forme e le figure del visibile con stupore e spavento, pone come specchio del mondo ed è sempre rivelazione della morte dell’uomo, non solo
meraviglia e repulsione, gioia e indifferenza sino alla noia: lo sguardo le riconosce tutte perché l’accoglienza, la comprensione, la trascrizione del dato ne indicano la presenza
apparentemente nominabili, descrivibili, eppure nello stesso tempo le scorge permanere nel mondo ma, soprattutto, perché è la dinamica stessa di questa accoglienza, di questa

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comprensione, di questa trascrizione a chiedere e imporre una sorta di morte spirituale Urgenza nella città
del soggetto, un suo cosciente e consapevole mettersi da parte, un suo sacrificio libero
e necessario. Il soggetto deve appiattirsi fino a diventare un semplice e puro piano di
riflessione, affinché su questa superficie possa apparire, nella rappresentazione, l’immagine
speculare dell’oggetto. L’io deve annullare la propria presenza sino a cambiarla nel suo Enrico Crispolti
contrario, in vuoto: solo nel vuoto dell’io può infatti farsi visibile la presenza dell’Altro.
L’appiattirsi del soggetto, l’annullarsi dell’io costruiscono la sola scena in cui è possibile
questa rappresentazione. E, per quanto mi riguarda, questa è l’unica scena possibile per
una rappresentazione veritiera e verosimile del mondo. La rappresentazione messa in scena
Per gentile concessione “L’arte, necessaria come la scienza, sebbene non sufficiente”, scrive Lefebvre, “contribuisce
dall’immagine ottica si configura inevitabilmente come dramma: non solo perché la vita dell’Autore, questo testo
dell’uomo è tale, ma perché questa immagine nel suo stesso farsi è dramma, necessitando alla realizzazione della società urbana con la sua larga meditazione sulla vita come dramma
ripropone quanto già
del dinamismo di appiattimento del soggetto e di annullamento dell’io per poter diventare e come gioia. Inoltre e soprattutto, l’arte restituisce il senso dell’opera, consente figure
pubblicato in Urgenza nella
visibile. L’atto del mio fotografare è l’atto della messa in scena di questa rappresentazione: città. Proposte di intervento molteplici di tempi e di spazi appropriati: non subìti, non accettati da una rassegnazione
è realismo infinito in quanto rivela la forma e la figura di quella parte reale del mondo che di Francesco Somaini, testo passiva, ma trasformati in opera. (...) Alla forza sociale capace di realizzare la società
è l’uomo, uomo che è formalmente e figurativamente dramma, ovvero movimento vivente di Enrico Crispolti, Mazzotta urbana compete di rendere effettiva ed efficace l’unità (la sintesi) dell’arte, della tecnica,
Editore, Milano, 1972, 1973, della conoscenza” (Il diritto alla città, Marsilio Editori, Padova, 1970, p. 132).
chiamato alla ricerca senza fine del proprio senso. Un movimento che è il dramma in cui
pp. 259-262. L’arte agisce sulla fisicità urbana, interviene anzitutto nello spazio architettonico, e tuttavia,
il pulviscolo molecolare della materia, la polvere costitutiva del mondo, prende la forma
e la figura dell’uomo, trasformandosi e trasfigurandosi in immagine e somiglianza di Dio. per non essere mera cosmesi, deve avvertire che la dimensione stessa dell’architettura,
Nella mia fotografia il reale si rivela nella definitività dell’evento, nell’istante che è sezione come sottolinea Aldo Rossi, “non rappresenta che un aspetto di una realtà più complessa,
aurea del tempo: istante che è morte e quindi fine del movimento stesso, istante che è di una particolare struttura, ma nel contempo, essendo il dato ultimo verificabile di questa
memoria e apertura al senso eterno, origine e destino di questo movimento. realtà, essa costituisce il punto di vista più concreto con cui affrontare il problema”
Scaturito dal mistero profondo del mondo e dell’uomo e aperto all’infinito, questo (L’architettura della città, Marsilio Editori, Padova, 1970, p. 23). E al tempo stesso
movimento attraverso la propria morte supera ogni disgregazione della morte stessa, permette di agire sui valori simbolici urbani, i cui caratteri normativi e formativi sono stati
ogni momentanea indifferenza, ogni possibile uniformità della dimenticanza. E sulla via lungamente sottolineati in queste pagine.
del realismo infinito, nel configurarsi come punto di fuga e forma dell’istante, l’immagine Si tratta tuttavia appunto di far compiere alla nozione di necessaria arte urbana un salto
della fotografia può diventare specchio della vita dell’uomo, testimonianza e memoria di livello qualitativo: da intervento cosmetico a intervento formativo, dunque aperto
dell’irriducibile presenza del mondo e del senso dello stare al mondo. La piatta superficie dialetticamente alle componenti di quella realtà dell’ “urbano” protagoniste della più
su cui Marcel Duchamp può solo realizzare L’allevamento di polvere si capovolge nel piano ampia (non meramente estetica e formalistica) fruizione dell’arte urbana. Ancora Lefebvre
della scacchiera, nei quadrati bianchi e neri in cui si svolge la partita del nostro destino. sottolinea questo punto: “Mettere l’arte a servizio dell’urbano non significa affatto
ingentilire lo spazio urbano con oggetti d’arte. Questa parodia del possibile si denuncia da
4. Il mondo dell’uomo nelle mie immagini si rivela come un piano senza fine immerso in
sé come caricatura. Noi vogliamo che i tempo-spazio diventino opera d’arte e che l’arte
una sorta di luminosa lontananza sospesa nel tempo. L’evidenza degli elementi in primo
del passato si riconsideri come modo di fruizione dello spazio e del tempo. (...) Lasciando
piano cerca di non invadere e non chiudere mai l’enigmatica ampiezza del campo visivo; e
la rappresentazione, l’ornamento, la decorazione, l’arte può diventare praxis e poiesis a
così fa in modo che lo sguardo si possa aprire lentamente alla percezione degli eventi che
scala sociale, l’arte di vivere nella città come opera d’arte. Ritornando allo stile, all’opera,
sono rappresentati il più delle volte lungo l’ultima profondità della scena, o addirittura
vale a dire al senso del monumento e dello spazio fruito nella festa, l’arte può preparare
sulla soglia dell’orizzonte. Il tempo di questo movimento dello sguardo è analogo al
delle “strutture affascinanti”. L’architettura da sola non saprebbe né restringere né aprire
lento musicale: è il tempo del contemplare, reso possibile dalla rarefazione degli elementi
delle prospettive. Occorre di più, di meglio, altro. L’architettura come arte e come tecnica
significativi e dalla loro messa a distanza sull’alzato degli assi prospettici di terra. È un vuoto
ha anch’essa bisogno di un orientamento. Necessaria, essa non saprebbe bastare a se stessa
necessario al vedere come il silenzio interiore è necessario per ascoltare dai margini di un
né l’architetto saprebbe fissare i suoi scopi e determinare la sua strategia. In altre parole
parco, o dalle ultime vie di una periferia, i suoni che si alzano dalla città e per distinguere
l’avvenire dell’arte non è artistico ma urbano. Perché l’avvenire dell’ “uomo” non si scopre
tra il rumore della risacca del mare l’abbaiare di un cane, o le voci di uomini e donne
né nel cosmo, né nel popolo, né nella produzione ma nella società urbana” (Il diritto…,
portate dal vento con le grida di ragazzi che giocano al pallone sulla spiaggia lontana. Lo
sguardo non deve essere colpito da nulla: nulla che provenga dall’interno dell’immagine cit., pp.152-153).
deve imporsi con forza alla coscienza. Lo sguardo deve poter decidere liberamente se e La difficoltà di questa nuova arte urbana sarà proprio nella sua capacità di superare i limiti
come inoltrarsi nell’immagine e, dopo aver attraversato i diversi livelli della fotografia tradizionali di una fruizione meramente estetica (non da annullare, bensì da disporre come
messi nitidamente a fuoco dal primo piano sino all’infinito del punto di fuga, da questo componente, come aspetto fra le diverse capacità di sollecitazione simbolica emotivo-
punto volgersi verso il proprio interno, dentro la coscienza, e da qui volgersi ancora verso memorativa alla quale nell’“urbano” è chiamata a corrispondere). “L’arte è necessaria, nella
l’esterno. In questo viaggio, che tocca il limite estremo dell’oggetto che è il mondo e del disposizione delle città come negli altri campi della vita umana”, avverte la Jacobs, “per
soggetto che è l’uomo, credo che ogni aspetto del reale si possa rivelare come vista sublime, aiutarci a capire la vita stessa, per mostrarcene i significati, per chiarire le relazioni tra la
traccia di una prossimità amica, eco di un ricordo rimosso e ritornato alla luce come un vita che s’impersona in ciascuno di noi e quella che ci circonda; più di tutto, forse, abbiamo
presentimento d’amore. bisogno dell’arte per rassicurare noi stessi della nostra umanità. Ma per quanto l’arte e la
In questo percorso dello sguardo, nella lontananza che l’immagine apre alla coscienza io vita siano strettamente connesse tra loro, non sono la stessa cosa. La confusione tra le due
esperimento tutta la distanza che mi separa dal mondo, da quel mondo che io stesso dovrei cose è uno dei motivi per cui gli sforzi dell’architettura urbana riescono così deludenti, ed
cominciare a essere. E fotografia dopo fotografia io esperimento la gioia dell’infinita libertà è importante eliminare tale confusione per poter elaborare tattiche e strategie più efficaci
donata al mondo e all’uomo. in questo campo. L’arte ha certe sue peculiari – e rigorose – forme di ordine: quale che sia
il mezzo di cui si servono, gli artisti compiono delle scelte tra l’abbondante materiale che
la vita offre loro e organizzano gli elementi scelti in opere che essi stessi condizionano.
Naturalmente l’artista si rende conto di essere a sua volta condizionato dalle esigenze
dell’opera, ossia dalle scelte di materiali da lui fatte. Il risultato quasi miracoloso di questo
processo – nel caso che la selezione, l’organizzazione e il condizionamento siano congruenti
tra loro – può essere arte. Ma l’essenza di questo processo consiste nell’esercitare sulla vita

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comprensione, di questa trascrizione a chiedere e imporre una sorta di morte spirituale Urgenza nella città
del soggetto, un suo cosciente e consapevole mettersi da parte, un suo sacrificio libero
e necessario. Il soggetto deve appiattirsi fino a diventare un semplice e puro piano di
riflessione, affinché su questa superficie possa apparire, nella rappresentazione, l’immagine
speculare dell’oggetto. L’io deve annullare la propria presenza sino a cambiarla nel suo Enrico Crispolti
contrario, in vuoto: solo nel vuoto dell’io può infatti farsi visibile la presenza dell’Altro.
L’appiattirsi del soggetto, l’annullarsi dell’io costruiscono la sola scena in cui è possibile
questa rappresentazione. E, per quanto mi riguarda, questa è l’unica scena possibile per
una rappresentazione veritiera e verosimile del mondo. La rappresentazione messa in scena
Per gentile concessione “L’arte, necessaria come la scienza, sebbene non sufficiente”, scrive Lefebvre, “contribuisce
dall’immagine ottica si configura inevitabilmente come dramma: non solo perché la vita dell’Autore, questo testo
dell’uomo è tale, ma perché questa immagine nel suo stesso farsi è dramma, necessitando alla realizzazione della società urbana con la sua larga meditazione sulla vita come dramma
ripropone quanto già
del dinamismo di appiattimento del soggetto e di annullamento dell’io per poter diventare e come gioia. Inoltre e soprattutto, l’arte restituisce il senso dell’opera, consente figure
pubblicato in Urgenza nella
visibile. L’atto del mio fotografare è l’atto della messa in scena di questa rappresentazione: città. Proposte di intervento molteplici di tempi e di spazi appropriati: non subìti, non accettati da una rassegnazione
è realismo infinito in quanto rivela la forma e la figura di quella parte reale del mondo che di Francesco Somaini, testo passiva, ma trasformati in opera. (...) Alla forza sociale capace di realizzare la società
è l’uomo, uomo che è formalmente e figurativamente dramma, ovvero movimento vivente di Enrico Crispolti, Mazzotta urbana compete di rendere effettiva ed efficace l’unità (la sintesi) dell’arte, della tecnica,
Editore, Milano, 1972, 1973, della conoscenza” (Il diritto alla città, Marsilio Editori, Padova, 1970, p. 132).
chiamato alla ricerca senza fine del proprio senso. Un movimento che è il dramma in cui
pp. 259-262. L’arte agisce sulla fisicità urbana, interviene anzitutto nello spazio architettonico, e tuttavia,
il pulviscolo molecolare della materia, la polvere costitutiva del mondo, prende la forma
e la figura dell’uomo, trasformandosi e trasfigurandosi in immagine e somiglianza di Dio. per non essere mera cosmesi, deve avvertire che la dimensione stessa dell’architettura,
Nella mia fotografia il reale si rivela nella definitività dell’evento, nell’istante che è sezione come sottolinea Aldo Rossi, “non rappresenta che un aspetto di una realtà più complessa,
aurea del tempo: istante che è morte e quindi fine del movimento stesso, istante che è di una particolare struttura, ma nel contempo, essendo il dato ultimo verificabile di questa
memoria e apertura al senso eterno, origine e destino di questo movimento. realtà, essa costituisce il punto di vista più concreto con cui affrontare il problema”
Scaturito dal mistero profondo del mondo e dell’uomo e aperto all’infinito, questo (L’architettura della città, Marsilio Editori, Padova, 1970, p. 23). E al tempo stesso
movimento attraverso la propria morte supera ogni disgregazione della morte stessa, permette di agire sui valori simbolici urbani, i cui caratteri normativi e formativi sono stati
ogni momentanea indifferenza, ogni possibile uniformità della dimenticanza. E sulla via lungamente sottolineati in queste pagine.
del realismo infinito, nel configurarsi come punto di fuga e forma dell’istante, l’immagine Si tratta tuttavia appunto di far compiere alla nozione di necessaria arte urbana un salto
della fotografia può diventare specchio della vita dell’uomo, testimonianza e memoria di livello qualitativo: da intervento cosmetico a intervento formativo, dunque aperto
dell’irriducibile presenza del mondo e del senso dello stare al mondo. La piatta superficie dialetticamente alle componenti di quella realtà dell’ “urbano” protagoniste della più
su cui Marcel Duchamp può solo realizzare L’allevamento di polvere si capovolge nel piano ampia (non meramente estetica e formalistica) fruizione dell’arte urbana. Ancora Lefebvre
della scacchiera, nei quadrati bianchi e neri in cui si svolge la partita del nostro destino. sottolinea questo punto: “Mettere l’arte a servizio dell’urbano non significa affatto
ingentilire lo spazio urbano con oggetti d’arte. Questa parodia del possibile si denuncia da
4. Il mondo dell’uomo nelle mie immagini si rivela come un piano senza fine immerso in
sé come caricatura. Noi vogliamo che i tempo-spazio diventino opera d’arte e che l’arte
una sorta di luminosa lontananza sospesa nel tempo. L’evidenza degli elementi in primo
del passato si riconsideri come modo di fruizione dello spazio e del tempo. (...) Lasciando
piano cerca di non invadere e non chiudere mai l’enigmatica ampiezza del campo visivo; e
la rappresentazione, l’ornamento, la decorazione, l’arte può diventare praxis e poiesis a
così fa in modo che lo sguardo si possa aprire lentamente alla percezione degli eventi che
scala sociale, l’arte di vivere nella città come opera d’arte. Ritornando allo stile, all’opera,
sono rappresentati il più delle volte lungo l’ultima profondità della scena, o addirittura
vale a dire al senso del monumento e dello spazio fruito nella festa, l’arte può preparare
sulla soglia dell’orizzonte. Il tempo di questo movimento dello sguardo è analogo al
delle “strutture affascinanti”. L’architettura da sola non saprebbe né restringere né aprire
lento musicale: è il tempo del contemplare, reso possibile dalla rarefazione degli elementi
delle prospettive. Occorre di più, di meglio, altro. L’architettura come arte e come tecnica
significativi e dalla loro messa a distanza sull’alzato degli assi prospettici di terra. È un vuoto
ha anch’essa bisogno di un orientamento. Necessaria, essa non saprebbe bastare a se stessa
necessario al vedere come il silenzio interiore è necessario per ascoltare dai margini di un
né l’architetto saprebbe fissare i suoi scopi e determinare la sua strategia. In altre parole
parco, o dalle ultime vie di una periferia, i suoni che si alzano dalla città e per distinguere
l’avvenire dell’arte non è artistico ma urbano. Perché l’avvenire dell’ “uomo” non si scopre
tra il rumore della risacca del mare l’abbaiare di un cane, o le voci di uomini e donne
né nel cosmo, né nel popolo, né nella produzione ma nella società urbana” (Il diritto…,
portate dal vento con le grida di ragazzi che giocano al pallone sulla spiaggia lontana. Lo
sguardo non deve essere colpito da nulla: nulla che provenga dall’interno dell’immagine cit., pp.152-153).
deve imporsi con forza alla coscienza. Lo sguardo deve poter decidere liberamente se e La difficoltà di questa nuova arte urbana sarà proprio nella sua capacità di superare i limiti
come inoltrarsi nell’immagine e, dopo aver attraversato i diversi livelli della fotografia tradizionali di una fruizione meramente estetica (non da annullare, bensì da disporre come
messi nitidamente a fuoco dal primo piano sino all’infinito del punto di fuga, da questo componente, come aspetto fra le diverse capacità di sollecitazione simbolica emotivo-
punto volgersi verso il proprio interno, dentro la coscienza, e da qui volgersi ancora verso memorativa alla quale nell’“urbano” è chiamata a corrispondere). “L’arte è necessaria, nella
l’esterno. In questo viaggio, che tocca il limite estremo dell’oggetto che è il mondo e del disposizione delle città come negli altri campi della vita umana”, avverte la Jacobs, “per
soggetto che è l’uomo, credo che ogni aspetto del reale si possa rivelare come vista sublime, aiutarci a capire la vita stessa, per mostrarcene i significati, per chiarire le relazioni tra la
traccia di una prossimità amica, eco di un ricordo rimosso e ritornato alla luce come un vita che s’impersona in ciascuno di noi e quella che ci circonda; più di tutto, forse, abbiamo
presentimento d’amore. bisogno dell’arte per rassicurare noi stessi della nostra umanità. Ma per quanto l’arte e la
In questo percorso dello sguardo, nella lontananza che l’immagine apre alla coscienza io vita siano strettamente connesse tra loro, non sono la stessa cosa. La confusione tra le due
esperimento tutta la distanza che mi separa dal mondo, da quel mondo che io stesso dovrei cose è uno dei motivi per cui gli sforzi dell’architettura urbana riescono così deludenti, ed
cominciare a essere. E fotografia dopo fotografia io esperimento la gioia dell’infinita libertà è importante eliminare tale confusione per poter elaborare tattiche e strategie più efficaci
donata al mondo e all’uomo. in questo campo. L’arte ha certe sue peculiari – e rigorose – forme di ordine: quale che sia
il mezzo di cui si servono, gli artisti compiono delle scelte tra l’abbondante materiale che
la vita offre loro e organizzano gli elementi scelti in opere che essi stessi condizionano.
Naturalmente l’artista si rende conto di essere a sua volta condizionato dalle esigenze
dell’opera, ossia dalle scelte di materiali da lui fatte. Il risultato quasi miracoloso di questo
processo – nel caso che la selezione, l’organizzazione e il condizionamento siano congruenti
tra loro – può essere arte. Ma l’essenza di questo processo consiste nell’esercitare sulla vita

26 27
una selezione disciplinata e fortemente discriminatoria. In confronto alla comprensività avvertito io stesso anni fa a proposito di iniziative di Argan sostanzialmente analoghe (cfr.
e alla complessità veramente illimitata della vita, l’arte è arbitraria, simbolica e astrattiva: ora in Ricerche dopo l’Informale, Officina Edizioni, Roma, 1968, pp. 145-155). Somaini
in ciò consiste la sua validità e da ciò nasce il suo particolare tipo di ordine e di coerenza. rinnova invece nelle sue proposte la fiducia in un’azione dell’arte come stimolo formativo
Accostarsi ad una città, o anche soltanto ad un quartiere urbano, come se si trattasse sì specifico, ma contributivo piuttosto che concorrenziale, e senza alcuna insana pretesa
di un problema di architettura di dimensioni più ampie, in cui fosse possibile mettere d’impossibile e irrealistica globalità. Ma proprio perciò rinnova nel modo più autentico
ordine trasformandolo in una disciplinata opera d’arte, significa commettere l’errore di la fiducia di una possibilità d’azione contestatrice dell’arte e attraverso l’arte, in quanto
voler sostituire l’arte alla vita. Il risultato di questa sostanziale confusione tra arte e vita promozione conoscitiva che non si sostitusce alla politica, né alla tecnologia, bensì che con
non è né vita né arte: è imbalsamazione. (...) Quest’abuso dell’arte uccide la vita e l’arte queste prospettive operative concorre in unico ideale politico (nel senso più alto) di lotta
stessa: il risultato è un impoverimento, anziché un arricchimento della vita”. E dunque: di rinnovamento culturale e civile).
“Invece di cercare di sostituire l’arte alla vita, gli architetti urbani dovrebbero tornare ad Mentre è proprio a una trasformazione dei princìpi generatori del piano d’intervento
una strategia che nobiliti sia l’arte, sia la vita, e che valga a illuminare e a chiarire la vita, che Somaini mira nella sua “tattica di suggestione”, direbbe la Jacobs (al contrario dei
a spiegarcene i significati e l’ordine: nel caso in questione, ad una strategia che valga ad monumenti tecnologici che ripercorrono vecchi modi di assenza). E la trasformazione, s’è
illuminare, chiarire e spiegare l’ordine urbano”. Il quale tuttavia è non irreggimentazione detto, avviene in un’apertura dialettica. Perciò Somaini è giunto a sollecitazioni progettuali,
di forme “in una certa regolarità”, bensì “ordine funzionale” (Vita e morte delle grandi più che a veri e propri progetti. Perché per andare oltre occorre appunto l’équipe, occorre
città, Einaudi, Torino, 1969, pp. 349-350, 352). la ricerca interdisciplinare, occorre cioè la più ampia possibilità di dialogo con la “vita”,
A questo punto, se l’artista (come Somaini propone) interviene pariteticamente nell’équipe con l’ “urbano” nella sua realtà (anche se poi gli interventi che Somaini propone sono
dei progettisti, la sua condizione dialettica e aperta sarà quella stessa tipicamente proposta proprio intesi a potenziare ulteriormente questo “urbano”).
ai progettisti urbani non utopistici, come bene indicata da Chermayeff e Alexander: Somaini intende agire sui “segni” della città, sul suo patrimonio di simboli, ma non
“Perché il suo lavoro sia coerente con i continui mutamenti tecnologici, è necessario partendo da esso, approdandovi invece da un incontro diretto appunto, con il livello vitale
che il progettista non solo impari a tenere conto dei dati scientifici, sociali e tecnici dell’ “urbano”, da istanze dunque extra-formali alle quali dare forma simbolica. Perciò
comunemente noti (esterni al suo campo ma influenti per via indiretta sul suo lavoro), ma non propone “forme” per la città, bensì provocazioni simboliche: non icone distanti,
anche si abitui a considerare i fattori in gran parte “invisibili” che il più delle volte a un più bensì spazi funzionali altamente emotivi. “La città e l’urbano”, scrive Lefebvre, “non si
attento esame, risultano avere implicazioni importantissime per la forma fisica. La forma ricompongono partendo dai segni della città, dai semantemi dell’urbano, e ciò anche se
è l’espressione organizzata di un’esigenza, il prodotto finale di un processo di risposta la città è un insieme significante. La città non è solo un linguaggio ma una prassi” (Il
a determinate pressioni. (...) La prima fase del processo di progettazione deve quindi diritto…, cit., p. 116).
consistere nella precisa enunciazione delle forze che agiscono e della struttura di pressioni
che la forma deve riflettere. (...) Il ritorno del progettista a una sua libertà arbitraria è
forse un vano tentativo di rivendicare quell’umanesimo che spesso ci sembra di perdere
proprio mentre facciamo crescenti progressi nel campo della scienza e della tecnologia.
Ma in pratica, purtroppo, questo atteggiamento conduce soltanto a forme decorative che Condizioni e possibililtà urbane delle arti
lasciano insoluti i nuovi problemi. I progettisti devono affrontare la realtà della scienza e
della tecnologia: l’unica vera speranza di rinascita dell’umanesimo sta nella loro capacità di Per gentile concessione Quella che si è a lungo indicata per “qualità della vita”, e che nella sua perdurante attualità
sfruttare al massimo la tecnica” (Spazio di relazione e spazio privato, Il Saggiatore, Milano, dell’Autore, questo testo di valore di riferimento oggi più puntualmente potremmo chiamare “qualità del vissuto”,
ripropone quanto già o forse, meglio, “del vivibile”, verificabile dunque nel quotidiano, si fonda sostanzialmente
1968, pp. 128, 129, 130, 131).
pubblicato in Condizioni e sulla qualità d’immagine e di conformazione che connota l’ambiente fisico del vissuto,
Gli interventi plastici contestatori che Somaini propone non sono atecnologici (chiameranno possibililtà urbane delle arti,
infatti la tecnologia stessa a realizzarli così monumentali come sono), quanto contrari ad in io arte > noi città. Natura e
quindi del vivibile, considerato in condizione individuale altrettanto che sociale. Ritengo
un prepotere di tecnologismo. Del resto gli stessi Chermayeff e Alexander avvertono: “Le cultura dello spazio urbano, a opportuno ricordarlo come premessa avvertendo che l’ambiente fisico del vissuto, del
tecniche più avanzate, i materiali più “rivoluzionari” non determinano automaticamente cura di Patrizia Ferri, Daniela vivibile, collettivo quanto individuale, è soprattutto naturalmente urbano. Quanto
un progresso. Naturalmente, le materie sintetiche e i ritrovati meccanici hanno loro qualità Fonti e Manuela Crescentini, costituisce tuttora il fascino irripetibile delle città storiche europee e a maggior ragione
Gangemi Editore, Roma, delle grandi, intermedie, piccole, città italiane, che rappresentano una così ampia parte
specifiche, loro giuste funzioni. Ma il fatto di saper fabbricare un contenitore di plastica
2006, pp. 217-218 e 224-227. di un tale patrimonio, è certamente proprio una qualità d’immagine e di conformazione
a forma di casa e di riempirlo di aggeggi meccanici non costituisce certo un progresso nel
campo dell’alloggio, se il piano è ispirato a princìpi superati” (Spazio di …, cit. pp. 78-79). ambientale di sedimento storico profondo. E va sottolineato come questa qualità (che
Siamo in una prospettiva ben diversa da intenzioni di privativa cosmesi estetica della città tuttavia di per sé rimane misura ottimale di valore riferibile anche alla città moderna, alla
o della vita che sia, di “esteticità diffusa”, come è stato detto, intendendo addirittura una metropoli contemporanea) risulti da un secolare lavoro complesso, stratificato, di architetti,
“prospettiva estetica, posta come alternativa o integrazione” alla “prospettiva politica” e urbanisti, artisti, decoratori, artigiani, insomma da un concorso molteplice, dialetticamente
alla “prospettiva tecnologica”, e che si assumerebbe “il compito di reintegrare individuo costituitosi nel tempo e nello spazio in un confronto di proposizioni specifiche di segni e
e ambiente, di ricostituire l’equilibrio e la globalità della persona umana”, privilegiando di forme, di immagini e di conformazioni.
dunque “il fattore estetico inteso come processualità operativa e modello di comportamento, Ciò premesso, rispondendo all’intenzione sostanzialmente di una riflessione propositiva
con cui l’individuo recupera la propria interezza vitale al livello dell’esistenza quotidiana”. (piuttosto che soltanto di recensione retrospettiva), il cui tema specifico – va tenuto
E in realtà si tratterebbe di un ennesima approssimazione utopistica, che teorizza uno presente – è la prospettiva di un recupero di presenza attiva, progettuale e realizzativa
scantonamento dalla realtà imperiosa del problema attuale – non per nulla si parla di delle arti nella costruzione dell’immagine urbana, in rapporto dunque con la progettualità
nutrire “di nuova linfa la progettazione architettonica e il design della città del futuro” architettonica, questo mio intervento, intenzionato a riflettere su condizioni e possibilità
(cfr. F. Menna, Profezia di una società estetica, Lerici, Roma, 1968, pp. 11, 12, 13, 149) urbane delle arti, si svilupperà in due parti, fra di loro ben distinte ma certamente
– tuttavia con un significato particolarmente reazionario quando si suggerisce all’artista complementari. Intendendo appunto indicare sia le condizioni di una corretta e perciò
una propria privatività appunto di operatore estetico politicamente e classisticamente proficua progettualità di intervento ambientale urbano, esemplificandole secondo una
agnostico, e la cui condizione, proprio ove non abbia né coscienza né capacità di resistenza probabile gerarchia di loro portata d’incidenza ambientale; sia le concrete possibilità
politica, non può non trasformarsi subito in quella di strumento della minoranza egemone attuali di realizzare una tale intenzione operativa urbana, nella complessità di connessioni
promotrice di consumismo estetico eterodiretto. La “specificità” estetica di cui si parla economico-politico-sociali-amministrative comportate nella realizzazione concreta.
non sarebbe allora se non il modo per attuare una più pacificante resa a tale consumismo. Occorre dire con chiarezza, anzitutto, che non basta semplicemente porsi nell’ambiente,
Sulla natura pericolosamente appunto reazionaria e collusiva di simili proposte avevo già per risultare creativamente rilevanti in dimensione ambientale, e dunque essere nella

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una selezione disciplinata e fortemente discriminatoria. In confronto alla comprensività avvertito io stesso anni fa a proposito di iniziative di Argan sostanzialmente analoghe (cfr.
e alla complessità veramente illimitata della vita, l’arte è arbitraria, simbolica e astrattiva: ora in Ricerche dopo l’Informale, Officina Edizioni, Roma, 1968, pp. 145-155). Somaini
in ciò consiste la sua validità e da ciò nasce il suo particolare tipo di ordine e di coerenza. rinnova invece nelle sue proposte la fiducia in un’azione dell’arte come stimolo formativo
Accostarsi ad una città, o anche soltanto ad un quartiere urbano, come se si trattasse sì specifico, ma contributivo piuttosto che concorrenziale, e senza alcuna insana pretesa
di un problema di architettura di dimensioni più ampie, in cui fosse possibile mettere d’impossibile e irrealistica globalità. Ma proprio perciò rinnova nel modo più autentico
ordine trasformandolo in una disciplinata opera d’arte, significa commettere l’errore di la fiducia di una possibilità d’azione contestatrice dell’arte e attraverso l’arte, in quanto
voler sostituire l’arte alla vita. Il risultato di questa sostanziale confusione tra arte e vita promozione conoscitiva che non si sostitusce alla politica, né alla tecnologia, bensì che con
non è né vita né arte: è imbalsamazione. (...) Quest’abuso dell’arte uccide la vita e l’arte queste prospettive operative concorre in unico ideale politico (nel senso più alto) di lotta
stessa: il risultato è un impoverimento, anziché un arricchimento della vita”. E dunque: di rinnovamento culturale e civile).
“Invece di cercare di sostituire l’arte alla vita, gli architetti urbani dovrebbero tornare ad Mentre è proprio a una trasformazione dei princìpi generatori del piano d’intervento
una strategia che nobiliti sia l’arte, sia la vita, e che valga a illuminare e a chiarire la vita, che Somaini mira nella sua “tattica di suggestione”, direbbe la Jacobs (al contrario dei
a spiegarcene i significati e l’ordine: nel caso in questione, ad una strategia che valga ad monumenti tecnologici che ripercorrono vecchi modi di assenza). E la trasformazione, s’è
illuminare, chiarire e spiegare l’ordine urbano”. Il quale tuttavia è non irreggimentazione detto, avviene in un’apertura dialettica. Perciò Somaini è giunto a sollecitazioni progettuali,
di forme “in una certa regolarità”, bensì “ordine funzionale” (Vita e morte delle grandi più che a veri e propri progetti. Perché per andare oltre occorre appunto l’équipe, occorre
città, Einaudi, Torino, 1969, pp. 349-350, 352). la ricerca interdisciplinare, occorre cioè la più ampia possibilità di dialogo con la “vita”,
A questo punto, se l’artista (come Somaini propone) interviene pariteticamente nell’équipe con l’ “urbano” nella sua realtà (anche se poi gli interventi che Somaini propone sono
dei progettisti, la sua condizione dialettica e aperta sarà quella stessa tipicamente proposta proprio intesi a potenziare ulteriormente questo “urbano”).
ai progettisti urbani non utopistici, come bene indicata da Chermayeff e Alexander: Somaini intende agire sui “segni” della città, sul suo patrimonio di simboli, ma non
“Perché il suo lavoro sia coerente con i continui mutamenti tecnologici, è necessario partendo da esso, approdandovi invece da un incontro diretto appunto, con il livello vitale
che il progettista non solo impari a tenere conto dei dati scientifici, sociali e tecnici dell’ “urbano”, da istanze dunque extra-formali alle quali dare forma simbolica. Perciò
comunemente noti (esterni al suo campo ma influenti per via indiretta sul suo lavoro), ma non propone “forme” per la città, bensì provocazioni simboliche: non icone distanti,
anche si abitui a considerare i fattori in gran parte “invisibili” che il più delle volte a un più bensì spazi funzionali altamente emotivi. “La città e l’urbano”, scrive Lefebvre, “non si
attento esame, risultano avere implicazioni importantissime per la forma fisica. La forma ricompongono partendo dai segni della città, dai semantemi dell’urbano, e ciò anche se
è l’espressione organizzata di un’esigenza, il prodotto finale di un processo di risposta la città è un insieme significante. La città non è solo un linguaggio ma una prassi” (Il
a determinate pressioni. (...) La prima fase del processo di progettazione deve quindi diritto…, cit., p. 116).
consistere nella precisa enunciazione delle forze che agiscono e della struttura di pressioni
che la forma deve riflettere. (...) Il ritorno del progettista a una sua libertà arbitraria è
forse un vano tentativo di rivendicare quell’umanesimo che spesso ci sembra di perdere
proprio mentre facciamo crescenti progressi nel campo della scienza e della tecnologia.
Ma in pratica, purtroppo, questo atteggiamento conduce soltanto a forme decorative che Condizioni e possibililtà urbane delle arti
lasciano insoluti i nuovi problemi. I progettisti devono affrontare la realtà della scienza e
della tecnologia: l’unica vera speranza di rinascita dell’umanesimo sta nella loro capacità di Per gentile concessione Quella che si è a lungo indicata per “qualità della vita”, e che nella sua perdurante attualità
sfruttare al massimo la tecnica” (Spazio di relazione e spazio privato, Il Saggiatore, Milano, dell’Autore, questo testo di valore di riferimento oggi più puntualmente potremmo chiamare “qualità del vissuto”,
ripropone quanto già o forse, meglio, “del vivibile”, verificabile dunque nel quotidiano, si fonda sostanzialmente
1968, pp. 128, 129, 130, 131).
pubblicato in Condizioni e sulla qualità d’immagine e di conformazione che connota l’ambiente fisico del vissuto,
Gli interventi plastici contestatori che Somaini propone non sono atecnologici (chiameranno possibililtà urbane delle arti,
infatti la tecnologia stessa a realizzarli così monumentali come sono), quanto contrari ad in io arte > noi città. Natura e
quindi del vivibile, considerato in condizione individuale altrettanto che sociale. Ritengo
un prepotere di tecnologismo. Del resto gli stessi Chermayeff e Alexander avvertono: “Le cultura dello spazio urbano, a opportuno ricordarlo come premessa avvertendo che l’ambiente fisico del vissuto, del
tecniche più avanzate, i materiali più “rivoluzionari” non determinano automaticamente cura di Patrizia Ferri, Daniela vivibile, collettivo quanto individuale, è soprattutto naturalmente urbano. Quanto
un progresso. Naturalmente, le materie sintetiche e i ritrovati meccanici hanno loro qualità Fonti e Manuela Crescentini, costituisce tuttora il fascino irripetibile delle città storiche europee e a maggior ragione
Gangemi Editore, Roma, delle grandi, intermedie, piccole, città italiane, che rappresentano una così ampia parte
specifiche, loro giuste funzioni. Ma il fatto di saper fabbricare un contenitore di plastica
2006, pp. 217-218 e 224-227. di un tale patrimonio, è certamente proprio una qualità d’immagine e di conformazione
a forma di casa e di riempirlo di aggeggi meccanici non costituisce certo un progresso nel
campo dell’alloggio, se il piano è ispirato a princìpi superati” (Spazio di …, cit. pp. 78-79). ambientale di sedimento storico profondo. E va sottolineato come questa qualità (che
Siamo in una prospettiva ben diversa da intenzioni di privativa cosmesi estetica della città tuttavia di per sé rimane misura ottimale di valore riferibile anche alla città moderna, alla
o della vita che sia, di “esteticità diffusa”, come è stato detto, intendendo addirittura una metropoli contemporanea) risulti da un secolare lavoro complesso, stratificato, di architetti,
“prospettiva estetica, posta come alternativa o integrazione” alla “prospettiva politica” e urbanisti, artisti, decoratori, artigiani, insomma da un concorso molteplice, dialetticamente
alla “prospettiva tecnologica”, e che si assumerebbe “il compito di reintegrare individuo costituitosi nel tempo e nello spazio in un confronto di proposizioni specifiche di segni e
e ambiente, di ricostituire l’equilibrio e la globalità della persona umana”, privilegiando di forme, di immagini e di conformazioni.
dunque “il fattore estetico inteso come processualità operativa e modello di comportamento, Ciò premesso, rispondendo all’intenzione sostanzialmente di una riflessione propositiva
con cui l’individuo recupera la propria interezza vitale al livello dell’esistenza quotidiana”. (piuttosto che soltanto di recensione retrospettiva), il cui tema specifico – va tenuto
E in realtà si tratterebbe di un ennesima approssimazione utopistica, che teorizza uno presente – è la prospettiva di un recupero di presenza attiva, progettuale e realizzativa
scantonamento dalla realtà imperiosa del problema attuale – non per nulla si parla di delle arti nella costruzione dell’immagine urbana, in rapporto dunque con la progettualità
nutrire “di nuova linfa la progettazione architettonica e il design della città del futuro” architettonica, questo mio intervento, intenzionato a riflettere su condizioni e possibilità
(cfr. F. Menna, Profezia di una società estetica, Lerici, Roma, 1968, pp. 11, 12, 13, 149) urbane delle arti, si svilupperà in due parti, fra di loro ben distinte ma certamente
– tuttavia con un significato particolarmente reazionario quando si suggerisce all’artista complementari. Intendendo appunto indicare sia le condizioni di una corretta e perciò
una propria privatività appunto di operatore estetico politicamente e classisticamente proficua progettualità di intervento ambientale urbano, esemplificandole secondo una
agnostico, e la cui condizione, proprio ove non abbia né coscienza né capacità di resistenza probabile gerarchia di loro portata d’incidenza ambientale; sia le concrete possibilità
politica, non può non trasformarsi subito in quella di strumento della minoranza egemone attuali di realizzare una tale intenzione operativa urbana, nella complessità di connessioni
promotrice di consumismo estetico eterodiretto. La “specificità” estetica di cui si parla economico-politico-sociali-amministrative comportate nella realizzazione concreta.
non sarebbe allora se non il modo per attuare una più pacificante resa a tale consumismo. Occorre dire con chiarezza, anzitutto, che non basta semplicemente porsi nell’ambiente,
Sulla natura pericolosamente appunto reazionaria e collusiva di simili proposte avevo già per risultare creativamente rilevanti in dimensione ambientale, e dunque essere nella

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condizione di aprire un possibile fattuale dialogo progettuale con la dimensione ambientale nel caso maggiormente rischioso quale quello urbano. L’ambiente respinge l’inconsapevole
che, nel preminente ambito urbano, naturalmente è anche quella operativa dell’architettura. improvvisazione e penalizza il disinteresse progettuale quanto l’incapacità di dialogo
A fronte della confusione ricorrente in questi anni nella considerazione degli interventi con l’esistente ambientale, che appunto ha una sua consistenza sia architettonico-
ambientali (e che in certa misura si è riflessa anche nei discorsi e negli esempi di queste monumentale, sia antropologico-sociale. La progettazione d’intervento ambientale
giornate), cercherò dunque (prima parte) di chiarire, secondo quello che potremmo chiede dunque conoscenza, immaginazione progettuale e condivisione, escludendo
indicare come un profilo tecnico, la necessaria basilare distinzione fra tipologie diverse di tanto l’improvvisazione quanto l’unilateralità. Esattamente, sintetizzando, chiede: 1)
interventi operati da artisti plastico-visivi in dimensione ambientale. Distinzione basilare relativamente al contesto architettonico-monumentale nel quale si opera, conoscenza
istituita secondo parametri differenti di complessità e dunque di portata, e tuttavia peraltro specifica, recupero di stratificazioni di memoria, per una progettualità ambientalmente
assai spesso ignorata. E ciò facendo naturalmente tesoro delle esperienze maturate lungo plausibile e attiva; 2) relativamente al contesto sociale nel quale si opera, analisi, riscontri,
l’intera seconda metà del XX secolo e fino ad ora. Fra quelle rispondenti a un pionierismo dialogo, ascolto di attese specifiche (in particolare se si opera in connessione a una funzione),
d’eccellenza negli anni Cinquanta e Sessanta; quelle di pratiche avanzate di ricerca e di per una progettualità condivisa; 3) relativamente al contesto istituzionale, in relazione al
eventuali effettive realizzazioni nei Settanta e Ottanta (da Volterra 73, 1973, a Operazione quale si opera, un’attenzione fattuale adeguata a fronte di una progettualità commisurata e
Arcevia, 1975-76, a Gubbio 76; cfr. Volterra 73. Sculture, ambientazioni, visualizzazioni, ambientalmente quanto socialmente ed economicamente verosimile.
progettazione per l’alabastro, a cura di E. Crispolti, Firenze, Centro Di/edizioni, 1974.; I. Ridurre di fatto la problematica dell’operatività plastico-visiva ambientale all’iniziativa
Parisi, I. Bartoletti, E. Crisplti, A. Miotto, P. Restany, Operazione Arcevia, Como, Editrice improvvisata di apposizione effimera o peggio permanente di opere plastiche, di
Cesare Nanni, 1976; e Gubbio 76. Biennale della ceramica-metalli, legno, tessuti e altri qualsivoglia grandezza, in esterni urbani o naturali, risulta sempre fallimentare in
materiali, Gubbio, Azienda Autonoma Soggiorno e Turismo, 22 agosto-16 ottobre 1976). termini di qualità ambientale (numerosi i possibili esempi negativi: dallo spazialmente
E infine quelle riferibili a una divulgazione a livello di moda e di conseguenti appiattimento del tutto inadeguato labirinto in ferro di Richard Serra posto qualche anno fa in Piazza
e banalizzazione problematica, fra i Novanta e questo ormai avanzato primo decennio Plebiscito a Napoli – ove in realtà soltanto la “montagna di sale” di Mimmo Paladino è
del XXI secolo. Per capirci: dalla misura estetizzante e sostanzialmente marginale, per riuscita spazialmente quanto semiologicamente adeguata –, per gli interventi effimeri, alla
esempio, degli interventi urbani operati a San Gimignano nel 1994, all’insegna di Affinità, scultura ambientalmente incomprensibile di Michelangelo Pistoletto fuori Porta Romana
e quelli che sono attualmente proposti quali interventi urbani in piazze e vie genovesi a Firenze, per i permanenti). D’altra parte l’improvvisazione, l’unilateralità d’iniziativa,
nell’ambito della peraltro grande rassegna Arte & Architettura, effettivi ingombri la rinuncia a un riscontro di storia e memoria, relativamente all’intervento plastico-visivo
di consistenza ambientale risibile (per gli interventi a San Gimignano, promossi da di conseguenza ambientale, rischia di trovare peggior riscontro in un’analoga modalità di
Giuliano Briganti e Luisa Laureati, cfr. Affinità. Cinque artisti a San Gimignano, a cura comportamento d’improvvisazione anche sul versante della committenza architettonica
di L. Laureati, Firenze, Spes, 1994, e in Sentieri nell’arte. Il contemporaneo nel paesaggio (come nel caso dell’affido diretto a Richard Meier del nuovo edificio per l’Ara Pacis, in
toscano, a cura di A. Mazzanti, Firenze, Maschietto Editore, Regione Toscana, TraArt Piazza Augusto Imperatore, a Roma; e non in relazione al compito affidato a Meier, ma
strumenti, 2004, pp. 178-181. Per quelli genovesi: Arti e Architettura 1900/1968. Scultura, alla problematica di una riprogettazione di Piazza Augusto Imperatore significativo, in
pittura, fotografia, design, cinema e architettura: un secolo di progetti creativi, a cura di G. positivo quanto in negativo, fra felici intuizioni e velleitarismi, è stato nel 2001 un forum
Celant, Genova, Palazzo Ducale, Ginevra-Milano, Skira, 2004. Sottolineo come fra questi e un concorso di idee fondato su una stretta collaborazione, paritetica, fra artisti plastico-
ultimi risultasse anche l’iniziativa dell’apposizione di cartelloni pubblicitari, billboards, visivi e architetti (cfr. Arte Architettura Città. Forum e progetti e altro. 38 proposte per
nel diramato contesto urbano genovese - cfr. ivi, vol. II, pp. 719-751-, ripetendo a distanza la sistemazione di Piazza Augusto Imperatore, a cura di M. Crescentini, E. Crispolti, P.
di trent’anni quanto proposto da Dissuasione manifesta. Operazione 24 fogli, realizzata Rossi, Roma, Prospettive Edizioni, 2002).
nel 1973-74 in diverse città italiane (come Salerno e Macerata) e inizialmente presente Il rapporto arte-città passa per una dimensione progettuale che, non necessariamente ma
nell’ambito di Volterra 73). certo ottimamente, può e anzi dovrebbe costantemente comportare la collaborazione
Cercherò quindi di riflettere invece, pur se più brevemente, sulle possibili prospettive fra artista plastico-visivo e architetto. Collaborazione che tuttavia potrà proficuamente
operative atte a far compiere alla dimensione della presenza fattuale dell’arte, nella capacità svilupparsi soltanto a livello di effettiva implicazione progettuale. Quando cioè il confronto
di configurazione ambientale, un deciso salto di qualità di consapevolezza problematica, e collaborativo fra artista e architetto si realizzerà in termini di collaborazione progettuale
dunque di maturità, a fronte delle eventualità di committenza, pubblica o privata che sia, anziché di collaborazione decorativa posticcia. Ma tanto più utile sarà la collaborazione
e di concreta realizzazione. quanto più si accetteranno reciprocamente i possibili smarginamenti progettuali. Attraverso
una corretta operatività ambientale si determina infatti implicitamente una pertinenza
Condizioni progettuali urbanistica dell’intervento plastico-visivo. Che potrà arrivare anche a costituire un
contestualmente qualificante “punto di riferimento” urbano, nel senso addotto a suo tempo
Si tratta qui tuttavia non soltanto di un’analisi della svariata fenomenologia (e da Kevin Lynch (L’immagine della città, Marsilio, Padova, 1971, III ediz.). Naturalmente
conseguentemente di livelli di portata) di interventi plastico-visivi di riferimento il riscontro implicato non è quello della scala urbanistica di piano regolatore quanto quello
ambientale, pure indubbiamente necessaria di fronte, se non altro, alla diffusissima e di un’urbanistica parcellizzata, localizzata, insomma del particolare “progetto urbano”
comoda confusione attuale fra “arte ambientale”, “arte pubblica”, ecc. Quanto soprattutto specificamente circoscritto e mirato.
si tratta anche di un’analisi di iniziative ed eventi operativi in funzione di una prospettiva Nel rapporto istituzionale, che è rapporto di possibile committenza (la quale tuttavia
di possibili proposte, che permetta un salto di qualità progettuale complessiva rispetto alla naturalmente non sarà necessariamente soltanto non pubblica), si chiede: a) un adeguato
routine attuale. Alla quale corrisponde, nei casi migliori, un appiattimento progettuale tempo di maturazione decisionale sia nella formulazione del regolamento dei concorsi,
e una forte limitazione se non un’effettiva impotenza realizzativa; e nei casi peggiori prevedendone sempre un almeno duplice livello di gradi, sia – e tanto più – nei casi
un’occasionalità di espedienti di pretesa ambientale, che comporta spreco di risorse d’incarico diretto; tempo da spendere in impegno conoscitivo delle implicazioni storico-
quando non futilità o addirittura disastri ambientali. ambientali-antropologico-sociali comportate nell’oggetto di committenza; b) il rispetto
Occorre insomma chiedere di più rispetto alla misura attuale della pratica ambientale. della complessità e dunque della necessaria ricerca dei nessi, impliciti nel progetto bandito
L’atteggiamento da assumere è di accettazione sì d’un certo fervore di iniziative (e o affidato; c) di sollecitare progettualmente a istituire un rapporto profondo con il contesto
intendo le migliori e realmente innovative), sviluppando tuttavia consapevolmente una ambientale ove l’intervento è preventivato; d) la consapevolezza dunque della necessità
critica propulsiva, aprendo altre prospettive, appunto chiedendo di più. Per operare di fondare la richiesta progettuale sull’approfondimento conoscitivo di un’identità dei
proficuamente a dimensione ambientale infatti occorre un’esperienza di cultura e pratica luoghi, ricercandone i segni della relativa memoria ambientale, memoria sia architettonico-
progettuale del rapporto spaziale e plastico con l’insieme di componenti, semiologiche, monumentale, sia antropologico-sociale; e) di considerare una progettualità allargata, cioè
memoriali storico-antropologiche e sociali, caratterizzanti il luogo ove operare. E tanto più non solamente di pertinenza esclusiva di architetti, ma anche collaborativa, fino a occasioni

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condizione di aprire un possibile fattuale dialogo progettuale con la dimensione ambientale nel caso maggiormente rischioso quale quello urbano. L’ambiente respinge l’inconsapevole
che, nel preminente ambito urbano, naturalmente è anche quella operativa dell’architettura. improvvisazione e penalizza il disinteresse progettuale quanto l’incapacità di dialogo
A fronte della confusione ricorrente in questi anni nella considerazione degli interventi con l’esistente ambientale, che appunto ha una sua consistenza sia architettonico-
ambientali (e che in certa misura si è riflessa anche nei discorsi e negli esempi di queste monumentale, sia antropologico-sociale. La progettazione d’intervento ambientale
giornate), cercherò dunque (prima parte) di chiarire, secondo quello che potremmo chiede dunque conoscenza, immaginazione progettuale e condivisione, escludendo
indicare come un profilo tecnico, la necessaria basilare distinzione fra tipologie diverse di tanto l’improvvisazione quanto l’unilateralità. Esattamente, sintetizzando, chiede: 1)
interventi operati da artisti plastico-visivi in dimensione ambientale. Distinzione basilare relativamente al contesto architettonico-monumentale nel quale si opera, conoscenza
istituita secondo parametri differenti di complessità e dunque di portata, e tuttavia peraltro specifica, recupero di stratificazioni di memoria, per una progettualità ambientalmente
assai spesso ignorata. E ciò facendo naturalmente tesoro delle esperienze maturate lungo plausibile e attiva; 2) relativamente al contesto sociale nel quale si opera, analisi, riscontri,
l’intera seconda metà del XX secolo e fino ad ora. Fra quelle rispondenti a un pionierismo dialogo, ascolto di attese specifiche (in particolare se si opera in connessione a una funzione),
d’eccellenza negli anni Cinquanta e Sessanta; quelle di pratiche avanzate di ricerca e di per una progettualità condivisa; 3) relativamente al contesto istituzionale, in relazione al
eventuali effettive realizzazioni nei Settanta e Ottanta (da Volterra 73, 1973, a Operazione quale si opera, un’attenzione fattuale adeguata a fronte di una progettualità commisurata e
Arcevia, 1975-76, a Gubbio 76; cfr. Volterra 73. Sculture, ambientazioni, visualizzazioni, ambientalmente quanto socialmente ed economicamente verosimile.
progettazione per l’alabastro, a cura di E. Crispolti, Firenze, Centro Di/edizioni, 1974.; I. Ridurre di fatto la problematica dell’operatività plastico-visiva ambientale all’iniziativa
Parisi, I. Bartoletti, E. Crisplti, A. Miotto, P. Restany, Operazione Arcevia, Como, Editrice improvvisata di apposizione effimera o peggio permanente di opere plastiche, di
Cesare Nanni, 1976; e Gubbio 76. Biennale della ceramica-metalli, legno, tessuti e altri qualsivoglia grandezza, in esterni urbani o naturali, risulta sempre fallimentare in
materiali, Gubbio, Azienda Autonoma Soggiorno e Turismo, 22 agosto-16 ottobre 1976). termini di qualità ambientale (numerosi i possibili esempi negativi: dallo spazialmente
E infine quelle riferibili a una divulgazione a livello di moda e di conseguenti appiattimento del tutto inadeguato labirinto in ferro di Richard Serra posto qualche anno fa in Piazza
e banalizzazione problematica, fra i Novanta e questo ormai avanzato primo decennio Plebiscito a Napoli – ove in realtà soltanto la “montagna di sale” di Mimmo Paladino è
del XXI secolo. Per capirci: dalla misura estetizzante e sostanzialmente marginale, per riuscita spazialmente quanto semiologicamente adeguata –, per gli interventi effimeri, alla
esempio, degli interventi urbani operati a San Gimignano nel 1994, all’insegna di Affinità, scultura ambientalmente incomprensibile di Michelangelo Pistoletto fuori Porta Romana
e quelli che sono attualmente proposti quali interventi urbani in piazze e vie genovesi a Firenze, per i permanenti). D’altra parte l’improvvisazione, l’unilateralità d’iniziativa,
nell’ambito della peraltro grande rassegna Arte & Architettura, effettivi ingombri la rinuncia a un riscontro di storia e memoria, relativamente all’intervento plastico-visivo
di consistenza ambientale risibile (per gli interventi a San Gimignano, promossi da di conseguenza ambientale, rischia di trovare peggior riscontro in un’analoga modalità di
Giuliano Briganti e Luisa Laureati, cfr. Affinità. Cinque artisti a San Gimignano, a cura comportamento d’improvvisazione anche sul versante della committenza architettonica
di L. Laureati, Firenze, Spes, 1994, e in Sentieri nell’arte. Il contemporaneo nel paesaggio (come nel caso dell’affido diretto a Richard Meier del nuovo edificio per l’Ara Pacis, in
toscano, a cura di A. Mazzanti, Firenze, Maschietto Editore, Regione Toscana, TraArt Piazza Augusto Imperatore, a Roma; e non in relazione al compito affidato a Meier, ma
strumenti, 2004, pp. 178-181. Per quelli genovesi: Arti e Architettura 1900/1968. Scultura, alla problematica di una riprogettazione di Piazza Augusto Imperatore significativo, in
pittura, fotografia, design, cinema e architettura: un secolo di progetti creativi, a cura di G. positivo quanto in negativo, fra felici intuizioni e velleitarismi, è stato nel 2001 un forum
Celant, Genova, Palazzo Ducale, Ginevra-Milano, Skira, 2004. Sottolineo come fra questi e un concorso di idee fondato su una stretta collaborazione, paritetica, fra artisti plastico-
ultimi risultasse anche l’iniziativa dell’apposizione di cartelloni pubblicitari, billboards, visivi e architetti (cfr. Arte Architettura Città. Forum e progetti e altro. 38 proposte per
nel diramato contesto urbano genovese - cfr. ivi, vol. II, pp. 719-751-, ripetendo a distanza la sistemazione di Piazza Augusto Imperatore, a cura di M. Crescentini, E. Crispolti, P.
di trent’anni quanto proposto da Dissuasione manifesta. Operazione 24 fogli, realizzata Rossi, Roma, Prospettive Edizioni, 2002).
nel 1973-74 in diverse città italiane (come Salerno e Macerata) e inizialmente presente Il rapporto arte-città passa per una dimensione progettuale che, non necessariamente ma
nell’ambito di Volterra 73). certo ottimamente, può e anzi dovrebbe costantemente comportare la collaborazione
Cercherò quindi di riflettere invece, pur se più brevemente, sulle possibili prospettive fra artista plastico-visivo e architetto. Collaborazione che tuttavia potrà proficuamente
operative atte a far compiere alla dimensione della presenza fattuale dell’arte, nella capacità svilupparsi soltanto a livello di effettiva implicazione progettuale. Quando cioè il confronto
di configurazione ambientale, un deciso salto di qualità di consapevolezza problematica, e collaborativo fra artista e architetto si realizzerà in termini di collaborazione progettuale
dunque di maturità, a fronte delle eventualità di committenza, pubblica o privata che sia, anziché di collaborazione decorativa posticcia. Ma tanto più utile sarà la collaborazione
e di concreta realizzazione. quanto più si accetteranno reciprocamente i possibili smarginamenti progettuali. Attraverso
una corretta operatività ambientale si determina infatti implicitamente una pertinenza
Condizioni progettuali urbanistica dell’intervento plastico-visivo. Che potrà arrivare anche a costituire un
contestualmente qualificante “punto di riferimento” urbano, nel senso addotto a suo tempo
Si tratta qui tuttavia non soltanto di un’analisi della svariata fenomenologia (e da Kevin Lynch (L’immagine della città, Marsilio, Padova, 1971, III ediz.). Naturalmente
conseguentemente di livelli di portata) di interventi plastico-visivi di riferimento il riscontro implicato non è quello della scala urbanistica di piano regolatore quanto quello
ambientale, pure indubbiamente necessaria di fronte, se non altro, alla diffusissima e di un’urbanistica parcellizzata, localizzata, insomma del particolare “progetto urbano”
comoda confusione attuale fra “arte ambientale”, “arte pubblica”, ecc. Quanto soprattutto specificamente circoscritto e mirato.
si tratta anche di un’analisi di iniziative ed eventi operativi in funzione di una prospettiva Nel rapporto istituzionale, che è rapporto di possibile committenza (la quale tuttavia
di possibili proposte, che permetta un salto di qualità progettuale complessiva rispetto alla naturalmente non sarà necessariamente soltanto non pubblica), si chiede: a) un adeguato
routine attuale. Alla quale corrisponde, nei casi migliori, un appiattimento progettuale tempo di maturazione decisionale sia nella formulazione del regolamento dei concorsi,
e una forte limitazione se non un’effettiva impotenza realizzativa; e nei casi peggiori prevedendone sempre un almeno duplice livello di gradi, sia – e tanto più – nei casi
un’occasionalità di espedienti di pretesa ambientale, che comporta spreco di risorse d’incarico diretto; tempo da spendere in impegno conoscitivo delle implicazioni storico-
quando non futilità o addirittura disastri ambientali. ambientali-antropologico-sociali comportate nell’oggetto di committenza; b) il rispetto
Occorre insomma chiedere di più rispetto alla misura attuale della pratica ambientale. della complessità e dunque della necessaria ricerca dei nessi, impliciti nel progetto bandito
L’atteggiamento da assumere è di accettazione sì d’un certo fervore di iniziative (e o affidato; c) di sollecitare progettualmente a istituire un rapporto profondo con il contesto
intendo le migliori e realmente innovative), sviluppando tuttavia consapevolmente una ambientale ove l’intervento è preventivato; d) la consapevolezza dunque della necessità
critica propulsiva, aprendo altre prospettive, appunto chiedendo di più. Per operare di fondare la richiesta progettuale sull’approfondimento conoscitivo di un’identità dei
proficuamente a dimensione ambientale infatti occorre un’esperienza di cultura e pratica luoghi, ricercandone i segni della relativa memoria ambientale, memoria sia architettonico-
progettuale del rapporto spaziale e plastico con l’insieme di componenti, semiologiche, monumentale, sia antropologico-sociale; e) di considerare una progettualità allargata, cioè
memoriali storico-antropologiche e sociali, caratterizzanti il luogo ove operare. E tanto più non solamente di pertinenza esclusiva di architetti, ma anche collaborativa, fino a occasioni

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paritetiche, con artisti plastico-visivi; f) di favorire una formazione di consapevolezza Tipo e consumo in architettura.
ambientale nella prospettiva dei tre ruoli di pertinenza di un corretto intervento
ambientale; da parte cioè di committenti, operatori, fruitori. Infine, rispetto a quanto
Muratori che sanno il latino o artisti analfabeti?
finora qui emerso in proposito, in particolare in rapporto alle sollecitazioni rivolte a una
possibile committenza istituzionale, condivido, in prospettiva sperimentale, la proposta Claudio D’Amato
della costituzione di un microsistema di laboratori di progettualità di interventi urbani,
considerati in tutta la loro complessità di implicazioni. E ciò tanto a livello di piccole realtà
urbane, di centri intermedi, o di centri minori, quanto a livello di aree particolari entro il
tessuto di grandi città (a cominciare dall’ambito del Comune di Roma).
Per gentile concessione Non credo che la maggior parte dei docenti italiani di architettura sia oggi veramente
dell’Autore, questo testo consapevole delle trasformazioni, non meramente legislative, avvenute e in atto nelle
ripropone quanto già
Facoltà di Architettura, almeno a partire dall’inizio degli anni novanta del novecento.
pubblicato in: Claudio
D’Amato, Architectural Affermo ciò in base alla mia conoscenza del dibattito, delle dichiarazioni rilasciate nella
Diversity. Muratori che sanno letteratura specialistica, e soprattutto in base alla distanza che è possibile riscontrare fra la
il latino o artisti analfabeti?, potenza dei mezzi oggi a disposizione nel campo della progettazione architettonica e della
in Massimo Fagioli (a cura di), circolazione delle idee, e l’esiguità dei risultati conseguiti nel campo della preparazione
Dove va l’architettura? Gli allo svolgimento del mestiere (non professione).
architetti italiani si interrogano
sul futuro della loro disciplina,
Se vogliamo, possiamo anche indicare una data (simbolica) dopo la quale l’insegnamento
Aion, Firenze 2011, pp. 38-41. dell’architettura in Italia è sceso molto velocemente nella classifica delle scuole
internazionali di Architettura: 1997, morte di Aldo Rossi. In realtà la discesa era già
iniziata almeno dieci anni prima, quando si era esaurita l’ondata pedagogica dei docenti
della seconda stagione del moderno (Gardella, Albini, Ridolfi, ecc.) insieme a quella dei
coevi architetti tradizionalisti.
Nel 1954-55 la Facoltà di Architettura di Roma poteva ancora stampare, nel suo
trentacinquesimo anno di vita, un bel volume dove accanto alla successione ordinata
dei professori che si erano succeduti nell’insegnamento, era riportata una significativa
selezione di elaborati degli allievi che dimostrava nei fatti la capacità pedagogica della
Scuola di trasmettere abilità pratiche (saper fare), insieme ad un buon sostrato culturale
(sapere). Colpisce inoltre a sfogliare quel volume, la serie dei laureati stranieri fin dalla
fondazione (1921). Sapere, saper fare, internazionalismo possono essere tre chiavi per un
paragone che metterebbe di fronte giovani che aspiravano (inconsapevolmente) a essere
“muratori che parlavano il latino” con altri giovani che oggi in molti casi aspirano a essere
soprattutto artisti (analfabeti). Risultati contrapposti di sistemi pedagogici diversi che
nel tempo si sono succeduti; ognuno dei quali funzionale ad una ideologia dominante
e soprattutto ad una pratica dominante della professione in Italia. Arte scienza e tecnica
del costruire sembravano allora l’orizzonte certo in cui le Facoltà si posizionavano, e
certamente Pier Luigi Nervi è stato il “vero” ultimo architetto per cui l’Italia era stimata
nel mondo. Per la sua sapienza tecnica e artistica. Dopo iniziarono a emergere nuove
figure ibride, metà intellettuali e metà professionisti che aspiravano a quello speciale status
symbol che con il tempo diventerà l’archistar. Figure che da allora si servono della cultura
e del circuito mediatico (sempre più a braccetto con il mondo dell’arte) per ricavare
benefici nella privata vita professionale. Ma la questione che sto sollevando non è di
natura moralistica: il problema è capire cosa il docente “medio” di una qualsiasi facoltà
di architettura italiana è in grado di trasmettere, dal momento che molto spesso non ha
mai costruito nulla (e spesso neanche scritto qualcosa di memorabile); ma soprattutto
capire cosa “vuole” trasmettere. Dobbiamo constatare purtroppo che il triangolo magico
fra arte scienza e tecnica del costruire si è spezzato, e l’ideale che oggi sembra allignare
nelle Facoltà di Architettura punta tutto sul primo dei tre termini, lasciando agli ingegneri
l’onere della scienza e della tecnica (ed anche le parcelle molto più consistenti).
In termini semplificati possiamo dire che oggi si fronteggiano nelle scuole di architettura
italiane (ma non solo) due tendenze: una minoritaria, che crede che compito di una scuola
di architettura sia quello di insegnare agli allievi che il progetto d’architettura coincide con
la costruzione “sulla carta” del manufatto che successivamente sarà realizzato in cantiere;
e che questo progetto, sia esso edificio, città, paesaggio, altro non è che il terminale
momentaneo di una lunga ed ininterrotta catena di architetture che l’hanno preceduta, e di
cui l’autore sceglie la propria linea ascendente. E che qualsiasi formazione in architettura
che ignori la tradizione «corre il rischio di creare artisti “creativi” o “ingegneri servili”»
come ha scritto acutamente Matthew Bell in occasione della mostra della X Biennale
di Venezia Cities of Stone. Thomas S. Eliott ha chiarito in maniera formidabile questo
concetto quando nel saggio Tradition and the Individual Talent afferma che il «senso della

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paritetiche, con artisti plastico-visivi; f) di favorire una formazione di consapevolezza Tipo e consumo in architettura.
ambientale nella prospettiva dei tre ruoli di pertinenza di un corretto intervento
ambientale; da parte cioè di committenti, operatori, fruitori. Infine, rispetto a quanto
Muratori che sanno il latino o artisti analfabeti?
finora qui emerso in proposito, in particolare in rapporto alle sollecitazioni rivolte a una
possibile committenza istituzionale, condivido, in prospettiva sperimentale, la proposta Claudio D’Amato
della costituzione di un microsistema di laboratori di progettualità di interventi urbani,
considerati in tutta la loro complessità di implicazioni. E ciò tanto a livello di piccole realtà
urbane, di centri intermedi, o di centri minori, quanto a livello di aree particolari entro il
tessuto di grandi città (a cominciare dall’ambito del Comune di Roma).
Per gentile concessione Non credo che la maggior parte dei docenti italiani di architettura sia oggi veramente
dell’Autore, questo testo consapevole delle trasformazioni, non meramente legislative, avvenute e in atto nelle
ripropone quanto già
Facoltà di Architettura, almeno a partire dall’inizio degli anni novanta del novecento.
pubblicato in: Claudio
D’Amato, Architectural Affermo ciò in base alla mia conoscenza del dibattito, delle dichiarazioni rilasciate nella
Diversity. Muratori che sanno letteratura specialistica, e soprattutto in base alla distanza che è possibile riscontrare fra la
il latino o artisti analfabeti?, potenza dei mezzi oggi a disposizione nel campo della progettazione architettonica e della
in Massimo Fagioli (a cura di), circolazione delle idee, e l’esiguità dei risultati conseguiti nel campo della preparazione
Dove va l’architettura? Gli allo svolgimento del mestiere (non professione).
architetti italiani si interrogano
sul futuro della loro disciplina,
Se vogliamo, possiamo anche indicare una data (simbolica) dopo la quale l’insegnamento
Aion, Firenze 2011, pp. 38-41. dell’architettura in Italia è sceso molto velocemente nella classifica delle scuole
internazionali di Architettura: 1997, morte di Aldo Rossi. In realtà la discesa era già
iniziata almeno dieci anni prima, quando si era esaurita l’ondata pedagogica dei docenti
della seconda stagione del moderno (Gardella, Albini, Ridolfi, ecc.) insieme a quella dei
coevi architetti tradizionalisti.
Nel 1954-55 la Facoltà di Architettura di Roma poteva ancora stampare, nel suo
trentacinquesimo anno di vita, un bel volume dove accanto alla successione ordinata
dei professori che si erano succeduti nell’insegnamento, era riportata una significativa
selezione di elaborati degli allievi che dimostrava nei fatti la capacità pedagogica della
Scuola di trasmettere abilità pratiche (saper fare), insieme ad un buon sostrato culturale
(sapere). Colpisce inoltre a sfogliare quel volume, la serie dei laureati stranieri fin dalla
fondazione (1921). Sapere, saper fare, internazionalismo possono essere tre chiavi per un
paragone che metterebbe di fronte giovani che aspiravano (inconsapevolmente) a essere
“muratori che parlavano il latino” con altri giovani che oggi in molti casi aspirano a essere
soprattutto artisti (analfabeti). Risultati contrapposti di sistemi pedagogici diversi che
nel tempo si sono succeduti; ognuno dei quali funzionale ad una ideologia dominante
e soprattutto ad una pratica dominante della professione in Italia. Arte scienza e tecnica
del costruire sembravano allora l’orizzonte certo in cui le Facoltà si posizionavano, e
certamente Pier Luigi Nervi è stato il “vero” ultimo architetto per cui l’Italia era stimata
nel mondo. Per la sua sapienza tecnica e artistica. Dopo iniziarono a emergere nuove
figure ibride, metà intellettuali e metà professionisti che aspiravano a quello speciale status
symbol che con il tempo diventerà l’archistar. Figure che da allora si servono della cultura
e del circuito mediatico (sempre più a braccetto con il mondo dell’arte) per ricavare
benefici nella privata vita professionale. Ma la questione che sto sollevando non è di
natura moralistica: il problema è capire cosa il docente “medio” di una qualsiasi facoltà
di architettura italiana è in grado di trasmettere, dal momento che molto spesso non ha
mai costruito nulla (e spesso neanche scritto qualcosa di memorabile); ma soprattutto
capire cosa “vuole” trasmettere. Dobbiamo constatare purtroppo che il triangolo magico
fra arte scienza e tecnica del costruire si è spezzato, e l’ideale che oggi sembra allignare
nelle Facoltà di Architettura punta tutto sul primo dei tre termini, lasciando agli ingegneri
l’onere della scienza e della tecnica (ed anche le parcelle molto più consistenti).
In termini semplificati possiamo dire che oggi si fronteggiano nelle scuole di architettura
italiane (ma non solo) due tendenze: una minoritaria, che crede che compito di una scuola
di architettura sia quello di insegnare agli allievi che il progetto d’architettura coincide con
la costruzione “sulla carta” del manufatto che successivamente sarà realizzato in cantiere;
e che questo progetto, sia esso edificio, città, paesaggio, altro non è che il terminale
momentaneo di una lunga ed ininterrotta catena di architetture che l’hanno preceduta, e di
cui l’autore sceglie la propria linea ascendente. E che qualsiasi formazione in architettura
che ignori la tradizione «corre il rischio di creare artisti “creativi” o “ingegneri servili”»
come ha scritto acutamente Matthew Bell in occasione della mostra della X Biennale
di Venezia Cities of Stone. Thomas S. Eliott ha chiarito in maniera formidabile questo
concetto quando nel saggio Tradition and the Individual Talent afferma che il «senso della

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storia, che è al tempo stesso senso dell’eterno e del temporaneo, così come del temporaneo licenziare solo artisti analfabeti e disadattati, che comprano il sapere in crediti come al
e dell’eterno insieme, è ciò che rende uno scrittore tradizionale. Ed è allo stesso tempo supermercato della cultura.
ciò che rende uno scrittore più acutamente cosciente del suo posto nel tempo e della sua Oggi la fine delle Facoltà sancita dalla recente legge di riforma dell’università consente di
contemporaneità». ridisegnare in qualche misura uno scenario capace di attutire le distorsioni più forti delle
L’altra tendenza (maggioritaria) è quella che in nome della libertà espressiva ritiene che nostre Scuole, anche attraverso un cauto avvicinamento alle Facoltà di Ingegneria dal cui
lo statuto dell’architettura fondato sulle regole della tradizione sia ormai morto; e che ceppo negli anni venti esse nacquero con l’innesto delle Accademie di Belle Arti. Diventa
il compito sia quello di promuovere immagini sempre nuove, di “moda”, che puntano possibile forse rimettere insieme l’arte, la scienza e la tecnica del costruire in nome di una
costantemente ad un rapido mutamento. Una architettura non fatta per durare nel tempo, didattica che deve sapere tornare ad alimentarsi di ricerca. Ma non come vorrebbero alcuni
ma per essere rapidamente sostituita. Non casualmente oggi fra i giovani che si occupano di una ricerca coincidente con l’esercizio della professione “fra le mura”. Penso a questa
di architettura effimera, l’installazione sembra essere un obiettivo valido da raggiungere. come a una mossa astuta per sottrarsi da una parte agli obblighi che competono all’esercizio
E non è un caso che le installazioni diventino sempre più frequenti nelle mostre di della libera professione; e dall’altra al dovere di essere bravi e affidabili professori.
architettura.
Possiamo dunque dire che alla pratica del progettare tradizionale che vedeva l’architettura
nascere dall’architettura e dalla teoria che essa implicava, se ne sta sostituendo un’altra che
vede l’architettura nascere da altro da sé, dalla pittura, dalla musica, dai videogiochi, dalla
letteratura, ovvero da altri statuti disciplinari, per cui è sempre più frequente leggere nelle
relazioni “l’edificio è stato pensato come se fosse …” : una nuvola? una nave? ecc.
Non è un caso che oggi una delle discipline più neglette siano proprio i “caratteri degli
edifici”, e che la tipologia sia del tutto estranea alle categorie concettuali di approccio
al progetto di architettura. Ma soprattutto che anche quando viene assunto uno schema
tipologico (anche elementare) non lo si metta in correlazione con la tecnica di costruzione
ed i materiali con cui sarà realizzato, condannandolo alla afasia espressiva di colui che
non possiede sintassi e grammatica della costruzione (anche nel caso che si adotti il prêt à
porter degli elementi di serie).
Se vogliamo sinteticamente descrivere questo atteggiamento pedagogico maggioritario
dovremmo dire che ormai è stato quasi del tutto abbandonato l’ideale della gebaute Forme,
della forma che si costruisce logicamente, tettonicamente, strato per strato, secondo i
principi unitari dell’organicità architettonica.
Lo stesso trinomio vitruviano è stato messo in soffitta: la venustas che era la conseguenza di
un paziente lavoro di aggiornamento/modificazione del linguaggio della tradizione adesso
si pensa che debba essere frutto d’invenzione, non nel senso etimologico, ma in quello
banale di “trovata”. L’utilitas lascia il posto al contenitore multifunzionale, che si perde
per strada uno dei fondamenti più potenti del progetto, la dicatio, per cui il Partenone
seppure trasformato in moschea sarà sempre il tempio dedicato ad Atena. Ed infine la
firmitas che produce uno scheletro strutturale da nascondersi con una facciata-maschera;
uno scheletro da non esibire perché solo “funzionale” ed utile a portare una rivestimento
“appeso”, come la gruccia per l’abito nel guardaroba.
Dobbiamo interrogarci senza mai stancarci sul perché ciò è stato reso possibile. Che cosa
ha prodotto il cambio di questo paradigma concettuale? Perché la strada della tradizione
è stata abbandonata a favore di quella dell’innovazione perpetua? Non credo che si tratti
solo del portato ideologico dell’eredità del cosiddetto “movimento moderno”. In fondo
anche gli attuali modernisti, collocandosi nel solco del moderno, applicano il principio
dell’imitazione stilistica e del suo aggiornamento. Penso invece la risposta vada trovata
qui in Italia nella sostituzione da parte della cultura di sinistra delle armi dell’ideologia
con quelle di una cultura apparentemente inclusiva e liberal, che nei fatti non sopporta
le diversità da sé, ammettendola solo con il rito compassionevole della carità pelosa con
cui placa la sua cattiva coscienza. E questa visione del mondo non può sopportare che
in architettura e nelle scuole di architettura si faccia strada una visione etica, in grado
di proporre modelli alternativi a quelli del consumismo consolidato come il mondo dei
centri commerciali, dei fast food, delle multisale, ecc. o alla banalità dell’ecologismo e
dell’architettura zero emission.
All’inizio degli anni cinquanta del novecento William Buckley, campione del pensiero
conservatore USA scrisse un libretto – God and Man at Yale – destinato a diventare
una pietra miliare contro l’omologazione culturale del pensiero collettivo liberal, un
pamphlet che oggi mantiene intatta la sua attualità, che rivendica la diversità di una società
autenticamente libera, fondata sugli individui, sulle persone.
Per questo penso che sia giusto combattere oggi in nome di una scuola “libera” in cui siano
chiari i punti cardinali del suo orientamento e che sappia proporre una reale “diversità
architettonica”; una scuola capace di formare allievi “muratori” che conoscono il latino,
piuttosto che una scuola in cui sia permesso tutto ed il contrario di tutto, in grado di

34 35
storia, che è al tempo stesso senso dell’eterno e del temporaneo, così come del temporaneo licenziare solo artisti analfabeti e disadattati, che comprano il sapere in crediti come al
e dell’eterno insieme, è ciò che rende uno scrittore tradizionale. Ed è allo stesso tempo supermercato della cultura.
ciò che rende uno scrittore più acutamente cosciente del suo posto nel tempo e della sua Oggi la fine delle Facoltà sancita dalla recente legge di riforma dell’università consente di
contemporaneità». ridisegnare in qualche misura uno scenario capace di attutire le distorsioni più forti delle
L’altra tendenza (maggioritaria) è quella che in nome della libertà espressiva ritiene che nostre Scuole, anche attraverso un cauto avvicinamento alle Facoltà di Ingegneria dal cui
lo statuto dell’architettura fondato sulle regole della tradizione sia ormai morto; e che ceppo negli anni venti esse nacquero con l’innesto delle Accademie di Belle Arti. Diventa
il compito sia quello di promuovere immagini sempre nuove, di “moda”, che puntano possibile forse rimettere insieme l’arte, la scienza e la tecnica del costruire in nome di una
costantemente ad un rapido mutamento. Una architettura non fatta per durare nel tempo, didattica che deve sapere tornare ad alimentarsi di ricerca. Ma non come vorrebbero alcuni
ma per essere rapidamente sostituita. Non casualmente oggi fra i giovani che si occupano di una ricerca coincidente con l’esercizio della professione “fra le mura”. Penso a questa
di architettura effimera, l’installazione sembra essere un obiettivo valido da raggiungere. come a una mossa astuta per sottrarsi da una parte agli obblighi che competono all’esercizio
E non è un caso che le installazioni diventino sempre più frequenti nelle mostre di della libera professione; e dall’altra al dovere di essere bravi e affidabili professori.
architettura.
Possiamo dunque dire che alla pratica del progettare tradizionale che vedeva l’architettura
nascere dall’architettura e dalla teoria che essa implicava, se ne sta sostituendo un’altra che
vede l’architettura nascere da altro da sé, dalla pittura, dalla musica, dai videogiochi, dalla
letteratura, ovvero da altri statuti disciplinari, per cui è sempre più frequente leggere nelle
relazioni “l’edificio è stato pensato come se fosse …” : una nuvola? una nave? ecc.
Non è un caso che oggi una delle discipline più neglette siano proprio i “caratteri degli
edifici”, e che la tipologia sia del tutto estranea alle categorie concettuali di approccio
al progetto di architettura. Ma soprattutto che anche quando viene assunto uno schema
tipologico (anche elementare) non lo si metta in correlazione con la tecnica di costruzione
ed i materiali con cui sarà realizzato, condannandolo alla afasia espressiva di colui che
non possiede sintassi e grammatica della costruzione (anche nel caso che si adotti il prêt à
porter degli elementi di serie).
Se vogliamo sinteticamente descrivere questo atteggiamento pedagogico maggioritario
dovremmo dire che ormai è stato quasi del tutto abbandonato l’ideale della gebaute Forme,
della forma che si costruisce logicamente, tettonicamente, strato per strato, secondo i
principi unitari dell’organicità architettonica.
Lo stesso trinomio vitruviano è stato messo in soffitta: la venustas che era la conseguenza di
un paziente lavoro di aggiornamento/modificazione del linguaggio della tradizione adesso
si pensa che debba essere frutto d’invenzione, non nel senso etimologico, ma in quello
banale di “trovata”. L’utilitas lascia il posto al contenitore multifunzionale, che si perde
per strada uno dei fondamenti più potenti del progetto, la dicatio, per cui il Partenone
seppure trasformato in moschea sarà sempre il tempio dedicato ad Atena. Ed infine la
firmitas che produce uno scheletro strutturale da nascondersi con una facciata-maschera;
uno scheletro da non esibire perché solo “funzionale” ed utile a portare una rivestimento
“appeso”, come la gruccia per l’abito nel guardaroba.
Dobbiamo interrogarci senza mai stancarci sul perché ciò è stato reso possibile. Che cosa
ha prodotto il cambio di questo paradigma concettuale? Perché la strada della tradizione
è stata abbandonata a favore di quella dell’innovazione perpetua? Non credo che si tratti
solo del portato ideologico dell’eredità del cosiddetto “movimento moderno”. In fondo
anche gli attuali modernisti, collocandosi nel solco del moderno, applicano il principio
dell’imitazione stilistica e del suo aggiornamento. Penso invece la risposta vada trovata
qui in Italia nella sostituzione da parte della cultura di sinistra delle armi dell’ideologia
con quelle di una cultura apparentemente inclusiva e liberal, che nei fatti non sopporta
le diversità da sé, ammettendola solo con il rito compassionevole della carità pelosa con
cui placa la sua cattiva coscienza. E questa visione del mondo non può sopportare che
in architettura e nelle scuole di architettura si faccia strada una visione etica, in grado
di proporre modelli alternativi a quelli del consumismo consolidato come il mondo dei
centri commerciali, dei fast food, delle multisale, ecc. o alla banalità dell’ecologismo e
dell’architettura zero emission.
All’inizio degli anni cinquanta del novecento William Buckley, campione del pensiero
conservatore USA scrisse un libretto – God and Man at Yale – destinato a diventare
una pietra miliare contro l’omologazione culturale del pensiero collettivo liberal, un
pamphlet che oggi mantiene intatta la sua attualità, che rivendica la diversità di una società
autenticamente libera, fondata sugli individui, sulle persone.
Per questo penso che sia giusto combattere oggi in nome di una scuola “libera” in cui siano
chiari i punti cardinali del suo orientamento e che sappia proporre una reale “diversità
architettonica”; una scuola capace di formare allievi “muratori” che conoscono il latino,
piuttosto che una scuola in cui sia permesso tutto ed il contrario di tutto, in grado di

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Abitare la città consumando Lyotard) ridando valore alle avventure pragmatiche dell’esistenza, cercando in queste una
ricomposizione di storia e futuro.
Si tratta di un’avventura tanto affascinante quanto rischiosa. L’apertura rispetto alla libertà
dell’interpretazione (non ci sono fatti ma solo interpretazione) ha richiamato coloro che
Pietro Derossi hanno accettato questa sfida ad una grande responsabilità: si sono trovati davanti ad ogni
scelta la complessità del mondo.
Purtroppo questo atteggiamento non è stato vincente. La libertà invece di produrre
responsabilità ha aperto spesso la strada ad un soggettivismo disincantato accompagnato
da una estetizzazione superficiale. Alla parola post-moderno sono stati attribuiti significati
La parola consumismo, in prima istanza, rimanda alle merci d’uso quotidiano: cibo, abiti, di disimpegno e generico ludismo.
automobili, fare viaggi e vacanze. Pare siano queste categorie che possono essere soggette La libertà, troppo poco condizionata dalla riflessione, ha ridato credito all’autonomia
ad una revisione di comportamento. incondizionata della forma, anche privata dei riferimenti spirituali del pensiero romantico.
Solo più indirettamente (e raramente) si usa la parola consumismo per parlare della città: L’incontro tra libertà incondizionata, esigenze di sviluppo veloce delle città, grandi società
consumo della città, consumismo dell’abitare. E ancora più raramente si parla all’interno finanziarie interessate ha costituito il nuovo, inquietante paesaggio delle nuove espansioni
dell’abitare di consumismo dell’arte. Forse ha senso chiedersi: come è “consumata” l’arte urbane.
oggi? Le consuetudini e le procedure nell’attualità sono idonee a dare senso al fare arte! Anche se questo fenomeno si manifesta nella sua drammatica dimensione nelle grandi aree
Secondo la tradizione nell’Accademia di San Luca convivono tre categorie di artisti: in espansione, pone anche nella vecchia Europa una sua arrogante presenza.
pittori, scultori, architetti. Questa suddivisione non ritengo possa essere presa troppo sul Se questo panorama dell’attualità è convincente per la “categoria” architettura, è più
serio in quanto, come è noto, sia nella storia che nell’attualità sono presenti e operanti difficile descrivere le tendenze attuali delle categorie pittura e scultura. Quello che si può
molte e profonde interferenze, sia teoriche che pratiche tra il fare di queste categorie. individuare è una compresenza di sperimentazioni singole che rileggono con variazioni
Interferenze positive in quanto promuovono un’estensione delle riflessioni sul significato rilevanti le condizioni del passato prossimo.
del fare arte. Ma ciò che può destare preoccupazioni è la constatazione della particolarità di chi
Potremmo pensare che la parola che trattiene in sé queste categorie del fare arte e le loro detiene il ruolo di gestore dell’organizzazione del sistema dell’arte e che di conseguenza
relazioni è la parola abitare anche se in questa parola c’è molto altro (lavoro, economia, di chi fa da referente e da promotore. Musei, gallerie d’arte, collezionisti, case d’asta
letteratura, ecc.), ma è un altro con cui proprio il fare arte può (e deve?) dialogare. detengono un forte potere di relazione spesso determinato da interessi costruiti dal
Potremmo chiederci quale è il ruolo dell’arte nell’abitare o, ancora, in modo più radicale, dinamismo del mercato. Qui ritroviamo il rischio di escludere il sistema del fare arte del
cosa serve l’arte nel promuovere e migliorare (per la sua parte) l’attività di abitare intesa mondo dell’abitare, affidando il potere ad una “casta” che troppo spesso è condizionata
nella sua dimensione privata e collettiva. dall’interferenza di interessi solo mercantili. Possiamo parlare di un distacco del ruolo
Sino al romanticismo le tre “categorie” dell’Accademia hanno collaborato quasi in simbiosi dell’arte come strumento di promozione culturale (intesa come riflessione sulla vita) dalla
nella progettazione e costruzione delle grandi opere del potere, Palazzi e Chiese. Il ruolo vita reale della società.
che univa gli artisti era quello di celebrare e dare credibilità, da una parte, alla funzione A questo punto del discorso possiamo trovare una relazione tra i problemi delle tre
di comandare e fare ordine e, dall’altra parte, alla presenza del divino nel suo manifestarsi categorie in cui sono classificati gli artisti dell’Accademia e possiamo proporre di avviare
terreno. Inutile ricordare la quantità delle opere che hanno operato con questo intento e una riflessione comune partendo dalla parola abitare e dai significati complessi a cui ci
della loro straordinaria qualità perseguita dalla presenza coordinata di Architetti, Pittori rimanda.
e Scultori. Potremmo rilevare che questa collaborazione ha operato per lo più dentro Potremmo con un po’ di nostalgia ricordare i tempi dove artisti ed architetti lavoravano
recinti privati o semipubblici: raramente ha scelto come campo di azione la città nella sua insieme per dare qualità alla città e riflettere se si può prevedere un futuro in cui, con
dimensione collettiva. la richiesta partecipata di cittadini attenti e preparati sia possibile riattivare questa
Possiamo, schematicamente affermare che è con il romanticismo che i propositi e le collaborazione.
occasioni di queste collaborazioni tra le arti hanno perso interesse. Questo cambiamento Si tratta di pensare ad una revisione del consumo dell’arte oggi caduta nella categoria dei
non ha solo motivazioni spirituali ma certo anche socio-economiche, cioè si tratta di un riferimenti negativi del consumismo.
cambiamento strutturale che promuove una rivoluzione sociale che in diverse forme si è consuetudine di Assessori alla Cultura delle varie città italiane assimilare arte (intesa
manifesta sino all’attualità. come cultura) e turismo. Alcuni sono stati capaci di dire che l’arte (in particolare nelle sue
L’arte romantica, in quanto preludio e realizzazione di quella moderna, laddove essa si manifestazioni storiche) è il nostro petrolio.
identifica con tutta l’arte dell’Occidente cristiano, è dunque un’arte votata all’intimità Forse se liberiamo l’arte di abitare, nelle sue diverse forme, dalla sfera del consumismo
spirituale, un’arte eminentemente soggettiva che ha lasciato da parte il mondo esterno per stupido, se cercheremo di ridare alle riflessioni sull’abitare una rilevanza per la nostra
affidarsi ad una riflessione su di sè e sui propri mezzi. Un’arte la quale, pur enfatizzando i qualità della vita, per riverberazioni avremo nuovi argomenti per la critica al consumismo
propri motivi costruttivi, la propria essenza tecnica, si ritrae dal mondo per racchiudersi in in generale. Forse mangeremo, ci vestiremo, ci muoveremo in modo diverso; e forse con
un universo solo suo, quello della coscienza estetica, dell’art pour l’art (Vercellani). un po’ di decrescita.
In forza della sua valutazione a priori del soggettivismo dell’azione artistica, l’arte perde
le intenzioni e le occasioni del confronto e, forse, anche del dialogo fra le sue espressioni
interne. Per dare credito a questa affermazione bisogna mettere in luce la sua parzialità e le
sue eccezioni: il movimento Jugendstil viennese (l’incontro tra Hoffmann e Klimt nella casa
Stoclet a Bruxelles credo sia un momento straordinario di dialogo tra arti), il movimento
De Stijl, il Bauhaus, la rivoluzione russa, lo stalinismo, sono state situazioni dove con la
complicità di una ideologia si sono avvicinate le arti nell’intenzione di un’azione comune.
Le arti ravvicinate negli intenti proponevano interpretazioni condivise e, più o meno
direttamente, una revisione critica dei modi di abitare.
Non pare che nella contemporaneità siano in atto situazioni riconducibili a quelle citate.
La post-modernità, figlia della critica ermeneutica nel pensiero filosofico, ha avanzato
un sospetto rispetto alle ideologie unificanti (la fine dei grandi “recit” di cui ci ha parlato

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Abitare la città consumando Lyotard) ridando valore alle avventure pragmatiche dell’esistenza, cercando in queste una
ricomposizione di storia e futuro.
Si tratta di un’avventura tanto affascinante quanto rischiosa. L’apertura rispetto alla libertà
dell’interpretazione (non ci sono fatti ma solo interpretazione) ha richiamato coloro che
Pietro Derossi hanno accettato questa sfida ad una grande responsabilità: si sono trovati davanti ad ogni
scelta la complessità del mondo.
Purtroppo questo atteggiamento non è stato vincente. La libertà invece di produrre
responsabilità ha aperto spesso la strada ad un soggettivismo disincantato accompagnato
da una estetizzazione superficiale. Alla parola post-moderno sono stati attribuiti significati
La parola consumismo, in prima istanza, rimanda alle merci d’uso quotidiano: cibo, abiti, di disimpegno e generico ludismo.
automobili, fare viaggi e vacanze. Pare siano queste categorie che possono essere soggette La libertà, troppo poco condizionata dalla riflessione, ha ridato credito all’autonomia
ad una revisione di comportamento. incondizionata della forma, anche privata dei riferimenti spirituali del pensiero romantico.
Solo più indirettamente (e raramente) si usa la parola consumismo per parlare della città: L’incontro tra libertà incondizionata, esigenze di sviluppo veloce delle città, grandi società
consumo della città, consumismo dell’abitare. E ancora più raramente si parla all’interno finanziarie interessate ha costituito il nuovo, inquietante paesaggio delle nuove espansioni
dell’abitare di consumismo dell’arte. Forse ha senso chiedersi: come è “consumata” l’arte urbane.
oggi? Le consuetudini e le procedure nell’attualità sono idonee a dare senso al fare arte! Anche se questo fenomeno si manifesta nella sua drammatica dimensione nelle grandi aree
Secondo la tradizione nell’Accademia di San Luca convivono tre categorie di artisti: in espansione, pone anche nella vecchia Europa una sua arrogante presenza.
pittori, scultori, architetti. Questa suddivisione non ritengo possa essere presa troppo sul Se questo panorama dell’attualità è convincente per la “categoria” architettura, è più
serio in quanto, come è noto, sia nella storia che nell’attualità sono presenti e operanti difficile descrivere le tendenze attuali delle categorie pittura e scultura. Quello che si può
molte e profonde interferenze, sia teoriche che pratiche tra il fare di queste categorie. individuare è una compresenza di sperimentazioni singole che rileggono con variazioni
Interferenze positive in quanto promuovono un’estensione delle riflessioni sul significato rilevanti le condizioni del passato prossimo.
del fare arte. Ma ciò che può destare preoccupazioni è la constatazione della particolarità di chi
Potremmo pensare che la parola che trattiene in sé queste categorie del fare arte e le loro detiene il ruolo di gestore dell’organizzazione del sistema dell’arte e che di conseguenza
relazioni è la parola abitare anche se in questa parola c’è molto altro (lavoro, economia, di chi fa da referente e da promotore. Musei, gallerie d’arte, collezionisti, case d’asta
letteratura, ecc.), ma è un altro con cui proprio il fare arte può (e deve?) dialogare. detengono un forte potere di relazione spesso determinato da interessi costruiti dal
Potremmo chiederci quale è il ruolo dell’arte nell’abitare o, ancora, in modo più radicale, dinamismo del mercato. Qui ritroviamo il rischio di escludere il sistema del fare arte del
cosa serve l’arte nel promuovere e migliorare (per la sua parte) l’attività di abitare intesa mondo dell’abitare, affidando il potere ad una “casta” che troppo spesso è condizionata
nella sua dimensione privata e collettiva. dall’interferenza di interessi solo mercantili. Possiamo parlare di un distacco del ruolo
Sino al romanticismo le tre “categorie” dell’Accademia hanno collaborato quasi in simbiosi dell’arte come strumento di promozione culturale (intesa come riflessione sulla vita) dalla
nella progettazione e costruzione delle grandi opere del potere, Palazzi e Chiese. Il ruolo vita reale della società.
che univa gli artisti era quello di celebrare e dare credibilità, da una parte, alla funzione A questo punto del discorso possiamo trovare una relazione tra i problemi delle tre
di comandare e fare ordine e, dall’altra parte, alla presenza del divino nel suo manifestarsi categorie in cui sono classificati gli artisti dell’Accademia e possiamo proporre di avviare
terreno. Inutile ricordare la quantità delle opere che hanno operato con questo intento e una riflessione comune partendo dalla parola abitare e dai significati complessi a cui ci
della loro straordinaria qualità perseguita dalla presenza coordinata di Architetti, Pittori rimanda.
e Scultori. Potremmo rilevare che questa collaborazione ha operato per lo più dentro Potremmo con un po’ di nostalgia ricordare i tempi dove artisti ed architetti lavoravano
recinti privati o semipubblici: raramente ha scelto come campo di azione la città nella sua insieme per dare qualità alla città e riflettere se si può prevedere un futuro in cui, con
dimensione collettiva. la richiesta partecipata di cittadini attenti e preparati sia possibile riattivare questa
Possiamo, schematicamente affermare che è con il romanticismo che i propositi e le collaborazione.
occasioni di queste collaborazioni tra le arti hanno perso interesse. Questo cambiamento Si tratta di pensare ad una revisione del consumo dell’arte oggi caduta nella categoria dei
non ha solo motivazioni spirituali ma certo anche socio-economiche, cioè si tratta di un riferimenti negativi del consumismo.
cambiamento strutturale che promuove una rivoluzione sociale che in diverse forme si è consuetudine di Assessori alla Cultura delle varie città italiane assimilare arte (intesa
manifesta sino all’attualità. come cultura) e turismo. Alcuni sono stati capaci di dire che l’arte (in particolare nelle sue
L’arte romantica, in quanto preludio e realizzazione di quella moderna, laddove essa si manifestazioni storiche) è il nostro petrolio.
identifica con tutta l’arte dell’Occidente cristiano, è dunque un’arte votata all’intimità Forse se liberiamo l’arte di abitare, nelle sue diverse forme, dalla sfera del consumismo
spirituale, un’arte eminentemente soggettiva che ha lasciato da parte il mondo esterno per stupido, se cercheremo di ridare alle riflessioni sull’abitare una rilevanza per la nostra
affidarsi ad una riflessione su di sè e sui propri mezzi. Un’arte la quale, pur enfatizzando i qualità della vita, per riverberazioni avremo nuovi argomenti per la critica al consumismo
propri motivi costruttivi, la propria essenza tecnica, si ritrae dal mondo per racchiudersi in in generale. Forse mangeremo, ci vestiremo, ci muoveremo in modo diverso; e forse con
un universo solo suo, quello della coscienza estetica, dell’art pour l’art (Vercellani). un po’ di decrescita.
In forza della sua valutazione a priori del soggettivismo dell’azione artistica, l’arte perde
le intenzioni e le occasioni del confronto e, forse, anche del dialogo fra le sue espressioni
interne. Per dare credito a questa affermazione bisogna mettere in luce la sua parzialità e le
sue eccezioni: il movimento Jugendstil viennese (l’incontro tra Hoffmann e Klimt nella casa
Stoclet a Bruxelles credo sia un momento straordinario di dialogo tra arti), il movimento
De Stijl, il Bauhaus, la rivoluzione russa, lo stalinismo, sono state situazioni dove con la
complicità di una ideologia si sono avvicinate le arti nell’intenzione di un’azione comune.
Le arti ravvicinate negli intenti proponevano interpretazioni condivise e, più o meno
direttamente, una revisione critica dei modi di abitare.
Non pare che nella contemporaneità siano in atto situazioni riconducibili a quelle citate.
La post-modernità, figlia della critica ermeneutica nel pensiero filosofico, ha avanzato
un sospetto rispetto alle ideologie unificanti (la fine dei grandi “recit” di cui ci ha parlato

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Eterotopia: effetto Foucault, tra il visibile e l’indicibile giovani dell’estrema sinistra come i primi inventori e (involontari) sostenitori della città
del consumo di massa. I grandi razionalizzatori della città padronale sono anche i primi
L’altro spazio tra Venezia, Berlino e Los Angeles produttori della frammentazione dello spazio urbano e della spazializzazione gerarchica
del capitale. Defert cita quanto scrive in proposito, nel 1976, la rivista “Travers” (n. 4,
Marco Dezzi Bardeschi 1976): si rivela utile (per il capitale) parlare indifferentemente delle utopie pre-urbane, delle
città operaie, di Haussmann, del Bauhaus, del funzionalismo, degli Shakers, dei grandi
Insiemi, delle Città Nuove: ovunque si afferma pericolosamente una razionalizzazione
dello spazio legata all’estensione universale del capitale, una propensione del suo ordine di
scambio, all’ordine tout court.
1. Foucault: l’altro spazio dell’eterotopia Proprio nell’incipit del suo Le parole e le cose, Foucault si rifaceva alla classificazione di
Pochi giorni fa in Brasile, in una piccola libreria di San Paolo, ho trovato un recente, Borges di un’improbabile Enciclopedia cinese in cui gli animali venivano distribuiti in
agile libello bilingue, double face, in portoghese e in francese, con il (raro) testo di due 14 classi assolutamente eteroclite il cui disordine – commentava Foucault – fa scintillare
brillanti conversazioni di Michel Foucault, la prima radiofonica in due puntate (del 7 e un gran numero di ordini possibili che, in opposizione a utopia, etimologicamente non-
del 21 dicembre 1966) su utopia e letteratura, finora reperibile solo negli archivi sonori luogo chiamava appunto eterotopia. Il nostro pensiero, sosteneva, ha assoluto bisogno del
del Centre Foucault alla Biblioteca dell’Imec a Caen, la seconda tenuta al Cercle d’études supporto di uno spazio d’ordine, di una zona mediana che definiva archeologia del sapere,
architecturales di Parigi (14 marzo 1967), primo incontro del grande pensatore francese che – commenta Defert – sta proprio sotto le nostre stesse percezioni, i nostri discorsi, i
con gli architetti e l’architettura, sugli spazi altri, che proponeva di identificare con un nostri saperi e nella quale si incrociano e si fondono il visibile e l’invisibile, il pronunciabile
neologismo di eterotopologia. Quest’ultima, che pure ebbe una circolazione ristretta (in un e l’indicibile, il linguaggio, lo sguardo e lo spazio. L’eterotopia individua degli spazi altri:
dattiloscritto riservato ai membri del Centro), non sfuggì a Bruno Zevi, che ne pubblicò un dei luoghi concreti altrettanto eterocliti,nei quali io-sono-e-non-sono (come lo specchio
estratto in francese, senza commenti, col titolo Des espaces autres; utopies et hétérotopies, ne o il cimitero), o in cui io-sono-un-altro (come nella casa chiusa o nel villaggio vacanze
“L’architettura. Cronache e storia” (n. 150, aprile 1968, pp. 822-823), appena un mese prima polinesiano a Djerba, lo spazio-licenza della festa o del carnevale), spazi che appartengono
dell’esplosione della epocale contestazione degli studenti francesi del maggio 1968. alla categoria degli spazi-tempo o delle temporalità-atemporali (come quelle della biblioteca
Il seguito è noto, come appunto ci ricorda ora Daniel Defert nella postfazione o del museo). Non sono spazi – commenta ancora Defort – che riflettono la struttura sociale,
(“Hétérotopie”: tribulations d’un concept entre Venise, Berlin et los Angeles) dell’aureo né la struttura di produzione, non sono un sistema socio-storico, né spazi ideologici, ma delle
libello franco-portoghese, spiegando il triangolo di capitali culturali coinvolte nella storiche rotture della vita quotidiana, degli immaginari, delle rappresentazioni polifoniche
interpretazione e nella circolazione del fortunato neologismo foucaultiano. Il suo della vita, della morte, dell’amore, di Eros e di Tanatos.
sconvolgente testo (Les Mots et les Choses, une archéologie des sciences humaines) era Eterotopie come paradisi artificiali, dunque, necessari allo stesso dispiegarvisi del pensiero
appena uscito a Parigi da Gallimard (nella primavera 1966) ed era stato sùbito tradotto e razionale. Foucault partendo dalla paradossale, bizzarra e provocatoria classificazione di
pubblicato in italiano (Rcs, Libri & Grandi Opere, Milano, 1967 e sarebbe poi stato più Borges, a fronte dei non luoghi astratti e irreali delle utopie, definiva le eterotopie delle
volte ristampato – 1978, 1996, 1998), suscitando sempre grande attenzione da parte della utopie magari autoconsolatorie, ma effettivamente realizzate, le identificava in luoghi al
critica. Ma il testo originale, quello del sopracitato primo incontro parigino di Foucault di fuori di tutti i luoghi, classificandoli in due grandi tipi: le eterotopie di crisi, all’interno
con gli architetti e l’architettura, preceduto da una sua lettera scritta dal villaggio assolato delle quali gli uomini vivono male, in stato obbligato, di crisi appunto (il collegio, il
di Sidi Bou Said, nel golfo di Cartagine, il 2 marzo 1967, aveva avuto una diffusione molto servizio militare) e in eterotopie di deviazione dalla norma convenzionale pretesa dalla
limitata affidata a quella in forma dattiloscritta tra i membri del Circolo parigino, ad società (la casa di riposo, la clinica psichiatrica, il carcere, la casa chiusa…). Eterotopie
eccezione del suo condensato estratto sulla rivista di Bruno Zevi finché non fu pubblicato sono anche tutti quegli spazi multipli addensati in uno stesso luogo (come il teatro, il
solo17 anni dopo, con il tardivo consenso dell’autore che, solo poco prima di morire – 25 cinema, i giardini), ma anche i luoghi nei quali si accumula e si colleziona il tempo (come
giugno 1984 – l’inserì in extremis nel corpus dei suoi scritti nell’autunno 1984 in occasione i musei, le biblioteche, le feste e le fiere), nonché i luoghi in cui io-sono-e-non-sono (come
della mostra Idee, processi, risultati, al Martin-Gropius-Bau di Berlino per l’International lo specchio e il cimitero) e tutti quegli spazi di illusione/compensazione in cui io-sono-
Baustellung (Iba). un-altro (come la casa chiusa, il villaggio-vacanze). Ma il luogo eterotopico per eccellenza,
In quella dimenticata conversazione radiofonica (Utopie et hétérotopies), Foucault, partiva intuisce Foucault, è quello spazio fluttuante della nave: un luogo senza luogo che vive
da una geniale suggestione di Bachelard degli spazi immaginifici che affascinano il mondo chiuso in sé e che al tempo stesso procede all’infinito nello spazio/tempo, di porto in
evocativo dei giuochi dell’infanzia (i granai, i fondali dei giardini, la tenda degli indiani, porto, di casa chiusa in casa chiusa… La nave, ci ricorda ancora Foucault, è in definitiva la
il grande letto dei genitori), che definiva autentiche utopie localizzate, sognava appunto più grande riserva potenziale d’immaginazione collettiva: nella civiltà senza navi i sogni si
l’avvento di una scienza nuova che avrebbe avuto per oggetto proprio questi spazi diversi tarissent, lo spionaggio rimpiazza l’avventura e la polizia i corsari…
che sono la contestazione di quelli in cui viviamo, non – diceva – una scienza delle utopie
ma delle eterotopie, una scienza di spazi assolutamente “altri”. 3. L’eterotopia da Parigi a Venezia
è ora in Italia, nella Venezia di Controspazio, che si riaffaccia e viene ripresa l’intuizione di
2. Frammentazione dello spazio urbano e consumo di massa
Foucault. Soprattutto con i saggi di Cacciari, Rella, Tafuri e Teyssot autori per la Cluva,
Nella primavera 1967 siamo proprio nei mesi d’incubazione che precedono la grande nel dicembre 1977, de il dispositivo Foucault. è ora piuttosto il suo nuovo testo Surveiller
esplosione giovanile, il grande “fracasso” (Defert) del ’68, e proprio in quei giorni Jean- et punir (Gallimard, Parigi,1975) al centro della riflessione, assieme alla raccolta dei saggi
Luc Godard ne La Cinese, faceva proprio scagliare pomodori dalla sua eroina pro-Mao, politici (Microfisica del potere: interventi politici, Torino, Einaudi e Pasquino, 1977)
interpretata da Anne Wiazemsky, contro una copia de Le parole e le cose, considerato il libro pubblicata in Italia quello stesso anno, proprio mentre arriva al pubblico italiano anche
simbolo – commenta ancora Defert – della negazione della storia e dunque della negazione la traduzione (Parma/Lucca, Pratiche, 1977) dei Rizoma di Deleuse e Guattari usciti in
della rivoluzione. Così, rapidamente, l’improvviso successo del neologismo foucaultiano Francia l’anno prima (Minuit, Parigi, 1976).
nell’interpretazione radicale dei movimenti giovanili politicizzati alla sinistra del PC, in Rella, presentando l’antologia foucaultiana, ne interpreta l’analisi della pluralità delle
Francia e in Italia si rovesciò come un imprevisto boomerang proprio sul suo stesso autore. relazioni del potere come una vera e propria metafisica del potere. Così l’effetto Foucault
Ed ecco che la iniziale simpatia dei giovani contestatori per i grandi utopisti riformatori diviene il dispositivo Foucault di Cacciari, Rella, Tafuri, Teyssot (Cluva, Venezia, 1977):
si trasforma in crescente sospetto di connivenza con il capitale: Godin, costruttore del l’unica storia dei poteri è una storia degli spazi attraverso i quali il potere si mostra, scrive
Familistero di Guisa, o Noisel, promotore della città Menier, vengono ora considerati dai Rella. In realtà ora il suo non-luogo si è materializzato in una infinità di localizzazioni

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Eterotopia: effetto Foucault, tra il visibile e l’indicibile giovani dell’estrema sinistra come i primi inventori e (involontari) sostenitori della città
del consumo di massa. I grandi razionalizzatori della città padronale sono anche i primi
L’altro spazio tra Venezia, Berlino e Los Angeles produttori della frammentazione dello spazio urbano e della spazializzazione gerarchica
del capitale. Defert cita quanto scrive in proposito, nel 1976, la rivista “Travers” (n. 4,
Marco Dezzi Bardeschi 1976): si rivela utile (per il capitale) parlare indifferentemente delle utopie pre-urbane, delle
città operaie, di Haussmann, del Bauhaus, del funzionalismo, degli Shakers, dei grandi
Insiemi, delle Città Nuove: ovunque si afferma pericolosamente una razionalizzazione
dello spazio legata all’estensione universale del capitale, una propensione del suo ordine di
scambio, all’ordine tout court.
1. Foucault: l’altro spazio dell’eterotopia Proprio nell’incipit del suo Le parole e le cose, Foucault si rifaceva alla classificazione di
Pochi giorni fa in Brasile, in una piccola libreria di San Paolo, ho trovato un recente, Borges di un’improbabile Enciclopedia cinese in cui gli animali venivano distribuiti in
agile libello bilingue, double face, in portoghese e in francese, con il (raro) testo di due 14 classi assolutamente eteroclite il cui disordine – commentava Foucault – fa scintillare
brillanti conversazioni di Michel Foucault, la prima radiofonica in due puntate (del 7 e un gran numero di ordini possibili che, in opposizione a utopia, etimologicamente non-
del 21 dicembre 1966) su utopia e letteratura, finora reperibile solo negli archivi sonori luogo chiamava appunto eterotopia. Il nostro pensiero, sosteneva, ha assoluto bisogno del
del Centre Foucault alla Biblioteca dell’Imec a Caen, la seconda tenuta al Cercle d’études supporto di uno spazio d’ordine, di una zona mediana che definiva archeologia del sapere,
architecturales di Parigi (14 marzo 1967), primo incontro del grande pensatore francese che – commenta Defert – sta proprio sotto le nostre stesse percezioni, i nostri discorsi, i
con gli architetti e l’architettura, sugli spazi altri, che proponeva di identificare con un nostri saperi e nella quale si incrociano e si fondono il visibile e l’invisibile, il pronunciabile
neologismo di eterotopologia. Quest’ultima, che pure ebbe una circolazione ristretta (in un e l’indicibile, il linguaggio, lo sguardo e lo spazio. L’eterotopia individua degli spazi altri:
dattiloscritto riservato ai membri del Centro), non sfuggì a Bruno Zevi, che ne pubblicò un dei luoghi concreti altrettanto eterocliti,nei quali io-sono-e-non-sono (come lo specchio
estratto in francese, senza commenti, col titolo Des espaces autres; utopies et hétérotopies, ne o il cimitero), o in cui io-sono-un-altro (come nella casa chiusa o nel villaggio vacanze
“L’architettura. Cronache e storia” (n. 150, aprile 1968, pp. 822-823), appena un mese prima polinesiano a Djerba, lo spazio-licenza della festa o del carnevale), spazi che appartengono
dell’esplosione della epocale contestazione degli studenti francesi del maggio 1968. alla categoria degli spazi-tempo o delle temporalità-atemporali (come quelle della biblioteca
Il seguito è noto, come appunto ci ricorda ora Daniel Defert nella postfazione o del museo). Non sono spazi – commenta ancora Defort – che riflettono la struttura sociale,
(“Hétérotopie”: tribulations d’un concept entre Venise, Berlin et los Angeles) dell’aureo né la struttura di produzione, non sono un sistema socio-storico, né spazi ideologici, ma delle
libello franco-portoghese, spiegando il triangolo di capitali culturali coinvolte nella storiche rotture della vita quotidiana, degli immaginari, delle rappresentazioni polifoniche
interpretazione e nella circolazione del fortunato neologismo foucaultiano. Il suo della vita, della morte, dell’amore, di Eros e di Tanatos.
sconvolgente testo (Les Mots et les Choses, une archéologie des sciences humaines) era Eterotopie come paradisi artificiali, dunque, necessari allo stesso dispiegarvisi del pensiero
appena uscito a Parigi da Gallimard (nella primavera 1966) ed era stato sùbito tradotto e razionale. Foucault partendo dalla paradossale, bizzarra e provocatoria classificazione di
pubblicato in italiano (Rcs, Libri & Grandi Opere, Milano, 1967 e sarebbe poi stato più Borges, a fronte dei non luoghi astratti e irreali delle utopie, definiva le eterotopie delle
volte ristampato – 1978, 1996, 1998), suscitando sempre grande attenzione da parte della utopie magari autoconsolatorie, ma effettivamente realizzate, le identificava in luoghi al
critica. Ma il testo originale, quello del sopracitato primo incontro parigino di Foucault di fuori di tutti i luoghi, classificandoli in due grandi tipi: le eterotopie di crisi, all’interno
con gli architetti e l’architettura, preceduto da una sua lettera scritta dal villaggio assolato delle quali gli uomini vivono male, in stato obbligato, di crisi appunto (il collegio, il
di Sidi Bou Said, nel golfo di Cartagine, il 2 marzo 1967, aveva avuto una diffusione molto servizio militare) e in eterotopie di deviazione dalla norma convenzionale pretesa dalla
limitata affidata a quella in forma dattiloscritta tra i membri del Circolo parigino, ad società (la casa di riposo, la clinica psichiatrica, il carcere, la casa chiusa…). Eterotopie
eccezione del suo condensato estratto sulla rivista di Bruno Zevi finché non fu pubblicato sono anche tutti quegli spazi multipli addensati in uno stesso luogo (come il teatro, il
solo17 anni dopo, con il tardivo consenso dell’autore che, solo poco prima di morire – 25 cinema, i giardini), ma anche i luoghi nei quali si accumula e si colleziona il tempo (come
giugno 1984 – l’inserì in extremis nel corpus dei suoi scritti nell’autunno 1984 in occasione i musei, le biblioteche, le feste e le fiere), nonché i luoghi in cui io-sono-e-non-sono (come
della mostra Idee, processi, risultati, al Martin-Gropius-Bau di Berlino per l’International lo specchio e il cimitero) e tutti quegli spazi di illusione/compensazione in cui io-sono-
Baustellung (Iba). un-altro (come la casa chiusa, il villaggio-vacanze). Ma il luogo eterotopico per eccellenza,
In quella dimenticata conversazione radiofonica (Utopie et hétérotopies), Foucault, partiva intuisce Foucault, è quello spazio fluttuante della nave: un luogo senza luogo che vive
da una geniale suggestione di Bachelard degli spazi immaginifici che affascinano il mondo chiuso in sé e che al tempo stesso procede all’infinito nello spazio/tempo, di porto in
evocativo dei giuochi dell’infanzia (i granai, i fondali dei giardini, la tenda degli indiani, porto, di casa chiusa in casa chiusa… La nave, ci ricorda ancora Foucault, è in definitiva la
il grande letto dei genitori), che definiva autentiche utopie localizzate, sognava appunto più grande riserva potenziale d’immaginazione collettiva: nella civiltà senza navi i sogni si
l’avvento di una scienza nuova che avrebbe avuto per oggetto proprio questi spazi diversi tarissent, lo spionaggio rimpiazza l’avventura e la polizia i corsari…
che sono la contestazione di quelli in cui viviamo, non – diceva – una scienza delle utopie
ma delle eterotopie, una scienza di spazi assolutamente “altri”. 3. L’eterotopia da Parigi a Venezia
è ora in Italia, nella Venezia di Controspazio, che si riaffaccia e viene ripresa l’intuizione di
2. Frammentazione dello spazio urbano e consumo di massa
Foucault. Soprattutto con i saggi di Cacciari, Rella, Tafuri e Teyssot autori per la Cluva,
Nella primavera 1967 siamo proprio nei mesi d’incubazione che precedono la grande nel dicembre 1977, de il dispositivo Foucault. è ora piuttosto il suo nuovo testo Surveiller
esplosione giovanile, il grande “fracasso” (Defert) del ’68, e proprio in quei giorni Jean- et punir (Gallimard, Parigi,1975) al centro della riflessione, assieme alla raccolta dei saggi
Luc Godard ne La Cinese, faceva proprio scagliare pomodori dalla sua eroina pro-Mao, politici (Microfisica del potere: interventi politici, Torino, Einaudi e Pasquino, 1977)
interpretata da Anne Wiazemsky, contro una copia de Le parole e le cose, considerato il libro pubblicata in Italia quello stesso anno, proprio mentre arriva al pubblico italiano anche
simbolo – commenta ancora Defert – della negazione della storia e dunque della negazione la traduzione (Parma/Lucca, Pratiche, 1977) dei Rizoma di Deleuse e Guattari usciti in
della rivoluzione. Così, rapidamente, l’improvviso successo del neologismo foucaultiano Francia l’anno prima (Minuit, Parigi, 1976).
nell’interpretazione radicale dei movimenti giovanili politicizzati alla sinistra del PC, in Rella, presentando l’antologia foucaultiana, ne interpreta l’analisi della pluralità delle
Francia e in Italia si rovesciò come un imprevisto boomerang proprio sul suo stesso autore. relazioni del potere come una vera e propria metafisica del potere. Così l’effetto Foucault
Ed ecco che la iniziale simpatia dei giovani contestatori per i grandi utopisti riformatori diviene il dispositivo Foucault di Cacciari, Rella, Tafuri, Teyssot (Cluva, Venezia, 1977):
si trasforma in crescente sospetto di connivenza con il capitale: Godin, costruttore del l’unica storia dei poteri è una storia degli spazi attraverso i quali il potere si mostra, scrive
Familistero di Guisa, o Noisel, promotore della città Menier, vengono ora considerati dai Rella. In realtà ora il suo non-luogo si è materializzato in una infinità di localizzazioni

38 39
(o dispositivi) eterotopiche. L’effetto Marx, conclude, è ora combattere la tirannia delle del geografo Derek Gregory (citato in Thirdspace di Soja, 1994). Ora l’influenza degli
teorie di globalizzazione. Spazi-altri di Foucault trascorre nell’analisi letteraria (Brian McHale, Post Modernist
Ma, in realtà – commenta Defert – l’eterotopologia è la fenomenologia della dispersione Fiction, New York, Routledge,1988) e in Michel de Certeau (Heterologies: Discurse of the
anarchica del potere. E intanto Foucault, alla luce delle interpretazioni distorte (siamo nel Other, Manchester University Press, 1986) e nell’analisi cinematografica (Giuliana Bruno,
luglio 1976), ripudiando la sua conferenza del ’67, ora si confessa (parlando del panopticon Bodily Architectures, in “Assemblages”, 19 dicembre 1992) e nella ricerca artistica: Nancy
di Bentham, pubblicato nel 1977) quando dichiara che avrebbe voluto ben scrivere una Spector, ad esempio, parlando di un’installazione urbana realizzata a Manhattan dell’artista
storia degli spazi, che sarebbe al tempo stesso, una storia del potere, dalle grandi strategie cubano Felix Gonzales-Torres parla di un’esperienza di ambientamento eterotopico:
della geopolitica fino alle piccole tattiche dell’habitat, dell’architettura istituzionale, della l’artista propone in esterni, in 24 grandi pannelli, un’unica foto gigante in bianco e nero
scuola o dell’organizzazione dell’ospedale, passando per gli impianti economico-politici. è del contro-spazio di un letto disfatto con la leggera impronta di due teste coricate, per
sorprendente vedere come il problema degli spazi abbia messo tanto tempo per apparire denunciare la persecuzione della sodomia fra adulti consenzienti decisa in tutti gli Stati
come un problema storico-politico. Mi ricordo, una decina di anni fa, di aver affrontato dalla Corte suprema nel 1986. Si dà voce ad una microstoria personale muta: così il privato
questi problemi della politica degli spazi e di sentirmi rispondere che era molto reazionario entra prepotentemente a scuotere lo spazio pubblico, per ricordare il compagno dell’artista
insistere così tanto sullo spazio, mentre il tempo e il progetto erano la via del progresso… morto di Aids.
Questa storia genealogica della spazializzazione del potere, che Foucault designa, in La
volonté de savoir (Gallimard, Parigi, 1976) come biopotere, è quella che perseguiranno Autenticità, futuro della memoria e cultura del progetto
senza aver conosciuto la conferenza del 1967 di Foucault l’antropologo Paul Rabinow Quatremère de Quincy (nel suo autorevole Dictionnaire Historique d’Architecture, 1832)
e lo storico dell’habitat americano Gwendolyn Wright, analizzando l’eterotopia delle definisce Monumento: “un segno proprio a richiamare la memoria dei fatti, delle cose, delle
colonie francesi d’America (Biopower in French Colonies: Knowledge, Power, History, persone: questo vocabolo – prosegue – equivale allo mnema dei Greci. In architettura è un
conferenza su Foucault, Los Angeles, 29-31 ottobre 1981). Attraverso queste ossessioni – è monumento ogni edificio, o costruito per eternare la memoria di avvenimenti straordinari,
lo stesso Foucault a ricordarcelo, appunto in un confronto con i due studiosi del 1982 – o concepito o disposto in maniera da formare un oggetto d’abbellimento e di magnificenza
sono arrivato a capire quello che è fondamentale per me: (conoscere) le relazioni che sono nella città”. Ogni monumento di pubblica utilità come depositario di memorie vive è
possibili tra potere e sapere…: lo spazio è il luogo privilegiato per capire come opera il un patrimonio comune destinato ad ammonire (da monère) e a trasmettere la memoria
potere. collettiva della società che lo ha prodotto e ad eccitare quella delle generazioni future che
E consegna alla storia il proprio amarcord: sia detto tra parentesi: io mi ricordo di essere ne fruiranno.
stato invitato da un gruppo di architetti, nel 1966, a fare un studiosullo spazio: si trattava Tale fondamentale ruolo identitario, culturale e civile, presuppone l’autenticità del testo/
di quelle che, allora, chiamavo le “eterotopie”, questi spazi singolari che si ritrovano in certi documento in cui fedelmente si riflette, come in uno specchio, la storia e la cultura di un
spazi sociali le cui funzioni sono differenti da quelle degli altri, diametralmente opposti. popolo. Ma l’autenticità di cui parliamo non è una qualità astratta, primigenia, archetipica,
Gli architetti lavoravano su questo progetto e, alla fine della ricerca, qualcuno prese la un’invariante immateriale e perenne della storia delle forme. è una nozione dinamica,
parola, uno psicologo sartriano, e mi bombardò accusandomi che lo spazio era reazionario poiché l’architettura è un’arte autografa (non allografa e non riproducibile a piacimento
e capitalista, ma che la storia e il (suo) divenire erano rivoluzionari. All’epoca – senza perdere le proprie intrinseche qualità). Dunque l’autenticità di una fabbrica alla quale
conclude – questo discorso, assurdo, non era del tutto inabituale. Oggi tutti ascoltando ciò amiamo riferirci è una proprietà fisica, tangibile (e come tale mutevole nel tempo: deperibile
si rotolerebbero dal ridere. e alla lunga peribile) che riposa sempre sulla diretta presenza di un testimone materiale
inserito nel processo del tempo. Come ben ci ricorda (dal 1936) Walter Benjamin: è “l’hic et
4. L’eterotopia da Berlino a Los Angeles mine dell’originale (non l’originario!) che incarna la nozione di autenticità la quale integra
tutto ciò che si trasmette dalla sua origine, durata materiale e testimonianza storica, la quale
Siamo nel 1982: due anni più tardi Foucault, dopo essersi imposto un lungo silenzio,
riposa sulla sua materialità”.
accetta la pubblicazione della sua conferenza del 1967 richiestagli per la grande esposizione
Autentico e autografo hanno la medesima radice greca (autòs), da sé, che rimanda al carattere
tedesca dell’Iba, a Berlino, organizzata dal tedesco Johannes Gachnang e dall’italiano
identificante (proprio questo qui e non un altro simile) della mano di un autore (arti/ex)
Marco de Michelis. Il testo di Foucault del ’67 ben si adatta all’iniziativa berlinese: in
che produce artefatti, segni che, come tali, possono essere attestati, certificati, autenticati
un’intervista con Bourdeau (A propos de la ville europeenne, AMCS, ottobre 1984) appunto. Dietro ogni memoria patrimoniale dunque c’è sempre, a garantirla, il riferimento
Kleihues sosterrà (ed Aldo Rossi lo ribadirà nei suoi scritti e nella sua opera berlinese) alla sua autenticità materiale.
che ora è necessario affrontare l’idea di una città per parti, calandosi progettualmente nelle
sue isole, rispettandone le differenze e la varietà storico-topografica. E, di conseguenza,
affidare a diversi architetti i progetti di ricostruzione di uno stesso isolato. Rispettare la
stratificazione geopolitica come anche, per esempio, in vista della auspicata riunificazione
delle due Germanie, la sedimentazione della recente architettura staliniana.
Intanto , nel 1984, Foucault pubblicava la Storia della sessualità (L’Usage des plaisirs e Le
Souci de soi, Parigi, Gallimard, 1984) che l’anno dopo venivano tradotti in inglese (The
Use of Plaisure, Harmondsworth, Penguin, 1985 e The Care of Self, Harmondsworth,
Penguin, 1986): il suo pensiero si apriva alla lettura e all’interpretazione del Nuovo Mondo.
Nel 1986 la rivista “Diacritics” diretta da Cornel pubblicava la traduzione del testo del ’67
(16, 1, pp.22-27) e subito dopo la rivista internazionale di architettura di Nicolin “Lotus”.
Si apriva una nuova fortunata fase di lavoro critico sulle eterotopie foucaultiane che ora
vengono prese a modello di riferimento per la nuova politica dell’identità americana,
rivendicata dal pensiero “diverso” dei gruppi etnici, dei movimenti femministi e gay.
Defert ricostruice l’effetto Foucault in America citando The space that differences make
dell’urbanista Edward Soja (in Place and the Politics of Identity, di M. Keith e S. Pile (New
York, Routledge, 1993), Gendered Spaces della femminista Daphne Spain (Chapel Hill,
University of Carolina Press, 1992), The New Cultural Politics of Difference di Cornel
West: the Dilemma of the Black Intellectual (Ferguson,1994) o Geografical Imagination

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(o dispositivi) eterotopiche. L’effetto Marx, conclude, è ora combattere la tirannia delle del geografo Derek Gregory (citato in Thirdspace di Soja, 1994). Ora l’influenza degli
teorie di globalizzazione. Spazi-altri di Foucault trascorre nell’analisi letteraria (Brian McHale, Post Modernist
Ma, in realtà – commenta Defert – l’eterotopologia è la fenomenologia della dispersione Fiction, New York, Routledge,1988) e in Michel de Certeau (Heterologies: Discurse of the
anarchica del potere. E intanto Foucault, alla luce delle interpretazioni distorte (siamo nel Other, Manchester University Press, 1986) e nell’analisi cinematografica (Giuliana Bruno,
luglio 1976), ripudiando la sua conferenza del ’67, ora si confessa (parlando del panopticon Bodily Architectures, in “Assemblages”, 19 dicembre 1992) e nella ricerca artistica: Nancy
di Bentham, pubblicato nel 1977) quando dichiara che avrebbe voluto ben scrivere una Spector, ad esempio, parlando di un’installazione urbana realizzata a Manhattan dell’artista
storia degli spazi, che sarebbe al tempo stesso, una storia del potere, dalle grandi strategie cubano Felix Gonzales-Torres parla di un’esperienza di ambientamento eterotopico:
della geopolitica fino alle piccole tattiche dell’habitat, dell’architettura istituzionale, della l’artista propone in esterni, in 24 grandi pannelli, un’unica foto gigante in bianco e nero
scuola o dell’organizzazione dell’ospedale, passando per gli impianti economico-politici. è del contro-spazio di un letto disfatto con la leggera impronta di due teste coricate, per
sorprendente vedere come il problema degli spazi abbia messo tanto tempo per apparire denunciare la persecuzione della sodomia fra adulti consenzienti decisa in tutti gli Stati
come un problema storico-politico. Mi ricordo, una decina di anni fa, di aver affrontato dalla Corte suprema nel 1986. Si dà voce ad una microstoria personale muta: così il privato
questi problemi della politica degli spazi e di sentirmi rispondere che era molto reazionario entra prepotentemente a scuotere lo spazio pubblico, per ricordare il compagno dell’artista
insistere così tanto sullo spazio, mentre il tempo e il progetto erano la via del progresso… morto di Aids.
Questa storia genealogica della spazializzazione del potere, che Foucault designa, in La
volonté de savoir (Gallimard, Parigi, 1976) come biopotere, è quella che perseguiranno Autenticità, futuro della memoria e cultura del progetto
senza aver conosciuto la conferenza del 1967 di Foucault l’antropologo Paul Rabinow Quatremère de Quincy (nel suo autorevole Dictionnaire Historique d’Architecture, 1832)
e lo storico dell’habitat americano Gwendolyn Wright, analizzando l’eterotopia delle definisce Monumento: “un segno proprio a richiamare la memoria dei fatti, delle cose, delle
colonie francesi d’America (Biopower in French Colonies: Knowledge, Power, History, persone: questo vocabolo – prosegue – equivale allo mnema dei Greci. In architettura è un
conferenza su Foucault, Los Angeles, 29-31 ottobre 1981). Attraverso queste ossessioni – è monumento ogni edificio, o costruito per eternare la memoria di avvenimenti straordinari,
lo stesso Foucault a ricordarcelo, appunto in un confronto con i due studiosi del 1982 – o concepito o disposto in maniera da formare un oggetto d’abbellimento e di magnificenza
sono arrivato a capire quello che è fondamentale per me: (conoscere) le relazioni che sono nella città”. Ogni monumento di pubblica utilità come depositario di memorie vive è
possibili tra potere e sapere…: lo spazio è il luogo privilegiato per capire come opera il un patrimonio comune destinato ad ammonire (da monère) e a trasmettere la memoria
potere. collettiva della società che lo ha prodotto e ad eccitare quella delle generazioni future che
E consegna alla storia il proprio amarcord: sia detto tra parentesi: io mi ricordo di essere ne fruiranno.
stato invitato da un gruppo di architetti, nel 1966, a fare un studiosullo spazio: si trattava Tale fondamentale ruolo identitario, culturale e civile, presuppone l’autenticità del testo/
di quelle che, allora, chiamavo le “eterotopie”, questi spazi singolari che si ritrovano in certi documento in cui fedelmente si riflette, come in uno specchio, la storia e la cultura di un
spazi sociali le cui funzioni sono differenti da quelle degli altri, diametralmente opposti. popolo. Ma l’autenticità di cui parliamo non è una qualità astratta, primigenia, archetipica,
Gli architetti lavoravano su questo progetto e, alla fine della ricerca, qualcuno prese la un’invariante immateriale e perenne della storia delle forme. è una nozione dinamica,
parola, uno psicologo sartriano, e mi bombardò accusandomi che lo spazio era reazionario poiché l’architettura è un’arte autografa (non allografa e non riproducibile a piacimento
e capitalista, ma che la storia e il (suo) divenire erano rivoluzionari. All’epoca – senza perdere le proprie intrinseche qualità). Dunque l’autenticità di una fabbrica alla quale
conclude – questo discorso, assurdo, non era del tutto inabituale. Oggi tutti ascoltando ciò amiamo riferirci è una proprietà fisica, tangibile (e come tale mutevole nel tempo: deperibile
si rotolerebbero dal ridere. e alla lunga peribile) che riposa sempre sulla diretta presenza di un testimone materiale
inserito nel processo del tempo. Come ben ci ricorda (dal 1936) Walter Benjamin: è “l’hic et
4. L’eterotopia da Berlino a Los Angeles mine dell’originale (non l’originario!) che incarna la nozione di autenticità la quale integra
tutto ciò che si trasmette dalla sua origine, durata materiale e testimonianza storica, la quale
Siamo nel 1982: due anni più tardi Foucault, dopo essersi imposto un lungo silenzio,
riposa sulla sua materialità”.
accetta la pubblicazione della sua conferenza del 1967 richiestagli per la grande esposizione
Autentico e autografo hanno la medesima radice greca (autòs), da sé, che rimanda al carattere
tedesca dell’Iba, a Berlino, organizzata dal tedesco Johannes Gachnang e dall’italiano
identificante (proprio questo qui e non un altro simile) della mano di un autore (arti/ex)
Marco de Michelis. Il testo di Foucault del ’67 ben si adatta all’iniziativa berlinese: in
che produce artefatti, segni che, come tali, possono essere attestati, certificati, autenticati
un’intervista con Bourdeau (A propos de la ville europeenne, AMCS, ottobre 1984) appunto. Dietro ogni memoria patrimoniale dunque c’è sempre, a garantirla, il riferimento
Kleihues sosterrà (ed Aldo Rossi lo ribadirà nei suoi scritti e nella sua opera berlinese) alla sua autenticità materiale.
che ora è necessario affrontare l’idea di una città per parti, calandosi progettualmente nelle
sue isole, rispettandone le differenze e la varietà storico-topografica. E, di conseguenza,
affidare a diversi architetti i progetti di ricostruzione di uno stesso isolato. Rispettare la
stratificazione geopolitica come anche, per esempio, in vista della auspicata riunificazione
delle due Germanie, la sedimentazione della recente architettura staliniana.
Intanto , nel 1984, Foucault pubblicava la Storia della sessualità (L’Usage des plaisirs e Le
Souci de soi, Parigi, Gallimard, 1984) che l’anno dopo venivano tradotti in inglese (The
Use of Plaisure, Harmondsworth, Penguin, 1985 e The Care of Self, Harmondsworth,
Penguin, 1986): il suo pensiero si apriva alla lettura e all’interpretazione del Nuovo Mondo.
Nel 1986 la rivista “Diacritics” diretta da Cornel pubblicava la traduzione del testo del ’67
(16, 1, pp.22-27) e subito dopo la rivista internazionale di architettura di Nicolin “Lotus”.
Si apriva una nuova fortunata fase di lavoro critico sulle eterotopie foucaultiane che ora
vengono prese a modello di riferimento per la nuova politica dell’identità americana,
rivendicata dal pensiero “diverso” dei gruppi etnici, dei movimenti femministi e gay.
Defert ricostruice l’effetto Foucault in America citando The space that differences make
dell’urbanista Edward Soja (in Place and the Politics of Identity, di M. Keith e S. Pile (New
York, Routledge, 1993), Gendered Spaces della femminista Daphne Spain (Chapel Hill,
University of Carolina Press, 1992), The New Cultural Politics of Difference di Cornel
West: the Dilemma of the Black Intellectual (Ferguson,1994) o Geografical Imagination

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Ripensare la città – rimodellare l’ipercostruito informe – Si potrebbe in proposito richiamare il libro di Simon Schama (Landscape and Memory), ma
altrettanto persuasive suonano le recenti, dotte riflessioni di Vittorio Gregotti («Corriere
rivalutare lo stile mediterraneo – contro la cementificazione della Sera», 17 dicembre 2012, p. 29): «Anche se penso che una suddivisione della cultura
selvaggia e il verticalismo insensato “per generazioni” sia assai discutibile, uno dei principali caratteri della mia, la “generazione
dell’incertezza” come l’ha definita Manfredo Tafuri, o meglio la generazione che discutesse
del tema della storia, del contesto urbano e dell’antropogeografia, si muove, negli scritti e
Franco Ferrarotti
nei fatti, da una relazione tra prassi e teoria, per costruire un rapporto critico con la realtà
che utilizzi positivamente l’eredità del progetto moderno. Rafael Moneo fa parte in modo
importante di questa generazione e le sue riflessioni intorno ai fondamenti del progetto nei
A Boston, capitale del Massachusetts, nella zona centrale non lontano da Copley Square, si Per gentile concessione
nostri anni sono strutturalmente connesse agli esiti delle sue architetture e alla loro qualità.
erge un grande, altissimo, funereo edificio, un grattacielo che al turista europeo fa venir alla dell’Autore, questo testo
riprende quanto già Di recente sono stati pubblicati due libri, uno di 650 pagine dal titolo Apuntes sobra 21
mente la ‘torre’ di Montparnasse a Parigi o il Sears-Roebuck di Chicago, se non il Pirellone obras dall’editore Gili, dedicato alle sue opere, magnificamente illustrate e accompagnate
pubblicato in “La Critica
di Milano, salvo che il grattacielo bostoniano è rimasto per anni vuoto e i vetri delle finestre dalle descrizioni dei relativi principi che le guidano, riassunti in modo esemplare dal titolo di
Sociologica”, n. 186, 2013,
di tanto in tanto esplodono e non si vedono né condómini né inquilini all’orizzonte. Si è pp. 13-26. ciascuna; l’altro è il libro recentissimo L’altra modernità (Marinotti Editore), che raccoglie
semplicemente costruito troppo. Così è accaduto a Denver, nel Colorado, in Florida sulle una serie di saggi di Rafael Moneo scritti circa negli stessi anni, cioè tra il 1978 e il 2011.
rive del Golfo del Messico, ma anche in Canada e nell’America Latina, dove le imponenti Questo secondo libro descrive la crisi della modernità, i suoi esiti postmoderni negli ultimi
torri vuote guardano sulla formicolante miseria delle favelas, delle poblaciones e delle trent’anni, senza evitare le differenze interne e i punti di vista diversi espressi molte volte
Barriadas. L’indubbia innovazione tecnica ha servito ed è stata asservita dalla speculazione proprio dalla mia generazione. Basterebbe ricordare le opere e i saggi prodotti dai suoi
edilizia e dalla sfrenata corsa alla massimizzazione del profitto nel più breve tempo possibile,
protagonisti; da Ungers ad Aymonino, da Rossi a Venturi, da me e da Siza da Bohigas allo
incappando ben presto nel mortale corto circuito ‘sovrapproduzione-sottoconsumo’, vale a
stesso Moneo, oltre ai dibattiti tra alcuni critici e storici sempre della stessa generazione,
dire ‘sovracostruzione – ambiente disastrato – costruzioni vuote e informi’. Sono le famose
da Tafuri a Benevolo, da Cohen a Colin Rowe, da Eisenman a Frampton solo per citarne
cattedrali nel deserto, monumenti ad una insipienza tanto avida quanto insensata.
alcuni».
Nel frattempo il rapporto città-campagna è profondamente mutato. Siamo forse già entrati
in una fase storica nuova, post-urbana, ma non ce ne siamo accorti. La contrapposizione In via ipotetica e con tutte le cautele di un primo approccio, lasciate cadere le istanze critiche
città-campagna è caduta in seguito alla vittoria dell’effetto-città. Ormai è chiaro che il che riflettono puri principi di preferenza personali, occorre una ricognizione preliminare
continuum urbano-rurale esige l’inserimento razionale, possibilmente indolore, della dello status quaestionis: urbano e rurale costituiscono ormai un continuum. Non è più lecito
città nel paesaggio. Occorre non continuare ciecamente a costruire intensivamente e ad parlare di urbanizzazione. L’effetto di padronanza della città si è esteso e ha coinvolto il suo
accumulare un edificio sull’altro. Appare indispensabile redistribuire la popolazione, non hinterland, la campagna. Ciò significa che la periferia non è più periferica e che il centro
concentrarla insensatamente nelle torri, ma spalmare invece, per così dire, le costruzioni sul deve ‘de-centrarsi’, pena il soffocamento, il declino e la morte. Bisogna ripensare lo spazio,
territorio, esplorarne e valorizzarne i nervi e le vie respiratorie, i passaggi e le peculiarità, così recuperare il senso umano, rivalutare il paesaggio come eredità storica e costruzione mentale.
da sconfiggere o quanto meno ridurre gli effetti irrazionali della mera sovrapposizione e di Io guardo il paesaggio, ma il paesaggio guarda me che lo guardo. Mi interessa, mi coinvolge e
quella «febbre del mattone» e del vetro e dell’acciaio che finisce per distruggere l’ambiente mi sfida. Perché sono dove sono? A che cosa tendo? Dove mi colloco? E perché?
naturale e l’equilibrio del territorio invece di aiutarne l’ordinata espansione. A volte, fenomeni esistenti da tempo vengono registrati con l’incongrua espressione di
Parole. Ma non è forse dalle parole che nasce la presa di coscienza e muove quindi i primi sorpresa propria di chi annuncia l’ovvio come una grande scoperta. Nessun dubbio che il
passi una rivoluzione? Bisogna cominciare a riflettere sulla nuova realtà post-urbana. carattere vietamente romantico e non pienamente condivisibile di certo pessimismo di Lewis
Non sembra sufficiente scagliarsi polemicamente o versare ironie corrosive sugli architetti, Mumford sia evidente. La sua famosa sequenza ‘pólis – metropoli – megalopoli – necropoli’
come fa da par suo il dandy estetizzante, in perfetto stile da country gentleman, Tom Wolfe non è ammissibile. Ma altrettanto indubbio è che storia, urbanistica e sociologia non possono
(cfr. T. W., From Bauhaus to our house, New York, Washington Square Press, 1981). Trovo ignorarsi. È necessaria un’impostazione multi-disciplinare. Sono chiamate in causa storia,
che Wolfe, il virginiano autore di The Bonfires of vanity (I falò della vanità), un attacco sottile filosofia, economia, antropologia, psicologia e infine sociologia come ‘scienza specialistica
e acuminato contro la ‘grande mela’ che nessun autore neviorchese avrebbe mai potuto del generale’, punto di incontro e interconnessione delle scienze sociali specializzate. Lewis
scrivere, ha la mano pesante, soprattutto a proposito del Silver Prince, Walter Gropius, White Mumford ha colto questo complesso problematico con rara acutezza in La città nella storia
God number One, cui per decenni giovani architetti, europei ma specialmente americani, (Milano, Comunità, 1985) là dove considera che, se vogliamo dare una nuova base alla vita
come Philip Johnson, si inchinavano, devoti, in ascolto del ‘maestro’, calmo, certo dei suoi urbana, dobbiamo prima capire la natura storica della città e distinguere tra le sue funzioni
scopi, sia teorici che operativi. Ai piedi, dunque, di Walter Gropius, nella Bauhaus di Weimer, originarie, quelle che ne sono emerse in un secondo tempo e quelle che ancora potrebbero
aperta nel 1919, ‘paragonabile al Giardino d’Epicuro’. «Gropius – scrive puntigliosamente sgorgarne in avvenire. Senza un lungo excursus storico, non troveremo consapevolmente lo
Wolfe – aveva trentasei anni, era snello (slender), semplicemente ma meticolosamente slancio necessario a un balzo sufficientemente energico nel futuro; buona parte dei nostri
attillato (groomed), con i suoi folti capelli neri pettinati all’indietro… un personaggio calmo, piani attuali, non ultimi quelli che si autoproclamano ‘avanzati’ o ‘progressivi’, sono infatti
ripieno di sicurezza e convinzione, al centro della tempesta» (op. cit., p. 12). aride caricature meccaniche delle forme urbane e regionali oggi potenzialmente a portata di
A parte le critiche riservate al Silver Prince Walter Gropius, sembra evidente che neppure mano. Poiché ci sono voluti più di cinquemila anni per arrivare a una comprensione anche
soddisfi pienamente il mettersi la coscienza in pace commentando criticamente i limiti soltanto parziale della natura della città e del suo dramma, può darsi che ci voglia ancora
dell’‘architettura effimera’ e riscoprendo, ma sempre ignorando il contesto, l’idea di ‘durata più tempo per esaurirne le potenzialità non ancora concretate. All’alba della storia la città
e luogo’ e il loro permanente valore. A più riprese, negli anni Settanta e Ottanta del secolo è già una forma matura. Nel tentativo di meglio intenderne la situazione attuale, dobbiamo
scorso, ho lavorato nel Lower East End di New York contro il degrado urbano e per il dunque guardare oltre il limite dell’orizzonte storico per cercarvi le poche pallide tracce di
recupero dell’abitabilità di quelle zone, tipiche blighted areas, avendo sempre in mente, a titolo strutture ancor più antiche e di funzioni ancor più primitive.
comparativo, le borgate, i borghetti e le baracche della periferia romana. Ma la gentrification, A giudizio di Mumford nello studiare le origini della città è facile cedere alla tentazione
vale a dire la ricostruzione urbana in chiave estetica, non è sufficiente. Rischia troppo spesso di badare soltanto ai suoi avanzi materiali. Ma è come se per descrivere l’uomo primitivo
di ridursi a un’operazione cosmetica di facciata. A Roma, in garbata, amichevole ma anche concentrassimo l’attenzione sulle ossa e sui cocci, sugli utensili e sulle armi, trascurando
dura polemica con il sindaco Luigi Petroselli, sostenevo che per risanare le baraccopoli non invenzioni, come il linguaggio o il rituale, che hanno lasciato poche o punte tracce. È possibile
bastava la nuova segnaletica stradale (si vedano i miei Il senso del luogo, Roma, Armando, che si sia adempito a certe funzioni della città, che si siano attuati certi suoi fini e che siano
2005, passim; Roma madre matrigna, Roma-Bari, Laterza, 1991). state temporaneamente occupate certe sue future sedi prima che incominciasse a esistere

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Ripensare la città – rimodellare l’ipercostruito informe – Si potrebbe in proposito richiamare il libro di Simon Schama (Landscape and Memory), ma
altrettanto persuasive suonano le recenti, dotte riflessioni di Vittorio Gregotti («Corriere
rivalutare lo stile mediterraneo – contro la cementificazione della Sera», 17 dicembre 2012, p. 29): «Anche se penso che una suddivisione della cultura
selvaggia e il verticalismo insensato “per generazioni” sia assai discutibile, uno dei principali caratteri della mia, la “generazione
dell’incertezza” come l’ha definita Manfredo Tafuri, o meglio la generazione che discutesse
del tema della storia, del contesto urbano e dell’antropogeografia, si muove, negli scritti e
Franco Ferrarotti
nei fatti, da una relazione tra prassi e teoria, per costruire un rapporto critico con la realtà
che utilizzi positivamente l’eredità del progetto moderno. Rafael Moneo fa parte in modo
importante di questa generazione e le sue riflessioni intorno ai fondamenti del progetto nei
A Boston, capitale del Massachusetts, nella zona centrale non lontano da Copley Square, si Per gentile concessione
nostri anni sono strutturalmente connesse agli esiti delle sue architetture e alla loro qualità.
erge un grande, altissimo, funereo edificio, un grattacielo che al turista europeo fa venir alla dell’Autore, questo testo
riprende quanto già Di recente sono stati pubblicati due libri, uno di 650 pagine dal titolo Apuntes sobra 21
mente la ‘torre’ di Montparnasse a Parigi o il Sears-Roebuck di Chicago, se non il Pirellone obras dall’editore Gili, dedicato alle sue opere, magnificamente illustrate e accompagnate
pubblicato in “La Critica
di Milano, salvo che il grattacielo bostoniano è rimasto per anni vuoto e i vetri delle finestre dalle descrizioni dei relativi principi che le guidano, riassunti in modo esemplare dal titolo di
Sociologica”, n. 186, 2013,
di tanto in tanto esplodono e non si vedono né condómini né inquilini all’orizzonte. Si è pp. 13-26. ciascuna; l’altro è il libro recentissimo L’altra modernità (Marinotti Editore), che raccoglie
semplicemente costruito troppo. Così è accaduto a Denver, nel Colorado, in Florida sulle una serie di saggi di Rafael Moneo scritti circa negli stessi anni, cioè tra il 1978 e il 2011.
rive del Golfo del Messico, ma anche in Canada e nell’America Latina, dove le imponenti Questo secondo libro descrive la crisi della modernità, i suoi esiti postmoderni negli ultimi
torri vuote guardano sulla formicolante miseria delle favelas, delle poblaciones e delle trent’anni, senza evitare le differenze interne e i punti di vista diversi espressi molte volte
Barriadas. L’indubbia innovazione tecnica ha servito ed è stata asservita dalla speculazione proprio dalla mia generazione. Basterebbe ricordare le opere e i saggi prodotti dai suoi
edilizia e dalla sfrenata corsa alla massimizzazione del profitto nel più breve tempo possibile,
protagonisti; da Ungers ad Aymonino, da Rossi a Venturi, da me e da Siza da Bohigas allo
incappando ben presto nel mortale corto circuito ‘sovrapproduzione-sottoconsumo’, vale a
stesso Moneo, oltre ai dibattiti tra alcuni critici e storici sempre della stessa generazione,
dire ‘sovracostruzione – ambiente disastrato – costruzioni vuote e informi’. Sono le famose
da Tafuri a Benevolo, da Cohen a Colin Rowe, da Eisenman a Frampton solo per citarne
cattedrali nel deserto, monumenti ad una insipienza tanto avida quanto insensata.
alcuni».
Nel frattempo il rapporto città-campagna è profondamente mutato. Siamo forse già entrati
in una fase storica nuova, post-urbana, ma non ce ne siamo accorti. La contrapposizione In via ipotetica e con tutte le cautele di un primo approccio, lasciate cadere le istanze critiche
città-campagna è caduta in seguito alla vittoria dell’effetto-città. Ormai è chiaro che il che riflettono puri principi di preferenza personali, occorre una ricognizione preliminare
continuum urbano-rurale esige l’inserimento razionale, possibilmente indolore, della dello status quaestionis: urbano e rurale costituiscono ormai un continuum. Non è più lecito
città nel paesaggio. Occorre non continuare ciecamente a costruire intensivamente e ad parlare di urbanizzazione. L’effetto di padronanza della città si è esteso e ha coinvolto il suo
accumulare un edificio sull’altro. Appare indispensabile redistribuire la popolazione, non hinterland, la campagna. Ciò significa che la periferia non è più periferica e che il centro
concentrarla insensatamente nelle torri, ma spalmare invece, per così dire, le costruzioni sul deve ‘de-centrarsi’, pena il soffocamento, il declino e la morte. Bisogna ripensare lo spazio,
territorio, esplorarne e valorizzarne i nervi e le vie respiratorie, i passaggi e le peculiarità, così recuperare il senso umano, rivalutare il paesaggio come eredità storica e costruzione mentale.
da sconfiggere o quanto meno ridurre gli effetti irrazionali della mera sovrapposizione e di Io guardo il paesaggio, ma il paesaggio guarda me che lo guardo. Mi interessa, mi coinvolge e
quella «febbre del mattone» e del vetro e dell’acciaio che finisce per distruggere l’ambiente mi sfida. Perché sono dove sono? A che cosa tendo? Dove mi colloco? E perché?
naturale e l’equilibrio del territorio invece di aiutarne l’ordinata espansione. A volte, fenomeni esistenti da tempo vengono registrati con l’incongrua espressione di
Parole. Ma non è forse dalle parole che nasce la presa di coscienza e muove quindi i primi sorpresa propria di chi annuncia l’ovvio come una grande scoperta. Nessun dubbio che il
passi una rivoluzione? Bisogna cominciare a riflettere sulla nuova realtà post-urbana. carattere vietamente romantico e non pienamente condivisibile di certo pessimismo di Lewis
Non sembra sufficiente scagliarsi polemicamente o versare ironie corrosive sugli architetti, Mumford sia evidente. La sua famosa sequenza ‘pólis – metropoli – megalopoli – necropoli’
come fa da par suo il dandy estetizzante, in perfetto stile da country gentleman, Tom Wolfe non è ammissibile. Ma altrettanto indubbio è che storia, urbanistica e sociologia non possono
(cfr. T. W., From Bauhaus to our house, New York, Washington Square Press, 1981). Trovo ignorarsi. È necessaria un’impostazione multi-disciplinare. Sono chiamate in causa storia,
che Wolfe, il virginiano autore di The Bonfires of vanity (I falò della vanità), un attacco sottile filosofia, economia, antropologia, psicologia e infine sociologia come ‘scienza specialistica
e acuminato contro la ‘grande mela’ che nessun autore neviorchese avrebbe mai potuto del generale’, punto di incontro e interconnessione delle scienze sociali specializzate. Lewis
scrivere, ha la mano pesante, soprattutto a proposito del Silver Prince, Walter Gropius, White Mumford ha colto questo complesso problematico con rara acutezza in La città nella storia
God number One, cui per decenni giovani architetti, europei ma specialmente americani, (Milano, Comunità, 1985) là dove considera che, se vogliamo dare una nuova base alla vita
come Philip Johnson, si inchinavano, devoti, in ascolto del ‘maestro’, calmo, certo dei suoi urbana, dobbiamo prima capire la natura storica della città e distinguere tra le sue funzioni
scopi, sia teorici che operativi. Ai piedi, dunque, di Walter Gropius, nella Bauhaus di Weimer, originarie, quelle che ne sono emerse in un secondo tempo e quelle che ancora potrebbero
aperta nel 1919, ‘paragonabile al Giardino d’Epicuro’. «Gropius – scrive puntigliosamente sgorgarne in avvenire. Senza un lungo excursus storico, non troveremo consapevolmente lo
Wolfe – aveva trentasei anni, era snello (slender), semplicemente ma meticolosamente slancio necessario a un balzo sufficientemente energico nel futuro; buona parte dei nostri
attillato (groomed), con i suoi folti capelli neri pettinati all’indietro… un personaggio calmo, piani attuali, non ultimi quelli che si autoproclamano ‘avanzati’ o ‘progressivi’, sono infatti
ripieno di sicurezza e convinzione, al centro della tempesta» (op. cit., p. 12). aride caricature meccaniche delle forme urbane e regionali oggi potenzialmente a portata di
A parte le critiche riservate al Silver Prince Walter Gropius, sembra evidente che neppure mano. Poiché ci sono voluti più di cinquemila anni per arrivare a una comprensione anche
soddisfi pienamente il mettersi la coscienza in pace commentando criticamente i limiti soltanto parziale della natura della città e del suo dramma, può darsi che ci voglia ancora
dell’‘architettura effimera’ e riscoprendo, ma sempre ignorando il contesto, l’idea di ‘durata più tempo per esaurirne le potenzialità non ancora concretate. All’alba della storia la città
e luogo’ e il loro permanente valore. A più riprese, negli anni Settanta e Ottanta del secolo è già una forma matura. Nel tentativo di meglio intenderne la situazione attuale, dobbiamo
scorso, ho lavorato nel Lower East End di New York contro il degrado urbano e per il dunque guardare oltre il limite dell’orizzonte storico per cercarvi le poche pallide tracce di
recupero dell’abitabilità di quelle zone, tipiche blighted areas, avendo sempre in mente, a titolo strutture ancor più antiche e di funzioni ancor più primitive.
comparativo, le borgate, i borghetti e le baracche della periferia romana. Ma la gentrification, A giudizio di Mumford nello studiare le origini della città è facile cedere alla tentazione
vale a dire la ricostruzione urbana in chiave estetica, non è sufficiente. Rischia troppo spesso di badare soltanto ai suoi avanzi materiali. Ma è come se per descrivere l’uomo primitivo
di ridursi a un’operazione cosmetica di facciata. A Roma, in garbata, amichevole ma anche concentrassimo l’attenzione sulle ossa e sui cocci, sugli utensili e sulle armi, trascurando
dura polemica con il sindaco Luigi Petroselli, sostenevo che per risanare le baraccopoli non invenzioni, come il linguaggio o il rituale, che hanno lasciato poche o punte tracce. È possibile
bastava la nuova segnaletica stradale (si vedano i miei Il senso del luogo, Roma, Armando, che si sia adempito a certe funzioni della città, che si siano attuati certi suoi fini e che siano
2005, passim; Roma madre matrigna, Roma-Bari, Laterza, 1991). state temporaneamente occupate certe sue future sedi prima che incominciasse a esistere

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ciò che noi oggi definiremmo una città. Si darebbe come risolto il problema se si cercassero 1 valore del terreno è più alto. Ogni aumento ciclico della popolazione è accompagnato da
soltanto strutture permanenti raccolte entro una cinta muraria. Per poter ricostruire le R. E. Park, E. W. Burgess, R. una maggiore differenziazione sia nei servizi sia nella posizione. Tra i servizi si determina
D. McKenzie La città, tr. it.
origini della città dobbiamo invece, direi, integrare l’opera dell’archeologo, il quale si limita una lotta per le posizioni più vantaggiose; e ciò fa aumentare il valore del terreno e l’altezza
Armando De Palma, Milano,
a cercare lo strato più profondo in cui si possa riconoscere un tracciato, sia pure confuso, che Comunità, 1979, pp. 67-68. delle costruzioni nel centro geografico della comunità. A misura che la concorrenza per
riveli un ordine urbano. Se vogliamo, in altre parole, individuare la città, capirne l’‘anima’, le posizioni vantaggiose si intensifica con lo sviluppo della popolazione, i primi tipi di
come voleva Ludovico Quadroni, o lo ‘spirito’, come intende Claude Javeau (si veda C. J., servizi economicamente più deboli sono sospinti nelle aree meno accessibili e meno costose.
L’esprit des villes, Bruxelles, Editions Luc Pire, 2006), dobbiamo seguire un cammino a Quando la comunità ha raggiunto una popolazione di circa dieci o dodicimila abitanti, essa
ritroso dalle strutture e funzioni urbane più piene a noi conosciute alle loro componenti perviene a una struttura abbastanza ben differenziata. La parte centrale è un’area commerciale
originarie, anche se cronologicamente, geograficamente e culturalmente remote. Prima della chiaramente delimitata con la banca, la farmacia, il grande magazzino e l’albergo situati nei
città c’era il gruppo di case, il santuario e il villaggio; prima del villaggio il campo, il rifugio, punti in cui il valore del terreno è più alto. Le industrie e le fabbriche costituiscono di solito
la grotta e la cava di pietre; e prima di tutto questo una tendenza alla vita sociale che l’uomo formazioni indipendenti all’interno della città, che si raggruppano lungo le linee ferroviarie
condivide palesemente con molte altre specie animali. e le rotte del traffico per via acquea. Si costituiscono i quartieri residenziali, separati in due
In altra sede, ho cercato di delineare le varie forme del rapporto fra tecnici della progettazione o più tipi secondo la composizione economica ed etnica della popolazione. Lo sviluppo
urbana, politici, amministratori e proprietari dei suoli. In Roma madre matrigna, citato più strutturale della comunità avviene in una serie graduale non dissimile dagli stadi graduali
sopra, ne ho delineato una sorta di tipologia. Qui vorrei occuparmi di un altro aspetto della nello sviluppo della formazione vegetale. Alcune forme specializzate di servizi e di usi non
questione: quando anche la progettazione e il ‘rimodellamento’ degli aggregati periferici compaiono nella comunità umana finché non è stato raggiunto un certo stadio di sviluppo,
privi, come recita il linguaggio burocratico, di ‘funzioni sociali pregiate’, abbiano trovato la proprio come i boschi di faggio o le pinete sono preceduti dal progressivo predominio
soluzione migliore, resta in piedi il problema dell’‘esclusione sociale’. di altre specie vegetali. E come nelle comunità vegetali le successioni sono il prodotto di
È una caratteristica delle periferie o favelas o barriadas o poblaciones o slums o blighted invasioni, così le formazioni, le separazioni e le associazioni che compaiono nella comunità
areas sul piano planetario, dalle bidonvilles al mocambo, ossia dagli aggregati di baracche umana costituiscono il risultato di una serie di invasioni»1.
alle case di fango e sterco secco, anche se pesano ovviamente le specificità dei differenti
contesti storici. La storia pesa anche su quelli che non hanno storia. È infatti una questione La concezione processuale o sociobiologica, che Park definisce ‘vegetale’, della città,
che riguarda lo spazio e la convivenza. Mi pare difficile avviarne la soluzione proponendo, per quanto perspicua, è tutt’altro che sufficiente. Manca la dimensione storica. È assente
come è stato fatto da Saskia Sassen (in Lettera internazionale, n. 102) la creazione di il risultato, quale che sia, dell’iniziativa umana. Non compaiono, o sono pudicamente
comunità mediante la ‘rete’ e la comunicazione elettronica. Mi ricorda la ricetta di Edward sottaciuti, gli interessi consolidati dei proprietari dei suoli. Rimando, a questo proposito, al
C. Banfield, il noto autore di The moral Basis of a backward Society, secondo il quale, per mio Spazio e convivenza (Roma, Armando, 2009).
far uscire un paese del Mezzogiorno dal sottosviluppo cronico, occorreva la pubblicazione In questa prospettiva, la lettura puntuale dei piani regolatori attraverso gli Atti dei Consigli
di un settimanale locale, ignorando che in quella zona si contava all’epoca l’ottanta per cento comunali è importane, benché affaticante e noiosa. Storicamente, i piani regolatori sono stati
di analfabeti. Sassen sembra voler meritoriamente studiare le periferie urbane dal terrazzo di concepiti come il volano dello sviluppo urbano e dell’utilizzazione razionale del territorio.
un super attico di lusso. Ma la questione del rapporto fra spazio e convivenza resta aperta. Né può dirsi dichiarata
Il vissuto è più ricco del pensato. La situazione è più complessa. Richiede la ricerca sul nei suoi termini specifici semplicemente prendendo atto del continuum urbano-rurale o di
campo e il coinvolgimento della popolazione interessata. Non esce dagli studi di urbanisti quel fenomeno indicato da un brutto neologismo come rurbanization (rus e urbs). Nessun
e di architetti. Non ascolta i sociologi urbani. Procede dalla vita delle persone, riflette le dubbio che realtà urbane come quella dell’odierna Los Angeles – tipico esempio di realtà
loro cangianti situazioni e condizioni, trova soluzioni immediate e di fortuna, aggiustamenti post-urbana con le freeways che la cingono, la stringono e la ‘tagliano’, funzionando anche
temporanei, precari. I borgatari sottoproletari sono condannati a fare ogni giorno come drive in e drive through – appiattiscano la città in un fitto crocevia e ne facciano un
l’«invenzione artistica» per la sopravvivenza. Vivono di espedienti. Capire il dato. Non basta insieme paradossale di centoventi sobborghi in cerca di una città che non c’è o non c’è più.
disaggregarlo. Dietro il dato c’è il vissuto. Il nuovo aggregato urbano ha da recuperare un senso al di là della pura congestione della
Un dato è certo: la contrapposizione fra centro e periferia non regge più, anche se è ancora il città industriale, storicamente accentrata anche per la facile dissipabilità del vapore, all’epoca
tema dominante delle preoccupazioni di un sociologo intelligente e informato come Edward della prima Rivoluzione industriale primaria fonte di energia. Il nuovo aggregato urbano
Shils. Dopo la pólis monocentrica classica e la città industriale ‘agglutinante’, che si espande recupera il senso della convivenza urbana ponendosi come realtà ‘policentrica, articolata e
indefinitamente a pelle di leopardo, mossa dai sottostanti interessi economici e dai rapporti dinamica’, non puramente dispersa, eterogenea, polverizzata. Per questa ragione, è dubbio
materiali di vita, sta emergendo un nuovo aggregato urbano, dinamico, policentrico. che si possa avere una nuova città, policentrica e post-urbana, senza un’idea nuova di città o,
Nell’attuale fase di transizione, il centro ha sempre più bisogno della periferia. Se questa più precisamente, senza ridefinire il rapporto fra spazio e convivenza.
si fermasse, tutta la vita urbana si arresterebbe. Le due grandi categorie storiche, cui più In Spazio e convivenza (op. cit., 2009) ho cercato di individuare i termini essenziali per una
sopra ho accennato – la città monocentrica e la città industriale agglutinante – non sono più sorta di «tregua» fra presenza umana e conformazione fisica del territorio. Analizzando il
sufficienti. Nasce una realtà urbana imprevista. Si può forse parlare di realtà post-urbana. moto evolutivo della città di Roma, anche in base ai ‘piani regolatori’ via via approvati, e poi
Neppure la città come pura «processualità», al modo in cui la intendevano i ricercatori in parte ‘traditi’ nell’applicazione pratica e nelle costruzioni effettive, dai consigli comunali,
della Scuola di Chicago, negli anni Trenta, appare adeguata. A giudizio di Robert E. Park, specialmente attraverso le deroghe e le varianti, mi sono reso conto che urbanistica,
già eccellente giornalista investigativo prima di darsi pienamente agli studi sociologici, «la architettura e pianificazione urbana vanno necessariamente oltre le loro specifiche
struttura assiale o ossea di una comunità è determinata dal percorso delle prime strade a specializzazioni scientifiche. La stessa definizione della città come ‘processualità’, cardine e
lungo e medio percorso. Le case e i negozi sono costruiti vicino alla strada, di solito paralleli struttura teoretica fondamentale della Scuola di Chicago degli anni Trenta, è lungi dal riuscire
ad essa. La strada può essere un sentiero, un’autostrada, una ferrovia, un fiume o un porto adeguata. Irrompono categorie politiche e questioni antropologiche culturali. È impossibile
sull’oceano, ma in ogni caso la comunità inizia in genere parallelamente alla prima grande ignorare il più vasto contesto sociologico. Si è cittadini in modo tendenzialmente nuovo.
linea di comunicazione. Con la concentrazione della popolazione e dei servizi la comunità Le migrazioni di grandi masse umane su scala planetaria rendono il concetto tradizionale
prende forma, prima su un lato della via di comunicazione e poi su entrambi. Generalmente di cittadinanza chiaramente inadeguato. Non si tratta né di jus soli né di jus sanguinis. Il
il punto di confluenza o di incrocio di due importanti vie di comunicazione serve come polítes ateniese, il civis romanus, lo stesso citoyen della Rivoluzione dell’Ottantanove,
centro iniziale della comunità. A misura che la comunità si sviluppa c’è non soltanto un che è considerato tale solo se proprietario di un lembo di terra francese, indicano figure
moltiplicarsi di case e di strade, ma un processo di differenziazione e di separazione. Le più esclusive che inclusive. Non sono quindi in grado di accogliere, né giuridicamente né
residenze e le istituzioni si diffondono in modo centrifugo a partire dal punto centrale della esistenzialmente, i nuovi arrivati, quegli immigrati, di cui tuttavia le economie dei paesi
comunità, mentre il mondo degli affari si accentra sempre più intorno al luogo in cui il tecnicamente progrediti non possono fare a meno. Da questa esigenza di ordine pratico

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ciò che noi oggi definiremmo una città. Si darebbe come risolto il problema se si cercassero 1 valore del terreno è più alto. Ogni aumento ciclico della popolazione è accompagnato da
soltanto strutture permanenti raccolte entro una cinta muraria. Per poter ricostruire le R. E. Park, E. W. Burgess, R. una maggiore differenziazione sia nei servizi sia nella posizione. Tra i servizi si determina
D. McKenzie La città, tr. it.
origini della città dobbiamo invece, direi, integrare l’opera dell’archeologo, il quale si limita una lotta per le posizioni più vantaggiose; e ciò fa aumentare il valore del terreno e l’altezza
Armando De Palma, Milano,
a cercare lo strato più profondo in cui si possa riconoscere un tracciato, sia pure confuso, che Comunità, 1979, pp. 67-68. delle costruzioni nel centro geografico della comunità. A misura che la concorrenza per
riveli un ordine urbano. Se vogliamo, in altre parole, individuare la città, capirne l’‘anima’, le posizioni vantaggiose si intensifica con lo sviluppo della popolazione, i primi tipi di
come voleva Ludovico Quadroni, o lo ‘spirito’, come intende Claude Javeau (si veda C. J., servizi economicamente più deboli sono sospinti nelle aree meno accessibili e meno costose.
L’esprit des villes, Bruxelles, Editions Luc Pire, 2006), dobbiamo seguire un cammino a Quando la comunità ha raggiunto una popolazione di circa dieci o dodicimila abitanti, essa
ritroso dalle strutture e funzioni urbane più piene a noi conosciute alle loro componenti perviene a una struttura abbastanza ben differenziata. La parte centrale è un’area commerciale
originarie, anche se cronologicamente, geograficamente e culturalmente remote. Prima della chiaramente delimitata con la banca, la farmacia, il grande magazzino e l’albergo situati nei
città c’era il gruppo di case, il santuario e il villaggio; prima del villaggio il campo, il rifugio, punti in cui il valore del terreno è più alto. Le industrie e le fabbriche costituiscono di solito
la grotta e la cava di pietre; e prima di tutto questo una tendenza alla vita sociale che l’uomo formazioni indipendenti all’interno della città, che si raggruppano lungo le linee ferroviarie
condivide palesemente con molte altre specie animali. e le rotte del traffico per via acquea. Si costituiscono i quartieri residenziali, separati in due
In altra sede, ho cercato di delineare le varie forme del rapporto fra tecnici della progettazione o più tipi secondo la composizione economica ed etnica della popolazione. Lo sviluppo
urbana, politici, amministratori e proprietari dei suoli. In Roma madre matrigna, citato più strutturale della comunità avviene in una serie graduale non dissimile dagli stadi graduali
sopra, ne ho delineato una sorta di tipologia. Qui vorrei occuparmi di un altro aspetto della nello sviluppo della formazione vegetale. Alcune forme specializzate di servizi e di usi non
questione: quando anche la progettazione e il ‘rimodellamento’ degli aggregati periferici compaiono nella comunità umana finché non è stato raggiunto un certo stadio di sviluppo,
privi, come recita il linguaggio burocratico, di ‘funzioni sociali pregiate’, abbiano trovato la proprio come i boschi di faggio o le pinete sono preceduti dal progressivo predominio
soluzione migliore, resta in piedi il problema dell’‘esclusione sociale’. di altre specie vegetali. E come nelle comunità vegetali le successioni sono il prodotto di
È una caratteristica delle periferie o favelas o barriadas o poblaciones o slums o blighted invasioni, così le formazioni, le separazioni e le associazioni che compaiono nella comunità
areas sul piano planetario, dalle bidonvilles al mocambo, ossia dagli aggregati di baracche umana costituiscono il risultato di una serie di invasioni»1.
alle case di fango e sterco secco, anche se pesano ovviamente le specificità dei differenti
contesti storici. La storia pesa anche su quelli che non hanno storia. È infatti una questione La concezione processuale o sociobiologica, che Park definisce ‘vegetale’, della città,
che riguarda lo spazio e la convivenza. Mi pare difficile avviarne la soluzione proponendo, per quanto perspicua, è tutt’altro che sufficiente. Manca la dimensione storica. È assente
come è stato fatto da Saskia Sassen (in Lettera internazionale, n. 102) la creazione di il risultato, quale che sia, dell’iniziativa umana. Non compaiono, o sono pudicamente
comunità mediante la ‘rete’ e la comunicazione elettronica. Mi ricorda la ricetta di Edward sottaciuti, gli interessi consolidati dei proprietari dei suoli. Rimando, a questo proposito, al
C. Banfield, il noto autore di The moral Basis of a backward Society, secondo il quale, per mio Spazio e convivenza (Roma, Armando, 2009).
far uscire un paese del Mezzogiorno dal sottosviluppo cronico, occorreva la pubblicazione In questa prospettiva, la lettura puntuale dei piani regolatori attraverso gli Atti dei Consigli
di un settimanale locale, ignorando che in quella zona si contava all’epoca l’ottanta per cento comunali è importane, benché affaticante e noiosa. Storicamente, i piani regolatori sono stati
di analfabeti. Sassen sembra voler meritoriamente studiare le periferie urbane dal terrazzo di concepiti come il volano dello sviluppo urbano e dell’utilizzazione razionale del territorio.
un super attico di lusso. Ma la questione del rapporto fra spazio e convivenza resta aperta. Né può dirsi dichiarata
Il vissuto è più ricco del pensato. La situazione è più complessa. Richiede la ricerca sul nei suoi termini specifici semplicemente prendendo atto del continuum urbano-rurale o di
campo e il coinvolgimento della popolazione interessata. Non esce dagli studi di urbanisti quel fenomeno indicato da un brutto neologismo come rurbanization (rus e urbs). Nessun
e di architetti. Non ascolta i sociologi urbani. Procede dalla vita delle persone, riflette le dubbio che realtà urbane come quella dell’odierna Los Angeles – tipico esempio di realtà
loro cangianti situazioni e condizioni, trova soluzioni immediate e di fortuna, aggiustamenti post-urbana con le freeways che la cingono, la stringono e la ‘tagliano’, funzionando anche
temporanei, precari. I borgatari sottoproletari sono condannati a fare ogni giorno come drive in e drive through – appiattiscano la città in un fitto crocevia e ne facciano un
l’«invenzione artistica» per la sopravvivenza. Vivono di espedienti. Capire il dato. Non basta insieme paradossale di centoventi sobborghi in cerca di una città che non c’è o non c’è più.
disaggregarlo. Dietro il dato c’è il vissuto. Il nuovo aggregato urbano ha da recuperare un senso al di là della pura congestione della
Un dato è certo: la contrapposizione fra centro e periferia non regge più, anche se è ancora il città industriale, storicamente accentrata anche per la facile dissipabilità del vapore, all’epoca
tema dominante delle preoccupazioni di un sociologo intelligente e informato come Edward della prima Rivoluzione industriale primaria fonte di energia. Il nuovo aggregato urbano
Shils. Dopo la pólis monocentrica classica e la città industriale ‘agglutinante’, che si espande recupera il senso della convivenza urbana ponendosi come realtà ‘policentrica, articolata e
indefinitamente a pelle di leopardo, mossa dai sottostanti interessi economici e dai rapporti dinamica’, non puramente dispersa, eterogenea, polverizzata. Per questa ragione, è dubbio
materiali di vita, sta emergendo un nuovo aggregato urbano, dinamico, policentrico. che si possa avere una nuova città, policentrica e post-urbana, senza un’idea nuova di città o,
Nell’attuale fase di transizione, il centro ha sempre più bisogno della periferia. Se questa più precisamente, senza ridefinire il rapporto fra spazio e convivenza.
si fermasse, tutta la vita urbana si arresterebbe. Le due grandi categorie storiche, cui più In Spazio e convivenza (op. cit., 2009) ho cercato di individuare i termini essenziali per una
sopra ho accennato – la città monocentrica e la città industriale agglutinante – non sono più sorta di «tregua» fra presenza umana e conformazione fisica del territorio. Analizzando il
sufficienti. Nasce una realtà urbana imprevista. Si può forse parlare di realtà post-urbana. moto evolutivo della città di Roma, anche in base ai ‘piani regolatori’ via via approvati, e poi
Neppure la città come pura «processualità», al modo in cui la intendevano i ricercatori in parte ‘traditi’ nell’applicazione pratica e nelle costruzioni effettive, dai consigli comunali,
della Scuola di Chicago, negli anni Trenta, appare adeguata. A giudizio di Robert E. Park, specialmente attraverso le deroghe e le varianti, mi sono reso conto che urbanistica,
già eccellente giornalista investigativo prima di darsi pienamente agli studi sociologici, «la architettura e pianificazione urbana vanno necessariamente oltre le loro specifiche
struttura assiale o ossea di una comunità è determinata dal percorso delle prime strade a specializzazioni scientifiche. La stessa definizione della città come ‘processualità’, cardine e
lungo e medio percorso. Le case e i negozi sono costruiti vicino alla strada, di solito paralleli struttura teoretica fondamentale della Scuola di Chicago degli anni Trenta, è lungi dal riuscire
ad essa. La strada può essere un sentiero, un’autostrada, una ferrovia, un fiume o un porto adeguata. Irrompono categorie politiche e questioni antropologiche culturali. È impossibile
sull’oceano, ma in ogni caso la comunità inizia in genere parallelamente alla prima grande ignorare il più vasto contesto sociologico. Si è cittadini in modo tendenzialmente nuovo.
linea di comunicazione. Con la concentrazione della popolazione e dei servizi la comunità Le migrazioni di grandi masse umane su scala planetaria rendono il concetto tradizionale
prende forma, prima su un lato della via di comunicazione e poi su entrambi. Generalmente di cittadinanza chiaramente inadeguato. Non si tratta né di jus soli né di jus sanguinis. Il
il punto di confluenza o di incrocio di due importanti vie di comunicazione serve come polítes ateniese, il civis romanus, lo stesso citoyen della Rivoluzione dell’Ottantanove,
centro iniziale della comunità. A misura che la comunità si sviluppa c’è non soltanto un che è considerato tale solo se proprietario di un lembo di terra francese, indicano figure
moltiplicarsi di case e di strade, ma un processo di differenziazione e di separazione. Le più esclusive che inclusive. Non sono quindi in grado di accogliere, né giuridicamente né
residenze e le istituzioni si diffondono in modo centrifugo a partire dal punto centrale della esistenzialmente, i nuovi arrivati, quegli immigrati, di cui tuttavia le economie dei paesi
comunità, mentre il mondo degli affari si accentra sempre più intorno al luogo in cui il tecnicamente progrediti non possono fare a meno. Da questa esigenza di ordine pratico

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parte il discorso sui diritti umani. Sembra profilarsi un nuovo imperativo etico a portata importanza, siano prese in considerazione, godano di una priorità nel progetto urbanistico
universale, la cui attuazione pratica cozza tuttavia contro il muro dei privilegi acquisiti e e architettonico.
nei secoli consolidati: tutti gli esseri umani sono esseri umani e come tali vanno accolti, Oggi, il calcolo scientifico della costruzione appare ancora legato a una logica di invasione
riconosciuti e trattati. Ciò implica un concetto di cittadinanza transnazionale, in cui la base e di vittoriosa trasformazione dell’ambiente. Si autodefinisce e si autovaluta in metri cubi
etnica di appartenenza non sia più determinante, anche ad evitare la tragedia umana e il e in cementificazione. La natura non è vista, come andrebbe vista, nella sua funzione
crimine morale della ‘pulizia etnica’. di collaboratrice. È una nemica da soggiogare e da vincere. Ciò è vero fin dal motto
Purtroppo, è giocoforza constatare che la logica della città industriale sta prevalendo su scala programmatico lanciato da Francis Bacon nel Novum Organon agli inizi dell’epoca moderna:
planetaria. Il principio tecnico subordina a sé, alle proprie esigenze rigidamente scandite, le Natura, nonnisi parendo, vincitur. In altre parole, per vincere la natura, occorre far finta di
dimensioni umane e i processi naturali: cultura contro natura, meccanico contro organico, obbedirle. Ma è un’obbedienza puramente tattica, tesa a conoscerne, a carpirne i segreti, le
precisione numerica contro approssimazione intuitiva. È il mondo della razionalizzazione ‘leggi’, le uniformità al solo scopo di sfruttarla meglio, ‘scientificamente’, fino all’osso tanto
contro il mondo del pressappoco. Occorre, oggi, un nuovo profilo del costruire. Urbanisti e da parlare oggi, di ‘risorse naturali’ come si parla di ‘risorse umane’, materie prime e carne
architetti non progettano nel vuoto sociale. Bisogna imparare a costruire senza violentare la umana allo stesso titolo mercificate. Questa impostazione predatoria, oggi, va rovesciata con
natura o snaturare il territorio, sfigurare il paesaggio. un nuovo stile del costruire, uno stile fondato su un concetto di natura non nemica, bensì
Una sfida ardua. Comporta l’andare oltre il progetto singolo, nella sua peculiarità di collaboratrice. La nuova architettura si inserisce nell’ambiente senza violentarlo, indovina i
invenzione artistica, scoprire e rispondere alle domande del luogo, acclimatare il progetto al passaggi e le vie da rispettare per dar loro aria e luce, non soffoca e non blocca, bensì apre,
territorio, alla sua conformazione fisica, far incontrare l’estetica e la geografia. L’idea che le rischiara, vivifica.
società odierne siano entrate in una fase ‘liquida’ e che il procedere dell’industrializzazione, Occorre ripensare la città, al di là della catastrofica sequenza di Lewis Mumford da pólis a
tecnicamente aggiornata, le appiattisca come un ferro da stiro ha una certa suggestività, ma necrópoli. Non so se sia necessaria la ripresa, consapevolmente critica, di quella che negli
sa di eccessivo accademismo. anni dell’immediato dopoguerra, da Roberto Pane a Bruno Zevi, Giuseppe Samonà, Paolo
La globalizzazione commerciale può ben ignorare, nella sua fame onnivora di nuovi Portoghesi, Luigi Cosenza, da Ernesto Rogers a Alvar Aalto e a innumerevoli altri, soleva
mercati, le caratteristiche essenziali e specifiche degli ambienti, far valere il principio dell’a- definirsi ‘architettura organica’. So che si tratta di un’impostazione architettonica che rifiuta
territorialità, ma il prezzo da pagare per questa apparente liberazione dai vincoli ecologici e il grattacielo (ma non gli high rises e, del resto, non si può dimenticare la ‘Torre velasca’ di
ambientali sarà drammaticamente alto. Nel caso migliore, questa tendenza macina profitti, Ernesto Rogers né il ‘Pirellone’ di Gio Ponti a Milano), resiste alla vittoria della squadra e del
a breve, ma sfigura la comunità. Investe e cambia i contorni dell’ambiente naturale, ma è tecnigrafo, si oppone alla logica degli sventramenti, da quelli del barone Haussmann all’Étoile
destinata a incontrare presto, sempre prima del previsto, la scarsità delle risorse, umane e di Parigi a quelli fascisti per aprire via dell’Impero e via della Conciliazione, privilegia il
materiali. Noi oggi sappiamo che le materie prime offerteci dalla natura non sono inesauribili. concrescere di storia e quotidiani commerci umani rispetto alla precisione numerica.
Fa girar la testa pensare che gli stessi rivoluzionari dell’Ottocento non avevano il benché Nel gennaio del 1958 visitavo e percorrevo a piedi in lungo e in largo, confesso con una certa
minimo sentore del problema, che davano la natura per scontata, tanto che nel «Manifesto» apprensione, Chandigarh, nel Punjab, disegnata e realizzata dal grande Le Corbusier, e poco
di Marx e Engels (1848) la parola ‘natura’ non compare. prima avevo battuto i marciapiedi di Camberra, in Australia, perfettamente suddivisa in vari
Porre il problema di un profilo del costruire comporta immediatamente una domanda comparti corrispondenti alle diverse professioni – due città, entrambe costruite a freddo
che suona provocatoria, ma che ne è in realtà la conseguenza logica: c’è un’alternativa ai con squadra e compasso, secondo le partizioni richieste dalla divisione del lavoro e dalle
grattacieli? È nota la tensione fra centro e periferia, così come è noto il concetto di ‘frizione specializzazioni professionali, prive della vischiosa vivacità e del calore festoso che trovo
dello spazio’, elaborato da Adam Smith per chiarire il bisogno della concentrazione – di invece, per esempio, in rue du Bac a Parigi, a via della Croce a piazza di Spagna o ancora nella
manodopera, materie prime e capitali – essenziale per la città, divenuta sede della produzione estetica inintenzionale dei tetti di Roma o nella Ginza di Tokyo.
industriale e grande mercato di consumo. Tutti sanno che, sulla rocciosa isola di Manhattan, Ciò che sorprende a Chandigarh il visitatore sprovveduto come me è l’improvviso aprirsi di
la città industriale agglutinante, non potendo espandersi sul piano orizzontale, ha dovuto piazze e slarghi e rotonde, che rompono le noiose, ripetitive geometrie e ‘svelano’ i palazzi
necessariamente esplodere verso l’alto. Un blocco causato dalla conformazione fisica del potere, simili per questo aspetto allo spiazzo della ‘transizione del potere’ a Brasilia, dove
del luogo creava un’esplosione verticale e nello stesso tempo realizzava un simbolo, un Le Corbusier e Oscar Niehmeyer si incontrano. La ‘monumentalità’ ha una sua funzione
paradigma, un’esperienza esemplare, dotata di un’incredibile potenza mimetica. Anche là pedagogica, nei confronti della cittadinanza, innegabile. Occorre in proposito rileggere
dove lo spazio era disponibile nei paesi emergenti, da Singapore alla Malesia alla Corea del quanto scrive Siegfried Giedion (in Breviario di architettura, Milano, Garzanti, 1961, pp.
Sud, ma anche in Europa, scattava l’assalto al cielo. L’effetto egemonico spurio di Manhattan 47-48): «i monumenti sono pietre miliari in cui gli uomini hanno creato simboli dei loro
o il puro impulso mimetico continua a mietere le sue vittime. Il grattacielo, questa nuova ideali, delle loro mete, delle loro azioni. Essi sopravvivono all’epoca in cui sono sorti, e
‘Torre di Babele’, non a caso scelta, con l’attacco alle ‘Torri gemelle’, dai fondamentalisti rappresentano un’eredità lasciata alle generazioni venture. Essi costituiscono un nesso tra il
islamici come bersaglio-simbolo, continua con la stessa velocità e indifferenza a consumare passato e il futuro. I monumenti sono espressione delle più alte necessità culturali dell’uomo.
energia, materie prime e vite umane.
I monumenti devono soddisfare l’eterna aspirazione del popolo a tradurre in simboli la
Ma un’alternativa al grattacielo c’è, cresce quotidianamente sotto i nostri occhi. È il nuovo
sua energia collettiva. I monumenti veramente vivi sono quelli che esprimono questa forza
aggregato urbano policentrico. Centro e periferia sono ormai categorie concettuali obsolete.
collettiva. Ogni epoca passata, che abbia fatto maturare una vera vita culturale, ebbe l’energia
Città e campagna non si fronteggiano più come ancora si differenziavano al termine del
e la capacità di creare questi simboli. Perciò i monumenti possono sorgere solo in periodi
secondo conflitto mondiale. L’effetto di padronanza della città si è esteso, ha coinvolto
in cui sussistano una coscienza ed una cultura unificatrici. Le epoche che vivacchiarono alla
l’hinterland, ha investito e trasformato la campagna. Urbano e rurale costituiscono ormai
giornata sono sempre state incapaci di creare dei monumenti veramente durevoli. Gli ultimi
un continuum. Non è più lecito parlare di pura e semplice urbanizzazione. Come abbiamo
cent’anni furono testimoni della svalutazione della monumentalità. Ciò non significa che in
osservato più sopra, ciò significa che la periferia non è più periferica e che il centro deve ‘de-
essi siano mancati i monumenti, o ancor meno, gli esempi architettonici che pretendevano di
centrarsi’, pena il soffocamento, il declino e la morte. Bisogna ripensare lo spazio, recuperarne
assolvere a questo compito. Ma i cosiddetti monumenti del più recente passato si rivelarono
il senso umano, rivalutare il paesaggio come eredità storica e costruzione mentale.
– salvo poche eccezioni – come involucri vuoti. Essi non racchiudono in alcun modo lo
Per questo occorre un patto di collaborazione, quanto meno di non belligeranza, con la
spirito o il sentimento collettivo del tempo moderno».
natura. L’iniziativa più rivoluzionaria, nelle condizioni odierne, è in realtà un ritorno: la
riscoperta del modo di costruire mediterraneo, un riorientamento del costruire che passi Stupisce, ad ogni buon conto, che Le Corbusier abbia concepito Chandigarh e l’abbia
dall’interesse per il meccanico all’attenzione per l’organico, un mutamento profondo realizzata come l’incarnazione dell’esprit polytechnicien. Ma non è forse lo stesso Le
rispetto a un mondo in cui sono considerati reali e validi soltanto corpi fisici e misurazioni Corbusier, il grande Corbu, l’autore di quella ‘Carta di Atene’ che esalta la città storica, il
meccaniche, verso un mondo nel quale esigenze, emanazioni, aspirazioni umane abbiano geniale creatore della chiesa di Ronchamp, colui che sognò più volte di costruire in Italia,

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parte il discorso sui diritti umani. Sembra profilarsi un nuovo imperativo etico a portata importanza, siano prese in considerazione, godano di una priorità nel progetto urbanistico
universale, la cui attuazione pratica cozza tuttavia contro il muro dei privilegi acquisiti e e architettonico.
nei secoli consolidati: tutti gli esseri umani sono esseri umani e come tali vanno accolti, Oggi, il calcolo scientifico della costruzione appare ancora legato a una logica di invasione
riconosciuti e trattati. Ciò implica un concetto di cittadinanza transnazionale, in cui la base e di vittoriosa trasformazione dell’ambiente. Si autodefinisce e si autovaluta in metri cubi
etnica di appartenenza non sia più determinante, anche ad evitare la tragedia umana e il e in cementificazione. La natura non è vista, come andrebbe vista, nella sua funzione
crimine morale della ‘pulizia etnica’. di collaboratrice. È una nemica da soggiogare e da vincere. Ciò è vero fin dal motto
Purtroppo, è giocoforza constatare che la logica della città industriale sta prevalendo su scala programmatico lanciato da Francis Bacon nel Novum Organon agli inizi dell’epoca moderna:
planetaria. Il principio tecnico subordina a sé, alle proprie esigenze rigidamente scandite, le Natura, nonnisi parendo, vincitur. In altre parole, per vincere la natura, occorre far finta di
dimensioni umane e i processi naturali: cultura contro natura, meccanico contro organico, obbedirle. Ma è un’obbedienza puramente tattica, tesa a conoscerne, a carpirne i segreti, le
precisione numerica contro approssimazione intuitiva. È il mondo della razionalizzazione ‘leggi’, le uniformità al solo scopo di sfruttarla meglio, ‘scientificamente’, fino all’osso tanto
contro il mondo del pressappoco. Occorre, oggi, un nuovo profilo del costruire. Urbanisti e da parlare oggi, di ‘risorse naturali’ come si parla di ‘risorse umane’, materie prime e carne
architetti non progettano nel vuoto sociale. Bisogna imparare a costruire senza violentare la umana allo stesso titolo mercificate. Questa impostazione predatoria, oggi, va rovesciata con
natura o snaturare il territorio, sfigurare il paesaggio. un nuovo stile del costruire, uno stile fondato su un concetto di natura non nemica, bensì
Una sfida ardua. Comporta l’andare oltre il progetto singolo, nella sua peculiarità di collaboratrice. La nuova architettura si inserisce nell’ambiente senza violentarlo, indovina i
invenzione artistica, scoprire e rispondere alle domande del luogo, acclimatare il progetto al passaggi e le vie da rispettare per dar loro aria e luce, non soffoca e non blocca, bensì apre,
territorio, alla sua conformazione fisica, far incontrare l’estetica e la geografia. L’idea che le rischiara, vivifica.
società odierne siano entrate in una fase ‘liquida’ e che il procedere dell’industrializzazione, Occorre ripensare la città, al di là della catastrofica sequenza di Lewis Mumford da pólis a
tecnicamente aggiornata, le appiattisca come un ferro da stiro ha una certa suggestività, ma necrópoli. Non so se sia necessaria la ripresa, consapevolmente critica, di quella che negli
sa di eccessivo accademismo. anni dell’immediato dopoguerra, da Roberto Pane a Bruno Zevi, Giuseppe Samonà, Paolo
La globalizzazione commerciale può ben ignorare, nella sua fame onnivora di nuovi Portoghesi, Luigi Cosenza, da Ernesto Rogers a Alvar Aalto e a innumerevoli altri, soleva
mercati, le caratteristiche essenziali e specifiche degli ambienti, far valere il principio dell’a- definirsi ‘architettura organica’. So che si tratta di un’impostazione architettonica che rifiuta
territorialità, ma il prezzo da pagare per questa apparente liberazione dai vincoli ecologici e il grattacielo (ma non gli high rises e, del resto, non si può dimenticare la ‘Torre velasca’ di
ambientali sarà drammaticamente alto. Nel caso migliore, questa tendenza macina profitti, Ernesto Rogers né il ‘Pirellone’ di Gio Ponti a Milano), resiste alla vittoria della squadra e del
a breve, ma sfigura la comunità. Investe e cambia i contorni dell’ambiente naturale, ma è tecnigrafo, si oppone alla logica degli sventramenti, da quelli del barone Haussmann all’Étoile
destinata a incontrare presto, sempre prima del previsto, la scarsità delle risorse, umane e di Parigi a quelli fascisti per aprire via dell’Impero e via della Conciliazione, privilegia il
materiali. Noi oggi sappiamo che le materie prime offerteci dalla natura non sono inesauribili. concrescere di storia e quotidiani commerci umani rispetto alla precisione numerica.
Fa girar la testa pensare che gli stessi rivoluzionari dell’Ottocento non avevano il benché Nel gennaio del 1958 visitavo e percorrevo a piedi in lungo e in largo, confesso con una certa
minimo sentore del problema, che davano la natura per scontata, tanto che nel «Manifesto» apprensione, Chandigarh, nel Punjab, disegnata e realizzata dal grande Le Corbusier, e poco
di Marx e Engels (1848) la parola ‘natura’ non compare. prima avevo battuto i marciapiedi di Camberra, in Australia, perfettamente suddivisa in vari
Porre il problema di un profilo del costruire comporta immediatamente una domanda comparti corrispondenti alle diverse professioni – due città, entrambe costruite a freddo
che suona provocatoria, ma che ne è in realtà la conseguenza logica: c’è un’alternativa ai con squadra e compasso, secondo le partizioni richieste dalla divisione del lavoro e dalle
grattacieli? È nota la tensione fra centro e periferia, così come è noto il concetto di ‘frizione specializzazioni professionali, prive della vischiosa vivacità e del calore festoso che trovo
dello spazio’, elaborato da Adam Smith per chiarire il bisogno della concentrazione – di invece, per esempio, in rue du Bac a Parigi, a via della Croce a piazza di Spagna o ancora nella
manodopera, materie prime e capitali – essenziale per la città, divenuta sede della produzione estetica inintenzionale dei tetti di Roma o nella Ginza di Tokyo.
industriale e grande mercato di consumo. Tutti sanno che, sulla rocciosa isola di Manhattan, Ciò che sorprende a Chandigarh il visitatore sprovveduto come me è l’improvviso aprirsi di
la città industriale agglutinante, non potendo espandersi sul piano orizzontale, ha dovuto piazze e slarghi e rotonde, che rompono le noiose, ripetitive geometrie e ‘svelano’ i palazzi
necessariamente esplodere verso l’alto. Un blocco causato dalla conformazione fisica del potere, simili per questo aspetto allo spiazzo della ‘transizione del potere’ a Brasilia, dove
del luogo creava un’esplosione verticale e nello stesso tempo realizzava un simbolo, un Le Corbusier e Oscar Niehmeyer si incontrano. La ‘monumentalità’ ha una sua funzione
paradigma, un’esperienza esemplare, dotata di un’incredibile potenza mimetica. Anche là pedagogica, nei confronti della cittadinanza, innegabile. Occorre in proposito rileggere
dove lo spazio era disponibile nei paesi emergenti, da Singapore alla Malesia alla Corea del quanto scrive Siegfried Giedion (in Breviario di architettura, Milano, Garzanti, 1961, pp.
Sud, ma anche in Europa, scattava l’assalto al cielo. L’effetto egemonico spurio di Manhattan 47-48): «i monumenti sono pietre miliari in cui gli uomini hanno creato simboli dei loro
o il puro impulso mimetico continua a mietere le sue vittime. Il grattacielo, questa nuova ideali, delle loro mete, delle loro azioni. Essi sopravvivono all’epoca in cui sono sorti, e
‘Torre di Babele’, non a caso scelta, con l’attacco alle ‘Torri gemelle’, dai fondamentalisti rappresentano un’eredità lasciata alle generazioni venture. Essi costituiscono un nesso tra il
islamici come bersaglio-simbolo, continua con la stessa velocità e indifferenza a consumare passato e il futuro. I monumenti sono espressione delle più alte necessità culturali dell’uomo.
energia, materie prime e vite umane.
I monumenti devono soddisfare l’eterna aspirazione del popolo a tradurre in simboli la
Ma un’alternativa al grattacielo c’è, cresce quotidianamente sotto i nostri occhi. È il nuovo
sua energia collettiva. I monumenti veramente vivi sono quelli che esprimono questa forza
aggregato urbano policentrico. Centro e periferia sono ormai categorie concettuali obsolete.
collettiva. Ogni epoca passata, che abbia fatto maturare una vera vita culturale, ebbe l’energia
Città e campagna non si fronteggiano più come ancora si differenziavano al termine del
e la capacità di creare questi simboli. Perciò i monumenti possono sorgere solo in periodi
secondo conflitto mondiale. L’effetto di padronanza della città si è esteso, ha coinvolto
in cui sussistano una coscienza ed una cultura unificatrici. Le epoche che vivacchiarono alla
l’hinterland, ha investito e trasformato la campagna. Urbano e rurale costituiscono ormai
giornata sono sempre state incapaci di creare dei monumenti veramente durevoli. Gli ultimi
un continuum. Non è più lecito parlare di pura e semplice urbanizzazione. Come abbiamo
cent’anni furono testimoni della svalutazione della monumentalità. Ciò non significa che in
osservato più sopra, ciò significa che la periferia non è più periferica e che il centro deve ‘de-
essi siano mancati i monumenti, o ancor meno, gli esempi architettonici che pretendevano di
centrarsi’, pena il soffocamento, il declino e la morte. Bisogna ripensare lo spazio, recuperarne
assolvere a questo compito. Ma i cosiddetti monumenti del più recente passato si rivelarono
il senso umano, rivalutare il paesaggio come eredità storica e costruzione mentale.
– salvo poche eccezioni – come involucri vuoti. Essi non racchiudono in alcun modo lo
Per questo occorre un patto di collaborazione, quanto meno di non belligeranza, con la
spirito o il sentimento collettivo del tempo moderno».
natura. L’iniziativa più rivoluzionaria, nelle condizioni odierne, è in realtà un ritorno: la
riscoperta del modo di costruire mediterraneo, un riorientamento del costruire che passi Stupisce, ad ogni buon conto, che Le Corbusier abbia concepito Chandigarh e l’abbia
dall’interesse per il meccanico all’attenzione per l’organico, un mutamento profondo realizzata come l’incarnazione dell’esprit polytechnicien. Ma non è forse lo stesso Le
rispetto a un mondo in cui sono considerati reali e validi soltanto corpi fisici e misurazioni Corbusier, il grande Corbu, l’autore di quella ‘Carta di Atene’ che esalta la città storica, il
meccaniche, verso un mondo nel quale esigenze, emanazioni, aspirazioni umane abbiano geniale creatore della chiesa di Ronchamp, colui che sognò più volte di costruire in Italia,

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lasciandoci disegni e schizzi per l’idea di Pontinia come città ideale e per il cantiere Olivetti prezzo empirico, ossia la sua giustificazione in termini inter-soggettivi. L’uomo non mostra
a Rho, nei pressi di Milano? Del resto, Pier Paolo Pasolini era, a suo dire, ‘incantato’ dalle alcuna voglia di giocare a dadi sulla pelle del proletariato o del sottoproletariato urbano. La
cittadine inventate dal regime fascista, come Sabaudia, Latina, e così via, e dallo squallore ricerca, cioè la chiarezza intellettuale, è in lui il naturale presupposto della scelta politica. In
geometrico dell’eur. Luttes urbaines et pouvoir politique (Paris, Maspero, 1973), che più direttamente si riferisce
Cerco di esprimere, a memoria, la tesi centrale della ‘Carta di Atene’ di Le Corbusier, là dove a ricerche empiriche sul terreno, dagli sventramenti e dalle deportazioni di ceti popolari a
brilla quella sua sensibilità storica che solo raramente si smentisce, perché Le Corbusier Parigi ai «pobladores», o baraccati, cileni, troviamo la formulazione precisa sia dei punti di
sa che la storia della città è scritta nelle sue piante e nelle sue architetture, ma vive nella partenza del pensiero di Castells sia della necessità di analisi specifica che ne garantiscono
molteplicità e nella stessa imprevedibilità dei rapporti umani che la storia aiuta a far crescere, il carattere propriamente sociologico: «i movimenti sociali urbani, e non le istituzioni di
a fiorire e che poi, distrattamente spietata, travolge. Infatti, Le Corbusier nota che i fattori pianificazione, sono le fonti autentiche di cambiamento e di innovazione della città. Resta
all’origine delle città sono diversi: ambientali, antropologico-culturali, geofisici, storici da vedere se vi sia una possibilità di cambiamento dell’urbano indipendentemente da un
e socio-psicologici. Talvolta l’incrocio di due strade, una testa di ponte o una insenatura cambiamento sociale, quindi politico, globale. Il problema non può venir trattato in generale
determinavano il costituirsi del primo insediamento. La città era di forma imprecisa, spesso né in blocco ma solo studiando l’articolazione fra i movimenti sociali, legati alla produzione,
semicircolare o circolare, e quando si trattava di una città di colonizzazione la si organizzava i movimenti sociali urbani e i movimenti politici lungo tutto uno stesso processo.
come un campo, su due assi ad angolo retto, chiusa da palizzate rettilinee. Tutto era ordinato Se è chiaro che non vi è possibilità di trasformazione profonda della logica di una società
secondo la proporzione, la gerarchia e l’opportunità. Le strade si dipartivano obliquamente senza trasformazione del dominio di classe e quindi senza il rovesciamento del rapporto di
dalle porte della cinta verso mète lontane. Si ritrovano ancora nello schema delle città il potere politico, vi possono ben essere, nel processo generale di trasformazione …, delle fasi
primo nucleo chiuso del borgo, le cinte successive, e il tracciato delle strade divergenti. Qui e delle battaglie particolari che possono cambiare, in modo sempre instabile e parziale, la
ci si affollava e vi era, secondo il grado di civiltà, una variabile dose di benessere. In qualche logica generale dell’organizzazione urbana» (p. 19).
luogo, la scelta dei provvedimenti era dettata da norme profondamente umane; altrove
costrizioni arbitrarie facevano nascere palesi ingiustizie. Sopravvenne l’era del macchinismo, L’ottica con cui Castells studia i movimenti sociali urbani è dunque duplice: in quanto
e ad una misura millenaria che si sarebbe potuta credere immutabile, la velocità del passo movimenti legati ai modi del consumo collettivo e insieme in quanto espressione drammatica
umano, si aggiunse una misura in piena evoluzione: la velocità dei veicoli motorizzati. della contraddizione fra comportamenti sociali ed imperativi economici e politici delle
Nelle condizioni odierne l’effetto-città tende a coprire il pianeta, spesso facendo emergere società industriali capitalistiche. Questa ottica consente a Castells di analizzare la città come
il contraddittorio e conturbante fenomeno della urbanizzazione senza industrializzazione. realtà sociale in movimento, dialettica, e di tentare una sistemazione teorica del fenomeno
La lotta al degrado urbano, che ne consegue, impone una nuova concezione della città. Non senza per questo cadere nell’ovvia aporia del congelamento ipostatizzato. La giustificazione
è più sufficiente parlare di ‘utenti’ della città. Occorre prendere atto che alcuni di questi storica e la fondazione teorica di questa prospettiva costituiscono il tema de La question
‘utenti’ pagano, per così dire, il biglietto, talvolta due o tre volte e che altri, invece, ossia i urbaine (Paris, Maspero, 1972). In questo libro quanto ci è dato dall’esperienza storica
grandi speculatori edilizi non solo non lo pagano, ma lucrano a man salva e sfruttano gli come una sintesi pratica viene pazientemente scomposto nei suoi elementi fondamentali
‘utenti’ che pagano. dall’analisi teorica. I risultati sono notevoli e fanno saltare una serie di concezioni del
La speculazione edilizia non si è limitata alle deroghe, alle varianti dei ‘piani regolatori’ e ad fenomeno urbano che, sotto le apparenze d’un rigoroso discorso scientifico, contrabbandano
esaltare l’abusivismo come espressione della inventività popolare. Si è spinta più innanzi. A in realtà visioni essenzialmente ideologiche. Il fenomeno urbano viene riproposto in termini
grande distanza dal centro urbano, al di là dei grandi raccordi anulari, ha ‘donato’ terreni di ‘contraddizioni vissute’ (p. 441) e il suo cambiamento, cioè la sua umanizzazione, viene
per la costruzione di case-rifugio per i miserabili, ma poi, callidamente, ha così indotto o fatto correttamente dipendere non unicamente dalla chiarezza scientifica dell’analisi, ma dal
costretto, «per ragioni sociali», le autorità pubbliche a dar corso alle opere di urbanizzazione movimento reale delle forze sociali scatenato dalle contraddizioni oggettive, che sottendono
(acqua, gas, elettricità, telefono, fognature) in modo da valorizzare gli spazi prativi e in la molteplicità dei sistemi (culturale, politico, economico, giuridico, ideologico, scolastico,
generale tutti i terreni intermedi. Questa sorta di astuta privatizzazione del pubblico ho ecc.) che ne costituiscono l’ossatura. La dialettica che presiede alla interazione fra questi
potuto registrarla, nel corso dell’ultimo mezzo secolo, su scala planetaria, dall’America differenti sistemi non è chiara in Castells, ma non mi sembra dubbio che egli, con le sue
Latina a Chicago, in Francia, nella periferia romana, specialmente negli anni in cui la ‘Società ricerche, abbia recato un contributo notevole nella direzione aperta dalla nostre ricerche
Generale Immobiliare’, di proprietà del Vaticano, teneva il campo con una incredibile sulla degradazione di Roma.
spregiudicatezza affaristica. Devo tuttavia riconoscere di non essere mai riuscito a mettere Un prezioso materiale di informazioni e di dati è possibile trovare in Città e conflitto sociale
adeguatamente in luce il peso negativo degli interessi consolidati più o meno seriamente (Mario Boffi, Stefano Cofini, Alberto Giasanti, Enzo Mingione, Milano, Feltrinelli, 1972),
irrazionali, sul tipo di sviluppo urbano, e a convincerne studiosi agguerriti del fenomeno con particolare riguardo ad alcuni quartieri periferici di Milano. La demistificazione della
urbano, sicuri che si trattasse di un’impostazione materialistico-storica piuttosto rozza, da «pianificazione urbana» che ne deriva è severa. «I piani di sviluppo urbano – scrivono gli
Ernest W. Burgess, epigono della celebre ‘Scuola di Chicago’ degli anni Trenta, a Guido autori – tendono sempre ad approfondire piuttosto che attenuare la segregazione sociale
Martinotti, sociologo urbano assai preparato e di ampie vedute. delle classi più povere, relegandole in quartieri poco serviti e privi di importanti attrezzature
Il tema non ha interessato a fondo neppure marxisti dichiarati, in Italia, da Piero Della Seta (scuole, farmacie, ospedali, supermercati, luoghi di ritrovo) e di conseguenza favoriscono un
a Vezio De Lucia, Edoardo Salzano, Giovanni Berlinguer. Forse si è temuto un esito di accesso alle abitazioni sempre più differenziato» (p. 33).
dogmatico, meccanicistico materialismo storico volgare. Unica eccezione, forse, Giuliano
Dietro la razionalità presuntamene apolitica, tecnicamente neutra della pianificazione urbana,
Della Pergola. Altri studiosi, fra cui spiccano in Francia Henri Lefebvre e Kostas Angelos,
che nasconde in realtà il dominio di classe e la natura dicotomica della città, universo per
scivolano, più o meno consapevolmente, dall’analisi sociologica e dalla ricerca sul campo
definizione diviso, gli autori scorgono e analizzano anche, almeno parzialmente, alcuni dei
verso le sponde della considerazione speculativa di tipo filosofico classico. Fra gli altri,
meccanismi fondamentali della riproduzione del consenso della popolazione, sapientemente
Manuel Castells, prima di esser toccato dalla grazia della ‘società della conoscenza’ e dai
manipolata al livello delle percezioni soggettive e della ‘falsa coscienza’. L’analisi si fa
mass media elettronici, passando dalla Spagna all’università di Berkeley, incarnava un tipo di
particolarmente convincente a proposito dell’immigrazione dal Sud: «il proletariato
sociologo urbano piuttosto atipico.
settentrionale ha assorbito, ad eccezione della sua avanguardia più matura politicamente,
Nessun dubbio è possibile sul suo impegno politico e sulla sua tensione ideologica. Castells
l’ideologia borghese che mostra come la diversità di interessi con il Meridione non dipende
è un militante. La sua opzione ideale è esplicita. Ma questa opzione mai, nei suoi scritti,
da una situazione sociale ed economica di sottosviluppo imputabile al sistema capitalistico,
appare come una facile scusa per la sciatteria o per l’informazione di seconda mano gabellata
ma da una situazione d’arretratezza culturale, di civiltà di cui sono responsabili i meridionali
per buona in nome della rivoluzione ventura. È notevole il fatto che questo militante non
stessi» (p. 137).
ceda alle suggestioni, tendenzialmente irrazionali, dell’immediatismo politico, del fare per
fare. Ad ogni affermazione, per quanto radicale, chiede duramente, ostinatamente il suo È solo nel libro di Giuliano Della Pergola, La conflittualità urbana (Milano, Feltrinelli, 1972),

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lasciandoci disegni e schizzi per l’idea di Pontinia come città ideale e per il cantiere Olivetti prezzo empirico, ossia la sua giustificazione in termini inter-soggettivi. L’uomo non mostra
a Rho, nei pressi di Milano? Del resto, Pier Paolo Pasolini era, a suo dire, ‘incantato’ dalle alcuna voglia di giocare a dadi sulla pelle del proletariato o del sottoproletariato urbano. La
cittadine inventate dal regime fascista, come Sabaudia, Latina, e così via, e dallo squallore ricerca, cioè la chiarezza intellettuale, è in lui il naturale presupposto della scelta politica. In
geometrico dell’eur. Luttes urbaines et pouvoir politique (Paris, Maspero, 1973), che più direttamente si riferisce
Cerco di esprimere, a memoria, la tesi centrale della ‘Carta di Atene’ di Le Corbusier, là dove a ricerche empiriche sul terreno, dagli sventramenti e dalle deportazioni di ceti popolari a
brilla quella sua sensibilità storica che solo raramente si smentisce, perché Le Corbusier Parigi ai «pobladores», o baraccati, cileni, troviamo la formulazione precisa sia dei punti di
sa che la storia della città è scritta nelle sue piante e nelle sue architetture, ma vive nella partenza del pensiero di Castells sia della necessità di analisi specifica che ne garantiscono
molteplicità e nella stessa imprevedibilità dei rapporti umani che la storia aiuta a far crescere, il carattere propriamente sociologico: «i movimenti sociali urbani, e non le istituzioni di
a fiorire e che poi, distrattamente spietata, travolge. Infatti, Le Corbusier nota che i fattori pianificazione, sono le fonti autentiche di cambiamento e di innovazione della città. Resta
all’origine delle città sono diversi: ambientali, antropologico-culturali, geofisici, storici da vedere se vi sia una possibilità di cambiamento dell’urbano indipendentemente da un
e socio-psicologici. Talvolta l’incrocio di due strade, una testa di ponte o una insenatura cambiamento sociale, quindi politico, globale. Il problema non può venir trattato in generale
determinavano il costituirsi del primo insediamento. La città era di forma imprecisa, spesso né in blocco ma solo studiando l’articolazione fra i movimenti sociali, legati alla produzione,
semicircolare o circolare, e quando si trattava di una città di colonizzazione la si organizzava i movimenti sociali urbani e i movimenti politici lungo tutto uno stesso processo.
come un campo, su due assi ad angolo retto, chiusa da palizzate rettilinee. Tutto era ordinato Se è chiaro che non vi è possibilità di trasformazione profonda della logica di una società
secondo la proporzione, la gerarchia e l’opportunità. Le strade si dipartivano obliquamente senza trasformazione del dominio di classe e quindi senza il rovesciamento del rapporto di
dalle porte della cinta verso mète lontane. Si ritrovano ancora nello schema delle città il potere politico, vi possono ben essere, nel processo generale di trasformazione …, delle fasi
primo nucleo chiuso del borgo, le cinte successive, e il tracciato delle strade divergenti. Qui e delle battaglie particolari che possono cambiare, in modo sempre instabile e parziale, la
ci si affollava e vi era, secondo il grado di civiltà, una variabile dose di benessere. In qualche logica generale dell’organizzazione urbana» (p. 19).
luogo, la scelta dei provvedimenti era dettata da norme profondamente umane; altrove
costrizioni arbitrarie facevano nascere palesi ingiustizie. Sopravvenne l’era del macchinismo, L’ottica con cui Castells studia i movimenti sociali urbani è dunque duplice: in quanto
e ad una misura millenaria che si sarebbe potuta credere immutabile, la velocità del passo movimenti legati ai modi del consumo collettivo e insieme in quanto espressione drammatica
umano, si aggiunse una misura in piena evoluzione: la velocità dei veicoli motorizzati. della contraddizione fra comportamenti sociali ed imperativi economici e politici delle
Nelle condizioni odierne l’effetto-città tende a coprire il pianeta, spesso facendo emergere società industriali capitalistiche. Questa ottica consente a Castells di analizzare la città come
il contraddittorio e conturbante fenomeno della urbanizzazione senza industrializzazione. realtà sociale in movimento, dialettica, e di tentare una sistemazione teorica del fenomeno
La lotta al degrado urbano, che ne consegue, impone una nuova concezione della città. Non senza per questo cadere nell’ovvia aporia del congelamento ipostatizzato. La giustificazione
è più sufficiente parlare di ‘utenti’ della città. Occorre prendere atto che alcuni di questi storica e la fondazione teorica di questa prospettiva costituiscono il tema de La question
‘utenti’ pagano, per così dire, il biglietto, talvolta due o tre volte e che altri, invece, ossia i urbaine (Paris, Maspero, 1972). In questo libro quanto ci è dato dall’esperienza storica
grandi speculatori edilizi non solo non lo pagano, ma lucrano a man salva e sfruttano gli come una sintesi pratica viene pazientemente scomposto nei suoi elementi fondamentali
‘utenti’ che pagano. dall’analisi teorica. I risultati sono notevoli e fanno saltare una serie di concezioni del
La speculazione edilizia non si è limitata alle deroghe, alle varianti dei ‘piani regolatori’ e ad fenomeno urbano che, sotto le apparenze d’un rigoroso discorso scientifico, contrabbandano
esaltare l’abusivismo come espressione della inventività popolare. Si è spinta più innanzi. A in realtà visioni essenzialmente ideologiche. Il fenomeno urbano viene riproposto in termini
grande distanza dal centro urbano, al di là dei grandi raccordi anulari, ha ‘donato’ terreni di ‘contraddizioni vissute’ (p. 441) e il suo cambiamento, cioè la sua umanizzazione, viene
per la costruzione di case-rifugio per i miserabili, ma poi, callidamente, ha così indotto o fatto correttamente dipendere non unicamente dalla chiarezza scientifica dell’analisi, ma dal
costretto, «per ragioni sociali», le autorità pubbliche a dar corso alle opere di urbanizzazione movimento reale delle forze sociali scatenato dalle contraddizioni oggettive, che sottendono
(acqua, gas, elettricità, telefono, fognature) in modo da valorizzare gli spazi prativi e in la molteplicità dei sistemi (culturale, politico, economico, giuridico, ideologico, scolastico,
generale tutti i terreni intermedi. Questa sorta di astuta privatizzazione del pubblico ho ecc.) che ne costituiscono l’ossatura. La dialettica che presiede alla interazione fra questi
potuto registrarla, nel corso dell’ultimo mezzo secolo, su scala planetaria, dall’America differenti sistemi non è chiara in Castells, ma non mi sembra dubbio che egli, con le sue
Latina a Chicago, in Francia, nella periferia romana, specialmente negli anni in cui la ‘Società ricerche, abbia recato un contributo notevole nella direzione aperta dalla nostre ricerche
Generale Immobiliare’, di proprietà del Vaticano, teneva il campo con una incredibile sulla degradazione di Roma.
spregiudicatezza affaristica. Devo tuttavia riconoscere di non essere mai riuscito a mettere Un prezioso materiale di informazioni e di dati è possibile trovare in Città e conflitto sociale
adeguatamente in luce il peso negativo degli interessi consolidati più o meno seriamente (Mario Boffi, Stefano Cofini, Alberto Giasanti, Enzo Mingione, Milano, Feltrinelli, 1972),
irrazionali, sul tipo di sviluppo urbano, e a convincerne studiosi agguerriti del fenomeno con particolare riguardo ad alcuni quartieri periferici di Milano. La demistificazione della
urbano, sicuri che si trattasse di un’impostazione materialistico-storica piuttosto rozza, da «pianificazione urbana» che ne deriva è severa. «I piani di sviluppo urbano – scrivono gli
Ernest W. Burgess, epigono della celebre ‘Scuola di Chicago’ degli anni Trenta, a Guido autori – tendono sempre ad approfondire piuttosto che attenuare la segregazione sociale
Martinotti, sociologo urbano assai preparato e di ampie vedute. delle classi più povere, relegandole in quartieri poco serviti e privi di importanti attrezzature
Il tema non ha interessato a fondo neppure marxisti dichiarati, in Italia, da Piero Della Seta (scuole, farmacie, ospedali, supermercati, luoghi di ritrovo) e di conseguenza favoriscono un
a Vezio De Lucia, Edoardo Salzano, Giovanni Berlinguer. Forse si è temuto un esito di accesso alle abitazioni sempre più differenziato» (p. 33).
dogmatico, meccanicistico materialismo storico volgare. Unica eccezione, forse, Giuliano
Dietro la razionalità presuntamene apolitica, tecnicamente neutra della pianificazione urbana,
Della Pergola. Altri studiosi, fra cui spiccano in Francia Henri Lefebvre e Kostas Angelos,
che nasconde in realtà il dominio di classe e la natura dicotomica della città, universo per
scivolano, più o meno consapevolmente, dall’analisi sociologica e dalla ricerca sul campo
definizione diviso, gli autori scorgono e analizzano anche, almeno parzialmente, alcuni dei
verso le sponde della considerazione speculativa di tipo filosofico classico. Fra gli altri,
meccanismi fondamentali della riproduzione del consenso della popolazione, sapientemente
Manuel Castells, prima di esser toccato dalla grazia della ‘società della conoscenza’ e dai
manipolata al livello delle percezioni soggettive e della ‘falsa coscienza’. L’analisi si fa
mass media elettronici, passando dalla Spagna all’università di Berkeley, incarnava un tipo di
particolarmente convincente a proposito dell’immigrazione dal Sud: «il proletariato
sociologo urbano piuttosto atipico.
settentrionale ha assorbito, ad eccezione della sua avanguardia più matura politicamente,
Nessun dubbio è possibile sul suo impegno politico e sulla sua tensione ideologica. Castells
l’ideologia borghese che mostra come la diversità di interessi con il Meridione non dipende
è un militante. La sua opzione ideale è esplicita. Ma questa opzione mai, nei suoi scritti,
da una situazione sociale ed economica di sottosviluppo imputabile al sistema capitalistico,
appare come una facile scusa per la sciatteria o per l’informazione di seconda mano gabellata
ma da una situazione d’arretratezza culturale, di civiltà di cui sono responsabili i meridionali
per buona in nome della rivoluzione ventura. È notevole il fatto che questo militante non
stessi» (p. 137).
ceda alle suggestioni, tendenzialmente irrazionali, dell’immediatismo politico, del fare per
fare. Ad ogni affermazione, per quanto radicale, chiede duramente, ostinatamente il suo È solo nel libro di Giuliano Della Pergola, La conflittualità urbana (Milano, Feltrinelli, 1972),

48 49
che ci viene tuttavia offerto un primo, ragionato tentativo di fare i conti con la sociologia 2 pianeta è così pervasivo e ammaliante da sfiorare la sfera misteriosa dell’incantamento. Alle
urbana tradizionale, da un lato, e di elaborare i presupposti teorici per una sociologia urbana Secondo un’autorevole sue ‘Torri gemelle’ sono bastati pochi anni per battere l’Empire State Building, reso celebre
testimonianza, che ricorda le dal vecchio film di King Kong che con la stessa indifferenza ‘smanazza’, per così dire, una
critica, dall’altro. L’autore appare consapevole della difficoltà del compito e non presume
accorate denunce di Antonio
di fissare risultanze definitive. Ma il disegno è chiaro. Criticato a fondo il funzionalismo Cederna, «otto metri quadrati
inerme biondina e un incauto biplano, e nello stesso tempo per affermarsi come il simbolo
come ideologia della classe dominante, Della Pergola si interroga sulle auto-censure della al secondo, per ciascun della ‘civiltà’ capitalistica. È vero che nel Novecento, specialmente con la produzione e il
sociologia urbana, sulla elisione da essa operata a proposito degli interessi economici, secondo degli ultimi cinque consumo di massa dell’automobile, la tecnologia rende più agevole l’allontanamento e la
che pure non si può fare a meno di riconoscere fondamentali per la genesi della città anni: questo il ritmo del solitudine. Il grattacielo rende invece possibile l’accumulazione accentrata, la catasta umana.
moderna, e della dimensione politica, su cui pudicamente tace avallando l’idea di una città forsennato consumo di suolo È il formicaio verticale. Se appena viene meno, per una manciata di ore, la corrente elettrica,
che sta consumando l’Italia» ci si scopre tutti legati a uno stesso destino.
impersonalmente funzionante in base a ciechi impulsi meccanicistici, con le sue ‘aree naturali’
(cfr. Salvatore Settis, in «La
e le sue astoriche ‘leggi di sviluppo’, come il prodotto inevitabile e immodificabile di uno Sono vissuto abbastanza a lungo nei grattacieli, in quelli di Chicago a Seneca Street, sulle torri
Repubblica» 8 febbraio 2013,
spontaneismo dotato della stessa ineluttabilità di un qualsiasi processo naturale. «Questo p. 1), ma, per una visione nere di Ludwig Mies van der Rohe lungo il Lago Michigan, e a Manhattan, nella ‘Donald
livello di analisi – scrive Della Pergola – si supera riaffrontando la tematica all’interno delle d’insieme della questione, cfr. Trump Tower’ della Quinta Strada e nel ‘Saint- Tropez’ alla 64ª Strada dello East Side. A volte,
forme di potere e delle strutture di solidarietà politica che le hanno determinate» (p. 79). F. Ferrarotti, M. Fuksas, Polis, nelle fredde notti di vento gelido di Chicago o di Manhattan, li ho sentiti cantare a labbra
È ancora un’affermazione puramente programmatica. Ma la sociologia ha già dimostrato S. Cesareo Lecce, Manna, chiuse, fremere e dondolarsi lievemente, alberi senza foglie, obelischi di vittorie pirriche. La
2006. selva irregolare dei grattacieli è l’onirico assalto al cielo in un territorio disgregato e informe.
di possedere gli strumenti per procedere all’analisi dei fenomeni più complessi. Una vita
urbana più funzionale e qualitativamente migliore è già da oggi possibile, non come regalo Occorre ripensare la città, tornare al costruire mediterraneo, reinserire il manufatto umano
dell’evoluzione spontanea della situazione di fatto, ma come obiettivo politico, determinato nel paesaggio naturale, intervenendo contro la cementificazione selvaggia degli speculatori
razionalmente dalla ricerca. grandi e piccoli in difesa dell’equilibrio ecologico del territorio2.
In un mondo di pensiero più complesso, che a mio giudizio contiene risonanze chiaramente Adriano Olivetti non aveva orecchio per la musica. Ma sentiva cantare le pietre. Incarnava
simmeliane e weberiane, i contributi di Claude Javeau investono la scena urbana globalmente, nella sua persona la tradizione messianica ebraica per via paterna e il rigore morale della
come teatro della vita o, come si potrebbe anche dire, su suggerimento di Calderón de la madre valdese. Prendeva il Cristo in parola: «In verità in verità vi dico: le pietre parleranno».
Barca, el gran teatro del mundo, in questo differenziandosi dall’esame comparativo del Amava perdutamente l’urbanistica e l’architettura, l’arte del costruire ‘a misura d’uomo’.
sociologo milanese Alberto Martinelli. Ricercatore sociale raffinato, didatta formidabile, Indovinava i passaggi e gli anfratti che consentivano al territorio di respirare. Intuiva le
poeta sotto una scorza burbera, talvolta irsuta, Javeau da qualche tempo ci regala smilzi dimensioni ottimali e i misteriosi equilibri di quella che chiamava la ‘comunità naturale’.
volumetti quanto alla mole, grandi e suggestivi in termini di sostanza. Nel già citato L’esprit La sua concezione dello spazio urbano andava al di là del verticalismo insensato e, al limite,
des villes, Javeau ripercorre sul filo del ricordo e ricrea il clima, il sapore e il profumo di cinque auto-distruttivo dei grattacieli e nello stesso tempo individuava le contraddizioni della
città, da Liegi a Firenze, a Lisbona per terminare, come prevedibile, con Bruxelles, sotto la città industriale ‘agglutinante’, dilagante in senso orizzontale, priva di forma e d’anima,
pioggia. Deliziosa scorribanda. Niente a che vedere con un Bedaeker o una guida Michelin. unicamente mossa dagli interessi consolidati dei proprietari dei suoli. Fin dal 1936 aveva
La scoperta geniale del libro mi sembra consistere nel legare un’esperienza altamente promosso il ‘Piano regolatore della Valle d’Aosta’.
soggettiva a un ambiente urbano, in qualche misterioso modo stabilendo una consonanza A piazza San Pietro, in Roma, la cupola di Michelangelo è il principio femminile della
fra movimento interiore personale e strade, mattoni, piazze. Sono in particolare da leggere, maternità, la grande mammella che nutre, mentre l’obelisco eretto al centro è il principio
lentamente, ‘morire a Nantes’ e ‘Bruxelles, la pioggia’. Per me la storia del mancato infarto della paternità. Ed è nell’utero accogliente della piazza che ha luogo la congiunzione dei due
del non più giovanissimo professore, ospite del solito noioso seminario accademico, che principî e la fecondazione a garantire la perpetuazione del genere umano. Si comprende allora
torna alla fine a casa, arriva presto alla stazione e guarda passare i treni, pensa alla moglie e che non è lecito dire che l’essere umano è un essere che non ha ragion d’essere, pur restando
alle solite cose, le solite conversazioni, nulla di straordinario ma tutto molto riposante, mi vero che nessun delirio di onnipotenza prometeico o faustiano potrà far dimenticare che
fa pensare al diario di Benjamin Costant, torturato dai capricci di Madame de Stahl, che ogni essere umano, per una volta ospite di passaggio in questo pianeta, è nello stesso tempo
alla fine esplode: «Ah, la Suisse, la Suisse, et ma femme!». Ma niente può superare, come un prototipo unico, irripetibile e irriducibile, e nello stesso tempo un prodotto deperibile
commento a una liaison finita, la pioggia di Bruxelles. Carole può ben insistere che «le città senza la data di scadenza.
non sono cimiteri». Il metropolitano nato che è Javeau non può che concordare. Ma ecco
che arrivano alla Grand-Place: più cimitero di così! Carole era già morta, per lui. E come
continuavano a parlare, sotto la pioggia di Bruxelles, non cessava dal morire. Tutto questo
è detto e non detto nello stesso tempo. Siamo ombre, amate e dimenticate, e riamate. Vive,
appassionatamente vive, eppure già dall’inizio destinate all’evanescenza. Seneca l’ha già
detto: «Vivere è ascoltarsi morire».
È urgente il ritorno allo stile mediterraneo del costruire. Il verticalismo dei grattacieli,
specialmente in paesi in cui non manchino i grandi spazi, non ha senso. O ha un senso
soltanto: servire gli interessi dei proprietari dei suoli urbani. I grattacieli si pongono, per i
nuovi investitori arabi, russi e asiatici, come simboli di potere, se non di rivincita contro le
regioni del mondo già sviluppate e oggi sature e stagnanti, condannate alla stasi e quindi,
inevitabilmente, al declino. Il profilo di antiche città – da Londra a Parigi e forse, un giorno,
a Roma – ne viene gravemente deturpato. La pseudo-modernità celebra i suoi lugubri,
masochistici trionfi. Le responsabilità degli architetti – maggiordomi à tout faire – indicano
autentici crimini di pace. Simboli di potere, nei paesi emergenti, obelischi di sfida e illusorie
garanzie di immortalità, i grattacieli – scrivevo una volta – ‘non hanno foglie’. Sono alberi
che non dànno ombra né riposo. Restano a testimoniare il sogno di Prometeo e di Faust: una
conquista in cui è già possibile leggere oggi la disfatta a venire.
È probabile che la logica dei grattacieli, anche là dove lo spazio sarà disponibile, riuscirà
vincente. Nulla sembra esercitare un’attrazione così forte sugli umani, quando siano superati
i livelli minimi di sussistenza, quanto la pura irrazionalità. New York, la ‘grande mela’,
certamente. Il suo potere di irradiamento e di punto di riferimento-guida per il resto del

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che ci viene tuttavia offerto un primo, ragionato tentativo di fare i conti con la sociologia 2 pianeta è così pervasivo e ammaliante da sfiorare la sfera misteriosa dell’incantamento. Alle
urbana tradizionale, da un lato, e di elaborare i presupposti teorici per una sociologia urbana Secondo un’autorevole sue ‘Torri gemelle’ sono bastati pochi anni per battere l’Empire State Building, reso celebre
testimonianza, che ricorda le dal vecchio film di King Kong che con la stessa indifferenza ‘smanazza’, per così dire, una
critica, dall’altro. L’autore appare consapevole della difficoltà del compito e non presume
accorate denunce di Antonio
di fissare risultanze definitive. Ma il disegno è chiaro. Criticato a fondo il funzionalismo Cederna, «otto metri quadrati
inerme biondina e un incauto biplano, e nello stesso tempo per affermarsi come il simbolo
come ideologia della classe dominante, Della Pergola si interroga sulle auto-censure della al secondo, per ciascun della ‘civiltà’ capitalistica. È vero che nel Novecento, specialmente con la produzione e il
sociologia urbana, sulla elisione da essa operata a proposito degli interessi economici, secondo degli ultimi cinque consumo di massa dell’automobile, la tecnologia rende più agevole l’allontanamento e la
che pure non si può fare a meno di riconoscere fondamentali per la genesi della città anni: questo il ritmo del solitudine. Il grattacielo rende invece possibile l’accumulazione accentrata, la catasta umana.
moderna, e della dimensione politica, su cui pudicamente tace avallando l’idea di una città forsennato consumo di suolo È il formicaio verticale. Se appena viene meno, per una manciata di ore, la corrente elettrica,
che sta consumando l’Italia» ci si scopre tutti legati a uno stesso destino.
impersonalmente funzionante in base a ciechi impulsi meccanicistici, con le sue ‘aree naturali’
(cfr. Salvatore Settis, in «La
e le sue astoriche ‘leggi di sviluppo’, come il prodotto inevitabile e immodificabile di uno Sono vissuto abbastanza a lungo nei grattacieli, in quelli di Chicago a Seneca Street, sulle torri
Repubblica» 8 febbraio 2013,
spontaneismo dotato della stessa ineluttabilità di un qualsiasi processo naturale. «Questo p. 1), ma, per una visione nere di Ludwig Mies van der Rohe lungo il Lago Michigan, e a Manhattan, nella ‘Donald
livello di analisi – scrive Della Pergola – si supera riaffrontando la tematica all’interno delle d’insieme della questione, cfr. Trump Tower’ della Quinta Strada e nel ‘Saint- Tropez’ alla 64ª Strada dello East Side. A volte,
forme di potere e delle strutture di solidarietà politica che le hanno determinate» (p. 79). F. Ferrarotti, M. Fuksas, Polis, nelle fredde notti di vento gelido di Chicago o di Manhattan, li ho sentiti cantare a labbra
È ancora un’affermazione puramente programmatica. Ma la sociologia ha già dimostrato S. Cesareo Lecce, Manna, chiuse, fremere e dondolarsi lievemente, alberi senza foglie, obelischi di vittorie pirriche. La
2006. selva irregolare dei grattacieli è l’onirico assalto al cielo in un territorio disgregato e informe.
di possedere gli strumenti per procedere all’analisi dei fenomeni più complessi. Una vita
urbana più funzionale e qualitativamente migliore è già da oggi possibile, non come regalo Occorre ripensare la città, tornare al costruire mediterraneo, reinserire il manufatto umano
dell’evoluzione spontanea della situazione di fatto, ma come obiettivo politico, determinato nel paesaggio naturale, intervenendo contro la cementificazione selvaggia degli speculatori
razionalmente dalla ricerca. grandi e piccoli in difesa dell’equilibrio ecologico del territorio2.
In un mondo di pensiero più complesso, che a mio giudizio contiene risonanze chiaramente Adriano Olivetti non aveva orecchio per la musica. Ma sentiva cantare le pietre. Incarnava
simmeliane e weberiane, i contributi di Claude Javeau investono la scena urbana globalmente, nella sua persona la tradizione messianica ebraica per via paterna e il rigore morale della
come teatro della vita o, come si potrebbe anche dire, su suggerimento di Calderón de la madre valdese. Prendeva il Cristo in parola: «In verità in verità vi dico: le pietre parleranno».
Barca, el gran teatro del mundo, in questo differenziandosi dall’esame comparativo del Amava perdutamente l’urbanistica e l’architettura, l’arte del costruire ‘a misura d’uomo’.
sociologo milanese Alberto Martinelli. Ricercatore sociale raffinato, didatta formidabile, Indovinava i passaggi e gli anfratti che consentivano al territorio di respirare. Intuiva le
poeta sotto una scorza burbera, talvolta irsuta, Javeau da qualche tempo ci regala smilzi dimensioni ottimali e i misteriosi equilibri di quella che chiamava la ‘comunità naturale’.
volumetti quanto alla mole, grandi e suggestivi in termini di sostanza. Nel già citato L’esprit La sua concezione dello spazio urbano andava al di là del verticalismo insensato e, al limite,
des villes, Javeau ripercorre sul filo del ricordo e ricrea il clima, il sapore e il profumo di cinque auto-distruttivo dei grattacieli e nello stesso tempo individuava le contraddizioni della
città, da Liegi a Firenze, a Lisbona per terminare, come prevedibile, con Bruxelles, sotto la città industriale ‘agglutinante’, dilagante in senso orizzontale, priva di forma e d’anima,
pioggia. Deliziosa scorribanda. Niente a che vedere con un Bedaeker o una guida Michelin. unicamente mossa dagli interessi consolidati dei proprietari dei suoli. Fin dal 1936 aveva
La scoperta geniale del libro mi sembra consistere nel legare un’esperienza altamente promosso il ‘Piano regolatore della Valle d’Aosta’.
soggettiva a un ambiente urbano, in qualche misterioso modo stabilendo una consonanza A piazza San Pietro, in Roma, la cupola di Michelangelo è il principio femminile della
fra movimento interiore personale e strade, mattoni, piazze. Sono in particolare da leggere, maternità, la grande mammella che nutre, mentre l’obelisco eretto al centro è il principio
lentamente, ‘morire a Nantes’ e ‘Bruxelles, la pioggia’. Per me la storia del mancato infarto della paternità. Ed è nell’utero accogliente della piazza che ha luogo la congiunzione dei due
del non più giovanissimo professore, ospite del solito noioso seminario accademico, che principî e la fecondazione a garantire la perpetuazione del genere umano. Si comprende allora
torna alla fine a casa, arriva presto alla stazione e guarda passare i treni, pensa alla moglie e che non è lecito dire che l’essere umano è un essere che non ha ragion d’essere, pur restando
alle solite cose, le solite conversazioni, nulla di straordinario ma tutto molto riposante, mi vero che nessun delirio di onnipotenza prometeico o faustiano potrà far dimenticare che
fa pensare al diario di Benjamin Costant, torturato dai capricci di Madame de Stahl, che ogni essere umano, per una volta ospite di passaggio in questo pianeta, è nello stesso tempo
alla fine esplode: «Ah, la Suisse, la Suisse, et ma femme!». Ma niente può superare, come un prototipo unico, irripetibile e irriducibile, e nello stesso tempo un prodotto deperibile
commento a una liaison finita, la pioggia di Bruxelles. Carole può ben insistere che «le città senza la data di scadenza.
non sono cimiteri». Il metropolitano nato che è Javeau non può che concordare. Ma ecco
che arrivano alla Grand-Place: più cimitero di così! Carole era già morta, per lui. E come
continuavano a parlare, sotto la pioggia di Bruxelles, non cessava dal morire. Tutto questo
è detto e non detto nello stesso tempo. Siamo ombre, amate e dimenticate, e riamate. Vive,
appassionatamente vive, eppure già dall’inizio destinate all’evanescenza. Seneca l’ha già
detto: «Vivere è ascoltarsi morire».
È urgente il ritorno allo stile mediterraneo del costruire. Il verticalismo dei grattacieli,
specialmente in paesi in cui non manchino i grandi spazi, non ha senso. O ha un senso
soltanto: servire gli interessi dei proprietari dei suoli urbani. I grattacieli si pongono, per i
nuovi investitori arabi, russi e asiatici, come simboli di potere, se non di rivincita contro le
regioni del mondo già sviluppate e oggi sature e stagnanti, condannate alla stasi e quindi,
inevitabilmente, al declino. Il profilo di antiche città – da Londra a Parigi e forse, un giorno,
a Roma – ne viene gravemente deturpato. La pseudo-modernità celebra i suoi lugubri,
masochistici trionfi. Le responsabilità degli architetti – maggiordomi à tout faire – indicano
autentici crimini di pace. Simboli di potere, nei paesi emergenti, obelischi di sfida e illusorie
garanzie di immortalità, i grattacieli – scrivevo una volta – ‘non hanno foglie’. Sono alberi
che non dànno ombra né riposo. Restano a testimoniare il sogno di Prometeo e di Faust: una
conquista in cui è già possibile leggere oggi la disfatta a venire.
È probabile che la logica dei grattacieli, anche là dove lo spazio sarà disponibile, riuscirà
vincente. Nulla sembra esercitare un’attrazione così forte sugli umani, quando siano superati
i livelli minimi di sussistenza, quanto la pura irrazionalità. New York, la ‘grande mela’,
certamente. Il suo potere di irradiamento e di punto di riferimento-guida per il resto del

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Dal consumismo al benvivere 2
Eurostat, Key figures on health
ferme per strada intasando la circolazione e trasformando tutti gli spazi pubblici in un
grande parcheggio. Il nostro è un popolo piuttosto attaccato alla proprietà delle cose, ma
pocketbook EU15, 2001.
dovremmo capire che il nostro interesse non è possedere la lavatrice, l’automobile, o i libri,
3 ma soddisfare il bisogno di pulizia, di mobilità, di lettura. Se entrassimo in questa logica
Francesco Gesualdi Indagine Sgw per scopriremmo altre modalità di soddisfacimento dei nostri bisogni che consentirebbero
l’associazione Moige, 2007.
un notevole risparmio di materiali. Una via è la condivisione, l’uso in comune dei beni.
Un tipico esempio è il trasporto pubblico organizzato dagli enti locali. Ma esistono molti
altri campi di applicazione, sia di tipo commerciale che gratuito. Può essere la lavatrice a
gettoni, l’adesione a un gruppo di condivisione dell’auto, l’acquisto di attrezzi in comune
Il mito della crescita si sta infrangendo contro il muro del limite che assedia il pianeta. a livello di condominio, l’allestimento di biblioteche di quartiere.
Lo prova il petrolio ormai entrato nella sua fase discendente, l’acqua diventata risorsa Nella vita di tutti i giorni, la sobrietà passa attraverso piccole scelte fra cui meno auto
scarsa in molte aree del globo, le derrate alimentari che stanno aumentando di prezzo, le più bicicletta, meno mezzo privato più mezzo pubblico, meno carne più legumi, meno
discariche stracolme di rifiuti e il proliferare degli inceneritori nel tentativo disperato di prodotti globalizzati più prodotti locali, meno merendine confezionate più dolcetti fatti
sbarazzarci dei nostri avanzi, il clima che cambia. in casa, meno cibi surgelati più prodotti di stagione, meno acqua imbottigliata più acqua
Il pianeta Terra non tiene il passo con i nostri ritmi di consumo perfino nell’ambito dei del rubinetto, meno cibi precotti più tempo in cucina, meno prodotti confezionati più
prodotti rinnovabili: consumiamo pesce ad una velocità superiore del 30% alla capacità prodotti sfusi, meno recipienti a perdere più prodotti alla spina, meno prodotti usa e getta
di rigenerazione dei mari, tagliamo più foreste di quante ne ripiantiamo, consumiamo più più riciclaggio.
prodotti agricoli di quanti ne raccogliamo. Gli inglesi lo hanno battezzato overshoot day, “Scegliamo buone pratiche – esortava Pitagora – l’abitudine le renderà gradevoli”. Parole
il giorno del sorpasso, nel 2013 è caduto il 20 agosto1. Quel giorno la nostra voracità ha sacrosante: siamo restii ai cambiamenti, per adottare nuovi stili di vita non basta né la
superato la capacità di rigenerazione della Terra. Finiti i frutti, abbiamo chiuso l’anno a convinzione, né la convenienza, ci vuole la sperimentazione. Possibilmente di gruppo
spese del “capitale naturale”: invece che vitelli abbiamo cominciato ad abbattere mucche, perché insieme le difficoltà si affrontano meglio.
invece che pesci figli, abbiamo mangiato pesci madre, invece che raccolti agricoli, abbiamo Non a caso “Bilanci di giustizia”, la campagna italiana che educa a nuovi stili di vita,
consumato i semi. Di questo passo fra il 2030 e il 2040 avremo bisogno di due pianeti solo propone di affrontare il cambiamento a gruppi di famiglie che risiedono nella stessa città
per le risorse rinnovabili. o nella stessa vallata. L’invito è a ritrovarsi, ad organizzare momenti conviviali durante
Il peggio è che l’umanità giunge all’appuntamento con la scarsità mentre metà della i quali discutere, confrontarsi sulle difficoltà incontrate, cercare insieme la soluzione ai
popolazione mondiale non ha ancora conosciuto il gusto della dignità umana. Ammassate problemi irrisolti.
nelle baraccopoli metropolitane o disperse nelle campagne, tre miliardi di persone vivono L’esperienza di “Bilanci di giustizia” ci dice che la sobrietà è non solo possibile, ma
con meno di due dollari al giorno con conseguenze drammatiche sull’alimentazione, addirittura conveniente. Non tanto per il portafogli, quanto per la qualità della vita. Per
l’alloggio, la salute, la scolarità. Esse hanno il diritto di mangiare, vestirsi, calzarsi, curarsi, troppo tempo abbiamo accettato l’idea che il benessere si misura con le quantità di cose
studiare, viaggiare di più, ma possono farlo solo se i benestanti accettano di sottoporsi a che gettiamo nel carrello della spesa, ma questo non è benessere è benavere. è un’idea
drastica cura dimagrante perché c’è competizione per le risorse e gli spazi ambientali che di benessere che concepisce la persona umana come un bidone aspiratutto, un tubo
si fanno sempre più esigui. digerente con la bocca sempre ben spalancata per inghiottire tutto ciò che la pubblicità
è stato dimostrato che se volessimo portare tutti gli abitanti del mondo al tenore di vita propone e uno sfintere anale sempre ben aperto per espellere una montagna di rifiuti. Un
dei benestanti ci vorrebbero cinque pianeti. Noi non abbiamo quattro pianeti di scorta, canale di collegamento fra il supermercato e la fogna, a ciò ci riduce il consumismo. è
con questo unico pianeta dobbiamo lasciare ai nostri figli una Terra vivibile e consentire arrivato il tempo di ribellarci a questa concezione della persona affermando che oltre che
agli impoveriti di uscire rapidamente dalla loro povertà. L’unico modo per farcela, per corpo, siamo anche dimensione affettiva, dimensione spirituale, dimensione intellettuale,
coniugare equità e sostenibilità, è che i ricchi si convertano alla sobrietà, ad uno stile di dimensione sociale. Il vero benessere è quella situazione in cui tutte queste dimensioni
vita personale e collettivo, più parsimonioso, più pulito, più lento, più inserito nei cicli sono soddisfatte in maniera armonica. Ed è bene insistere sul concetto di armonia perché
naturali. se perseguiamo una sola di questa entriamo in rotta di collisione con tutte le altre. Noi
Di fronte all’idea di dovere ridurre i nostri consumi, la prima reazione è di panico. Nella lo constatiamo tutti i giorni su noi stessi: per comprare molto, abbiamo bisogno di molti
nostra fantasia si affacciano immagini di privazioni e di sofferenze. Ma la sobrietà non soldi, per guadagnare molti soldi passiamo molto tempo al lavoro. Ci si affanna, si corre,
significa ritorno alla candela o alla morte per tetano. Sobrietà non va confusa con miseria, si maledice il tempo che scappa. Otto ore di lavoro non bastano più, è necessario fare lo
come consumismo non va confuso con benessere. La sobrietà è più un modo di essere straordinario. Le ore passate fuori casa crescono, non c’è più tempo per noi, per il rapporto
che di avere. è uno stile di vita che sa distinguere tra i bisogni reali e quelli imposti, che di coppia, per la cura dei figli, per la vita sociale. Bisogna andare di fretta. Compaiono le
si organizza a livello collettivo per garantire a tutti il soddisfacimento dei bisogni umani insonnie, le nevrosi, le crisi di coppia, i disagi tenuti a bada con le sostanze. Il 39% degli
con il minor dispendio di energia, che dà alle esigenze del corpo il giusto peso senza europei dichiara di sentirsi stressato2. Cresce la microcriminalità dei giovani abbandonati
dimenticare le esigenze spirituali, affettive, intellettuali, sociali della persona. Sobrietà a se stessi, cresce la solitudine dei bambini che si gettano nelle braccia della televisione.
significa capacità di liberarsi dalla schiavitù dell’inutile e del superfluo, adottando uno Secondo un’indagine condotta in Italia nel 2007, i bambini trascorrono giornalmente un’ora
stile di vita, personale e collettivo, più parsimonioso, più pulito, più lento, più inserito e trentasei minuti al televisiore, un’ora e cinque minuti al computer, cinquantacinque minuti
nei cicli naturali, ricordandoci che la civiltà, nel vero senso della parola, non consiste nella in videogiochi.3 Società liquida, così Zygmunt Bauman definisce la nostra società. Una
moltiplicazione dei bisogni, ma nella capacità di ridurli. Perciò, ogni volta che stiamo per società dai legami fragili, instabili, frettolosi in continua composizione e scomposizione
comprare qualcosa chiediamoci se ne abbiamo davvero bisogno o se invece non stiamo proprio come le molecole d’acqua. Rapporti interpersonali consumati come gelati,
cedendo alle pressioni della moda, della pubblicità, della competizione sociale. Chiediamoci una leccata e via. Esplode la comunicazione via cellulare, i messaggi sms inonandano
anche se abbiamo fatto tutto il possibile per riparare ciò che abbiamo. Se poi giungiamo l’etere nell’illusione che la quantità possa compensare la qualità. Ma in ambito umano
alla conclusione che quell’oggetto proprio ci serve, procediamo con calma. Soprattutto la logica dell’usa e getta non funziona, il malessere affiora. Ogni volta in forma diversa
non precipitiamoci in negozio per comprarne uno nuovo. Prima facciamo un giro presso come se privilegiasse il linguaggio in codice: depressione, anoressia, bulimia, alcolismo,
amici e parenti per accertarci che non abbiano qualcosa di usato che fa al caso nostro. Dal tossicodipendenza, aggressività. Perfino il bullismo è un prodotto della lacerazione e non è
che si conclude che la sobrietà ci chiede di liberarci anche dalla schiavitù del possesso in 1 con i giovani che dovremmo indignarci per il loro sadismo, ma con noi stessi: per la nostra
modo da evitare lo spreco di materiali in beni sottoutilizzati. Ad esempio le automobili Si veda il sito web latitanza, la nostra distrazione, la nostra noncuranza. Quando sui giornali comparve la
andrebbero piuttosto chiamate “auto immobili” perché gran parte del tempo se ne stanno www.footprintnetwork.org. notizia, nel giugno 2008, che una ragazzina di dodici anni si rinchiudeva in bagno e col

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Dal consumismo al benvivere 2
Eurostat, Key figures on health
ferme per strada intasando la circolazione e trasformando tutti gli spazi pubblici in un
grande parcheggio. Il nostro è un popolo piuttosto attaccato alla proprietà delle cose, ma
pocketbook EU15, 2001.
dovremmo capire che il nostro interesse non è possedere la lavatrice, l’automobile, o i libri,
3 ma soddisfare il bisogno di pulizia, di mobilità, di lettura. Se entrassimo in questa logica
Francesco Gesualdi Indagine Sgw per scopriremmo altre modalità di soddisfacimento dei nostri bisogni che consentirebbero
l’associazione Moige, 2007.
un notevole risparmio di materiali. Una via è la condivisione, l’uso in comune dei beni.
Un tipico esempio è il trasporto pubblico organizzato dagli enti locali. Ma esistono molti
altri campi di applicazione, sia di tipo commerciale che gratuito. Può essere la lavatrice a
gettoni, l’adesione a un gruppo di condivisione dell’auto, l’acquisto di attrezzi in comune
Il mito della crescita si sta infrangendo contro il muro del limite che assedia il pianeta. a livello di condominio, l’allestimento di biblioteche di quartiere.
Lo prova il petrolio ormai entrato nella sua fase discendente, l’acqua diventata risorsa Nella vita di tutti i giorni, la sobrietà passa attraverso piccole scelte fra cui meno auto
scarsa in molte aree del globo, le derrate alimentari che stanno aumentando di prezzo, le più bicicletta, meno mezzo privato più mezzo pubblico, meno carne più legumi, meno
discariche stracolme di rifiuti e il proliferare degli inceneritori nel tentativo disperato di prodotti globalizzati più prodotti locali, meno merendine confezionate più dolcetti fatti
sbarazzarci dei nostri avanzi, il clima che cambia. in casa, meno cibi surgelati più prodotti di stagione, meno acqua imbottigliata più acqua
Il pianeta Terra non tiene il passo con i nostri ritmi di consumo perfino nell’ambito dei del rubinetto, meno cibi precotti più tempo in cucina, meno prodotti confezionati più
prodotti rinnovabili: consumiamo pesce ad una velocità superiore del 30% alla capacità prodotti sfusi, meno recipienti a perdere più prodotti alla spina, meno prodotti usa e getta
di rigenerazione dei mari, tagliamo più foreste di quante ne ripiantiamo, consumiamo più più riciclaggio.
prodotti agricoli di quanti ne raccogliamo. Gli inglesi lo hanno battezzato overshoot day, “Scegliamo buone pratiche – esortava Pitagora – l’abitudine le renderà gradevoli”. Parole
il giorno del sorpasso, nel 2013 è caduto il 20 agosto1. Quel giorno la nostra voracità ha sacrosante: siamo restii ai cambiamenti, per adottare nuovi stili di vita non basta né la
superato la capacità di rigenerazione della Terra. Finiti i frutti, abbiamo chiuso l’anno a convinzione, né la convenienza, ci vuole la sperimentazione. Possibilmente di gruppo
spese del “capitale naturale”: invece che vitelli abbiamo cominciato ad abbattere mucche, perché insieme le difficoltà si affrontano meglio.
invece che pesci figli, abbiamo mangiato pesci madre, invece che raccolti agricoli, abbiamo Non a caso “Bilanci di giustizia”, la campagna italiana che educa a nuovi stili di vita,
consumato i semi. Di questo passo fra il 2030 e il 2040 avremo bisogno di due pianeti solo propone di affrontare il cambiamento a gruppi di famiglie che risiedono nella stessa città
per le risorse rinnovabili. o nella stessa vallata. L’invito è a ritrovarsi, ad organizzare momenti conviviali durante
Il peggio è che l’umanità giunge all’appuntamento con la scarsità mentre metà della i quali discutere, confrontarsi sulle difficoltà incontrate, cercare insieme la soluzione ai
popolazione mondiale non ha ancora conosciuto il gusto della dignità umana. Ammassate problemi irrisolti.
nelle baraccopoli metropolitane o disperse nelle campagne, tre miliardi di persone vivono L’esperienza di “Bilanci di giustizia” ci dice che la sobrietà è non solo possibile, ma
con meno di due dollari al giorno con conseguenze drammatiche sull’alimentazione, addirittura conveniente. Non tanto per il portafogli, quanto per la qualità della vita. Per
l’alloggio, la salute, la scolarità. Esse hanno il diritto di mangiare, vestirsi, calzarsi, curarsi, troppo tempo abbiamo accettato l’idea che il benessere si misura con le quantità di cose
studiare, viaggiare di più, ma possono farlo solo se i benestanti accettano di sottoporsi a che gettiamo nel carrello della spesa, ma questo non è benessere è benavere. è un’idea
drastica cura dimagrante perché c’è competizione per le risorse e gli spazi ambientali che di benessere che concepisce la persona umana come un bidone aspiratutto, un tubo
si fanno sempre più esigui. digerente con la bocca sempre ben spalancata per inghiottire tutto ciò che la pubblicità
è stato dimostrato che se volessimo portare tutti gli abitanti del mondo al tenore di vita propone e uno sfintere anale sempre ben aperto per espellere una montagna di rifiuti. Un
dei benestanti ci vorrebbero cinque pianeti. Noi non abbiamo quattro pianeti di scorta, canale di collegamento fra il supermercato e la fogna, a ciò ci riduce il consumismo. è
con questo unico pianeta dobbiamo lasciare ai nostri figli una Terra vivibile e consentire arrivato il tempo di ribellarci a questa concezione della persona affermando che oltre che
agli impoveriti di uscire rapidamente dalla loro povertà. L’unico modo per farcela, per corpo, siamo anche dimensione affettiva, dimensione spirituale, dimensione intellettuale,
coniugare equità e sostenibilità, è che i ricchi si convertano alla sobrietà, ad uno stile di dimensione sociale. Il vero benessere è quella situazione in cui tutte queste dimensioni
vita personale e collettivo, più parsimonioso, più pulito, più lento, più inserito nei cicli sono soddisfatte in maniera armonica. Ed è bene insistere sul concetto di armonia perché
naturali. se perseguiamo una sola di questa entriamo in rotta di collisione con tutte le altre. Noi
Di fronte all’idea di dovere ridurre i nostri consumi, la prima reazione è di panico. Nella lo constatiamo tutti i giorni su noi stessi: per comprare molto, abbiamo bisogno di molti
nostra fantasia si affacciano immagini di privazioni e di sofferenze. Ma la sobrietà non soldi, per guadagnare molti soldi passiamo molto tempo al lavoro. Ci si affanna, si corre,
significa ritorno alla candela o alla morte per tetano. Sobrietà non va confusa con miseria, si maledice il tempo che scappa. Otto ore di lavoro non bastano più, è necessario fare lo
come consumismo non va confuso con benessere. La sobrietà è più un modo di essere straordinario. Le ore passate fuori casa crescono, non c’è più tempo per noi, per il rapporto
che di avere. è uno stile di vita che sa distinguere tra i bisogni reali e quelli imposti, che di coppia, per la cura dei figli, per la vita sociale. Bisogna andare di fretta. Compaiono le
si organizza a livello collettivo per garantire a tutti il soddisfacimento dei bisogni umani insonnie, le nevrosi, le crisi di coppia, i disagi tenuti a bada con le sostanze. Il 39% degli
con il minor dispendio di energia, che dà alle esigenze del corpo il giusto peso senza europei dichiara di sentirsi stressato2. Cresce la microcriminalità dei giovani abbandonati
dimenticare le esigenze spirituali, affettive, intellettuali, sociali della persona. Sobrietà a se stessi, cresce la solitudine dei bambini che si gettano nelle braccia della televisione.
significa capacità di liberarsi dalla schiavitù dell’inutile e del superfluo, adottando uno Secondo un’indagine condotta in Italia nel 2007, i bambini trascorrono giornalmente un’ora
stile di vita, personale e collettivo, più parsimonioso, più pulito, più lento, più inserito e trentasei minuti al televisiore, un’ora e cinque minuti al computer, cinquantacinque minuti
nei cicli naturali, ricordandoci che la civiltà, nel vero senso della parola, non consiste nella in videogiochi.3 Società liquida, così Zygmunt Bauman definisce la nostra società. Una
moltiplicazione dei bisogni, ma nella capacità di ridurli. Perciò, ogni volta che stiamo per società dai legami fragili, instabili, frettolosi in continua composizione e scomposizione
comprare qualcosa chiediamoci se ne abbiamo davvero bisogno o se invece non stiamo proprio come le molecole d’acqua. Rapporti interpersonali consumati come gelati,
cedendo alle pressioni della moda, della pubblicità, della competizione sociale. Chiediamoci una leccata e via. Esplode la comunicazione via cellulare, i messaggi sms inonandano
anche se abbiamo fatto tutto il possibile per riparare ciò che abbiamo. Se poi giungiamo l’etere nell’illusione che la quantità possa compensare la qualità. Ma in ambito umano
alla conclusione che quell’oggetto proprio ci serve, procediamo con calma. Soprattutto la logica dell’usa e getta non funziona, il malessere affiora. Ogni volta in forma diversa
non precipitiamoci in negozio per comprarne uno nuovo. Prima facciamo un giro presso come se privilegiasse il linguaggio in codice: depressione, anoressia, bulimia, alcolismo,
amici e parenti per accertarci che non abbiano qualcosa di usato che fa al caso nostro. Dal tossicodipendenza, aggressività. Perfino il bullismo è un prodotto della lacerazione e non è
che si conclude che la sobrietà ci chiede di liberarci anche dalla schiavitù del possesso in 1 con i giovani che dovremmo indignarci per il loro sadismo, ma con noi stessi: per la nostra
modo da evitare lo spreco di materiali in beni sottoutilizzati. Ad esempio le automobili Si veda il sito web latitanza, la nostra distrazione, la nostra noncuranza. Quando sui giornali comparve la
andrebbero piuttosto chiamate “auto immobili” perché gran parte del tempo se ne stanno www.footprintnetwork.org. notizia, nel giugno 2008, che una ragazzina di dodici anni si rinchiudeva in bagno e col

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cellulare si fotografava nuda, in pose sexy, per vendere le immagini ai compagni al fine di I musei italiani e la sfida della sostenibilità globale
raggranellare soldi per comprarsi abiti firmati, lo psichiatra Paolo Crepet fu categorico: “è
solo l’ennesimo caso di solitudine e di crisi vissuti dagli adolescenti. Non possiamo dare
la colpa ai dodicenni se danno più valore alla moda che alla loro dignità: è il mondo degli
adulti a essere andato in corto circuito”. Guido Guerzoni
Se vogliamo recuperare la felicità, dobbiamo riscoprire le altre dimensioni dell’essere
umano: la spiritualità, la socialità, l’affettività, la gratuità. Questo è il nocciolo della
questione: noi non troveremo la misura nei consumi finché non riusciremo a guardare
all’avere con distanza e ciò non avverrà finché non avremo riempito il nostro cuore e la
nostra mente con altri principi ed altri valori di riferimento. Se riuscissimo a guardare ai
consumi come persone libere, ci renderemmo conto che il benessere si raggiunge solo 1. Notizie dall’altro mondo
in parte con la disponibilità di beni e molto di più organizzando il tempo in modo da Negli ultimi dieci anni, mentre ci cullavamo nel commosso ricordo del nostro passato
lasciare più spazio alle relazioni familiari e sociali, costruendo le città in modo da favorire splendore, in un paese ricco di patrimonio ma senza un quattrino, nel mondo accadevano
l’incontro fra le persone, garantendo un bagaglio culturale che consenta a ciascuno di dei modesti fatterelli. In meno di trent’anni il Louvre ha triplicato le superfici (ora 180.000
realizzare tutto se stesso. mq) e i visitatori (9 milioni), dopo aver investito nell’operazione “Grand Louvre” più di
Quando le parole sono logore vanno cambiate. Ed ecco il benvivere, un termine coniato un miliardo di euro (non lontano dall’1,2 della Musueminsel di Berlino); il valore degli
dagli indios dell’America Latina, che sta a indicare una situazione di armonia con se stessi, asset del J. Paul Getty Trust alla fine del 2012 è stato pari a 10,5 miliardi di dollari; Tate
con gli altri, con la natura. Un obiettivo che non dipende tanto dalla disponibilità di Modern, secondo l’impact analysis della London School of Economics, ha creato nei
risorse, quanto dalle formule organizzative dell’abitare, del lavorare, del fare comunità, primi cinque anni di vita: “between 2,000 and 4,000 new jobs, about half of which are
del prendersi cura dell’ambiente. Per benvivere in città serve verde, centri storici chiusi located in the Southwark area”, laddove la riapertura del MoMA tra il 2005 e il 2007
al traffico, piste ciclabili, trasporti pubblici adeguati, piccoli negozi diffusi, punti di ha generato un impatto economico nella città di New York pari a 2 miliardi di dollari;
aggregazione. Per beneabitare servono piccoli condomini con spazi e servizi comuni che secondo Kpmg il Guggenheim di Bilbao tra l’ottobre del 1997 e il gennaio del 2000 avrebbe
favoriscono l’incontro. Per benlavorare servono piccole attività diffuse sul territorio per fatto crescere il Pil dell’area dello 0,47%, creando 3.816 posti di lavoro e facendo crescere
evitare il pendolarismo e favorire la partecipazione. Per benrelazionarsi servono tempi del 54% i flussi turistici dei paesi baschi; la visita palmo a palmo dell’Hermitage, in attesa
di lavoro ridotti, pause televisive, tranquillità economica, per favorire il dialogo e la dell’imminente piano di ampliamento di Rem Koolhaas, richiede comunque una sgambata
distensione familiare. Tutto ciò non richiede barili di petrolio, ma scelte politiche. di 31 chilometri, mentre lo Smithsonian Institution di Washington ha superato i 6.300
dipendenti; in Cina, secondo le ultime statistiche del Ministero della Cultura, tra il 2000 e
il 2010 sono stati costruiti 1.359 musei e altri 4.773 saranno realizzati nei prossimi 8 anni;
nel Saadyat Cultural District di Abu Dhabi sono già stati investiti più di due miliardi di
euro e la sola costruzione del locale Louvre è stata appaltata lo scorso dicembre per 653,4
milioni di dollari, un terzo del bilancio annuale del Mibac.
Del pari sono proliferati i musei multiplesso (Tate, Pompidou, Getty, Paley Center,
Reina Sofia, Guggenheim, Imperial War, Louvre, Hermitage, Caixaforum o Ludwig),
sono state sperimentate forme di merger and acquisition (Moma-PS1); siglati accordi di
coproduzione/codistribuzione (Hermitage atd Amsterdam, Vienna, Londra eLas; Louvre
ad Atlanta, Denver, Lens e Uae); varate mostre itineranti pluriennali (Barnes ha fatto
scuola); firmati accordi strategici da 1 miliardo di euro (Louvre at Abu Dhabi), mentre
si programmano i calendari espositivi su orizzonti decennali e continuano a crescere gli
organigrammi e i budget dei grandi player internazionali.
Così, se analizziamo i musei d’arte più visitati al mondo nel 2011, scopriamo che il Louvre
ha avuto 2.111 dipendenti e un budget per le spese correnti di 233 milioni di euro, il British
Museum 1.096 e 65 Me, il Met 1.800 e 170 Me, la National Gallery London 459 e più di
32 Me, Tate Modern 1.250 dipendenti e 100 Me,la National Gallery di Washington 885 e
80 Me, il Centre Pompidou 1.160 e 110 Me, il MoMa 1.084 e 115 Me, il Victoria & Albert
870 e 84 Me e considerazioni analoghe valgono per la varietà, la qualità e la frequenza
delle attività temporanee, tra cui spiccano, sempre curate e prodotte internamente, quelle
espositive: nel 2011, anno in cui sono stati avvertiti ovunque i morsi della crisi, il Louvre
ha allestito 20 mostre, il Metropolitan 31, il Moma 36, il Centre Pompidou 27, l’Hermitage
26, il Victoria and Albert 31, il Reina Sofia 18 e via dicendo.
Per fornire un paio di raffronti la Galleria degli Uffizi, che capeggia i musei italiani, ha
meno di 180 dipendenti, di cui metà con contratti a tempo determinato e una ventina di
guardie notturne, laddove il budget di spesa dell’intero Polo Museale Fiorentino, con una
trentina di sedi che lo scorso anno hanno registrato oltre 4,5 milioni di ingressi, è prossimo
ai 20 Me, spese del personale escluse (che non superano i 17 Me), mentre il Maxxi, Museo
Nazionale delle Arti del XXI secolo (che doveva costare 90 Me ed è costato il doppio),
ha un budget di poco superiore ai 10 milioni di euro (meno di un decimo dei “supposti
concorrenti” europei).
Ma non è solo una questione di numeri: negli ultimi trent’anni in Italia si è assopito anche
il dibattito culturale, che all’estero si è misurato con nuove e avvincenti sfide; a titolo
di esempio, è possibile interpretare, narrare e rappresentare fenomeni storici che hanno

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cellulare si fotografava nuda, in pose sexy, per vendere le immagini ai compagni al fine di I musei italiani e la sfida della sostenibilità globale
raggranellare soldi per comprarsi abiti firmati, lo psichiatra Paolo Crepet fu categorico: “è
solo l’ennesimo caso di solitudine e di crisi vissuti dagli adolescenti. Non possiamo dare
la colpa ai dodicenni se danno più valore alla moda che alla loro dignità: è il mondo degli
adulti a essere andato in corto circuito”. Guido Guerzoni
Se vogliamo recuperare la felicità, dobbiamo riscoprire le altre dimensioni dell’essere
umano: la spiritualità, la socialità, l’affettività, la gratuità. Questo è il nocciolo della
questione: noi non troveremo la misura nei consumi finché non riusciremo a guardare
all’avere con distanza e ciò non avverrà finché non avremo riempito il nostro cuore e la
nostra mente con altri principi ed altri valori di riferimento. Se riuscissimo a guardare ai
consumi come persone libere, ci renderemmo conto che il benessere si raggiunge solo 1. Notizie dall’altro mondo
in parte con la disponibilità di beni e molto di più organizzando il tempo in modo da Negli ultimi dieci anni, mentre ci cullavamo nel commosso ricordo del nostro passato
lasciare più spazio alle relazioni familiari e sociali, costruendo le città in modo da favorire splendore, in un paese ricco di patrimonio ma senza un quattrino, nel mondo accadevano
l’incontro fra le persone, garantendo un bagaglio culturale che consenta a ciascuno di dei modesti fatterelli. In meno di trent’anni il Louvre ha triplicato le superfici (ora 180.000
realizzare tutto se stesso. mq) e i visitatori (9 milioni), dopo aver investito nell’operazione “Grand Louvre” più di
Quando le parole sono logore vanno cambiate. Ed ecco il benvivere, un termine coniato un miliardo di euro (non lontano dall’1,2 della Musueminsel di Berlino); il valore degli
dagli indios dell’America Latina, che sta a indicare una situazione di armonia con se stessi, asset del J. Paul Getty Trust alla fine del 2012 è stato pari a 10,5 miliardi di dollari; Tate
con gli altri, con la natura. Un obiettivo che non dipende tanto dalla disponibilità di Modern, secondo l’impact analysis della London School of Economics, ha creato nei
risorse, quanto dalle formule organizzative dell’abitare, del lavorare, del fare comunità, primi cinque anni di vita: “between 2,000 and 4,000 new jobs, about half of which are
del prendersi cura dell’ambiente. Per benvivere in città serve verde, centri storici chiusi located in the Southwark area”, laddove la riapertura del MoMA tra il 2005 e il 2007
al traffico, piste ciclabili, trasporti pubblici adeguati, piccoli negozi diffusi, punti di ha generato un impatto economico nella città di New York pari a 2 miliardi di dollari;
aggregazione. Per beneabitare servono piccoli condomini con spazi e servizi comuni che secondo Kpmg il Guggenheim di Bilbao tra l’ottobre del 1997 e il gennaio del 2000 avrebbe
favoriscono l’incontro. Per benlavorare servono piccole attività diffuse sul territorio per fatto crescere il Pil dell’area dello 0,47%, creando 3.816 posti di lavoro e facendo crescere
evitare il pendolarismo e favorire la partecipazione. Per benrelazionarsi servono tempi del 54% i flussi turistici dei paesi baschi; la visita palmo a palmo dell’Hermitage, in attesa
di lavoro ridotti, pause televisive, tranquillità economica, per favorire il dialogo e la dell’imminente piano di ampliamento di Rem Koolhaas, richiede comunque una sgambata
distensione familiare. Tutto ciò non richiede barili di petrolio, ma scelte politiche. di 31 chilometri, mentre lo Smithsonian Institution di Washington ha superato i 6.300
dipendenti; in Cina, secondo le ultime statistiche del Ministero della Cultura, tra il 2000 e
il 2010 sono stati costruiti 1.359 musei e altri 4.773 saranno realizzati nei prossimi 8 anni;
nel Saadyat Cultural District di Abu Dhabi sono già stati investiti più di due miliardi di
euro e la sola costruzione del locale Louvre è stata appaltata lo scorso dicembre per 653,4
milioni di dollari, un terzo del bilancio annuale del Mibac.
Del pari sono proliferati i musei multiplesso (Tate, Pompidou, Getty, Paley Center,
Reina Sofia, Guggenheim, Imperial War, Louvre, Hermitage, Caixaforum o Ludwig),
sono state sperimentate forme di merger and acquisition (Moma-PS1); siglati accordi di
coproduzione/codistribuzione (Hermitage atd Amsterdam, Vienna, Londra eLas; Louvre
ad Atlanta, Denver, Lens e Uae); varate mostre itineranti pluriennali (Barnes ha fatto
scuola); firmati accordi strategici da 1 miliardo di euro (Louvre at Abu Dhabi), mentre
si programmano i calendari espositivi su orizzonti decennali e continuano a crescere gli
organigrammi e i budget dei grandi player internazionali.
Così, se analizziamo i musei d’arte più visitati al mondo nel 2011, scopriamo che il Louvre
ha avuto 2.111 dipendenti e un budget per le spese correnti di 233 milioni di euro, il British
Museum 1.096 e 65 Me, il Met 1.800 e 170 Me, la National Gallery London 459 e più di
32 Me, Tate Modern 1.250 dipendenti e 100 Me,la National Gallery di Washington 885 e
80 Me, il Centre Pompidou 1.160 e 110 Me, il MoMa 1.084 e 115 Me, il Victoria & Albert
870 e 84 Me e considerazioni analoghe valgono per la varietà, la qualità e la frequenza
delle attività temporanee, tra cui spiccano, sempre curate e prodotte internamente, quelle
espositive: nel 2011, anno in cui sono stati avvertiti ovunque i morsi della crisi, il Louvre
ha allestito 20 mostre, il Metropolitan 31, il Moma 36, il Centre Pompidou 27, l’Hermitage
26, il Victoria and Albert 31, il Reina Sofia 18 e via dicendo.
Per fornire un paio di raffronti la Galleria degli Uffizi, che capeggia i musei italiani, ha
meno di 180 dipendenti, di cui metà con contratti a tempo determinato e una ventina di
guardie notturne, laddove il budget di spesa dell’intero Polo Museale Fiorentino, con una
trentina di sedi che lo scorso anno hanno registrato oltre 4,5 milioni di ingressi, è prossimo
ai 20 Me, spese del personale escluse (che non superano i 17 Me), mentre il Maxxi, Museo
Nazionale delle Arti del XXI secolo (che doveva costare 90 Me ed è costato il doppio),
ha un budget di poco superiore ai 10 milioni di euro (meno di un decimo dei “supposti
concorrenti” europei).
Ma non è solo una questione di numeri: negli ultimi trent’anni in Italia si è assopito anche
il dibattito culturale, che all’estero si è misurato con nuove e avvincenti sfide; a titolo
di esempio, è possibile interpretare, narrare e rappresentare fenomeni storici che hanno

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coinvolto milioni di sconosciuti, figure ai margini dei grandi avvenimenti, che sovente vengono da fondazioni di origine bancaria, corporate foundations e istituti di credito).
non hanno lasciato tracce significative del loro passaggio, né materiale né documentale? Se si osserva la seguente tabella, che riporta dati Eurostat/EriCarts, si scopre che la spesa
Fino a quale livello di astrazione è possibile spingere la tematizzazione di un museo e di pro-capite italiana, con la parziale eccezione del caso francese, è pertanto in linea con quella
una mostra? Si possono costituire istituzioni culturali prive di reperti, talvolta neppure dei paesi europei che investono maggiormente in campo culturale.
originali, lavorando sui patrimoni immateriali e sfruttando le enormi opportunità del
digitale e dell’interaction design, editando supporti audiovisivi, creando installazioni Tabella 1. Spesa pubblica e privata in campo culturale di cinque nazioni europee
sonore e olfattive, rielaborando le informazioni raccolte da fonti disparate, accomunate
Spesa pubblica Finanziamenti privati Totale
dall’assenza di fisicità?
Le risposte fornite a queste domande – fuori dall’Italia – sono state spesso positive, Italia 7.230 1.450 8.680
osservando gli esiti dei progetti dedicati alle donne, l’infanzia, le migrazioni, le schiavitù, (2009) (2010)
l’Olocausto, le guerre, il lavoro, le colonizzazioni, le culture orali, le minoranze, la
Germania 9.192 950 10.142
biodiversità e l’ambiente, le scienze e le tecnologie, i cambiamenti climatici, i diritti umani,
(2009) (2009)
la fantasia o la pace, senza dimenticare le sperimentazioni condotte nei science e discovery
center, nei children museum e in svariate mostre temporanee. Francia 11.273 975 12.248
Del pari va sottolineata l’enorme attenzione che all’estero è stata tributata alla (2010) (2008)
conservazione e alla valorizzazione del patrimonio culturale novecentesco, come si può
Spagna 6.580 530 7.030
evincere dall’apertura di un impressionante numero di musei, biblioteche, archivi, centri di
(2007) (2007)
ricerca e documentazione, festival e mostre consacrate alla cinematografia, alle produzioni
televisive, alla fotografia, alla discografia e alla radiofonia, all’editoria e al giornalismo, al Regno Unito 10.240 780 11.020
design e all’architettura, alla moda e alla pubblicità, ai fumetti e alla grafica. (2010-11) (2008-9)
Queste grandi trasformazioni ci hanno appena sfiorato, senza provocare il cambiamento
radicale necessario per sintonizzarci sulle nuove frequenze globali: negli ultimi decenni Fonte: rielaborazione dati Eurostat, Council of Europe/EriCarts, “Compendium of Cultural Policies and
è profondamente cambiato il modo di percepire il cambiamento e di cogliere il senso e Trends in Europe”.
la profondità della storia; viviamo in un iper-presente che ci sfugge e gli oggetti che le
memorie collettive vorrebbero tramandare appartengono a un passato sempre più vicino e La differenza sostanziale con gli altri paesi è che in Italia la stragrande maggioranza di questi
sempre meno condiviso, mentre cadevano gli steccati che dividevano culture alte e basse, fondi viene utilizzata per mantenere un patrimonio smisurato e bisognoso di continue cure,
gusti elitari e popolari, originali e riproduzioni, oggetti analogici e digitali, in un processo di cui è opportuno rammentare per sommi capi l’impressionante consistenza: stando alle
che ha comportato la revisione di gerarchie vigenti da secoli. fonti più attendibili in Italia ci sono 5.620 archivi, 13.882 biblioteche (scolastiche escluse),
Questa situazione ha convinto, talvolta costretto, i musei e le istituzioni culturali 6.400 tra musei, gallerie, pinacoteche e istituti d’arte, 102 giardini zoologici, botanici,
internazionali a rinnovarsi in profondità e ad occuparsi di epoche, collezioni e tematiche naturali ed acquari, 6.000 giardini storici, 2.099 siti archeologici e monumentali, 55.263
a ridosso della quotidianità, fornendo strumenti interpretativi che non hanno la pretesa o chiese edificate prima del 1880, 1.500 monasteri e conventi, 3.000 tra santuari, sacri monti,
il coraggio di fornire giudizi duraturi e offrire letture univoche, ma tentano comunque di palazzi vescovili, vie crucis e case di spiritualità, 40.000 rocche e castelli, 30.000 dimore
suscitare domande, curiosità, interrogativi. storiche, 900 ragguardevoli centri storici, più di 3.300 tra teatri, enti lirici, compagnie teatrali
In questo contesto non sono più fondamentali i singoli oggetti e la loro collocazione e orchestre. E si tratta di un elenco parziale, che non comprende miliardi di beni mobili.
all’interno di sistemi classificatori rigidi, ma l’inserimento in contesti narrativi aperti, è del tutto evidente che la quota destinabile alla “produzione culturale” rimane e rimarrà,
che non forniscono una lettura canonica, ma suggeriscono interpretazioni differenti: il salvo drastiche decisioni, del tutto marginale, in un paese che nei prossimi decenni non
visitatore, da destinatario passivo dei verbi disciplinari, è diventato un soggetto attivo, da potrà certo aumentare la propria spesa pubblica, dovendo semmai abbatterla a colpi di
sedurre e conquistare, lasciandogli una libertà di scelta e, in qualche misura, una parola mannaia, se non vuole passare in un baleno dalla commedia all’italiana alla tragedia greca,
che non è mai l’ultima. Per questa ragione non viene privilegiato solo il senso della vista; via corrida spagnola.
noi scopriamo e interagiamo con tutti i sensi, ragion per cui le istituzioni culturali di Non sarà semplice sopravvivere: l’epoca in cui si davano per scontati la crescita dei
nuova generazione, soprattutto quelle prive di capolavori e oggetti eccezionali, producono finanziamenti pubblici e dei contributi privati, del numero di visitatori e della frequenza
esperienze, emozioni e sensazioni e forniscono informazioni e conoscenze in formati di visita, della disponibilità a pagare e delle entrate commerciali è finita, quantomeno in
diversi da quelli precedenti. Europa e negli Stati Uniti, dove risiede il 90% degli 80.000 musei oggi esistenti (ne vennero
Sorge spontanea una domanda: malmessi come siamo, dove pensiamo di collocarci, nel censiti 22.000 nel 1975).
nuovo scacchiere internazionale? Cosa pensiamo di fare per uscire dal cantone in cui ci
siamo delicatamente spiaggiati? 3. La sfida della sostenibilità
Quella che stiamo vivendo dal 9 agosto 2007 – data ufficiale d’inizio della Grande
2. L’impossibile resurrezione della spesa pubblica
Depressione del XXI secolo – non è infatti una crisi congiunturale straordinariamente
I fatterelli sopra menzionati destano in molti intellettuali italiani ribrezzo e disgusto, lunga; siamo al cospetto di una frattura epocale, di una discontinuità storica che esige una
giacché risulta insopportabile la conclamata mercificazione globale dell’arte e della cultura. riflessione seria su come saranno, cosa faranno e come si dovranno progettare le istituzioni
Peccato che l’unico rimedio suggerito sia l’incremento dei fondi pubblici, giunto ormai, culturali e i musei della prossima generazione.
secondo la vulgata giornalistica, a quote infinitesimali del Pil. Non si può fingere, né ignorare, che nulla sarà più come prima; eppure, compulsando la
Purtroppo, in realtà, essi sono molto più elevati di quanto non si creda o si finga di ignorare. letteratura recente, si scopre che nella maggior parte delle pubblicazioni date alle stampe
Secondo l’ultima ricerca condotta dall’Ufficio studi di Intesa Sanpaolo in collaborazione negli ultimi cinque anni non si trovano riflessioni approfondite su cosa significhi oggi
con il centro Ask Bocconi, tra il 2000 e il 2009 la spesa italiana per cultura è cresciuta realizzare un nuovo museo e quali siano le responsabilità dei committenti e dei progettisti:
cumulativamente del 13%, in termini reali, passando da 5,3 miliardi del 2000 a 7,3 miliardi fatta salva l’esigenza di essere greener (e chi non lo vuole essere oggi?), the show must
nel 2009, anno in cui il 65% della spesa è stato realizzato dalle Amministrazioni locali, go on, la crisi passerà, per fortuna ci sono i Brics, la globalizzazione garantisce ghiotte
che hanno complessivamente speso 4,7 miliardi di euro. Nel contempo è costantemente committenze...
cresciuto l’apporto dei privati, che nel 2010 superava i 1.450 milioni di euro (più di 800 è un atteggiamento irresponsabile, perché trascura le legacies di trent’anni di bonanza e

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coinvolto milioni di sconosciuti, figure ai margini dei grandi avvenimenti, che sovente vengono da fondazioni di origine bancaria, corporate foundations e istituti di credito).
non hanno lasciato tracce significative del loro passaggio, né materiale né documentale? Se si osserva la seguente tabella, che riporta dati Eurostat/EriCarts, si scopre che la spesa
Fino a quale livello di astrazione è possibile spingere la tematizzazione di un museo e di pro-capite italiana, con la parziale eccezione del caso francese, è pertanto in linea con quella
una mostra? Si possono costituire istituzioni culturali prive di reperti, talvolta neppure dei paesi europei che investono maggiormente in campo culturale.
originali, lavorando sui patrimoni immateriali e sfruttando le enormi opportunità del
digitale e dell’interaction design, editando supporti audiovisivi, creando installazioni Tabella 1. Spesa pubblica e privata in campo culturale di cinque nazioni europee
sonore e olfattive, rielaborando le informazioni raccolte da fonti disparate, accomunate
Spesa pubblica Finanziamenti privati Totale
dall’assenza di fisicità?
Le risposte fornite a queste domande – fuori dall’Italia – sono state spesso positive, Italia 7.230 1.450 8.680
osservando gli esiti dei progetti dedicati alle donne, l’infanzia, le migrazioni, le schiavitù, (2009) (2010)
l’Olocausto, le guerre, il lavoro, le colonizzazioni, le culture orali, le minoranze, la
Germania 9.192 950 10.142
biodiversità e l’ambiente, le scienze e le tecnologie, i cambiamenti climatici, i diritti umani,
(2009) (2009)
la fantasia o la pace, senza dimenticare le sperimentazioni condotte nei science e discovery
center, nei children museum e in svariate mostre temporanee. Francia 11.273 975 12.248
Del pari va sottolineata l’enorme attenzione che all’estero è stata tributata alla (2010) (2008)
conservazione e alla valorizzazione del patrimonio culturale novecentesco, come si può
Spagna 6.580 530 7.030
evincere dall’apertura di un impressionante numero di musei, biblioteche, archivi, centri di
(2007) (2007)
ricerca e documentazione, festival e mostre consacrate alla cinematografia, alle produzioni
televisive, alla fotografia, alla discografia e alla radiofonia, all’editoria e al giornalismo, al Regno Unito 10.240 780 11.020
design e all’architettura, alla moda e alla pubblicità, ai fumetti e alla grafica. (2010-11) (2008-9)
Queste grandi trasformazioni ci hanno appena sfiorato, senza provocare il cambiamento
radicale necessario per sintonizzarci sulle nuove frequenze globali: negli ultimi decenni Fonte: rielaborazione dati Eurostat, Council of Europe/EriCarts, “Compendium of Cultural Policies and
è profondamente cambiato il modo di percepire il cambiamento e di cogliere il senso e Trends in Europe”.
la profondità della storia; viviamo in un iper-presente che ci sfugge e gli oggetti che le
memorie collettive vorrebbero tramandare appartengono a un passato sempre più vicino e La differenza sostanziale con gli altri paesi è che in Italia la stragrande maggioranza di questi
sempre meno condiviso, mentre cadevano gli steccati che dividevano culture alte e basse, fondi viene utilizzata per mantenere un patrimonio smisurato e bisognoso di continue cure,
gusti elitari e popolari, originali e riproduzioni, oggetti analogici e digitali, in un processo di cui è opportuno rammentare per sommi capi l’impressionante consistenza: stando alle
che ha comportato la revisione di gerarchie vigenti da secoli. fonti più attendibili in Italia ci sono 5.620 archivi, 13.882 biblioteche (scolastiche escluse),
Questa situazione ha convinto, talvolta costretto, i musei e le istituzioni culturali 6.400 tra musei, gallerie, pinacoteche e istituti d’arte, 102 giardini zoologici, botanici,
internazionali a rinnovarsi in profondità e ad occuparsi di epoche, collezioni e tematiche naturali ed acquari, 6.000 giardini storici, 2.099 siti archeologici e monumentali, 55.263
a ridosso della quotidianità, fornendo strumenti interpretativi che non hanno la pretesa o chiese edificate prima del 1880, 1.500 monasteri e conventi, 3.000 tra santuari, sacri monti,
il coraggio di fornire giudizi duraturi e offrire letture univoche, ma tentano comunque di palazzi vescovili, vie crucis e case di spiritualità, 40.000 rocche e castelli, 30.000 dimore
suscitare domande, curiosità, interrogativi. storiche, 900 ragguardevoli centri storici, più di 3.300 tra teatri, enti lirici, compagnie teatrali
In questo contesto non sono più fondamentali i singoli oggetti e la loro collocazione e orchestre. E si tratta di un elenco parziale, che non comprende miliardi di beni mobili.
all’interno di sistemi classificatori rigidi, ma l’inserimento in contesti narrativi aperti, è del tutto evidente che la quota destinabile alla “produzione culturale” rimane e rimarrà,
che non forniscono una lettura canonica, ma suggeriscono interpretazioni differenti: il salvo drastiche decisioni, del tutto marginale, in un paese che nei prossimi decenni non
visitatore, da destinatario passivo dei verbi disciplinari, è diventato un soggetto attivo, da potrà certo aumentare la propria spesa pubblica, dovendo semmai abbatterla a colpi di
sedurre e conquistare, lasciandogli una libertà di scelta e, in qualche misura, una parola mannaia, se non vuole passare in un baleno dalla commedia all’italiana alla tragedia greca,
che non è mai l’ultima. Per questa ragione non viene privilegiato solo il senso della vista; via corrida spagnola.
noi scopriamo e interagiamo con tutti i sensi, ragion per cui le istituzioni culturali di Non sarà semplice sopravvivere: l’epoca in cui si davano per scontati la crescita dei
nuova generazione, soprattutto quelle prive di capolavori e oggetti eccezionali, producono finanziamenti pubblici e dei contributi privati, del numero di visitatori e della frequenza
esperienze, emozioni e sensazioni e forniscono informazioni e conoscenze in formati di visita, della disponibilità a pagare e delle entrate commerciali è finita, quantomeno in
diversi da quelli precedenti. Europa e negli Stati Uniti, dove risiede il 90% degli 80.000 musei oggi esistenti (ne vennero
Sorge spontanea una domanda: malmessi come siamo, dove pensiamo di collocarci, nel censiti 22.000 nel 1975).
nuovo scacchiere internazionale? Cosa pensiamo di fare per uscire dal cantone in cui ci
siamo delicatamente spiaggiati? 3. La sfida della sostenibilità
Quella che stiamo vivendo dal 9 agosto 2007 – data ufficiale d’inizio della Grande
2. L’impossibile resurrezione della spesa pubblica
Depressione del XXI secolo – non è infatti una crisi congiunturale straordinariamente
I fatterelli sopra menzionati destano in molti intellettuali italiani ribrezzo e disgusto, lunga; siamo al cospetto di una frattura epocale, di una discontinuità storica che esige una
giacché risulta insopportabile la conclamata mercificazione globale dell’arte e della cultura. riflessione seria su come saranno, cosa faranno e come si dovranno progettare le istituzioni
Peccato che l’unico rimedio suggerito sia l’incremento dei fondi pubblici, giunto ormai, culturali e i musei della prossima generazione.
secondo la vulgata giornalistica, a quote infinitesimali del Pil. Non si può fingere, né ignorare, che nulla sarà più come prima; eppure, compulsando la
Purtroppo, in realtà, essi sono molto più elevati di quanto non si creda o si finga di ignorare. letteratura recente, si scopre che nella maggior parte delle pubblicazioni date alle stampe
Secondo l’ultima ricerca condotta dall’Ufficio studi di Intesa Sanpaolo in collaborazione negli ultimi cinque anni non si trovano riflessioni approfondite su cosa significhi oggi
con il centro Ask Bocconi, tra il 2000 e il 2009 la spesa italiana per cultura è cresciuta realizzare un nuovo museo e quali siano le responsabilità dei committenti e dei progettisti:
cumulativamente del 13%, in termini reali, passando da 5,3 miliardi del 2000 a 7,3 miliardi fatta salva l’esigenza di essere greener (e chi non lo vuole essere oggi?), the show must
nel 2009, anno in cui il 65% della spesa è stato realizzato dalle Amministrazioni locali, go on, la crisi passerà, per fortuna ci sono i Brics, la globalizzazione garantisce ghiotte
che hanno complessivamente speso 4,7 miliardi di euro. Nel contempo è costantemente committenze...
cresciuto l’apporto dei privati, che nel 2010 superava i 1.450 milioni di euro (più di 800 è un atteggiamento irresponsabile, perché trascura le legacies di trent’anni di bonanza e

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ignora la fine di un ciclo storico di finanziamenti pubblici e privati, né coglie la portata della delle proprie strategie in campo culturale e misure analoghe sono state assunte in svariate
grande trasformazione in corso. nazioni europee ed extraeuropee. A distanza di pochi anni, la potatura ha rinvigorito le
Nella prefazione dell’ultima fatica di Chris Van Uffelen (che ha esaminato 170 progetti piante sopravvissute, modificando il paesaggio e fortificando le nuove specie.
museali), la cui prima release è del 16 dicembre del 2010, non c’è alcun riferimento all’impatto Davanti a sé l’Italia non ha molte strade percorribili, che passano attraverso un sentiero
della crisi sui criteri e le filosofie progettuali: “Contemporary Museums not only presents stretto, dove da una parte sarà fondamentale innovare un sistema di offerta logoro e
master works of modern architecture by many famous architects along with lesser known moribondo, dall’altra trovare risorse ed energie che non potranno essere pubbliche.
buildings that are distinguished by extraordinary solutions. The 170 unique buildings of Le soluzioni adottate all’estero, in estrema sintesi, sono state cinque; la prima è concisa
the book reflect the possibly most interesting and diverse architectural assignments of our con lo svecchiamento delle piante organiche: all’estero è normale trovare trentenni in
times along with the social relevance of the collections containing the cultural heritage of posizioni dirigenziali, da noi il personale delle istituzioni culturali ha l’età media più alta
humanity along with the geological and biological heritage of our planet”. d’Europa, con consigli di ottuagenari e pimpanti novantenni al timone di organizzazioni
Nel medesimo anno Philip Jodidio, dopo aver riconosciuto che: “The museums published centenarie. è tempo di favorire un civile e salutare passaggio di consegne, dacché le energie,
in this volume are all quite recent, but it cannot be said that any of them take into account le competenze, gli entusiasmi e le capacità delle nuove generazioni sono un patrimonio
the economic recession that began in 2008. It will be possible to better analyse the impact che non va perduto, dopo decenni di anticamere, eterne promesse e contrattucci a tempo
of these events within the normal time frame of design and construction, which implies determinato.
periods ranging upwards of approximately three years…”, rammentava che, sebbene: Il secondo è l’autonomia amministrativa, che le nostre istituzioni reclamano inutilmente
“Some projects have clearly been put on hold or canceled already, but there have been such da trent’anni: senza di essa sarà impossibile crescere e responsabilizzare una nuova leva di
a significant number of new museums or extensions built across the world in the past three manager culturali capaci di affrancarsi dai ricatti della politica, dalle pretese accademiche
years that more than one book could be filled with their images”. e dalla sempiterna propensione alla leccaculaggine, arte che vanta sul patrio suolo
Ancor più beffarda è la lettura del passaggio di Klaus Englert, che magnificando nel 2010 innumerevoli interpreti d’innegabile talento.
il boom dei musei spagnoli rammentava che il celebre Musac di Leon: “Unlike many Il terzo è l’internazionalizzazione; non dobbiamo schifare quanto hanno fatto gli altri:
museums located in large cities in Germany doesn’t have to worry about running costs – the quello dei contenuti è un mercato globale, in cui oggi agiamo come importatori e/o fornitori
regional government pays out 5 million euros annually”. Meno di due anni, il 6 agosto del a titolo gratuito di semilavorati di grande pregio. è ridicolo vedere quanto paghiamo ai
2012 il direttore del Musac Agustín Pérez Rubio si è dimesso, poiché “no puede readaptar musei stranieri per importare mostre oscene, senza esportare nulla: né diritti, né autori, né
más la gestión del museo debido a que la crisis económica no lo permite”. prodotti. Regaliamo persone di talento, costringendole ad andarsene lontano per trovare
Se il mondo della progettazione architettonica non pareva particolarmente sensibile al tema spazio e riconoscimenti, beandoci del nostro immobilismo. è tempo di finirla: è meglio
della sostenibilità, il dibattito museologico e la comunità professionale avevano invece assumere 1.000 giovani capaci che tenere aperti 10 musei deserti. Il costo è il medesimo.
colto subito la portata della sfida, sperimentando sulla propria pelle le sferzate dei tagli di Il quarto è la chiusura di svariate istituzioni, il taglio dei finanziamenti pubblici e la revisione
bilancio, della crisi delle contribuzioni private, dei sacrifici imposti dal mantenimento di radicale dei loro criteri di allocazione: il Fus è una vergogna e il costo per spettatore delle
edifici tanto appariscenti quanto onerosi. nostre fondazioni liriche grida vendetta. La chiusura non deve più essere un taboo, come
pure la dismissione di alcuni beni ai privati; l’impianto normativo è ancora quello del 1939,
Non si tratta solo di sposare la causa, comunque meritoria, di rendere greener i musei,
forse un po’ datato, e negli ultimi trent’anni non è cambiato niente: i privati sono sempre
ma di riflettere sulle scelte necessarie per garantire, nel medio-lungo periodo, la loro
temuti come potenziali criminali, come se De Caro ai Girolamini lo avesse nominato la
sopravvivenza e la possibilità di esercitare dignitosamente la loro missione istituzionale:
Spectre.
come ha osservato Rachel Madan: “the sustainable museum of the future may operate in an
Il quinto è la quantificazione di congrue risorse per la nuova produzione culturale: non
entirely different way to those of today”.
possiamo vivere di ricordi, né di rendite patrimoniali. Dobbiamo continuare a generare
Interrogarsi sulle capacità di tenuta di un sistema ipertrofico e cresciuto troppo in fretta non
senso, a rimanere nel mondo, pena la scomparsa definitiva. Meglio chiudere e riallocare che
è pertanto un esercizio peregrino, alla luce di cinque fattori: la crescita del numero di musei,
crepare d’inedia, nell’indifferenza generale.
la trasformazione della loro missione, la crisi dei finanziamenti pubblici, il declinante appeal
Non sarebbe una fine degna del paese più bello del mondo.
della causa museale presso i finanziatori privati e la crescita dei costi di funzionamento e
manutenzione di architetture tanto iconiche quanto care da mantenere.
Non è un caso se Barry Lord, Gail Dexter e Lindsay Martin, nella primavera del 2012,
nell’introduzione alla terza e ultima edizione del loro meritorio “Manual of Museum
Planning” (significativamente sottotitolato Sustainable space facilities and operations),
abbiano sottolineato l’esigenza di ripensare i criteri progettuali dei musei del XXI secolo,
focalizzandosi sul tema della sostenibilità sociale, ambientale, economica e culturale e
rimarcando che: “through smart choices and careful planning a museum can ensure that
growth can be achieved and – more importantly – mantained over time. “
La sostenibilità non è una prospettiva tecnologica, è una dimensione mentale, connotata da
un maggior senso di responsabilità nell’uso di risorse e tempi limitati. Oggi le istituzioni
culturali operano in un contesto competitivo, misurandosi con un pubblico che non
possono più ignorare. Pensare di risolvere i problemi aumentando i contributi pubblici
non ha più senso: bisogna rivederne i meccanismi di allocazione e le modalità di utilizzo,
che in Italia sono palesemente inefficienti, perché non favoriscono affatto i soggetti più
innovativi, intelligenti e meritevoli, ma perpetuano discriminazioni insopportabili per il
contribuente.

4. Misure draconiane
Quando l’Olanda ha dovuto affrontare la grande depressione post 2007 ha deciso di chiudere
il 25% dei musei, amputare del 30% i budget delle proprie istituzioni e concentrare gli
investimenti su campioni nazionali impiegati come aree test per la duratura trasformazione

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ignora la fine di un ciclo storico di finanziamenti pubblici e privati, né coglie la portata della delle proprie strategie in campo culturale e misure analoghe sono state assunte in svariate
grande trasformazione in corso. nazioni europee ed extraeuropee. A distanza di pochi anni, la potatura ha rinvigorito le
Nella prefazione dell’ultima fatica di Chris Van Uffelen (che ha esaminato 170 progetti piante sopravvissute, modificando il paesaggio e fortificando le nuove specie.
museali), la cui prima release è del 16 dicembre del 2010, non c’è alcun riferimento all’impatto Davanti a sé l’Italia non ha molte strade percorribili, che passano attraverso un sentiero
della crisi sui criteri e le filosofie progettuali: “Contemporary Museums not only presents stretto, dove da una parte sarà fondamentale innovare un sistema di offerta logoro e
master works of modern architecture by many famous architects along with lesser known moribondo, dall’altra trovare risorse ed energie che non potranno essere pubbliche.
buildings that are distinguished by extraordinary solutions. The 170 unique buildings of Le soluzioni adottate all’estero, in estrema sintesi, sono state cinque; la prima è concisa
the book reflect the possibly most interesting and diverse architectural assignments of our con lo svecchiamento delle piante organiche: all’estero è normale trovare trentenni in
times along with the social relevance of the collections containing the cultural heritage of posizioni dirigenziali, da noi il personale delle istituzioni culturali ha l’età media più alta
humanity along with the geological and biological heritage of our planet”. d’Europa, con consigli di ottuagenari e pimpanti novantenni al timone di organizzazioni
Nel medesimo anno Philip Jodidio, dopo aver riconosciuto che: “The museums published centenarie. è tempo di favorire un civile e salutare passaggio di consegne, dacché le energie,
in this volume are all quite recent, but it cannot be said that any of them take into account le competenze, gli entusiasmi e le capacità delle nuove generazioni sono un patrimonio
the economic recession that began in 2008. It will be possible to better analyse the impact che non va perduto, dopo decenni di anticamere, eterne promesse e contrattucci a tempo
of these events within the normal time frame of design and construction, which implies determinato.
periods ranging upwards of approximately three years…”, rammentava che, sebbene: Il secondo è l’autonomia amministrativa, che le nostre istituzioni reclamano inutilmente
“Some projects have clearly been put on hold or canceled already, but there have been such da trent’anni: senza di essa sarà impossibile crescere e responsabilizzare una nuova leva di
a significant number of new museums or extensions built across the world in the past three manager culturali capaci di affrancarsi dai ricatti della politica, dalle pretese accademiche
years that more than one book could be filled with their images”. e dalla sempiterna propensione alla leccaculaggine, arte che vanta sul patrio suolo
Ancor più beffarda è la lettura del passaggio di Klaus Englert, che magnificando nel 2010 innumerevoli interpreti d’innegabile talento.
il boom dei musei spagnoli rammentava che il celebre Musac di Leon: “Unlike many Il terzo è l’internazionalizzazione; non dobbiamo schifare quanto hanno fatto gli altri:
museums located in large cities in Germany doesn’t have to worry about running costs – the quello dei contenuti è un mercato globale, in cui oggi agiamo come importatori e/o fornitori
regional government pays out 5 million euros annually”. Meno di due anni, il 6 agosto del a titolo gratuito di semilavorati di grande pregio. è ridicolo vedere quanto paghiamo ai
2012 il direttore del Musac Agustín Pérez Rubio si è dimesso, poiché “no puede readaptar musei stranieri per importare mostre oscene, senza esportare nulla: né diritti, né autori, né
más la gestión del museo debido a que la crisis económica no lo permite”. prodotti. Regaliamo persone di talento, costringendole ad andarsene lontano per trovare
Se il mondo della progettazione architettonica non pareva particolarmente sensibile al tema spazio e riconoscimenti, beandoci del nostro immobilismo. è tempo di finirla: è meglio
della sostenibilità, il dibattito museologico e la comunità professionale avevano invece assumere 1.000 giovani capaci che tenere aperti 10 musei deserti. Il costo è il medesimo.
colto subito la portata della sfida, sperimentando sulla propria pelle le sferzate dei tagli di Il quarto è la chiusura di svariate istituzioni, il taglio dei finanziamenti pubblici e la revisione
bilancio, della crisi delle contribuzioni private, dei sacrifici imposti dal mantenimento di radicale dei loro criteri di allocazione: il Fus è una vergogna e il costo per spettatore delle
edifici tanto appariscenti quanto onerosi. nostre fondazioni liriche grida vendetta. La chiusura non deve più essere un taboo, come
pure la dismissione di alcuni beni ai privati; l’impianto normativo è ancora quello del 1939,
Non si tratta solo di sposare la causa, comunque meritoria, di rendere greener i musei,
forse un po’ datato, e negli ultimi trent’anni non è cambiato niente: i privati sono sempre
ma di riflettere sulle scelte necessarie per garantire, nel medio-lungo periodo, la loro
temuti come potenziali criminali, come se De Caro ai Girolamini lo avesse nominato la
sopravvivenza e la possibilità di esercitare dignitosamente la loro missione istituzionale:
Spectre.
come ha osservato Rachel Madan: “the sustainable museum of the future may operate in an
Il quinto è la quantificazione di congrue risorse per la nuova produzione culturale: non
entirely different way to those of today”.
possiamo vivere di ricordi, né di rendite patrimoniali. Dobbiamo continuare a generare
Interrogarsi sulle capacità di tenuta di un sistema ipertrofico e cresciuto troppo in fretta non
senso, a rimanere nel mondo, pena la scomparsa definitiva. Meglio chiudere e riallocare che
è pertanto un esercizio peregrino, alla luce di cinque fattori: la crescita del numero di musei,
crepare d’inedia, nell’indifferenza generale.
la trasformazione della loro missione, la crisi dei finanziamenti pubblici, il declinante appeal
Non sarebbe una fine degna del paese più bello del mondo.
della causa museale presso i finanziatori privati e la crescita dei costi di funzionamento e
manutenzione di architetture tanto iconiche quanto care da mantenere.
Non è un caso se Barry Lord, Gail Dexter e Lindsay Martin, nella primavera del 2012,
nell’introduzione alla terza e ultima edizione del loro meritorio “Manual of Museum
Planning” (significativamente sottotitolato Sustainable space facilities and operations),
abbiano sottolineato l’esigenza di ripensare i criteri progettuali dei musei del XXI secolo,
focalizzandosi sul tema della sostenibilità sociale, ambientale, economica e culturale e
rimarcando che: “through smart choices and careful planning a museum can ensure that
growth can be achieved and – more importantly – mantained over time. “
La sostenibilità non è una prospettiva tecnologica, è una dimensione mentale, connotata da
un maggior senso di responsabilità nell’uso di risorse e tempi limitati. Oggi le istituzioni
culturali operano in un contesto competitivo, misurandosi con un pubblico che non
possono più ignorare. Pensare di risolvere i problemi aumentando i contributi pubblici
non ha più senso: bisogna rivederne i meccanismi di allocazione e le modalità di utilizzo,
che in Italia sono palesemente inefficienti, perché non favoriscono affatto i soggetti più
innovativi, intelligenti e meritevoli, ma perpetuano discriminazioni insopportabili per il
contribuente.

4. Misure draconiane
Quando l’Olanda ha dovuto affrontare la grande depressione post 2007 ha deciso di chiudere
il 25% dei musei, amputare del 30% i budget delle proprie istituzioni e concentrare gli
investimenti su campioni nazionali impiegati come aree test per la duratura trasformazione

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Amazing Years 3
R. Barilli, Tra presenza e
Dan Dare e Superman che a quelli, decisamente più professionali, di Yona Friedman, di Frei
Otto, di Kisho Kurokawa, di Paul Maymont ecc. Tra il 1963 e il 1968 Archigram produsse
La Metropolis del consumo e le neoavanguardie assenza - Due ipotesi per l’età
una grammatica e un atlante delle sue visioni del futuro: con Living City lanciò all’Ica di
postmoderna, Milano, 1974.
Londra il suo manifesto della vivibilità urbana, affermando il primato dell’ambiente rispetto
Fulvio Irace 4 alla staticità del piano; con Plug-in City (Peter Cook) introdusse la nozione di effimero,
“Marcatré”, n. 50-55,
suggerendo la meccanizzazione come strumento di programmazione della varietà; con
febbraio-luglio 1969, con gli
atti del convegno di Torino Walking City (Ron Herron) indicò il movimento come strumento di trasformabilità e di
“Utopia e/o rivoluzione”. intercambiabilità, al cui orizzonte si precisava una nuova realtà ambientale a metà strada tra
Cape Canaveral e Disneyland.
Si aprono con una insopprimibile “nostalgia del futuro” gli anni Sessanta, cui la cultura Per gentile concessione 5
Nella “galassia elettronica” del “villaggio globale” la nuova estetica delle connessioni
visiva dell’immaginario urbano è debitrice del più completo repertorio di utopie, dopo il dell’Autore, questo testo R. Banham, op. cit., pp. 84 sgg.
riprende quanto già traduceva in environments multimediali il lessico del computer e della tecnologia cibernetica:
visionarismo profetico delle avanguardie d’inizio secolo. Nel generale clima di ottimistica hardware e software, web, network rimpiazzano i termini dell’urbanistica tradizionale; così
pubblicato in Gli anni ’60.
fiducia che presiede, su scala mondiale, alla diffusione della grande produzione di massa Le immagini al potere, a come capsula, guscio, simulazione vanno progressivamente a sostituire le obsolete nozioni
e alla gestione della grande dimensione attraverso le inedite possibilità dello strumento cura di Anna Detheridge, di edificio, di casa, di architettura. Paradossalmente, tuttavia, Archigram si presenta come
tecnologico, l’utopia torna a rivendicare infatti i suoi diritti sugli anni dell’introspezione Mazzotta, Milano 1996. un ritorno alle fonti dell’architettura della modernità: a quelle teorie e a quelle iconografie
intimistica e della riscoperta della storia1. Non a caso inaugurerà il decennio il piano di Kenzo della prima età della macchina cui si indirizzavano gli entusiasmi e gli studi del guru della
Tange per lo sviluppo di Tokyo sulla baia: un immenso ponte sospeso sull’acqua, come una critica anticonformistica britannica, Reyner Banham. Rispolverando dalla patina rugginosa
flessibile spina dorsale attorno alla quale si distribuisce l’intrico tridimensionale dei sistemi di un lontano passato macchinista l’immaginario futurologico di Antonio Sant’Elia, Theory
residenziali e della città terziaria. “Madre di tutte le utopie” successive, la megastruttura and Design of the First Machine Age di Banham inaugurava il decennio cavalcando una
del maestro giapponese fu l’incunabolo di un fantasmagorico caleidoscopio di immagini fresca intuizione del ruolo dell’elettronica e della comunicazione nella prospettiva della
attraverso cui si rifransero e si moltiplicarono le fantasie futurologiche delle città sospese di nuova società di massa. Rifiutando il cosmico pessimismo degli “apocalittici”, Banham
Kiyonori Kikutake, quelle “spaziali” del gruppo giapponese “Metabolist” di Arata Isozaki, proponeva l’accettazione realistica e spregiudicata della “seconda età della macchina”,
la “Parigi spaziale” di Yona Friedman e le cupole geodetiche su Manhattan di Buckminster ponendo le risorse delle tecnologie elettroniche al servizio di un’architettura intesa
Fuller, i villaggi mediterranei Safdie, gli “asteronomi” galattici di Paolo Soleri. come risposta costruttiva alle sollecitazioni dell’ambiente. La televisione, il computer, gli
Fu anche sul finire del 1960 che, a Londra, Warren Chalk, Peter Cook, Dennis Crompton, elettrodomestici, le automobili, i detersivi ecc., assunti dal critico inglese come strumenti di
David Greene, Ron Herron, Mike Webb decisero di rinverdire le strategie dell’avanguardia una seconda, più sofisticata civiltà delle macchine, entrano — attraverso la mediazione della
costituendosi come gruppo2. Aggiornando le pretese dei futuristi d’inizio secolo si pop art — nell’iconografia neomodernista dei giovani architetti di Archigram come protesi
proposero dunque il progetto di una ricostruzione telematica del mondo nel segno della di una società “liberata”, a testimonianza di una sostanziale apertura all’estetica tecnologica
velocità. Consapevoli figli della galassia postgutenberghiana, scelsero di divulgarne i di McLuhan e all’estetica libidica di Marcuse3. Si rafforza, da questa convergenza,
contenuti attraverso un giornale dal carattere non tradizionale: foglio di battaglia, agile l’assunzione della tecnologia come mezzo di promozione di una “società estetica”, dove la
come una raccolta di telegrammi o di aerogrammi, “Archigram” per nove numeri — dal diminuzione della fatica renderà piacevole il lavoro, liberando le potenzialità psicologiche e
1961 al 1970 — puntò a combattere sul nuovo campo dell’informazione di massa la battaglia creative dell’individuo nel rigetto dell’”uomo a una dimensione”. Paradossalmente intenti a
per una radicale revisione delle correnti idee di città, introducendo nel conformistico riesumare i principi della modernità dall’obsolescenza e dal consumo, i giovani di Archigram
lessico architettonico dell’establishment londinese una serie di scoppiettanti ed enigmatiche muovono da una lettura della società attraverso i meccanismi del suo funzionamento,
parole d’ordine, simili a quello slang onomatopeico diffuso dalla cultura dei fumetti e dei interessandosi alla natura strutturale del comportamento metropolitano più che ai dettagli
rotocalchi cui Archigram attinse a piene mani nella costruzione di una inedita iconografia “stilistici” delle sue risoluzioni particolari: in tal modo possono mettere al centro della loro
dell’immaginario metropolitano. Se è vero infatti che Archigram fu solo una componente elaborazione la libertà dell’individuo e l’emancipazione della società. Il singolo e la massa
di quella “internazionale dell’utopia” che accreditò negli anni Sessanta l’esplosione della sono due ruoli di una medesima funzione che l’architettura assolve attraverso il duplice
cosiddetta “poetica megastrutturale”, la sua visione dell’architettura e della città risultò da tasto dell’invenzione megastrutturale e della cellula pret-à-porter.
una profonda commistione con la cultura dei mass media, e persino dall’accettazione franca Warren Chalk per primo propone l’idea di casa come oggetto di consumo, trasferendo
e spregiudicata delle nuove estetiche della produzione e del consumo, da cui trasse i postulati la parola “capsula” dalla terminologia dell’ingegneria spaziale nel dizionario costruttivo
della casa come oggetto di consumo, dell’ambiente urbano come collage di performances dell’abitazione; con Ron Herron ne definisce le potenzialità applicative (gasket homes)
multimediali, dell’instabilità e della mutevolezza come valore, della flessibilità e della velocità nella prefigurazione della cellula come guscio sospeso. Il Living-pod di David Greene
come metodi di progettazione. “Instant”, “fun”, “entertainment”, “drive-in”, “rocket”, 1 apre la strada al nomadismo e al “drive-in housing”, sposando con realistico entusiasmo
“do-it-yourself”, “hovercraft”, “pod”, “capsule”, “cushicle” ecc.: l’“archigrammatica” dei F. Irace, Apologia e critica riti e icone della società di massa. In questa stessa direzione l’ultimo passo spetta a Mike
sette componenti del giovane team inglese dettò le coordinate della miscela progettuale della dell’idea megastrutturale, Webb che con il Cushicle e il Suitloon, esposto alla Triennale di Milano del 1968, arriva alla
“zoom wave”, fatta di parti eguali di scienza e fantascienza, di realtà e ironia, di tecnicismo in E. Crispolti (a cura
definizione dell’”arredo abitabile”, vera prefigurazione progettuale di quella cultura del
di), Immaginazione
e di ribellismo underground. nomadismo hippie, tipica dei flower childrens americani.
megastrutturale dal
Utilizzando la tecnica dei fotomontaggi, convertendo al piccolo formato la struttura futurismo ad oggi, Venezia, “Il requisito fondamentale sia dei movimenti utopici che di quelli rivoluzionari è il requisito
visiva del billboard pubblicitario, distribuendo nel foglio della pagina a stampa titoli e testi 1979, pp. 10-15. R. Banham, della libertà personale. Libertà per l’individuo di fare come gli pare e di essere libero dalla
come paroliberi futuristi, mettendo assieme Roy Lichtenstein e Flash Gordon, Archigram Megastructure Urban Future manipolazione e dall’oppressione imposta dalle forme esistenti di organizzazione sociale
costituì il laboratorio in progress di un nuovo situazionismo urbano, rivendicando, nel of the Recent Past, Londra, e politica. Stiamo cercando di creare una situazione in cui l’organizzazione aiuta la libertà
clima euforico dell’affluent society del decennio, la tecnologia come chiave di risoluzione 1976, rimane il più completo dell’individuo, piuttosto che tendere a sopprimerla”4: il programma di Archigram slitta
repertorio critico del fiorire
per i diritti del futuro: “Siamo alla ricerca di un’idea — scriveva Warren Chalk — di un dall’hardware della città-meccano al software della macchina ludica, coniugando risorse
e del declino dell’utopia
nuovo linguaggio popolare, di qualcosa da allineare con le capsule spaziali, le calcolatrici megastrutturale. cibernetiche e diritti dell’immaginazione in una ibrida miscela di “urbanisme ludique”,
elettroniche, gli imballaggi a perdere dell’età elettro-atomica”. sintetizzata dalla felice espressione di Banham “fun and flexibility”5. Con la Instant City,
2
Anche per questo aspetto, tuttavia, se Archigram condivise con numerosi altri gruppi e del 1969 Peter Cook darà l’ultima spallata a ciò che rimaneva di architettura nella metropoli
Cfr. Archigram, Londra,
protagonisti del decennio l’interpretazione ottimistica e metastorica della tecnologia come 1972; Archigram, cat. mostra, virtuale di Archigram: sciogliendosi nella disseminazione di environments sinestetici che
prefigurazione fantascientifica di un’utopia a portata di mano, indubbiamente da parte sua Centre George Pompidou, mimano le condizioni della “galassia elettronica” della computer age, l’effetto-città si
ne fornì una versione “antieroica” e “popolare” assai più prossima agli scenari dei comics di Parigi, 1994. riduce alla volatilità del tempo, diventa simulazione, evento multimediale, estrema parafrasi

60 61
Amazing Years 3
R. Barilli, Tra presenza e
Dan Dare e Superman che a quelli, decisamente più professionali, di Yona Friedman, di Frei
Otto, di Kisho Kurokawa, di Paul Maymont ecc. Tra il 1963 e il 1968 Archigram produsse
La Metropolis del consumo e le neoavanguardie assenza - Due ipotesi per l’età
una grammatica e un atlante delle sue visioni del futuro: con Living City lanciò all’Ica di
postmoderna, Milano, 1974.
Londra il suo manifesto della vivibilità urbana, affermando il primato dell’ambiente rispetto
Fulvio Irace 4 alla staticità del piano; con Plug-in City (Peter Cook) introdusse la nozione di effimero,
“Marcatré”, n. 50-55,
suggerendo la meccanizzazione come strumento di programmazione della varietà; con
febbraio-luglio 1969, con gli
atti del convegno di Torino Walking City (Ron Herron) indicò il movimento come strumento di trasformabilità e di
“Utopia e/o rivoluzione”. intercambiabilità, al cui orizzonte si precisava una nuova realtà ambientale a metà strada tra
Cape Canaveral e Disneyland.
Si aprono con una insopprimibile “nostalgia del futuro” gli anni Sessanta, cui la cultura Per gentile concessione 5
Nella “galassia elettronica” del “villaggio globale” la nuova estetica delle connessioni
visiva dell’immaginario urbano è debitrice del più completo repertorio di utopie, dopo il dell’Autore, questo testo R. Banham, op. cit., pp. 84 sgg.
riprende quanto già traduceva in environments multimediali il lessico del computer e della tecnologia cibernetica:
visionarismo profetico delle avanguardie d’inizio secolo. Nel generale clima di ottimistica hardware e software, web, network rimpiazzano i termini dell’urbanistica tradizionale; così
pubblicato in Gli anni ’60.
fiducia che presiede, su scala mondiale, alla diffusione della grande produzione di massa Le immagini al potere, a come capsula, guscio, simulazione vanno progressivamente a sostituire le obsolete nozioni
e alla gestione della grande dimensione attraverso le inedite possibilità dello strumento cura di Anna Detheridge, di edificio, di casa, di architettura. Paradossalmente, tuttavia, Archigram si presenta come
tecnologico, l’utopia torna a rivendicare infatti i suoi diritti sugli anni dell’introspezione Mazzotta, Milano 1996. un ritorno alle fonti dell’architettura della modernità: a quelle teorie e a quelle iconografie
intimistica e della riscoperta della storia1. Non a caso inaugurerà il decennio il piano di Kenzo della prima età della macchina cui si indirizzavano gli entusiasmi e gli studi del guru della
Tange per lo sviluppo di Tokyo sulla baia: un immenso ponte sospeso sull’acqua, come una critica anticonformistica britannica, Reyner Banham. Rispolverando dalla patina rugginosa
flessibile spina dorsale attorno alla quale si distribuisce l’intrico tridimensionale dei sistemi di un lontano passato macchinista l’immaginario futurologico di Antonio Sant’Elia, Theory
residenziali e della città terziaria. “Madre di tutte le utopie” successive, la megastruttura and Design of the First Machine Age di Banham inaugurava il decennio cavalcando una
del maestro giapponese fu l’incunabolo di un fantasmagorico caleidoscopio di immagini fresca intuizione del ruolo dell’elettronica e della comunicazione nella prospettiva della
attraverso cui si rifransero e si moltiplicarono le fantasie futurologiche delle città sospese di nuova società di massa. Rifiutando il cosmico pessimismo degli “apocalittici”, Banham
Kiyonori Kikutake, quelle “spaziali” del gruppo giapponese “Metabolist” di Arata Isozaki, proponeva l’accettazione realistica e spregiudicata della “seconda età della macchina”,
la “Parigi spaziale” di Yona Friedman e le cupole geodetiche su Manhattan di Buckminster ponendo le risorse delle tecnologie elettroniche al servizio di un’architettura intesa
Fuller, i villaggi mediterranei Safdie, gli “asteronomi” galattici di Paolo Soleri. come risposta costruttiva alle sollecitazioni dell’ambiente. La televisione, il computer, gli
Fu anche sul finire del 1960 che, a Londra, Warren Chalk, Peter Cook, Dennis Crompton, elettrodomestici, le automobili, i detersivi ecc., assunti dal critico inglese come strumenti di
David Greene, Ron Herron, Mike Webb decisero di rinverdire le strategie dell’avanguardia una seconda, più sofisticata civiltà delle macchine, entrano — attraverso la mediazione della
costituendosi come gruppo2. Aggiornando le pretese dei futuristi d’inizio secolo si pop art — nell’iconografia neomodernista dei giovani architetti di Archigram come protesi
proposero dunque il progetto di una ricostruzione telematica del mondo nel segno della di una società “liberata”, a testimonianza di una sostanziale apertura all’estetica tecnologica
velocità. Consapevoli figli della galassia postgutenberghiana, scelsero di divulgarne i di McLuhan e all’estetica libidica di Marcuse3. Si rafforza, da questa convergenza,
contenuti attraverso un giornale dal carattere non tradizionale: foglio di battaglia, agile l’assunzione della tecnologia come mezzo di promozione di una “società estetica”, dove la
come una raccolta di telegrammi o di aerogrammi, “Archigram” per nove numeri — dal diminuzione della fatica renderà piacevole il lavoro, liberando le potenzialità psicologiche e
1961 al 1970 — puntò a combattere sul nuovo campo dell’informazione di massa la battaglia creative dell’individuo nel rigetto dell’”uomo a una dimensione”. Paradossalmente intenti a
per una radicale revisione delle correnti idee di città, introducendo nel conformistico riesumare i principi della modernità dall’obsolescenza e dal consumo, i giovani di Archigram
lessico architettonico dell’establishment londinese una serie di scoppiettanti ed enigmatiche muovono da una lettura della società attraverso i meccanismi del suo funzionamento,
parole d’ordine, simili a quello slang onomatopeico diffuso dalla cultura dei fumetti e dei interessandosi alla natura strutturale del comportamento metropolitano più che ai dettagli
rotocalchi cui Archigram attinse a piene mani nella costruzione di una inedita iconografia “stilistici” delle sue risoluzioni particolari: in tal modo possono mettere al centro della loro
dell’immaginario metropolitano. Se è vero infatti che Archigram fu solo una componente elaborazione la libertà dell’individuo e l’emancipazione della società. Il singolo e la massa
di quella “internazionale dell’utopia” che accreditò negli anni Sessanta l’esplosione della sono due ruoli di una medesima funzione che l’architettura assolve attraverso il duplice
cosiddetta “poetica megastrutturale”, la sua visione dell’architettura e della città risultò da tasto dell’invenzione megastrutturale e della cellula pret-à-porter.
una profonda commistione con la cultura dei mass media, e persino dall’accettazione franca Warren Chalk per primo propone l’idea di casa come oggetto di consumo, trasferendo
e spregiudicata delle nuove estetiche della produzione e del consumo, da cui trasse i postulati la parola “capsula” dalla terminologia dell’ingegneria spaziale nel dizionario costruttivo
della casa come oggetto di consumo, dell’ambiente urbano come collage di performances dell’abitazione; con Ron Herron ne definisce le potenzialità applicative (gasket homes)
multimediali, dell’instabilità e della mutevolezza come valore, della flessibilità e della velocità nella prefigurazione della cellula come guscio sospeso. Il Living-pod di David Greene
come metodi di progettazione. “Instant”, “fun”, “entertainment”, “drive-in”, “rocket”, 1 apre la strada al nomadismo e al “drive-in housing”, sposando con realistico entusiasmo
“do-it-yourself”, “hovercraft”, “pod”, “capsule”, “cushicle” ecc.: l’“archigrammatica” dei F. Irace, Apologia e critica riti e icone della società di massa. In questa stessa direzione l’ultimo passo spetta a Mike
sette componenti del giovane team inglese dettò le coordinate della miscela progettuale della dell’idea megastrutturale, Webb che con il Cushicle e il Suitloon, esposto alla Triennale di Milano del 1968, arriva alla
“zoom wave”, fatta di parti eguali di scienza e fantascienza, di realtà e ironia, di tecnicismo in E. Crispolti (a cura
definizione dell’”arredo abitabile”, vera prefigurazione progettuale di quella cultura del
di), Immaginazione
e di ribellismo underground. nomadismo hippie, tipica dei flower childrens americani.
megastrutturale dal
Utilizzando la tecnica dei fotomontaggi, convertendo al piccolo formato la struttura futurismo ad oggi, Venezia, “Il requisito fondamentale sia dei movimenti utopici che di quelli rivoluzionari è il requisito
visiva del billboard pubblicitario, distribuendo nel foglio della pagina a stampa titoli e testi 1979, pp. 10-15. R. Banham, della libertà personale. Libertà per l’individuo di fare come gli pare e di essere libero dalla
come paroliberi futuristi, mettendo assieme Roy Lichtenstein e Flash Gordon, Archigram Megastructure Urban Future manipolazione e dall’oppressione imposta dalle forme esistenti di organizzazione sociale
costituì il laboratorio in progress di un nuovo situazionismo urbano, rivendicando, nel of the Recent Past, Londra, e politica. Stiamo cercando di creare una situazione in cui l’organizzazione aiuta la libertà
clima euforico dell’affluent society del decennio, la tecnologia come chiave di risoluzione 1976, rimane il più completo dell’individuo, piuttosto che tendere a sopprimerla”4: il programma di Archigram slitta
repertorio critico del fiorire
per i diritti del futuro: “Siamo alla ricerca di un’idea — scriveva Warren Chalk — di un dall’hardware della città-meccano al software della macchina ludica, coniugando risorse
e del declino dell’utopia
nuovo linguaggio popolare, di qualcosa da allineare con le capsule spaziali, le calcolatrici megastrutturale. cibernetiche e diritti dell’immaginazione in una ibrida miscela di “urbanisme ludique”,
elettroniche, gli imballaggi a perdere dell’età elettro-atomica”. sintetizzata dalla felice espressione di Banham “fun and flexibility”5. Con la Instant City,
2
Anche per questo aspetto, tuttavia, se Archigram condivise con numerosi altri gruppi e del 1969 Peter Cook darà l’ultima spallata a ciò che rimaneva di architettura nella metropoli
Cfr. Archigram, Londra,
protagonisti del decennio l’interpretazione ottimistica e metastorica della tecnologia come 1972; Archigram, cat. mostra, virtuale di Archigram: sciogliendosi nella disseminazione di environments sinestetici che
prefigurazione fantascientifica di un’utopia a portata di mano, indubbiamente da parte sua Centre George Pompidou, mimano le condizioni della “galassia elettronica” della computer age, l’effetto-città si
ne fornì una versione “antieroica” e “popolare” assai più prossima agli scenari dei comics di Parigi, 1994. riduce alla volatilità del tempo, diventa simulazione, evento multimediale, estrema parafrasi

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progettuale di quel villaggio istantaneo della trasgressione giovanile che, nello stesso anno, 6 10 negativa, alimentata dall’asprezza dello scontro sociale e dalla rivolta antiborghese contro
troverà a Woodstock la sua suprema realizzazione. Contro l’urbanistica programmata, Cit. in B. Zevi, Cronache R. Banham, op. cit., p. 209. le deformazioni della società dei consumi: “Per i figli dei fiori, i dropouts delle comunità
d’architettura, Roma-Bari,
contro il bigottismo dello snobismo d’élite, Peter Cook propone l’antidoto della città- 11 del deserto, i guerriglieri urbani, gli agitatori sociali, i contestatori politici, le pantere nere, i
1970, vol. VII, pp. 318-319.
scenario: un “circo ambulante che abbia l’intensità della città, ma non la sua dimensione e la A. Natalini, Com’era ancora tranquilli rappresentanti della classe media e gli storici conservatori, i marcusiani, i radicals
sua stabilità. Lo scopo è quello di scuotere dal sonno la provincia almeno per una settimana, 7 bella l’architettura nel 1966 delle scuole d’arte, e i protagonisti della democrazia per strada, degli événements de mai, la
M. McLuhan, Counterblast, (Superstudio e l’architettura
inducendo la gente a fare, a guardare, a entrare in comunicazione con quanto avviene a megastruttura era ormai un perfetto simbolo dell’oppressione liberal-capitalistica”10.
New York, 1969, p. 24. radicale dieci anni dopo), in
Londra o in altre metropoli”6. Unità di stimolazione percettiva, Instant City è un concetto Per la trattazione di questo “Spazio Arte”, n. 10-11, 1977. Non è un caso che proprio all’Italia, nei primi anni Sessanta oasi felice del “good design”,
più che una struttura: non a caso essa si esprime nell’immateriale tecnologico dei grandi tema si rimanda a R. Barilli, toccherà esprimere con la massima intensità la rivolta iconoclasta contro la cultura degli oggetti
12 assieme alla lucida analisi delle contraddizioni dello sviluppo e al rifiuto degli specialismi
schermi sospesi, degli ologrammi, dei segnalatori luminosi, dei billboards pubblicitari, op. cit., pp. 59-64.
Una mappa particolareggiata
degli amplificatori sonori come nei concerti rock. Il ritorno all’”uomo tribale”, armato di 8 dei gruppuscoli e delle loro
in favore di una più democratica socializzazione del potere della conoscenza. Prima che,
telefono, di televisore, di computer, coincide così con la profezia attualizzata di McLuhan R. Barilli, op. cit., p. 79. azioni di guerriglia è in negli anni Settanta, Milano capitalizzasse gli sforzi prodotti in generosa disseminazione
— “we are back to the acoustic space” —, con il suo implicito rifiuto delle forme astratte P. Navone, B. Orlandoni, da gruppi e movimenti sparsi per il paese, costituendosi come punta di diamante del
9
e concettualizzanti del pensiero, in favore di una sinestetica elletrostimolazione sensoriale. Architettura radicale, Segrate, nuovo sistema “antidesign” dell’”architettura radicale”, fu forse Firenze11 a esprimere con
Cfr. V. Fagone (a cura di),
Con Manzak e Electronic Tomato Ron Herron, Warren Chalk e David Green decretano 1974. straordinaria varietà di proposizioni quel generale clima di rivolta e di contrapposizione
I Colombo, Milano, 1995.
la caduta del modello dell’uomo stanziale e ripetitivo e l’alternativa del “raccoglitore (di 13 che trovò nelle facoltà di architettura la sua cellula di incubazione12. In particolare i corsi
informazioni, non più di frutti naturali), eccentrico (senza centro e sede permanente), Ibid., p 29. di Leonardo Savioli (1964-65) e di Leonardo Ricci (1966-67) intorno alle nuove “ipotesi
errabondo, versatile nella sua attività”8: abito-attrezzatura “radiocontrollato, alimentato 14
di spazio urbano” (urbanistica integrata, visual design, spazi di coinvolgimento ecc.)
a batterie, automatizzato, dotato di sensori ambientali, di videocamera Tv, Manzak è Cfr. A. Natalini, op. cit.: “Alla istituzionalizzarono nelle aule universitarie l’alfabeto visivo dell’iconografia pop, dell’arte
l’esaltazione della tecnologia dal volto umano, più che la denuncia dei pericoli della fine del ‘66 ci fu l’alluvione programmata, dell’happening: oltre che nei risultati dei progetti dei giovani (Andrea Branzi,
robotizzazione dell’uomo nella società dei consumi esasperati. Previsione estremamente di Firenze e la mostra della Luna Park a Prato, 1966; Adolfo Natalini, Palazzo dell’Arte a Firenze, 1966, ecc.), questo
attuale delle lusinghe della virtualità contro le ristrettezze della realtà, Bathamatic di Warren Superarchitettura con cui si produsse nelle esercitazioni durante il corso di Savioli sui Pipers, da cui derivò quella
nacquero l’Archizoom e particolare attitudine “tra il messianico e l’apocalittico”13 che nelle tesi urbane di Archizoom
Chalk è la proiezione dell’evasione underground dall’allucinazione sintetica delle droghe il Superstudio. Forse gli
alla “dry powdered stimulation” degli avveniristici sensori elettronici che rinchiudono il storici dell’architettura
e di Superstudio troverà, pochissimi anni dopo, la sua più consapevole enunciazione e la
corpo in una capsula per sognare, allontanando la realizzazione dell’utopia nella “nowhere radicale non hanno mai sua paradigmatica raffigurazione.
land” del sogno individuale. Progettare il futuro è anche il compito che si assegna l’italiano meditato abbastanza su tale Nati entrambi alla fine del 196614, Superstudio (Adolfo Natalini, Cristiano Toraldo di
Joe Colombo9 quando, nel 1961, apre a Milano uno studio di architettura e di disegno straordinaria concomitanza Francia, Roberto Magris, Pietro Frassinelli, Alessandro Magris) e Archizoom (Andrea
d’eventi, ma se ne accorse Branzi, Gilberto Corretti, Paolo Deganello, Massimo Morozzi, Lucia e Dario Bartolini)
industriale: autore, nei primi anni Cinquanta, di qualche progetto di “città futuribile”,
con sottile intuito orientale rappresentarono l’originalità della via italiana all’utopia del ‘68, cui diedero, negli anni
Colombo sposta presto il tiro della sua visione “fantascientifica” dalla prefigurazione urbana Arata Isozaki col suo articolo
all’utopia dell’oggetto abitato. In linea con la fascinazione per la tecnologia aerospaziale Superstudio ovvero le tracce
immediatamente a cavallo tra il vecchio e il nuovo decennio, il volto riconoscibile di due
che il lancio dello Sputnik il 4 ottobre 1957 aveva circonfuso dell’aura di un vero e proprio del diluvio nel ‘7109’ di Toshi progetti a elevato coefficiente critico e ideologico: il Monumento continuo e la No-stop
mito collettivo, Colombo si sente in qualche modo l’erede di quella tradizione “futuribile” Jutaku”. City. Pur pagando infatti all’influenza di Archigram lo scontato tributo di un linguaggio
moderna che Buckminster Fuller, con la sua Dymaxion del 1938, aveva elevato a sofisticato altamente formalizzato attorno ai temi della civiltà dei mass media, i due lavori se ne
15
paradigma costruttivo e che le ricerche di Raymond Loewy sull’equipaggiamento dello Archizoom, Residential discostano significativamente per la forte carica concettualizzante che denuncia la loro
Skylab avevano rilanciato come credibile campo di lavoro per il nuovo design. L’idea della Parkings, in “Domus”, n. 496, comune origine dal particolare ambiente dei collettivi studenteschi. Progetti entrambi
capsula abitabile, dell’alloggio intergalattico, del monoblocco orbitante apre un campo marzo 1971. di urbanizzazione totale, Monumento continuo e No-stop City riconoscono nei modi di
d’investigazione sui materiali, sulle soluzioni compatte, sulle forme aerodinamiche cui i 16
produzione della società dei consumi l’insidia di elementi di disgregazione e di rivolta
progettisti si sentiranno sollecitati a fornire risposte tecnologicamente ed esteticamente Su “Casabella”, luglio-agosto capaci di ribaltare il ludico situazionismo delle “moving cities” dei giovani inglesi in una
adeguate, come Oliver Morgue, ad esempio, con la serie di arredi Djinn, utilizzati 1970. radiografia critica del nuovo ordine sociale.
ironicamente da Stanley Kubrick per il grande salone dell’astronave di 2001: Odissea nello “Oggi l’unica utopia possibile è quella quantitativa”15, proclamava Archizoom introducendo
17
spazio. Nello stesso anno dello sbarco del primo uomo sulla Luna, invitato dalla Bayer, Archizoom, op. cit. le asettiche rappresentazioni analitiche della sua No-stop City con il titolo esplicativo
Joe Colombo propone alla Fiera di Colonia gli elementi di Visiona 1, metafora terrestre di “Città catena di montaggio del sociale: ideologia e teoria della metropoli”16. Sfumata
dell’abitare ad alta quota. Mettendo a segno le possibilità consentite dalle combinazioni dei l’euforia, del grande numero rimane l’ipoteca schiacciante di una riorganizzazione della
nuovi composti chimici, coniuga la funzionalità dell’abitacolo con la focalizzazione di un proliferazione urbana: al fondo l’analisi disincantata della realtà metropolitana fondata
linguaggio antitradizionale, fatto di gusci avvolgenti, di sagome rotanti, di lastre aggettanti sul duplice modello della fabbrica e del supermercato. Risvolti speculari della medesima
e trasformabili, sperimentati poi concretamente nei vari Roto-Living, Cabriolet-Bed e ideologia della programmazione, Produzione e Consumo “ipotizzano una realtà sociale e
Multi-Chair nella sua abitazione milanese. fisica assolutamente continua e indifferenziata”, dove anche la casa diviene una funzionale
area di parcheggio attrezzata17.
Dagli Archigram agli Archizoom: Metropolis dopo Utopia Nella metafora dell’uniformità indifferenziata dell’ambiente la No-stop City immagina
lo spazio come superficie continua ad elevato gradiente d’alimentazione tecnologica:
Nel 1968, invitato a partecipare alla XIV Triennale di Milano, dedicata al tema delle una piastra climatizzata e artificiale — il “residential parking” — che fissa le condizioni
“mutazioni dell’ambiente nell’epoca del grande numero”, Archigram vi presentò una variabili dell’abitare, ridotto — come nelle proiezioni di David Green e Warren Chalk
sintesi della sua idea di “popular-pack” attraverso l’installazione del Big Bag: una capsula — alle dimensioni flessibili dell’abitacolo. Aggiornando il linguaggio delle agghiaccianti
pneumatica di 18 metri sospesa al soffitto, sulle cui superfici l’incessante bombardamento previsioni metropolitane di Ludvig Hilberseimer, la città di Archizoom annulla i caratteri
di fotogrammi produceva l’immagine di un primordiale caos del primitivismo cibernetico. del luogo per offrirsi come condizione per cui “la dimensione futura della metropoli
Non prevista dal programma, la stanza allestita dal neogruppo d’avanguardia Ufo — coincide con quella del mercato stesso”. Paradossalmente la No-stop City decreta dunque
costituitosi a Firenze sull’onda della rivoluzione studentesca del ’68 — forniva in qualche la fine dell’utopia come prefigurazione del futuro, costringendo l’immaginazione con i
modo il drammatico rovescio della medaglia dell’ironica lievità di Archigram, mentre il piedi per terra: modello di comprensione dei fenomeni strutturali della città, si propone
padiglione afro-tirolese del “centro di cospirazione eclettica” degli Archizoom introduceva come svelamento di un’ideologia dello spazio sociale; nella logica del “contro-piano”, non
nell’edonismo levigato dell’imagerie pop un’acida nota di provocatoria dissonanza. Sancita la indica “controspazi” alternativi, ma demanda all’azione la prassi della rivoluzione e del
fine dell’utopia tecnologica, si apriva cosi la strada alla sistematica contestazione dell’utopia cambiamento.

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progettuale di quel villaggio istantaneo della trasgressione giovanile che, nello stesso anno, 6 10 negativa, alimentata dall’asprezza dello scontro sociale e dalla rivolta antiborghese contro
troverà a Woodstock la sua suprema realizzazione. Contro l’urbanistica programmata, Cit. in B. Zevi, Cronache R. Banham, op. cit., p. 209. le deformazioni della società dei consumi: “Per i figli dei fiori, i dropouts delle comunità
d’architettura, Roma-Bari,
contro il bigottismo dello snobismo d’élite, Peter Cook propone l’antidoto della città- 11 del deserto, i guerriglieri urbani, gli agitatori sociali, i contestatori politici, le pantere nere, i
1970, vol. VII, pp. 318-319.
scenario: un “circo ambulante che abbia l’intensità della città, ma non la sua dimensione e la A. Natalini, Com’era ancora tranquilli rappresentanti della classe media e gli storici conservatori, i marcusiani, i radicals
sua stabilità. Lo scopo è quello di scuotere dal sonno la provincia almeno per una settimana, 7 bella l’architettura nel 1966 delle scuole d’arte, e i protagonisti della democrazia per strada, degli événements de mai, la
M. McLuhan, Counterblast, (Superstudio e l’architettura
inducendo la gente a fare, a guardare, a entrare in comunicazione con quanto avviene a megastruttura era ormai un perfetto simbolo dell’oppressione liberal-capitalistica”10.
New York, 1969, p. 24. radicale dieci anni dopo), in
Londra o in altre metropoli”6. Unità di stimolazione percettiva, Instant City è un concetto Per la trattazione di questo “Spazio Arte”, n. 10-11, 1977. Non è un caso che proprio all’Italia, nei primi anni Sessanta oasi felice del “good design”,
più che una struttura: non a caso essa si esprime nell’immateriale tecnologico dei grandi tema si rimanda a R. Barilli, toccherà esprimere con la massima intensità la rivolta iconoclasta contro la cultura degli oggetti
12 assieme alla lucida analisi delle contraddizioni dello sviluppo e al rifiuto degli specialismi
schermi sospesi, degli ologrammi, dei segnalatori luminosi, dei billboards pubblicitari, op. cit., pp. 59-64.
Una mappa particolareggiata
degli amplificatori sonori come nei concerti rock. Il ritorno all’”uomo tribale”, armato di 8 dei gruppuscoli e delle loro
in favore di una più democratica socializzazione del potere della conoscenza. Prima che,
telefono, di televisore, di computer, coincide così con la profezia attualizzata di McLuhan R. Barilli, op. cit., p. 79. azioni di guerriglia è in negli anni Settanta, Milano capitalizzasse gli sforzi prodotti in generosa disseminazione
— “we are back to the acoustic space” —, con il suo implicito rifiuto delle forme astratte P. Navone, B. Orlandoni, da gruppi e movimenti sparsi per il paese, costituendosi come punta di diamante del
9
e concettualizzanti del pensiero, in favore di una sinestetica elletrostimolazione sensoriale. Architettura radicale, Segrate, nuovo sistema “antidesign” dell’”architettura radicale”, fu forse Firenze11 a esprimere con
Cfr. V. Fagone (a cura di),
Con Manzak e Electronic Tomato Ron Herron, Warren Chalk e David Green decretano 1974. straordinaria varietà di proposizioni quel generale clima di rivolta e di contrapposizione
I Colombo, Milano, 1995.
la caduta del modello dell’uomo stanziale e ripetitivo e l’alternativa del “raccoglitore (di 13 che trovò nelle facoltà di architettura la sua cellula di incubazione12. In particolare i corsi
informazioni, non più di frutti naturali), eccentrico (senza centro e sede permanente), Ibid., p 29. di Leonardo Savioli (1964-65) e di Leonardo Ricci (1966-67) intorno alle nuove “ipotesi
errabondo, versatile nella sua attività”8: abito-attrezzatura “radiocontrollato, alimentato 14
di spazio urbano” (urbanistica integrata, visual design, spazi di coinvolgimento ecc.)
a batterie, automatizzato, dotato di sensori ambientali, di videocamera Tv, Manzak è Cfr. A. Natalini, op. cit.: “Alla istituzionalizzarono nelle aule universitarie l’alfabeto visivo dell’iconografia pop, dell’arte
l’esaltazione della tecnologia dal volto umano, più che la denuncia dei pericoli della fine del ‘66 ci fu l’alluvione programmata, dell’happening: oltre che nei risultati dei progetti dei giovani (Andrea Branzi,
robotizzazione dell’uomo nella società dei consumi esasperati. Previsione estremamente di Firenze e la mostra della Luna Park a Prato, 1966; Adolfo Natalini, Palazzo dell’Arte a Firenze, 1966, ecc.), questo
attuale delle lusinghe della virtualità contro le ristrettezze della realtà, Bathamatic di Warren Superarchitettura con cui si produsse nelle esercitazioni durante il corso di Savioli sui Pipers, da cui derivò quella
nacquero l’Archizoom e particolare attitudine “tra il messianico e l’apocalittico”13 che nelle tesi urbane di Archizoom
Chalk è la proiezione dell’evasione underground dall’allucinazione sintetica delle droghe il Superstudio. Forse gli
alla “dry powdered stimulation” degli avveniristici sensori elettronici che rinchiudono il storici dell’architettura
e di Superstudio troverà, pochissimi anni dopo, la sua più consapevole enunciazione e la
corpo in una capsula per sognare, allontanando la realizzazione dell’utopia nella “nowhere radicale non hanno mai sua paradigmatica raffigurazione.
land” del sogno individuale. Progettare il futuro è anche il compito che si assegna l’italiano meditato abbastanza su tale Nati entrambi alla fine del 196614, Superstudio (Adolfo Natalini, Cristiano Toraldo di
Joe Colombo9 quando, nel 1961, apre a Milano uno studio di architettura e di disegno straordinaria concomitanza Francia, Roberto Magris, Pietro Frassinelli, Alessandro Magris) e Archizoom (Andrea
d’eventi, ma se ne accorse Branzi, Gilberto Corretti, Paolo Deganello, Massimo Morozzi, Lucia e Dario Bartolini)
industriale: autore, nei primi anni Cinquanta, di qualche progetto di “città futuribile”,
con sottile intuito orientale rappresentarono l’originalità della via italiana all’utopia del ‘68, cui diedero, negli anni
Colombo sposta presto il tiro della sua visione “fantascientifica” dalla prefigurazione urbana Arata Isozaki col suo articolo
all’utopia dell’oggetto abitato. In linea con la fascinazione per la tecnologia aerospaziale Superstudio ovvero le tracce
immediatamente a cavallo tra il vecchio e il nuovo decennio, il volto riconoscibile di due
che il lancio dello Sputnik il 4 ottobre 1957 aveva circonfuso dell’aura di un vero e proprio del diluvio nel ‘7109’ di Toshi progetti a elevato coefficiente critico e ideologico: il Monumento continuo e la No-stop
mito collettivo, Colombo si sente in qualche modo l’erede di quella tradizione “futuribile” Jutaku”. City. Pur pagando infatti all’influenza di Archigram lo scontato tributo di un linguaggio
moderna che Buckminster Fuller, con la sua Dymaxion del 1938, aveva elevato a sofisticato altamente formalizzato attorno ai temi della civiltà dei mass media, i due lavori se ne
15
paradigma costruttivo e che le ricerche di Raymond Loewy sull’equipaggiamento dello Archizoom, Residential discostano significativamente per la forte carica concettualizzante che denuncia la loro
Skylab avevano rilanciato come credibile campo di lavoro per il nuovo design. L’idea della Parkings, in “Domus”, n. 496, comune origine dal particolare ambiente dei collettivi studenteschi. Progetti entrambi
capsula abitabile, dell’alloggio intergalattico, del monoblocco orbitante apre un campo marzo 1971. di urbanizzazione totale, Monumento continuo e No-stop City riconoscono nei modi di
d’investigazione sui materiali, sulle soluzioni compatte, sulle forme aerodinamiche cui i 16
produzione della società dei consumi l’insidia di elementi di disgregazione e di rivolta
progettisti si sentiranno sollecitati a fornire risposte tecnologicamente ed esteticamente Su “Casabella”, luglio-agosto capaci di ribaltare il ludico situazionismo delle “moving cities” dei giovani inglesi in una
adeguate, come Oliver Morgue, ad esempio, con la serie di arredi Djinn, utilizzati 1970. radiografia critica del nuovo ordine sociale.
ironicamente da Stanley Kubrick per il grande salone dell’astronave di 2001: Odissea nello “Oggi l’unica utopia possibile è quella quantitativa”15, proclamava Archizoom introducendo
17
spazio. Nello stesso anno dello sbarco del primo uomo sulla Luna, invitato dalla Bayer, Archizoom, op. cit. le asettiche rappresentazioni analitiche della sua No-stop City con il titolo esplicativo
Joe Colombo propone alla Fiera di Colonia gli elementi di Visiona 1, metafora terrestre di “Città catena di montaggio del sociale: ideologia e teoria della metropoli”16. Sfumata
dell’abitare ad alta quota. Mettendo a segno le possibilità consentite dalle combinazioni dei l’euforia, del grande numero rimane l’ipoteca schiacciante di una riorganizzazione della
nuovi composti chimici, coniuga la funzionalità dell’abitacolo con la focalizzazione di un proliferazione urbana: al fondo l’analisi disincantata della realtà metropolitana fondata
linguaggio antitradizionale, fatto di gusci avvolgenti, di sagome rotanti, di lastre aggettanti sul duplice modello della fabbrica e del supermercato. Risvolti speculari della medesima
e trasformabili, sperimentati poi concretamente nei vari Roto-Living, Cabriolet-Bed e ideologia della programmazione, Produzione e Consumo “ipotizzano una realtà sociale e
Multi-Chair nella sua abitazione milanese. fisica assolutamente continua e indifferenziata”, dove anche la casa diviene una funzionale
area di parcheggio attrezzata17.
Dagli Archigram agli Archizoom: Metropolis dopo Utopia Nella metafora dell’uniformità indifferenziata dell’ambiente la No-stop City immagina
lo spazio come superficie continua ad elevato gradiente d’alimentazione tecnologica:
Nel 1968, invitato a partecipare alla XIV Triennale di Milano, dedicata al tema delle una piastra climatizzata e artificiale — il “residential parking” — che fissa le condizioni
“mutazioni dell’ambiente nell’epoca del grande numero”, Archigram vi presentò una variabili dell’abitare, ridotto — come nelle proiezioni di David Green e Warren Chalk
sintesi della sua idea di “popular-pack” attraverso l’installazione del Big Bag: una capsula — alle dimensioni flessibili dell’abitacolo. Aggiornando il linguaggio delle agghiaccianti
pneumatica di 18 metri sospesa al soffitto, sulle cui superfici l’incessante bombardamento previsioni metropolitane di Ludvig Hilberseimer, la città di Archizoom annulla i caratteri
di fotogrammi produceva l’immagine di un primordiale caos del primitivismo cibernetico. del luogo per offrirsi come condizione per cui “la dimensione futura della metropoli
Non prevista dal programma, la stanza allestita dal neogruppo d’avanguardia Ufo — coincide con quella del mercato stesso”. Paradossalmente la No-stop City decreta dunque
costituitosi a Firenze sull’onda della rivoluzione studentesca del ’68 — forniva in qualche la fine dell’utopia come prefigurazione del futuro, costringendo l’immaginazione con i
modo il drammatico rovescio della medaglia dell’ironica lievità di Archigram, mentre il piedi per terra: modello di comprensione dei fenomeni strutturali della città, si propone
padiglione afro-tirolese del “centro di cospirazione eclettica” degli Archizoom introduceva come svelamento di un’ideologia dello spazio sociale; nella logica del “contro-piano”, non
nell’edonismo levigato dell’imagerie pop un’acida nota di provocatoria dissonanza. Sancita la indica “controspazi” alternativi, ma demanda all’azione la prassi della rivoluzione e del
fine dell’utopia tecnologica, si apriva cosi la strada alla sistematica contestazione dell’utopia cambiamento.

62 63
Ancora più paradossalmente il Monumento continuo di Superstudio riportava l’architettura 18 21 di collaborazione e di intesa esemplare, ma soprattutto della capacità di individuare nel
alla ricerca dell’“archè”, all’individuazione per assurdo di un principio creativo originario A. Natalini, Superstudio, R. Banham, Industrial design ridisegno dell’attrezzo tecnologico la possibilità di una nuova “forza di comunicazione”,
in E. Bonfanti, R. Bonicalzi, e arte popolare, in “Civiltà
da analizzare e riproporre attraverso la metodologia dell’utopia negativa”. Momento disponibile a misurarsi concretamente con l’avventura della grande produzione di massa.
A. Rossi, M. Scolari, delle Macchine”, novembre-
d’avvio di un processo di riflessione perseguito negli anni Settanta dai pittogrammi delle D. Vitale (a cura di), dicembre 1955. Coerentemente alle preoccupazioni di una cultura che si interroga sulle trasformazioni
Dodici città ideali o dagli “istogrammi” d’architettura, le raffigurazioni del Monumento Architettura razionale, indotte nelle forme e nei modi del pensiero concreto dall’avvento sempre più pervasivo
22
continuo sono le stazioni di un itinerario a ritroso verso il segreto del Mondo prima della Milano, 1973, p. 116. dei mass media, gli elettrodomestici legati all’informazione e al consumo — il televisore, il
Cfr. F. Menna, Design,
contaminazione della Storia. L’orgia sinestetica degli happenings di Archigram è ormai solo 19 comunicazione estetica e mass telefono, la radio, l’hi-fi ecc. — assumono una rilevanza non solo simbolica nella diffusione
l’inopportuno ricordo del “day after” nel silenzio metafisico di un nuovo stato di calma E. Ambasz (a cura di), Italy - media, in “Edilizia Moderna”, di nuovi modelli di consumo. Incarnazioni per eccellenza del nuovo che si fa costume di
dove, bandito il rumore della merce, la mente rimane l’unica forma di energia. Placato The New Domestic Landscape, n. 85, 1965. vita, essi diventano le inintrusive protesi dell’abituale paesaggio domestico, di cui tendono a
ogni frastuono tecnologico, una nuova Arcadia popola algidi paesaggi serrati nelle maglie New York, 1972, p. 251.
23
diventare, se non ancora le familiari icone della proposta pop, gli agili diffusori di una spinta
di un ordine geometrico assoluto; oltre la fisica del quotidiano, l’identità italiana riscopre 20 Su tali aspetti cfr. anche alla smaterializzazione in atto. Il passaggio dalla tecnologia a valvole, ad esempio, a quella
dunque la metafisica della ragione: “Per chi come noi sia convinto che l’architettura è A. Branzi, Il design italiano S. Casciani, L’era del pop - Il a transistor rivoluziona l’immagine del televisore, cui Marco Zanuso e Richard Sapper, con
uno dei pochi mezzi per rendere visibile in terra l’ordine cosmico, per porre ordine tra le 1964-1990, Milano, 1996, design degli anni Sessanta e Black ST 201, riuscirà a conferire l’impalpabile qualità di un minimalismo “magico” e, con
cose e soprattutto per affermare la capacità umana di agire secondo ragione, è moderata p. 94. Settanta, in Design in Italia l’Algol 11, l’immagine accattivante di una tecnologia friendly e disponibile. Nelle euforiche
1950-1990, Milano, 1991. scenografie delle “metropoli” virtuali di Archigram il giradischi Pop di Mario Bellini, la
utopia ipotizzare un futuro prossimo in cui tutta l’architettura sia prodotta da un unico
atto, da un solo disegno capace di chiarire, una volta per tutte, i motivi che hanno spinto 24 radio Magic Drum di Rodolfo Bonetto, il radiofonografo “antropomorfo” di Achille e Pier
l’uomo a innalzare dolmen, menhir, piramidi e a tracciare città quadrate, circolari, stellari R. Banham, A Throwaway Giacomo Castiglioni o il radioricevitore TS 502 di Zanuso e Sapper potrebbero figurare
e infine a segnare (ultima ratio) una linea bianca nel deserto [...]. Eliminando miraggi e Esthetic, in “Industrial come “utensili” di una generazione abituata a considerare le “electric appliances” dell’era
Design”, n. 7, marzo, 1960.
fate morgane di architetture spontanee, architetture della sensibilità, architetture senza informatica come attrezzi rituali di eventi audiovisivi pronti a scatenarsi al solo tocco
architetti, architetture biologiche e fantastiche, ci dirigiamo verso il Monumento continuo: di un pulsante. Il principio di una nuova scioltezza nelle relazioni umane, l’aspirazione
un’architettura tutta egualmente emergente in un unico ambiente continuo: la terra resa a un mondo reso improvvisamente più prensile e meno ingessato in stereotipi obsoleti
omogenea dalla tecnica, dalla cultura e da tutti gli inevitabili imperialismi”18. di comportamento, trovò nella plastica il suo referente ideale, il materiale che sembrava
Poco più di cinque anni separano le eccitate visioni della città telematica di Archigram corrispondere a una visione “leggera” e componibile del mondo. Il telefono, il televisore,
dal purismo nichilista degli scenari globali di Superstudio: la gioventù dorata che nei la radio diventano oggetti non ingombranti, che senza fatica è possibile appoggiare per
collages del gruppo inglese pareva direttamente uscita dalle patinate pagine di “Harper’s terra, trasportare, sollevare in analogia a quella nuova idea di libertà che la rivoluzione dei
Bazaar”, nei fotomontaggi di Superstudio lascia il posto ai primi rappresentanti di quella costumi, della musica, dell’arte contribuiva a divulgare come i canoni di quella che Banham
generazione permanentemente on the road che di lì a poco occuperanno le cronache della propose di definire una “estetica del provvisorio”21.
stampa alternativa degli anni Settanta. In un mondo che ha rinunciato all’architettura l’unico Analogamente la sperimentazione sulle nuove schiume sintetiche, incoraggiata da industrie
progetto da organizzare sarà quello della vita: una vita possibilmente senza oggetti — come di rilevanza mondiale come la Bayer, stimolò la messa a punto di un’estetica congruente alle
tenteranno di dimostrare nella celebre mostra del Moma nel 197219 —, senza città né castelli, potenzialità espressive del materiale: se la sua caratteristica è quella di consentire lo sviluppo
senza strade né piazze, in cui ogni punto equivale a un altro e, al di là dell’isterismo della nello spazio di forme sinuose e nastriformi, ne consegue un incoraggiamento a svilupparne
sovraproduzione e del consumo, si apre il silenzio di una calma interiore. Oltre l’oggetto, l’idea di libertà dai sistemi correnti di produzione legati ancora troppo schematicamente
insomma, la prospettiva di un paradiso terrestre come prodotto finale di una “metamorfosi alle obbligazioni della macchina. Allievo di Arne Jacobsen, il danese Verner Panton maturò
meravigliosa”. l’intuizione di trasportare l’organico comfort del design nordico dalla levigata naturalezza
dei materiali tradizionali all’aggressività sintetica dei poliesteri: nasce da questa prospettiva
Per un nuovo disordine il disegno della sedia in schiuma di poliuretano del 1960 che, nella sua traduzione in forme
fluide della famosa sedia Zig-Zag di Rietveld, segna il sostanziale trapasso dalla prima alla
Nel 1964 la tredicesima edizione della Triennale di Milano scelse di presentare alla coscienza seconda età della macchina. Il mondo immaginato da Panton in occasione di “Visiona 2”
critica del design internazionale il tema emergente degli anni del boom economico: il “Tempo nel 1970 è la più completa silloge dell’ideale percettivo del decennio appena trascorso e una
libero”. Dopo gli anni della ricostruzione e dell’esaltazione produttiva la profezia di una rappresentazione virtuale dei rituali dell’abitare “al suolo” dentro uno spazio concepito
società estetica chiamava a raccolta critici e operatori, industriali e artisti, per mettere a come un magmatico ritorno ad archetipi ancestrali.
fuoco le prospettive di quella inedita dimensione della società di massa i cui effetti parevano Percependo la logica della seconda generazione della macchina come un’inversione
sfuggire dalle mani dei suoi stessi artefici. La prefigurazione di quella libertà individuale e rispetto all’ascetico rigorismo del razionalismo storico si afferma dunque un’idea meno
collettiva promessa dall’ottimistica fiducia nella tecnologia e nel futuro apriva l’analisi a deterministica e unidirezionata del processo di produzione, cui in quegli anni Umberto
una nuova dimensione del tempo, sottratto ai ritmi dell’abituale ciclo della produzione e Eco assegnerà — con la nota metafora dell’“opera aperta” — le caratteristiche di un vero
del consumo. Il tempo del lavoro e il tempo liberato si contrapponevano nelle scenografie e proprio modello culturale cui ispirare anche le nuove regole della creazione estetica. Tra
a specchi del caleidoscopio allestito da P. Brivio, V. Gregotti, L. Meneghetti e G. Stoppino, regola e caso anzi comincia a delinearsi l’alternativa di una mediazione22, resa possibile da
evidenziando la fine di quell’intimismo introspettivo e autobiografico con cui la cultura un’impostazione dell’atto ideativo “aperta” alle interazioni dell’utente, che in tal modo
architettonica — non solo italiana —aveva inteso riallacciare, dopo la cesura della guerra, diventa un po’ meno consumatore e un po’ più creativo fruitore. La centralità di questa
il suo problematico rapporto con la memoria e con il passato. Messo in crisi il paradigma concezione “partecipativa” della civiltà dell’oggetto fu incarnata in Italia dall’arte cinetica
della continuità, riemergeva con prepotenza l’antico richiamo della modernità, ponendo e programmata prima ancora di riversarsi, quasi naturalmente, nel design, verso cui, per
di nuovo il futuro al centro della riflessione poetica e creativa. Del futuro la tecnologia altra via, ma con effetti talvolta singolarmente convergenti, a partire dalla seconda metà del
veniva individuata come la componente più caratterizzante e di conseguenza il design come decennio confluirono con dirompente vitalità tutte quelle ricerche variamente ispirate alle
la disciplina chiave per la comprensione dei rapporti tra società e sistema di produzione suggestioni artistiche del pop23.
industriale: “In questo modello — come è stato osservato — il design non è una funzione Ancora una volta, dunque, si trattava di definire il ruolo dell’oggetto nella nuova civiltà
soltanto industriale, impegnata a risolvere problemi produttivi, ma un’attività strategica, dell’immagine e del rapido consumo: il tema l’aveva posto, con la consueta irriverenza,
una cultura civile, immersa nel cambiamento della storia, e quindi in grado di fornire alla Reyner Banham: “Viviamo in un’economia dell’usa e getta, partecipiamo di una cultura
grande industria attraverso il prodotto una identità dentro la società”20. dove tutte le più fondamentali classificazioni delle idee e delle concezioni del mondo
La collaborazione di Marco Zanuso con la Brionvega o quella di Ettore Sottsass jr con vengono giudicate in funzione del loro consumo. È completamente assurdo chiedere a
la Olivetti rimangono in tal senso significative non solo dell’applicazione di un metodo oggetti programmati per una breve vita di esprimere valori eterni”24.

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Ancora più paradossalmente il Monumento continuo di Superstudio riportava l’architettura 18 21 di collaborazione e di intesa esemplare, ma soprattutto della capacità di individuare nel
alla ricerca dell’“archè”, all’individuazione per assurdo di un principio creativo originario A. Natalini, Superstudio, R. Banham, Industrial design ridisegno dell’attrezzo tecnologico la possibilità di una nuova “forza di comunicazione”,
in E. Bonfanti, R. Bonicalzi, e arte popolare, in “Civiltà
da analizzare e riproporre attraverso la metodologia dell’utopia negativa”. Momento disponibile a misurarsi concretamente con l’avventura della grande produzione di massa.
A. Rossi, M. Scolari, delle Macchine”, novembre-
d’avvio di un processo di riflessione perseguito negli anni Settanta dai pittogrammi delle D. Vitale (a cura di), dicembre 1955. Coerentemente alle preoccupazioni di una cultura che si interroga sulle trasformazioni
Dodici città ideali o dagli “istogrammi” d’architettura, le raffigurazioni del Monumento Architettura razionale, indotte nelle forme e nei modi del pensiero concreto dall’avvento sempre più pervasivo
22
continuo sono le stazioni di un itinerario a ritroso verso il segreto del Mondo prima della Milano, 1973, p. 116. dei mass media, gli elettrodomestici legati all’informazione e al consumo — il televisore, il
Cfr. F. Menna, Design,
contaminazione della Storia. L’orgia sinestetica degli happenings di Archigram è ormai solo 19 comunicazione estetica e mass telefono, la radio, l’hi-fi ecc. — assumono una rilevanza non solo simbolica nella diffusione
l’inopportuno ricordo del “day after” nel silenzio metafisico di un nuovo stato di calma E. Ambasz (a cura di), Italy - media, in “Edilizia Moderna”, di nuovi modelli di consumo. Incarnazioni per eccellenza del nuovo che si fa costume di
dove, bandito il rumore della merce, la mente rimane l’unica forma di energia. Placato The New Domestic Landscape, n. 85, 1965. vita, essi diventano le inintrusive protesi dell’abituale paesaggio domestico, di cui tendono a
ogni frastuono tecnologico, una nuova Arcadia popola algidi paesaggi serrati nelle maglie New York, 1972, p. 251.
23
diventare, se non ancora le familiari icone della proposta pop, gli agili diffusori di una spinta
di un ordine geometrico assoluto; oltre la fisica del quotidiano, l’identità italiana riscopre 20 Su tali aspetti cfr. anche alla smaterializzazione in atto. Il passaggio dalla tecnologia a valvole, ad esempio, a quella
dunque la metafisica della ragione: “Per chi come noi sia convinto che l’architettura è A. Branzi, Il design italiano S. Casciani, L’era del pop - Il a transistor rivoluziona l’immagine del televisore, cui Marco Zanuso e Richard Sapper, con
uno dei pochi mezzi per rendere visibile in terra l’ordine cosmico, per porre ordine tra le 1964-1990, Milano, 1996, design degli anni Sessanta e Black ST 201, riuscirà a conferire l’impalpabile qualità di un minimalismo “magico” e, con
cose e soprattutto per affermare la capacità umana di agire secondo ragione, è moderata p. 94. Settanta, in Design in Italia l’Algol 11, l’immagine accattivante di una tecnologia friendly e disponibile. Nelle euforiche
1950-1990, Milano, 1991. scenografie delle “metropoli” virtuali di Archigram il giradischi Pop di Mario Bellini, la
utopia ipotizzare un futuro prossimo in cui tutta l’architettura sia prodotta da un unico
atto, da un solo disegno capace di chiarire, una volta per tutte, i motivi che hanno spinto 24 radio Magic Drum di Rodolfo Bonetto, il radiofonografo “antropomorfo” di Achille e Pier
l’uomo a innalzare dolmen, menhir, piramidi e a tracciare città quadrate, circolari, stellari R. Banham, A Throwaway Giacomo Castiglioni o il radioricevitore TS 502 di Zanuso e Sapper potrebbero figurare
e infine a segnare (ultima ratio) una linea bianca nel deserto [...]. Eliminando miraggi e Esthetic, in “Industrial come “utensili” di una generazione abituata a considerare le “electric appliances” dell’era
Design”, n. 7, marzo, 1960.
fate morgane di architetture spontanee, architetture della sensibilità, architetture senza informatica come attrezzi rituali di eventi audiovisivi pronti a scatenarsi al solo tocco
architetti, architetture biologiche e fantastiche, ci dirigiamo verso il Monumento continuo: di un pulsante. Il principio di una nuova scioltezza nelle relazioni umane, l’aspirazione
un’architettura tutta egualmente emergente in un unico ambiente continuo: la terra resa a un mondo reso improvvisamente più prensile e meno ingessato in stereotipi obsoleti
omogenea dalla tecnica, dalla cultura e da tutti gli inevitabili imperialismi”18. di comportamento, trovò nella plastica il suo referente ideale, il materiale che sembrava
Poco più di cinque anni separano le eccitate visioni della città telematica di Archigram corrispondere a una visione “leggera” e componibile del mondo. Il telefono, il televisore,
dal purismo nichilista degli scenari globali di Superstudio: la gioventù dorata che nei la radio diventano oggetti non ingombranti, che senza fatica è possibile appoggiare per
collages del gruppo inglese pareva direttamente uscita dalle patinate pagine di “Harper’s terra, trasportare, sollevare in analogia a quella nuova idea di libertà che la rivoluzione dei
Bazaar”, nei fotomontaggi di Superstudio lascia il posto ai primi rappresentanti di quella costumi, della musica, dell’arte contribuiva a divulgare come i canoni di quella che Banham
generazione permanentemente on the road che di lì a poco occuperanno le cronache della propose di definire una “estetica del provvisorio”21.
stampa alternativa degli anni Settanta. In un mondo che ha rinunciato all’architettura l’unico Analogamente la sperimentazione sulle nuove schiume sintetiche, incoraggiata da industrie
progetto da organizzare sarà quello della vita: una vita possibilmente senza oggetti — come di rilevanza mondiale come la Bayer, stimolò la messa a punto di un’estetica congruente alle
tenteranno di dimostrare nella celebre mostra del Moma nel 197219 —, senza città né castelli, potenzialità espressive del materiale: se la sua caratteristica è quella di consentire lo sviluppo
senza strade né piazze, in cui ogni punto equivale a un altro e, al di là dell’isterismo della nello spazio di forme sinuose e nastriformi, ne consegue un incoraggiamento a svilupparne
sovraproduzione e del consumo, si apre il silenzio di una calma interiore. Oltre l’oggetto, l’idea di libertà dai sistemi correnti di produzione legati ancora troppo schematicamente
insomma, la prospettiva di un paradiso terrestre come prodotto finale di una “metamorfosi alle obbligazioni della macchina. Allievo di Arne Jacobsen, il danese Verner Panton maturò
meravigliosa”. l’intuizione di trasportare l’organico comfort del design nordico dalla levigata naturalezza
dei materiali tradizionali all’aggressività sintetica dei poliesteri: nasce da questa prospettiva
Per un nuovo disordine il disegno della sedia in schiuma di poliuretano del 1960 che, nella sua traduzione in forme
fluide della famosa sedia Zig-Zag di Rietveld, segna il sostanziale trapasso dalla prima alla
Nel 1964 la tredicesima edizione della Triennale di Milano scelse di presentare alla coscienza seconda età della macchina. Il mondo immaginato da Panton in occasione di “Visiona 2”
critica del design internazionale il tema emergente degli anni del boom economico: il “Tempo nel 1970 è la più completa silloge dell’ideale percettivo del decennio appena trascorso e una
libero”. Dopo gli anni della ricostruzione e dell’esaltazione produttiva la profezia di una rappresentazione virtuale dei rituali dell’abitare “al suolo” dentro uno spazio concepito
società estetica chiamava a raccolta critici e operatori, industriali e artisti, per mettere a come un magmatico ritorno ad archetipi ancestrali.
fuoco le prospettive di quella inedita dimensione della società di massa i cui effetti parevano Percependo la logica della seconda generazione della macchina come un’inversione
sfuggire dalle mani dei suoi stessi artefici. La prefigurazione di quella libertà individuale e rispetto all’ascetico rigorismo del razionalismo storico si afferma dunque un’idea meno
collettiva promessa dall’ottimistica fiducia nella tecnologia e nel futuro apriva l’analisi a deterministica e unidirezionata del processo di produzione, cui in quegli anni Umberto
una nuova dimensione del tempo, sottratto ai ritmi dell’abituale ciclo della produzione e Eco assegnerà — con la nota metafora dell’“opera aperta” — le caratteristiche di un vero
del consumo. Il tempo del lavoro e il tempo liberato si contrapponevano nelle scenografie e proprio modello culturale cui ispirare anche le nuove regole della creazione estetica. Tra
a specchi del caleidoscopio allestito da P. Brivio, V. Gregotti, L. Meneghetti e G. Stoppino, regola e caso anzi comincia a delinearsi l’alternativa di una mediazione22, resa possibile da
evidenziando la fine di quell’intimismo introspettivo e autobiografico con cui la cultura un’impostazione dell’atto ideativo “aperta” alle interazioni dell’utente, che in tal modo
architettonica — non solo italiana —aveva inteso riallacciare, dopo la cesura della guerra, diventa un po’ meno consumatore e un po’ più creativo fruitore. La centralità di questa
il suo problematico rapporto con la memoria e con il passato. Messo in crisi il paradigma concezione “partecipativa” della civiltà dell’oggetto fu incarnata in Italia dall’arte cinetica
della continuità, riemergeva con prepotenza l’antico richiamo della modernità, ponendo e programmata prima ancora di riversarsi, quasi naturalmente, nel design, verso cui, per
di nuovo il futuro al centro della riflessione poetica e creativa. Del futuro la tecnologia altra via, ma con effetti talvolta singolarmente convergenti, a partire dalla seconda metà del
veniva individuata come la componente più caratterizzante e di conseguenza il design come decennio confluirono con dirompente vitalità tutte quelle ricerche variamente ispirate alle
la disciplina chiave per la comprensione dei rapporti tra società e sistema di produzione suggestioni artistiche del pop23.
industriale: “In questo modello — come è stato osservato — il design non è una funzione Ancora una volta, dunque, si trattava di definire il ruolo dell’oggetto nella nuova civiltà
soltanto industriale, impegnata a risolvere problemi produttivi, ma un’attività strategica, dell’immagine e del rapido consumo: il tema l’aveva posto, con la consueta irriverenza,
una cultura civile, immersa nel cambiamento della storia, e quindi in grado di fornire alla Reyner Banham: “Viviamo in un’economia dell’usa e getta, partecipiamo di una cultura
grande industria attraverso il prodotto una identità dentro la società”20. dove tutte le più fondamentali classificazioni delle idee e delle concezioni del mondo
La collaborazione di Marco Zanuso con la Brionvega o quella di Ettore Sottsass jr con vengono giudicate in funzione del loro consumo. È completamente assurdo chiedere a
la Olivetti rimangono in tal senso significative non solo dell’applicazione di un metodo oggetti programmati per una breve vita di esprimere valori eterni”24.

64 65
In questa ottica il mercato non è più il luogo del “peccato” estetico ma la forma più genuina 25 30 De Pas, Donato D’Urbino, Paolo Lornazzi, le lampade Passiflora di Superstudio, le
di un’autentica democrazia del gusto: come nella proposta artistica dei giovani inglesi e R. Venturi, D. Scott Brown, Non a caso, d’altra parte, ceramiche Yantra di Ettore Sottsass jr, oltre che i suoi numerosi “contenitori” in laminato
S. Izenour, Learning from proprio la poltrona Blow fu
americani il mercato — nella totalità della sua produzione merceologica — è l’inconsapevole plastico, ermetici e suggestivi come quelle architetture esoteriche indiane, meta delle sue
Las Vegas, Cambridge presentata all’Eurodomus
incunabolo di un’autentica arte popolare, le cui icone sono quotidianamente esposte negli (Mass.) - Londra, 1972. di Torino all’interno di un peregrinazioni in Oriente. Il panorama si arricchisce con i multipli in poliuretano della
scaffali di shopping centers ed empori commerciali. “Learning from the (super)market” padiglione pneumatico in Pvc Gufram di Torino che edita i Sassi di Pietro Gilardi, con il Sacco di Gatti, Paolini, Teodoro,
26 con Up di Gaetano Pesce, con la poltrona gonfiabile Blow di De Pas-D’Urbino-Lornazzi
si potrebbe dire, parafrasando il titolo del famoso libro di Robert Venturi25, l’architetto trasparente progettato dai suoi
E. Sottsass, Mobili 1964,
americano che nel 1966 aveva scosso il mondo del progetto con il suo “gentle manifesto”: in F. Di Castro (a cura di),
stessi autori. che trasferiscono la fascinazione per le strutture pneumatiche dalla scala dell’architettura a
“La giustificazione principale per l’uso di elementi banali nell’ordine architettonico — Sottsass’s Scrapbook, Milano, 31 quella dell’arredo30.
scriveva Venturi in Complexity and Contradiction in Architecture — è la loro esistenza 1976, pp. 58-59. R. Barthes, Mythologies, Colorato oggetto del desiderio di quanti si trovarono a condividere l’avventuroso gusto per
reale.” Tra il 1968 e il 1969 Ettore Sottsass (con Perry King) disegna e produce, per Olivetti, Parigi, 1957, cit. in “Edilizia modi di vita più trasgressivi e flessibili alle spinte del cambiamento, questa ibrida generazione
27
la macchina da scrivere portatile Valentine, pensata come “una nuova penna a biro, un Moderna”, n. 85, cit. di sedie, poltrone, lampade, mobili, contenitori attirò attenzione e sostegno di alcune riviste
A. Branzi, op. cit., p. 111.
oggetto da pochi soldi pronto per essere venduto anche nei mercati di paese”26. Rossa, specializzate e di parte della stampa quotidiana, che contribuirono a decretarne il successo
28 d’immagine, se non proprio quello industriale. Con Arrivano gli Archizoom “Domus”,
autosufficiente nella propria custodia-carrozzeria, la Valentine è indissolubile dalla sua Cit. in A. Pansera, ll design
immagine pubblicitaria, legata all’originale “manifesto” in Abs e all’altrettanto innovativa del mobile taliano dal 1946 a
nel 1967, diede avvio alla valanga pubblicitaria di quest’accattivante tribù di leggeri totem
campagna promozionale che la vedrà fotografata in tutto il mondo in mano alle più diverse oggi, Roma-Bari, 1990, p. 72. domestici, la cui penetrazione nell’immaginario collettivo del pubblico dei consumatori fu
persone. Come l’automobile culto Due Cavalli, la Valentine era piuttosto un attrezzo da garantita da un’efficace campagna fotografica che finalmente toglieva la rappresentazione
29
viaggio che un utensile da scrivania: attraverso un’immagine prepotentemente legata a un dell’arredo dall’asettica categoria dello still life commerciale per restituirne invece una
A. Natalini, Com’era ancora
colore suggeriva un’idea di nomadismo in un mondo dove muoversi era ormai diventato bella..., cit. teatralizzazione ludica e scanzonata più secondo i modi delle copertine dei dischi di musica
più importante che stare. Liberati dal carico della rappresentazione del design come Valore, beat che secondo i toni del catalogo di vendita. Catalizzatori di un’estetica dinamica, pronta
gli “oggetti” promuovono insomma una loro propria rivoluzione, ribellandosi ai canoni indifferentemente a misurarsi con il kitsch dell’arte popolare e il middlebrow dell’industria
stereotipati del buon gusto come corrispondenza univoca tra forma e funzione: non essendo culturale, questi frammenti di un nuovo disordine individuarono nell’immagine il terreno di
chiamati più a significare il teorema di una moralità di cui essi sarebbero gli obbedienti scontro e di costruzione di un nuovo paesaggio: contrariamente a quanto imputarono loro
corollari, colgono l’opportunità di rappresentare se stessi, sottraendosi alla necessità di i sostenitori di un design funzionalmente corretto, la scelta dell’immagine non fu tuttavia
dover sottostare a una coerente logica d’assieme. Ne deriva, come ha osservato Andrea una obbligata conseguenza della celebrazione degli aspetti più superficiali della civiltà
Branzi, “una nuova merceologia [...] che non pretendeva più di proporsi come prodotto dei consumi, ma una realistica — e poetica — accettazione del futuro riportato dentro il
definitivo, ma si autodefiniva parziale, e imponeva la sua presenza sulla base di una nuova presente: “L’oggetto — aveva scritto qualche anno prima Roland Barthes commentando la
funzionalità e di una valenza espressiva spesso originata da componenti più antropologiche nuova Citroén DS 19 — è il miglior messaggero del soprannaturale”31.
che industriali”27.
Arte di “strada” per definizione, la pop art introduce nella sfera del progetto complessità
e contraddizioni dell’electric age, pretendendo la validità di nuovi statuti comunicativi,
più aggressivi e disinibiti, attraverso cui rivitalizzare l’esangue “lingua morta” del design.
Raffreddata alquanto l’ossessione per il futuro dei primi anni Sessanta, il presente si impone
ora con una sua ironica attrazione. Se l’esperienza artistica di Warhol, di Oldenburg, di
Lichtenstein, di Hamilton, di Wesselmann fornisce il quadro di riferimento iconologico
del nuovo paesaggio quotidiano, altri stimoli provengono dalla diffusione della “street
fashion” giovanile, dalla grafica pubblicitaria, dal colorato caleidoscopio delle riviste
underground, dalla riscoperta del folklore e dalla suggestione delle culture esotiche
che tanta parte giocheranno nei comportamenti e nei miti della beat generation e dei
movimenti hippies. Nel clima surriscaldato di gioiosa trasgressione di questi anni molte
ricerche si intrecciano, dunque, in una geografia che, accanto a tratti unificanti derivanti
dalla diffusione massmediatica della musica, del cinema, della televisione, della letteratura,
alterna isole di precipua rilevanza nazionale, come dimostra il caso dell’esperienza italiana
da cui si definirà, agli inizi del nuovo decennio, quel complesso fenomeno dell’architettura
radicale” che troverà nella “Casabella” di Alessandro Mendini il suo più noto ed efficace
epicentro divulgativo.
Nel 1966, alla Galleria Jolly 2 di Pistoia, la mostra della “Superarchitettura” proponeva
l’accettazione della società dei consumi e della logica della produzione come campi dove
promuovere azioni di “demistificazione”: “La Superarchitettura — si leggeva in catalogo
— è l’architettura della superproduzione, del superconsumo, della superriduzione del
consumo, del supermarket, del superman, della benzina super28. Se ne sviluppò, come
ricorderà Adolfo Natalini29, un’operatività “un po’ alla disperata”, tra architettura e design:
un “antidesign” che, se irritò gli educati ambienti dei “professionisti” del design milanese,
paradossalmente attirò l’attenzione e l’entusiasmo dell’industria, in particolare della piccola
industria che con maggiore velocità seppe coglierne quel potenziale “concettualizzante” da
cui l’intero sistema del design avrebbe tratto in seguito motivo di rinnovamento se non di
rigenerazione.
A partire dal 1967, ad esempio, la produzione di Archizoom troverà nella Poltronova di
Sergio Cammini il suo interprete ideale: la Superonda, il divano Safari, la sedia elastica
Mies, la lampada Sanremo costituiscono alcuni prototipi di un “catalogo” che presto si
arricchirà di nuove icone, come il divano a forma di guantone da baseball, Joe, di Jonathan

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In questa ottica il mercato non è più il luogo del “peccato” estetico ma la forma più genuina 25 30 De Pas, Donato D’Urbino, Paolo Lornazzi, le lampade Passiflora di Superstudio, le
di un’autentica democrazia del gusto: come nella proposta artistica dei giovani inglesi e R. Venturi, D. Scott Brown, Non a caso, d’altra parte, ceramiche Yantra di Ettore Sottsass jr, oltre che i suoi numerosi “contenitori” in laminato
S. Izenour, Learning from proprio la poltrona Blow fu
americani il mercato — nella totalità della sua produzione merceologica — è l’inconsapevole plastico, ermetici e suggestivi come quelle architetture esoteriche indiane, meta delle sue
Las Vegas, Cambridge presentata all’Eurodomus
incunabolo di un’autentica arte popolare, le cui icone sono quotidianamente esposte negli (Mass.) - Londra, 1972. di Torino all’interno di un peregrinazioni in Oriente. Il panorama si arricchisce con i multipli in poliuretano della
scaffali di shopping centers ed empori commerciali. “Learning from the (super)market” padiglione pneumatico in Pvc Gufram di Torino che edita i Sassi di Pietro Gilardi, con il Sacco di Gatti, Paolini, Teodoro,
26 con Up di Gaetano Pesce, con la poltrona gonfiabile Blow di De Pas-D’Urbino-Lornazzi
si potrebbe dire, parafrasando il titolo del famoso libro di Robert Venturi25, l’architetto trasparente progettato dai suoi
E. Sottsass, Mobili 1964,
americano che nel 1966 aveva scosso il mondo del progetto con il suo “gentle manifesto”: in F. Di Castro (a cura di),
stessi autori. che trasferiscono la fascinazione per le strutture pneumatiche dalla scala dell’architettura a
“La giustificazione principale per l’uso di elementi banali nell’ordine architettonico — Sottsass’s Scrapbook, Milano, 31 quella dell’arredo30.
scriveva Venturi in Complexity and Contradiction in Architecture — è la loro esistenza 1976, pp. 58-59. R. Barthes, Mythologies, Colorato oggetto del desiderio di quanti si trovarono a condividere l’avventuroso gusto per
reale.” Tra il 1968 e il 1969 Ettore Sottsass (con Perry King) disegna e produce, per Olivetti, Parigi, 1957, cit. in “Edilizia modi di vita più trasgressivi e flessibili alle spinte del cambiamento, questa ibrida generazione
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la macchina da scrivere portatile Valentine, pensata come “una nuova penna a biro, un Moderna”, n. 85, cit. di sedie, poltrone, lampade, mobili, contenitori attirò attenzione e sostegno di alcune riviste
A. Branzi, op. cit., p. 111.
oggetto da pochi soldi pronto per essere venduto anche nei mercati di paese”26. Rossa, specializzate e di parte della stampa quotidiana, che contribuirono a decretarne il successo
28 d’immagine, se non proprio quello industriale. Con Arrivano gli Archizoom “Domus”,
autosufficiente nella propria custodia-carrozzeria, la Valentine è indissolubile dalla sua Cit. in A. Pansera, ll design
immagine pubblicitaria, legata all’originale “manifesto” in Abs e all’altrettanto innovativa del mobile taliano dal 1946 a
nel 1967, diede avvio alla valanga pubblicitaria di quest’accattivante tribù di leggeri totem
campagna promozionale che la vedrà fotografata in tutto il mondo in mano alle più diverse oggi, Roma-Bari, 1990, p. 72. domestici, la cui penetrazione nell’immaginario collettivo del pubblico dei consumatori fu
persone. Come l’automobile culto Due Cavalli, la Valentine era piuttosto un attrezzo da garantita da un’efficace campagna fotografica che finalmente toglieva la rappresentazione
29
viaggio che un utensile da scrivania: attraverso un’immagine prepotentemente legata a un dell’arredo dall’asettica categoria dello still life commerciale per restituirne invece una
A. Natalini, Com’era ancora
colore suggeriva un’idea di nomadismo in un mondo dove muoversi era ormai diventato bella..., cit. teatralizzazione ludica e scanzonata più secondo i modi delle copertine dei dischi di musica
più importante che stare. Liberati dal carico della rappresentazione del design come Valore, beat che secondo i toni del catalogo di vendita. Catalizzatori di un’estetica dinamica, pronta
gli “oggetti” promuovono insomma una loro propria rivoluzione, ribellandosi ai canoni indifferentemente a misurarsi con il kitsch dell’arte popolare e il middlebrow dell’industria
stereotipati del buon gusto come corrispondenza univoca tra forma e funzione: non essendo culturale, questi frammenti di un nuovo disordine individuarono nell’immagine il terreno di
chiamati più a significare il teorema di una moralità di cui essi sarebbero gli obbedienti scontro e di costruzione di un nuovo paesaggio: contrariamente a quanto imputarono loro
corollari, colgono l’opportunità di rappresentare se stessi, sottraendosi alla necessità di i sostenitori di un design funzionalmente corretto, la scelta dell’immagine non fu tuttavia
dover sottostare a una coerente logica d’assieme. Ne deriva, come ha osservato Andrea una obbligata conseguenza della celebrazione degli aspetti più superficiali della civiltà
Branzi, “una nuova merceologia [...] che non pretendeva più di proporsi come prodotto dei consumi, ma una realistica — e poetica — accettazione del futuro riportato dentro il
definitivo, ma si autodefiniva parziale, e imponeva la sua presenza sulla base di una nuova presente: “L’oggetto — aveva scritto qualche anno prima Roland Barthes commentando la
funzionalità e di una valenza espressiva spesso originata da componenti più antropologiche nuova Citroén DS 19 — è il miglior messaggero del soprannaturale”31.
che industriali”27.
Arte di “strada” per definizione, la pop art introduce nella sfera del progetto complessità
e contraddizioni dell’electric age, pretendendo la validità di nuovi statuti comunicativi,
più aggressivi e disinibiti, attraverso cui rivitalizzare l’esangue “lingua morta” del design.
Raffreddata alquanto l’ossessione per il futuro dei primi anni Sessanta, il presente si impone
ora con una sua ironica attrazione. Se l’esperienza artistica di Warhol, di Oldenburg, di
Lichtenstein, di Hamilton, di Wesselmann fornisce il quadro di riferimento iconologico
del nuovo paesaggio quotidiano, altri stimoli provengono dalla diffusione della “street
fashion” giovanile, dalla grafica pubblicitaria, dal colorato caleidoscopio delle riviste
underground, dalla riscoperta del folklore e dalla suggestione delle culture esotiche
che tanta parte giocheranno nei comportamenti e nei miti della beat generation e dei
movimenti hippies. Nel clima surriscaldato di gioiosa trasgressione di questi anni molte
ricerche si intrecciano, dunque, in una geografia che, accanto a tratti unificanti derivanti
dalla diffusione massmediatica della musica, del cinema, della televisione, della letteratura,
alterna isole di precipua rilevanza nazionale, come dimostra il caso dell’esperienza italiana
da cui si definirà, agli inizi del nuovo decennio, quel complesso fenomeno dell’architettura
radicale” che troverà nella “Casabella” di Alessandro Mendini il suo più noto ed efficace
epicentro divulgativo.
Nel 1966, alla Galleria Jolly 2 di Pistoia, la mostra della “Superarchitettura” proponeva
l’accettazione della società dei consumi e della logica della produzione come campi dove
promuovere azioni di “demistificazione”: “La Superarchitettura — si leggeva in catalogo
— è l’architettura della superproduzione, del superconsumo, della superriduzione del
consumo, del supermarket, del superman, della benzina super28. Se ne sviluppò, come
ricorderà Adolfo Natalini29, un’operatività “un po’ alla disperata”, tra architettura e design:
un “antidesign” che, se irritò gli educati ambienti dei “professionisti” del design milanese,
paradossalmente attirò l’attenzione e l’entusiasmo dell’industria, in particolare della piccola
industria che con maggiore velocità seppe coglierne quel potenziale “concettualizzante” da
cui l’intero sistema del design avrebbe tratto in seguito motivo di rinnovamento se non di
rigenerazione.
A partire dal 1967, ad esempio, la produzione di Archizoom troverà nella Poltronova di
Sergio Cammini il suo interprete ideale: la Superonda, il divano Safari, la sedia elastica
Mies, la lampada Sanremo costituiscono alcuni prototipi di un “catalogo” che presto si
arricchirà di nuove icone, come il divano a forma di guantone da baseball, Joe, di Jonathan

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Il gatto, il topo, la cultura e l’economia resti di indipendenza degli artisti di fronte al denaro; ormai, essi sono raramente altro
che i nuovi buffoni e cantanti di corte che debbono azzuffarsi per le briciole che i nuovi
padroni, sotto il nome di sponsor, gli gettano.
Questa è la situazione in cui viviamo oggi. Certo, molti provano un disagio vago di fronte
Anselm Jappe a questa “mercificazione della cultura” e preferirebbero che la cultura “di qualità” – a
seconda dei gusti, può trattarsi del “cinema d’autore”, dell’opera lirica o dell’artigianato
indigeno – non fosse trattata esattamente come la produzione di scarpe, giochi video o
viaggi turistici, cioè con la sola logica dell’investimento e del profitto. Evocano dunque
ciò che in Francia si chiama “l’eccezione culturale”: la spietata logica capitalistica va bene
Una delle favole dei fratelli Grimm si intitola Il gatto e il topo in società. Un gatto convince in tutto (e soprattutto là dove “noi” siamo i vincitori), ma che lasci gentilmente la cultura
un topo dell’amicizia che ha per lui; mettono su casa insieme, e in previsione dell’inverno fuori dalle sue grinfie. In verità, questa speranza mi sembra ingenua e senza molto senso.
comprano un vasetto di grasso che nascondono in una chiesa. Ma con il pretesto di dover Infatti, accettando la logica di base della concorrenza capitalistica, se ne accettano poi anche
andare a un battesimo, il gatto esce diverse volte e si mangia man mano tutto il grasso, tutte le conseguenze. Se è giusto che una scarpa o un viaggio siano considerati esclusivamente
divertendosi poi a dare risposte ambigue al topo su quanto ha fatto. Quando finalmente in base alla quantità di denaro che rappresentano, è alquanto illogico aspettarsi poi che
vanno insieme alla chiesa per mangiare il vasetto di grasso, il topo scopre l’inganno, e questa stessa logica si fermi davanti ai “prodotti” culturali. Qui vale lo stesso principio come
il gatto per tutta risposta mangia il topo. L’ultima frase della favola annuncia la morale: altrove: non ci si può opporre agli “eccessi” “liberisti” della mercificazione – ciò che oggi
“Così va il mondo”. fanno in molti – senza metterne in discussione i fondamenti, cosa che quasi nessuno fa. In
Direi che il rapporto tra la cultura e l’economia rischia fortemente di assomigliare a questa ogni caso, la speranza è vana, perché la logica globale della merce non rinuncia a dilaniare
favola, e vi lascio indovinare chi, tra la cultura e l’economia, svolge il ruolo del topo e
corpi di bambini, se può fare un piccolo guadagno con le mine anti-uomo; non si farà dunque
chi quello del gatto. Soprattutto oggi, nell’epoca del capitalismo pienamente sviluppato,
certo intimorire dalle rispettose rimostranze di cineasti francesi o di direttori di musei
globalizzato e neoliberale. Le questioni da affrontare, che vertono, tra l’altro, su chi deve
esasperati di dover strisciare sul ventre davanti a dei manager di Coca-Cola o dell’industria
finanziare le istituzioni culturali e quali aspettative, quale pubblico, deve soddisfare un
petrolchimica perché gli finanzino una mostra. La capitolazione incondizionata dell’arte di
museo, rientrano in una problematica più generale: quale è il posto della cultura nella
fronte agli imperativi economici è solo parte della mercificazione tendenzialmente totale di
società capitalistica odierna? Per tentare di rispondere, io prenderò dunque le cose un po’
ogni aspetto della vita, e non la si può mettere in discussione per la sola arte senza tentare
più alla larga.
di rompere con la dittatura dell’economia a tutti i livelli. Non c’è nessun motivo perché
A parte la produzione – materiale e immateriale – con cui ogni società deve soddisfare
proprio l’arte dovrebbe riuscire a mantenere la sua autonomia rispetto alla pura logica del
i bisogni vitali e fisici dei suoi membri, essa crea ugualmente una serie di costruzioni
profitto, se nessun’altra sfera ci riesce.
simboliche. Con queste, la società elabora la sua rappresentazione di se stessa e del
mondo in cui è inserita e propone, o impone, ai suoi membri delle identità e dei modi di Dunque, la necessità per il capitale di trovare sempre nuove aree di valorizzazione non
comportamento. Per parlarne non utilizzo qui il termine marxista di “sovrastruttura”, risparmia certo la cultura, ed è evidente che all’interno della cultura, in senso lato, la “industria
opposta alla presunta “base economica”, perché la produzione di senso può – secondo del divertimento” costituisce il suo oggetto di investimento principale. Già negli anni Settanta,
la società in questione – svolgere un ruolo altrettanto grande, se non più grande della il gruppo pop svedese “Abba” era il primo esportatore del paese, davanti all’industria
soddisfazione dei bisogni primari. La religione e la mitologia così come gli “usi e costumi” militare Saab; i Beatles furono fatti baronetti dalla Regina già nel 1965 a causa dell’enorme
quotidiani – soprattutto quelli relativi alla famiglia e alla riproduzione – nonché ciò che contributo dato all’economia inglese. Inoltre, l’industria dell’intrattenimento, dalla tv alla
dal Rinascimento in poi chiamiamo “arte” entrano in questa categoria del simbolico. Per musica rock, dal turismo alla people’s press, svolge un importante ruolo di pacificazione
molti versi, questi codici simbolici non erano nemmeno separati tra di loro nelle società sociale e di creazione di consenso, ottimamente riassunto nel concetto di “tittytainment”.
antiche, basti pensare al carattere largamente religioso di quasi tutta l’arte. Ma soprattutto Nel 1995 si riunì a San Francisco uno “State of the World Forum” cui parteciparono circa
non esisteva la separazione tra una sfera economica e un’altra sfera simbolica e culturale. 500 tra i personaggi più potenti del mondo (tra gli altri, Gorbaciov, Bush, Thatcher, Bill
Un oggetto poteva allo stesso tempo soddisfare un bisogno primario e avere un aspetto Gates...) per discutere della questione che cosa fare in futuro con quell’ottanta per cento
estetico. Storicamente, è stata la modernità capitalista e industriale a separare il “lavoro” della popolazione mondiale che non sarebbe più stato necessario per la produzione. Come
dalle altre attività, e a fare di esso e dei suoi prodotti, sotto il nome di “economia”, il soluzione fu proposto il “tittytainment”: alle popolazioni “superflue” e tendenzialmente
centro sovrano della vita sociale. In concomitanza, il lato culturale ed estetico, che nelle pericolose sarà destinato un miscuglio di nutrimento sufficiente e di intrattenimento, di
società preindustriali era inerente a ogni aspetto della vita, si concentra in una sfera a entertainment abbrutente, per ottenere uno stato di letargia beata simile a quella del neonato
parte. Questa sfera è apparentemente libera dalle costrizioni della sfera economica, e in che ha bevuto dai seni (tits in gergo americano) della madre. In altre parole, il ruolo centrale
essa può affiorare una verità critica, altrimenti repressa o rimossa, sulla vita sociale e la sua che svolge tradizionalmente la repressione per evitare i sovvertimenti sociali viene ormai
crescente sottomissione alle esigenze sempre più inumane della concorrenza economica. largamente affiancato dalla infantilizzazione.
Ma la cultura paga questa libertà con la sua marginalizzazione, con la sua riduzione a Il rapporto tra l’economia e la cultura non si limita dunque alla strumentalizzazione della
un “gioco” che, non facendo direttamente parte del ciclo di lavoro e accumulazione di cultura, al fastidio di vedere su ogni manifestazione artistica i logo degli sponsor – che, sia detto
capitale, rimane sempre in una posizione subordinata rispetto alla sfera economica e a en passant, finanziavano la cultura anche quarant’anni fa, ma attraverso le tasse che pagavano,
quelli che la governano. Ma nemmeno quell’“autonomia dell’arte”, che ha avuto il suo e dunque senza potersene vantare e soprattutto senza poterne influenzare le scelte. Tuttavia,
apogeo nel XIX secolo, ha potuto resistere alla dinamica del capitalismo, volto a fagocitare il rapporto tra la fase attuale del capitalismo e la fase attuale della “produzione culturale” va
tutto e a non lasciare niente al di fuori dalla sua logica di valorizzazione. Prima, le opere ancora più lontano. C’è una idiosincrasia profonda tra l’industria dell’intrattenimento e la
dell’arte autonoma – per esempio i quadri – sono entrati nel mercato, diventando merci spinta del capitalismo verso l’infantilizzazione e verso il narcisismo. L’economia materiale è
come le altre. Poi, la produzione stessa di “beni culturali” è stata mercificata, mirando largamente unita alle nuove forme dell’“economia psichica e libidinale”. Per spiegare quello
fin dall’inizio solo al profitto e non alla qualità artistica intrinseca. Questo è lo stadio che voglio dire, devo un’altra volta tentare di esporne in poche parole i presupposti.
dell’“industria culturale”, descritto inizialmente da Theodor Adorno, Max Horkheimer, Il mondo contemporaneo si caratterizza per il prevalere ormai totale di quel fenomeno
Herbert Marcuse e Günther Anders nei primi anni Quaranta del secolo scorso. In seguito, che Karl Marx ha chiamato feticismo della merce. Questo termine, spesso frainteso, indica
si è assistito a una specie di perversa reintegrazione della cultura nella vita, ma solo in molto più di un’adorazione esagerata delle merci, e neanche vuole solo indicare una semplice
quanto ornamento della produzione di merci, cioè sotto forma di design, pubblicità, moda mistificazione. Si riferisce al fatto che nella società moderna e capitalistica la maggior parte
ecc. La quasi-sparizione delle istituzioni culturali pubbliche ha infine eliminato gli ultimi delle attività sociali prendono la forma di una merce, materiale o immateriale che sia.

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Il gatto, il topo, la cultura e l’economia resti di indipendenza degli artisti di fronte al denaro; ormai, essi sono raramente altro
che i nuovi buffoni e cantanti di corte che debbono azzuffarsi per le briciole che i nuovi
padroni, sotto il nome di sponsor, gli gettano.
Questa è la situazione in cui viviamo oggi. Certo, molti provano un disagio vago di fronte
Anselm Jappe a questa “mercificazione della cultura” e preferirebbero che la cultura “di qualità” – a
seconda dei gusti, può trattarsi del “cinema d’autore”, dell’opera lirica o dell’artigianato
indigeno – non fosse trattata esattamente come la produzione di scarpe, giochi video o
viaggi turistici, cioè con la sola logica dell’investimento e del profitto. Evocano dunque
ciò che in Francia si chiama “l’eccezione culturale”: la spietata logica capitalistica va bene
Una delle favole dei fratelli Grimm si intitola Il gatto e il topo in società. Un gatto convince in tutto (e soprattutto là dove “noi” siamo i vincitori), ma che lasci gentilmente la cultura
un topo dell’amicizia che ha per lui; mettono su casa insieme, e in previsione dell’inverno fuori dalle sue grinfie. In verità, questa speranza mi sembra ingenua e senza molto senso.
comprano un vasetto di grasso che nascondono in una chiesa. Ma con il pretesto di dover Infatti, accettando la logica di base della concorrenza capitalistica, se ne accettano poi anche
andare a un battesimo, il gatto esce diverse volte e si mangia man mano tutto il grasso, tutte le conseguenze. Se è giusto che una scarpa o un viaggio siano considerati esclusivamente
divertendosi poi a dare risposte ambigue al topo su quanto ha fatto. Quando finalmente in base alla quantità di denaro che rappresentano, è alquanto illogico aspettarsi poi che
vanno insieme alla chiesa per mangiare il vasetto di grasso, il topo scopre l’inganno, e questa stessa logica si fermi davanti ai “prodotti” culturali. Qui vale lo stesso principio come
il gatto per tutta risposta mangia il topo. L’ultima frase della favola annuncia la morale: altrove: non ci si può opporre agli “eccessi” “liberisti” della mercificazione – ciò che oggi
“Così va il mondo”. fanno in molti – senza metterne in discussione i fondamenti, cosa che quasi nessuno fa. In
Direi che il rapporto tra la cultura e l’economia rischia fortemente di assomigliare a questa ogni caso, la speranza è vana, perché la logica globale della merce non rinuncia a dilaniare
favola, e vi lascio indovinare chi, tra la cultura e l’economia, svolge il ruolo del topo e
corpi di bambini, se può fare un piccolo guadagno con le mine anti-uomo; non si farà dunque
chi quello del gatto. Soprattutto oggi, nell’epoca del capitalismo pienamente sviluppato,
certo intimorire dalle rispettose rimostranze di cineasti francesi o di direttori di musei
globalizzato e neoliberale. Le questioni da affrontare, che vertono, tra l’altro, su chi deve
esasperati di dover strisciare sul ventre davanti a dei manager di Coca-Cola o dell’industria
finanziare le istituzioni culturali e quali aspettative, quale pubblico, deve soddisfare un
petrolchimica perché gli finanzino una mostra. La capitolazione incondizionata dell’arte di
museo, rientrano in una problematica più generale: quale è il posto della cultura nella
fronte agli imperativi economici è solo parte della mercificazione tendenzialmente totale di
società capitalistica odierna? Per tentare di rispondere, io prenderò dunque le cose un po’
ogni aspetto della vita, e non la si può mettere in discussione per la sola arte senza tentare
più alla larga.
di rompere con la dittatura dell’economia a tutti i livelli. Non c’è nessun motivo perché
A parte la produzione – materiale e immateriale – con cui ogni società deve soddisfare
proprio l’arte dovrebbe riuscire a mantenere la sua autonomia rispetto alla pura logica del
i bisogni vitali e fisici dei suoi membri, essa crea ugualmente una serie di costruzioni
profitto, se nessun’altra sfera ci riesce.
simboliche. Con queste, la società elabora la sua rappresentazione di se stessa e del
mondo in cui è inserita e propone, o impone, ai suoi membri delle identità e dei modi di Dunque, la necessità per il capitale di trovare sempre nuove aree di valorizzazione non
comportamento. Per parlarne non utilizzo qui il termine marxista di “sovrastruttura”, risparmia certo la cultura, ed è evidente che all’interno della cultura, in senso lato, la “industria
opposta alla presunta “base economica”, perché la produzione di senso può – secondo del divertimento” costituisce il suo oggetto di investimento principale. Già negli anni Settanta,
la società in questione – svolgere un ruolo altrettanto grande, se non più grande della il gruppo pop svedese “Abba” era il primo esportatore del paese, davanti all’industria
soddisfazione dei bisogni primari. La religione e la mitologia così come gli “usi e costumi” militare Saab; i Beatles furono fatti baronetti dalla Regina già nel 1965 a causa dell’enorme
quotidiani – soprattutto quelli relativi alla famiglia e alla riproduzione – nonché ciò che contributo dato all’economia inglese. Inoltre, l’industria dell’intrattenimento, dalla tv alla
dal Rinascimento in poi chiamiamo “arte” entrano in questa categoria del simbolico. Per musica rock, dal turismo alla people’s press, svolge un importante ruolo di pacificazione
molti versi, questi codici simbolici non erano nemmeno separati tra di loro nelle società sociale e di creazione di consenso, ottimamente riassunto nel concetto di “tittytainment”.
antiche, basti pensare al carattere largamente religioso di quasi tutta l’arte. Ma soprattutto Nel 1995 si riunì a San Francisco uno “State of the World Forum” cui parteciparono circa
non esisteva la separazione tra una sfera economica e un’altra sfera simbolica e culturale. 500 tra i personaggi più potenti del mondo (tra gli altri, Gorbaciov, Bush, Thatcher, Bill
Un oggetto poteva allo stesso tempo soddisfare un bisogno primario e avere un aspetto Gates...) per discutere della questione che cosa fare in futuro con quell’ottanta per cento
estetico. Storicamente, è stata la modernità capitalista e industriale a separare il “lavoro” della popolazione mondiale che non sarebbe più stato necessario per la produzione. Come
dalle altre attività, e a fare di esso e dei suoi prodotti, sotto il nome di “economia”, il soluzione fu proposto il “tittytainment”: alle popolazioni “superflue” e tendenzialmente
centro sovrano della vita sociale. In concomitanza, il lato culturale ed estetico, che nelle pericolose sarà destinato un miscuglio di nutrimento sufficiente e di intrattenimento, di
società preindustriali era inerente a ogni aspetto della vita, si concentra in una sfera a entertainment abbrutente, per ottenere uno stato di letargia beata simile a quella del neonato
parte. Questa sfera è apparentemente libera dalle costrizioni della sfera economica, e in che ha bevuto dai seni (tits in gergo americano) della madre. In altre parole, il ruolo centrale
essa può affiorare una verità critica, altrimenti repressa o rimossa, sulla vita sociale e la sua che svolge tradizionalmente la repressione per evitare i sovvertimenti sociali viene ormai
crescente sottomissione alle esigenze sempre più inumane della concorrenza economica. largamente affiancato dalla infantilizzazione.
Ma la cultura paga questa libertà con la sua marginalizzazione, con la sua riduzione a Il rapporto tra l’economia e la cultura non si limita dunque alla strumentalizzazione della
un “gioco” che, non facendo direttamente parte del ciclo di lavoro e accumulazione di cultura, al fastidio di vedere su ogni manifestazione artistica i logo degli sponsor – che, sia detto
capitale, rimane sempre in una posizione subordinata rispetto alla sfera economica e a en passant, finanziavano la cultura anche quarant’anni fa, ma attraverso le tasse che pagavano,
quelli che la governano. Ma nemmeno quell’“autonomia dell’arte”, che ha avuto il suo e dunque senza potersene vantare e soprattutto senza poterne influenzare le scelte. Tuttavia,
apogeo nel XIX secolo, ha potuto resistere alla dinamica del capitalismo, volto a fagocitare il rapporto tra la fase attuale del capitalismo e la fase attuale della “produzione culturale” va
tutto e a non lasciare niente al di fuori dalla sua logica di valorizzazione. Prima, le opere ancora più lontano. C’è una idiosincrasia profonda tra l’industria dell’intrattenimento e la
dell’arte autonoma – per esempio i quadri – sono entrati nel mercato, diventando merci spinta del capitalismo verso l’infantilizzazione e verso il narcisismo. L’economia materiale è
come le altre. Poi, la produzione stessa di “beni culturali” è stata mercificata, mirando largamente unita alle nuove forme dell’“economia psichica e libidinale”. Per spiegare quello
fin dall’inizio solo al profitto e non alla qualità artistica intrinseca. Questo è lo stadio che voglio dire, devo un’altra volta tentare di esporne in poche parole i presupposti.
dell’“industria culturale”, descritto inizialmente da Theodor Adorno, Max Horkheimer, Il mondo contemporaneo si caratterizza per il prevalere ormai totale di quel fenomeno
Herbert Marcuse e Günther Anders nei primi anni Quaranta del secolo scorso. In seguito, che Karl Marx ha chiamato feticismo della merce. Questo termine, spesso frainteso, indica
si è assistito a una specie di perversa reintegrazione della cultura nella vita, ma solo in molto più di un’adorazione esagerata delle merci, e neanche vuole solo indicare una semplice
quanto ornamento della produzione di merci, cioè sotto forma di design, pubblicità, moda mistificazione. Si riferisce al fatto che nella società moderna e capitalistica la maggior parte
ecc. La quasi-sparizione delle istituzioni culturali pubbliche ha infine eliminato gli ultimi delle attività sociali prendono la forma di una merce, materiale o immateriale che sia.

68 69
Il valore di una merce è determinato dal tempo di lavoro necessario per la sua produzione. psicosi. Il bambino non dispone dunque di una perfezione originaria, né abbandona
Non sono le qualità concrete degli oggetti a decidere del loro destino, ma la quantità di spontaneamente il suo narcisismo iniziale. Ha bisogno di essere guidato per poter accedere
lavoro incorporata in loro – e questa quantità si esprime sempre in una somma di denaro. al pieno sviluppo della sua umanità. Le costruzioni simboliche caratteristiche di ogni
I prodotti che ha creato l’uomo cominciano così a condurre una vita autonoma, governata cultura svolgono evidentemente un ruolo essenziale in questo processo e costituiscono
dalle leggi del denaro e della sua accumulazione in capitale. Bisogna prendere alla lettera a questo titolo un patrimonio prezioso dell’umanità (anche se non tutte le costruzioni
il termine “feticismo della merce”: gli uomini moderni si comportano come quelli che simboliche tradizionali sembrano ugualmente atte a promuovere una vita umana piena,
chiamano i “selvaggi”: venerano i feticci che loro stessi hanno prodotto, attribuendogli ma questa è un’altra questione). Al contrario di questo, il capitalismo nella sua fase più
una vita indipendente e il potere di governare gli uomini. Questo feticismo della merce recente – diciamo dagli anni Settanta in poi –, in cui il consumo e la seduzione sembrano
non è un’illusione o un inganno, ma il modo di funzionamento reale della società della aver sostituito la produzione e la repressione come motore e modalità dello sviluppo,
merce. Domina ormai tutti i settori della vita, ben al di là dell’economia. Questa religione rappresenta storicamente l’unica società che promuove una massiccia infantilizzazione dei
materializzata comporta tra l’altro che tutti gli oggetti e tutti gli atti, in quanto merci, sono soggetti, legata a una desimbolizzazione. Ormai, tutto cospira a mantenere l’essere umano
uguali. Non sono nient’altro che delle quantità più o meno grandi di lavoro accumulato, e in una condizione infantile. Tutti gli ambiti della cultura, dal fumetto alla televisione, dalle
dunque di denaro. è il mercato che esegue quest’omologazione, indipendentemente dalle tecniche di restauro delle opere antiche alla pubblicità, dai giochi video ai programmi
intenzioni soggettive degli attori. Il regno della merce è dunque terribilmente monotono, scolastici, dallo sport di massa agli psicofarmaci, da Second life fino alle esposizioni attuali
ed è addirittura senza contenuto proprio. Una forma vuota e astratta, sempre la stessa, nei musei, contribuisce a creare un consumatore docile e narcisista che vede nel mondo
una pura quantità senza qualità – il denaro – s’impone man mano alla infinita molteplicità intero una sua estensione, governabile con un mouseclick.
concreta del mondo. La merce e il denaro sono indifferenti al mondo che per loro non è
Non può perciò esistere nessuna scusa o giustificazione per l’industria del divertimento
altro che un materiale da utilizzare. L’esistenza stessa di un mondo concreto, con le sue
e per l’adattamento della cultura alle esigenze del mercato che hanno contribuito così
leggi e le sue resistenze, è alla fine un ostacolo per l’accumulazione del capitale che non
potentemente alle tendenze regressive. Ci si può dunque chiedere perché un tale degrado
conosce altro scopo che se stesso. Per trasformare ogni somma di denaro in una somma
ha suscitato così poca opposizione. In effetti, tutti hanno contribuito a questa situazione:
più grande, il capitalismo consuma il mondo intero – sul piano sociale, ecologico, estetico,
la destra, perché crede comunque e sempre al mercato, almeno da quando è diventata
etico. Dietro la merce e il suo feticismo si nasconde una vera e propria “pulsione di morte”,
interamente liberale. La sinistra, perché crede nell’uguaglianza dei cittadini. Quello che è
una tendenza, incosciente ma potente, verso l’annientamento del mondo.
più curioso è proprio il ruolo svolto dalla sinistra in questo adeguamento della cultura alle
L’equivalente del feticismo della merce nella vita psichica individuale è il narcisismo. Qui,
esigenze del neo-capitalismo. La sinistra ha costituito spesso l’avanguardia, il battistrada
questo termine non indica, come nel linguaggio corrente, un’adorazione del proprio
nella trasformazione della cultura in una merce. Tutto si è svolto all’insegna delle parole
corpo, o della propria persona. Si tratta piuttosto di una grave patologia, ben conosciuta
magiche “democratizzazione” e “uguaglianza”. La cultura deve essere a disposizione di
nella psicoanalisi: significa che una persona adulta conserva la struttura psichica dei
tutti. Chi può negare che si tratti di un’aspirazione nobile? Molto più rapidamente della
primissimi tempi della sua infanzia, quando ancora non c’è distinzione tra l’Io e il mondo.
destra, la sinistra – “moderata” o “radicale” che sia – ha abbandonato – soprattutto dopo
Ogni oggetto esterno è vissuto dal narcisista come una proiezione del proprio Io. Ma in
il ’68 – ogni idea che possa esistere una differenza qualitativa tra espressioni culturali.
verità questo Io rimane terribilmente povero a causa della sua incapacità di arricchirsi in
Spiegate a un qualsiasi rappresentante della sinistra culturale che Beethoven vale più di
veri rapporti oggettuali con oggetti esterni – in effetti, il soggetto, per farlo, dovrebbe
un rap o che i bambini farebbero meglio a imparare a memoria delle poesie piuttosto che
prima riconoscere l’esistenza del mondo esterno e la sua propria dipendenza da esso,
giocare alla play station, e lui vi chiamerà automaticamente “reazionario” e “elitista”. La
e dunque anche i propri limiti. Il narcisista può sembrare una persona “normale”; in
sinistra ha fatto quasi ovunque la pace con le gerarchie di reddito e di potere, trovandole
verità non è mai uscito dalla fusione originaria con il mondo circostante e fa di tutto per
inevitabili o addirittura piacevoli, benché i danni che fanno siano sotto gli occhi di tutti.
mantenere l’illusione di onnipotenza che ne deriva. Questa forma di psicosi, rara all’epoca
Ha invece voluto abolire le gerarchie là dove queste possono avere un senso, a condizione
di Sigmund Freud, che la descrisse per primo, è diventata da allora uno dei disturbi
che non siano stabilite una volta per tutte, ma mutabili: quelle dell’intelligenza, del gusto,
psichici principali; se ne vedono le tracce un po’ ovunque. E non è un caso: vi si trova la
della sensibilità, del talento. Ma anche coloro che ammettono il decadimento della cultura
stessa perdita del reale, la stessa assenza del mondo – di un mondo riconosciuto nella sua
generale, vi aggiungono, come un riflesso condizionato, che una volta la cultura era
autonomia fondamentale – che caratterizza il feticismo della merce. D’altronde, questa
forse di livello più alto, ma era l’appannaggio di un’infima minoranza, mentre la grande
negazione drastica dell’esistenza di un mondo indipendente dalle nostre azioni e dai nostri
maggioranza sprofondava nell’analfabetismo. Oggi invece tutti vi avrebbero accesso. A
desideri ha costituito fin dall’inizio il centro della modernità: è il programma enunciato
me sembra però che i bambini che oggi crescono con Omero e Shakespeare o Cervantes
da Descartes quando aveva scoperto nell’esistenza della propria persona l’unica certezza
costituiscano una minoranza ancora più infima di quella di una volta. L’industria del
possibile.
divertimento ha semplicemente sostituito una forma di ignoranza con un’altra, così come
In una società basata sulla produzione di merci era inevitabile, a lungo andare, che il l’enorme aumento di persone che hanno un diploma di scuola superiore o che frequentano
narcisismo diventasse la forma psichica prevalente. Ora, è evidente che l’enorme sviluppo l’Università non sembra aver incrementato molto il numero delle persone che veramente
dell’industria del divertimento sia allo stesso tempo causa e conseguenza di questa fioritura sanno qualcosa. In Francia, per esempio, si può fare un master universitario su dei temi e
del narcisismo. In questo modo, tale industria partecipa a quella vera e propria “regressione con delle conoscenze che trent’anni fa sarebbero stati insufficienti per ottenere il diploma
antropologica” cui ci porta ormai il capitalismo: un annullamento progressivo delle tappe di una scuola media tecnica. Non oso sperare che in Messico sia molto diverso. Così è
dell’umanizzazione in cui stava l’essenza della storia antecedente. Anche qui, il discorso facile che ogni anno il cinquanta per cento dei giovani consegue il diploma liceale – che
da fare sarebbe molto lungo. Mi limito a ricordarvi le tappe per cui ogni essere umano, grande vittoria della democratizzazione.
secondo le conclusioni della psicoanalisi, deve passare nel suo primo sviluppo psichico. Non si possono chiamare i prodotti dell’industria del divertimento una “cultura di massa”
Deve superare quel senso di fusione rassicurante con la madre che caratterizza il primo anno o “cultura popolare”, come suggerisce per esempio il termine “musica pop”, e come
(si tratta di ciò che Freud chiama “narcisismo primario”, una tappa comunque necessaria) affermano tutti coloro che accusano di “elitismo” ogni critica di ciò che in verità non è
e passare attraverso i dolori del conflitto edipico per arrivare a una realistica valutazione altro che la “formattazione” delle masse, per utilizzare una parola contemporanea assai
delle proprie forze e dei propri limiti, rinunciando ai sogni infantili di onnipotenza. Solo eloquente. Il relativismo generalizzato e il rifiuto di ogni gerarchia culturale si sono spesso
così può nascere una persona psicologicamente equilibrata. L’educazione tradizionale spacciati, soprattutto nell’epoca “postmoderna”, per forme di emancipazione e di critica
mirava, più o meno bene, a questo: sostituire il principio di piacere con il principio di sociale, per esempio in nome delle culture “subalterne”. A me sembra evidente che sono
realtà, ma senza uccidere del tutto il principio di piacere. Le tappe non correttamente un riflesso culturale del dominio della merce. Come abbiamo già visto, la merce è una pura
risolte dello sviluppo psicologico dell’individuo danno luogo a nevrosi e addirittura quantità di lavoro e dunque di denaro, sempre uguale, incapace di distinzioni qualitative.

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Il valore di una merce è determinato dal tempo di lavoro necessario per la sua produzione. psicosi. Il bambino non dispone dunque di una perfezione originaria, né abbandona
Non sono le qualità concrete degli oggetti a decidere del loro destino, ma la quantità di spontaneamente il suo narcisismo iniziale. Ha bisogno di essere guidato per poter accedere
lavoro incorporata in loro – e questa quantità si esprime sempre in una somma di denaro. al pieno sviluppo della sua umanità. Le costruzioni simboliche caratteristiche di ogni
I prodotti che ha creato l’uomo cominciano così a condurre una vita autonoma, governata cultura svolgono evidentemente un ruolo essenziale in questo processo e costituiscono
dalle leggi del denaro e della sua accumulazione in capitale. Bisogna prendere alla lettera a questo titolo un patrimonio prezioso dell’umanità (anche se non tutte le costruzioni
il termine “feticismo della merce”: gli uomini moderni si comportano come quelli che simboliche tradizionali sembrano ugualmente atte a promuovere una vita umana piena,
chiamano i “selvaggi”: venerano i feticci che loro stessi hanno prodotto, attribuendogli ma questa è un’altra questione). Al contrario di questo, il capitalismo nella sua fase più
una vita indipendente e il potere di governare gli uomini. Questo feticismo della merce recente – diciamo dagli anni Settanta in poi –, in cui il consumo e la seduzione sembrano
non è un’illusione o un inganno, ma il modo di funzionamento reale della società della aver sostituito la produzione e la repressione come motore e modalità dello sviluppo,
merce. Domina ormai tutti i settori della vita, ben al di là dell’economia. Questa religione rappresenta storicamente l’unica società che promuove una massiccia infantilizzazione dei
materializzata comporta tra l’altro che tutti gli oggetti e tutti gli atti, in quanto merci, sono soggetti, legata a una desimbolizzazione. Ormai, tutto cospira a mantenere l’essere umano
uguali. Non sono nient’altro che delle quantità più o meno grandi di lavoro accumulato, e in una condizione infantile. Tutti gli ambiti della cultura, dal fumetto alla televisione, dalle
dunque di denaro. è il mercato che esegue quest’omologazione, indipendentemente dalle tecniche di restauro delle opere antiche alla pubblicità, dai giochi video ai programmi
intenzioni soggettive degli attori. Il regno della merce è dunque terribilmente monotono, scolastici, dallo sport di massa agli psicofarmaci, da Second life fino alle esposizioni attuali
ed è addirittura senza contenuto proprio. Una forma vuota e astratta, sempre la stessa, nei musei, contribuisce a creare un consumatore docile e narcisista che vede nel mondo
una pura quantità senza qualità – il denaro – s’impone man mano alla infinita molteplicità intero una sua estensione, governabile con un mouseclick.
concreta del mondo. La merce e il denaro sono indifferenti al mondo che per loro non è
Non può perciò esistere nessuna scusa o giustificazione per l’industria del divertimento
altro che un materiale da utilizzare. L’esistenza stessa di un mondo concreto, con le sue
e per l’adattamento della cultura alle esigenze del mercato che hanno contribuito così
leggi e le sue resistenze, è alla fine un ostacolo per l’accumulazione del capitale che non
potentemente alle tendenze regressive. Ci si può dunque chiedere perché un tale degrado
conosce altro scopo che se stesso. Per trasformare ogni somma di denaro in una somma
ha suscitato così poca opposizione. In effetti, tutti hanno contribuito a questa situazione:
più grande, il capitalismo consuma il mondo intero – sul piano sociale, ecologico, estetico,
la destra, perché crede comunque e sempre al mercato, almeno da quando è diventata
etico. Dietro la merce e il suo feticismo si nasconde una vera e propria “pulsione di morte”,
interamente liberale. La sinistra, perché crede nell’uguaglianza dei cittadini. Quello che è
una tendenza, incosciente ma potente, verso l’annientamento del mondo.
più curioso è proprio il ruolo svolto dalla sinistra in questo adeguamento della cultura alle
L’equivalente del feticismo della merce nella vita psichica individuale è il narcisismo. Qui,
esigenze del neo-capitalismo. La sinistra ha costituito spesso l’avanguardia, il battistrada
questo termine non indica, come nel linguaggio corrente, un’adorazione del proprio
nella trasformazione della cultura in una merce. Tutto si è svolto all’insegna delle parole
corpo, o della propria persona. Si tratta piuttosto di una grave patologia, ben conosciuta
magiche “democratizzazione” e “uguaglianza”. La cultura deve essere a disposizione di
nella psicoanalisi: significa che una persona adulta conserva la struttura psichica dei
tutti. Chi può negare che si tratti di un’aspirazione nobile? Molto più rapidamente della
primissimi tempi della sua infanzia, quando ancora non c’è distinzione tra l’Io e il mondo.
destra, la sinistra – “moderata” o “radicale” che sia – ha abbandonato – soprattutto dopo
Ogni oggetto esterno è vissuto dal narcisista come una proiezione del proprio Io. Ma in
il ’68 – ogni idea che possa esistere una differenza qualitativa tra espressioni culturali.
verità questo Io rimane terribilmente povero a causa della sua incapacità di arricchirsi in
Spiegate a un qualsiasi rappresentante della sinistra culturale che Beethoven vale più di
veri rapporti oggettuali con oggetti esterni – in effetti, il soggetto, per farlo, dovrebbe
un rap o che i bambini farebbero meglio a imparare a memoria delle poesie piuttosto che
prima riconoscere l’esistenza del mondo esterno e la sua propria dipendenza da esso,
giocare alla play station, e lui vi chiamerà automaticamente “reazionario” e “elitista”. La
e dunque anche i propri limiti. Il narcisista può sembrare una persona “normale”; in
sinistra ha fatto quasi ovunque la pace con le gerarchie di reddito e di potere, trovandole
verità non è mai uscito dalla fusione originaria con il mondo circostante e fa di tutto per
inevitabili o addirittura piacevoli, benché i danni che fanno siano sotto gli occhi di tutti.
mantenere l’illusione di onnipotenza che ne deriva. Questa forma di psicosi, rara all’epoca
Ha invece voluto abolire le gerarchie là dove queste possono avere un senso, a condizione
di Sigmund Freud, che la descrisse per primo, è diventata da allora uno dei disturbi
che non siano stabilite una volta per tutte, ma mutabili: quelle dell’intelligenza, del gusto,
psichici principali; se ne vedono le tracce un po’ ovunque. E non è un caso: vi si trova la
della sensibilità, del talento. Ma anche coloro che ammettono il decadimento della cultura
stessa perdita del reale, la stessa assenza del mondo – di un mondo riconosciuto nella sua
generale, vi aggiungono, come un riflesso condizionato, che una volta la cultura era
autonomia fondamentale – che caratterizza il feticismo della merce. D’altronde, questa
forse di livello più alto, ma era l’appannaggio di un’infima minoranza, mentre la grande
negazione drastica dell’esistenza di un mondo indipendente dalle nostre azioni e dai nostri
maggioranza sprofondava nell’analfabetismo. Oggi invece tutti vi avrebbero accesso. A
desideri ha costituito fin dall’inizio il centro della modernità: è il programma enunciato
me sembra però che i bambini che oggi crescono con Omero e Shakespeare o Cervantes
da Descartes quando aveva scoperto nell’esistenza della propria persona l’unica certezza
costituiscano una minoranza ancora più infima di quella di una volta. L’industria del
possibile.
divertimento ha semplicemente sostituito una forma di ignoranza con un’altra, così come
In una società basata sulla produzione di merci era inevitabile, a lungo andare, che il l’enorme aumento di persone che hanno un diploma di scuola superiore o che frequentano
narcisismo diventasse la forma psichica prevalente. Ora, è evidente che l’enorme sviluppo l’Università non sembra aver incrementato molto il numero delle persone che veramente
dell’industria del divertimento sia allo stesso tempo causa e conseguenza di questa fioritura sanno qualcosa. In Francia, per esempio, si può fare un master universitario su dei temi e
del narcisismo. In questo modo, tale industria partecipa a quella vera e propria “regressione con delle conoscenze che trent’anni fa sarebbero stati insufficienti per ottenere il diploma
antropologica” cui ci porta ormai il capitalismo: un annullamento progressivo delle tappe di una scuola media tecnica. Non oso sperare che in Messico sia molto diverso. Così è
dell’umanizzazione in cui stava l’essenza della storia antecedente. Anche qui, il discorso facile che ogni anno il cinquanta per cento dei giovani consegue il diploma liceale – che
da fare sarebbe molto lungo. Mi limito a ricordarvi le tappe per cui ogni essere umano, grande vittoria della democratizzazione.
secondo le conclusioni della psicoanalisi, deve passare nel suo primo sviluppo psichico. Non si possono chiamare i prodotti dell’industria del divertimento una “cultura di massa”
Deve superare quel senso di fusione rassicurante con la madre che caratterizza il primo anno o “cultura popolare”, come suggerisce per esempio il termine “musica pop”, e come
(si tratta di ciò che Freud chiama “narcisismo primario”, una tappa comunque necessaria) affermano tutti coloro che accusano di “elitismo” ogni critica di ciò che in verità non è
e passare attraverso i dolori del conflitto edipico per arrivare a una realistica valutazione altro che la “formattazione” delle masse, per utilizzare una parola contemporanea assai
delle proprie forze e dei propri limiti, rinunciando ai sogni infantili di onnipotenza. Solo eloquente. Il relativismo generalizzato e il rifiuto di ogni gerarchia culturale si sono spesso
così può nascere una persona psicologicamente equilibrata. L’educazione tradizionale spacciati, soprattutto nell’epoca “postmoderna”, per forme di emancipazione e di critica
mirava, più o meno bene, a questo: sostituire il principio di piacere con il principio di sociale, per esempio in nome delle culture “subalterne”. A me sembra evidente che sono
realtà, ma senza uccidere del tutto il principio di piacere. Le tappe non correttamente un riflesso culturale del dominio della merce. Come abbiamo già visto, la merce è una pura
risolte dello sviluppo psicologico dell’individuo danno luogo a nevrosi e addirittura quantità di lavoro e dunque di denaro, sempre uguale, incapace di distinzioni qualitative.

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Davanti alla merce, tutto è uguale. Tutto è solo del materiale per il processo sempre uguale Era talvolta capace di scuotere l’osservatore, cioè il publico, capace di dire “no” non solo
di valorizzazione del valore. Questa indifferenza della merce per ogni contenuto si ritrova alla società, ma anche alla costituzione di ogni individuo, ingiungendogli, come dice una
in una produzione culturale che rifiuta ogni giudizio qualitativo e per cui tutto equivale a poesia del poeta tedesco Rainer Maria Rilke : “Tu devi cambiare la tua vita”, o proclamando,
tutto. “L’industria culturale rende tutto uguale” sentenziò Adorno già nel 1944. come il poeta francese Arthur Rimbaud: “Bisogna cambiare la vita”, o ancora come lo
Qualcuno accuserà un’argomentazione come la mia di “autoritarismo” e affermerà che scrittore francese Lautréamont: “L’arte deve essere fatta da tutti, non solo da alcuni”. Certe
è “la gente” stessa che spontaneamente vuole, chiede, desidera i prodotti dell’industria opere del passato, mentre le guardiamo, sembrano guardarci e aspettare da noi una risposta.
culturale, anche in presenza di altre espressioni culturali, così come milioni di persone Tuttavia, non si può opporre in assoluto un’arte “alta “ o “grande” del passato, sempre volta
mangiano volentieri nei fast-food, pur potendo mangiare, per gli stessi soldi, in una taverna al miglioramento dell’essere umano, all’industria culturale odierna. La complicità aperta o
tradizionale. è facile controbattere ricordando che in presenza di un bombardamento nascosta con i poteri dominanti e con i modi di vita dominanti ha sempre caratterizzato
mediatico massiccio e continuo in favore di certi stili di vita la “libera scelta” è alquanto gran parte delle opere culturali. L’importante è che esisteva la possibilità di uno scarto,
condizionata. Ma c’è di più. Come abbiamo visto, l’accesso alla pienezza dell’essere umano talvolta espressa attraverso la categoria estetica del “sublime”. L’opera, in quest’ottica, non
richiede un aiuto da parte di chi già possiede, almeno in parte, questa pienezza. Lasciare deve essere “al servizio” del soggetto che la contempla. Non sono le opere che debbono
libero corso allo sviluppo “spontaneo” non significa affatto creare le condizioni della piacere agli uomini, ma gli uomini che devono cercare di essere all’altezza delle opere. Non
libertà. La “mano invisibile” del mercato finisce nel monopolio assoluto o nella guerra spetta allo spettatore, o “consumatore”, di scegliere la sua opera, ma all’opera di scegliere il
di tutti contro tutti, non nell’armonia. Ugualmente, non aiutare qualcuno a sviluppare suo pubblico e di determinare chi è degno di essa. Non spetta a noi giudicare Baudelaire o
la sua capacità di differenziazione significa condannarlo a un infantilismo eterno. Vi Malevitch; sono loro che ci giudicano e che giudicano della nostra facoltà di giudizio. Fino
do un esempio non tirato dalla psicoanalisi e a cui tengo molto. Esistono quattro gusti a un’epoca recente, si giudicava – in campo estetico – una persona sulle opere che sapeva
fondamentali, nel senso del sapore: dolce, salato, acido e amaro. Ora, il palato umano è in apprezzare, e non le opere sul numero di persone che sapevano attirare. Chi era in grado di
grado di percepire la decimillesima parte di una goccia di amaro in un bicchiere d’acqua, cogliere tutta la complessità e la ricchezza di un’opera particolarmente riuscita era dunque
mentre per gli altri gusti ci vuole una goccia intera. Di conseguenza, nessun gusto è tanto considerato come qualcuno che era andato molto avanti sulla strada della realizzazione
capace di differenziazione e di una molteplicità quasi infinita di sensazioni gustative umana, normalmente grazie a un lavoro duro su se stesso. Che contrasto con la visione
quanto l’amaro. Le culture del vino, del té e del formaggio, queste grandi fonti di piacere postmoderna per cui ogni spettatore è democraticamente libero di vedere in un’opera ciò
nell’esistenza umana, si basano su questi infiniti tipi e gradi di amaro. Ma il bambino che vuole, e dunque ciò che vi proietta lui stesso! Certo, in questo modo lo spettatore non
piccolo rifiuta spontaneamente l’amaro e accetta solo il dolce e poi il salato. Dev’essere sarà mai confrontato con niente di veramente nuovo e avrà la confortante certezza di poter
educato ad apprezzare l’amaro, vincendo una resistenza iniziale. Svilupperà in cambio sempre rimanere così com’è. E questo è esattamente il rifiuto narcisistico di entrare in un
una capacità di godere che altrimenti gli rimarrebbe preclusa. Tuttavia, se nessuno glielo vero rapporto oggettuale con un mondo distinto da lui.
impone, non chiederà mai altro che il dolce e il salato, che conoscono ben poche sfumature,
ma solo il più o meno forte. E così nasce il consumatore di fast-food – che è basato solo Questa attitudine a conferire choc esistenziali, a mettere in crisi l’individuo invece di
sul dolce e sul salato – incapace di apprezzare gusti diversi. E quanto non si è appreso da confortarlo e confermarlo nel suo modo di esistenza, è visibilmente del tutto assente nei
piccoli non si apprenderà più da grandi; se il bambino cresciuto con hamburger e Coca-Cola prodotti dell’industria del divertimento, che mirano all’“esperienza” e all’“evento”. Chi
diventa un neo-ricco e vuole ostentare cultura e raffinatezza, consumando vini italiani e vuole vendere, va incontro ai bisogni degli acquirenti e alla loro ricerca di una soddisfazione
formaggi francesi, non ci riuscirà ad apprezzarli veramente. immediata, confermando l’opinione alta che hanno di se stessi piuttosto che frustrandoli con
Direi che si può applicare questo ragionamento sul “gusto” gastronomico senza molti delle opere non immediatamente “leggibili”. Da quel punto di vista, non esiste più oggi quasi
cambiamenti anche al “gusto” estetico. Ci vuole un’educazione per apprezzare una musica nessuna differenza tra un’arte “alta” o “colta” e un arte “di massa”. Le opere del passato
di Bach o una musica tradizionale araba, mentre il semplice possesso del corpo basta vengono incorporate nella macchina culturale, per esempio tramite mostre spettacolari,
per “apprezzare” gli stimoli somatici di una musica rock. è vero che la maggior parte restauri che devono rendere le opere godibili per ogni spettatore (per esempio, ravvivando
delle popolazioni chiede ormai “spontaneamente” Coca-Cola e musica rock, fumetti eccessivamente i colori), o tramite versioni massacrate dei classici letterari o musicali per
e pornografia in rete: ma questo non dimostra che il capitalismo, che offre tutte queste “avvicinarle” al pubblico. Oppure mescolandoli a espressioni del presente che tolgono ogni
meraviglie a profusione, è in sintonia con la “natura umana”, bensì che è riuscito a mantenere specificità storica, come nel caso della famigerata piramide nel cortile del Louvre a Parigi.
questa natura al suo stadio iniziale. In effetti, nemmeno mangiare con coltello e forchetta fa Il pungolo che le opere del passato potrebbero ancora possedere, foss’anche solo a causa
spontaneamente la sua apparizione nello sviluppo di un individuo. della loro distanza temporale, viene neutralizzato tramite la loro spettacolarizzazione e
Dunque, il successo delle industrie del divertimento e della cultura del “facile” – un successo commercializzazione.
incredibilmente mondiale che travalica tutte le barriere culturali – non è solo dovuto alla Niente di più fastidioso dei musei che diventano “pedagogici” e vogliono “avvicinare” la
propaganda e alla manipolazione, ma anche al fatto che questi vengono incontro al desiderio “gente comune” alla “cultura” con una pletora di spiegazioni sulle pareti e tramite auricolari
“naturale” del bambino di non abbandonare la sua posizione narcisista. L’alleanza tra le che prescrivono a ciascuno esattamente che cosa deve provare di fronte alle opere, proiezioni
nuove forme di dominazione, le esigenze della valorizzazione del capitale e le tecniche video, giochi interattivi, museum shops, magliette... Si afferma di rendere in questo modo la
di marketing è tanto efficace perché si appoggia su una tendenza regressiva già presente cultura e la storia fruibili anche agli strati non-borghesi (come se i borghesi di oggi fossero
nell’uomo. La virtualizzazione del mondo, di cui tanto si parla, è anche una stimolazione colti). In verità, proprio questo approccio user-friendly mi pare il massimo dell’arroganza
dei desideri infantili di onnipotenza. “Abbattere tutti i limiti” è l’incitazione maggiore che si verso gli strati popolari, di cui suppone che siano per definizione insensibili alla cultura e che
riceve oggi, che si tratti della propria carriera professionale o della promessa di eterna salute l’apprezzino solo se viene presentata nel modo più frivolo e infantile possibile. Sparisce così
e di eterna vita grazie alla medicina, delle esistenze infinite nei video-giochi o dell’idea che anche l’atmosfera piacevole dei musei un po’ polverosi di una volta, piacevole proprio perché
un’illimitata “crescita economica” sia la soluzione a tutti i mali. Il capitalismo è storicamente sembrava di entrare in un mondo a parte, dove si poteva riposare dal turbine che ci circonda
la prima società basata sull’assenza di limiti. E oggi si comincia a prendere la misura di che sempre – anche perché questi musei erano poco frequentati. Adesso, più un museo è “ben
cosa ciò significa. gestito” e attira il pubblico, più assomiglia a un incrocio tra una stazione metropolitana
L’industria del divertimento è dunque assolutamente consustanziale alla società della merce. all’ora di punta e una sala informatica. A questo punto, perché ancora andarci? Tanto vale
La vera arte invece, se essa si prende sul serio, se è fedele alla sua essenza, non dovrebbe guardare le stesse opere su un cd, perché dell’“aura” dell’opera originale non è comunque
dunque mai andare d’accordo con l’economia e il mercato. Il qualitativo e il quantitativo rimasto niente. è stato un altro modo perverso di unire l’arte alla vita, di cancellare la loro
sono qui principi antitetici. Ma esiste questa “vera cultura”, e se esiste, dove la si potrà differenza e di eliminare ogni idea che possa esistere qualcosa di diverso dalla piatta realtà
trovare? L’abbiamo definita fin qui soprattutto ex negativo, parlando di tutto ciò che non è. che ci circonda. Il vecchio museo, con tutte le sue tare, poteva essere lo spazio appropriato
Manca qui il tempo per dilungarsi sulla grandezza e sull’ambiguità della cultura tradizionale. all’apparizione di qualcosa di veramente inaudito per lo spettatore, proprio perché era tanto

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Davanti alla merce, tutto è uguale. Tutto è solo del materiale per il processo sempre uguale Era talvolta capace di scuotere l’osservatore, cioè il publico, capace di dire “no” non solo
di valorizzazione del valore. Questa indifferenza della merce per ogni contenuto si ritrova alla società, ma anche alla costituzione di ogni individuo, ingiungendogli, come dice una
in una produzione culturale che rifiuta ogni giudizio qualitativo e per cui tutto equivale a poesia del poeta tedesco Rainer Maria Rilke : “Tu devi cambiare la tua vita”, o proclamando,
tutto. “L’industria culturale rende tutto uguale” sentenziò Adorno già nel 1944. come il poeta francese Arthur Rimbaud: “Bisogna cambiare la vita”, o ancora come lo
Qualcuno accuserà un’argomentazione come la mia di “autoritarismo” e affermerà che scrittore francese Lautréamont: “L’arte deve essere fatta da tutti, non solo da alcuni”. Certe
è “la gente” stessa che spontaneamente vuole, chiede, desidera i prodotti dell’industria opere del passato, mentre le guardiamo, sembrano guardarci e aspettare da noi una risposta.
culturale, anche in presenza di altre espressioni culturali, così come milioni di persone Tuttavia, non si può opporre in assoluto un’arte “alta “ o “grande” del passato, sempre volta
mangiano volentieri nei fast-food, pur potendo mangiare, per gli stessi soldi, in una taverna al miglioramento dell’essere umano, all’industria culturale odierna. La complicità aperta o
tradizionale. è facile controbattere ricordando che in presenza di un bombardamento nascosta con i poteri dominanti e con i modi di vita dominanti ha sempre caratterizzato
mediatico massiccio e continuo in favore di certi stili di vita la “libera scelta” è alquanto gran parte delle opere culturali. L’importante è che esisteva la possibilità di uno scarto,
condizionata. Ma c’è di più. Come abbiamo visto, l’accesso alla pienezza dell’essere umano talvolta espressa attraverso la categoria estetica del “sublime”. L’opera, in quest’ottica, non
richiede un aiuto da parte di chi già possiede, almeno in parte, questa pienezza. Lasciare deve essere “al servizio” del soggetto che la contempla. Non sono le opere che debbono
libero corso allo sviluppo “spontaneo” non significa affatto creare le condizioni della piacere agli uomini, ma gli uomini che devono cercare di essere all’altezza delle opere. Non
libertà. La “mano invisibile” del mercato finisce nel monopolio assoluto o nella guerra spetta allo spettatore, o “consumatore”, di scegliere la sua opera, ma all’opera di scegliere il
di tutti contro tutti, non nell’armonia. Ugualmente, non aiutare qualcuno a sviluppare suo pubblico e di determinare chi è degno di essa. Non spetta a noi giudicare Baudelaire o
la sua capacità di differenziazione significa condannarlo a un infantilismo eterno. Vi Malevitch; sono loro che ci giudicano e che giudicano della nostra facoltà di giudizio. Fino
do un esempio non tirato dalla psicoanalisi e a cui tengo molto. Esistono quattro gusti a un’epoca recente, si giudicava – in campo estetico – una persona sulle opere che sapeva
fondamentali, nel senso del sapore: dolce, salato, acido e amaro. Ora, il palato umano è in apprezzare, e non le opere sul numero di persone che sapevano attirare. Chi era in grado di
grado di percepire la decimillesima parte di una goccia di amaro in un bicchiere d’acqua, cogliere tutta la complessità e la ricchezza di un’opera particolarmente riuscita era dunque
mentre per gli altri gusti ci vuole una goccia intera. Di conseguenza, nessun gusto è tanto considerato come qualcuno che era andato molto avanti sulla strada della realizzazione
capace di differenziazione e di una molteplicità quasi infinita di sensazioni gustative umana, normalmente grazie a un lavoro duro su se stesso. Che contrasto con la visione
quanto l’amaro. Le culture del vino, del té e del formaggio, queste grandi fonti di piacere postmoderna per cui ogni spettatore è democraticamente libero di vedere in un’opera ciò
nell’esistenza umana, si basano su questi infiniti tipi e gradi di amaro. Ma il bambino che vuole, e dunque ciò che vi proietta lui stesso! Certo, in questo modo lo spettatore non
piccolo rifiuta spontaneamente l’amaro e accetta solo il dolce e poi il salato. Dev’essere sarà mai confrontato con niente di veramente nuovo e avrà la confortante certezza di poter
educato ad apprezzare l’amaro, vincendo una resistenza iniziale. Svilupperà in cambio sempre rimanere così com’è. E questo è esattamente il rifiuto narcisistico di entrare in un
una capacità di godere che altrimenti gli rimarrebbe preclusa. Tuttavia, se nessuno glielo vero rapporto oggettuale con un mondo distinto da lui.
impone, non chiederà mai altro che il dolce e il salato, che conoscono ben poche sfumature,
ma solo il più o meno forte. E così nasce il consumatore di fast-food – che è basato solo Questa attitudine a conferire choc esistenziali, a mettere in crisi l’individuo invece di
sul dolce e sul salato – incapace di apprezzare gusti diversi. E quanto non si è appreso da confortarlo e confermarlo nel suo modo di esistenza, è visibilmente del tutto assente nei
piccoli non si apprenderà più da grandi; se il bambino cresciuto con hamburger e Coca-Cola prodotti dell’industria del divertimento, che mirano all’“esperienza” e all’“evento”. Chi
diventa un neo-ricco e vuole ostentare cultura e raffinatezza, consumando vini italiani e vuole vendere, va incontro ai bisogni degli acquirenti e alla loro ricerca di una soddisfazione
formaggi francesi, non ci riuscirà ad apprezzarli veramente. immediata, confermando l’opinione alta che hanno di se stessi piuttosto che frustrandoli con
Direi che si può applicare questo ragionamento sul “gusto” gastronomico senza molti delle opere non immediatamente “leggibili”. Da quel punto di vista, non esiste più oggi quasi
cambiamenti anche al “gusto” estetico. Ci vuole un’educazione per apprezzare una musica nessuna differenza tra un’arte “alta” o “colta” e un arte “di massa”. Le opere del passato
di Bach o una musica tradizionale araba, mentre il semplice possesso del corpo basta vengono incorporate nella macchina culturale, per esempio tramite mostre spettacolari,
per “apprezzare” gli stimoli somatici di una musica rock. è vero che la maggior parte restauri che devono rendere le opere godibili per ogni spettatore (per esempio, ravvivando
delle popolazioni chiede ormai “spontaneamente” Coca-Cola e musica rock, fumetti eccessivamente i colori), o tramite versioni massacrate dei classici letterari o musicali per
e pornografia in rete: ma questo non dimostra che il capitalismo, che offre tutte queste “avvicinarle” al pubblico. Oppure mescolandoli a espressioni del presente che tolgono ogni
meraviglie a profusione, è in sintonia con la “natura umana”, bensì che è riuscito a mantenere specificità storica, come nel caso della famigerata piramide nel cortile del Louvre a Parigi.
questa natura al suo stadio iniziale. In effetti, nemmeno mangiare con coltello e forchetta fa Il pungolo che le opere del passato potrebbero ancora possedere, foss’anche solo a causa
spontaneamente la sua apparizione nello sviluppo di un individuo. della loro distanza temporale, viene neutralizzato tramite la loro spettacolarizzazione e
Dunque, il successo delle industrie del divertimento e della cultura del “facile” – un successo commercializzazione.
incredibilmente mondiale che travalica tutte le barriere culturali – non è solo dovuto alla Niente di più fastidioso dei musei che diventano “pedagogici” e vogliono “avvicinare” la
propaganda e alla manipolazione, ma anche al fatto che questi vengono incontro al desiderio “gente comune” alla “cultura” con una pletora di spiegazioni sulle pareti e tramite auricolari
“naturale” del bambino di non abbandonare la sua posizione narcisista. L’alleanza tra le che prescrivono a ciascuno esattamente che cosa deve provare di fronte alle opere, proiezioni
nuove forme di dominazione, le esigenze della valorizzazione del capitale e le tecniche video, giochi interattivi, museum shops, magliette... Si afferma di rendere in questo modo la
di marketing è tanto efficace perché si appoggia su una tendenza regressiva già presente cultura e la storia fruibili anche agli strati non-borghesi (come se i borghesi di oggi fossero
nell’uomo. La virtualizzazione del mondo, di cui tanto si parla, è anche una stimolazione colti). In verità, proprio questo approccio user-friendly mi pare il massimo dell’arroganza
dei desideri infantili di onnipotenza. “Abbattere tutti i limiti” è l’incitazione maggiore che si verso gli strati popolari, di cui suppone che siano per definizione insensibili alla cultura e che
riceve oggi, che si tratti della propria carriera professionale o della promessa di eterna salute l’apprezzino solo se viene presentata nel modo più frivolo e infantile possibile. Sparisce così
e di eterna vita grazie alla medicina, delle esistenze infinite nei video-giochi o dell’idea che anche l’atmosfera piacevole dei musei un po’ polverosi di una volta, piacevole proprio perché
un’illimitata “crescita economica” sia la soluzione a tutti i mali. Il capitalismo è storicamente sembrava di entrare in un mondo a parte, dove si poteva riposare dal turbine che ci circonda
la prima società basata sull’assenza di limiti. E oggi si comincia a prendere la misura di che sempre – anche perché questi musei erano poco frequentati. Adesso, più un museo è “ben
cosa ciò significa. gestito” e attira il pubblico, più assomiglia a un incrocio tra una stazione metropolitana
L’industria del divertimento è dunque assolutamente consustanziale alla società della merce. all’ora di punta e una sala informatica. A questo punto, perché ancora andarci? Tanto vale
La vera arte invece, se essa si prende sul serio, se è fedele alla sua essenza, non dovrebbe guardare le stesse opere su un cd, perché dell’“aura” dell’opera originale non è comunque
dunque mai andare d’accordo con l’economia e il mercato. Il qualitativo e il quantitativo rimasto niente. è stato un altro modo perverso di unire l’arte alla vita, di cancellare la loro
sono qui principi antitetici. Ma esiste questa “vera cultura”, e se esiste, dove la si potrà differenza e di eliminare ogni idea che possa esistere qualcosa di diverso dalla piatta realtà
trovare? L’abbiamo definita fin qui soprattutto ex negativo, parlando di tutto ciò che non è. che ci circonda. Il vecchio museo, con tutte le sue tare, poteva essere lo spazio appropriato
Manca qui il tempo per dilungarsi sulla grandezza e sull’ambiguità della cultura tradizionale. all’apparizione di qualcosa di veramente inaudito per lo spettatore, proprio perché era tanto

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diverso da ciò che viviamo abitualmente. Oggi, le classi scolastiche che vengono trascinate La rivoluzione spaziale: luoghi e forme di vita
attraverso le sale d’esposizione ricevono più che altro un’efficace vaccinazione preventiva
contro ogni rischio di poter sentire un messaggio esistenziale dalla parte dell’arte o della
storia, o almeno di andarle a scoprire per conto proprio...
La cultura cosiddetta “contemporanea”, cioè prodotta oggi, partecipa generalmente Giacomo Marramao
allo stesso modo regressivo. Gli artisti stessi hanno tradito il compito dell’arte. Lo si
vede nell’eterna ripetizione del gesto di Marcel Duchamp nell’arte contemporanea da
quarant’anni. L’urinatoio esposto nel 1917 come “fontana” era una provocazione venuta a
proposito; in seguito è diventata una patente di nobiltà per esporre qualsiasi oggetto come
Per gentile concessione 1. Spatial imagination: dallo spazio euclideo allo spazio topologico
opera d’arte, eliminando così ogni idea di un’opera eccellente o di un “sublime”. Quest’arte dell’Autore, questo testo
è altrettanto poco capace di scuotere lo spettatore quanto lo sono i prodotti dell’industria riproduce, con altro titolo e Un fantasma si aggira oggi per il mondo globalizzato, per questo nostro mondo divenuto
dell’intrattenimento. Mentre le avanguardie cosiddette “classiche” della prima metà del XX alcune modifiche, l’ultimo globo, mondo insieme finito e illimitato, irrappresentabile con l’ausilio di qualsivoglia
secolo sapevano dire l’essenziale sulla loro epoca storica, l’arte di oggi riesce difficilmente capitolo della nuova mappa: il fantasma dello spazio. Dopo il lungo persistere del retaggio anti-spaziale di
ad evitare l’impressione della sua insignificanza. Si può anche rifiutare l’idea di una “morte edizione ampliata di G. filosofie della storia modellate sul primato del tempo, lo spazio sembra prendersi la sua
dell’arte” generale (io me ne sono occupato altrove), ma risulta comunque difficile trovare Marramao, Dopo il Leviatano.
rivincita, ponendosi come condizione di possibilità e fattore costitutivo del nostro agire e del
Individuo e comunità, Bollati
un’arte contemporanea all’altezza dei suoi predecessori. Essa partecipa alla derealizzazione nostro concreto, corporeo, essere-nel-mondo.
Boringhieri, Torino 2013.
generale, proprio come l’industria del divertimento, ed è diventata una sottospecie del design Difficile negare la portata dirompente di una rottura la cui posta in gioco evoca un
e della pubblicità. Essa merita allora la sua commercializzazione. L’arte contemporanea si è ribaltamento prospettico rispetto al lessico del Nuovo e dell’Oltre, che aveva confinato
buttata nelle braccia dell’industria culturale e chiede umilmente di essere ammessa alla sua la querelle tra moderni e postmoderni in un conflitto lessicale tutto interno alla prigione
tavola. Ciò è un risultato, tardivo e imprevisto, di quell’allargamento della sfera dell’“arte” e del Tempo. Malgrado l’adozione del termine postmodern da parte di quello che viene
di quell’estetizzazione della vita che sono stati cominciati un secolo fa dagli artisti stessi, come comunemente indicato come l’iniziatore dello spatial turn, il geografo Edward W. Soja1,
appunto Duchamp. Sembra dunque che non esistano più molte opere capaci di contribuire materia del contendere della “svolta spaziale” non è più l’alternativa tra “futurismo”
alla nascita di soggetti critici. Esistono solo dei clienti. Allora fa davvero poca differenza del Progetto moderno e “presentismo” dell’Antiprogetto postmoderno: tra un tempo
come si gestiscono i musei. Si afferma che i musei devono adeguarsi alla necessità di “far 1
infuturante e un tempo congelato nell’eternizzazione e ripetizione seriale del presente.
pubblico”, pena la loro sparizione. Ma il risultato è lo stesso. Un’arte che serve soltanto a Cfr. E. W. Soja, Postmodern
Geographies, London-New Non è più un superamento o un oltrepassamento (operazione tutta interna alla signoria
creare dei clienti soddisfatti non è comunque più un’arte degna di questo nome. York 1989. moderna del tempo), ma uno spostamento laterale in grado di porre lo spatial thinking come
Bisognerebbe almeno ammettere una differenza qualitativa, di peso, tra i prodotti via privilegiata di accesso alle concrete forme di vita e di azione dei soggetti in un mondo
dell’industria dell’intrattenimento e una possibile “cultura vera” per poter evocare per 2
Per una ricostruzione delle
non-euclideo: un mondo ormai irriducibile a una superficie piana (dalla struttura limitata,
quest’ultima un trattamento a parte. Bisogna ammettere dunque la possibilità di un giudizio ma infinita), ma consistente in una sfera (strutturalmente chiusa, finita, ma illimitata). Il
implicazioni filosofiche dei
qualitativo e non puramente relativo e soggettivo. C’è una grande differenza tra voler stabilire postcolonial studies, si veda il ribaltamento paradigmatico dallo spazio euclideo allo spazio topologico è alla base della
dei parametri di giudizio, pur sapendo che non discendono dal cielo, ma che debbono volume di Emanuela Fornari, proliferazione della “topica della spazialità” cui stiamo assistendo negli ultimi anni nel campo
essere soggetti alla discussione e al cambiamento, da un lato, e negare, dall’altro, a priori Linee di confine. Filosofia degli studi letterari e culturali, ma anche dell’antropologia, della storia e della stessa scienza
la possibilità stessa di stabilire dei parametri, di modo che tutto è uguale a tutto. Se tutto si e postcolonialismo, pref. di politica. L’ottica spaziale diviene così una finestra di collegamento transdisciplinare, che
equivale, niente vale più la pena. Sono questa uguaglianza, e l’indifferenza che ne segue, a Étienne Balibar, Torino 2011.
elude l’occhiuta vigilanza delle guardie confinarie delle discipline accademiche tradizionali.
stendersi come un sudario sulla vita dominata dal mercato e dalla merce. Esse minano alla 3 Lo spatial turn viene spesso presentato come l’ultima di una serie di svolte che hanno
base la capacità degli umani di fare fronte alle minacce onnipresenti di barbarizzazione. Le Si veda il volume collettaneo segnato la vicenda del ventesimo secolo: dalla svolta linguistica, alla svolta culturale, alla
sfide che ci aspettano nei prossimi tempi hanno bisogno di essere affrontate da persone nel The Spatial Turn:
svolta postmoderna. Ma Soja sottolinea soprattutto l’intreccio con la “svolta postcoloniale”,
pieno possesso delle loro facoltà umane, non da adulti rimasti bambini nel senso peggiore Interdisciplinary Perspectives,
ed. by Barney Warf and Santa
rappresentata da critici come Edward Said, Gayatri Chakravorty Spivak, Homi Bhabha,
della parola. Sarà curioso vedere che posto terranno l’arte e le istituzioni culturali in questo Dipesh Chakrabarty e Arjun Appadurai, capaci di estendere il “pensiero spaziale” facendo
Arias, London-New York
passaggio epocale. 2009. interagire la comparatistica letteraria con l’antropologia, la storia e la stessa riflessione
filosofica2. Nel dettagliato elenco approntato da Soja&Company3 manca tuttavia il
4
Mi permetto qui di rinviare riferimento al naturalistic turn, e con esso alla rilevanza crescente dei problemi indotti dal
a tre miei libri: Potere e rapporto tra ecosistema e semiosfera, mondo-ambiente e crescita della conoscenza: tema
secolarizzazione. Le categorie cruciale non solo per la critica del modello dominante di sviluppo, ma anche per individuare
del tempo [1983], nuova come la diseguaglianza nelle conoscenze divenga oggi un fenomeno anche più drammatico
edizione accresciuta, Torino della diseguaglianza economica, oltre che un fattore di acutizzazione di quest’ultima.
2005; Minima temporalia.
Lo spatial turn non coglie impreparato chi – in ambito filosofico – aveva riflettuto sin dagli
Tempo, spazio, esperienza
[1990], nuova edizione anni Ottanta del secolo scorso sulla necessità di una riabilitazione dello spazio per ripensare
riveduta e ampliata, Roma i paradossi del tempo e andare alla radice della crisi del futuro4. O per chi aveva posto
2005; Kairós. Apologia del l’esigenza di una “geofilosofia” (da Deleuze/Guattari a Massimo Cacciari) e indicato come
tempo debito [1992], III ed., punto d’avvio di un nuovo pensiero globale l’immagine del “mondo finito” consegnataci
Roma-Bari 2005. da Paul Valéry in una lampeggiante intuizione degli anni Venti, raccolta nei Regards sur le
5 monde actuel. La Fine del Mondo, che le escatologie moderne avevano affidato all’opera
Per una ripresa del tema del del tempo, si è ormai squadernata dinanzi ai nostri occhi ad opera dello spazio. Il nostro
“mondo finito” e un’analisi presente è quello del mondo compiuto. Un solo, unico mondo spazialmente saturo: in cui
dell’endiadi mundus/globus nulla potrà più accadere, anche nell’angolo più riposto del pianeta, senza che l’intero mondo
si veda il primo capitolo del
mio Passaggio a Occidente.
ne sia coinvolto5.
Filosofia e globalizzazione La spatial imagination riscatta la geografia dal ruolo subalterno a cui l’aveva confinata
[2003], nuova edizione nel diciannovesimo secolo una visione “despazializzata” del processo storico imperniata
accresciuta, Torino 2009. sull’immagine di stadi successivi dello sviluppo e segnata da un’“orientalistica” inosservanza

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diverso da ciò che viviamo abitualmente. Oggi, le classi scolastiche che vengono trascinate La rivoluzione spaziale: luoghi e forme di vita
attraverso le sale d’esposizione ricevono più che altro un’efficace vaccinazione preventiva
contro ogni rischio di poter sentire un messaggio esistenziale dalla parte dell’arte o della
storia, o almeno di andarle a scoprire per conto proprio...
La cultura cosiddetta “contemporanea”, cioè prodotta oggi, partecipa generalmente Giacomo Marramao
allo stesso modo regressivo. Gli artisti stessi hanno tradito il compito dell’arte. Lo si
vede nell’eterna ripetizione del gesto di Marcel Duchamp nell’arte contemporanea da
quarant’anni. L’urinatoio esposto nel 1917 come “fontana” era una provocazione venuta a
proposito; in seguito è diventata una patente di nobiltà per esporre qualsiasi oggetto come
Per gentile concessione 1. Spatial imagination: dallo spazio euclideo allo spazio topologico
opera d’arte, eliminando così ogni idea di un’opera eccellente o di un “sublime”. Quest’arte dell’Autore, questo testo
è altrettanto poco capace di scuotere lo spettatore quanto lo sono i prodotti dell’industria riproduce, con altro titolo e Un fantasma si aggira oggi per il mondo globalizzato, per questo nostro mondo divenuto
dell’intrattenimento. Mentre le avanguardie cosiddette “classiche” della prima metà del XX alcune modifiche, l’ultimo globo, mondo insieme finito e illimitato, irrappresentabile con l’ausilio di qualsivoglia
secolo sapevano dire l’essenziale sulla loro epoca storica, l’arte di oggi riesce difficilmente capitolo della nuova mappa: il fantasma dello spazio. Dopo il lungo persistere del retaggio anti-spaziale di
ad evitare l’impressione della sua insignificanza. Si può anche rifiutare l’idea di una “morte edizione ampliata di G. filosofie della storia modellate sul primato del tempo, lo spazio sembra prendersi la sua
dell’arte” generale (io me ne sono occupato altrove), ma risulta comunque difficile trovare Marramao, Dopo il Leviatano.
rivincita, ponendosi come condizione di possibilità e fattore costitutivo del nostro agire e del
Individuo e comunità, Bollati
un’arte contemporanea all’altezza dei suoi predecessori. Essa partecipa alla derealizzazione nostro concreto, corporeo, essere-nel-mondo.
Boringhieri, Torino 2013.
generale, proprio come l’industria del divertimento, ed è diventata una sottospecie del design Difficile negare la portata dirompente di una rottura la cui posta in gioco evoca un
e della pubblicità. Essa merita allora la sua commercializzazione. L’arte contemporanea si è ribaltamento prospettico rispetto al lessico del Nuovo e dell’Oltre, che aveva confinato
buttata nelle braccia dell’industria culturale e chiede umilmente di essere ammessa alla sua la querelle tra moderni e postmoderni in un conflitto lessicale tutto interno alla prigione
tavola. Ciò è un risultato, tardivo e imprevisto, di quell’allargamento della sfera dell’“arte” e del Tempo. Malgrado l’adozione del termine postmodern da parte di quello che viene
di quell’estetizzazione della vita che sono stati cominciati un secolo fa dagli artisti stessi, come comunemente indicato come l’iniziatore dello spatial turn, il geografo Edward W. Soja1,
appunto Duchamp. Sembra dunque che non esistano più molte opere capaci di contribuire materia del contendere della “svolta spaziale” non è più l’alternativa tra “futurismo”
alla nascita di soggetti critici. Esistono solo dei clienti. Allora fa davvero poca differenza del Progetto moderno e “presentismo” dell’Antiprogetto postmoderno: tra un tempo
come si gestiscono i musei. Si afferma che i musei devono adeguarsi alla necessità di “far 1
infuturante e un tempo congelato nell’eternizzazione e ripetizione seriale del presente.
pubblico”, pena la loro sparizione. Ma il risultato è lo stesso. Un’arte che serve soltanto a Cfr. E. W. Soja, Postmodern
Geographies, London-New Non è più un superamento o un oltrepassamento (operazione tutta interna alla signoria
creare dei clienti soddisfatti non è comunque più un’arte degna di questo nome. York 1989. moderna del tempo), ma uno spostamento laterale in grado di porre lo spatial thinking come
Bisognerebbe almeno ammettere una differenza qualitativa, di peso, tra i prodotti via privilegiata di accesso alle concrete forme di vita e di azione dei soggetti in un mondo
dell’industria dell’intrattenimento e una possibile “cultura vera” per poter evocare per 2
Per una ricostruzione delle
non-euclideo: un mondo ormai irriducibile a una superficie piana (dalla struttura limitata,
quest’ultima un trattamento a parte. Bisogna ammettere dunque la possibilità di un giudizio ma infinita), ma consistente in una sfera (strutturalmente chiusa, finita, ma illimitata). Il
implicazioni filosofiche dei
qualitativo e non puramente relativo e soggettivo. C’è una grande differenza tra voler stabilire postcolonial studies, si veda il ribaltamento paradigmatico dallo spazio euclideo allo spazio topologico è alla base della
dei parametri di giudizio, pur sapendo che non discendono dal cielo, ma che debbono volume di Emanuela Fornari, proliferazione della “topica della spazialità” cui stiamo assistendo negli ultimi anni nel campo
essere soggetti alla discussione e al cambiamento, da un lato, e negare, dall’altro, a priori Linee di confine. Filosofia degli studi letterari e culturali, ma anche dell’antropologia, della storia e della stessa scienza
la possibilità stessa di stabilire dei parametri, di modo che tutto è uguale a tutto. Se tutto si e postcolonialismo, pref. di politica. L’ottica spaziale diviene così una finestra di collegamento transdisciplinare, che
equivale, niente vale più la pena. Sono questa uguaglianza, e l’indifferenza che ne segue, a Étienne Balibar, Torino 2011.
elude l’occhiuta vigilanza delle guardie confinarie delle discipline accademiche tradizionali.
stendersi come un sudario sulla vita dominata dal mercato e dalla merce. Esse minano alla 3 Lo spatial turn viene spesso presentato come l’ultima di una serie di svolte che hanno
base la capacità degli umani di fare fronte alle minacce onnipresenti di barbarizzazione. Le Si veda il volume collettaneo segnato la vicenda del ventesimo secolo: dalla svolta linguistica, alla svolta culturale, alla
sfide che ci aspettano nei prossimi tempi hanno bisogno di essere affrontate da persone nel The Spatial Turn:
svolta postmoderna. Ma Soja sottolinea soprattutto l’intreccio con la “svolta postcoloniale”,
pieno possesso delle loro facoltà umane, non da adulti rimasti bambini nel senso peggiore Interdisciplinary Perspectives,
ed. by Barney Warf and Santa
rappresentata da critici come Edward Said, Gayatri Chakravorty Spivak, Homi Bhabha,
della parola. Sarà curioso vedere che posto terranno l’arte e le istituzioni culturali in questo Dipesh Chakrabarty e Arjun Appadurai, capaci di estendere il “pensiero spaziale” facendo
Arias, London-New York
passaggio epocale. 2009. interagire la comparatistica letteraria con l’antropologia, la storia e la stessa riflessione
filosofica2. Nel dettagliato elenco approntato da Soja&Company3 manca tuttavia il
4
Mi permetto qui di rinviare riferimento al naturalistic turn, e con esso alla rilevanza crescente dei problemi indotti dal
a tre miei libri: Potere e rapporto tra ecosistema e semiosfera, mondo-ambiente e crescita della conoscenza: tema
secolarizzazione. Le categorie cruciale non solo per la critica del modello dominante di sviluppo, ma anche per individuare
del tempo [1983], nuova come la diseguaglianza nelle conoscenze divenga oggi un fenomeno anche più drammatico
edizione accresciuta, Torino della diseguaglianza economica, oltre che un fattore di acutizzazione di quest’ultima.
2005; Minima temporalia.
Lo spatial turn non coglie impreparato chi – in ambito filosofico – aveva riflettuto sin dagli
Tempo, spazio, esperienza
[1990], nuova edizione anni Ottanta del secolo scorso sulla necessità di una riabilitazione dello spazio per ripensare
riveduta e ampliata, Roma i paradossi del tempo e andare alla radice della crisi del futuro4. O per chi aveva posto
2005; Kairós. Apologia del l’esigenza di una “geofilosofia” (da Deleuze/Guattari a Massimo Cacciari) e indicato come
tempo debito [1992], III ed., punto d’avvio di un nuovo pensiero globale l’immagine del “mondo finito” consegnataci
Roma-Bari 2005. da Paul Valéry in una lampeggiante intuizione degli anni Venti, raccolta nei Regards sur le
5 monde actuel. La Fine del Mondo, che le escatologie moderne avevano affidato all’opera
Per una ripresa del tema del del tempo, si è ormai squadernata dinanzi ai nostri occhi ad opera dello spazio. Il nostro
“mondo finito” e un’analisi presente è quello del mondo compiuto. Un solo, unico mondo spazialmente saturo: in cui
dell’endiadi mundus/globus nulla potrà più accadere, anche nell’angolo più riposto del pianeta, senza che l’intero mondo
si veda il primo capitolo del
mio Passaggio a Occidente.
ne sia coinvolto5.
Filosofia e globalizzazione La spatial imagination riscatta la geografia dal ruolo subalterno a cui l’aveva confinata
[2003], nuova edizione nel diciannovesimo secolo una visione “despazializzata” del processo storico imperniata
accresciuta, Torino 2009. sull’immagine di stadi successivi dello sviluppo e segnata da un’“orientalistica” inosservanza

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della molteplicità e contingenza delle dinamiche di mutamento. La svolta spaziale ci fornisce 6 11 sono invece luoghi reali: spazi altri che sospendono e invertono i regimi della spazialità
per questa via la sola chiave di accesso all’ironico contrappasso della globalizzazione: nel The Spatial Turn, cit., p. 10. Si veda ora l’intero testo della sociale normale. Nella fattispecie, Foucault pensa a contro-spazi visibili, funzionalmente
conferenza in M. Foucault,
momento stesso in cui viene decretata la “morte della distanza”, la geografia acquista una 7 differenziati e, in taluni casi, anche istituzionalmente strutturati: collegi, cliniche, prigioni,
Des espaces autres, in Id., Dits
nuova rilevanza strategica, che va ben oltre i suoi tradizionali confini disciplinari. Lo spazio Si veda al riguardo il
et écrits, IV, Paris 1994, pp. cimiteri, teatri, cinema, camere d’albergo, case chiuse o “eterocronie” come musei e
non è “un mero riflesso passivo delle tendenze sociali e culturali”, ma un loro fattore volume di Doris Bachmann- biblioteche. Del resto, già in Les mots et les choses Foucault aveva istituito una differenza
752-762.
costitutivo6. Una “forza vitale” che plasma le nostre vite, afferma Soja, e che, con buona pace Medick, Cultural Turns.
radicale tra utopia e eterotopia: se le utopie consolano, schiudendosi in uno spazio ideale
Neuorientierungen in den 12
degli history boys, non può essere più governata con le tecniche e i metodi del mainstream Kulturwissemschaften, terza Cfr. R. Koselleck, “meraviglioso e liscio”, le eterotopie inquietano, proprio in quanto “minano segretamente
accademico. La globalizzazione si presenta così come una “two-way street”: una struttura edizione riveduta, Reinbek Zeitschichten. Studien zur il linguaggio”, infrangono i luoghi comuni e sconvolgono la sintassi: “le eterotopie (come
bi-logica e bi-direzionale, in cui la uni-diversità del mondo implica una presa di congedo 2009, pp. 284 ss. Historik, mit einem Beitrag quelle che troviamo tanto frequentemente in Borges) inaridiscono il discorso, bloccano le
dalla spazialità moderna e l’assunzione di uno spazio non-euclideo (ma è bene qui ricordare, voin Hans-Georg Gadamer, parole su se stesse, contestano, fin dalla sua radice, ogni possibilità di grammatica, dipanano
8
sia pure incidentalmente, che le geometrie non-euclidee venivano evocate come nuovo Frankfurt am Main 2000. i miti e rendono sterile il lirismo delle frasi”.
Cfr. F. Jameson,
orizzonte nella voce “Spazio” redatta da Federigo Enriquez nel 1936 per l’Enciclopedia Postmodernism, or the 13 La soglia d’epoca è indicata in termini netti e perentori nel testo della conferenza, come un
Italiana). Cultural Logic of Late Cfr. H. Lefebvre, La vero e proprio passaggio di testimone dalla categoria-tempo alla categoria-spazio: “L’époque
La crucialità che viene oggi acquisendo il passaggio dallo spazio euclideo – referente Capitalism, London-New production de l’espace, Paris actuelle serait peut-être plutôt l’époque de l’espace”. E ancora: “je crois que l’inquiétude
geometrico comune a gran parte (ma, come vedremo, non alla totalità) delle espressioni della York 1991, p. 154 (trad.it., 1974. Ma si vedano anche i due d’aujourd’hui concerne fondamentalement l’espace, sans doute beaucoup plus que le temps;
Postmodernismo, ovvero la tomi dell’opera sul “diritto
scienza e della politica moderna (la figura del Leviatano è modellata, da Hobbes a Schmitt, le temps n’apparaît probablement que comme l’un des jeux de distribution possibles entre
logica culturale del tardo alla città”: Le droit à la ville I;
sul concetto di sovranità, inteso come vertice e centro di uno Stato-nazione territorialmente capitalismo, Roma 2007). Paris 1968; Le droit à la ville les éléments qui se répartissent dans l’espace”. All’epoca della successione lineare, del tempo
delimitato) – allo spazio topologico si accompagna a un motivo largamente circolante II, Paris 1972. del Progresso cumulativo, ascendente e proiettato verso il futuro, è subentrata, dunque,
nella discussione internazionale: la crisi del paradigma topografico. A dispetto di alcuni 9
l’epoca della simultaneità: “Nous sommes à l’époque du simultané, nous sommes à l’époque
Si veda il volume collettaneo
tentativi di associare il topographical turn e il topological turn come “sottocorrenti” della Lo spazio del capitale, a cura
14 de la juxtaposition, à l’époque du proche et du lontain, du côte à côte, du dispersé. Nous
svolta spaziale7, è necessario non perdere di vista la differenza specifica che intercorre tra E. W. Soja, Thirdspace: sommes à un moment où le monde s’éprouve, je crois, moins comme une grande vie qui se
di Giovanna Vertova, Roma
paradigma topografico e paradigma topologico: se il primo, infatti, si concentra sulle forme Journeys to Los Angeles and
2009. développerait à travers le temps que comme un réseau qui relie des point et qui entrecroise
Other Real-and-Imagined
di rappresentazione dello spazio, il secondo si rivolge agli intrecci relazionali e posizionali Places, Oxford 1996. son écheveau”11.
10
in cui si articola una configurazione spaziale. L’evento della cosiddetta globalizzazione G. Deleuze-F. Guattari, Il tratto distintivo del nostro presente globale risiede, pertanto, nel fatto che la sua logica e la
può essere compreso – questa la tesi dei sostenitori della crisi del paradigma cartografico 15 sua stessa possibilità di Selbstverständnis, di “auto-intendimento”, non è più rappresentata
Qu’est-ce que la philosophie?,
E. W. Soja, Postmetropolis:
– solo a partire dalla rilevanza epistemologica del passaggio dalla forma-mappa alla forma- Paris 1991, p. 91. dal tempo, ma dallo spazio. All’immagine di un Processo unitario che si sviluppa nel tempo,
Critical Studies of Cities and
globo: forma che postula una spazialità non omogenea ma eterogenea, non continua ma Regions, Oxford 2000. subentra, in Foucault, la metafora del reticolo prodotto da punti che si intersecano e, per
discontinua, non isotropica ma anisotropica, non unidirezionale ma polidirezionale. tradurre e condensare le sue espressioni in una diversa terminologia, l’idea di un tempo
16
ortogonale, perpendicolare rispetto al flusso del tempo lineare, cumulativo e infuturante.
2. Spazializzazione del tempo: il paradigma stratigrafico Cfr. soprattutto P. Bourdieu,
La misère du monde, Paris Un tempo ortogonale che comprende, in modo simultaneo e coestensivo, tutte le asincronie,
Una funzione chiave, nell’ambito della “svolta spaziale”, viene svolta dal concetto di 1993, e Raisons pratiques. Sur le non-contemporaneità, le dissonanze del Presente, nella forma spazializzata di “strati
spatialization of the temporal, introdotto da Fredric Jameson8, con la sua lettura del la théorie de l’action, Paris temporali” (gli Zeitschichten di Reinhart Koselleck)12. Nello spazio saturo, insieme denso ed
postmoderno come sfondo logico-culturale del “tardo capitalismo”, e da David Harvey: un 1994. eterogeneo, del “mondo finito”, le eterotopie sono, per dirla ancora con Foucault, “il luogo
geografo che, sin dagli anni Ottanta, ha contribuito in modo decisivo a delineare la nuova 17 in cui abita il phantasma”, in cui si produce – anche sul terreno del linguaggio – una frattura
configurazione spaziale di un capitalismo globale a un tempo concentrato (poteri finanziari) Ma occorre qui ricordare che, sovvertendo la sintassi dell’Ordine, rende intellegibile la paradossale logica della nostra
e diffuso (filiere produttive transnazionali e processi di outsourcing, di esternalizzazione e che, già negli anni Novanta, “contemporaneità”.
un geografo come Nicholas Molto si è detto e scritto in questi anni sulle eterotopie di Foucault. Assai meno si è riflettuto,
terziarizzazione, favoriti dalle nuove tecnologie digitali)9.
Blomley aveva esteso lo spatial
Nei teorici dello spatial turn, il concetto di spazializzazione della dimensione temporale si invece, sulla triade di Lefebvre: “spazio percepito-concepito-vissuto”13. Svolgendo e
turn agli ambiti del diritto e
traduce in una visione stratigrafica del tempo di sapore vagamente archeologico, esplicitata del potere (cfr. Law, Space, accentuando la traccia di Lefebvre, si può istituire una reciproca implicazione tra due vettori:
tramite un richiamo a Fernand Braudel e alla scuola delle “Annales”. Da una prospettiva and the Geography of Power, il vettore di socializzazione delle dinamiche spaziali e il vettore di spazializzazione dei
diversa, ma con analogo intento ‘spazializzante’, Deleuze e Guattari si erano del resto New York 1994). Sul concetto processi sociali. La società ha sin dal suo sorgere una configurazione spaziale, così come lo
richiamati a Braudel per istituire un parallelo tra geofilosofia e geostoria: “La filosofia è una di “giustizia spaziale” si veda spazio ha una configurazione sociale. Socializzazione e spazializzazione sono da sempre state
geo-filosofia esattamente come la storia è una geo-storia dal punto di vista di Braudel”10. anche il recente volume di intimamente intrecciate, interdipendenti e in conflitto. In Thirdspace14 e in Postmetropolis15
E. W. Soja, Seeking Spatial Soja sviluppa le analisi di Postmodern Geographies, affermando che non solo i processi sociali
Ma se il paradigma stratigrafico segna un’indubbia discontinuità rispetto alle varie forme Justice, Minneapolis 2010.
di storicismo, per altro verso occorre problematizzare la cesura operata dai portavoce della modellano e spiegano le geografie, ma che in misura anche maggiore le geografie plasmano
“svolta spaziale” nei confronti di un Moderno troppo riduttivamente omologato. Se, infatti, i processi e le stesse azioni sociali. Ma per esplorare questo nesso di reciprocità occorre
la topografia ha un’ascendenza newtoniana (spazio assoluto e uniforme), la topologia ha proiettarsi “oltre i confini convenzionali della geografia modernista”. Per completare i
un’ascendenza leibniziana (spazio non-sostanziale, ma relazionale e differenziale). Per altro riferimenti di Soja agli antefatti francesi della svolta spaziale, appare tuttavia ineludibile la
verso, se la maggior parte degli esponenti della nuova tendenza appare concorde nel definire riflessione di Bourdieu sul nesso inestricabile tra ordinamento spaziale e potere: in una società
Soja la figura-chiave che ha dato avvio allo spatial turn, Soja stesso, dal canto suo, individua gerarchica non vi è spazio che non sia gerarchizzato e al tempo stesso mascherato tramite
la scena influente e la scaturigine teorica della svolta nella “rivoluzione parigina nel pensiero un “effetto di naturalizzazione”16. Un analogo motivo è riscontrabile nella riflessione di
spaziale”, riscontrabile nei lavori di Michel Foucault e Henri Lefebvre. Lefebvre sulle logiche di potere che presiedono alla struttura dei nuovi agglomerati urbani,
Riguardo al primo, il riferimento è alla conferenza Des espaces autres, tenuta il 14 marzo segnati da una compartimentazione antagonistica di “spazi dominanti” e “spazi dominati”17.
1967 al Cercle d’études architecturales, ma pubblicata soltanto nella primavera del 1984 Il fenomeno dell’urbanizzazione nel mondo “globizzato” appare, pertanto, segnato da una
e divenuta poi celebre per l’introduzione del concetto di “eterotopia”. L’impostazione connotazione insieme distintiva e contrastiva: da un lato abbiamo una dualità di luoghi (spazi
foucaultiana postula una caratterizzazione in senso forte dell’alterità: le eterotopie non sono in cui si vive e ci si relaziona) e, per riprendere la fortunata nozione di Marc Augé, nonluoghi
sic et simpliciter “altri spazi” – come vorrebbe un generico e retorico elogio della pluralità – (spazi di flusso e di transito); dall’altro la dinamica di formazione degli agglomerati urbani
ma spazi altri. Si tratta tuttavia di un’alterità diversa, anzi diametralmente opposta, rispetto “postmetropolitani” appare sempre più svincolata dal paradigma territoriale dello Stato-
all’“altro mondo” dell’Utopia. Se l’utopia è l’Isola-che-non c’è, un non-luogo (ou-topia) nazione e sempre più dipendente dalle logiche che regolano l’universalità della forma-merce
o buon-luogo (eu-topia) ideale, per definizione sprovvisto di localizzazione, le eterotopie e del lavoro astratto. Ma anche qui occorre non perdere di vista il doppio movimento di

76 77
della molteplicità e contingenza delle dinamiche di mutamento. La svolta spaziale ci fornisce 6 11 sono invece luoghi reali: spazi altri che sospendono e invertono i regimi della spazialità
per questa via la sola chiave di accesso all’ironico contrappasso della globalizzazione: nel The Spatial Turn, cit., p. 10. Si veda ora l’intero testo della sociale normale. Nella fattispecie, Foucault pensa a contro-spazi visibili, funzionalmente
conferenza in M. Foucault,
momento stesso in cui viene decretata la “morte della distanza”, la geografia acquista una 7 differenziati e, in taluni casi, anche istituzionalmente strutturati: collegi, cliniche, prigioni,
Des espaces autres, in Id., Dits
nuova rilevanza strategica, che va ben oltre i suoi tradizionali confini disciplinari. Lo spazio Si veda al riguardo il
et écrits, IV, Paris 1994, pp. cimiteri, teatri, cinema, camere d’albergo, case chiuse o “eterocronie” come musei e
non è “un mero riflesso passivo delle tendenze sociali e culturali”, ma un loro fattore volume di Doris Bachmann- biblioteche. Del resto, già in Les mots et les choses Foucault aveva istituito una differenza
752-762.
costitutivo6. Una “forza vitale” che plasma le nostre vite, afferma Soja, e che, con buona pace Medick, Cultural Turns.
radicale tra utopia e eterotopia: se le utopie consolano, schiudendosi in uno spazio ideale
Neuorientierungen in den 12
degli history boys, non può essere più governata con le tecniche e i metodi del mainstream Kulturwissemschaften, terza Cfr. R. Koselleck, “meraviglioso e liscio”, le eterotopie inquietano, proprio in quanto “minano segretamente
accademico. La globalizzazione si presenta così come una “two-way street”: una struttura edizione riveduta, Reinbek Zeitschichten. Studien zur il linguaggio”, infrangono i luoghi comuni e sconvolgono la sintassi: “le eterotopie (come
bi-logica e bi-direzionale, in cui la uni-diversità del mondo implica una presa di congedo 2009, pp. 284 ss. Historik, mit einem Beitrag quelle che troviamo tanto frequentemente in Borges) inaridiscono il discorso, bloccano le
dalla spazialità moderna e l’assunzione di uno spazio non-euclideo (ma è bene qui ricordare, voin Hans-Georg Gadamer, parole su se stesse, contestano, fin dalla sua radice, ogni possibilità di grammatica, dipanano
8
sia pure incidentalmente, che le geometrie non-euclidee venivano evocate come nuovo Frankfurt am Main 2000. i miti e rendono sterile il lirismo delle frasi”.
Cfr. F. Jameson,
orizzonte nella voce “Spazio” redatta da Federigo Enriquez nel 1936 per l’Enciclopedia Postmodernism, or the 13 La soglia d’epoca è indicata in termini netti e perentori nel testo della conferenza, come un
Italiana). Cultural Logic of Late Cfr. H. Lefebvre, La vero e proprio passaggio di testimone dalla categoria-tempo alla categoria-spazio: “L’époque
La crucialità che viene oggi acquisendo il passaggio dallo spazio euclideo – referente Capitalism, London-New production de l’espace, Paris actuelle serait peut-être plutôt l’époque de l’espace”. E ancora: “je crois que l’inquiétude
geometrico comune a gran parte (ma, come vedremo, non alla totalità) delle espressioni della York 1991, p. 154 (trad.it., 1974. Ma si vedano anche i due d’aujourd’hui concerne fondamentalement l’espace, sans doute beaucoup plus que le temps;
Postmodernismo, ovvero la tomi dell’opera sul “diritto
scienza e della politica moderna (la figura del Leviatano è modellata, da Hobbes a Schmitt, le temps n’apparaît probablement que comme l’un des jeux de distribution possibles entre
logica culturale del tardo alla città”: Le droit à la ville I;
sul concetto di sovranità, inteso come vertice e centro di uno Stato-nazione territorialmente capitalismo, Roma 2007). Paris 1968; Le droit à la ville les éléments qui se répartissent dans l’espace”. All’epoca della successione lineare, del tempo
delimitato) – allo spazio topologico si accompagna a un motivo largamente circolante II, Paris 1972. del Progresso cumulativo, ascendente e proiettato verso il futuro, è subentrata, dunque,
nella discussione internazionale: la crisi del paradigma topografico. A dispetto di alcuni 9
l’epoca della simultaneità: “Nous sommes à l’époque du simultané, nous sommes à l’époque
Si veda il volume collettaneo
tentativi di associare il topographical turn e il topological turn come “sottocorrenti” della Lo spazio del capitale, a cura
14 de la juxtaposition, à l’époque du proche et du lontain, du côte à côte, du dispersé. Nous
svolta spaziale7, è necessario non perdere di vista la differenza specifica che intercorre tra E. W. Soja, Thirdspace: sommes à un moment où le monde s’éprouve, je crois, moins comme une grande vie qui se
di Giovanna Vertova, Roma
paradigma topografico e paradigma topologico: se il primo, infatti, si concentra sulle forme Journeys to Los Angeles and
2009. développerait à travers le temps que comme un réseau qui relie des point et qui entrecroise
Other Real-and-Imagined
di rappresentazione dello spazio, il secondo si rivolge agli intrecci relazionali e posizionali Places, Oxford 1996. son écheveau”11.
10
in cui si articola una configurazione spaziale. L’evento della cosiddetta globalizzazione G. Deleuze-F. Guattari, Il tratto distintivo del nostro presente globale risiede, pertanto, nel fatto che la sua logica e la
può essere compreso – questa la tesi dei sostenitori della crisi del paradigma cartografico 15 sua stessa possibilità di Selbstverständnis, di “auto-intendimento”, non è più rappresentata
Qu’est-ce que la philosophie?,
E. W. Soja, Postmetropolis:
– solo a partire dalla rilevanza epistemologica del passaggio dalla forma-mappa alla forma- Paris 1991, p. 91. dal tempo, ma dallo spazio. All’immagine di un Processo unitario che si sviluppa nel tempo,
Critical Studies of Cities and
globo: forma che postula una spazialità non omogenea ma eterogenea, non continua ma Regions, Oxford 2000. subentra, in Foucault, la metafora del reticolo prodotto da punti che si intersecano e, per
discontinua, non isotropica ma anisotropica, non unidirezionale ma polidirezionale. tradurre e condensare le sue espressioni in una diversa terminologia, l’idea di un tempo
16
ortogonale, perpendicolare rispetto al flusso del tempo lineare, cumulativo e infuturante.
2. Spazializzazione del tempo: il paradigma stratigrafico Cfr. soprattutto P. Bourdieu,
La misère du monde, Paris Un tempo ortogonale che comprende, in modo simultaneo e coestensivo, tutte le asincronie,
Una funzione chiave, nell’ambito della “svolta spaziale”, viene svolta dal concetto di 1993, e Raisons pratiques. Sur le non-contemporaneità, le dissonanze del Presente, nella forma spazializzata di “strati
spatialization of the temporal, introdotto da Fredric Jameson8, con la sua lettura del la théorie de l’action, Paris temporali” (gli Zeitschichten di Reinhart Koselleck)12. Nello spazio saturo, insieme denso ed
postmoderno come sfondo logico-culturale del “tardo capitalismo”, e da David Harvey: un 1994. eterogeneo, del “mondo finito”, le eterotopie sono, per dirla ancora con Foucault, “il luogo
geografo che, sin dagli anni Ottanta, ha contribuito in modo decisivo a delineare la nuova 17 in cui abita il phantasma”, in cui si produce – anche sul terreno del linguaggio – una frattura
configurazione spaziale di un capitalismo globale a un tempo concentrato (poteri finanziari) Ma occorre qui ricordare che, sovvertendo la sintassi dell’Ordine, rende intellegibile la paradossale logica della nostra
e diffuso (filiere produttive transnazionali e processi di outsourcing, di esternalizzazione e che, già negli anni Novanta, “contemporaneità”.
un geografo come Nicholas Molto si è detto e scritto in questi anni sulle eterotopie di Foucault. Assai meno si è riflettuto,
terziarizzazione, favoriti dalle nuove tecnologie digitali)9.
Blomley aveva esteso lo spatial
Nei teorici dello spatial turn, il concetto di spazializzazione della dimensione temporale si invece, sulla triade di Lefebvre: “spazio percepito-concepito-vissuto”13. Svolgendo e
turn agli ambiti del diritto e
traduce in una visione stratigrafica del tempo di sapore vagamente archeologico, esplicitata del potere (cfr. Law, Space, accentuando la traccia di Lefebvre, si può istituire una reciproca implicazione tra due vettori:
tramite un richiamo a Fernand Braudel e alla scuola delle “Annales”. Da una prospettiva and the Geography of Power, il vettore di socializzazione delle dinamiche spaziali e il vettore di spazializzazione dei
diversa, ma con analogo intento ‘spazializzante’, Deleuze e Guattari si erano del resto New York 1994). Sul concetto processi sociali. La società ha sin dal suo sorgere una configurazione spaziale, così come lo
richiamati a Braudel per istituire un parallelo tra geofilosofia e geostoria: “La filosofia è una di “giustizia spaziale” si veda spazio ha una configurazione sociale. Socializzazione e spazializzazione sono da sempre state
geo-filosofia esattamente come la storia è una geo-storia dal punto di vista di Braudel”10. anche il recente volume di intimamente intrecciate, interdipendenti e in conflitto. In Thirdspace14 e in Postmetropolis15
E. W. Soja, Seeking Spatial Soja sviluppa le analisi di Postmodern Geographies, affermando che non solo i processi sociali
Ma se il paradigma stratigrafico segna un’indubbia discontinuità rispetto alle varie forme Justice, Minneapolis 2010.
di storicismo, per altro verso occorre problematizzare la cesura operata dai portavoce della modellano e spiegano le geografie, ma che in misura anche maggiore le geografie plasmano
“svolta spaziale” nei confronti di un Moderno troppo riduttivamente omologato. Se, infatti, i processi e le stesse azioni sociali. Ma per esplorare questo nesso di reciprocità occorre
la topografia ha un’ascendenza newtoniana (spazio assoluto e uniforme), la topologia ha proiettarsi “oltre i confini convenzionali della geografia modernista”. Per completare i
un’ascendenza leibniziana (spazio non-sostanziale, ma relazionale e differenziale). Per altro riferimenti di Soja agli antefatti francesi della svolta spaziale, appare tuttavia ineludibile la
verso, se la maggior parte degli esponenti della nuova tendenza appare concorde nel definire riflessione di Bourdieu sul nesso inestricabile tra ordinamento spaziale e potere: in una società
Soja la figura-chiave che ha dato avvio allo spatial turn, Soja stesso, dal canto suo, individua gerarchica non vi è spazio che non sia gerarchizzato e al tempo stesso mascherato tramite
la scena influente e la scaturigine teorica della svolta nella “rivoluzione parigina nel pensiero un “effetto di naturalizzazione”16. Un analogo motivo è riscontrabile nella riflessione di
spaziale”, riscontrabile nei lavori di Michel Foucault e Henri Lefebvre. Lefebvre sulle logiche di potere che presiedono alla struttura dei nuovi agglomerati urbani,
Riguardo al primo, il riferimento è alla conferenza Des espaces autres, tenuta il 14 marzo segnati da una compartimentazione antagonistica di “spazi dominanti” e “spazi dominati”17.
1967 al Cercle d’études architecturales, ma pubblicata soltanto nella primavera del 1984 Il fenomeno dell’urbanizzazione nel mondo “globizzato” appare, pertanto, segnato da una
e divenuta poi celebre per l’introduzione del concetto di “eterotopia”. L’impostazione connotazione insieme distintiva e contrastiva: da un lato abbiamo una dualità di luoghi (spazi
foucaultiana postula una caratterizzazione in senso forte dell’alterità: le eterotopie non sono in cui si vive e ci si relaziona) e, per riprendere la fortunata nozione di Marc Augé, nonluoghi
sic et simpliciter “altri spazi” – come vorrebbe un generico e retorico elogio della pluralità – (spazi di flusso e di transito); dall’altro la dinamica di formazione degli agglomerati urbani
ma spazi altri. Si tratta tuttavia di un’alterità diversa, anzi diametralmente opposta, rispetto “postmetropolitani” appare sempre più svincolata dal paradigma territoriale dello Stato-
all’“altro mondo” dell’Utopia. Se l’utopia è l’Isola-che-non c’è, un non-luogo (ou-topia) nazione e sempre più dipendente dalle logiche che regolano l’universalità della forma-merce
o buon-luogo (eu-topia) ideale, per definizione sprovvisto di localizzazione, le eterotopie e del lavoro astratto. Ma anche qui occorre non perdere di vista il doppio movimento di

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deterritorializzazione e riterritorializzazione che caratterizza l’attuale struttura del mondo. 18 20 dentro l’avvento dell’Età Nuova, del Progetto politico e di quello epistemico della
Se per un verso i flussi del denaro e dell’informazione transitano, o meglio si dislocano, Rimando, per questo aspetto, Per una trattazione critica del modernità: il Moderno fonda il nuovo dominio del Soggetto cosciente sulla riduzione
al mio Passaggio a Occidente, tema della Rappresentazione
nel cyberspazio grazie alle tecnologie digitali del “tempo reale”, giustificando prima facie del mondo a immagine. Il dominio del Soggetto interdipende in modo diretto con un
soprattutto nella recente in Heidegger rimando al mio
l’adozione della metaforica della liquidità, per l’altro la stessa istantaneità dei flussi non versione inglese riveduta e libro Minima temporalia. dispositivo di riduzione del mondo a mero Oggetto di rappresentazione: ossia, stando al
potrebbe darsi né letteralmente aver-luogo senza l’esistenza di poli di potere finanziario aggiornata: The Passage West: gioco terminologico heideggeriano, a Gegen-stand, a ciò che intanto può essere oggettivato
21
tanto più liberi nei loro movimenti quanto più stabilmente codificati nelle loro logiche. Philosophy After the Age of in quanto sta-di-fronte o di-contro alla coscienza soggettiva, alla visuale prospettica che si
Cfr. L. Gambi, Critica ai
the Nation State, London-
Ma vi è dell’altro. Queste logiche, lungi dal ricomporsi armonicamente o funzionalmente concetti geografici di paesaggio apre dinanzi all’“occhio della mente” . Il Moderno verrebbe così a coincidere con qualcosa
20

in un sistema-mondo, appaiono segnate da una conflittualità endemica che induce effetti New York 2012. di molto prossimo alla “fase dello specchio”: nel senso del Mirror of Nature, dello “specchio
umano, Faenza 1961; Id.,
strutturalmente caotici, relegando la formula, salvifica o egemonica, della global governance 19 Questioini di geografia, della natura”, di cui ha parlato a suo tempo Richard Rorty nella sua rilettura in chiave
nel regno dell’utopia edificante o della distopia autoritaria. Vi è tuttavia un ulteriore elemento Occorre, tuttavia, “essere Napoli 1964; Id., Una postmoderna della tesi heideggeriana. Il dominio della Rappresentazione sarebbe, in altri
da considerare, se si vuol cogliere il doppio movimento che scandisce la struttura del mondo giusti con Lacan”. Per questo, geografia per la storia, Torino termini, il risultato di uno specchiarsi, dentro la sfera soggettiva del Cogito, di un mondo
ho sentito il bisogno di 1973. ridotto more geometrico a pura spazialità, a complesso oggettivato di relazioni. L’entità del
“dopo il Leviatano”. Intrecciato allo spazio della competizione fra le opposte volontà di
mettere a fuoco quelli che
potenza delle corporations (lotta mortale assai più prossima allo stato-di-natura hobbesiano sono per me i punti di non
22 prezzo che una siffatta riduzione comporta è agevolmente misurabile attraverso la drastica
che all’ideale liberale della concorrenza perfetta) è operante su scala globale una gamma di Cfr. F. Farinelli, Geografia. radicalità della svolta: il mondo cessa di essere l’habitat in cui le nostre vite sono immerse,
ritorno della sua opera in
nuove forme di conflitto, propiziate dallo stesso avvento del cyberspazio e riconducibili alla Un’introduzione ai modelli del la dimensione che circuisce e coinvolge i destini delle nostre umane esistenze in un intreccio
Effetto Lacan. Singolarità,
mondo, Torino 2003; Id., La
dimensione simbolica dell’appartenenza identitaria. La stessa Rete, a ben guardare, non è né evento, soggetto, in I pensieri inestricabile con altre forme di vita ed esistenze non-umane, per trasformarsi in oggetto
crisi della ragione cartografica,
un sistema né una società: non dà luogo a una sfera unica, omogenea e cosmopoliticamente dell’istante. Scritti per di conoscenza razionalizzabile, misurabile, calcolabile e, di conseguenza, assoggettabile
Torino 2009.
Jacqueline Risset, Roma 2012, e plasmabile dai dispositivi della Rappresentazione produttiva – i.e. produttivamente
unidirezionata, ma a uno spazio labirintico composto di una pluralità eccentrica di sfere, di
pp. 329-334. 23
nuove “comunità immaginate” che, pur operando localmente, si coagulano in base a logiche finalizzata al dominio del Mondo-Oggetto – allestita dal Soggetto.
Cfr. M. Serres, Les origines de
transterritoriali e “diasporiche”18. la géométrie, Paris 1993. Ma vi è di più. La cesura da cui scaturisce il regime della rappresentazione (regime
ambivalente si è detto: politico ed epistemico a un tempo) induce una non meno radicale
3. La messinscena del mondo inversione di segno nello stesso concetto di esperienza. Da immanente, l’esperienza diviene
trascendentale: si sgancia dal concreto vissuto delle menti e dei corpi per ritrarsi nella sfera
A questo punto diviene ineludibile la domanda sul nuovo ordine di relazioni che viene a separata (e metodicamente delimitata) della conoscenza scientifica e dell’operare tecnico-
istituirsi, nel nuovo quadro del “mondo finito”, tra le due dimensioni dello spazio e del produttivo. Sintomatica la traiettoria che da Cartesio conduce all’Io penso kantiano, con
tempo. Per tentare una risposta non elusiva o schiacciata sulla superficie dei fenomeni in la netta separazione tra ragione teoretica e ragione pratica: per Kant non si dà esperienza
atto, occorre spostare il focus dell’analisi sullo statuto paradossale del nostro presente: delle delle opzioni di valore, non si dà ad esempio esperienza della libertà, ma solo esperienza
“realtà”, dell’intreccio di eventi, in cui ci accade di vivere. Si tratta di un paradosso duplice, (criticamente delimitata dalle condizioni trascendentali) degli eventi muti – senza parola
o meglio biforcato in due ambiti differenti, in due sfere insieme distinte e interagenti, e senza valore, e pertanto misurabili e legiferabili – che hanno-luogo nella dimensione, in
autonome e complementari: rappresentazione e comunicazione. Non è forse il nostro ultima analisi fisica, della fatticità naturale. Degli eventi simbolici ed emotivi, dunque lato
mondo globale, questo mondo che ci avvolge e ci sfida ‘circuitando’ i macroeventi con i sensu culturali, del vissuto non può darsi esperienza: per la semplice ma decisiva circostanza
microeventi del quotidiano, il Mondo per antonomasia rappresentabile? I lemmi globo e che per essi non si dà-luogo. Quegli eventi ricadono sotto la sfera della ragione pratica:
globale non richiamano forse la categoria della scena, la Rappresentazione o Messinscena sfera assoluta – letteralmente sovrana, legibus soluta – proprio in quanto sciolta dai vincoli
del mondo come un intero, un quadro compiuto, un oggetto rotondo interdipendente e trascendentali di ogni possibile esperienza fisico-causale.
circumnavigabile? E l’interdipendenza di questo intero – di questo “mondo finito”, come Difficile negare la carica di suggestione presente in questa chiave di lettura del Moderno:
lo chiamava Paul Valéry già negli anni Venti del secolo scorso – non ha forse la sua cifra dove la metafora della “leggibilità del Mondo” (secondo l’efficacissima formula di Hans
nei multimedia, nel pluriverso tecnologico della comunicazione globale, nella onnilaterale Blumenberg) fa del mondo oggettivato un mondo sezionabile e scomponibile, e dove il
simultaneità di informazioni che possiamo ricevere o trasmettere in un tempo prossimo al dominio della Rappresentazione si risolve nell’ingiunzione, per dirla con Wittgenstein, a
grado zero dell’istante? Eppure… “fare a pezzi il mondo”.
Eppure dobbiamo compiere uno sforzo che ci conduca al di là della doppia parvenza indotta Altrettanto assurdo sarebbe negare o sottovalutare, si diceva prima, la portata e la pertinenza
dalla scena globale, se vogliamo davvero cogliere l’altra scena sottesa alla struttura del descrittiva riscontrabile nelle espressioni più radicali della “svolta spaziale”. Ma al potere
nostro presente (ricorro qui, come è facile intuire, a una celeberrima figura di Lacan, che mi delle suggestioni è sempre bene sottrarsi, suggeriscono con dovizia di documenti e
propongo però di declinare in una direzione diversa da quella di una certa vulgata lacaniana argomenti importanti alcuni geografi italiani (come il compianto Lucio Gambi21 e Franco
filosofeggiante oggi in voga19). Vediamo allora, innanzi tutto, di specificare la natura della Farinelli22), che molti filosofi dovrebbero leggere: lungi dall’essere un fenomeno moderno, il
duplice apparenza indotta dalla scena globale. dominio della rappresentazione nella cultura occidentale ha inizio con l’origine (anzi, stando
Il primo lato della parvenza sta nel credere che la logica del globale sia appunto alla puntualizzazione di Michel Serres23, con le origini) della geo-metria, vale a dire con la
rintracciabile nel persistere (sia pure in forma dilatata e inclusiva) del dominio moderno standardizzazione dei parametri metrici e ‘stadiali’ (il greco stádion altro non è che una scala
della Rappresentazione. Il secondo lato della parvenza risiede invece nella convinzione, o un intervallo metrico di misura delle distanze) di compartimentazione o “centuriazione”
altrettanto diffusa, che il globale coincida con il dominio della Comunicazione. Ma si dà della Terra, in cui la ratio strategica guida con i suoi diktat i percorsi della conoscenza. Qui si
il caso che entrambe le credenze nascondano la paradossale logica e struttura del mondo evidenzia come il paradosso della Worldpicture spaziale consista in un’inversione diametrale
‘globizzato’, del mundus divenuto globus: una logica non uniforme ma duplice (nei miei dei termini del rispecchiamento: non è la mappa a fungere da copia del mondo, ma il mondo
lavori ho parlato di una “bi-logica” del globale); e una struttura della comunicazione non che diviene copia della mappa. La mappatura oggettivante e sezionante del mondo ha,
dialogica ma conflittuale, non edificante ma aporetica. Cerchiamo dunque di essere, sia pure dunque, una longue durée. Ma – e non si insisterà mai abbastanza sul peso di questo ma – il
in estrema sintesi, più precisi. tratto caratteristico del nostro presente globale sta nel progressivo e irreversibile incrinarsi
Quando si parla del nostro tempo come epoca della Rappresentazione, il pensiero corre del regime della rappresentazione: troppi sono gli eventi, le differenze, le dinamiche
spontaneamente alla celebre definizione heideggeriana della Neu-Zeit, dell’Età moderna, relazionali e le insorgenze conflittuali che ormai sfuggono al design astratto della Mappa,
come “Tempo dell’Immagine del Mondo” (Zeit des Weltbildes). Il Moderno, nella sua scena con i suoi parametri standardizzati di misurazione dello spazio planetario. Il regime della
inaugurale, fissata da Heidegger nel turning point del Cogito cartesiano, recherebbe con rappresentazione, dunque, ha ormai un grande futuro alle spalle…
sé lo stigma ambivalente del dominio e della riduzione. Pronunciare congiuntamente i due Ritornando alla doppia logica del “mondo finito”, è possibile adesso cogliere con maggiore
termini della dominazione e del riduzionismo equivale a indicare la stretta complementarità, chiarezza il paradosso inerente all’attuale fase della globalizzazione. Ci soccorre a tale

78 79
deterritorializzazione e riterritorializzazione che caratterizza l’attuale struttura del mondo. 18 20 dentro l’avvento dell’Età Nuova, del Progetto politico e di quello epistemico della
Se per un verso i flussi del denaro e dell’informazione transitano, o meglio si dislocano, Rimando, per questo aspetto, Per una trattazione critica del modernità: il Moderno fonda il nuovo dominio del Soggetto cosciente sulla riduzione
al mio Passaggio a Occidente, tema della Rappresentazione
nel cyberspazio grazie alle tecnologie digitali del “tempo reale”, giustificando prima facie del mondo a immagine. Il dominio del Soggetto interdipende in modo diretto con un
soprattutto nella recente in Heidegger rimando al mio
l’adozione della metaforica della liquidità, per l’altro la stessa istantaneità dei flussi non versione inglese riveduta e libro Minima temporalia. dispositivo di riduzione del mondo a mero Oggetto di rappresentazione: ossia, stando al
potrebbe darsi né letteralmente aver-luogo senza l’esistenza di poli di potere finanziario aggiornata: The Passage West: gioco terminologico heideggeriano, a Gegen-stand, a ciò che intanto può essere oggettivato
21
tanto più liberi nei loro movimenti quanto più stabilmente codificati nelle loro logiche. Philosophy After the Age of in quanto sta-di-fronte o di-contro alla coscienza soggettiva, alla visuale prospettica che si
Cfr. L. Gambi, Critica ai
the Nation State, London-
Ma vi è dell’altro. Queste logiche, lungi dal ricomporsi armonicamente o funzionalmente concetti geografici di paesaggio apre dinanzi all’“occhio della mente” . Il Moderno verrebbe così a coincidere con qualcosa
20

in un sistema-mondo, appaiono segnate da una conflittualità endemica che induce effetti New York 2012. di molto prossimo alla “fase dello specchio”: nel senso del Mirror of Nature, dello “specchio
umano, Faenza 1961; Id.,
strutturalmente caotici, relegando la formula, salvifica o egemonica, della global governance 19 Questioini di geografia, della natura”, di cui ha parlato a suo tempo Richard Rorty nella sua rilettura in chiave
nel regno dell’utopia edificante o della distopia autoritaria. Vi è tuttavia un ulteriore elemento Occorre, tuttavia, “essere Napoli 1964; Id., Una postmoderna della tesi heideggeriana. Il dominio della Rappresentazione sarebbe, in altri
da considerare, se si vuol cogliere il doppio movimento che scandisce la struttura del mondo giusti con Lacan”. Per questo, geografia per la storia, Torino termini, il risultato di uno specchiarsi, dentro la sfera soggettiva del Cogito, di un mondo
ho sentito il bisogno di 1973. ridotto more geometrico a pura spazialità, a complesso oggettivato di relazioni. L’entità del
“dopo il Leviatano”. Intrecciato allo spazio della competizione fra le opposte volontà di
mettere a fuoco quelli che
potenza delle corporations (lotta mortale assai più prossima allo stato-di-natura hobbesiano sono per me i punti di non
22 prezzo che una siffatta riduzione comporta è agevolmente misurabile attraverso la drastica
che all’ideale liberale della concorrenza perfetta) è operante su scala globale una gamma di Cfr. F. Farinelli, Geografia. radicalità della svolta: il mondo cessa di essere l’habitat in cui le nostre vite sono immerse,
ritorno della sua opera in
nuove forme di conflitto, propiziate dallo stesso avvento del cyberspazio e riconducibili alla Un’introduzione ai modelli del la dimensione che circuisce e coinvolge i destini delle nostre umane esistenze in un intreccio
Effetto Lacan. Singolarità,
mondo, Torino 2003; Id., La
dimensione simbolica dell’appartenenza identitaria. La stessa Rete, a ben guardare, non è né evento, soggetto, in I pensieri inestricabile con altre forme di vita ed esistenze non-umane, per trasformarsi in oggetto
crisi della ragione cartografica,
un sistema né una società: non dà luogo a una sfera unica, omogenea e cosmopoliticamente dell’istante. Scritti per di conoscenza razionalizzabile, misurabile, calcolabile e, di conseguenza, assoggettabile
Torino 2009.
Jacqueline Risset, Roma 2012, e plasmabile dai dispositivi della Rappresentazione produttiva – i.e. produttivamente
unidirezionata, ma a uno spazio labirintico composto di una pluralità eccentrica di sfere, di
pp. 329-334. 23
nuove “comunità immaginate” che, pur operando localmente, si coagulano in base a logiche finalizzata al dominio del Mondo-Oggetto – allestita dal Soggetto.
Cfr. M. Serres, Les origines de
transterritoriali e “diasporiche”18. la géométrie, Paris 1993. Ma vi è di più. La cesura da cui scaturisce il regime della rappresentazione (regime
ambivalente si è detto: politico ed epistemico a un tempo) induce una non meno radicale
3. La messinscena del mondo inversione di segno nello stesso concetto di esperienza. Da immanente, l’esperienza diviene
trascendentale: si sgancia dal concreto vissuto delle menti e dei corpi per ritrarsi nella sfera
A questo punto diviene ineludibile la domanda sul nuovo ordine di relazioni che viene a separata (e metodicamente delimitata) della conoscenza scientifica e dell’operare tecnico-
istituirsi, nel nuovo quadro del “mondo finito”, tra le due dimensioni dello spazio e del produttivo. Sintomatica la traiettoria che da Cartesio conduce all’Io penso kantiano, con
tempo. Per tentare una risposta non elusiva o schiacciata sulla superficie dei fenomeni in la netta separazione tra ragione teoretica e ragione pratica: per Kant non si dà esperienza
atto, occorre spostare il focus dell’analisi sullo statuto paradossale del nostro presente: delle delle opzioni di valore, non si dà ad esempio esperienza della libertà, ma solo esperienza
“realtà”, dell’intreccio di eventi, in cui ci accade di vivere. Si tratta di un paradosso duplice, (criticamente delimitata dalle condizioni trascendentali) degli eventi muti – senza parola
o meglio biforcato in due ambiti differenti, in due sfere insieme distinte e interagenti, e senza valore, e pertanto misurabili e legiferabili – che hanno-luogo nella dimensione, in
autonome e complementari: rappresentazione e comunicazione. Non è forse il nostro ultima analisi fisica, della fatticità naturale. Degli eventi simbolici ed emotivi, dunque lato
mondo globale, questo mondo che ci avvolge e ci sfida ‘circuitando’ i macroeventi con i sensu culturali, del vissuto non può darsi esperienza: per la semplice ma decisiva circostanza
microeventi del quotidiano, il Mondo per antonomasia rappresentabile? I lemmi globo e che per essi non si dà-luogo. Quegli eventi ricadono sotto la sfera della ragione pratica:
globale non richiamano forse la categoria della scena, la Rappresentazione o Messinscena sfera assoluta – letteralmente sovrana, legibus soluta – proprio in quanto sciolta dai vincoli
del mondo come un intero, un quadro compiuto, un oggetto rotondo interdipendente e trascendentali di ogni possibile esperienza fisico-causale.
circumnavigabile? E l’interdipendenza di questo intero – di questo “mondo finito”, come Difficile negare la carica di suggestione presente in questa chiave di lettura del Moderno:
lo chiamava Paul Valéry già negli anni Venti del secolo scorso – non ha forse la sua cifra dove la metafora della “leggibilità del Mondo” (secondo l’efficacissima formula di Hans
nei multimedia, nel pluriverso tecnologico della comunicazione globale, nella onnilaterale Blumenberg) fa del mondo oggettivato un mondo sezionabile e scomponibile, e dove il
simultaneità di informazioni che possiamo ricevere o trasmettere in un tempo prossimo al dominio della Rappresentazione si risolve nell’ingiunzione, per dirla con Wittgenstein, a
grado zero dell’istante? Eppure… “fare a pezzi il mondo”.
Eppure dobbiamo compiere uno sforzo che ci conduca al di là della doppia parvenza indotta Altrettanto assurdo sarebbe negare o sottovalutare, si diceva prima, la portata e la pertinenza
dalla scena globale, se vogliamo davvero cogliere l’altra scena sottesa alla struttura del descrittiva riscontrabile nelle espressioni più radicali della “svolta spaziale”. Ma al potere
nostro presente (ricorro qui, come è facile intuire, a una celeberrima figura di Lacan, che mi delle suggestioni è sempre bene sottrarsi, suggeriscono con dovizia di documenti e
propongo però di declinare in una direzione diversa da quella di una certa vulgata lacaniana argomenti importanti alcuni geografi italiani (come il compianto Lucio Gambi21 e Franco
filosofeggiante oggi in voga19). Vediamo allora, innanzi tutto, di specificare la natura della Farinelli22), che molti filosofi dovrebbero leggere: lungi dall’essere un fenomeno moderno, il
duplice apparenza indotta dalla scena globale. dominio della rappresentazione nella cultura occidentale ha inizio con l’origine (anzi, stando
Il primo lato della parvenza sta nel credere che la logica del globale sia appunto alla puntualizzazione di Michel Serres23, con le origini) della geo-metria, vale a dire con la
rintracciabile nel persistere (sia pure in forma dilatata e inclusiva) del dominio moderno standardizzazione dei parametri metrici e ‘stadiali’ (il greco stádion altro non è che una scala
della Rappresentazione. Il secondo lato della parvenza risiede invece nella convinzione, o un intervallo metrico di misura delle distanze) di compartimentazione o “centuriazione”
altrettanto diffusa, che il globale coincida con il dominio della Comunicazione. Ma si dà della Terra, in cui la ratio strategica guida con i suoi diktat i percorsi della conoscenza. Qui si
il caso che entrambe le credenze nascondano la paradossale logica e struttura del mondo evidenzia come il paradosso della Worldpicture spaziale consista in un’inversione diametrale
‘globizzato’, del mundus divenuto globus: una logica non uniforme ma duplice (nei miei dei termini del rispecchiamento: non è la mappa a fungere da copia del mondo, ma il mondo
lavori ho parlato di una “bi-logica” del globale); e una struttura della comunicazione non che diviene copia della mappa. La mappatura oggettivante e sezionante del mondo ha,
dialogica ma conflittuale, non edificante ma aporetica. Cerchiamo dunque di essere, sia pure dunque, una longue durée. Ma – e non si insisterà mai abbastanza sul peso di questo ma – il
in estrema sintesi, più precisi. tratto caratteristico del nostro presente globale sta nel progressivo e irreversibile incrinarsi
Quando si parla del nostro tempo come epoca della Rappresentazione, il pensiero corre del regime della rappresentazione: troppi sono gli eventi, le differenze, le dinamiche
spontaneamente alla celebre definizione heideggeriana della Neu-Zeit, dell’Età moderna, relazionali e le insorgenze conflittuali che ormai sfuggono al design astratto della Mappa,
come “Tempo dell’Immagine del Mondo” (Zeit des Weltbildes). Il Moderno, nella sua scena con i suoi parametri standardizzati di misurazione dello spazio planetario. Il regime della
inaugurale, fissata da Heidegger nel turning point del Cogito cartesiano, recherebbe con rappresentazione, dunque, ha ormai un grande futuro alle spalle…
sé lo stigma ambivalente del dominio e della riduzione. Pronunciare congiuntamente i due Ritornando alla doppia logica del “mondo finito”, è possibile adesso cogliere con maggiore
termini della dominazione e del riduzionismo equivale a indicare la stretta complementarità, chiarezza il paradosso inerente all’attuale fase della globalizzazione. Ci soccorre a tale

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proposito la definizione del mondo globale proposta da David Harvey. Per Harvey, il 24 dalla folla delle impressioni e dal deposito stratificato della memoria. Fa certo specie che il
mondo globalizzato è caratterizzato dal fenomeno della time-space compression24. Formula Cfr. D. Harvey, The Condition pensiero empirista, nel momento stesso in cui ha sottratto il termine identità al reame della
of Postmodernity: An Inquiry
quanto mai plastica ed efficace, che andrebbe tuttavia declinata dissociando il nesso che vi logica per applicarlo alla persona individuale, lo abbia fatto proprio allo scopo di affermare
into the Origins of Cultural
viene istituito fra le due dimensioni dello spazio e del tempo: la globalizzazione è per un Change, Oxford-Cambridge l’impossibilità di un’identità logico-sostanziale del “soggetto”. Assistiamo così a una sorta di
verso compressione spaziale delle culture e delle forme di vita, per l’altro diaspora temporale, MA 1989 , p. 147. fissione atomica dell’in-dividuo moderno. Per il suo carattere costruito, ossia letteralmente
differenziazione dei modi in cui i diversi soggetti fanno esperienza del tempo. Marines bio-grafico, l’identità personale è il risultato di una selettività contingente. Fin qui la mossa
25
americani e popolazioni indigene in Iraq o in Afghanistan, europei e immigrati africani o Ho proposto il termine antimetafisica del grande empirismo moderno. Saranno poi altri pensatori della modernità,
asiatici in Italia o Germania o Francia, si trovano sì compressi nel medesimo spazio, ma ipermoderno, in luogo di a partire da Hegel, a compiere un ulteriore, decisivo passo: il soggetto-persona (l’individuo-
vivono esperienze del tempo radicalmente diverse. Ed è appunto da questa coesistenza postmoderno, nella prima atomo, presuntivamente indivisibile, delle metafisiche contrattualistiche) non è soltanto
conflittuale di spazio compresso e tempo diasporico che trae origine la tendenza dei diversi edizione (1983) di Potere e dinamico-relazionale (e pertanto contingente e non autoconsistente) ma attraversato da una
gruppi a cristallizzare le proprie forme di appartenenza (socioculturale, ideologica, religiosa) secolarizzazione. costitutiva scissione interna. Vediamo così affiorare il punto dirimente del nostro discorso:
in termini rigidamente identitari. E quando la logica dell’identità e il fenomeno translocale 26 il Soggetto moderno non è solo plurale, non è solo un “Io multiplo”, ma è soprattutto
delle “comunità immaginate” prende la forma di un’ossessione identitaria, assistiamo Sul concetto di “modernità- intrinsecamente scisso e conflittuale.
all’insorgere dei fondamentalismi. mondo” rimando al primo
Lo scenario che si apre non ha nulla a che fare con una qualche forma di postmodernismo, capitolo del mio La passione 5. Comunicazione e fra-intendimento: la traduzione come progetto politico
del presente, Torino 2008.
né può trovare spiegazione con il ricorso all’enfasi postmoderna del frammento. Si tratta al
La sovversione della logica dell’identità (prima radice dei giochi strategici del potere)
contrario di un fenomeno che già molti anni fa25 avevo proposto di definire ipermoderno.
operata dal criterio dinamico della differenza investe in pieno il paradigma edificante
A differenza del postmoderno, l’ipermodernità non indebolisce né dissolve il Moderno
della comunicazione. Il tratto saliente dell’agire comunicativo non è affatto, come ritiene
‘oltrepassandolo’, ma ne porta al diapason la struttura antinomica. Proiettata nello spazio
Habermas, la Verständigung: l’intesa nel doppio significato del comprendersi e del convenire.
globale, la modernità, trasformatasi da modernità-nazione in modernità-mondo26, riproduce
Ma è al contrario il Missverständnis, il misunderstanding, il malinteso. La vera cifra della
all’estremo la sua antinomia costitutiva: l’antinomia tra principio di identità e principio di
comunicazione non risiede nel momento dialogico dell’accordo e della comprensione
differenza. Ogni qualvolta prevale (in filosofia come in politica) il paradigma esclusivo
reciproca ma nell’evento aporetico del fra-intendimento. In breve: le differenze possono
dell’identità e della reductio ad Unum, le ‘differenze’ riluttanti all’omologazione reagiscono
effettivamente incontrarsi solo a partire dal malinteso: fra-intendendosi e confliggendo, ad
assumendo in forma cristallizzata e disseminativa, come i frammenti di un meteorite, la
onta del dialogo. L’assunzione del momento aporetico del fraintendimento implica, con
stessa logica identitaria del paradigma egemone. Accade così che nel mondo globalizzato la
ogni evidenza, una conseguenza decisiva anche nel modo di concepire la democrazia. La
rimozione dell’identità degli “altri” da parte di un Occidente che legittima le proprie pretese
chiave della democrazia non è il consenso ma il dissenso: anche nelle sue forme espressive
egemoniche facendo coincidere la propria identità con l’Universale produca come suo
inevitabile effetto una reificazione dell’identità da parte delle cosiddette differenze culturali. più “tumultuarie” (come ci ha insegnato Machiavelli). Si tratta allora di istituire una nuova
Si produce così il terreno di coltura propizio alla nascita del fondamentalismo: fenomeno forma di discorso che non soggiaccia alla retorica della comunicazione e che sia in grado di
niente affatto tradizionale ma, appunto, ipermoderno, riconducibile a una dinamica di valorizzare il conflitto, il conflittuale fra-intendersi delle differenze, assumendo la traduzione
produzione globale della località. come progetto politico. Solo così sarà possibile fronteggiare le sfide del nostro presente
Come uscire, dunque, dalla spirale tra rimozione e reificazione dell’identità, tra universalismo globale, individuando i passaggi verso una democrazia radicale in grado di assumere in sé
identitario dell’Occidente e antiuniversalismo delle differenze ‘blindate’ che riproducono in fino in fondo – per dirla con lo Hegel della Fenomenologia – “la serietà, il dolore, la pazienza
sedicesimo una “politica dell’identità”? La tesi che ho avanzato nei miei lavori degli ultimi e il travaglio del negativo”.
anni si raccoglie attorno alla formula dell’universalismo della differenza. Non si tratta – lo
6. Passaggi
dico subito per sgomberare il terreno da possibili equivoci – di una statica prescrizione o
di una formula astrattamente normativa, ma piuttosto di un cartello segnaletico che assume Vengo, così, a un tema a me particolarmente caro: il tema del passaggio. In un mio precedente
la differenza non come designatore di un luogo o di un soggetto determinato ma come un libro ho parlato della globalizzazione come di un passaggio a Occidente di tutte le culture:
criterio, un vertice ottico capace di produrre dinamiche di attraversamento, destabilizzazione passaggio destinato a trasformare radicalmente non solo le culture “altre”, ma gli stessi stili
e trasformazione costante di ogni autoconsistenza identitaria. Solo per questa via si apre di vita e di comportamento della civiltà occidentale. Ho già introdotto prima, in forma molto
la possibilità di venire a capo dell’antinomia costitutiva del Moderno: non risolvendola o sintetica, la mia tesi della doppia logica soggiacente alle dinamiche del mondo globalizzato.
superandola, ma portandola alle sue estreme conseguenze. E facendola esplodere. Vorrei adesso toccare rapidamente due aspetti, che investono – rispettivamente – la struttura
Andiamo allora a vedere gli effetti di questa esplosione. e la fenomenologia di quella forma di dominio che siamo soliti definire con l’espressione
capitale globale.
4. L’altra scena: insorgenza del Soggetto collettivo e scomposizione del soggetto individuale Stando al profilo strutturale, non vi è dubbio che il mondo post-Guerra Fredda, il mondo
La cifra del Moderno non è – con buona pace di Heidegger – il Soggetto individuale scaturito dalla caduta del muro di Berlino e dal crollo del blocco sovietico, si presenti
essenzialisticamente autocentrato, da Agostino a Descartes, nel secretum della Coscienza, uniformato sotto la logica di un mercato economico-finanziario “senza frontiere”. E tuttavia
nell’autotrasparenza riflessiva del proprio foro interiore. La vera scena inaugurale del – a dispetto delle prognosi convergenti dei grandi teorici marxisti (come Hilferding e Lenin)
Moderno è costituita dal duplice e concomitante fenomeno dell’insorgenza del Soggetto e liberali (come Weber e Schumpeter) del secolo scorso, che prevedevano per il capitalismo
collettivo e della scomposizione del soggetto individuale. Non in Cartesio va dunque un destino di progressiva concentrazione – il capitale globale appare al tempo concentrato e
rintracciata quella scena influente, ma nei grandi critici empiristi dell’essenzialismo: da diffuso: concentrato nella sua logica di dominio, diffuso nelle sue forme di organizzazione
Locke, con il suo teorema di impossibilità dell’identità essenziale della persona e con la sua e di controllo.
idea anti-innatistica di un’identità ricomponibile solo ex post tramite il filo della memoria, Stando alla configurazione fenomenologica, l’ambivalenza si riproduce con un grado di
a Hume, con la sua pluralizzazione dell’Io nel teatro della coscienza (preludio scettico del intensità ancora maggiore. Il dominio del capitale globale non dà luogo a un’unica forma
freudiano teatro dell’inconscio). Nel delicato crinale della Neuzeit in cui viene formandosi omologata di capitalismo (termine del resto assente dal lessico marxiano e nobilitato
la figura – questa sì prettamente moderna – di un Soggetto collettivo protagonista del scientificamente solo a partire da Sombart e da Weber), ma piuttosto a una pluralità di
processo storico, il soggetto individuale viene sradicato dal proprio fondamento per essere ‘capitalismi’ radicati in ambienti etico-culturali fortemente differenziati. Società come quella
trasformato da sovrano assoluto in regista. Al pari di un regista o di un narratore, l’Io europea e quella nordamericana, come quella brasiliana o quella sudafricana, come quella
desostanzializzato deve ricavare una trama dai materiali del multiple Self, dei molti “Sé” che indiana e quella cinese, offrono declinazioni del capitalismo profondamente diverse: se il
lo costituiscono, ricomponendo i percetti della sensazione e selezionando gli eventi salienti capitalismo statunitense ha una forte connotazione individualistico-competitiva, il modello

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proposito la definizione del mondo globale proposta da David Harvey. Per Harvey, il 24 dalla folla delle impressioni e dal deposito stratificato della memoria. Fa certo specie che il
mondo globalizzato è caratterizzato dal fenomeno della time-space compression24. Formula Cfr. D. Harvey, The Condition pensiero empirista, nel momento stesso in cui ha sottratto il termine identità al reame della
of Postmodernity: An Inquiry
quanto mai plastica ed efficace, che andrebbe tuttavia declinata dissociando il nesso che vi logica per applicarlo alla persona individuale, lo abbia fatto proprio allo scopo di affermare
into the Origins of Cultural
viene istituito fra le due dimensioni dello spazio e del tempo: la globalizzazione è per un Change, Oxford-Cambridge l’impossibilità di un’identità logico-sostanziale del “soggetto”. Assistiamo così a una sorta di
verso compressione spaziale delle culture e delle forme di vita, per l’altro diaspora temporale, MA 1989 , p. 147. fissione atomica dell’in-dividuo moderno. Per il suo carattere costruito, ossia letteralmente
differenziazione dei modi in cui i diversi soggetti fanno esperienza del tempo. Marines bio-grafico, l’identità personale è il risultato di una selettività contingente. Fin qui la mossa
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americani e popolazioni indigene in Iraq o in Afghanistan, europei e immigrati africani o Ho proposto il termine antimetafisica del grande empirismo moderno. Saranno poi altri pensatori della modernità,
asiatici in Italia o Germania o Francia, si trovano sì compressi nel medesimo spazio, ma ipermoderno, in luogo di a partire da Hegel, a compiere un ulteriore, decisivo passo: il soggetto-persona (l’individuo-
vivono esperienze del tempo radicalmente diverse. Ed è appunto da questa coesistenza postmoderno, nella prima atomo, presuntivamente indivisibile, delle metafisiche contrattualistiche) non è soltanto
conflittuale di spazio compresso e tempo diasporico che trae origine la tendenza dei diversi edizione (1983) di Potere e dinamico-relazionale (e pertanto contingente e non autoconsistente) ma attraversato da una
gruppi a cristallizzare le proprie forme di appartenenza (socioculturale, ideologica, religiosa) secolarizzazione. costitutiva scissione interna. Vediamo così affiorare il punto dirimente del nostro discorso:
in termini rigidamente identitari. E quando la logica dell’identità e il fenomeno translocale 26 il Soggetto moderno non è solo plurale, non è solo un “Io multiplo”, ma è soprattutto
delle “comunità immaginate” prende la forma di un’ossessione identitaria, assistiamo Sul concetto di “modernità- intrinsecamente scisso e conflittuale.
all’insorgere dei fondamentalismi. mondo” rimando al primo
Lo scenario che si apre non ha nulla a che fare con una qualche forma di postmodernismo, capitolo del mio La passione 5. Comunicazione e fra-intendimento: la traduzione come progetto politico
del presente, Torino 2008.
né può trovare spiegazione con il ricorso all’enfasi postmoderna del frammento. Si tratta al
La sovversione della logica dell’identità (prima radice dei giochi strategici del potere)
contrario di un fenomeno che già molti anni fa25 avevo proposto di definire ipermoderno.
operata dal criterio dinamico della differenza investe in pieno il paradigma edificante
A differenza del postmoderno, l’ipermodernità non indebolisce né dissolve il Moderno
della comunicazione. Il tratto saliente dell’agire comunicativo non è affatto, come ritiene
‘oltrepassandolo’, ma ne porta al diapason la struttura antinomica. Proiettata nello spazio
Habermas, la Verständigung: l’intesa nel doppio significato del comprendersi e del convenire.
globale, la modernità, trasformatasi da modernità-nazione in modernità-mondo26, riproduce
Ma è al contrario il Missverständnis, il misunderstanding, il malinteso. La vera cifra della
all’estremo la sua antinomia costitutiva: l’antinomia tra principio di identità e principio di
comunicazione non risiede nel momento dialogico dell’accordo e della comprensione
differenza. Ogni qualvolta prevale (in filosofia come in politica) il paradigma esclusivo
reciproca ma nell’evento aporetico del fra-intendimento. In breve: le differenze possono
dell’identità e della reductio ad Unum, le ‘differenze’ riluttanti all’omologazione reagiscono
effettivamente incontrarsi solo a partire dal malinteso: fra-intendendosi e confliggendo, ad
assumendo in forma cristallizzata e disseminativa, come i frammenti di un meteorite, la
onta del dialogo. L’assunzione del momento aporetico del fraintendimento implica, con
stessa logica identitaria del paradigma egemone. Accade così che nel mondo globalizzato la
ogni evidenza, una conseguenza decisiva anche nel modo di concepire la democrazia. La
rimozione dell’identità degli “altri” da parte di un Occidente che legittima le proprie pretese
chiave della democrazia non è il consenso ma il dissenso: anche nelle sue forme espressive
egemoniche facendo coincidere la propria identità con l’Universale produca come suo
inevitabile effetto una reificazione dell’identità da parte delle cosiddette differenze culturali. più “tumultuarie” (come ci ha insegnato Machiavelli). Si tratta allora di istituire una nuova
Si produce così il terreno di coltura propizio alla nascita del fondamentalismo: fenomeno forma di discorso che non soggiaccia alla retorica della comunicazione e che sia in grado di
niente affatto tradizionale ma, appunto, ipermoderno, riconducibile a una dinamica di valorizzare il conflitto, il conflittuale fra-intendersi delle differenze, assumendo la traduzione
produzione globale della località. come progetto politico. Solo così sarà possibile fronteggiare le sfide del nostro presente
Come uscire, dunque, dalla spirale tra rimozione e reificazione dell’identità, tra universalismo globale, individuando i passaggi verso una democrazia radicale in grado di assumere in sé
identitario dell’Occidente e antiuniversalismo delle differenze ‘blindate’ che riproducono in fino in fondo – per dirla con lo Hegel della Fenomenologia – “la serietà, il dolore, la pazienza
sedicesimo una “politica dell’identità”? La tesi che ho avanzato nei miei lavori degli ultimi e il travaglio del negativo”.
anni si raccoglie attorno alla formula dell’universalismo della differenza. Non si tratta – lo
6. Passaggi
dico subito per sgomberare il terreno da possibili equivoci – di una statica prescrizione o
di una formula astrattamente normativa, ma piuttosto di un cartello segnaletico che assume Vengo, così, a un tema a me particolarmente caro: il tema del passaggio. In un mio precedente
la differenza non come designatore di un luogo o di un soggetto determinato ma come un libro ho parlato della globalizzazione come di un passaggio a Occidente di tutte le culture:
criterio, un vertice ottico capace di produrre dinamiche di attraversamento, destabilizzazione passaggio destinato a trasformare radicalmente non solo le culture “altre”, ma gli stessi stili
e trasformazione costante di ogni autoconsistenza identitaria. Solo per questa via si apre di vita e di comportamento della civiltà occidentale. Ho già introdotto prima, in forma molto
la possibilità di venire a capo dell’antinomia costitutiva del Moderno: non risolvendola o sintetica, la mia tesi della doppia logica soggiacente alle dinamiche del mondo globalizzato.
superandola, ma portandola alle sue estreme conseguenze. E facendola esplodere. Vorrei adesso toccare rapidamente due aspetti, che investono – rispettivamente – la struttura
Andiamo allora a vedere gli effetti di questa esplosione. e la fenomenologia di quella forma di dominio che siamo soliti definire con l’espressione
capitale globale.
4. L’altra scena: insorgenza del Soggetto collettivo e scomposizione del soggetto individuale Stando al profilo strutturale, non vi è dubbio che il mondo post-Guerra Fredda, il mondo
La cifra del Moderno non è – con buona pace di Heidegger – il Soggetto individuale scaturito dalla caduta del muro di Berlino e dal crollo del blocco sovietico, si presenti
essenzialisticamente autocentrato, da Agostino a Descartes, nel secretum della Coscienza, uniformato sotto la logica di un mercato economico-finanziario “senza frontiere”. E tuttavia
nell’autotrasparenza riflessiva del proprio foro interiore. La vera scena inaugurale del – a dispetto delle prognosi convergenti dei grandi teorici marxisti (come Hilferding e Lenin)
Moderno è costituita dal duplice e concomitante fenomeno dell’insorgenza del Soggetto e liberali (come Weber e Schumpeter) del secolo scorso, che prevedevano per il capitalismo
collettivo e della scomposizione del soggetto individuale. Non in Cartesio va dunque un destino di progressiva concentrazione – il capitale globale appare al tempo concentrato e
rintracciata quella scena influente, ma nei grandi critici empiristi dell’essenzialismo: da diffuso: concentrato nella sua logica di dominio, diffuso nelle sue forme di organizzazione
Locke, con il suo teorema di impossibilità dell’identità essenziale della persona e con la sua e di controllo.
idea anti-innatistica di un’identità ricomponibile solo ex post tramite il filo della memoria, Stando alla configurazione fenomenologica, l’ambivalenza si riproduce con un grado di
a Hume, con la sua pluralizzazione dell’Io nel teatro della coscienza (preludio scettico del intensità ancora maggiore. Il dominio del capitale globale non dà luogo a un’unica forma
freudiano teatro dell’inconscio). Nel delicato crinale della Neuzeit in cui viene formandosi omologata di capitalismo (termine del resto assente dal lessico marxiano e nobilitato
la figura – questa sì prettamente moderna – di un Soggetto collettivo protagonista del scientificamente solo a partire da Sombart e da Weber), ma piuttosto a una pluralità di
processo storico, il soggetto individuale viene sradicato dal proprio fondamento per essere ‘capitalismi’ radicati in ambienti etico-culturali fortemente differenziati. Società come quella
trasformato da sovrano assoluto in regista. Al pari di un regista o di un narratore, l’Io europea e quella nordamericana, come quella brasiliana o quella sudafricana, come quella
desostanzializzato deve ricavare una trama dai materiali del multiple Self, dei molti “Sé” che indiana e quella cinese, offrono declinazioni del capitalismo profondamente diverse: se il
lo costituiscono, ricomponendo i percetti della sensazione e selezionando gli eventi salienti capitalismo statunitense ha una forte connotazione individualistico-competitiva, il modello

80 81
sociale del capitalismo europeo mantiene ancora un saldo ancoraggio agli elementi della 27 lacaniana consista nel motivo della “morte del Padre”; e ciò per il semplice fatto che il declino
cooperazione e della solidarietà, mentre il modello del capitalismo indiano e soprattutto Sul tema della “fratriarchia” dell’autorità paterna è stato già sancito all’inizio della modernità con la scena hobbesiana
e della cumjuratio fraterna
l’ibrido mostruoso del capital-comunismo cinese si fondano su un incrocio tra l’imperativo del covenant (che – a meno di non confondere il Sovrano del Leviatano con il Patriarca
si veda il capitolo 8 del mio
della produttività e un ethos antindividualistico d’impronta gerarchico-comunitaria. Se Dopo il Leviatano. di Filmer – conferisce al potere i tratti inconfondibili della “fratriarchia”27). Più fecondo
Weber aveva torto nel modellare la sua (pur straordinaria) comparatistica delle religioni mi pare invece insistere sulla natura paradossale della jouissance, che assoggetta il corpo
universali sul criterio dell’etica individualistica del protestantesimo ascetico, inteso come 28
immettendolo in un movimento interminabile di ricerca del godimento che, nell’assenza
D. Massey, Philosophy and
condizione socioculturale ottimale per la nascita del capitalismo, e nel liquidare l’etica Politics of Spatiality: Some del limite determinata dal vuoto del desiderio, diviene espressione di una cumulatività
confuciana cinese come inadeguata a fornire le basi di una società dinamica e competitiva, Considerations, in Ead. eternamente insoddisfatta in tutto e per tutto isomorfa al modello capitalistico della crescita
Marx ha avuto insieme ragione e torto: ragione, per aver previsto la vittoria del capitale (ed.), Power-Geometries illimitata. Il potere ipermoderno si fonda così sull’alternanza o sul dosaggio strategico di
globale; torto, per aver ritenuto che quella vittoria avrebbe automaticamente comportato and the Politics of Space- repressione e ingiunzione al godimento. L’imperativo della jouissance va in questo senso
una universale omologazione del mondo. Time, Hettner-Lectures 2, oltre il meccanismo della manipolazione messo in luce a suo tempo dai teorici della Scuola di
La scena globale che si apre dinanzi ai nostri occhi ci dimostra invece che la forma di merce Department of Geography, Francoforte, in quanto il potere non orienta più la pulsione a valle, ma la costituisce a monte
Heidelberg 1999, p. 27.
non produce società, che l’economia di mercato non produce un’unica società di mercato, ma tramite una scissione di desiderio e godimento.
solo dei poteri di mercato costretti, come camaleonti, ad adattarsi e scendere a compromessi 29 Questa scissione determina uno iato, una forbice tra la dimensione materiale e quella
con forme sociali e antropologico-culturali preesistenti. In altri termini, la formula marxiana Per un confronto fra lo simbolica. Una dieresi abissale tra il corpo e il linguaggio innanzitutto: attraverso cui anche il
“spazio vissuto” di Baudelaire
dei rapporti sociali di produzione funziona solo a patto di dissociare i due termini che la linguaggio del corpo finisce per essere colonizzato dalle figure e dai feticci dell’immaginario.
e il “tempo vissuto” di
compongono: solo a condizione di disarticolare la dimensione dei rapporti di produzione Bergson, vedasi, il capitolo 15 Siamo adesso in grado di comprendere meglio la straniante bilogica della ipermodernità
da quella dei rapporti sociali, che non si danno mai meccanicamente ma solo attraverso la di Dopo il Leviatano e, per globale: dove il feticismo – reificante, prima ancora che consumistico – del godimento
mediazione delle forme simboliche ed etico-culturali che li caratterizzano e differenziano. uno svolgimento più ampio, incontra la sua replica beffarda nel feticismo identitario del fondamentalismo (e dove il corpo
Per questa decisiva ragione è necessario tracciare una netta linea di demarcazione tra ai miei Minima temporalia, nudo occidentale trova il suo riscontro speculare nel burqa islamico). Eppure, se da un lato
globalizzazione e universalizzazione: il dominio del capitale non coincide con l’avvento nuova ed.riveduta e ampliata, la spinta al godimento è il segno di un potere pervasivo della forma-merce sul corpo, che
dell’Universale, ma al contrario con una de-universalizzazione dei rapporti sociali. In questo Roma 2005.
neutralizza la potenza simbolica della singolarità e reifica le relazioni, dall’altro la merce non
senso, esso va considerato un ostacolo all’effettiva universalizzazione di quei rapporti. La può sostituire l’oscuro oggetto del desiderio, ma può solo simularlo e surrogarlo. La forma-
globalizzazione non conduce, come voleva Fukuyama, all’omologazione universale e alla merce, cifrario sensibile-sovrasensibile del capitale, non possiede una potenza simbolica, ma
fine della storia, ma a una segregazione ramificata, a una moltiplicazione delle disparità e solo la capacità di modellare l’immaginario: non è in grado di produrre società né di costituire
delle barriere. soggetti, ma soltanto di irretirli, narcotizzarli e assoggettarli.
E tuttavia, se per decifrare la nuova struttura e fenomenologia del mondo globale non Su questa impotenza del potere è possibile far leva per invertire il trend di de-universalizzazione
serve – come si è in precedenza osservato – il ricorso al Leitmotiv postmoderno della fine nel segno di un universalismo della differenza in grado di sfuggire alla tenaglia rappresentata
dei grandi racconti, è lecito nutrire seri dubbi sulla stessa tesi della “modernità liquida” dai poli dell’universalismo identitario e dell’antiuniversalismo delle differenze blindate. Ma
avanzata da Zygmunt Bauman. Per la decisiva ragione che ogni flusso presuppone una per far ciò è necessario, ora che abbiamo alle spalle le macerie dei grandi blocchi ideologici
sorgente, ogni corso di liquidità rimanda a una fonte. E questa sorgente, questa fonte ci del Novecento, prendere congedo dalla fase del disincanto ponendo all’ordine del giorno
impone di individuare dove sono allocati e come operano i poteri di fusione del nostro un reincantamento della politica: non certo per riabilitare il mito politico ma per restituire
mondo ipermoderno. Si tratta di poteri ormai dislocati rispetto alle istituzioni, ai “luoghi alla politica la propria funzione simbolica di orizzonte di senso dell’agire individuale e
deputati” e agli ambiti territoriali delle democrazie. Poteri che operano attraverso i vincoli collettivo, spazio comune di incontro tra le generazioni e costituzione dei soggetti collettivi
dell’economia e della finanza, riproducendo il dominio sulle menti e sui corpi per il tramite del cambiamento.
di una dissociazione tra materiale e simbolico. In conclusione, l’endiadi su cui si regge il potere globale – disincanto politico/mito identitario
– va diametralmente rovesciata nell’imperativo: reincantare la politica, demitizzare l’identità.
7. Materiale e simbolico L’invito a mettersi “alla ricerca dello spazio perduto” ci ha condotto, così, alla necessità di
Si è visto prima come la scena globale sia attraversata da una discordia concorde tra due ripensare nuove forme di intreccio tra spazio e tempo. Se è vero, come ha detto Doreen
espressioni della logica identitaria: il comunitarismo esclusivista e l’individualismo Massey, che, al pari del tempo agostiniano, lo spazio è “la più ovvia delle cose” ma la più
competitivo. Entrambi questi fenomeni mettono in luce l’incapacità di fronteggiare la realtà difficile da definire e spiegare, anche se evocata disinvoltamente nei contesti più diversi28,
dura – e, per dirla con Robert Musil, schwierig, difficile – del Sé multiplo: ogni identità è al ne consegue un esito radicale: trovare il punto di saldatura tra “spazio vissuto” (luminosa
suo interno plurale e internamente conflittuale. Ma se il conflitto di valori è all’interno di espressione di Baudelaire29) e “segni dei tempi”. Di quei tempi, carichi di forza messianica,
ciascuna/o di noi, ne consegue che per cambiare la società dobbiamo innanzitutto cambiare che il Vangelo di Matteo designava riferendosi non al chrónos, ma al kairós. Nella straniante
noi stessi, affrontando il dolore e la fatica della metamorfosi. A differenza delle rivoluzioni ma vitale bi-logica dello spazio globale, cogliere i seméia ton kairón (Mt. 16, 2-4) significa
moderne, che ponevano al primo posto il cambiamento delle strutture, è adesso necessario riacquisire il senso della congiuntura, saldando insieme le dimensioni della politica-processo
spostare il focus dell’attenzione sulla costituzione dei soggetti. Ma proprio qui si pone la e della politica-evento. Significa, in breve, compiere quel gesto radicale che consiste nel
necessità di superare un sistema dell’indifferenza e dell’equivalenza che permea di sé la logica costruire un campo di tensione fecondo fra due lati che la tradizione filosofica dell’Occidente
del potere nel mondo globalizzato. Cifra di tale indifferenziazione è quanto accade oggi al ha, nella sua linea maggioritaria, posto fra loro in alternativa o in drastica antitesi: la politica
corpo nel mondo globalizzato. Difficile dar torto a Slavoj Žižek quando ci invita a scorgere come prassi relazionale e processuale (come è stata concepita da Aristotele ad Hannah
nel corpo nudo occidentale e nel burqa islamico due facce opposte e speculari del medesimo Arendt) e la politica come decisione tempestiva, capacità di cogliere l’evento intervenendo
sistema dell’indifferenza. Entrambi sacrificano infatti, nell’esibizione o nell’occultamento “kairologicamente” sul crocevia spazio-temporale del presente (come era stata delineata,
indifferenziati, la singolarità dei corpi. Ragion per cui il burqa altro non è che una replica alle soglie del Moderno, da Machiavelli e poi ridefinita, con declinazioni opposte, da Carl
beffarda all’indifferenziazione occidentale: come voi siete indiscernibili con i vostri nudi, noi Schmitt e Walter Benjamin).
lo siamo coprendoci. Ma ciò significa anche che il congedo dal “gelido mostro”, il distacco dall’orizzonte
Che cosa accade nel nostro mondo alla dimensione del potere? Accade che esso si riproduca concettuale e simbolico del Leviatano, dischiude dinanzi a noi non solo la prospettiva di
proprio in virtù dell’indifferenziazione, derubricando il desiderio nella serialità infinita un futuro altro da quello della modernità, ma anche la possibilità di rigenerare il potenziale
e ripetitiva del godimento. Il riferimento obbligato è, a questo punto, a Lacan, le cui tesi ancora inespresso di momenti topici della filosofia e della politica che precedono l’avvento
si trovano ormai largamente metabolizzate e messe in circolo nella discussione filosofica dello Stato sovrano moderno. E che a torto abbiamo relegato in una dimensione cui
odierna. Ma qui mi preme fare una puntualizzazione: non penso che l’attualità della traccia impropriamente continuiamo a dare il nome di passato.

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sociale del capitalismo europeo mantiene ancora un saldo ancoraggio agli elementi della 27 lacaniana consista nel motivo della “morte del Padre”; e ciò per il semplice fatto che il declino
cooperazione e della solidarietà, mentre il modello del capitalismo indiano e soprattutto Sul tema della “fratriarchia” dell’autorità paterna è stato già sancito all’inizio della modernità con la scena hobbesiana
e della cumjuratio fraterna
l’ibrido mostruoso del capital-comunismo cinese si fondano su un incrocio tra l’imperativo del covenant (che – a meno di non confondere il Sovrano del Leviatano con il Patriarca
si veda il capitolo 8 del mio
della produttività e un ethos antindividualistico d’impronta gerarchico-comunitaria. Se Dopo il Leviatano. di Filmer – conferisce al potere i tratti inconfondibili della “fratriarchia”27). Più fecondo
Weber aveva torto nel modellare la sua (pur straordinaria) comparatistica delle religioni mi pare invece insistere sulla natura paradossale della jouissance, che assoggetta il corpo
universali sul criterio dell’etica individualistica del protestantesimo ascetico, inteso come 28
immettendolo in un movimento interminabile di ricerca del godimento che, nell’assenza
D. Massey, Philosophy and
condizione socioculturale ottimale per la nascita del capitalismo, e nel liquidare l’etica Politics of Spatiality: Some del limite determinata dal vuoto del desiderio, diviene espressione di una cumulatività
confuciana cinese come inadeguata a fornire le basi di una società dinamica e competitiva, Considerations, in Ead. eternamente insoddisfatta in tutto e per tutto isomorfa al modello capitalistico della crescita
Marx ha avuto insieme ragione e torto: ragione, per aver previsto la vittoria del capitale (ed.), Power-Geometries illimitata. Il potere ipermoderno si fonda così sull’alternanza o sul dosaggio strategico di
globale; torto, per aver ritenuto che quella vittoria avrebbe automaticamente comportato and the Politics of Space- repressione e ingiunzione al godimento. L’imperativo della jouissance va in questo senso
una universale omologazione del mondo. Time, Hettner-Lectures 2, oltre il meccanismo della manipolazione messo in luce a suo tempo dai teorici della Scuola di
La scena globale che si apre dinanzi ai nostri occhi ci dimostra invece che la forma di merce Department of Geography, Francoforte, in quanto il potere non orienta più la pulsione a valle, ma la costituisce a monte
Heidelberg 1999, p. 27.
non produce società, che l’economia di mercato non produce un’unica società di mercato, ma tramite una scissione di desiderio e godimento.
solo dei poteri di mercato costretti, come camaleonti, ad adattarsi e scendere a compromessi 29 Questa scissione determina uno iato, una forbice tra la dimensione materiale e quella
con forme sociali e antropologico-culturali preesistenti. In altri termini, la formula marxiana Per un confronto fra lo simbolica. Una dieresi abissale tra il corpo e il linguaggio innanzitutto: attraverso cui anche il
“spazio vissuto” di Baudelaire
dei rapporti sociali di produzione funziona solo a patto di dissociare i due termini che la linguaggio del corpo finisce per essere colonizzato dalle figure e dai feticci dell’immaginario.
e il “tempo vissuto” di
compongono: solo a condizione di disarticolare la dimensione dei rapporti di produzione Bergson, vedasi, il capitolo 15 Siamo adesso in grado di comprendere meglio la straniante bilogica della ipermodernità
da quella dei rapporti sociali, che non si danno mai meccanicamente ma solo attraverso la di Dopo il Leviatano e, per globale: dove il feticismo – reificante, prima ancora che consumistico – del godimento
mediazione delle forme simboliche ed etico-culturali che li caratterizzano e differenziano. uno svolgimento più ampio, incontra la sua replica beffarda nel feticismo identitario del fondamentalismo (e dove il corpo
Per questa decisiva ragione è necessario tracciare una netta linea di demarcazione tra ai miei Minima temporalia, nudo occidentale trova il suo riscontro speculare nel burqa islamico). Eppure, se da un lato
globalizzazione e universalizzazione: il dominio del capitale non coincide con l’avvento nuova ed.riveduta e ampliata, la spinta al godimento è il segno di un potere pervasivo della forma-merce sul corpo, che
dell’Universale, ma al contrario con una de-universalizzazione dei rapporti sociali. In questo Roma 2005.
neutralizza la potenza simbolica della singolarità e reifica le relazioni, dall’altro la merce non
senso, esso va considerato un ostacolo all’effettiva universalizzazione di quei rapporti. La può sostituire l’oscuro oggetto del desiderio, ma può solo simularlo e surrogarlo. La forma-
globalizzazione non conduce, come voleva Fukuyama, all’omologazione universale e alla merce, cifrario sensibile-sovrasensibile del capitale, non possiede una potenza simbolica, ma
fine della storia, ma a una segregazione ramificata, a una moltiplicazione delle disparità e solo la capacità di modellare l’immaginario: non è in grado di produrre società né di costituire
delle barriere. soggetti, ma soltanto di irretirli, narcotizzarli e assoggettarli.
E tuttavia, se per decifrare la nuova struttura e fenomenologia del mondo globale non Su questa impotenza del potere è possibile far leva per invertire il trend di de-universalizzazione
serve – come si è in precedenza osservato – il ricorso al Leitmotiv postmoderno della fine nel segno di un universalismo della differenza in grado di sfuggire alla tenaglia rappresentata
dei grandi racconti, è lecito nutrire seri dubbi sulla stessa tesi della “modernità liquida” dai poli dell’universalismo identitario e dell’antiuniversalismo delle differenze blindate. Ma
avanzata da Zygmunt Bauman. Per la decisiva ragione che ogni flusso presuppone una per far ciò è necessario, ora che abbiamo alle spalle le macerie dei grandi blocchi ideologici
sorgente, ogni corso di liquidità rimanda a una fonte. E questa sorgente, questa fonte ci del Novecento, prendere congedo dalla fase del disincanto ponendo all’ordine del giorno
impone di individuare dove sono allocati e come operano i poteri di fusione del nostro un reincantamento della politica: non certo per riabilitare il mito politico ma per restituire
mondo ipermoderno. Si tratta di poteri ormai dislocati rispetto alle istituzioni, ai “luoghi alla politica la propria funzione simbolica di orizzonte di senso dell’agire individuale e
deputati” e agli ambiti territoriali delle democrazie. Poteri che operano attraverso i vincoli collettivo, spazio comune di incontro tra le generazioni e costituzione dei soggetti collettivi
dell’economia e della finanza, riproducendo il dominio sulle menti e sui corpi per il tramite del cambiamento.
di una dissociazione tra materiale e simbolico. In conclusione, l’endiadi su cui si regge il potere globale – disincanto politico/mito identitario
– va diametralmente rovesciata nell’imperativo: reincantare la politica, demitizzare l’identità.
7. Materiale e simbolico L’invito a mettersi “alla ricerca dello spazio perduto” ci ha condotto, così, alla necessità di
Si è visto prima come la scena globale sia attraversata da una discordia concorde tra due ripensare nuove forme di intreccio tra spazio e tempo. Se è vero, come ha detto Doreen
espressioni della logica identitaria: il comunitarismo esclusivista e l’individualismo Massey, che, al pari del tempo agostiniano, lo spazio è “la più ovvia delle cose” ma la più
competitivo. Entrambi questi fenomeni mettono in luce l’incapacità di fronteggiare la realtà difficile da definire e spiegare, anche se evocata disinvoltamente nei contesti più diversi28,
dura – e, per dirla con Robert Musil, schwierig, difficile – del Sé multiplo: ogni identità è al ne consegue un esito radicale: trovare il punto di saldatura tra “spazio vissuto” (luminosa
suo interno plurale e internamente conflittuale. Ma se il conflitto di valori è all’interno di espressione di Baudelaire29) e “segni dei tempi”. Di quei tempi, carichi di forza messianica,
ciascuna/o di noi, ne consegue che per cambiare la società dobbiamo innanzitutto cambiare che il Vangelo di Matteo designava riferendosi non al chrónos, ma al kairós. Nella straniante
noi stessi, affrontando il dolore e la fatica della metamorfosi. A differenza delle rivoluzioni ma vitale bi-logica dello spazio globale, cogliere i seméia ton kairón (Mt. 16, 2-4) significa
moderne, che ponevano al primo posto il cambiamento delle strutture, è adesso necessario riacquisire il senso della congiuntura, saldando insieme le dimensioni della politica-processo
spostare il focus dell’attenzione sulla costituzione dei soggetti. Ma proprio qui si pone la e della politica-evento. Significa, in breve, compiere quel gesto radicale che consiste nel
necessità di superare un sistema dell’indifferenza e dell’equivalenza che permea di sé la logica costruire un campo di tensione fecondo fra due lati che la tradizione filosofica dell’Occidente
del potere nel mondo globalizzato. Cifra di tale indifferenziazione è quanto accade oggi al ha, nella sua linea maggioritaria, posto fra loro in alternativa o in drastica antitesi: la politica
corpo nel mondo globalizzato. Difficile dar torto a Slavoj Žižek quando ci invita a scorgere come prassi relazionale e processuale (come è stata concepita da Aristotele ad Hannah
nel corpo nudo occidentale e nel burqa islamico due facce opposte e speculari del medesimo Arendt) e la politica come decisione tempestiva, capacità di cogliere l’evento intervenendo
sistema dell’indifferenza. Entrambi sacrificano infatti, nell’esibizione o nell’occultamento “kairologicamente” sul crocevia spazio-temporale del presente (come era stata delineata,
indifferenziati, la singolarità dei corpi. Ragion per cui il burqa altro non è che una replica alle soglie del Moderno, da Machiavelli e poi ridefinita, con declinazioni opposte, da Carl
beffarda all’indifferenziazione occidentale: come voi siete indiscernibili con i vostri nudi, noi Schmitt e Walter Benjamin).
lo siamo coprendoci. Ma ciò significa anche che il congedo dal “gelido mostro”, il distacco dall’orizzonte
Che cosa accade nel nostro mondo alla dimensione del potere? Accade che esso si riproduca concettuale e simbolico del Leviatano, dischiude dinanzi a noi non solo la prospettiva di
proprio in virtù dell’indifferenziazione, derubricando il desiderio nella serialità infinita un futuro altro da quello della modernità, ma anche la possibilità di rigenerare il potenziale
e ripetitiva del godimento. Il riferimento obbligato è, a questo punto, a Lacan, le cui tesi ancora inespresso di momenti topici della filosofia e della politica che precedono l’avvento
si trovano ormai largamente metabolizzate e messe in circolo nella discussione filosofica dello Stato sovrano moderno. E che a torto abbiamo relegato in una dimensione cui
odierna. Ma qui mi preme fare una puntualizzazione: non penso che l’attualità della traccia impropriamente continuiamo a dare il nome di passato.

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8
Sostenibilità: una prospettiva etico-teologica J.R.McNeill, Qualcosa di
secolo appena concluso, “Qualcosa di nuovo sotto il sole”8, a sottolineare la novità della
condizione del pianeta – ormai quasi completamente antropizzato – nel secolo appena
nuovo sotto il sole. Storia
concluso.
dell’ambiente nel XX secolo
(Einaudi, Torino 2002) (ed. L’Antropocene manifesta, però, anche in modo drammatico la dissociazione tra il potere
Simone Morandini or. Something New Under disponibile all’umanità e la capacità di valutazione circa i fini cui indirizzarla. Giustamente
the Sun. An Environmental gli ultimi Pontefici hanno indicato nella crisi ecologica – al di là della dimensione tecnica
History of Twentyeth-Century e politica – una grande questione morale: è in gioco in essa la vita di miliardi di uomini e
World, 2000). donne, della presente e delle future generazioni – a partire dai poveri, i primi a pagare il
9 prezzo dell’insostenibilità di una forma di vita.
Nel tempo dell’ecologia Pontificio Consiglio della
1 Giustizia e della Pace, Questione ambientale e Dottrina Sociale della Chiesa
La parola sostenibilità invita a pensare eticamente la questione ambientale, collocandola Accanto ad un classico Compendio della Dottrina
in un orizzonte temporale attento al futuro. Essa orienta, dunque, ad un tema che – a come H. Jonas, Il principio Sociale della Chiesa, Libreria L’ultima affermazione evidenzia anche una delle linee principali tramite le quali la Dottrina
quasi quarant’anni dal rapporto del Club di Roma The Limits to Growth – non può più responsabilità. Un’etica per la Editrice Vaticana, Città del Sociale della Chiesa (Dsc) si è confrontata – in modo via via più incisivo – con la questione
essere considerato nuovo: è piuttosto ormai una dimensione qualificante del tempo che civiltà tecnologica (Einaudi, Vaticano 2004 ambientale: quella dell’attenzione per le generazioni future dell’umanità. Mi limito a citare
abitiamo, che lo caratterizza nel segno del rischio e della minaccia condivisa1. Ad essersi Torino 1990), si veda E.
Pulcini, La cura del mondo. 10 – all’interno di una produzione magisteriale ormai troppo ampia per essere analizzata in
rafforzata nel corso degli ultimissimi decenni è piuttosto la dimensione di urgenza Gro Bruntland (ed.), Our questa sede – alcuni testi di particolare rilevanza: il capitolo X del Compendio della Dottrina
Paura e responsabilità nell’età
associata a molte questioni ambientali: è, in particolare, il mutamento climatico ad globale (Bollati Boringhieri, Common Future: The World Sociale della Chiesa9, i due Messaggi per la Giornata Mondiale della Pace del 1990 e del
evidenziare la brevità della scala dei tempi – qualche decina d’anni – su cui si dispiegano Torino 2009). Commission on Environment
2010 e i nn.48-51 della Caritas in Veritate. È interessante notare però che nessuno dei testi
e si dispiegheranno i relativi drammatici effetti. and Development (Oxford:
2 Oxford University Press, citati fa esplicitamente uso della nozione di sostenibilità, anche se il Pontificio Consiglio
Pur in forme contraddittorie e differenziate, l’umanità sta, dunque, vivendo un’inedita Ho esplorato tale prospettiva Justitia et Pax l’aveva esaminata con attenzione nella fase di preparazione del Compendio,
1987).
esperienza etica, che la invita a riscoprirsi come famiglia umana, profondamente coinvolta in S. Morandini, Da credenti preferendovi poi il meno impegnativo “compatibilità ambientale”. Una vicinanza
in una solidarietà globale di origine e di destino che guarda al di là del presente2. È davvero nella globalizzazione. Etica 11
Rimandiamo alle
decisamente maggiore compare piuttosto nella recente enciclica di Benedetto XVI che al
drammatico, allora, che proprio in questa fase critica, in cui dovremmo individuare e teologia in prospettiva n.50 parla di un “dovere gravissimo” di “lasciare la terra alle nuove generazioni in uno
ecumenica (Edb, Bologna corrispondenti voci in
energie e risorse per far fronte alla sfida ambientale, la crisi economica sembri soffocare N.Lossky, J.Miguez Bonino, stato tale che anch’esse possano degnamente abitarla e coltivarla”.
la percezione di obiettivi di ampio respiro, orientando piuttosto a politiche di limitata 2007).
J.S.Pobee, T.F.Stransky, Si tratta di un’indicazione che conferisce un’elevatissima qualifica morale ad un compito
prospettiva. Per le comunità religiose – ed in particolare per la riflessione etica che in esse 3 G.Wainwwright, P.Webb il cui contenuto è in effetti equivalente alla stessa sostenibilità. Ricordiamo, infatti, che nel
si esprime – la sfida è, allora, quella di meditare attentamente la crisi nella sua complessità, Uno sguardo d’assieme nel (a cura), Dictionary of the 1987 essa veniva definita dal Rapporto presentato all’Onu dalla Commissione Bruntland10
per contribuire alla crescita di un’umanità davvero capace di abitare la terra. rapporto Global Environment EcumenicalMovement (Wcc,
Outlook: Environment come una condizione capace di soddisfare i bisogni della generazione presente senza
Ginevra, 1991).
Certo, anche il riscaldamento globale, cui ho fatto riferimento poc’anzi, è solo una for Development (Geo-4), pregiudicare analoga possibilità per quelle future. È, dunque, in primo luogo un’attenzione
dimensione della questione ambientale, benché ad essa se ne colleghino parecchie altre (si accessibile dal sito dell’Unep 12 per la famiglia umana – colta nella sua ineludibile relazione col pianeta che essa abita –
pensi alla disponibilità e all’accessibilità delle risorse – idriche, alimentari, energetiche –, Per tale distinzione, ad
all’indirizzo http://www.unep. che sottostà alla nozione di sostenibilità; le stesse concrete indicazioni che il rapporto
a quella dei rifugiati ambientali, etc.3). Si tratta di temi carichi di implicazioni org/geo/geo4/media/. esempio, a M.C.Tallacchini (a
cura), Etiche della terra (Vita Bruntland offre in ordine alla sua relazione con le capacità dell’ecosistema terrestre vanno
drammatiche ed ognuno di essi meriterebbe una trattazione specifica. Devo purtroppo 4 &Pensiero, Milano 1999). commisurate su tale fondamentale dimensione antropologica.
limitarmi a citarli, per richiamare invece l’attenzione soprattutto sulla complessità di un Alcune prospettive in tal La teologia cattolica non dovrebbe dimenticare in tal senso che già nel 1975 contenuti
tema che – pur profondamente unitario – non sopporta approcci unidimensionali. Per senso in S. Morandini (a cura), analoghi venivano richiamati con la stessa espressione dal World Council of Churches,
una trattazione davvero adeguata, in effetti, esso andrebbe puntualmente articolato – Per la sostenibilità. Etica che invitava l’ecumene cristiana a collaborare alla costruzione di una “società giusta,
oltreché nella sua dimensione teologica e filosofica – (almeno) in quella scientifica, in ambientale ed antropologia
(Lanza / Gregoriana, Padova
partecipativa e sostenibile”11. È un riferimento che è stato elaborato all’interno di una
quella socio-politica ed economica, in quella educativa4 e la stessa complessità si riflette 2007; S. Morandini, Nel tempo traiettoria carica di motivazioni forti, profondamente radicate nella prospettiva evangelica
nelle singole questioni ecologiche. Tra l’altro persino quelle più caratterizzate in senso dell’ecologia. Etica teologica come in quella ortodossa. Mantenerne viva la memoria potrebbe permettere anche alla
locale, per drammatiche che siano (si pensi alla desertificazione in Africa o all’impatto e questione ambientale (Edb, riflessione magisteriale cattolica di meglio apprezzare la forte valenza morale e teologica
sull’ecosistema marino del petrolio proveniente dalla piattaforma Bp nel Golfo del Bologna 1999). della sostenibilità, che già viene utilizzata, del resto, in numerosi testi elaborati da diversi
Messico), non possono essere adeguatamente pensate che in un orizzonte globale, su 5 episcopati, a partire da quello tedesco e da quello statunitense.
scala planetaria. Soprattutto, però, in mezzo a tanta varietà di fattori un approccio etico- Il doveroso rimando a L. Boff,
teologico non potrà fare a meno di percepire, proprio entro ed attraverso di essi, il Grido della terra, grido dei Una prospettiva etica e teologica
gemito della ktisis, della creazione di Dio (Rom. 8, 19 ss), che si intreccia col grido degli poveri. Per un’ecologia cosmica
(Cittadella, Assisi 1996) non La prospettiva cui orienta la nozione di sostenibilità affronta, dunque, la sfida ecologica
esseri umani – dei poveri in primo luogo5.
implica la condivisione di con un taglio risolutamente antropocentrico; è una prospettiva certamente diversa da
ogni elemento della relativa quello olistica delle etiche della terra o dal biocentrismo di quelle della vita12, ma non
Un fenomeno antropogenico proposta teologica. per questo meno esigente. Fare delle future generazioni dell’umanità il riferimento chiave
Una trattazione davvero adeguata del tema esige, però, soprattutto di considerarne 6 per l’etica ambientale significa, infatti, declinare la centralità dell’anthropos in forme
esplicitamente la natura antropogenica: la questione ambientale (col gemito ad essa Per una considerazione più responsabili e relazionali, ben distanti da quelle ab-solute della modernità. Non è qui
associato) non dice di un fato inevitabile, ma è invece collegata a comportamenti ed azioni ampia di tale prospettiva, in gioco, cioè, l’antropocentrismo dell’homo oeconomicus, insaziabile nella sua sete di
umane – personali e soprattutto sociali. Più in profondità, essa è anche, in effetti, una S.Morandini, Etica ed
beni, ma neppure si tratta di quello prometeico, che ignora ogni limite per il proprio agire
evoluzione (Cittadella, Assisi
manifestazione della natura culturale degli esseri umani: essi soli, infatti, sono capaci di 2010). tecnico trasformativo, né di quello del consumatore di sensazioni della modernità liquida.
sottrarsi a quei vincoli che costringono altri viventi nella nicchia ecologica delimitata La sostenibilità disegna piuttosto una figura di soggetto vulnerabile, ben conscio della
cui sono adattati, per plasmare invece essi stessi il proprio ambiente6. È la capacità di 7 relazionalità (interumana e biologica) che lo porta, che si sa inserito in una famiglia umana
P.J.Crutzen, Benvenuti
azione tecnica, che nel nostro tempo ha raggiunto una tale efficacia da spingere il premio nell’Antropocene. L’uomo
posta su un pianeta finito e che ben comprende l’impatto ecosistemico del proprio agire e
Nobel per la chimica P. Crutzen a parlare di Antropocene: l’epoca che vede l’agire umano ha cambiato il clima, la dei propri consumi su questa e sulle prossime generazioni.
collocarsi tra i principali fattori di evoluzione biologica e geologica del pianeta7. Terra entra in una nuova era Un soggetto, cioè, cosciente del proprio potere – che per il credente è parte della stessa
Anche uno storico dell’ambiente come J. McNeill titola la sua storia dell’ambiente nel (Milano: Mondadori, 2005). vocazione conferitagli da Dio – ma anche del compito di orientarlo alla vita (umana ma

84 85
8
Sostenibilità: una prospettiva etico-teologica J.R.McNeill, Qualcosa di
secolo appena concluso, “Qualcosa di nuovo sotto il sole”8, a sottolineare la novità della
condizione del pianeta – ormai quasi completamente antropizzato – nel secolo appena
nuovo sotto il sole. Storia
concluso.
dell’ambiente nel XX secolo
(Einaudi, Torino 2002) (ed. L’Antropocene manifesta, però, anche in modo drammatico la dissociazione tra il potere
Simone Morandini or. Something New Under disponibile all’umanità e la capacità di valutazione circa i fini cui indirizzarla. Giustamente
the Sun. An Environmental gli ultimi Pontefici hanno indicato nella crisi ecologica – al di là della dimensione tecnica
History of Twentyeth-Century e politica – una grande questione morale: è in gioco in essa la vita di miliardi di uomini e
World, 2000). donne, della presente e delle future generazioni – a partire dai poveri, i primi a pagare il
9 prezzo dell’insostenibilità di una forma di vita.
Nel tempo dell’ecologia Pontificio Consiglio della
1 Giustizia e della Pace, Questione ambientale e Dottrina Sociale della Chiesa
La parola sostenibilità invita a pensare eticamente la questione ambientale, collocandola Accanto ad un classico Compendio della Dottrina
in un orizzonte temporale attento al futuro. Essa orienta, dunque, ad un tema che – a come H. Jonas, Il principio Sociale della Chiesa, Libreria L’ultima affermazione evidenzia anche una delle linee principali tramite le quali la Dottrina
quasi quarant’anni dal rapporto del Club di Roma The Limits to Growth – non può più responsabilità. Un’etica per la Editrice Vaticana, Città del Sociale della Chiesa (Dsc) si è confrontata – in modo via via più incisivo – con la questione
essere considerato nuovo: è piuttosto ormai una dimensione qualificante del tempo che civiltà tecnologica (Einaudi, Vaticano 2004 ambientale: quella dell’attenzione per le generazioni future dell’umanità. Mi limito a citare
abitiamo, che lo caratterizza nel segno del rischio e della minaccia condivisa1. Ad essersi Torino 1990), si veda E.
Pulcini, La cura del mondo. 10 – all’interno di una produzione magisteriale ormai troppo ampia per essere analizzata in
rafforzata nel corso degli ultimissimi decenni è piuttosto la dimensione di urgenza Gro Bruntland (ed.), Our questa sede – alcuni testi di particolare rilevanza: il capitolo X del Compendio della Dottrina
Paura e responsabilità nell’età
associata a molte questioni ambientali: è, in particolare, il mutamento climatico ad globale (Bollati Boringhieri, Common Future: The World Sociale della Chiesa9, i due Messaggi per la Giornata Mondiale della Pace del 1990 e del
evidenziare la brevità della scala dei tempi – qualche decina d’anni – su cui si dispiegano Torino 2009). Commission on Environment
2010 e i nn.48-51 della Caritas in Veritate. È interessante notare però che nessuno dei testi
e si dispiegheranno i relativi drammatici effetti. and Development (Oxford:
2 Oxford University Press, citati fa esplicitamente uso della nozione di sostenibilità, anche se il Pontificio Consiglio
Pur in forme contraddittorie e differenziate, l’umanità sta, dunque, vivendo un’inedita Ho esplorato tale prospettiva Justitia et Pax l’aveva esaminata con attenzione nella fase di preparazione del Compendio,
1987).
esperienza etica, che la invita a riscoprirsi come famiglia umana, profondamente coinvolta in S. Morandini, Da credenti preferendovi poi il meno impegnativo “compatibilità ambientale”. Una vicinanza
in una solidarietà globale di origine e di destino che guarda al di là del presente2. È davvero nella globalizzazione. Etica 11
Rimandiamo alle
decisamente maggiore compare piuttosto nella recente enciclica di Benedetto XVI che al
drammatico, allora, che proprio in questa fase critica, in cui dovremmo individuare e teologia in prospettiva n.50 parla di un “dovere gravissimo” di “lasciare la terra alle nuove generazioni in uno
ecumenica (Edb, Bologna corrispondenti voci in
energie e risorse per far fronte alla sfida ambientale, la crisi economica sembri soffocare N.Lossky, J.Miguez Bonino, stato tale che anch’esse possano degnamente abitarla e coltivarla”.
la percezione di obiettivi di ampio respiro, orientando piuttosto a politiche di limitata 2007).
J.S.Pobee, T.F.Stransky, Si tratta di un’indicazione che conferisce un’elevatissima qualifica morale ad un compito
prospettiva. Per le comunità religiose – ed in particolare per la riflessione etica che in esse 3 G.Wainwwright, P.Webb il cui contenuto è in effetti equivalente alla stessa sostenibilità. Ricordiamo, infatti, che nel
si esprime – la sfida è, allora, quella di meditare attentamente la crisi nella sua complessità, Uno sguardo d’assieme nel (a cura), Dictionary of the 1987 essa veniva definita dal Rapporto presentato all’Onu dalla Commissione Bruntland10
per contribuire alla crescita di un’umanità davvero capace di abitare la terra. rapporto Global Environment EcumenicalMovement (Wcc,
Outlook: Environment come una condizione capace di soddisfare i bisogni della generazione presente senza
Ginevra, 1991).
Certo, anche il riscaldamento globale, cui ho fatto riferimento poc’anzi, è solo una for Development (Geo-4), pregiudicare analoga possibilità per quelle future. È, dunque, in primo luogo un’attenzione
dimensione della questione ambientale, benché ad essa se ne colleghino parecchie altre (si accessibile dal sito dell’Unep 12 per la famiglia umana – colta nella sua ineludibile relazione col pianeta che essa abita –
pensi alla disponibilità e all’accessibilità delle risorse – idriche, alimentari, energetiche –, Per tale distinzione, ad
all’indirizzo http://www.unep. che sottostà alla nozione di sostenibilità; le stesse concrete indicazioni che il rapporto
a quella dei rifugiati ambientali, etc.3). Si tratta di temi carichi di implicazioni org/geo/geo4/media/. esempio, a M.C.Tallacchini (a
cura), Etiche della terra (Vita Bruntland offre in ordine alla sua relazione con le capacità dell’ecosistema terrestre vanno
drammatiche ed ognuno di essi meriterebbe una trattazione specifica. Devo purtroppo 4 &Pensiero, Milano 1999). commisurate su tale fondamentale dimensione antropologica.
limitarmi a citarli, per richiamare invece l’attenzione soprattutto sulla complessità di un Alcune prospettive in tal La teologia cattolica non dovrebbe dimenticare in tal senso che già nel 1975 contenuti
tema che – pur profondamente unitario – non sopporta approcci unidimensionali. Per senso in S. Morandini (a cura), analoghi venivano richiamati con la stessa espressione dal World Council of Churches,
una trattazione davvero adeguata, in effetti, esso andrebbe puntualmente articolato – Per la sostenibilità. Etica che invitava l’ecumene cristiana a collaborare alla costruzione di una “società giusta,
oltreché nella sua dimensione teologica e filosofica – (almeno) in quella scientifica, in ambientale ed antropologia
(Lanza / Gregoriana, Padova
partecipativa e sostenibile”11. È un riferimento che è stato elaborato all’interno di una
quella socio-politica ed economica, in quella educativa4 e la stessa complessità si riflette 2007; S. Morandini, Nel tempo traiettoria carica di motivazioni forti, profondamente radicate nella prospettiva evangelica
nelle singole questioni ecologiche. Tra l’altro persino quelle più caratterizzate in senso dell’ecologia. Etica teologica come in quella ortodossa. Mantenerne viva la memoria potrebbe permettere anche alla
locale, per drammatiche che siano (si pensi alla desertificazione in Africa o all’impatto e questione ambientale (Edb, riflessione magisteriale cattolica di meglio apprezzare la forte valenza morale e teologica
sull’ecosistema marino del petrolio proveniente dalla piattaforma Bp nel Golfo del Bologna 1999). della sostenibilità, che già viene utilizzata, del resto, in numerosi testi elaborati da diversi
Messico), non possono essere adeguatamente pensate che in un orizzonte globale, su 5 episcopati, a partire da quello tedesco e da quello statunitense.
scala planetaria. Soprattutto, però, in mezzo a tanta varietà di fattori un approccio etico- Il doveroso rimando a L. Boff,
teologico non potrà fare a meno di percepire, proprio entro ed attraverso di essi, il Grido della terra, grido dei Una prospettiva etica e teologica
gemito della ktisis, della creazione di Dio (Rom. 8, 19 ss), che si intreccia col grido degli poveri. Per un’ecologia cosmica
(Cittadella, Assisi 1996) non La prospettiva cui orienta la nozione di sostenibilità affronta, dunque, la sfida ecologica
esseri umani – dei poveri in primo luogo5.
implica la condivisione di con un taglio risolutamente antropocentrico; è una prospettiva certamente diversa da
ogni elemento della relativa quello olistica delle etiche della terra o dal biocentrismo di quelle della vita12, ma non
Un fenomeno antropogenico proposta teologica. per questo meno esigente. Fare delle future generazioni dell’umanità il riferimento chiave
Una trattazione davvero adeguata del tema esige, però, soprattutto di considerarne 6 per l’etica ambientale significa, infatti, declinare la centralità dell’anthropos in forme
esplicitamente la natura antropogenica: la questione ambientale (col gemito ad essa Per una considerazione più responsabili e relazionali, ben distanti da quelle ab-solute della modernità. Non è qui
associato) non dice di un fato inevitabile, ma è invece collegata a comportamenti ed azioni ampia di tale prospettiva, in gioco, cioè, l’antropocentrismo dell’homo oeconomicus, insaziabile nella sua sete di
umane – personali e soprattutto sociali. Più in profondità, essa è anche, in effetti, una S.Morandini, Etica ed
beni, ma neppure si tratta di quello prometeico, che ignora ogni limite per il proprio agire
evoluzione (Cittadella, Assisi
manifestazione della natura culturale degli esseri umani: essi soli, infatti, sono capaci di 2010). tecnico trasformativo, né di quello del consumatore di sensazioni della modernità liquida.
sottrarsi a quei vincoli che costringono altri viventi nella nicchia ecologica delimitata La sostenibilità disegna piuttosto una figura di soggetto vulnerabile, ben conscio della
cui sono adattati, per plasmare invece essi stessi il proprio ambiente6. È la capacità di 7 relazionalità (interumana e biologica) che lo porta, che si sa inserito in una famiglia umana
P.J.Crutzen, Benvenuti
azione tecnica, che nel nostro tempo ha raggiunto una tale efficacia da spingere il premio nell’Antropocene. L’uomo
posta su un pianeta finito e che ben comprende l’impatto ecosistemico del proprio agire e
Nobel per la chimica P. Crutzen a parlare di Antropocene: l’epoca che vede l’agire umano ha cambiato il clima, la dei propri consumi su questa e sulle prossime generazioni.
collocarsi tra i principali fattori di evoluzione biologica e geologica del pianeta7. Terra entra in una nuova era Un soggetto, cioè, cosciente del proprio potere – che per il credente è parte della stessa
Anche uno storico dell’ambiente come J. McNeill titola la sua storia dell’ambiente nel (Milano: Mondadori, 2005). vocazione conferitagli da Dio – ma anche del compito di orientarlo alla vita (umana ma

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non solo). Per un tale soggetto la natura biologica ed ecosistemica non è una mera cava 13 16 che caratterizza la condizione della famiglia umana, infatti,disegna già al presente una
di materiale, plasmabile a piacere; neppure, però, essa costituisce l’immediata fonte di Ho esaminato alcune Una riflessione etica in drammatica negazione della sostenibilità. Ma anche una riflessione etica sulla mitigazione
prospettive in tal senso in M.Mascia, L.Mariani (a cura),
una normatività, cui si tratterebbe semplicemente di adeguarsi nel proprio libero agire. del mutamento climatico e sul contributo che i diversi soggetti nazionali potranno e
S.Morandini, Teologia ed Ethics and Climate Change.
Essa appare piuttosto come lo spazio della vita splendida e vulnerabile, che esige un ecologia (Morcelliana, Brescia Scenarios for Justice and dovranno darvi non potrà esimersi dal misurarsi con la dimensione della giustizia16.
agire prudente, capace di renderla abitabile senza sovvertirne le strutture di sostegno che 2005). Sustainability (Fondazione • Sussidiarietà. L’istanza di sostenibilità interpella tutti i soggetti, personali, sociali
permettono di renderla tale. Un agire che sappia, cioè, coltivare e custodire il giardino Lanza / Cleup, Padova 2010). ed istituzionali, richiamando un’articolazione della responsabilità, in forme “comuni,
14
affidatoci – per riprendere le parole di Gen. 2, 15 – in un sapiente equilibrio di innovazione L.White, Le radici storiche 17 ma differenziate” – secondo l’indicazione più volte espressa da numerosi organismi
e conservazione nella casa della vita. della nostra crisi, il Mulino È il titolo di uno dei saggi internazionali. Essa interessa, dunque, le istituzioni – sovranazionali, nazionali e locali -
È chiaro, dunque, che, al di là della dimensione socio-politica, il tema porta in sé una radicale 22 (1973), pp.251-263 (ed. or. presenti in A.Leopold, ma anche le diverse espressioni della società civile (incluse le chiese), come pure il mondo
valenza antropologica, cui corrisponde anche una significativa dimensione teologica. Non 1967). A Sand County Almanac, della ricerca scientifico-tecnologica e quello dell’economia. Un’etica ambientale deve
è casuale che il Simbolo niceno-costantinopolitano qualifichi il Creatore come Pantocrator Oxford University Press, declinarsi, dunque, a vari livelli, articolando cioè la responsabilità condivisa nella diverse
15
Oxford 1949.
– un’espressione greca generalmente tradotta con Onnipotente, ma nella quale in realtà la H.P. Santmire, The Travail aree in cui essa è chiamata ad esercitarsi.
radice di kratos, più ancora che la dimensione del potere assoluto, introduce soprattutto of Nature. The Ambiguous 18 • Prevenzione e precauzione. Riparare il danno ambientale, specie quando è di vasta
quella del sostegno e della conservazione. Il Pantocrator è, cioè, Colui che tutto sostiene, Ecological Promise of the Sulla rilevanza di tale tematica portata, è sempre assai più oneroso che evitarlo, con una saggia prevenzione. Tale agire
Christian Theology (Fortress rimando a S.Morandini, Il previdente è quindi doveroso, specie per questioni in grado di determinare conseguenze
Colui che in Gen. 8, 22 – nell’alleanza post-diluviana – garantisce la stabilità del clima e Press, Minneapolis 1985). tempo sarà bello. Fondamenti
delle stagioni. Allo sguardo del credente la pratica responsabile della sostenibilità appare, etici e teologici per nuovi stili
di vasta portata. Ciò è vero anche quando la conoscenza scientifica dei fattori in gioco
allora, componente imprescindibile della corrispondenza degli esseri umani all’immagine di vita (Emi, Bologna 2004); non sia ancora del tutto completa: è il contenuto del principio di precauzione (Cdsc
di Dio che vive in essi, nel segno di un’attiva cura provvidente per la terra ed i suoi abitanti. Id. (a cura), Etica e stili di vita n. 469), che sta mostrando la propria rilevanza in un gran numero di ambiti dell’etica
Certo, è innegabile che vi siano stati da parte dei credenti anche comportamenti di grave (Lanza /Gregoriana, Padova ambientale, a partire dal mutamento climatico, ma anche in relazione all’uso di Organismi
disattenzione nei confronti della terra di Dio, né possiamo dimenticare l’ambivalenza con cui 2005). Geneticamente Modificati.
è stata interpretata teologicamente la posizione dell’uomo nel creato13. A differenza, però, • Prospettiva ecosistemica. Il n. 34 della Sollecitudo rei socialis invita a tener conto sia
di quanto riteneva nel 1967 lo storico americano L. White14, sarebbe scorretto cogliere in tali della natura dei singoli esseri, che della loro “mutua connessione in un sistema ordinato”.
elementi la manifestazione di una costituiva valenza antiecologica dell’antropocentrismo È un’istanza ripresa anche dal Cdsc, che invita a considerare ogni realtà (vivente e non)
cristiano. Ad uno sguardo teologicamente avveduto essi appariranno piuttosto come un non soltanto nel suo valore singolare, ma anche nel suo ruolo in ordine alla stabilità ed
autentico tradimento di quella vera e propria “promessa ecologica” – è un’espressione del alla vitalità dell’ecosistema (locale e globale), ricordando che talvolta un’alterazione anche
luterano P. Santmire15 – che attraversa da cima a fondo le Scritture. limitata di singoli fattori può avere conseguenze di vasta portata. Potremmo esprimere
Esplorarne il significato, ritrovandone la forza spirituale e normativa è un compito tale istanza con un’espressione di A.Leopold, uno dei padri fondatori dell’etica ambientale
importante per l’etica teologica oggi. statunitense: l’etica deve imparare a “pensare come una montagna” – a dire della necessità
di apprendere dalle scienze ecologiche la percezione di quel fitto intreccio di fattori che
Parole per la sostenibilità (ed oltre) interagiscono anche solo in un ecosistema locale17.
Accanto a tali parole, rilevanti soprattutto come orizzonti di sfondo, specie in ordine
È pure vero, d’altra parte, che da quella stessa istanza di sostenibilità, che interpella con alle grandi scelte socio-economiche, un’etica ambientale dovrà richiamare alcune virtù
tanta forza la coscienza credente, merge l’orientamento a pratiche che per loro natura ecologiche, tese a plasmare il cuore del soggetto chiamato alla sostenibilità fin nella
esigono il coinvolgimento dell’intera famiglia umana, nella varietà delle sue componenti, sua prassi quotidiana – quello che diciamo il suo stile di vita18. La natura globale della
ed è importante offrire alcune concrete indicazioni etiche in tal senso. crisi ambientale, infatti, nasce anche dalla diffusione crescente di quei comportamenti
Occorre sottolineare, in primo luogo, che l’istanza di sostenibilità non si traduce in invito insostenibili che caratterizzano l’homo oeconomicus del modello consumistico delle società
all’astensione dall’agire, quasi essa si ponesse in contraddizione con la creatività umana occidentali. Una soggetto orientato alla sostenibilità dovrà passare invece attraverso una
e con quell’istanza di sviluppo umano integrale che troviamo richiamata con tanta forza “conversione ecologica” – per riprendere l’espressione di Giovanni Paolo II - giungendo
anche da Caritas in Veritate. Si tratta, al contrario, di ricercare una giustizia dell’agire a declinare le proprie pratiche su parametri ben diversi. È anche questa una possibilità
che tenga esplicitamente conto anche della sua costitutiva dimensione ambientale, quale che esprime la natura culturale degli esseri umani, la loro capacità di modificare i propri
elemento di valutazione per tutte le scelte rilevanti – quelle sociali come quelle personali. comportamenti, quando essi non si dimostrino più adeguati.
Si tratta cioè di fare della costruzione della sostenibilità una componente imprescindibile • Gratitudine. La prima virtù ecologica è certo la gratitudine, espressione del
di quella continua pratica del discernimento in cui Rom. 12, 1-2 colloca il cuore dell’agire riconoscimento della finitezza del soggetto umano, del suo essere preceduto da una
morale. Non si tratterà, dunque di pretendere di derivare rigide indicazioni normative a comunità umana e da un’evoluzione biologica, che rende possibile la sua stessa esistenza.
partire da un concetto predefinito di sostenibilità, ma piuttosto di imparare a declinare la È la coscienza di essere ospiti, di aver ricevuto un dono che sorpassa ogni possibilità di
prospettiva ad essa associata in modo duttile ed articolato, come criterio interpretativo per restituzione mercantile, ma che esige piuttosto di essere trasmesso integro alle generazioni
la complessità delle situazioni concrete in cui sono in gioco valori umani ed ambientali. future. Nella gratitudine si innesta, quindi, anche la seconda virtù che desideriamo
Pur senza pretesa di esaustività, intendiamo, allora, richiamare alcuni principi che aiutano richiamare:
ad articolare tale esigenza. Si tratta di indicazioni che emergono dalla nozione stessa di • Sobrietà. È la forma che caratterizza uno stile di vita – personale e comunitario -
sostenibilità, ma che si trovano pure in forte consonanza con indicazioni della Dottrina sostenibile: la capacità di una vita essenziale, che nel mondo occidentale dovrà collocarsi
Sociale della Chiesa: mentre i primi due sono molto generali e vengono indicati come in cosciente opposizione ad una cultura corrente, tutta centrata sulla massimizzazione del
fondamentali in qualunque sua esposizione, per il terzo possiamo far riferimento soprattutto consumo. Essa si articolerà ulteriormente su due dimensioni:
al Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa (Cdsc) del 2004 e così per il quarto, che ecosufficienza: la capacità di esaminare attentamente i propri consumi, per verificare
riprende un’istanza già più volte sottolineata da Giovanni Paolo II. se davvero essi rispondano a bisogni reali per una vita di qualità e non siano piuttosto
• Giustizia. La sostenibilità costituisce un’estensione in senso intergenerazionale comportamenti indotti dall’emulazione o dalla seduzione pubblicitaria. La tradizione
della giustizia, che non può però certo andare a detrimento della corrispondente dimensione etico-teologica deve ricordare tenacemente che una vita buona può essere realizzata anche
intragenerazionale. È dovere di giustizia garantire fin da adesso a tutte le componenti della con un quantitativo di beni (e con un impatto ambientale) assai minore di quanto non sia
famiglia umana – ai poveri in primo luogo – un adeguato accesso ai beni della terra (in primo abituale per i cittadini delle società occidentali.
luogo quelli vitali, come l’acqua, l’energia, le risorse alimentari), superandone l’attuale ecoefficienza: la capacità di soddisfare quei bisogni che riconosciamo come
distribuzione oligarchica. L’iniqua ripartizione delle responsabilità, dei beni e dei rischi reali ed imprescindibili in forme caratterizzate da un impatto minimo sull’ambiente,

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non solo). Per un tale soggetto la natura biologica ed ecosistemica non è una mera cava 13 16 che caratterizza la condizione della famiglia umana, infatti,disegna già al presente una
di materiale, plasmabile a piacere; neppure, però, essa costituisce l’immediata fonte di Ho esaminato alcune Una riflessione etica in drammatica negazione della sostenibilità. Ma anche una riflessione etica sulla mitigazione
prospettive in tal senso in M.Mascia, L.Mariani (a cura),
una normatività, cui si tratterebbe semplicemente di adeguarsi nel proprio libero agire. del mutamento climatico e sul contributo che i diversi soggetti nazionali potranno e
S.Morandini, Teologia ed Ethics and Climate Change.
Essa appare piuttosto come lo spazio della vita splendida e vulnerabile, che esige un ecologia (Morcelliana, Brescia Scenarios for Justice and dovranno darvi non potrà esimersi dal misurarsi con la dimensione della giustizia16.
agire prudente, capace di renderla abitabile senza sovvertirne le strutture di sostegno che 2005). Sustainability (Fondazione • Sussidiarietà. L’istanza di sostenibilità interpella tutti i soggetti, personali, sociali
permettono di renderla tale. Un agire che sappia, cioè, coltivare e custodire il giardino Lanza / Cleup, Padova 2010). ed istituzionali, richiamando un’articolazione della responsabilità, in forme “comuni,
14
affidatoci – per riprendere le parole di Gen. 2, 15 – in un sapiente equilibrio di innovazione L.White, Le radici storiche 17 ma differenziate” – secondo l’indicazione più volte espressa da numerosi organismi
e conservazione nella casa della vita. della nostra crisi, il Mulino È il titolo di uno dei saggi internazionali. Essa interessa, dunque, le istituzioni – sovranazionali, nazionali e locali -
È chiaro, dunque, che, al di là della dimensione socio-politica, il tema porta in sé una radicale 22 (1973), pp.251-263 (ed. or. presenti in A.Leopold, ma anche le diverse espressioni della società civile (incluse le chiese), come pure il mondo
valenza antropologica, cui corrisponde anche una significativa dimensione teologica. Non 1967). A Sand County Almanac, della ricerca scientifico-tecnologica e quello dell’economia. Un’etica ambientale deve
è casuale che il Simbolo niceno-costantinopolitano qualifichi il Creatore come Pantocrator Oxford University Press, declinarsi, dunque, a vari livelli, articolando cioè la responsabilità condivisa nella diverse
15
Oxford 1949.
– un’espressione greca generalmente tradotta con Onnipotente, ma nella quale in realtà la H.P. Santmire, The Travail aree in cui essa è chiamata ad esercitarsi.
radice di kratos, più ancora che la dimensione del potere assoluto, introduce soprattutto of Nature. The Ambiguous 18 • Prevenzione e precauzione. Riparare il danno ambientale, specie quando è di vasta
quella del sostegno e della conservazione. Il Pantocrator è, cioè, Colui che tutto sostiene, Ecological Promise of the Sulla rilevanza di tale tematica portata, è sempre assai più oneroso che evitarlo, con una saggia prevenzione. Tale agire
Christian Theology (Fortress rimando a S.Morandini, Il previdente è quindi doveroso, specie per questioni in grado di determinare conseguenze
Colui che in Gen. 8, 22 – nell’alleanza post-diluviana – garantisce la stabilità del clima e Press, Minneapolis 1985). tempo sarà bello. Fondamenti
delle stagioni. Allo sguardo del credente la pratica responsabile della sostenibilità appare, etici e teologici per nuovi stili
di vasta portata. Ciò è vero anche quando la conoscenza scientifica dei fattori in gioco
allora, componente imprescindibile della corrispondenza degli esseri umani all’immagine di vita (Emi, Bologna 2004); non sia ancora del tutto completa: è il contenuto del principio di precauzione (Cdsc
di Dio che vive in essi, nel segno di un’attiva cura provvidente per la terra ed i suoi abitanti. Id. (a cura), Etica e stili di vita n. 469), che sta mostrando la propria rilevanza in un gran numero di ambiti dell’etica
Certo, è innegabile che vi siano stati da parte dei credenti anche comportamenti di grave (Lanza /Gregoriana, Padova ambientale, a partire dal mutamento climatico, ma anche in relazione all’uso di Organismi
disattenzione nei confronti della terra di Dio, né possiamo dimenticare l’ambivalenza con cui 2005). Geneticamente Modificati.
è stata interpretata teologicamente la posizione dell’uomo nel creato13. A differenza, però, • Prospettiva ecosistemica. Il n. 34 della Sollecitudo rei socialis invita a tener conto sia
di quanto riteneva nel 1967 lo storico americano L. White14, sarebbe scorretto cogliere in tali della natura dei singoli esseri, che della loro “mutua connessione in un sistema ordinato”.
elementi la manifestazione di una costituiva valenza antiecologica dell’antropocentrismo È un’istanza ripresa anche dal Cdsc, che invita a considerare ogni realtà (vivente e non)
cristiano. Ad uno sguardo teologicamente avveduto essi appariranno piuttosto come un non soltanto nel suo valore singolare, ma anche nel suo ruolo in ordine alla stabilità ed
autentico tradimento di quella vera e propria “promessa ecologica” – è un’espressione del alla vitalità dell’ecosistema (locale e globale), ricordando che talvolta un’alterazione anche
luterano P. Santmire15 – che attraversa da cima a fondo le Scritture. limitata di singoli fattori può avere conseguenze di vasta portata. Potremmo esprimere
Esplorarne il significato, ritrovandone la forza spirituale e normativa è un compito tale istanza con un’espressione di A.Leopold, uno dei padri fondatori dell’etica ambientale
importante per l’etica teologica oggi. statunitense: l’etica deve imparare a “pensare come una montagna” – a dire della necessità
di apprendere dalle scienze ecologiche la percezione di quel fitto intreccio di fattori che
Parole per la sostenibilità (ed oltre) interagiscono anche solo in un ecosistema locale17.
Accanto a tali parole, rilevanti soprattutto come orizzonti di sfondo, specie in ordine
È pure vero, d’altra parte, che da quella stessa istanza di sostenibilità, che interpella con alle grandi scelte socio-economiche, un’etica ambientale dovrà richiamare alcune virtù
tanta forza la coscienza credente, merge l’orientamento a pratiche che per loro natura ecologiche, tese a plasmare il cuore del soggetto chiamato alla sostenibilità fin nella
esigono il coinvolgimento dell’intera famiglia umana, nella varietà delle sue componenti, sua prassi quotidiana – quello che diciamo il suo stile di vita18. La natura globale della
ed è importante offrire alcune concrete indicazioni etiche in tal senso. crisi ambientale, infatti, nasce anche dalla diffusione crescente di quei comportamenti
Occorre sottolineare, in primo luogo, che l’istanza di sostenibilità non si traduce in invito insostenibili che caratterizzano l’homo oeconomicus del modello consumistico delle società
all’astensione dall’agire, quasi essa si ponesse in contraddizione con la creatività umana occidentali. Una soggetto orientato alla sostenibilità dovrà passare invece attraverso una
e con quell’istanza di sviluppo umano integrale che troviamo richiamata con tanta forza “conversione ecologica” – per riprendere l’espressione di Giovanni Paolo II - giungendo
anche da Caritas in Veritate. Si tratta, al contrario, di ricercare una giustizia dell’agire a declinare le proprie pratiche su parametri ben diversi. È anche questa una possibilità
che tenga esplicitamente conto anche della sua costitutiva dimensione ambientale, quale che esprime la natura culturale degli esseri umani, la loro capacità di modificare i propri
elemento di valutazione per tutte le scelte rilevanti – quelle sociali come quelle personali. comportamenti, quando essi non si dimostrino più adeguati.
Si tratta cioè di fare della costruzione della sostenibilità una componente imprescindibile • Gratitudine. La prima virtù ecologica è certo la gratitudine, espressione del
di quella continua pratica del discernimento in cui Rom. 12, 1-2 colloca il cuore dell’agire riconoscimento della finitezza del soggetto umano, del suo essere preceduto da una
morale. Non si tratterà, dunque di pretendere di derivare rigide indicazioni normative a comunità umana e da un’evoluzione biologica, che rende possibile la sua stessa esistenza.
partire da un concetto predefinito di sostenibilità, ma piuttosto di imparare a declinare la È la coscienza di essere ospiti, di aver ricevuto un dono che sorpassa ogni possibilità di
prospettiva ad essa associata in modo duttile ed articolato, come criterio interpretativo per restituzione mercantile, ma che esige piuttosto di essere trasmesso integro alle generazioni
la complessità delle situazioni concrete in cui sono in gioco valori umani ed ambientali. future. Nella gratitudine si innesta, quindi, anche la seconda virtù che desideriamo
Pur senza pretesa di esaustività, intendiamo, allora, richiamare alcuni principi che aiutano richiamare:
ad articolare tale esigenza. Si tratta di indicazioni che emergono dalla nozione stessa di • Sobrietà. È la forma che caratterizza uno stile di vita – personale e comunitario -
sostenibilità, ma che si trovano pure in forte consonanza con indicazioni della Dottrina sostenibile: la capacità di una vita essenziale, che nel mondo occidentale dovrà collocarsi
Sociale della Chiesa: mentre i primi due sono molto generali e vengono indicati come in cosciente opposizione ad una cultura corrente, tutta centrata sulla massimizzazione del
fondamentali in qualunque sua esposizione, per il terzo possiamo far riferimento soprattutto consumo. Essa si articolerà ulteriormente su due dimensioni:
al Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa (Cdsc) del 2004 e così per il quarto, che ecosufficienza: la capacità di esaminare attentamente i propri consumi, per verificare
riprende un’istanza già più volte sottolineata da Giovanni Paolo II. se davvero essi rispondano a bisogni reali per una vita di qualità e non siano piuttosto
• Giustizia. La sostenibilità costituisce un’estensione in senso intergenerazionale comportamenti indotti dall’emulazione o dalla seduzione pubblicitaria. La tradizione
della giustizia, che non può però certo andare a detrimento della corrispondente dimensione etico-teologica deve ricordare tenacemente che una vita buona può essere realizzata anche
intragenerazionale. È dovere di giustizia garantire fin da adesso a tutte le componenti della con un quantitativo di beni (e con un impatto ambientale) assai minore di quanto non sia
famiglia umana – ai poveri in primo luogo – un adeguato accesso ai beni della terra (in primo abituale per i cittadini delle società occidentali.
luogo quelli vitali, come l’acqua, l’energia, le risorse alimentari), superandone l’attuale ecoefficienza: la capacità di soddisfare quei bisogni che riconosciamo come
distribuzione oligarchica. L’iniqua ripartizione delle responsabilità, dei beni e dei rischi reali ed imprescindibili in forme caratterizzate da un impatto minimo sull’ambiente,

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anche valorizzando in tale direzione i migliori sviluppi della scienza e della tecnica. Una 19
Per una riflessione sul
Arte e decrescita
prospettiva etico-teologica deve anche affermare il ruolo essenziale dell’innovazione
significato di tale collocazione
tecnologica in ordine alla sostenibilità, nella misura in cui essa consente di ridurre
rimando a S.Morandini (a
drasticamente i consumi di energia e materiali per produrre beni e servizi. cura), L’etica negli ambiti di
• Solidarietà globale. Si tratta di vivere come membri della famiglia umana, ben vita (Project, Padova 2010). Maurizio Pallante
sapendo che – al di là delle preziose specificità nazionali e locali, che vanno certo valorizzate
20
– una sfida globale come quella della sostenibilità esige un soggetto che ne sia all’altezza. F. Dostoevskij, I fratelli
È un’istanza che interessa il nostro sentire personale, ma che preme anche in direzione di Karamazov, Einaudi, Torino,
un’adeguata espressione sul piano delle istituzioni politiche. vol. I, p. 422.
• Fraternità creaturale. Vivere fino in fondo uno stile di vita sostenibile domanda, L’arte è un investimento di capitali, la cultura un alibi.
però, anche di andare aldilà del pur significativo antropocentrismo con cui abbiamo sinora Ennio Flaiano
declinato la sostenibilità. La costruzione di esistenze sostenibili dovrà, cioè, guardare
anche a figure come quelle di Francesco d’Assisi o Serafino di Sarov, riscoprendo la 1. L’epoca storica iniziata 250 anni fa con la rivoluzione industriale si sta avviando a
loro esperienza di fraternità escatologica con le altre creature. Essa orienterà ad un’etica conclusione. Molti e concomitanti segnali lo fanno intravedere. La crescita della produzione
dell’attenzione per gli animali, come compagni della creazione, ma anche ad una spiritualità di merci, che ne ha costituito il carattere distintivo rappresentando non solo il fine ultimo
dal respiro cosmico, capace di cogliere l’agire ed il sentire umani all’interno del vasto delle attività economiche, della ricerca scientifica e delle innovazioni tecnologiche, ma
orizzonte della creazione di Dio. anche il riferimento fondante del sistema dei valori e della coesione sociale, si è inceppata e
• Cura. Chi sperimenta tale dimensione di fraternità universale si troverà portato a trova difficoltà sempre maggiori a riproporsi. Il consumo annuo delle risorse rinnovabili ha
vivere in modo ampio anche quella dimensione della cura, cui tanta attenzione ha prestato superato la loro capacità di rigenerarsi e il divario aumenta in continuazione accrescendo la
la riflessione etica e teologica delle donne. Alla cura per gli esseri umani e per le relazioni miseria dei popoli a cui viene sottratto il necessario per vivere; il consumo delle risorse non
tra di essi si affiancherà allora quella per la terra, da parte di chi non sopporta di vederla rinnovabili ha ridotto i loro stock, in qualche caso pericolosamente; è stata bruciata almeno
devastata. la metà delle riserve globali di petrolio e quello che resta viene estratto in quantità sempre
Se la rilevanza dei principi precedentemente evocati interessa in primo luogo l’elaborazione maggiori; le emissioni liquide, solide e gassose generate dalle attività antropiche hanno
etico-sociale, le virtù appena richiamate coinvolgono anche immediatamente le concrete superato la capacità dell’ecosistema terrestre di metabolizzarle, in particolare l’anidride
esistenze delle persone e della comunità. È importante in tal senso che essi entrino a far carbonica generata dalla combustione di fonti fossili. Dopo aver assorbito quantità crescenti
parte della riflessione morale, ma anche della pratica pastorale delle comunità credenti, di risorse dal pianeta, aver diffuso nei suoi cicli biochimici quantità sempre maggiori di
a recuperare quella concretezza di un rapporto vissuto alla terra che costituisce una veleni e averne causato sempre più gravi scompensi circolatori, la crescita della produzione
dimensione importante del sentire cristiano. L’etica ambientale si colloca certamente
di merci, come una neoplasia allo stadio terminale, lo ha debilitato a tal punto da ricavare
nel campo dell’etica applicata19, ma ha anche implicazioni antropologiche e pastorali
con sempre maggiore fatica ciò che le serve per continuare a crescere.
che eccedono ampiamente tale ambito, fino ad interessare la stessa riflessione teologico-
sistematica sulla dottrina della creazione. 2. Alla crisi energetica e alla crisi ambientale si è aggiunta nel 2008 una crisi di
sovrapproduzione di merci che non è stata debellata dalle tradizionali misure di politica
Conclusione economica finalizzate ad aumentare la domanda mediante le commesse di grandi opere
pubbliche, la riduzione delle tasse e i sussidi statali all’acquisto delle merci invendute.
Se la sostenibilità viene spesso percepita come un termine “freddo”, essa ci ha condotti
Le enormi quantità di denaro investite a tal fine non solo non hanno rimesso in moto la
in effetti attraverso una riflessione etica che ha evocato sì la dimensione tecnica, quella
crescita, ma hanno incrementato i deficit pubblici fino all’insolvenza, costringendo gli Stati
politica e quella economica, ma anche un’intensa componente teologica e spirituale. La
più indebitati a diminuire la spesa pubblica e aumentare le tasse. Queste scelte comportano
casa della vita che ci è donata, infatti, è anche lo spazio prezioso nel quale il Verbo ha
una riduzione della domanda e, quindi, un aggravamento della crisi di sovrapproduzione,
posto la sua tenda, nel quale lo Spirito dona la vita ad ogni vivente, rinnovando la faccia
che si traduce in una diminuzione del numero degli occupati, da cui deriva una riduzione del
della terra. La fede cristiana narra, dunque, di un orizzonte trinitario,che rende sostenibili
potere d’acquisto e una riduzione ulteriore della domanda. L’intreccio della crisi ambientale,
un’etica e ad una spiritualità ecologica, ed in esso radica anche – secondo un’indicazione
particolarmente cara al pensiero di J.Moltmann – una speranza che ha le dimensioni della crisi energetica, della crisi economica e della crisi occupazionale delinea la diagnosi di
dell’intero creato. Un’etica credente della sostenibilità non sarà, allora, animata soltanto una malattia da cui non c’è possibilità di guarigione se la tecnologia e il lavoro non vengono
dalla pur doverosa condivisione della preoccupazione per la minaccia che incombe sulla indirizzati a ridurre alle potenzialità fisiologiche della terra il prelievo annuo delle risorse
famiglia umana, ma vivrà soprattutto di un radicale amore rivolto alla terra ed a tutti da trasformare in merci e l’immissione delle sostanze di scarto che i cicli biochimici sono in
coloro che la abitano – come a compagni sulla via verso l’universale presenza escatologica grado di metabolizzare, eliminando del tutto le sostanze nocive che li avvelenano.
del Signore. È quanto esprimeva lo Starets Zosima ne “I fratelli Karamazov” e alle sue 3. La crescita della produzione di merci non si può realizzare se contestualmente non cresce
parole desidero affidare la conclusione di questo intervento: il consumo di merci. Pertanto le società che finalizzano le attività economiche alla crescita
Amate tutta la creazione divina, così in blocco, come in ogni granello di sabbia. Per ogni della produzione di merci non possono non porre il consumo a fondamento del loro
minima foglia, per ogni raggio del sole di Dio, abbiate amore. Amate gli animali, amate le sistema di valori e dei modelli di comportamento condivisi. Nell’immaginario collettivo
piante, amate le cose tutte. Se amerai tutte le cose, penetrerai nelle cose il mistero di Dio. di queste società il consumo costituisce il fattore fondamentale del benessere individuale e
Una volta penetrato questo, senza più interruzione verrai conoscendolo sempre più a fondo sociale. Il progresso si identifica con la crescita della produzione e del consumo di merci. Le
e sempre meglio, di giorno in giorno. E alla fine amerai tutto il mondo, di un integrale, posizioni di chi, come ha fatto la chiesa cattolica, condanna il consumismo perché comporta
universale amore20. un appiattimento materialistico degli esseri umani ed esalta al contempo come un miracolo
la crescita della produzione di merci, sono illogiche e non credibili, penose e ridicole.
4. Per produrre quantità sempre maggiori di merci occorre introdurre sistematicamente nei
processi produttivi tecnologie innovative in grado di aumentare la produttività. Per indurre
a consumare quantità sempre maggiori di merci occorre introdurre in continuazione nei
mercati prodotti innovativi che tengano alta la domanda ben oltre le necessità effettive.
Pertanto, un sistema fondato sulla crescita della produzione e del consumo di merci ha

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anche valorizzando in tale direzione i migliori sviluppi della scienza e della tecnica. Una 19
Per una riflessione sul
Arte e decrescita
prospettiva etico-teologica deve anche affermare il ruolo essenziale dell’innovazione
significato di tale collocazione
tecnologica in ordine alla sostenibilità, nella misura in cui essa consente di ridurre
rimando a S.Morandini (a
drasticamente i consumi di energia e materiali per produrre beni e servizi. cura), L’etica negli ambiti di
• Solidarietà globale. Si tratta di vivere come membri della famiglia umana, ben vita (Project, Padova 2010). Maurizio Pallante
sapendo che – al di là delle preziose specificità nazionali e locali, che vanno certo valorizzate
20
– una sfida globale come quella della sostenibilità esige un soggetto che ne sia all’altezza. F. Dostoevskij, I fratelli
È un’istanza che interessa il nostro sentire personale, ma che preme anche in direzione di Karamazov, Einaudi, Torino,
un’adeguata espressione sul piano delle istituzioni politiche. vol. I, p. 422.
• Fraternità creaturale. Vivere fino in fondo uno stile di vita sostenibile domanda, L’arte è un investimento di capitali, la cultura un alibi.
però, anche di andare aldilà del pur significativo antropocentrismo con cui abbiamo sinora Ennio Flaiano
declinato la sostenibilità. La costruzione di esistenze sostenibili dovrà, cioè, guardare
anche a figure come quelle di Francesco d’Assisi o Serafino di Sarov, riscoprendo la 1. L’epoca storica iniziata 250 anni fa con la rivoluzione industriale si sta avviando a
loro esperienza di fraternità escatologica con le altre creature. Essa orienterà ad un’etica conclusione. Molti e concomitanti segnali lo fanno intravedere. La crescita della produzione
dell’attenzione per gli animali, come compagni della creazione, ma anche ad una spiritualità di merci, che ne ha costituito il carattere distintivo rappresentando non solo il fine ultimo
dal respiro cosmico, capace di cogliere l’agire ed il sentire umani all’interno del vasto delle attività economiche, della ricerca scientifica e delle innovazioni tecnologiche, ma
orizzonte della creazione di Dio. anche il riferimento fondante del sistema dei valori e della coesione sociale, si è inceppata e
• Cura. Chi sperimenta tale dimensione di fraternità universale si troverà portato a trova difficoltà sempre maggiori a riproporsi. Il consumo annuo delle risorse rinnovabili ha
vivere in modo ampio anche quella dimensione della cura, cui tanta attenzione ha prestato superato la loro capacità di rigenerarsi e il divario aumenta in continuazione accrescendo la
la riflessione etica e teologica delle donne. Alla cura per gli esseri umani e per le relazioni miseria dei popoli a cui viene sottratto il necessario per vivere; il consumo delle risorse non
tra di essi si affiancherà allora quella per la terra, da parte di chi non sopporta di vederla rinnovabili ha ridotto i loro stock, in qualche caso pericolosamente; è stata bruciata almeno
devastata. la metà delle riserve globali di petrolio e quello che resta viene estratto in quantità sempre
Se la rilevanza dei principi precedentemente evocati interessa in primo luogo l’elaborazione maggiori; le emissioni liquide, solide e gassose generate dalle attività antropiche hanno
etico-sociale, le virtù appena richiamate coinvolgono anche immediatamente le concrete superato la capacità dell’ecosistema terrestre di metabolizzarle, in particolare l’anidride
esistenze delle persone e della comunità. È importante in tal senso che essi entrino a far carbonica generata dalla combustione di fonti fossili. Dopo aver assorbito quantità crescenti
parte della riflessione morale, ma anche della pratica pastorale delle comunità credenti, di risorse dal pianeta, aver diffuso nei suoi cicli biochimici quantità sempre maggiori di
a recuperare quella concretezza di un rapporto vissuto alla terra che costituisce una veleni e averne causato sempre più gravi scompensi circolatori, la crescita della produzione
dimensione importante del sentire cristiano. L’etica ambientale si colloca certamente
di merci, come una neoplasia allo stadio terminale, lo ha debilitato a tal punto da ricavare
nel campo dell’etica applicata19, ma ha anche implicazioni antropologiche e pastorali
con sempre maggiore fatica ciò che le serve per continuare a crescere.
che eccedono ampiamente tale ambito, fino ad interessare la stessa riflessione teologico-
sistematica sulla dottrina della creazione. 2. Alla crisi energetica e alla crisi ambientale si è aggiunta nel 2008 una crisi di
sovrapproduzione di merci che non è stata debellata dalle tradizionali misure di politica
Conclusione economica finalizzate ad aumentare la domanda mediante le commesse di grandi opere
pubbliche, la riduzione delle tasse e i sussidi statali all’acquisto delle merci invendute.
Se la sostenibilità viene spesso percepita come un termine “freddo”, essa ci ha condotti
Le enormi quantità di denaro investite a tal fine non solo non hanno rimesso in moto la
in effetti attraverso una riflessione etica che ha evocato sì la dimensione tecnica, quella
crescita, ma hanno incrementato i deficit pubblici fino all’insolvenza, costringendo gli Stati
politica e quella economica, ma anche un’intensa componente teologica e spirituale. La
più indebitati a diminuire la spesa pubblica e aumentare le tasse. Queste scelte comportano
casa della vita che ci è donata, infatti, è anche lo spazio prezioso nel quale il Verbo ha
una riduzione della domanda e, quindi, un aggravamento della crisi di sovrapproduzione,
posto la sua tenda, nel quale lo Spirito dona la vita ad ogni vivente, rinnovando la faccia
che si traduce in una diminuzione del numero degli occupati, da cui deriva una riduzione del
della terra. La fede cristiana narra, dunque, di un orizzonte trinitario,che rende sostenibili
potere d’acquisto e una riduzione ulteriore della domanda. L’intreccio della crisi ambientale,
un’etica e ad una spiritualità ecologica, ed in esso radica anche – secondo un’indicazione
particolarmente cara al pensiero di J.Moltmann – una speranza che ha le dimensioni della crisi energetica, della crisi economica e della crisi occupazionale delinea la diagnosi di
dell’intero creato. Un’etica credente della sostenibilità non sarà, allora, animata soltanto una malattia da cui non c’è possibilità di guarigione se la tecnologia e il lavoro non vengono
dalla pur doverosa condivisione della preoccupazione per la minaccia che incombe sulla indirizzati a ridurre alle potenzialità fisiologiche della terra il prelievo annuo delle risorse
famiglia umana, ma vivrà soprattutto di un radicale amore rivolto alla terra ed a tutti da trasformare in merci e l’immissione delle sostanze di scarto che i cicli biochimici sono in
coloro che la abitano – come a compagni sulla via verso l’universale presenza escatologica grado di metabolizzare, eliminando del tutto le sostanze nocive che li avvelenano.
del Signore. È quanto esprimeva lo Starets Zosima ne “I fratelli Karamazov” e alle sue 3. La crescita della produzione di merci non si può realizzare se contestualmente non cresce
parole desidero affidare la conclusione di questo intervento: il consumo di merci. Pertanto le società che finalizzano le attività economiche alla crescita
Amate tutta la creazione divina, così in blocco, come in ogni granello di sabbia. Per ogni della produzione di merci non possono non porre il consumo a fondamento del loro
minima foglia, per ogni raggio del sole di Dio, abbiate amore. Amate gli animali, amate le sistema di valori e dei modelli di comportamento condivisi. Nell’immaginario collettivo
piante, amate le cose tutte. Se amerai tutte le cose, penetrerai nelle cose il mistero di Dio. di queste società il consumo costituisce il fattore fondamentale del benessere individuale e
Una volta penetrato questo, senza più interruzione verrai conoscendolo sempre più a fondo sociale. Il progresso si identifica con la crescita della produzione e del consumo di merci. Le
e sempre meglio, di giorno in giorno. E alla fine amerai tutto il mondo, di un integrale, posizioni di chi, come ha fatto la chiesa cattolica, condanna il consumismo perché comporta
universale amore20. un appiattimento materialistico degli esseri umani ed esalta al contempo come un miracolo
la crescita della produzione di merci, sono illogiche e non credibili, penose e ridicole.
4. Per produrre quantità sempre maggiori di merci occorre introdurre sistematicamente nei
processi produttivi tecnologie innovative in grado di aumentare la produttività. Per indurre
a consumare quantità sempre maggiori di merci occorre introdurre in continuazione nei
mercati prodotti innovativi che tengano alta la domanda ben oltre le necessità effettive.
Pertanto, un sistema fondato sulla crescita della produzione e del consumo di merci ha

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bisogno di valorizzare il nuovo in quanto tale e, quindi, l’innovazione, cioè la capacità 1 2 di valorizzare i mutamenti culturali di cui aveva bisogno per conquistare un consenso
di sostituire in continuazione il nuovo con un più nuovo, ovvero di far diventare il Eugenio Scalfari, I crociati di Pierre Boulez, “la Repubblica”, generalizzato al modello economico e produttivo che stava cambiando totalmente il modo
Vicenza a cena col diavolo, la 29 marzo 2009, pag. 44.
nuovo sempre più rapidamente vecchio. «Il capitalismo – quale che sia il concetto e il di vivere delle persone e l’organizzazione sociale.
Repubblica, 15 ottobre 2006,
giudizio che se ne dia – ha scritto Eugenio Scalfari, uno dei più autorevoli esponenti pag. 27.
dell’intellighenzia progressista italiana – coincide (dovrebbe) con l’innovazione e con la 7. La persistenza dei valori della civiltà contadina, il rispetto delle regole tramandate
concorrenza, travolge il vecchio e porta avanti il nuovo»1. La valorizzazione del nuovo dai padri, la sobrietà, la conservazione, la continuità dei modelli di comportamento tra
e la svalutazione del vecchio o, in altri termini, la valorizzazione del cambiamento e la le generazioni, la durata nel tempo degli oggetti, non erano compatibili con la crescita
svalutazione della conservazione, sono stati i fattori culturali che hanno nascosto sotto della produzione e del consumo di merci. Dovevano essere ridicolizzati e percepiti
la seducente apparenza di un incessante avanzamento verso il meglio i danni causati nel come anacronistici per essere sostituiti da un sistema opposto di valori fondato sulla
pianeta dalla crescita del prelievo di risorse necessarie alla crescita della produzione di trasgressione sistematica delle regole, la cesura col passato, la proiezione continua nel
merci e dalla crescita delle emissioni inquinanti che ne conseguono. futuro, la velocità, i cambiamenti, le innovazioni. Le avanguardie artistiche hanno esaltato
questi valori, l’arte moderna e contemporanea ne ha fatto i suoi canoni. Canoni ancora più
5. Nella diffusione del valore del nuovo in quanto tale un ruolo decisivo è stato svolto
rigidi dei canoni che dichiarava di voler abbattere. Ne è risultato un capovolgimento di
dalle correnti artistiche del novecento catalogate con le formulazioni generiche e
senso delle parole e dei concetti che esprimono. La trasgressione delle regole è diventata la
intercambiabili, di arte moderna e arte contemporanea. Poiché l’aggettivo moderno
regola a cui uniformarsi. La disobbedienza un imperativo a cui obbedire. Bisogna essere
significa etimologicamente odierno (deriva dall’avverbio latino modo, che significa ora ed
disobbedienti. L’innovazione un obbligo. L’anticonformismo si è trasformato nel più
è rimasto sotto la forma contratta mo’ nei dialetti dell’Italia meridionale), tutte le opere
rigido conformismo. Impossibile trovare un intellettuale in qualsiasi campo che non fosse
d’arte quando vengono fatte sono moderne e sono destinate in breve tempo a non esserlo
anticonformista. A chi ha avuto il coraggio, o l’incoscienza, di non adeguarsi a questo
più. La modernità è un abito che si può indossare per un solo giro di ballo. Con analoga
modello e di agire in modo autonomo, si sarebbe potuto chiedere ironicamente perché
indeterminatezza l’aggettivo contemporaneo indica la contestualità cronologica di un
non facesse l’anticonformista come tutti gli altri.
fenomeno con chi l’osserva o lo descrive. Da cui si deduce che contemporanee sono le
opere d’arte che si fanno ai nostri tempi, ma col passare degli anni non lo saranno più. Le 8. Negli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale la crescita della produzione
capacità descrittive degli aggettivi moderno e contemporaneo applicati alle opere d’arte sono di merci ha provocato uno sconvolgimento radicale dei modi di vivere e del sistema dei
praticamente nulle. Solo nel quadro concettuale che considera il nuovo come un valore in valori. L’urbanizzazione, il consumismo, gli sviluppi della tecnologia, il potenziamento
sé riescono ad uscire dalla genericità di una definizione temporale relativa e ad assumere delle reti e dei mezzi di trasporto e comunicazione, i mass media e la pubblicità hanno
la connotazione di un criterio interpretativo. Le opere a cui viene riconosciuto il diritto di reciso i legami coi modi di vivere e con i valori del passato, proiettando l’umanità in
essere catalogate nell’arte moderna e contemporanea non sono tutte quelle che vengono un vortice incessante di cambiamenti. La necessità di mantenere alto il tasso di crescita
fatte ai nostri tempi, ma solo quelle che contribuiscono al processo di modernizzazione della produzione e del consumo di merci ha imposto una progressiva accelerazione
proponendosi programmaticamente di essere innovative rispetto alle opere fatte prima. delle innovazioni. La velocità con cui il nuovo veniva sostituito da un più nuovo è stata
Sono classificabili come moderne e contemporanee solo le opere d’arte che concorrono a considerata il parametro dell’avanzamento verso il meglio. Il principale indicatore del
rompere i vincoli con cui il passato frena la proiezione dell’umanità verso il futuro. Solo le progresso. L’arte contemporanea a questi mutamenti ne ha assunto le connotazioni,
opere d’arte che concorrono a svellere i legami con cui la tradizione avviluppa la creatività esaltando l’innovazione e la cesura col passato come elementi fondanti della creatività. La
e frena il progresso. Solo le opere d’arte che concorrono all’affermazione della modernità ricerca del nuovo è diventato l’elemento che ha uniformato tutte le correnti artistiche in
e alla sconfitta dei suoi nemici. tutti i settori espressivi, dalla musica, alla letteratura, alle discipline che tradizionalmente si
definivano figurative e, pertanto, non potevano più esserlo. «Al nuovo – ha scritto Pierre
6. Il valore dell’innovazione nella ricerca artistica si è manifestato per la prima volta nella
Boulez, uno dei più autorevoli musicisti della seconda metà del novecento – va attribuita
storia all’inizio del secolo scorso con le avanguardie artistiche. Una definizione di cui è
una visibilità sfacciata»2. Tra gli anni cinquanta e sessanta in letteratura si è sviluppata la
stata messa in evidenza la matrice militare, come del resto di origine militare è l’etimologia
corrente del nouveau roman, che ha avuto i suoi massimi rappresentanti in Francia. Nel
della parola progresso, usata dai generali romani per indicare l’avanzamento dei loro eserciti
1961 la poesia italiana contemporanea è stata raccolta in un’antologia intitolata I Novissimi,
nei territori da conquistare. Le avanguardie artistiche si sono autorappresentate come
bruciando però con questo superlativo assoluto la possibilità di definire i poeti delle
manipoli di spregiudicati innovatori che, rompendo con la mentalità e il sistema dei valori
generazioni successive. Più accortamente i letterati innovatori italiani riuniti nel Gruppo 63
vigenti, si spingevano a esplorare territori sconosciuti, a rompere convinzioni consolidate,
si sono definiti neo-avanguardia, lasciando ai letterati che sarebbero venuti dopo di loro
a sperimentare nuove modalità espressive, con l’obbiettivo di anticipare mutamenti
la possibilità di evidenziare le loro caratteristiche innovative aggiungendo alla stessa
culturali, in senso lato, che, grazie a loro, in seguito si sarebbero imposti a livello di massa.
definizione un numero crescente ad libitum di prefissi neo. Tuttavia il testimone non è stato
Un atteggiamento programmaticamente anticonformista e sovversivo, che sin dall’inizio
raccolto, probabilmente perché le successive innovazioni si sarebbero inserite in una linea
ha trovato il sostegno dei settori industriali, finanziari e politici interessati ad accelerare i
di continuità e non di rottura con le precedenti ricerche innovative. Per marcare la propria
processi di modernizzazione, industrializzazione e urbanizzazione avviati in quegli anni,
discontinuità e caratterizzare la diversità della propria ricerca innovativa rispetto alle ricerche
a sostituire nell’immaginario collettivo il valore della conservazione e dell’attaccamento
innovative delle precedenti avanguardie, negli anni ottanta una corrente artistica nel settore
al passato col valore del cambiamento e della proiezione verso il futuro, a trasformare le
delle arti non più figurative ha scelto di chiamarsi col nome di trans-avanguardia.
regole da valori sociali condivisi in vincoli mentali che limitano la libertà degli individui,
rallentano la penetrazione del nuovo e impediscono la diffusione dei miglioramenti che 9. Il sistema economico fondato sulla crescita della produzione e del consumo di merci
le innovazioni sono in grado di introdurre nelle condizioni di vita. Anche quando la ha bisogno di individui che non sappiano fare niente e, pertanto, siano costretti a
collaborazione tra le avanguardie artistiche del novecento e i settori economico-produttivi comprare tutto ciò di cui hanno bisogno per vivere. Di conseguenza deve fare in modo
in ascesa non è stata diretta, come è avvenuto con i futuristi, il Bauhaus e Le Corbusier, che si perdano le conoscenze che hanno consentito per millenni agli esseri umani di
la sintonia è stata totale e si è tradotta in un sostegno reciproco: gli artisti d’avanguardia autoprodurre molti beni essenziali alla loro sopravvivenza. Affinché questa perdita non
hanno contribuito in maniera determinante a fornire dignità culturale al sistema di valori sia percepita come un impoverimento culturale occorre che il saper fare sia disinserito
di cui il sistema economico e produttivo finalizzato alla crescita della produzione e del dall’ambito del sapere e considerato una forma inferiore dell’agire umano. Un ruolo
consumo di merci aveva bisogno per affermarsi; il sistema economico e produttivo ha fondamentale in questa operazione è stato svolto dalla scuola, dove le attività manuali
favorito l’affermazione delle avanguardie artistiche mettendo a loro disposizione gli sono state progressivamente cancellate dai programmi di studio e la conoscenza per
strumenti del suo potere: gallerie, musei, università, istituzioni culturali, committenti, esperienza diretta è stata sostituita dalla mediazione libresca. Al contempo la sostituzione
collezionisti, critici, giornali. Valorizzando le avanguardie rafforzava la loro capacità dei beni autoprodotti con l’acquisto di merci prodotte industrialmente è stata inserita

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bisogno di valorizzare il nuovo in quanto tale e, quindi, l’innovazione, cioè la capacità 1 2 di valorizzare i mutamenti culturali di cui aveva bisogno per conquistare un consenso
di sostituire in continuazione il nuovo con un più nuovo, ovvero di far diventare il Eugenio Scalfari, I crociati di Pierre Boulez, “la Repubblica”, generalizzato al modello economico e produttivo che stava cambiando totalmente il modo
Vicenza a cena col diavolo, la 29 marzo 2009, pag. 44.
nuovo sempre più rapidamente vecchio. «Il capitalismo – quale che sia il concetto e il di vivere delle persone e l’organizzazione sociale.
Repubblica, 15 ottobre 2006,
giudizio che se ne dia – ha scritto Eugenio Scalfari, uno dei più autorevoli esponenti pag. 27.
dell’intellighenzia progressista italiana – coincide (dovrebbe) con l’innovazione e con la 7. La persistenza dei valori della civiltà contadina, il rispetto delle regole tramandate
concorrenza, travolge il vecchio e porta avanti il nuovo»1. La valorizzazione del nuovo dai padri, la sobrietà, la conservazione, la continuità dei modelli di comportamento tra
e la svalutazione del vecchio o, in altri termini, la valorizzazione del cambiamento e la le generazioni, la durata nel tempo degli oggetti, non erano compatibili con la crescita
svalutazione della conservazione, sono stati i fattori culturali che hanno nascosto sotto della produzione e del consumo di merci. Dovevano essere ridicolizzati e percepiti
la seducente apparenza di un incessante avanzamento verso il meglio i danni causati nel come anacronistici per essere sostituiti da un sistema opposto di valori fondato sulla
pianeta dalla crescita del prelievo di risorse necessarie alla crescita della produzione di trasgressione sistematica delle regole, la cesura col passato, la proiezione continua nel
merci e dalla crescita delle emissioni inquinanti che ne conseguono. futuro, la velocità, i cambiamenti, le innovazioni. Le avanguardie artistiche hanno esaltato
questi valori, l’arte moderna e contemporanea ne ha fatto i suoi canoni. Canoni ancora più
5. Nella diffusione del valore del nuovo in quanto tale un ruolo decisivo è stato svolto
rigidi dei canoni che dichiarava di voler abbattere. Ne è risultato un capovolgimento di
dalle correnti artistiche del novecento catalogate con le formulazioni generiche e
senso delle parole e dei concetti che esprimono. La trasgressione delle regole è diventata la
intercambiabili, di arte moderna e arte contemporanea. Poiché l’aggettivo moderno
regola a cui uniformarsi. La disobbedienza un imperativo a cui obbedire. Bisogna essere
significa etimologicamente odierno (deriva dall’avverbio latino modo, che significa ora ed
disobbedienti. L’innovazione un obbligo. L’anticonformismo si è trasformato nel più
è rimasto sotto la forma contratta mo’ nei dialetti dell’Italia meridionale), tutte le opere
rigido conformismo. Impossibile trovare un intellettuale in qualsiasi campo che non fosse
d’arte quando vengono fatte sono moderne e sono destinate in breve tempo a non esserlo
anticonformista. A chi ha avuto il coraggio, o l’incoscienza, di non adeguarsi a questo
più. La modernità è un abito che si può indossare per un solo giro di ballo. Con analoga
modello e di agire in modo autonomo, si sarebbe potuto chiedere ironicamente perché
indeterminatezza l’aggettivo contemporaneo indica la contestualità cronologica di un
non facesse l’anticonformista come tutti gli altri.
fenomeno con chi l’osserva o lo descrive. Da cui si deduce che contemporanee sono le
opere d’arte che si fanno ai nostri tempi, ma col passare degli anni non lo saranno più. Le 8. Negli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale la crescita della produzione
capacità descrittive degli aggettivi moderno e contemporaneo applicati alle opere d’arte sono di merci ha provocato uno sconvolgimento radicale dei modi di vivere e del sistema dei
praticamente nulle. Solo nel quadro concettuale che considera il nuovo come un valore in valori. L’urbanizzazione, il consumismo, gli sviluppi della tecnologia, il potenziamento
sé riescono ad uscire dalla genericità di una definizione temporale relativa e ad assumere delle reti e dei mezzi di trasporto e comunicazione, i mass media e la pubblicità hanno
la connotazione di un criterio interpretativo. Le opere a cui viene riconosciuto il diritto di reciso i legami coi modi di vivere e con i valori del passato, proiettando l’umanità in
essere catalogate nell’arte moderna e contemporanea non sono tutte quelle che vengono un vortice incessante di cambiamenti. La necessità di mantenere alto il tasso di crescita
fatte ai nostri tempi, ma solo quelle che contribuiscono al processo di modernizzazione della produzione e del consumo di merci ha imposto una progressiva accelerazione
proponendosi programmaticamente di essere innovative rispetto alle opere fatte prima. delle innovazioni. La velocità con cui il nuovo veniva sostituito da un più nuovo è stata
Sono classificabili come moderne e contemporanee solo le opere d’arte che concorrono a considerata il parametro dell’avanzamento verso il meglio. Il principale indicatore del
rompere i vincoli con cui il passato frena la proiezione dell’umanità verso il futuro. Solo le progresso. L’arte contemporanea a questi mutamenti ne ha assunto le connotazioni,
opere d’arte che concorrono a svellere i legami con cui la tradizione avviluppa la creatività esaltando l’innovazione e la cesura col passato come elementi fondanti della creatività. La
e frena il progresso. Solo le opere d’arte che concorrono all’affermazione della modernità ricerca del nuovo è diventato l’elemento che ha uniformato tutte le correnti artistiche in
e alla sconfitta dei suoi nemici. tutti i settori espressivi, dalla musica, alla letteratura, alle discipline che tradizionalmente si
definivano figurative e, pertanto, non potevano più esserlo. «Al nuovo – ha scritto Pierre
6. Il valore dell’innovazione nella ricerca artistica si è manifestato per la prima volta nella
Boulez, uno dei più autorevoli musicisti della seconda metà del novecento – va attribuita
storia all’inizio del secolo scorso con le avanguardie artistiche. Una definizione di cui è
una visibilità sfacciata»2. Tra gli anni cinquanta e sessanta in letteratura si è sviluppata la
stata messa in evidenza la matrice militare, come del resto di origine militare è l’etimologia
corrente del nouveau roman, che ha avuto i suoi massimi rappresentanti in Francia. Nel
della parola progresso, usata dai generali romani per indicare l’avanzamento dei loro eserciti
1961 la poesia italiana contemporanea è stata raccolta in un’antologia intitolata I Novissimi,
nei territori da conquistare. Le avanguardie artistiche si sono autorappresentate come
bruciando però con questo superlativo assoluto la possibilità di definire i poeti delle
manipoli di spregiudicati innovatori che, rompendo con la mentalità e il sistema dei valori
generazioni successive. Più accortamente i letterati innovatori italiani riuniti nel Gruppo 63
vigenti, si spingevano a esplorare territori sconosciuti, a rompere convinzioni consolidate,
si sono definiti neo-avanguardia, lasciando ai letterati che sarebbero venuti dopo di loro
a sperimentare nuove modalità espressive, con l’obbiettivo di anticipare mutamenti
la possibilità di evidenziare le loro caratteristiche innovative aggiungendo alla stessa
culturali, in senso lato, che, grazie a loro, in seguito si sarebbero imposti a livello di massa.
definizione un numero crescente ad libitum di prefissi neo. Tuttavia il testimone non è stato
Un atteggiamento programmaticamente anticonformista e sovversivo, che sin dall’inizio
raccolto, probabilmente perché le successive innovazioni si sarebbero inserite in una linea
ha trovato il sostegno dei settori industriali, finanziari e politici interessati ad accelerare i
di continuità e non di rottura con le precedenti ricerche innovative. Per marcare la propria
processi di modernizzazione, industrializzazione e urbanizzazione avviati in quegli anni,
discontinuità e caratterizzare la diversità della propria ricerca innovativa rispetto alle ricerche
a sostituire nell’immaginario collettivo il valore della conservazione e dell’attaccamento
innovative delle precedenti avanguardie, negli anni ottanta una corrente artistica nel settore
al passato col valore del cambiamento e della proiezione verso il futuro, a trasformare le
delle arti non più figurative ha scelto di chiamarsi col nome di trans-avanguardia.
regole da valori sociali condivisi in vincoli mentali che limitano la libertà degli individui,
rallentano la penetrazione del nuovo e impediscono la diffusione dei miglioramenti che 9. Il sistema economico fondato sulla crescita della produzione e del consumo di merci
le innovazioni sono in grado di introdurre nelle condizioni di vita. Anche quando la ha bisogno di individui che non sappiano fare niente e, pertanto, siano costretti a
collaborazione tra le avanguardie artistiche del novecento e i settori economico-produttivi comprare tutto ciò di cui hanno bisogno per vivere. Di conseguenza deve fare in modo
in ascesa non è stata diretta, come è avvenuto con i futuristi, il Bauhaus e Le Corbusier, che si perdano le conoscenze che hanno consentito per millenni agli esseri umani di
la sintonia è stata totale e si è tradotta in un sostegno reciproco: gli artisti d’avanguardia autoprodurre molti beni essenziali alla loro sopravvivenza. Affinché questa perdita non
hanno contribuito in maniera determinante a fornire dignità culturale al sistema di valori sia percepita come un impoverimento culturale occorre che il saper fare sia disinserito
di cui il sistema economico e produttivo finalizzato alla crescita della produzione e del dall’ambito del sapere e considerato una forma inferiore dell’agire umano. Un ruolo
consumo di merci aveva bisogno per affermarsi; il sistema economico e produttivo ha fondamentale in questa operazione è stato svolto dalla scuola, dove le attività manuali
favorito l’affermazione delle avanguardie artistiche mettendo a loro disposizione gli sono state progressivamente cancellate dai programmi di studio e la conoscenza per
strumenti del suo potere: gallerie, musei, università, istituzioni culturali, committenti, esperienza diretta è stata sostituita dalla mediazione libresca. Al contempo la sostituzione
collezionisti, critici, giornali. Valorizzando le avanguardie rafforzava la loro capacità dei beni autoprodotti con l’acquisto di merci prodotte industrialmente è stata inserita

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nella lista delle conquiste sociali e valorizzata come fattore di progresso e liberazione dalla la distruzione della bellezza. Emblematicamente il direttore di un’Accademia di Belle Arti
necessità. Un ruolo non meno determinante in questo processo di svalutazione culturale (per quale pigrizia mentale si continuano a chiamare così queste istituzioni?) scrivendo sul
del saper fare è stato svolto dall’arte moderna e contemporanea che ha considerato come giornale di un grande gruppo industriale ironizzava sui superstiti esemplari di artisti che,
vincoli alla creatività l’apprendistato del mestiere, la conoscenza delle tecniche e dei a causa della loro ottusità mentale, si ostinano a fare ciò che spregiativamente definiva la
materiali, il perfezionamento delle abilità manuali sotto la guida di un maestro. Vincoli bella pittura.
che legano al passato e impediscono di effettuare le cesure necessarie a percorrere senza
12. Quando un’epoca storica si avvia a concludersi, davanti all’umanità si apre un bivio:
condizionamenti strade nuove e inesplorate, le strade del futuro su cui mai nessuno si è
o un regresso verso una fase storica meno evoluta e lo scatenamento di una conflittualità
avventurato, e di cui pertanto non esistono mappe né guide. Da quando l’arte è diventata
generalizzata, come è successo con la caduta dell’impero romano, o l’inizio di una fase
moderna e contemporanea, da quando cioè l’unico criterio di validazione artistica di
storica più evoluta in cui della fase precedente si conservano le conquiste positive e si
un’opera sono diventate le sue caratteristiche innovative, la padronanza tecnica costituisce
superano gli aspetti negativi, come è successo nel passaggio dal Medio-evo al Rinascimento,
una ragione sufficiente d’esclusione perché testimonia un legame col passato e l’adesione a
sia detto senza che ciò suoni come disprezzo per il Medio-evo, né come esaltazione acritica
un sistema di regole codificato. Il saper fare è stato espulso dallo statuto dell’arte moderna
e contemporanea perché è stato considerato la cartina di tornasole dell’antimodernità, lo del Rinascimento. Se si continuerà a pensare che la crisi dell’economia della crescita si
stigma di una concezione artistica vecchia. possa superare tentando di rilanciare la crescita, come sta succedendo, il consumo di risorse
continuerà a intaccare gli stock, le superfici ricoperte da incrostazioni di materiali inorganici
10. Prima che lo scopo dell’economia diventasse la crescita della produzione di merci, continueranno ad estendersi, le sostanze di sintesi chimica ad avvelenare i cicli biochimici,
quando il fare umano non era finalizzato a fare sempre di più, ma a fare bene per i rifiuti occupare estensioni sempre più vaste del globo terracqueo, le disuguaglianze tra
aggiungere bellezza alla bellezza originaria del mondo, il saper fare nell’arte era finalizzato la percentuale ristretta di umanità che si suicida per eccesso di consumi e la percentuale
a preservare la bellezza dalla sua intrinseca caducità. Fissata dall’opera d’arte nel suo priva del necessario per vivere aumenteranno, il denaro continuerà ad essere l’unico valore
massimo splendore, rimaneva al riparo dalle offese che inevitabilmente le infligge lo a cui dedicare la vita, l’occupazione nei paesi industrializzati a diminuire, la conflittualità
scorrere del tempo. Quando il fare è stato finalizzato a fare sempre di più ha cominciato internazionale ad aggravarsi. La crisi è destinata a precipitare nel caos. Se, invece, un
a distruggere sistematicamente la bellezza. Sia la bellezza originaria del mondo, sia la soprassalto dell’istinto di sopravvivenza farà prevalere la scelta di ridurre la produzione e
bellezza aggiunta dal fare bene nel corso dei secoli. Nella finalizzazione del fare al fare il consumo di merci alla capacità fisiologica del pianeta, potrà avviarsi una fase storica più
sempre di più, il mondo è stato ridotto a serbatoio di risorse e discarica di rifiuti. Per avanzata in cui le attività economiche e produttive torneranno ad essere il mezzo utilizzato
ricavare quantità sempre maggiori di risorse si è distrutta senza rimpianti la bellezza di dagli esseri umani per raggiungere il fine di più piena realizzazione delle potenzialità insite
paesaggi naturali o antropizzati. Per trasformarle in quantità sempre maggiori di merci la nella loro natura e gli esseri umani smetteranno di essere i mezzi utilizzati dal sistema
superficie terrestre è stata ricoperta di incrostazioni orripilanti di edifici e d’asfalto, i fiumi economico-produttivo per raggiungere il fine della crescita della produzione di merci.
sono stati trasformati in fogne e riempiti di sostanze velenose, l’aria è stata intossicata di Soltanto un nuovo Rinascimento può consentire di superare la crisi dell’epoca storica
fumi orribili a vedersi e devastanti a respirarsi, sono stati abbattuti boschi secolari. Per avviata dalla rivoluzione industriale con l’apertura di una fase storica più avanzata e non
liberarsi delle quantità sempre maggiori di merci rese vecchie dall’offerta e dall’acquisto con un regresso caratterizzato dalla diffusione di una conflittualità generalizzata.
di merci più nuove, gli oggetti dismessi sono stati accumulati in ammassi sempre più
grandi, orribili a vedersi, maleodoranti, con effetti devastanti sul ciclo dell’acqua. Sarebbe 13. Per quanto radicalmente innovativi siano gli elementi caratterizzanti dell’arte
stato possibile perseguitare la bellezza originaria del mondo e la bellezza aggiunta rinascimentale rispetto all’arte medievale, non hanno rappresentato una cesura nei suoi
dal fare umano quando non era finalizzato a fare sempre di più, ma era un fare bene confronti, ma si sono definiti mediante una serie di spostamenti successivi fino a manifestarsi
finalizzato alla contemplazione, se la bellezza fosse ancora stata considerata un valore come espressione compiuta di una cultura altra solo nella pienezza della maturità.
nell’immaginario collettivo e nel sistema dei valori condivisi? Se l’arte avesse continuato Analogamente una ricerca artistica inserita in un paradigma culturale che si proponga di
a proporsi di difenderla anche dalle cause naturali che ne intaccano l’integrità? Se all’arte riportare gli esseri umani dal ruolo di mezzi della crescita economica a fini delle attività
si fosse continuato a chiedere di esprimere l’esigenza, tanto utopica quanto inalienabile economico-produttive non può respingere in toto la cultura della fase storica che si sta
dall’animo umano, di superare i limiti dello spazio e del tempo e creare una continuità tra chiudendo. La consapevolezza del ruolo nefasto dell’innovazione come valore in sé non
le generazioni proprio attraverso la difesa della bellezza? Ma come può l’arte preservare la può semplicisticamente portare al suo rifiuto e alla valorizzazione della conservazione in
bellezza se le capacità tecniche necessarie a rappresentarla vengono disprezzate e ritenute quanto tale. Il punto di riferimento, a partire dalla valutazione che un’economia fondata
un freno alla capacità creativa? Se si ritengono dannosi e si aboliscono i maestri in grado sulla crescita illimitata della produzione di merci è una distopia e storicamente è arrivata
di trasmetterle? al capolinea, è la valutazione delle scelte in base alla loro capacità di futuro. In questo
contesto non hanno un valore assoluto né l’innovazione né la conservazione, perché
11. Nei consigli d’amministrazione dei musei d’arte moderna e contemporanea siedono i alcune scelte innovative hanno più capacità di futuro rispetto all’esistente e altre ne hanno
più autorevoli rappresentanti del potere politico, economico e finanziario. Che li finanziano meno. In sintonia con questa impostazione culturale, un’arte che si liberi dall’obbligo
abbondantemente, perché nonostante gli enormi mezzi a disposizione, il lodevole dell’innovazione non può sottomettersi all’obbligo di rifiutarla. Un’alternativa di questo
impegno degli staff che li dirigono, il sostegno di critici e storici dell’arte, la copertura genere non esiste. Tuttavia, un’arte che si liberi dall’obbligo dell’innovazione non può
mediatica di cui godono, i proventi dei biglietti che staccano non basterebbero a coprire essere d’avanguardia, perché le avanguardie hanno lo scopo di organizzare gruppi di artisti
neanche i costi di pulizia. Come è possibile che il potere offra un sostegno così decisivo accomunati da un progetto condiviso di carattere innovativo con una precisa volontà di
a un’arte che programmaticamente si propone di combatterlo, di sovvertire i fondamenti
cesura rispetto all’esistente, dove nell’esistente sono compresi anche gli altri movimenti
culturali su cui si sostiene? Anche se si cerca di occultarlo con una cortina fumogena di
d’avanguardia. Ma l’appartenenza a un gruppo che si propone di essere innovativo
parole, il fatto è che l’arte moderna e contemporanea è in realtà un’arte di regime. L’arte
comporta l’adesione a un modello, per di più coerente con i fini dell’economia della crescita,
di regime nell’epoca storica connotata dalla finalizzazione dell’economia alla crescita della
e l’adesione a un modello comporta l’accettazione di un condizionamento esterno e di un
produzione di merci. L’arte che offre al regime la valorizzazione culturale dell’innovazione
vincolo all’autonomia individuale, mentre la ricerca artistica di carattere individuale assume
e del cambiamento di cui il regime ha bisogno per mantenere intatta la propensione degli
necessariamente i connotati dell’irripetibilità e, in quanto tale, è per definizione innovativa
esseri umani a consumare quantità crescenti di merci, la cui appetibilità consiste nel fatto
proprio perché non si propone di esserlo.
di essere nuove indipendentemente dal fatto di essere utili. Se dalle stanze di un museo di
arte moderna e contemporanea si sposta lo sguardo sul paesaggio che si vede dalle loro 14. Una ricerca artistica libera dall’obbligo dell’innovazione, non inseribile nei canoni
finestre, non si può non percepire la sintonia tra le innovazioni introdotte sul territorio dal dell’arte moderna e contemporanea, è un tassello fondamentale nella costruzione di un
fare finalizzato a fare sempre di più e le opere realizzate con lo scopo di essere innovative: paradigma culturale capace di far superare con l’apertura di un fase storica più evoluta

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nella lista delle conquiste sociali e valorizzata come fattore di progresso e liberazione dalla la distruzione della bellezza. Emblematicamente il direttore di un’Accademia di Belle Arti
necessità. Un ruolo non meno determinante in questo processo di svalutazione culturale (per quale pigrizia mentale si continuano a chiamare così queste istituzioni?) scrivendo sul
del saper fare è stato svolto dall’arte moderna e contemporanea che ha considerato come giornale di un grande gruppo industriale ironizzava sui superstiti esemplari di artisti che,
vincoli alla creatività l’apprendistato del mestiere, la conoscenza delle tecniche e dei a causa della loro ottusità mentale, si ostinano a fare ciò che spregiativamente definiva la
materiali, il perfezionamento delle abilità manuali sotto la guida di un maestro. Vincoli bella pittura.
che legano al passato e impediscono di effettuare le cesure necessarie a percorrere senza
12. Quando un’epoca storica si avvia a concludersi, davanti all’umanità si apre un bivio:
condizionamenti strade nuove e inesplorate, le strade del futuro su cui mai nessuno si è
o un regresso verso una fase storica meno evoluta e lo scatenamento di una conflittualità
avventurato, e di cui pertanto non esistono mappe né guide. Da quando l’arte è diventata
generalizzata, come è successo con la caduta dell’impero romano, o l’inizio di una fase
moderna e contemporanea, da quando cioè l’unico criterio di validazione artistica di
storica più evoluta in cui della fase precedente si conservano le conquiste positive e si
un’opera sono diventate le sue caratteristiche innovative, la padronanza tecnica costituisce
superano gli aspetti negativi, come è successo nel passaggio dal Medio-evo al Rinascimento,
una ragione sufficiente d’esclusione perché testimonia un legame col passato e l’adesione a
sia detto senza che ciò suoni come disprezzo per il Medio-evo, né come esaltazione acritica
un sistema di regole codificato. Il saper fare è stato espulso dallo statuto dell’arte moderna
e contemporanea perché è stato considerato la cartina di tornasole dell’antimodernità, lo del Rinascimento. Se si continuerà a pensare che la crisi dell’economia della crescita si
stigma di una concezione artistica vecchia. possa superare tentando di rilanciare la crescita, come sta succedendo, il consumo di risorse
continuerà a intaccare gli stock, le superfici ricoperte da incrostazioni di materiali inorganici
10. Prima che lo scopo dell’economia diventasse la crescita della produzione di merci, continueranno ad estendersi, le sostanze di sintesi chimica ad avvelenare i cicli biochimici,
quando il fare umano non era finalizzato a fare sempre di più, ma a fare bene per i rifiuti occupare estensioni sempre più vaste del globo terracqueo, le disuguaglianze tra
aggiungere bellezza alla bellezza originaria del mondo, il saper fare nell’arte era finalizzato la percentuale ristretta di umanità che si suicida per eccesso di consumi e la percentuale
a preservare la bellezza dalla sua intrinseca caducità. Fissata dall’opera d’arte nel suo priva del necessario per vivere aumenteranno, il denaro continuerà ad essere l’unico valore
massimo splendore, rimaneva al riparo dalle offese che inevitabilmente le infligge lo a cui dedicare la vita, l’occupazione nei paesi industrializzati a diminuire, la conflittualità
scorrere del tempo. Quando il fare è stato finalizzato a fare sempre di più ha cominciato internazionale ad aggravarsi. La crisi è destinata a precipitare nel caos. Se, invece, un
a distruggere sistematicamente la bellezza. Sia la bellezza originaria del mondo, sia la soprassalto dell’istinto di sopravvivenza farà prevalere la scelta di ridurre la produzione e
bellezza aggiunta dal fare bene nel corso dei secoli. Nella finalizzazione del fare al fare il consumo di merci alla capacità fisiologica del pianeta, potrà avviarsi una fase storica più
sempre di più, il mondo è stato ridotto a serbatoio di risorse e discarica di rifiuti. Per avanzata in cui le attività economiche e produttive torneranno ad essere il mezzo utilizzato
ricavare quantità sempre maggiori di risorse si è distrutta senza rimpianti la bellezza di dagli esseri umani per raggiungere il fine di più piena realizzazione delle potenzialità insite
paesaggi naturali o antropizzati. Per trasformarle in quantità sempre maggiori di merci la nella loro natura e gli esseri umani smetteranno di essere i mezzi utilizzati dal sistema
superficie terrestre è stata ricoperta di incrostazioni orripilanti di edifici e d’asfalto, i fiumi economico-produttivo per raggiungere il fine della crescita della produzione di merci.
sono stati trasformati in fogne e riempiti di sostanze velenose, l’aria è stata intossicata di Soltanto un nuovo Rinascimento può consentire di superare la crisi dell’epoca storica
fumi orribili a vedersi e devastanti a respirarsi, sono stati abbattuti boschi secolari. Per avviata dalla rivoluzione industriale con l’apertura di una fase storica più avanzata e non
liberarsi delle quantità sempre maggiori di merci rese vecchie dall’offerta e dall’acquisto con un regresso caratterizzato dalla diffusione di una conflittualità generalizzata.
di merci più nuove, gli oggetti dismessi sono stati accumulati in ammassi sempre più
grandi, orribili a vedersi, maleodoranti, con effetti devastanti sul ciclo dell’acqua. Sarebbe 13. Per quanto radicalmente innovativi siano gli elementi caratterizzanti dell’arte
stato possibile perseguitare la bellezza originaria del mondo e la bellezza aggiunta rinascimentale rispetto all’arte medievale, non hanno rappresentato una cesura nei suoi
dal fare umano quando non era finalizzato a fare sempre di più, ma era un fare bene confronti, ma si sono definiti mediante una serie di spostamenti successivi fino a manifestarsi
finalizzato alla contemplazione, se la bellezza fosse ancora stata considerata un valore come espressione compiuta di una cultura altra solo nella pienezza della maturità.
nell’immaginario collettivo e nel sistema dei valori condivisi? Se l’arte avesse continuato Analogamente una ricerca artistica inserita in un paradigma culturale che si proponga di
a proporsi di difenderla anche dalle cause naturali che ne intaccano l’integrità? Se all’arte riportare gli esseri umani dal ruolo di mezzi della crescita economica a fini delle attività
si fosse continuato a chiedere di esprimere l’esigenza, tanto utopica quanto inalienabile economico-produttive non può respingere in toto la cultura della fase storica che si sta
dall’animo umano, di superare i limiti dello spazio e del tempo e creare una continuità tra chiudendo. La consapevolezza del ruolo nefasto dell’innovazione come valore in sé non
le generazioni proprio attraverso la difesa della bellezza? Ma come può l’arte preservare la può semplicisticamente portare al suo rifiuto e alla valorizzazione della conservazione in
bellezza se le capacità tecniche necessarie a rappresentarla vengono disprezzate e ritenute quanto tale. Il punto di riferimento, a partire dalla valutazione che un’economia fondata
un freno alla capacità creativa? Se si ritengono dannosi e si aboliscono i maestri in grado sulla crescita illimitata della produzione di merci è una distopia e storicamente è arrivata
di trasmetterle? al capolinea, è la valutazione delle scelte in base alla loro capacità di futuro. In questo
contesto non hanno un valore assoluto né l’innovazione né la conservazione, perché
11. Nei consigli d’amministrazione dei musei d’arte moderna e contemporanea siedono i alcune scelte innovative hanno più capacità di futuro rispetto all’esistente e altre ne hanno
più autorevoli rappresentanti del potere politico, economico e finanziario. Che li finanziano meno. In sintonia con questa impostazione culturale, un’arte che si liberi dall’obbligo
abbondantemente, perché nonostante gli enormi mezzi a disposizione, il lodevole dell’innovazione non può sottomettersi all’obbligo di rifiutarla. Un’alternativa di questo
impegno degli staff che li dirigono, il sostegno di critici e storici dell’arte, la copertura genere non esiste. Tuttavia, un’arte che si liberi dall’obbligo dell’innovazione non può
mediatica di cui godono, i proventi dei biglietti che staccano non basterebbero a coprire essere d’avanguardia, perché le avanguardie hanno lo scopo di organizzare gruppi di artisti
neanche i costi di pulizia. Come è possibile che il potere offra un sostegno così decisivo accomunati da un progetto condiviso di carattere innovativo con una precisa volontà di
a un’arte che programmaticamente si propone di combatterlo, di sovvertire i fondamenti
cesura rispetto all’esistente, dove nell’esistente sono compresi anche gli altri movimenti
culturali su cui si sostiene? Anche se si cerca di occultarlo con una cortina fumogena di
d’avanguardia. Ma l’appartenenza a un gruppo che si propone di essere innovativo
parole, il fatto è che l’arte moderna e contemporanea è in realtà un’arte di regime. L’arte
comporta l’adesione a un modello, per di più coerente con i fini dell’economia della crescita,
di regime nell’epoca storica connotata dalla finalizzazione dell’economia alla crescita della
e l’adesione a un modello comporta l’accettazione di un condizionamento esterno e di un
produzione di merci. L’arte che offre al regime la valorizzazione culturale dell’innovazione
vincolo all’autonomia individuale, mentre la ricerca artistica di carattere individuale assume
e del cambiamento di cui il regime ha bisogno per mantenere intatta la propensione degli
necessariamente i connotati dell’irripetibilità e, in quanto tale, è per definizione innovativa
esseri umani a consumare quantità crescenti di merci, la cui appetibilità consiste nel fatto
proprio perché non si propone di esserlo.
di essere nuove indipendentemente dal fatto di essere utili. Se dalle stanze di un museo di
arte moderna e contemporanea si sposta lo sguardo sul paesaggio che si vede dalle loro 14. Una ricerca artistica libera dall’obbligo dell’innovazione, non inseribile nei canoni
finestre, non si può non percepire la sintonia tra le innovazioni introdotte sul territorio dal dell’arte moderna e contemporanea, è un tassello fondamentale nella costruzione di un
fare finalizzato a fare sempre di più e le opere realizzate con lo scopo di essere innovative: paradigma culturale capace di far superare con l’apertura di un fase storica più evoluta

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il tornante della storia che l’umanità si trova di fronte. Se nella definizione di questo 3 abilità manuali, la conoscenza dei materiali e delle loro potenzialità, la padronanza delle
paradigma culturale la scienza e la tecnologia hanno il compito di indirizzare la ricerca Tommaso Anzoino, Pier Paolo tecniche e del mestiere, è il carattere distintivo della specie umana rispetto a tutte le altre
Pasolini, Il Castoro, n. 51,
al superamento del fare finalizzato al fare sempre di più e alla sua evoluzione in un fare specie viventi. D’altra parte, solo la consapevolezza di quanto si sa fare con le proprie
dicembre 1975.
connotato qualitativamente, in un fare bene che consenta di migliorare il mondo mentre se abilità manuali, abbinata alla conoscenza di quanto consentono di fare i materiali che si
ne utilizzano le risorse per migliorare la qualità della vita, il compito dell’arte è reinserire manipolano e gli strumenti con cui si manipolano, permettono di concepire un progetto
nell’immaginario collettivo il valore della bellezza come fine del fare bene. La difesa della e di tradurlo in una realizzazione. Più raffinate sono le abilità manuali, più approfondita
bellezza originaria del mondo dai guasti che può arrecarle un’umanità convinta di esserne è la conoscenza delle potenzialità dei materiali e degli strumenti con cui si lavorano, più
la padrona autorizzata a sfruttarne le risorse e a utilizzare per i suoi scopi tutte le altre complessi e articolati sono i progetti che si possono concepire. La capacità di modellare la
specie viventi senza altri limiti se non quelli posti dalla potenza tecnologica raggiunta, e materia mediante le abilità manuali è il tramite tra il dentro e il fuori di sé, tra la potenzialità
la valorizzazione della bellezza che può aggiungere al mondo un’umanità consapevole dei e l’attuazione. Si può pensare di fare solo ciò che si sa di poter fare. Il saper fare non è
legami vitali che la inseriscono nel contesto della biosfera insieme a tutte le altre specie soltanto il mezzo per attuare ciò che si progetta, ma costituisce anche la misura di ciò
viventi con la specifica capacità di poterla parzialmente, ma sostanzialmente, modificare in che si può pensare e progettare. Il collegamento biunivoco tra il saper fare guidato dalla
meglio o in peggio. Il contributo che, mediante la difesa e la valorizzazione della bellezza progettazione e la capacità di progettare guidata dalla consapevolezza di ciò che si sa fare,
nell’immaginario collettivo, l’arte può dare alla definizione di un paradigma culturale capace consente di realizzare al massimo grado la natura specifica della specie umana tra tutte le
di arrestare la deriva in cui l’umanità è stata trascinata dalla finalizzazione dell’economia alla specie animali. Solo la capacità di progettare in base a quanto si sa fare e di fare ciò che
crescita della produzione di merci, è un compito entusiasmante anche se non facile, perché si progetta consente agli esseri umani di liberarsi dalla sottomissione totale alla natura
occorre ricostruire dalle macerie accumulate in un secolo di distruzioni, di demolizione e di esprimere le loro potenzialità creative. A far credere che il saper fare e la manualità
culturale del saper fare, di semplificazioni, di banalizzazioni, di ideologie spacciate per rientrassero in una sfera inferiore dell’agire umano è stata la necessità di aumentare la
idee, di marketing spregiudicato spacciato per critica artistica e storia dell’arte, di fatue dipendenza di un numero crescente di persone dall’acquisto di merci, perché chi non sa
valorizzazioni verbali del nulla, di arroganza nella gestione del potere. Ma un secolo, in fin fare nulla deve comprare tutto ciò che gli serve per vivere e, quindi, è più funzionale
dei conti, è un attimo nella storia millenaria dell’umanità e della ricerca artistica. a un sistema fondato sulla crescita della produzione di merci di chi sa fare e non deve
comprare ciò che sa fare. È stata l’esigenza di rappresentare nell’immaginario collettivo
15. Le fondamenta di questa ricostruzione non potranno che poggiare su un solido legame un impoverimento culturale come una conquista di libertà, a decretare l’ostracismo delle
col passato. «(…) non c’è progresso – sosteneva Pier Paolo Paolini pochi mesi prima di conoscenze tecniche e dell’apprendistato, la loro damnatio nominis e la loro damnatio
essere assassinato, ma questa è la cifra di tutta la sua ricerca esistenziale – senza profondi memoriae nell’ambito dell’arte moderna e contemporanea.
recuperi nel passato, senza mortali nostalgie per le condizioni di vita anteriori: dove si
era comunque realizzato l’uomo spendendovi interamente quella cosa sacra che è la 18. Come si potrà recuperare nell’immaginario collettivo il valore della bellezza se non
vita del corpo». E aggiungeva: «Un tecnico americano e una guardia rossa disprezzano lo riproporrà la ricerca artistica? E se non lo farà, come si potrà rifiutare che la bellezza
venga distrutta in nome del profitto, che, col consenso generalizzato, in nome della
analogamente (sia pure per ragioni del tutto diverse) la necessità di questi recuperi, e si
modernità e del progresso una chiesetta medievale venga abbattuta per costruire un
pongono con spirito analogamente sacrilego di fronte al passato»3. Gli artisti moderni
centro commerciale, una collina boscosa sia trasformata in un agglomerato di villette
e contemporanei hanno contribuito per più di un secolo a fornire una presunta dignità
a schiera, un sentiero campestre diventi una strada di scorrimento, le acque limpide di
culturale a questi atteggiamenti. Gli artisti che contribuiranno a definire un paradigma
un fiume che scorre tra due filari di alberi siano trasformate in una discarica di rifiuti
culturale in grado di riaprire una prospettiva di futuro per l’umanità troveranno nella loro
tossici, un villaggio di pescatori circondato dalla macchia mediterranea venga cancellato
nostalgia per il passato la forza necessaria a recuperare quanto di vitale ancora contengono
per costruire una barriera di condomini lungo la costa, la biodiversità di un’area agricola
i suoi lasciti scampati al disprezzo dei tecnici, dei politici progressisti di tutti i colori e degli
scandita da campi coltivati per autoconsumo sia fagocitata da un quartiere periferico o
artisti moderni e contemporanei.
da una distesa di pannelli fotovoltaici? Come si potrà provare nostalgia per le condizioni
16. Per dare una connotazione qualitativa al fare, per fare bene, e per consentire alle cose di vita che si svolgevano in quei luoghi se l’arte non effettuerà profondi recuperi del
fatte bene di superare i limiti dello spazio e del tempo, occorre saper fare. L’arte moderna passato per far riaffiorare dalle macerie la loro bellezza originaria e la bellezza che vi aveva
e contemporanea ha disprezzato e ridicolizzato la dimensione artigianale, la paziente e aggiunto il lavoro umano finalizzato a fare bene? Se invece l’arte continuerà a valorizzare
tenace acquisizione del mestiere, in nome di una presunta libertà creativa che ne verrebbe nell’immaginario collettivo l’innovazione e la cesura col passato, il fare finalizzato a fare
ostacolata. Il disprezzo delle abilità manuali guidate dalla progettualità, non solo ha aperto lo sempre di più continuerà a ricevere un consenso sociale generalizzato e in nome della
spazio al dilettantismo, alle stravaganze e alle banalità, ma ha consentito ai critici inseriti nel modernità e del progresso si continuerà a ritenere che la distruzione di quanto è stato
sistema di potere che governa le istituzioni dell’arte moderna e contemporanea di effettuare fatto sia la premessa necessaria per fare qualcosa di meglio, che per creare occorra prima
valutazioni soggettive, prive di qualsiasi possibilità di riscontro con parametri condivisi, ma distruggere, che, anzi, la distruzione sia già di per sé un’operazione creativa, come è stato
funzionali alla valorizzazione economica degli investimenti in opere di artisti inseriti nella teorizzato da Joseph Schumpeter, uno dei più autorevoli economisti del novecento. Una
categoria degli emergenti. Acquistare le opere di artisti già emersi dal magma indistinto sintonia totale connette in un paradigma culturale omogeneo l’innovazione e la cesura col
degli innovatori, grazie alla valorizzazione effettuata da critici accreditati dal sistema di passato come criteri di validazione artistica con la distruzione creatrice come obbiettivo
potere, e ormai quotati sul mercato, non remunera il capitale investito nella stessa misura in economico e tecnologico fondante di un sistema finalizzato alla crescita della produzione
cui lo remunera l’acquisto delle opere di artisti emergenti, che cioè sono stati garantiti dai di merci. Una ricerca artistica libera dai vincoli dell’arte moderna e contemporanea, capace
critici ma non ancora valorizzati appieno dal mercato, per cui le loro quotazioni non hanno di riportare la bellezza al centro del sistema dei valori condivisi e di rivalutare il saper
ancora raggiunto il valore degli artisti emersi, ma lo raggiungeranno. Comprare le opere fare guidato dall’intelligenza progettuale come massima realizzazione delle potenzialità
di artisti emergenti significa ottenere un’ottima plusvalenza quando saranno emersi. Nel insite nella specie umana, può dare un contributo decisivo alla formazione di un diverso
passaggio dal participio presente al participio passato del verbo emergere, l’arte moderna paradigma culturale che scalzi via la centralità assunta dal fare finalizzato a fare sempre
e contemporanea passa dal ruolo di strumento della valorizzazione culturale del nuovo di più e riporti al suo posto, come è sempre stato nella storia dell’umanità prima della
di cui il sistema economico fondato sulla crescita della produzione di merci ha bisogno rivoluzione industriale, il fare bene finalizzato alla contemplazione di ciò che si è fatto,
per continuare a far crescere il consumo di merci, a un inserimento diretto nella dinamica della bellezza che col proprio fare bene ogni generazione ha aggiunto e può continuare ad
mercantile della crescita: l’offerta dei prodotti nuovi degli artisti emergenti è indispensabile aggiungere alla bellezza originaria del mondo.
per mantenere intatta la domanda in questo settore merceologico.
17. La dimensione artigianale, ovvero la capacità di realizzare un progetto mediante le

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il tornante della storia che l’umanità si trova di fronte. Se nella definizione di questo 3 abilità manuali, la conoscenza dei materiali e delle loro potenzialità, la padronanza delle
paradigma culturale la scienza e la tecnologia hanno il compito di indirizzare la ricerca Tommaso Anzoino, Pier Paolo tecniche e del mestiere, è il carattere distintivo della specie umana rispetto a tutte le altre
Pasolini, Il Castoro, n. 51,
al superamento del fare finalizzato al fare sempre di più e alla sua evoluzione in un fare specie viventi. D’altra parte, solo la consapevolezza di quanto si sa fare con le proprie
dicembre 1975.
connotato qualitativamente, in un fare bene che consenta di migliorare il mondo mentre se abilità manuali, abbinata alla conoscenza di quanto consentono di fare i materiali che si
ne utilizzano le risorse per migliorare la qualità della vita, il compito dell’arte è reinserire manipolano e gli strumenti con cui si manipolano, permettono di concepire un progetto
nell’immaginario collettivo il valore della bellezza come fine del fare bene. La difesa della e di tradurlo in una realizzazione. Più raffinate sono le abilità manuali, più approfondita
bellezza originaria del mondo dai guasti che può arrecarle un’umanità convinta di esserne è la conoscenza delle potenzialità dei materiali e degli strumenti con cui si lavorano, più
la padrona autorizzata a sfruttarne le risorse e a utilizzare per i suoi scopi tutte le altre complessi e articolati sono i progetti che si possono concepire. La capacità di modellare la
specie viventi senza altri limiti se non quelli posti dalla potenza tecnologica raggiunta, e materia mediante le abilità manuali è il tramite tra il dentro e il fuori di sé, tra la potenzialità
la valorizzazione della bellezza che può aggiungere al mondo un’umanità consapevole dei e l’attuazione. Si può pensare di fare solo ciò che si sa di poter fare. Il saper fare non è
legami vitali che la inseriscono nel contesto della biosfera insieme a tutte le altre specie soltanto il mezzo per attuare ciò che si progetta, ma costituisce anche la misura di ciò
viventi con la specifica capacità di poterla parzialmente, ma sostanzialmente, modificare in che si può pensare e progettare. Il collegamento biunivoco tra il saper fare guidato dalla
meglio o in peggio. Il contributo che, mediante la difesa e la valorizzazione della bellezza progettazione e la capacità di progettare guidata dalla consapevolezza di ciò che si sa fare,
nell’immaginario collettivo, l’arte può dare alla definizione di un paradigma culturale capace consente di realizzare al massimo grado la natura specifica della specie umana tra tutte le
di arrestare la deriva in cui l’umanità è stata trascinata dalla finalizzazione dell’economia alla specie animali. Solo la capacità di progettare in base a quanto si sa fare e di fare ciò che
crescita della produzione di merci, è un compito entusiasmante anche se non facile, perché si progetta consente agli esseri umani di liberarsi dalla sottomissione totale alla natura
occorre ricostruire dalle macerie accumulate in un secolo di distruzioni, di demolizione e di esprimere le loro potenzialità creative. A far credere che il saper fare e la manualità
culturale del saper fare, di semplificazioni, di banalizzazioni, di ideologie spacciate per rientrassero in una sfera inferiore dell’agire umano è stata la necessità di aumentare la
idee, di marketing spregiudicato spacciato per critica artistica e storia dell’arte, di fatue dipendenza di un numero crescente di persone dall’acquisto di merci, perché chi non sa
valorizzazioni verbali del nulla, di arroganza nella gestione del potere. Ma un secolo, in fin fare nulla deve comprare tutto ciò che gli serve per vivere e, quindi, è più funzionale
dei conti, è un attimo nella storia millenaria dell’umanità e della ricerca artistica. a un sistema fondato sulla crescita della produzione di merci di chi sa fare e non deve
comprare ciò che sa fare. È stata l’esigenza di rappresentare nell’immaginario collettivo
15. Le fondamenta di questa ricostruzione non potranno che poggiare su un solido legame un impoverimento culturale come una conquista di libertà, a decretare l’ostracismo delle
col passato. «(…) non c’è progresso – sosteneva Pier Paolo Paolini pochi mesi prima di conoscenze tecniche e dell’apprendistato, la loro damnatio nominis e la loro damnatio
essere assassinato, ma questa è la cifra di tutta la sua ricerca esistenziale – senza profondi memoriae nell’ambito dell’arte moderna e contemporanea.
recuperi nel passato, senza mortali nostalgie per le condizioni di vita anteriori: dove si
era comunque realizzato l’uomo spendendovi interamente quella cosa sacra che è la 18. Come si potrà recuperare nell’immaginario collettivo il valore della bellezza se non
vita del corpo». E aggiungeva: «Un tecnico americano e una guardia rossa disprezzano lo riproporrà la ricerca artistica? E se non lo farà, come si potrà rifiutare che la bellezza
venga distrutta in nome del profitto, che, col consenso generalizzato, in nome della
analogamente (sia pure per ragioni del tutto diverse) la necessità di questi recuperi, e si
modernità e del progresso una chiesetta medievale venga abbattuta per costruire un
pongono con spirito analogamente sacrilego di fronte al passato»3. Gli artisti moderni
centro commerciale, una collina boscosa sia trasformata in un agglomerato di villette
e contemporanei hanno contribuito per più di un secolo a fornire una presunta dignità
a schiera, un sentiero campestre diventi una strada di scorrimento, le acque limpide di
culturale a questi atteggiamenti. Gli artisti che contribuiranno a definire un paradigma
un fiume che scorre tra due filari di alberi siano trasformate in una discarica di rifiuti
culturale in grado di riaprire una prospettiva di futuro per l’umanità troveranno nella loro
tossici, un villaggio di pescatori circondato dalla macchia mediterranea venga cancellato
nostalgia per il passato la forza necessaria a recuperare quanto di vitale ancora contengono
per costruire una barriera di condomini lungo la costa, la biodiversità di un’area agricola
i suoi lasciti scampati al disprezzo dei tecnici, dei politici progressisti di tutti i colori e degli
scandita da campi coltivati per autoconsumo sia fagocitata da un quartiere periferico o
artisti moderni e contemporanei.
da una distesa di pannelli fotovoltaici? Come si potrà provare nostalgia per le condizioni
16. Per dare una connotazione qualitativa al fare, per fare bene, e per consentire alle cose di vita che si svolgevano in quei luoghi se l’arte non effettuerà profondi recuperi del
fatte bene di superare i limiti dello spazio e del tempo, occorre saper fare. L’arte moderna passato per far riaffiorare dalle macerie la loro bellezza originaria e la bellezza che vi aveva
e contemporanea ha disprezzato e ridicolizzato la dimensione artigianale, la paziente e aggiunto il lavoro umano finalizzato a fare bene? Se invece l’arte continuerà a valorizzare
tenace acquisizione del mestiere, in nome di una presunta libertà creativa che ne verrebbe nell’immaginario collettivo l’innovazione e la cesura col passato, il fare finalizzato a fare
ostacolata. Il disprezzo delle abilità manuali guidate dalla progettualità, non solo ha aperto lo sempre di più continuerà a ricevere un consenso sociale generalizzato e in nome della
spazio al dilettantismo, alle stravaganze e alle banalità, ma ha consentito ai critici inseriti nel modernità e del progresso si continuerà a ritenere che la distruzione di quanto è stato
sistema di potere che governa le istituzioni dell’arte moderna e contemporanea di effettuare fatto sia la premessa necessaria per fare qualcosa di meglio, che per creare occorra prima
valutazioni soggettive, prive di qualsiasi possibilità di riscontro con parametri condivisi, ma distruggere, che, anzi, la distruzione sia già di per sé un’operazione creativa, come è stato
funzionali alla valorizzazione economica degli investimenti in opere di artisti inseriti nella teorizzato da Joseph Schumpeter, uno dei più autorevoli economisti del novecento. Una
categoria degli emergenti. Acquistare le opere di artisti già emersi dal magma indistinto sintonia totale connette in un paradigma culturale omogeneo l’innovazione e la cesura col
degli innovatori, grazie alla valorizzazione effettuata da critici accreditati dal sistema di passato come criteri di validazione artistica con la distruzione creatrice come obbiettivo
potere, e ormai quotati sul mercato, non remunera il capitale investito nella stessa misura in economico e tecnologico fondante di un sistema finalizzato alla crescita della produzione
cui lo remunera l’acquisto delle opere di artisti emergenti, che cioè sono stati garantiti dai di merci. Una ricerca artistica libera dai vincoli dell’arte moderna e contemporanea, capace
critici ma non ancora valorizzati appieno dal mercato, per cui le loro quotazioni non hanno di riportare la bellezza al centro del sistema dei valori condivisi e di rivalutare il saper
ancora raggiunto il valore degli artisti emersi, ma lo raggiungeranno. Comprare le opere fare guidato dall’intelligenza progettuale come massima realizzazione delle potenzialità
di artisti emergenti significa ottenere un’ottima plusvalenza quando saranno emersi. Nel insite nella specie umana, può dare un contributo decisivo alla formazione di un diverso
passaggio dal participio presente al participio passato del verbo emergere, l’arte moderna paradigma culturale che scalzi via la centralità assunta dal fare finalizzato a fare sempre
e contemporanea passa dal ruolo di strumento della valorizzazione culturale del nuovo di più e riporti al suo posto, come è sempre stato nella storia dell’umanità prima della
di cui il sistema economico fondato sulla crescita della produzione di merci ha bisogno rivoluzione industriale, il fare bene finalizzato alla contemplazione di ciò che si è fatto,
per continuare a far crescere il consumo di merci, a un inserimento diretto nella dinamica della bellezza che col proprio fare bene ogni generazione ha aggiunto e può continuare ad
mercantile della crescita: l’offerta dei prodotti nuovi degli artisti emergenti è indispensabile aggiungere alla bellezza originaria del mondo.
per mantenere intatta la domanda in questo settore merceologico.
17. La dimensione artigianale, ovvero la capacità di realizzare un progetto mediante le

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Tre paradigmi che risulta dall’interazione tra di essi si rende evidente elencando alcune definizioni o alcune
aggettivazioni programmatiche che si possono proporre per la città degli ultimi anni. Esse
sono la città del consumo, la città dell’immagine, la città creativa, la città generica, la città dei
flussi e delle reti, la città delle infrastrutture, la città come effetto secondario del digitale, la
Franco Purini città multiculturale, la città dell’arte, la città partecipata, la città rigenerata, la città giusta, la
città pubblica, la città-campagna, la città di frammenti, la città per parti, la città intelligente o
smart city. Si tratta in realtà della presenza di una serie di caratteri contraddittori compresenti
in un’unica città, che per questo motivo sarebbe meglio pensare come tante città in una. In
questa città vive peraltro, da qualche tempo, una divisione sempre più forte tra la democrazia
Prima di esporre alcune considerazioni sulla città occorre chiarire che la conoscenza che si rappresentativa, che si era formata tra il Settecento e l’Ottocento, e la democrazia diretta come
può avere di essa è sempre parziale, provvisoria e tendenziosa. È parziale perché, anche se espressione della rete. Si tratta di un’opposizione che sta rinominando lo spazio pubblico
è possibile pensare la città come una totalità, la cui espressione simbolica è la forma urbis sottraendolo alla sua più recente espressione, quella che lo ha visto come un prolungamento
intesa in tutte le sue espressioni, comprese quelle che segnano il declino di questa nozione, dello spazio del consumo. Ciò che è avvenuto al Cairo o a Istanbul è una conseguenza di
la sua conoscenza, data la vastità e la complessità di ogni insediamento urbano, non può che questa condizione, che produce nuove forme di conflitto. In effetti per un verso Internet ha
configurarsi come un insieme di frammenti riguardanti dati storici, aspetti strutturali, valori come esito una nuova socialità che si riconosce nell’immaterialità digitale, quasi replicando
relativi all’ambiente e al patrimonio architettonico. Tale conoscenza è poi provvisoria perché la città fisica nel dominio dell’immateriale, per l’altro tale virtualità si rovescia nello spazio
i processi vitali della città si susseguono con una sempre maggiore velocità. Ciò fa sì che i reale risignificandolo attraverso contenuti nuovi e per ora fortemente ambigui.
saperi concernenti gli insediamenti urbani assumono un carattere temporaneo, in quanto le
dinamiche evolutive della città non consentono la formazione di un sistema di conoscenze La sovrabbondanza di senso o, se si preferisce l’eccesso di interpretazioni e di intenzioni
stabili. La stessa storia degli insediamenti urbani è costantemente oggetto di riformulazioni. modificatrici che questo elenco di definizioni tematiche mostra con una indiscutibile evidenza,
Cambiando costantemente le loro condizioni della città nel presente, ma anche l’idea del suo si pone come un ostacolo ulteriore alla comprensione della città. Una comprensione, occorre
passato e il pensiero del suo futuro ogni ricostruzione delle sue vicende subisce una serie di ricordare, fortemente limitata per le ragioni esposte nella premessa. Questa difficoltà si fa
torsioni tematiche oltre ad accelerazioni o rallentamenti nella rappresentazione delle varie ancora più consistente per un altro motivo. È diffusa tra gli architetti e gli urbanisti, ma
fasi evolutive che la città stessa ha vissuto. Tutto ciò modifica il senso stesso della narrazione anche tra i non addetti ai lavori, l’idea che sia possibile comprendere i tempi della città in
storiografica. Infine la conoscenza della città non può non essere di parte perché l’oggettività una loro lettura simultanea. In altre parole si ritiene che i ritmi vitali di un insediamento
non esiste, se esistesse, non sarebbe operante. Senza una visione orientata del mondo non urbano siano avvertiti e decifrati mentre sono in atto. Bisogna invece rendersi conto che tra
può infatti darsi alcuna interpretazione significativa della realtà, compresa quella della città. la vita della città e la presa d’atto di tale vita esiste uno scarto temporale, un differimento
È forse superfluo chiarire che quanto esposto finora intende contrastare l’idea, molto diffusa diacronico il quale fa si che tra la processualità urbana a la sua consapevole acquisizione
tra gli architetti e gli urbanisti che, attraverso analisi sofisticate sulla formazione dei tracciati si interponga una fase analitica. Si tratta di un intervallo critico il quale, mentre consente
e dei tessuti, sulla stratificazione edilizia, sulla mobilità e su altri suoi aspetti primari sia di leggere in modo relativamente attendibile i tempi della città, li distanzia rendendoli al
possibile possedere la città in tutti i suoi ambiti conoscitivi e con l’aiuto della sociologia, contempo più generali e astratti. C’è poi da tenere presente la complessa intersezione tra
dell’antropologia, dell’economia, delle discipline giuridiche. Occorre pertanto convincersi il tempo individuale di chi vive la città e il tempo della città stessa, un tempo collettivo ma
che i saperi relativi, transitori e orientati di cui si può disporre realmente, possono comunque anche espresso autonomamente dalla struttura urbana. Ciò vale anche per il rapporto tra la
aprire spazi teorici e operativi sulla città non marginali e duraturi. memoria del singolo abitante della città e quella che l’insediamento urbano possiede di sé.

La “fine del sociale”, di cui ha parlato Alain Touraine, il quale ha anche affermato che l’età La situazione attuale della città è il frutto dell’interazione di tre paradigmi. Il primo è il
attuale è quella di un paradossale “individualismo di massa”, ovvero uno “spazio totale dei paradigma paesaggistico. L’idea di paesaggio si è configurata negli ultimi anni come una
diritti” ai quali non sembrano però corrispondere i necessari meccanismi compensatori, nozione totalizzante che si è sovrapposta a quella di territorio, di città e di architettura. Le
ovvero momenti necessari di ricomposizione di classi e ceti, al contrario sempre più ragioni di questa assolutizzazione sono molte e molto diverse tra di loro. È impossibile in
frammentati e isolati, fa oggi della metropoli, assieme ad altri fattori, l’ambito di una questa sede riassumerle e argomentarle. Si può solo dire che essa finisce con il produrre una
molteplicità di fenomeni, a volte contraddittori. Fenomeni inseriti, oltre che nella “liquidità” sorta di derealizzazione dei contesti fisici a favore di una loro idealizzazione sovrastorica
baumaniana, in un consumo sempre più pervasivo e velocizzato come conseguenza di e apolitica. Il paesaggio trascende infatti ogni conflitto ponendosi come un’entità astratta,
uno sviluppo che si vuole in perenne crescita e in una sfera progressivamente crescente di esito di un sostanziale tentativo di evitare le contraddizioni tra località e globalità. La
segnali mediatici che non è più possibile controllare. Parallelamente si fanno più determinati Convenzione Europea del Paesaggio è da questo punto di vista il possibile esito di un vuoto
sia la tendenza opposta verso la “decrescita” teorizzata da Serge Latouche, nella quale nell’architettura istituzionale dell’Unione Europea la quale, non riuscendo a superare la sua
un anticapitalismo di fondo si affianca a volontà riformistiche nei confronti dello stesso articolazione in stati nazionali che la compongono per essere veramente tale, si è data una
capitalismo, sia l’ipotesi di Jeremy Rifkin di una gestione dal basso e non più centralizzata sorta di un ipotetico terreno comune ideale e idealizzato, una rappresentazione sostitutiva
di un’unità non ancora veramente realizzata. Il secondo paradigma è quello ecologico. La
dell’energia, un’idea che cambierebbe notevolmente la struttura fisica della città. Il tutto in
città rifiuta la sua iniziale contrapposizione alla natura, la sua essenza artificiale, cercando
quella vera e propria riduzione al presente che finisce con l’azzerare completamente il passato
di proporsi come una conseguenza della natura stessa. Su questo cambiamento di mentalità,
e il futuro. Questa cancellazione del tempo, a meno della più ristretta contemporaneità, si
nel quale giocano fortemente posizioni sostanzialmente antiumanistiche, si innesta sia la
traduce anche in una diminuzione, se non proprio in una abolizione dello spazio, un’entità
problematica della sostenibilità, ormai divenuta più un luogo comune e uno stile che una
ridotta a un mero simulacro privo di qualsiasi potenzialità che non sia meramente utilitaria.
dimensione veramente operante, sia la volontà di considerare la città come uno strumento
Per contro questo stesso spazio, che Rem Koolhaas considera uno “spazio-spazzatura”, è
gratificante, interattivo e salutista, nel quale l’individuo di massa può trovare risposte di
oggetto di una vera e propria mitologia dell’attraversamento, ovvero una enfasi relativa al
matrice sostanzialmente narcisistica alle sue esigenze funzionali e rappresentative. Risposte
modello del nomadismo, nel quale la linea baudelairiano-benjaminiana si incontra con le
basate su un culto autoreferenziale del corpo, su pratiche performative e su un uso del tempo
suggestioni che emanano dalle derive di matrice situazionista.
libero apparentemente socializzante, in realtà polarizzato sull’appartenenza a un circuito
I fenomeni e gli orientamenti descritti hanno reso negli ultimi anni quanto mai difficile ritenuto elitario, come quello che si è formato negli ultimi due decenni attorno all’arte. Il
alla cultura del progetto individuare strategie incisive e avanzate per il futuro degli terzo paradigma è quello dell’esistente. Dalla teorizzazione gregottiana della “modificazione”
insediamenti urbani, nel momento stesso in cui hanno messo in crisi questa stessa cultura, al “costruire nel costruito”, dalla densificazione al contenimento del consumo di suolo il
obbligandola a rifondarsi e a rimotivarsi dalle sue basi. La molteplicità, di fatto ingestibile primato dell’esistente è divenuto incontestabile. In qualche modo il nuovo può darsi oggi

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Tre paradigmi che risulta dall’interazione tra di essi si rende evidente elencando alcune definizioni o alcune
aggettivazioni programmatiche che si possono proporre per la città degli ultimi anni. Esse
sono la città del consumo, la città dell’immagine, la città creativa, la città generica, la città dei
flussi e delle reti, la città delle infrastrutture, la città come effetto secondario del digitale, la
Franco Purini città multiculturale, la città dell’arte, la città partecipata, la città rigenerata, la città giusta, la
città pubblica, la città-campagna, la città di frammenti, la città per parti, la città intelligente o
smart city. Si tratta in realtà della presenza di una serie di caratteri contraddittori compresenti
in un’unica città, che per questo motivo sarebbe meglio pensare come tante città in una. In
questa città vive peraltro, da qualche tempo, una divisione sempre più forte tra la democrazia
Prima di esporre alcune considerazioni sulla città occorre chiarire che la conoscenza che si rappresentativa, che si era formata tra il Settecento e l’Ottocento, e la democrazia diretta come
può avere di essa è sempre parziale, provvisoria e tendenziosa. È parziale perché, anche se espressione della rete. Si tratta di un’opposizione che sta rinominando lo spazio pubblico
è possibile pensare la città come una totalità, la cui espressione simbolica è la forma urbis sottraendolo alla sua più recente espressione, quella che lo ha visto come un prolungamento
intesa in tutte le sue espressioni, comprese quelle che segnano il declino di questa nozione, dello spazio del consumo. Ciò che è avvenuto al Cairo o a Istanbul è una conseguenza di
la sua conoscenza, data la vastità e la complessità di ogni insediamento urbano, non può che questa condizione, che produce nuove forme di conflitto. In effetti per un verso Internet ha
configurarsi come un insieme di frammenti riguardanti dati storici, aspetti strutturali, valori come esito una nuova socialità che si riconosce nell’immaterialità digitale, quasi replicando
relativi all’ambiente e al patrimonio architettonico. Tale conoscenza è poi provvisoria perché la città fisica nel dominio dell’immateriale, per l’altro tale virtualità si rovescia nello spazio
i processi vitali della città si susseguono con una sempre maggiore velocità. Ciò fa sì che i reale risignificandolo attraverso contenuti nuovi e per ora fortemente ambigui.
saperi concernenti gli insediamenti urbani assumono un carattere temporaneo, in quanto le
dinamiche evolutive della città non consentono la formazione di un sistema di conoscenze La sovrabbondanza di senso o, se si preferisce l’eccesso di interpretazioni e di intenzioni
stabili. La stessa storia degli insediamenti urbani è costantemente oggetto di riformulazioni. modificatrici che questo elenco di definizioni tematiche mostra con una indiscutibile evidenza,
Cambiando costantemente le loro condizioni della città nel presente, ma anche l’idea del suo si pone come un ostacolo ulteriore alla comprensione della città. Una comprensione, occorre
passato e il pensiero del suo futuro ogni ricostruzione delle sue vicende subisce una serie di ricordare, fortemente limitata per le ragioni esposte nella premessa. Questa difficoltà si fa
torsioni tematiche oltre ad accelerazioni o rallentamenti nella rappresentazione delle varie ancora più consistente per un altro motivo. È diffusa tra gli architetti e gli urbanisti, ma
fasi evolutive che la città stessa ha vissuto. Tutto ciò modifica il senso stesso della narrazione anche tra i non addetti ai lavori, l’idea che sia possibile comprendere i tempi della città in
storiografica. Infine la conoscenza della città non può non essere di parte perché l’oggettività una loro lettura simultanea. In altre parole si ritiene che i ritmi vitali di un insediamento
non esiste, se esistesse, non sarebbe operante. Senza una visione orientata del mondo non urbano siano avvertiti e decifrati mentre sono in atto. Bisogna invece rendersi conto che tra
può infatti darsi alcuna interpretazione significativa della realtà, compresa quella della città. la vita della città e la presa d’atto di tale vita esiste uno scarto temporale, un differimento
È forse superfluo chiarire che quanto esposto finora intende contrastare l’idea, molto diffusa diacronico il quale fa si che tra la processualità urbana a la sua consapevole acquisizione
tra gli architetti e gli urbanisti che, attraverso analisi sofisticate sulla formazione dei tracciati si interponga una fase analitica. Si tratta di un intervallo critico il quale, mentre consente
e dei tessuti, sulla stratificazione edilizia, sulla mobilità e su altri suoi aspetti primari sia di leggere in modo relativamente attendibile i tempi della città, li distanzia rendendoli al
possibile possedere la città in tutti i suoi ambiti conoscitivi e con l’aiuto della sociologia, contempo più generali e astratti. C’è poi da tenere presente la complessa intersezione tra
dell’antropologia, dell’economia, delle discipline giuridiche. Occorre pertanto convincersi il tempo individuale di chi vive la città e il tempo della città stessa, un tempo collettivo ma
che i saperi relativi, transitori e orientati di cui si può disporre realmente, possono comunque anche espresso autonomamente dalla struttura urbana. Ciò vale anche per il rapporto tra la
aprire spazi teorici e operativi sulla città non marginali e duraturi. memoria del singolo abitante della città e quella che l’insediamento urbano possiede di sé.

La “fine del sociale”, di cui ha parlato Alain Touraine, il quale ha anche affermato che l’età La situazione attuale della città è il frutto dell’interazione di tre paradigmi. Il primo è il
attuale è quella di un paradossale “individualismo di massa”, ovvero uno “spazio totale dei paradigma paesaggistico. L’idea di paesaggio si è configurata negli ultimi anni come una
diritti” ai quali non sembrano però corrispondere i necessari meccanismi compensatori, nozione totalizzante che si è sovrapposta a quella di territorio, di città e di architettura. Le
ovvero momenti necessari di ricomposizione di classi e ceti, al contrario sempre più ragioni di questa assolutizzazione sono molte e molto diverse tra di loro. È impossibile in
frammentati e isolati, fa oggi della metropoli, assieme ad altri fattori, l’ambito di una questa sede riassumerle e argomentarle. Si può solo dire che essa finisce con il produrre una
molteplicità di fenomeni, a volte contraddittori. Fenomeni inseriti, oltre che nella “liquidità” sorta di derealizzazione dei contesti fisici a favore di una loro idealizzazione sovrastorica
baumaniana, in un consumo sempre più pervasivo e velocizzato come conseguenza di e apolitica. Il paesaggio trascende infatti ogni conflitto ponendosi come un’entità astratta,
uno sviluppo che si vuole in perenne crescita e in una sfera progressivamente crescente di esito di un sostanziale tentativo di evitare le contraddizioni tra località e globalità. La
segnali mediatici che non è più possibile controllare. Parallelamente si fanno più determinati Convenzione Europea del Paesaggio è da questo punto di vista il possibile esito di un vuoto
sia la tendenza opposta verso la “decrescita” teorizzata da Serge Latouche, nella quale nell’architettura istituzionale dell’Unione Europea la quale, non riuscendo a superare la sua
un anticapitalismo di fondo si affianca a volontà riformistiche nei confronti dello stesso articolazione in stati nazionali che la compongono per essere veramente tale, si è data una
capitalismo, sia l’ipotesi di Jeremy Rifkin di una gestione dal basso e non più centralizzata sorta di un ipotetico terreno comune ideale e idealizzato, una rappresentazione sostitutiva
di un’unità non ancora veramente realizzata. Il secondo paradigma è quello ecologico. La
dell’energia, un’idea che cambierebbe notevolmente la struttura fisica della città. Il tutto in
città rifiuta la sua iniziale contrapposizione alla natura, la sua essenza artificiale, cercando
quella vera e propria riduzione al presente che finisce con l’azzerare completamente il passato
di proporsi come una conseguenza della natura stessa. Su questo cambiamento di mentalità,
e il futuro. Questa cancellazione del tempo, a meno della più ristretta contemporaneità, si
nel quale giocano fortemente posizioni sostanzialmente antiumanistiche, si innesta sia la
traduce anche in una diminuzione, se non proprio in una abolizione dello spazio, un’entità
problematica della sostenibilità, ormai divenuta più un luogo comune e uno stile che una
ridotta a un mero simulacro privo di qualsiasi potenzialità che non sia meramente utilitaria.
dimensione veramente operante, sia la volontà di considerare la città come uno strumento
Per contro questo stesso spazio, che Rem Koolhaas considera uno “spazio-spazzatura”, è
gratificante, interattivo e salutista, nel quale l’individuo di massa può trovare risposte di
oggetto di una vera e propria mitologia dell’attraversamento, ovvero una enfasi relativa al
matrice sostanzialmente narcisistica alle sue esigenze funzionali e rappresentative. Risposte
modello del nomadismo, nel quale la linea baudelairiano-benjaminiana si incontra con le
basate su un culto autoreferenziale del corpo, su pratiche performative e su un uso del tempo
suggestioni che emanano dalle derive di matrice situazionista.
libero apparentemente socializzante, in realtà polarizzato sull’appartenenza a un circuito
I fenomeni e gli orientamenti descritti hanno reso negli ultimi anni quanto mai difficile ritenuto elitario, come quello che si è formato negli ultimi due decenni attorno all’arte. Il
alla cultura del progetto individuare strategie incisive e avanzate per il futuro degli terzo paradigma è quello dell’esistente. Dalla teorizzazione gregottiana della “modificazione”
insediamenti urbani, nel momento stesso in cui hanno messo in crisi questa stessa cultura, al “costruire nel costruito”, dalla densificazione al contenimento del consumo di suolo il
obbligandola a rifondarsi e a rimotivarsi dalle sue basi. La molteplicità, di fatto ingestibile primato dell’esistente è divenuto incontestabile. In qualche modo il nuovo può darsi oggi

96 97
451 parole

Andrea Segrè

Per gentile concessione Bene


dell’Autore, le “parole”
selezionate sono tratte da Bene... un bene o “il” bene? Comunemente inteso come buono, come qualcosa che ci rende
quanto pubblicato sul sito felici, che si desidera, dice il dizionario etimologico, in quanto è conveniente alla natura
www.451online.it. umana e che, posseduto, rende tranquilli e felici. Non a caso infatti – si dice – ci “rifugiamo
nei beni”, la casa per esempio, che ci avvolgono quotidianamente dandoci sicurezza e
protezione, quasi un calore che diventa umano. Un mondo di beni, un mondo, come scrive
F. Purini, Studi per la città Husserl, che mi è costantemente “alla mano” ed io stesso sono un suo membro. Un mondo
cinese Ling Gang_Tianjin, che appare nella sua immediatezza, la “tavola con i suoi libri”, il “bicchiere”, “il vaso”… e
2010. che in qualche modo ci rassicurano, potremmo aggiungere1.
solo come effetto di un intervento su ciò che è già presente nel territorio e nella città. Questo
orientamento finisce con il produrre una sorta di determinismo urbano e architettonico, per Ma per “bene”, secondo la classica definizione economica, si intende un oggetto disponibile
il quale si costruisce solo dove c’è già qualcosa. Questa strategia non produce sempre scelte in quantità limitata, come sono ad esempio i beni di consumo. Una concezione platonica
conformi alle esigenze della città, la quale non può evolvere esclusivamente sulle proprie relativistica, utilitaristica e antropocentrica del bene, che consiste nel ridurre il “bene” a ciò
tracce, in una sorta di costante ricalcolo della sua storia insediativa, ma rispetto a tale storia che è utile e vantaggioso. Ma se l’economia è servita, in principio, a colmare l’insufficienza di
deve trovare momenti di discontinuità che ne accrescano la complessità e la stratificazione. cibo, di acqua, di vestiti, di merci e di cose utili, adesso si è andati oltre, arrivando velocemente
al troppo, al di più, all’inutile grazie alla persistente applicazione del principio di efficienza
Come conclusione parziale di queste brevi note si può affermare con un certo grado di allocativa e produttiva. Orientando cioè le proprie scelte in modo da massimizzare le risorse
attendibilità che la città attuale non possiede più né uno statuto prevalente né una vera e a disposizione del sistema. Ma ciò non ha funzionato del tutto. È un male, invece che bene.
riconoscibile dimensione collettiva. È una città che agisce in modo tribale, specializzandosi
per rispondere a esigenze di gruppi ristretti o per erogare servizi di natura utilitaria. Il suo Proviamo a cambiare prospettiva, assumendo come principio il bene sì come cosa materiale,
essere un testo complesso, insondabile nei suoi significati come un romanzo, il suo dovere ma anche ciò che l’essere umano può mettere in atto nel suo comportamento concreto. Un
essere bella non sono più ritenuti valori consustanziali alla sua realtà, ma qualcosa che forse aiuto ci viene da Alain Caillé quando scrive: “che i beni e i servizi valgono anche, e talvolta
le apparteneva una volta, ma che oggi non ha più alcun senso. La città come luogo di quelle in maniera preponderante, in funzione della loro capacità di creare e riprodurre relazioni
infinite narrazioni, alcune delle quali, nel caso di Londra, sono state poeticamente, ma anche sociali [… e] che il legame è più importante del bene”2. In questo senso possiamo provare a
teoricamente, ripercorse in tutte le loro risonanze da Iain Sinclair nel suo “London Orbital”, pensare a un’economia che utilizzi il bene in senso etico, ovvero come ciò che la coscienza
è oggi di fatto negata. Quella attuale è inoltre una città divisa, che occulta i conflitti che la impone come un qualcosa che va fatto. In questo caso la relazione indicata da Caillé diventa
coinvolgono in una specializzazione neofunzionalista nella quale il mistero, il “meraviglioso il bene principale, la cosa buona e giusta, perché nella relazione, e quindi nella reciprocità,
urbano”, di cui più di trent’anni fa ha parlato Renato Nicolini, il tendere a organizzazioni non c’è solo l’idea e l’azione che porta a fare del bene agli altri, ma vi è la certezza che
spaziali per loro natura aperte e mutevoli, rivolte a incrementare la libertà dei cittadini, questo scambio si fa “con” gli altri. Allora, possiamo, se vogliamo, superare l’economia
rimangono come ambiti senz’altro esistenti ma impliciti, sospesi, di fatto sempre più lontani. di mercato, per avviarci verso l’economia solidale e di reciprocità. Ovvero: un insieme di
Solo le visioni dischiuse da un progetto urbano consapevole della sua aleatorietà, ma anche attività guidate prevalentemente da motivazioni non strumentali, fondate su relazioni
del suo essere l’esito di quella conoscenza parziale, provvisoria e tendenziosa di cui si è fiduciarie e organizzate secondo la logica dell’azione privata finalizzata al bene comune.
detto all’inizio di queste note, un progetto capace di raccogliere, nonostante i limiti con i Ecco un’aggettivazione interessante al bene, comune.
quali si confronta, la sfida dell’utopia come forma avanzata della realtà, può restituire alla
Per arrivarci bisogna prima passare all’economia del dono: un ossimoro che rende felici,
città la sua essenza più profonda. Essa consiste in una coincidenza spesso avventurosa, nella
e che funziona. Il dono, che supera sia il paradigma utilitarista sia quello collettivista,
quale la “sostanza di cose sperate” si fa realtà, tra le aspettative individuali e quelle collettive,
permette un diverso livello di lettura del valore dei beni: è il promotore di relazioni sociali
una coincidenza la quale, anche se sempre temporanea, esprime volta per volta il senso e la
che portano a un valore di legame. E il legame diventa più importante del bene stesso. Così
finalità della città.
come l’homo sufficiens, che arriva a una nuova razionalità ecologica cercando l’abbastanza
quando ancora il troppo sarebbe possibile, raggiunge cioè la sufficienza, principio intuitivo
oltre che razionale dal punto di vista personale, organizzativo ed ecologico. Spesso gli stessi
uomini che praticano la sufficienza diventano anche reciprocans. Sono le donne e gli uomini
che attivano i principî e le relazioni di reciprocità. Attraverso la reciprocità la relazione tra
1 individuo e beni, innescata dall’azione di scambio, viene integrata con quella che si crea
E. Husserl, Idee per una tra gli individui reciprocanti, determinando quindi l’incremento del capitale relazionale,
fenomenologia pura e per
una filosofia fenomenologica,
l’economia plurale. I beni e i servizi reciprocati acquisiscono così un valore superiore in
Einaudi, Torino 1965, quanto si somma a quello creato dalla relazione dei soggetti collegati. Lo scambio che si
pp. 58-59. viene a realizzare non è più impersonale come avviene per i semplici scambi di mercato,
ma si arricchisce della relazione che si instaura tra le parti, che risulta essere un elemento
2
A. Caillé, Il terzo paradigma, essenziale dell’utilità del bene scambiato. In presenza quindi di situazioni in cui i soggetti
Bollati Boringhieri, Torino si comportano secondo un accentuato senso di appartenenza e di coinvolgimento solidale
1998, pp. 79-80. e corale, i beni relazionali prodotti assumono anche la caratteristica di beni pubblici locali.

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Andrea Segrè

Per gentile concessione Bene


dell’Autore, le “parole”
selezionate sono tratte da Bene... un bene o “il” bene? Comunemente inteso come buono, come qualcosa che ci rende
quanto pubblicato sul sito felici, che si desidera, dice il dizionario etimologico, in quanto è conveniente alla natura
www.451online.it. umana e che, posseduto, rende tranquilli e felici. Non a caso infatti – si dice – ci “rifugiamo
nei beni”, la casa per esempio, che ci avvolgono quotidianamente dandoci sicurezza e
protezione, quasi un calore che diventa umano. Un mondo di beni, un mondo, come scrive
F. Purini, Studi per la città Husserl, che mi è costantemente “alla mano” ed io stesso sono un suo membro. Un mondo
cinese Ling Gang_Tianjin, che appare nella sua immediatezza, la “tavola con i suoi libri”, il “bicchiere”, “il vaso”… e
2010. che in qualche modo ci rassicurano, potremmo aggiungere1.
solo come effetto di un intervento su ciò che è già presente nel territorio e nella città. Questo
orientamento finisce con il produrre una sorta di determinismo urbano e architettonico, per Ma per “bene”, secondo la classica definizione economica, si intende un oggetto disponibile
il quale si costruisce solo dove c’è già qualcosa. Questa strategia non produce sempre scelte in quantità limitata, come sono ad esempio i beni di consumo. Una concezione platonica
conformi alle esigenze della città, la quale non può evolvere esclusivamente sulle proprie relativistica, utilitaristica e antropocentrica del bene, che consiste nel ridurre il “bene” a ciò
tracce, in una sorta di costante ricalcolo della sua storia insediativa, ma rispetto a tale storia che è utile e vantaggioso. Ma se l’economia è servita, in principio, a colmare l’insufficienza di
deve trovare momenti di discontinuità che ne accrescano la complessità e la stratificazione. cibo, di acqua, di vestiti, di merci e di cose utili, adesso si è andati oltre, arrivando velocemente
al troppo, al di più, all’inutile grazie alla persistente applicazione del principio di efficienza
Come conclusione parziale di queste brevi note si può affermare con un certo grado di allocativa e produttiva. Orientando cioè le proprie scelte in modo da massimizzare le risorse
attendibilità che la città attuale non possiede più né uno statuto prevalente né una vera e a disposizione del sistema. Ma ciò non ha funzionato del tutto. È un male, invece che bene.
riconoscibile dimensione collettiva. È una città che agisce in modo tribale, specializzandosi
per rispondere a esigenze di gruppi ristretti o per erogare servizi di natura utilitaria. Il suo Proviamo a cambiare prospettiva, assumendo come principio il bene sì come cosa materiale,
essere un testo complesso, insondabile nei suoi significati come un romanzo, il suo dovere ma anche ciò che l’essere umano può mettere in atto nel suo comportamento concreto. Un
essere bella non sono più ritenuti valori consustanziali alla sua realtà, ma qualcosa che forse aiuto ci viene da Alain Caillé quando scrive: “che i beni e i servizi valgono anche, e talvolta
le apparteneva una volta, ma che oggi non ha più alcun senso. La città come luogo di quelle in maniera preponderante, in funzione della loro capacità di creare e riprodurre relazioni
infinite narrazioni, alcune delle quali, nel caso di Londra, sono state poeticamente, ma anche sociali [… e] che il legame è più importante del bene”2. In questo senso possiamo provare a
teoricamente, ripercorse in tutte le loro risonanze da Iain Sinclair nel suo “London Orbital”, pensare a un’economia che utilizzi il bene in senso etico, ovvero come ciò che la coscienza
è oggi di fatto negata. Quella attuale è inoltre una città divisa, che occulta i conflitti che la impone come un qualcosa che va fatto. In questo caso la relazione indicata da Caillé diventa
coinvolgono in una specializzazione neofunzionalista nella quale il mistero, il “meraviglioso il bene principale, la cosa buona e giusta, perché nella relazione, e quindi nella reciprocità,
urbano”, di cui più di trent’anni fa ha parlato Renato Nicolini, il tendere a organizzazioni non c’è solo l’idea e l’azione che porta a fare del bene agli altri, ma vi è la certezza che
spaziali per loro natura aperte e mutevoli, rivolte a incrementare la libertà dei cittadini, questo scambio si fa “con” gli altri. Allora, possiamo, se vogliamo, superare l’economia
rimangono come ambiti senz’altro esistenti ma impliciti, sospesi, di fatto sempre più lontani. di mercato, per avviarci verso l’economia solidale e di reciprocità. Ovvero: un insieme di
Solo le visioni dischiuse da un progetto urbano consapevole della sua aleatorietà, ma anche attività guidate prevalentemente da motivazioni non strumentali, fondate su relazioni
del suo essere l’esito di quella conoscenza parziale, provvisoria e tendenziosa di cui si è fiduciarie e organizzate secondo la logica dell’azione privata finalizzata al bene comune.
detto all’inizio di queste note, un progetto capace di raccogliere, nonostante i limiti con i Ecco un’aggettivazione interessante al bene, comune.
quali si confronta, la sfida dell’utopia come forma avanzata della realtà, può restituire alla
Per arrivarci bisogna prima passare all’economia del dono: un ossimoro che rende felici,
città la sua essenza più profonda. Essa consiste in una coincidenza spesso avventurosa, nella
e che funziona. Il dono, che supera sia il paradigma utilitarista sia quello collettivista,
quale la “sostanza di cose sperate” si fa realtà, tra le aspettative individuali e quelle collettive,
permette un diverso livello di lettura del valore dei beni: è il promotore di relazioni sociali
una coincidenza la quale, anche se sempre temporanea, esprime volta per volta il senso e la
che portano a un valore di legame. E il legame diventa più importante del bene stesso. Così
finalità della città.
come l’homo sufficiens, che arriva a una nuova razionalità ecologica cercando l’abbastanza
quando ancora il troppo sarebbe possibile, raggiunge cioè la sufficienza, principio intuitivo
oltre che razionale dal punto di vista personale, organizzativo ed ecologico. Spesso gli stessi
uomini che praticano la sufficienza diventano anche reciprocans. Sono le donne e gli uomini
che attivano i principî e le relazioni di reciprocità. Attraverso la reciprocità la relazione tra
1 individuo e beni, innescata dall’azione di scambio, viene integrata con quella che si crea
E. Husserl, Idee per una tra gli individui reciprocanti, determinando quindi l’incremento del capitale relazionale,
fenomenologia pura e per
una filosofia fenomenologica,
l’economia plurale. I beni e i servizi reciprocati acquisiscono così un valore superiore in
Einaudi, Torino 1965, quanto si somma a quello creato dalla relazione dei soggetti collegati. Lo scambio che si
pp. 58-59. viene a realizzare non è più impersonale come avviene per i semplici scambi di mercato,
ma si arricchisce della relazione che si instaura tra le parti, che risulta essere un elemento
2
A. Caillé, Il terzo paradigma, essenziale dell’utilità del bene scambiato. In presenza quindi di situazioni in cui i soggetti
Bollati Boringhieri, Torino si comportano secondo un accentuato senso di appartenenza e di coinvolgimento solidale
1998, pp. 79-80. e corale, i beni relazionali prodotti assumono anche la caratteristica di beni pubblici locali.

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Ma possiamo spingerci ancora oltre, riflettendo sul bonum commune, al quale si collegano 3 7 comune”7. In totale trasparenza, perché fare il bene paga. Perché l’eco-trasparenza modifica
appunto i “beni comuni”, definiti – per esempio da Laura Pennacchi3 – come quei beni che L. Pennacchi, Filosofia dei S. Settis, op. cit., p. 57. il modello d’impresa per creare una realtà di mercato dove fare il bene diventa sinonimo di
beni comuni. Crisi e primato
non sono proprietà di nessuno: l’aria, l’acqua, il clima, le risorse del mare, finanche la cultura. 8 avere successo, dove l’impegno diventa etico, che vuol dire esprimere uno stile e un modo
della sfera pubblica, Donzelli,
Quei beni che non sempre hanno ricevuto l’attenzione che dovevano e sui quali solo ora Roma, 2012.
S. Settis, op. cit., p. 126 e seg. distintivo, visibile e riconoscibile, di stare sul mercato, di stare in un determinato territorio,
sembra risvegliarsi la coscienza collettiva, denunciandone i limiti e lo spreco. Salvatore Settis 9 di partecipare alla vita di una comunità di riferimento, di stare, più in generale, nella società.
4
nel suo ultimo libro – Azione popolare. Cittadini per il bene comune – lo spiega con forza: L. Flem, Come ho svuotato Rendere visibile l’impatto ecologico delle nostre scelte va oltre la tattica obsoleta di instillare
S. Settis, Azione popolare.
“Bene comune vuol dire coltivare una visione lungimirante, vuol dire investire nel futuro, Cittadini per il bene comune,
la casa dei miei genitori, solo paure ambientali: il mercato deve rendere i comportamenti ecologici economicamente
vuol dire preoccuparsi della comunità dei cittadini, vuol dire anteporre l’interesse a lungo Archinto Editore, Milano vincenti, così la trasparenza si solidifica diventando cristallo puro, solido e prezioso.
Einaudi, Torino, 2012, p. 29.
termine di tutti all’immediato profitto dei pochi, vuol dire prestare prioritaria attenzione ai 2005. Abbiamo bisogno di un nuovo “spirito” collettivo, di una nuova mentalità che trasformi ‘il’
5
giovani, alla loro formazione e alle loro necessità. Vuol dire anteporre l’eredità che dobbiamo P. P. Pasolini, “Il vuoto del
10 bene comune (al singolare) nel principio di “bene comune” come pubblica utilità, interesse,
consegnare alle generazioni future all’istinto primordiale di divorare tutto e subito… Ma le R. Bodei, La vita delle cose, felicità globale. Nel bene appunto e per tutelare il bene di tutti.
potere” ovvero “l’articolo delle
generazioni future hanno, possono avere, dei diritti? Non è una domanda teorica: perché Laterza, Roma-Bari 2009.
lucciole”, in «Corriere della
Un manifesto per raggiungere questi obiettivi è già pronto, entrato in vigore il 1° gennaio
parlare dei loro diritti nel futuro equivale a parlare dei nostri doveri, oggi. Equivale a orientare Sera», 1° febbraio 1975. 11
1948: è la nostra Costituzione della Repubblica dove l’espressione “bene comune” non c’è,
i nostri comportamenti oggi su quelle che potrebbero essere le conseguenze domani”4. 6
R. Baldini, La Fondazione,
Einaudi, Torino 2008. eppure – come ricorda Salvatore Settis8 – suo principio ordinatore è precisamente il bene
Alcune soluzioni le abbiamo già, al presente. Ad esempio una via ce la propone l’economia S. Settis, op. cit., p. 57. comune in continuità con la publica utilitas che innerva la storia della Penisola. È tutto già
civile, un corpo consolidato, almeno nel dibattito scientifico fra economisti: ha il merito di 7 scritto: ambiente, patrimonio culturale, salute, ricerca, educazione incarnano valori di cui
aver fatto uscire la disciplina dal riduzionismo asfittico, rimettendo al centro del sistema S. Settis, op. cit., p. 57. la Costituzione è già il manifesto appunto: libertà, uguaglianza, diritto al lavoro. Secondo
la categoria del dono e l’azione gratuita. Ciò che ancora manca però, cosa non da poco, 8 Settis – pensiero condivisibile trascritto dal risvolto di copertina – la comunità dei cittadini
è l’uomo che la interpreta, oggi e domani: l’homo civicus e la sua capacità di promuovere S. Settis, op. cit., p. 126 e seg. è fonte delle leggi e titolare dei diritti. Deve riguadagnare sovranità cercando nei movimenti
relazioni sociali ed economiche civiche. Ne abbiamo un disperato bisogno. È l’uomo civici il meccanismo base della democrazia, il serbatoio delle idee per una nuova agenda
che si batte attivamente per la tutela e la valorizzazione dei beni comuni, intesi nella loro politica. Dare nuova legittimazione alla democrazia rappresentativa facendo esplodere
accezione più ampia, ossia quella dei beni pubblici e della fiducia. Che supera finalmente e le contraddizioni fra diritti costituzionali e le pratiche di governo che li calpestano in
concretamente la tragedia della madre di tutti i beni comuni: la Terra. Che è capace di andare obbedienza ai mercati. Ricreare la cultura che muove le norme, ripristina la legalità, progetta
oltre a ciò che si crede insuperabile: l’utilità individuale e l’autointeresse nel breve periodo, il futuro. Serve oggi una nuova consapevolezza, una nuova responsabilità. Una forte azione
per costruire invece un’azione collettiva, equa, sostenibile e solidale nel lungo periodo. popolare per il bene comune.
Che promuove un’economia di relazione dentro il mercato stesso, un luogo nuovo aperto
ai principî della sufficienza, della reciprocità, della gratuità riconciliando in sostanza le
dimensioni della persona che ritrova i valori che nascono dalle relazioni con gli altri fondate Cose
sul dono e sulla fiducia. E se nell’economia di mercato, il bene totale perseguito va inteso
Cose: siamo circondati dalle “cose”, una parola onnipresente nel linguaggio quotidiano e
come sommatoria dei livelli di benessere individuali, nell’economia civica il bene comune è
alla quale non diamo nemmeno tanto peso. Eppure talvolta possono essere anche pesanti. Le
invece la moltiplicazione dei singoli livelli di ben essere. In altre parole i singoli livelli di ben-
cose del mondo, le cose materiali, le proprie cose, quelle piccole che ognuno di noi conserva
essere vengono moltiplicati tra loro in modo tale da concorrere in egual misura all’obiettivo
gelosamente in un cassetto, le cose familiari, che non hanno spesso un valore economico, ma
finale: il bene comune. Al contrario, nel caso della sommatoria, anche se il livello di benessere
solamente affettivo. Proviamo a pensare a quante cose abbiamo nella nostra casa e a quante
di un singolo venisse annullato, il risultato finale non cambierebbe.
rimangono per anni nascoste e dimenticate. Qualcuno poi arriva ad una vera e propria
L’homo civicus è colui che è capace di applicare come valore giuridico, e non soltanto ossessione dell’accumulo, detta disposofobia, una patologia che inizia ad essere studiata
dichiaratorio, i principî della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo: ogni individuo anche in Italia (compulsive hoarding): l’accumulatore compulsivo di “cose”, figura nuova
ha diritto al cibo, all’acqua e anche a una cittadinanza (articolo 15). La cittadinanza è anche di fortunate serie televisive.
l’invenzione dell’Occidente che dobbiamo conservare gelosamente, dimenticando le altre: Il dizionario etimologico dà una spiegazione interessante di cosa, ovvero ciò che esiste, così
lo sviluppo, la crescita, il consumo, il debito. La cittadinanza concede agli uomini una nell’ordine reale come nell’ideale, nel concreto e nell’astratto. Ma cosa sono le cose? Sono
posizione elevata: permettendogli di governare se stessi sottraendosi a due opposte derive, il tutti quegli oggetti investiti di senso appunto, di valori, di pensieri, di affetto che, mai come
totalitarismo che li rende sudditi, e il mercato che li trasforma in clienti. Lo diceva Pier Paolo adesso, contribuiscono a costruire la nostra rete di relazioni e la nostra identità quando li
Pasolini tanto tempo fa ormai: “il potere ipermoderno non ha bisogno di sudditi ma di liberi compriamo, usiamo, ammiriamo, fino al momento in cui li priviamo di tutto ciò e li gettiamo
consumatori!”5. A queste due forme di etero-direzione la cittadinanza può contrapporre fra i rifiuti. Come ci racconta Lydia Flem in Come ho svuotato la casa dei miei genitori:
la via di una comunità costruita a partire dalla libertà, un equilibrio delicato e prezioso fra «Le cose non sono soltanto cose, recano tracce umane, sono il nostro prolungamento (…).
diritti e doveri, attenzione e passione, emozione e progetti, ambizioni private e pubbliche Ciascuna ha una storia e un significato mescolati a quelli delle persone che li hanno utilizzati
virtù: l’homo civicus, il cittadino attivo. e amati. Insieme formano, oggetti e persone, una sorta di unità che si lascia smembrare a
fatica»9.
È di questa cultura dobbiamo riempire i nostri serbatoi, agendo nell’interesse “dei più
Per capire qualcosa proviamo a far dialogare due libri che parlano di cose appunto, e dunque
lontani” (per condizioni di vita, nello spazio, nel tempo). “Il bene comune come finalità
due autori apparentemente molto distanti. Da una parte il filosofo Remo Bodei con il suo
imprescindibile delle comunità umane è la spina dorsale di una cultura della cittadinanza di
La vita delle cose10, una brillante riflessione filosofica e letteraria sulle cose e gli oggetti e
cui dobbiamo in ogni modo recuperare la traccia e il bandolo”6. Ma come?
sul ruolo che essi ricoprono per le persone pubblicata nel 2009. Dall’altra il poeta Raffaello
Passando dalla cittadinanza attiva alla cittadinanza fattiva. Condividere una nuova Baldini e il suo monologo teatrale La Fondazione11 scritto in dialetto romagnolo nel 2004:
responsabilità sociale a livello di città, proprio nel senso di civitas: popolazione, imprese, uno splendido testo pubblicato soltanto nel 2008, letto dall’autore stesso prima di morire
istituzioni. Una forma di sussidiarietà circolare, un triangolo pubblico - privato - società al Teatro del Mare di Riccione e straordinariamente interpretato soltanto nell’ottobre 2012
civile, capace di amplificare e catalizzare la sostenibilità comunque venga declinata: dall’attore (e amico di Baldini) Ivano Marescotti all’Arena del Sole di Bologna. La storia di
ecologica, economica, etica. Lavorare per l’interesse generale, principale fondamento del un personaggio un po’ matto, probabilmente affetto da disposofobia, che colleziona le cose
bene comune, in modo tale che il dissennato consumo di risorse – suolo, acqua, aria, terra, più assurde del passato e viene preso dall’idea di dare vita a una Fondazione che tenga viva
cibo – possa arrestare la propria avanzata per il cieco profitto di pochi. “Non c’è salvezza, la memoria delle cose più sfuggenti. Sembra che Bodei abbia letto o sentito Baldini, anche se
se la nostra volontà generale non saprà riaffermare con forza l’assoluta priorità del bene la cosa risulta assai improbabile. Sentiamo.

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Ma possiamo spingerci ancora oltre, riflettendo sul bonum commune, al quale si collegano 3 7 comune”7. In totale trasparenza, perché fare il bene paga. Perché l’eco-trasparenza modifica
appunto i “beni comuni”, definiti – per esempio da Laura Pennacchi3 – come quei beni che L. Pennacchi, Filosofia dei S. Settis, op. cit., p. 57. il modello d’impresa per creare una realtà di mercato dove fare il bene diventa sinonimo di
beni comuni. Crisi e primato
non sono proprietà di nessuno: l’aria, l’acqua, il clima, le risorse del mare, finanche la cultura. 8 avere successo, dove l’impegno diventa etico, che vuol dire esprimere uno stile e un modo
della sfera pubblica, Donzelli,
Quei beni che non sempre hanno ricevuto l’attenzione che dovevano e sui quali solo ora Roma, 2012.
S. Settis, op. cit., p. 126 e seg. distintivo, visibile e riconoscibile, di stare sul mercato, di stare in un determinato territorio,
sembra risvegliarsi la coscienza collettiva, denunciandone i limiti e lo spreco. Salvatore Settis 9 di partecipare alla vita di una comunità di riferimento, di stare, più in generale, nella società.
4
nel suo ultimo libro – Azione popolare. Cittadini per il bene comune – lo spiega con forza: L. Flem, Come ho svuotato Rendere visibile l’impatto ecologico delle nostre scelte va oltre la tattica obsoleta di instillare
S. Settis, Azione popolare.
“Bene comune vuol dire coltivare una visione lungimirante, vuol dire investire nel futuro, Cittadini per il bene comune,
la casa dei miei genitori, solo paure ambientali: il mercato deve rendere i comportamenti ecologici economicamente
vuol dire preoccuparsi della comunità dei cittadini, vuol dire anteporre l’interesse a lungo Archinto Editore, Milano vincenti, così la trasparenza si solidifica diventando cristallo puro, solido e prezioso.
Einaudi, Torino, 2012, p. 29.
termine di tutti all’immediato profitto dei pochi, vuol dire prestare prioritaria attenzione ai 2005. Abbiamo bisogno di un nuovo “spirito” collettivo, di una nuova mentalità che trasformi ‘il’
5
giovani, alla loro formazione e alle loro necessità. Vuol dire anteporre l’eredità che dobbiamo P. P. Pasolini, “Il vuoto del
10 bene comune (al singolare) nel principio di “bene comune” come pubblica utilità, interesse,
consegnare alle generazioni future all’istinto primordiale di divorare tutto e subito… Ma le R. Bodei, La vita delle cose, felicità globale. Nel bene appunto e per tutelare il bene di tutti.
potere” ovvero “l’articolo delle
generazioni future hanno, possono avere, dei diritti? Non è una domanda teorica: perché Laterza, Roma-Bari 2009.
lucciole”, in «Corriere della
Un manifesto per raggiungere questi obiettivi è già pronto, entrato in vigore il 1° gennaio
parlare dei loro diritti nel futuro equivale a parlare dei nostri doveri, oggi. Equivale a orientare Sera», 1° febbraio 1975. 11
1948: è la nostra Costituzione della Repubblica dove l’espressione “bene comune” non c’è,
i nostri comportamenti oggi su quelle che potrebbero essere le conseguenze domani”4. 6
R. Baldini, La Fondazione,
Einaudi, Torino 2008. eppure – come ricorda Salvatore Settis8 – suo principio ordinatore è precisamente il bene
Alcune soluzioni le abbiamo già, al presente. Ad esempio una via ce la propone l’economia S. Settis, op. cit., p. 57. comune in continuità con la publica utilitas che innerva la storia della Penisola. È tutto già
civile, un corpo consolidato, almeno nel dibattito scientifico fra economisti: ha il merito di 7 scritto: ambiente, patrimonio culturale, salute, ricerca, educazione incarnano valori di cui
aver fatto uscire la disciplina dal riduzionismo asfittico, rimettendo al centro del sistema S. Settis, op. cit., p. 57. la Costituzione è già il manifesto appunto: libertà, uguaglianza, diritto al lavoro. Secondo
la categoria del dono e l’azione gratuita. Ciò che ancora manca però, cosa non da poco, 8 Settis – pensiero condivisibile trascritto dal risvolto di copertina – la comunità dei cittadini
è l’uomo che la interpreta, oggi e domani: l’homo civicus e la sua capacità di promuovere S. Settis, op. cit., p. 126 e seg. è fonte delle leggi e titolare dei diritti. Deve riguadagnare sovranità cercando nei movimenti
relazioni sociali ed economiche civiche. Ne abbiamo un disperato bisogno. È l’uomo civici il meccanismo base della democrazia, il serbatoio delle idee per una nuova agenda
che si batte attivamente per la tutela e la valorizzazione dei beni comuni, intesi nella loro politica. Dare nuova legittimazione alla democrazia rappresentativa facendo esplodere
accezione più ampia, ossia quella dei beni pubblici e della fiducia. Che supera finalmente e le contraddizioni fra diritti costituzionali e le pratiche di governo che li calpestano in
concretamente la tragedia della madre di tutti i beni comuni: la Terra. Che è capace di andare obbedienza ai mercati. Ricreare la cultura che muove le norme, ripristina la legalità, progetta
oltre a ciò che si crede insuperabile: l’utilità individuale e l’autointeresse nel breve periodo, il futuro. Serve oggi una nuova consapevolezza, una nuova responsabilità. Una forte azione
per costruire invece un’azione collettiva, equa, sostenibile e solidale nel lungo periodo. popolare per il bene comune.
Che promuove un’economia di relazione dentro il mercato stesso, un luogo nuovo aperto
ai principî della sufficienza, della reciprocità, della gratuità riconciliando in sostanza le
dimensioni della persona che ritrova i valori che nascono dalle relazioni con gli altri fondate Cose
sul dono e sulla fiducia. E se nell’economia di mercato, il bene totale perseguito va inteso
Cose: siamo circondati dalle “cose”, una parola onnipresente nel linguaggio quotidiano e
come sommatoria dei livelli di benessere individuali, nell’economia civica il bene comune è
alla quale non diamo nemmeno tanto peso. Eppure talvolta possono essere anche pesanti. Le
invece la moltiplicazione dei singoli livelli di ben essere. In altre parole i singoli livelli di ben-
cose del mondo, le cose materiali, le proprie cose, quelle piccole che ognuno di noi conserva
essere vengono moltiplicati tra loro in modo tale da concorrere in egual misura all’obiettivo
gelosamente in un cassetto, le cose familiari, che non hanno spesso un valore economico, ma
finale: il bene comune. Al contrario, nel caso della sommatoria, anche se il livello di benessere
solamente affettivo. Proviamo a pensare a quante cose abbiamo nella nostra casa e a quante
di un singolo venisse annullato, il risultato finale non cambierebbe.
rimangono per anni nascoste e dimenticate. Qualcuno poi arriva ad una vera e propria
L’homo civicus è colui che è capace di applicare come valore giuridico, e non soltanto ossessione dell’accumulo, detta disposofobia, una patologia che inizia ad essere studiata
dichiaratorio, i principî della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo: ogni individuo anche in Italia (compulsive hoarding): l’accumulatore compulsivo di “cose”, figura nuova
ha diritto al cibo, all’acqua e anche a una cittadinanza (articolo 15). La cittadinanza è anche di fortunate serie televisive.
l’invenzione dell’Occidente che dobbiamo conservare gelosamente, dimenticando le altre: Il dizionario etimologico dà una spiegazione interessante di cosa, ovvero ciò che esiste, così
lo sviluppo, la crescita, il consumo, il debito. La cittadinanza concede agli uomini una nell’ordine reale come nell’ideale, nel concreto e nell’astratto. Ma cosa sono le cose? Sono
posizione elevata: permettendogli di governare se stessi sottraendosi a due opposte derive, il tutti quegli oggetti investiti di senso appunto, di valori, di pensieri, di affetto che, mai come
totalitarismo che li rende sudditi, e il mercato che li trasforma in clienti. Lo diceva Pier Paolo adesso, contribuiscono a costruire la nostra rete di relazioni e la nostra identità quando li
Pasolini tanto tempo fa ormai: “il potere ipermoderno non ha bisogno di sudditi ma di liberi compriamo, usiamo, ammiriamo, fino al momento in cui li priviamo di tutto ciò e li gettiamo
consumatori!”5. A queste due forme di etero-direzione la cittadinanza può contrapporre fra i rifiuti. Come ci racconta Lydia Flem in Come ho svuotato la casa dei miei genitori:
la via di una comunità costruita a partire dalla libertà, un equilibrio delicato e prezioso fra «Le cose non sono soltanto cose, recano tracce umane, sono il nostro prolungamento (…).
diritti e doveri, attenzione e passione, emozione e progetti, ambizioni private e pubbliche Ciascuna ha una storia e un significato mescolati a quelli delle persone che li hanno utilizzati
virtù: l’homo civicus, il cittadino attivo. e amati. Insieme formano, oggetti e persone, una sorta di unità che si lascia smembrare a
fatica»9.
È di questa cultura dobbiamo riempire i nostri serbatoi, agendo nell’interesse “dei più
Per capire qualcosa proviamo a far dialogare due libri che parlano di cose appunto, e dunque
lontani” (per condizioni di vita, nello spazio, nel tempo). “Il bene comune come finalità
due autori apparentemente molto distanti. Da una parte il filosofo Remo Bodei con il suo
imprescindibile delle comunità umane è la spina dorsale di una cultura della cittadinanza di
La vita delle cose10, una brillante riflessione filosofica e letteraria sulle cose e gli oggetti e
cui dobbiamo in ogni modo recuperare la traccia e il bandolo”6. Ma come?
sul ruolo che essi ricoprono per le persone pubblicata nel 2009. Dall’altra il poeta Raffaello
Passando dalla cittadinanza attiva alla cittadinanza fattiva. Condividere una nuova Baldini e il suo monologo teatrale La Fondazione11 scritto in dialetto romagnolo nel 2004:
responsabilità sociale a livello di città, proprio nel senso di civitas: popolazione, imprese, uno splendido testo pubblicato soltanto nel 2008, letto dall’autore stesso prima di morire
istituzioni. Una forma di sussidiarietà circolare, un triangolo pubblico - privato - società al Teatro del Mare di Riccione e straordinariamente interpretato soltanto nell’ottobre 2012
civile, capace di amplificare e catalizzare la sostenibilità comunque venga declinata: dall’attore (e amico di Baldini) Ivano Marescotti all’Arena del Sole di Bologna. La storia di
ecologica, economica, etica. Lavorare per l’interesse generale, principale fondamento del un personaggio un po’ matto, probabilmente affetto da disposofobia, che colleziona le cose
bene comune, in modo tale che il dissennato consumo di risorse – suolo, acqua, aria, terra, più assurde del passato e viene preso dall’idea di dare vita a una Fondazione che tenga viva
cibo – possa arrestare la propria avanzata per il cieco profitto di pochi. “Non c’è salvezza, la memoria delle cose più sfuggenti. Sembra che Bodei abbia letto o sentito Baldini, anche se
se la nostra volontà generale non saprà riaffermare con forza l’assoluta priorità del bene la cosa risulta assai improbabile. Sentiamo.

100 101
Scrive Bodei che viviamo in un mondo fatto di tante “cose” che saturano la nostra esistenza 12 24 è un gesto di purezza cristallina”, così afferma il protagonista del romanzo di Michael
quotidiana e che attendono, secondo l’orientamento dei nostri interessi, di essere compresi12. R. Bodei, op. cit., p. 50. M. Zadoorian, Second Hand, Zadoorian, non a caso intitolato Second Hand24. I beni che l’economia produce e la pubblicità
Marcos y Marcos, Milano
Le nostre cose, quelle che ci circondano nella nostra casa, nella nostra quotidianità, quelle 13 induce a comperare hanno perlopiù un’utilità nulla.
2008.
che scandiscono la nostra vita. “Il mio mondo (…) tutte queste cose sono una parte di me” R. Baldini, op. cit., p. 51 Ma possiamo dare, invece, una seconda vita ai beni e alle persone: oggetti e persone muoiono
dice lo strano protagonista del monologo di Baldini13. 25 troppo presto. Aumentano i rifiuti, anche quelli umani. Passare dall’economia mortale,
14
R. Baldini, op. cit., p. 15.
“Nel crescere nominiamo le cose, le fissiamo nella memoria, le facciamo spiccare su uno R. Bodei, op. cit., p. 8. che tutto distrugge, all’economia secondaria che allunga la vita. Quella dei beni, non più
scenario dai tratti sfumati ed è solo la familiarità acquisita attraverso questi processi a 26 cose o merci, e quella delle persone, non più numeri ma genere umano. Baratto, mercatini,
15
permettere di orientarci e di dar loro un significato. Impariamo così a situarle in una mappa R. Baldini, op. cit., p. 25. mercatopoli, secondamano, swap party, isole ecologiche… sono le nuove forme per allungare
R. Baldini, pp. 19-21.
spaziale e temporale, a farne uso o a rinunciarvi, a comprarle o a venderle, a dar loro valore 27 la vita dei beni, possederne di meno e attivare relazioni fra le persone.
16
o a trascurarle, ad amarle, odiarle o rendercele indifferenti”14. R. Baldini, op. cit., p. 37. Ma si comincia già dalla materia prima seconda, che allunga la vita degli scarti di lavorazione
R. Bodei, op. cit., p. 12.
“Non c’entra il vivo o il non vivo, io con le cose mi arrabbio anche, quando una roba non 28 delle materie prime e dei materiali derivati dal recupero e dal riciclaggio dei rifiuti: vetro,
risponde, quando una cosa la metti in un posto e lei scivola giù, e tu la rimetti al suo posto, 17 carta, plastiche. Il rifiuto diventa risorsa economica, ma soltanto quando non c’è nient’altro
R. Baldini, op. cit., p. 27.
e lei scivola giù ancora (…) perché le cose anche loro hanno, come si può dire, sì, hanno una R. Baldini, op. cit., p. 51.
da fare. Ormai del resto non sappiamo più cosa fare, come comportarci di fronte al possesso.
29
loro personalità…”15. 18
R. Bodei, op. cit., p. 22. Allora l’economia secondaria sostituisce l’ausiliare avere con usare. Si afferma un nuovo
“Ma il malinteso di tutto dipende dalla mancata distinzione fra cosa e oggetto, parole che M. Recalcati, Ritratti del genere di consumatore, che non vuole rinunciare a nulla, se non al possesso: non compera.
il tempo ha confuso sia nel pensiero filosofico e sia nel senso comune. L’italiano cosa è la desiderio, Raffaello Cortina,
«Quello che è mio è tuo»: con questo sistema, il consumo collaborativo, le persone non
Milano 2012, pp. 12-13.
contrazione del latino causa, ossia di ciò che riteniamo talmente importante e coinvolgente acquistano ma scambiano, condividono, prestano: car-sharing, co-working, co-gardening...
da mobilitarci in sua difesa”16. 19 come avviene nei social network dove gli internauti si scambiano, condividono notizie,
“…tutta questa roba, che è la mia vita, qui c’è tutta la mia vita (…) tutto quello che io ho M. Recalcati, op. cit., p. 16. foto, video, interessi, amici, contatti personali. Anche questa è una transizione culturale
raccolto in una vita, i miei sentimenti, il mio mondo (…) e tutte queste cose volevo che 20 dall’economia dell’io all’economia del noi: il consumo vive di collettività, stimola nuovi
fossero come dei testimoni17. M. Recalcati, op. cit., p. 15 e comportamenti.
Ecco allora che ognuno di noi ha a disposizione numerosi oggetti (televisori, libri, mobili, p. 19. Ci ricorda ancora il protagonista de La Fondazione che “…non butto via niente tengo da
auto, computer…) e molti tra questi sono per noi delle cose, mentre la maggior parte 21 conto tutto, ma non è una passione, non è che sia tirato, che sia uno spilorcio […] è un
presumibilmente rimarranno oggetti dato che non avremo mai abbastanza tempo anche solo M. Douglas e B. Isherwood, istinto, di tenere da conto [...] può essere sbagliato, ma è il mio istinto, che secondo me […]
per utilizzarli tutti almeno una volta prima di acquistarne di nuovi. Il mondo delle cose, Il Mulino, è come la metempsicosi […] e io tutta questa roba che tengo da conto […] è per durare un
Ma nel momento in cui abbiamo fra le mani le cose, ecco che un nuovo desiderio ci prende, Bologna, 1984.
po’ di più, perché questa roba dura”25.
quello di cambiare e sostituire subito. L’uomo senza inconscio è l’uomo senza desideri, scrive 22 “…perché tenere da conto, conservare, è anche un regalo che fai alla società, alla gente, che
Massimo Recalcati nel suo ultimo libro18, condannato a perseguire un godimento improntato Dizionario Letterario, Natale, non capisce niente, la gente, lo so, ma è qualcosa che va fatto, è giusto farlo”26.
essenzialmente al consumo individualista, diventato inarrestabile e insoddisfatto. Una vera e Torino, Utet, 2007, pp. 1602-
A fronte allora del tempo del capitalismo, che è un tempo veloce improntato sul vettore
propria fede feticistica nei confronti degli oggetti, continua Recalcati, che ci porterebbero alla 1603.
produzione-consumo-rifiuto e orientato alla crescita economica, dettato dalla produttività
felicità e alla redenzione. La nostra società, epoca delle cose banali, ha stravolto il concetto 23 delle macchine, dal tasso di sostituzione delle merci, dall’innovazione tecnologica, dalla
di desiderio portandolo all’eccesso, al “godimento illimitato, sregolato, compulsivo”19. “è il R. Baldini, op. cit., p. 15.
creazione di bisogni – un tempo artefatto e non umano, costruito appositamente da quella
paradosso dell’iperedonismo del nostro tempo, che ci fa sentire finalmente liberi, ma questa “mano invisibile” che è il mercato – possiamo pensare in maniera più umana: …quando
libertà non è in grado di generare alcuna soddisfazione. è una libertà vuota, triste, infelice, vedo la roba che buttano via, che la lasciano lì, così, come niente, io la prendo su, gli do un
apaticamente vuota. L’ingorgo di oggetti (…) finisce per generare angoscia”20, e senso di senso a queste cose, un significato27, recuperare un tempo lento, basato sull’articolazione
colpa, un’angoscia, e quindi una paura, che sentiamo tutti in questo momento di grande di otto cambiamenti indipendenti che si rafforzano reciprocamente un circolo virtuoso di
crisi economica mondiale, ma dall’angoscia, dal buio profondo, dopo aver toccato il fondo, otto R: Rivalutare, Riconcettualizzare, Ristrutturare, Ridistribuire, Rilocalizzare, Ridurre,
spesso si risale. Scatta così il desiderio di liberare la nostra vita dal grasso superfluo: un Riutilizzare, Riciclare.
proposito fiacco, che serve ad alleviare la nostra cattiva coscienza solo per qualche istante21. Si può aggiungere che tutte queste azioni scaturiscono da una ulteriore R che sta sullo
Ma possiamo recuperare anche la voglia di rigenerarci, di donare, di progettare per il futuro. sfondo: la Ri-naturalizzazione della concezione del tempo in una visione circolare, attinente
Come dovrebbe essere per questo Natale che si avvicina. Il Natale, la festa più importante per a una lentezza che crea qualità e non quantità. La decrescita si pone come contrappeso alla
il Cristianesimo (e non solo), che ha fatto nascere tradizioni diverse (canti e rappresentazioni teoria economica dominante, ma fatica a prendere piede. Nonostante la conclamata agonia
popolari), ma anche, fra le più diffuse, lo scambio di doni e di oggetti utili o cibo22. Ma siamo del capitalismo, l’alternativa che abbia un suffisso privativo come caratterizzazione fa paura
proprio sicuri che tutti gli oggetti che doniamo e riceviamo a Natale sono utili? e richiede una trasformazione culturale, sociale e politica troppo lenta, anche per chi elogia
La roba cresce, sembra così, che io sono solo, va bene, consumo poco, dovrei consumare la lentezza.
poco, ma quello che viene fuori, è una crescita continua, ci dice ancora il bislacco protagonista Il tempo dell’animo umano è invece sospeso, un eterno presente in continua tensione fra
de La Fondazione23. passato e futuro, né veloce né lento, scandito da moti interiori che richiedono il loro tempo.
Del resto l’accumulazione è diventata, negli ultimi decenni, terziaria. Nel senso che ci siamo E allora riprendiamocela questa lentezza, soprattutto a Natale, “perché nella vita non si vive
riempiti di oggetti terzi, cose inutili, non solo a Natale, che non sono neppure buone da solo di cose materiali, ci vogliono anche quelle, per carità, ma ci sono anche i sentimenti,
mangiare. A credito comperiamo e accumuliamo, poi rifiutiamo e sprechiamo senza sosta. insomma quando vedi una cosa bella, anche tu dentro, in un certo senso, diventi più bello
E senza avere finito di pagare. Anche il cibo, cui diamo poco valore. Un ingorgo bulimico […] il lato estetico è che uno distingue, una cosa è bella, una cosa è brutta, una cosa ti piace,
anticipato e scontato, in tutti i sensi. Per mangiare, meno spendiamo in proporzione al nostro un’altra non ti piace”28. Riappropriamoci per davvero di quelle cose che “comprendono
reddito, meglio è. Anzi, ci consideriamo più ricchi e sviluppati. Almeno così crediamo. anche persone e ideali, e più in generale, tutto quello che ci interessa e ci sta a cuore”29.
è anche vero che il Natale è un periodo nel quale la normalità è come sospesa, un periodo
non a caso chiamato “magico” e che dei doni, degli oggetti, dei giocattoli ha fatto ormai
il suo slogan. Ma esiste anche un Natale delle piccole cose, il tempo della serenità, della
Rifiuto
dolcezza, del riposo dell’animo, della pace, delle gioie famigliari, del volersi bene. “Perfino
i manigoldi diventano buoni come agnelli. Lo chiamano Natale...”, ci ricorda Dino Buzzati Rifiuto dunque (non) sono. La civiltà moderna tende a rimuovere i rifiuti, fisicamente ma
in un racconto del 1969 intitolato Milano nostra. soprattutto mentalmente. È il rifiuto del rifiuto. Che poi ci porta a rifiutare, non solo le
Eppure si continua ad accumulare. “Trovare un nuovo impiego per un oggetto abbandonato “cose”, ma anche le persone: l’altro, il diverso, alla fine noi stessi.

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Scrive Bodei che viviamo in un mondo fatto di tante “cose” che saturano la nostra esistenza 12 24 è un gesto di purezza cristallina”, così afferma il protagonista del romanzo di Michael
quotidiana e che attendono, secondo l’orientamento dei nostri interessi, di essere compresi12. R. Bodei, op. cit., p. 50. M. Zadoorian, Second Hand, Zadoorian, non a caso intitolato Second Hand24. I beni che l’economia produce e la pubblicità
Marcos y Marcos, Milano
Le nostre cose, quelle che ci circondano nella nostra casa, nella nostra quotidianità, quelle 13 induce a comperare hanno perlopiù un’utilità nulla.
2008.
che scandiscono la nostra vita. “Il mio mondo (…) tutte queste cose sono una parte di me” R. Baldini, op. cit., p. 51 Ma possiamo dare, invece, una seconda vita ai beni e alle persone: oggetti e persone muoiono
dice lo strano protagonista del monologo di Baldini13. 25 troppo presto. Aumentano i rifiuti, anche quelli umani. Passare dall’economia mortale,
14
R. Baldini, op. cit., p. 15.
“Nel crescere nominiamo le cose, le fissiamo nella memoria, le facciamo spiccare su uno R. Bodei, op. cit., p. 8. che tutto distrugge, all’economia secondaria che allunga la vita. Quella dei beni, non più
scenario dai tratti sfumati ed è solo la familiarità acquisita attraverso questi processi a 26 cose o merci, e quella delle persone, non più numeri ma genere umano. Baratto, mercatini,
15
permettere di orientarci e di dar loro un significato. Impariamo così a situarle in una mappa R. Baldini, op. cit., p. 25. mercatopoli, secondamano, swap party, isole ecologiche… sono le nuove forme per allungare
R. Baldini, pp. 19-21.
spaziale e temporale, a farne uso o a rinunciarvi, a comprarle o a venderle, a dar loro valore 27 la vita dei beni, possederne di meno e attivare relazioni fra le persone.
16
o a trascurarle, ad amarle, odiarle o rendercele indifferenti”14. R. Baldini, op. cit., p. 37. Ma si comincia già dalla materia prima seconda, che allunga la vita degli scarti di lavorazione
R. Bodei, op. cit., p. 12.
“Non c’entra il vivo o il non vivo, io con le cose mi arrabbio anche, quando una roba non 28 delle materie prime e dei materiali derivati dal recupero e dal riciclaggio dei rifiuti: vetro,
risponde, quando una cosa la metti in un posto e lei scivola giù, e tu la rimetti al suo posto, 17 carta, plastiche. Il rifiuto diventa risorsa economica, ma soltanto quando non c’è nient’altro
R. Baldini, op. cit., p. 27.
e lei scivola giù ancora (…) perché le cose anche loro hanno, come si può dire, sì, hanno una R. Baldini, op. cit., p. 51.
da fare. Ormai del resto non sappiamo più cosa fare, come comportarci di fronte al possesso.
29
loro personalità…”15. 18
R. Bodei, op. cit., p. 22. Allora l’economia secondaria sostituisce l’ausiliare avere con usare. Si afferma un nuovo
“Ma il malinteso di tutto dipende dalla mancata distinzione fra cosa e oggetto, parole che M. Recalcati, Ritratti del genere di consumatore, che non vuole rinunciare a nulla, se non al possesso: non compera.
il tempo ha confuso sia nel pensiero filosofico e sia nel senso comune. L’italiano cosa è la desiderio, Raffaello Cortina,
«Quello che è mio è tuo»: con questo sistema, il consumo collaborativo, le persone non
Milano 2012, pp. 12-13.
contrazione del latino causa, ossia di ciò che riteniamo talmente importante e coinvolgente acquistano ma scambiano, condividono, prestano: car-sharing, co-working, co-gardening...
da mobilitarci in sua difesa”16. 19 come avviene nei social network dove gli internauti si scambiano, condividono notizie,
“…tutta questa roba, che è la mia vita, qui c’è tutta la mia vita (…) tutto quello che io ho M. Recalcati, op. cit., p. 16. foto, video, interessi, amici, contatti personali. Anche questa è una transizione culturale
raccolto in una vita, i miei sentimenti, il mio mondo (…) e tutte queste cose volevo che 20 dall’economia dell’io all’economia del noi: il consumo vive di collettività, stimola nuovi
fossero come dei testimoni17. M. Recalcati, op. cit., p. 15 e comportamenti.
Ecco allora che ognuno di noi ha a disposizione numerosi oggetti (televisori, libri, mobili, p. 19. Ci ricorda ancora il protagonista de La Fondazione che “…non butto via niente tengo da
auto, computer…) e molti tra questi sono per noi delle cose, mentre la maggior parte 21 conto tutto, ma non è una passione, non è che sia tirato, che sia uno spilorcio […] è un
presumibilmente rimarranno oggetti dato che non avremo mai abbastanza tempo anche solo M. Douglas e B. Isherwood, istinto, di tenere da conto [...] può essere sbagliato, ma è il mio istinto, che secondo me […]
per utilizzarli tutti almeno una volta prima di acquistarne di nuovi. Il mondo delle cose, Il Mulino, è come la metempsicosi […] e io tutta questa roba che tengo da conto […] è per durare un
Ma nel momento in cui abbiamo fra le mani le cose, ecco che un nuovo desiderio ci prende, Bologna, 1984.
po’ di più, perché questa roba dura”25.
quello di cambiare e sostituire subito. L’uomo senza inconscio è l’uomo senza desideri, scrive 22 “…perché tenere da conto, conservare, è anche un regalo che fai alla società, alla gente, che
Massimo Recalcati nel suo ultimo libro18, condannato a perseguire un godimento improntato Dizionario Letterario, Natale, non capisce niente, la gente, lo so, ma è qualcosa che va fatto, è giusto farlo”26.
essenzialmente al consumo individualista, diventato inarrestabile e insoddisfatto. Una vera e Torino, Utet, 2007, pp. 1602-
A fronte allora del tempo del capitalismo, che è un tempo veloce improntato sul vettore
propria fede feticistica nei confronti degli oggetti, continua Recalcati, che ci porterebbero alla 1603.
produzione-consumo-rifiuto e orientato alla crescita economica, dettato dalla produttività
felicità e alla redenzione. La nostra società, epoca delle cose banali, ha stravolto il concetto 23 delle macchine, dal tasso di sostituzione delle merci, dall’innovazione tecnologica, dalla
di desiderio portandolo all’eccesso, al “godimento illimitato, sregolato, compulsivo”19. “è il R. Baldini, op. cit., p. 15.
creazione di bisogni – un tempo artefatto e non umano, costruito appositamente da quella
paradosso dell’iperedonismo del nostro tempo, che ci fa sentire finalmente liberi, ma questa “mano invisibile” che è il mercato – possiamo pensare in maniera più umana: …quando
libertà non è in grado di generare alcuna soddisfazione. è una libertà vuota, triste, infelice, vedo la roba che buttano via, che la lasciano lì, così, come niente, io la prendo su, gli do un
apaticamente vuota. L’ingorgo di oggetti (…) finisce per generare angoscia”20, e senso di senso a queste cose, un significato27, recuperare un tempo lento, basato sull’articolazione
colpa, un’angoscia, e quindi una paura, che sentiamo tutti in questo momento di grande di otto cambiamenti indipendenti che si rafforzano reciprocamente un circolo virtuoso di
crisi economica mondiale, ma dall’angoscia, dal buio profondo, dopo aver toccato il fondo, otto R: Rivalutare, Riconcettualizzare, Ristrutturare, Ridistribuire, Rilocalizzare, Ridurre,
spesso si risale. Scatta così il desiderio di liberare la nostra vita dal grasso superfluo: un Riutilizzare, Riciclare.
proposito fiacco, che serve ad alleviare la nostra cattiva coscienza solo per qualche istante21. Si può aggiungere che tutte queste azioni scaturiscono da una ulteriore R che sta sullo
Ma possiamo recuperare anche la voglia di rigenerarci, di donare, di progettare per il futuro. sfondo: la Ri-naturalizzazione della concezione del tempo in una visione circolare, attinente
Come dovrebbe essere per questo Natale che si avvicina. Il Natale, la festa più importante per a una lentezza che crea qualità e non quantità. La decrescita si pone come contrappeso alla
il Cristianesimo (e non solo), che ha fatto nascere tradizioni diverse (canti e rappresentazioni teoria economica dominante, ma fatica a prendere piede. Nonostante la conclamata agonia
popolari), ma anche, fra le più diffuse, lo scambio di doni e di oggetti utili o cibo22. Ma siamo del capitalismo, l’alternativa che abbia un suffisso privativo come caratterizzazione fa paura
proprio sicuri che tutti gli oggetti che doniamo e riceviamo a Natale sono utili? e richiede una trasformazione culturale, sociale e politica troppo lenta, anche per chi elogia
La roba cresce, sembra così, che io sono solo, va bene, consumo poco, dovrei consumare la lentezza.
poco, ma quello che viene fuori, è una crescita continua, ci dice ancora il bislacco protagonista Il tempo dell’animo umano è invece sospeso, un eterno presente in continua tensione fra
de La Fondazione23. passato e futuro, né veloce né lento, scandito da moti interiori che richiedono il loro tempo.
Del resto l’accumulazione è diventata, negli ultimi decenni, terziaria. Nel senso che ci siamo E allora riprendiamocela questa lentezza, soprattutto a Natale, “perché nella vita non si vive
riempiti di oggetti terzi, cose inutili, non solo a Natale, che non sono neppure buone da solo di cose materiali, ci vogliono anche quelle, per carità, ma ci sono anche i sentimenti,
mangiare. A credito comperiamo e accumuliamo, poi rifiutiamo e sprechiamo senza sosta. insomma quando vedi una cosa bella, anche tu dentro, in un certo senso, diventi più bello
E senza avere finito di pagare. Anche il cibo, cui diamo poco valore. Un ingorgo bulimico […] il lato estetico è che uno distingue, una cosa è bella, una cosa è brutta, una cosa ti piace,
anticipato e scontato, in tutti i sensi. Per mangiare, meno spendiamo in proporzione al nostro un’altra non ti piace”28. Riappropriamoci per davvero di quelle cose che “comprendono
reddito, meglio è. Anzi, ci consideriamo più ricchi e sviluppati. Almeno così crediamo. anche persone e ideali, e più in generale, tutto quello che ci interessa e ci sta a cuore”29.
è anche vero che il Natale è un periodo nel quale la normalità è come sospesa, un periodo
non a caso chiamato “magico” e che dei doni, degli oggetti, dei giocattoli ha fatto ormai
il suo slogan. Ma esiste anche un Natale delle piccole cose, il tempo della serenità, della
Rifiuto
dolcezza, del riposo dell’animo, della pace, delle gioie famigliari, del volersi bene. “Perfino
i manigoldi diventano buoni come agnelli. Lo chiamano Natale...”, ci ricorda Dino Buzzati Rifiuto dunque (non) sono. La civiltà moderna tende a rimuovere i rifiuti, fisicamente ma
in un racconto del 1969 intitolato Milano nostra. soprattutto mentalmente. È il rifiuto del rifiuto. Che poi ci porta a rifiutare, non solo le
Eppure si continua ad accumulare. “Trovare un nuovo impiego per un oggetto abbandonato “cose”, ma anche le persone: l’altro, il diverso, alla fine noi stessi.

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La rimozione mentale implica, a monte, la volontà di rinunciare alla consapevolezza del È vero che l’immondizia può diventare ricchezza: legale (eco-efficienza) e illegale (eco-
problema, uno dei principali in tutto il mondo. Infatti, molte persone non conoscono la mafia). Tuttavia è meglio agire a monte. In teoria il modello del buon governo dei rifiuti
quantità di rifiuti prodotta nei paesi industrializzati annualmente – ogni cittadino europeo è semplice. L’Unione europea lo ha riassunto in 4 R, infilate – come detto – secondo una
produce mediamente più di 500 kg di rifiuti urbani ogni anno – e l’impatto ambientale, precisa gerarchia. Al primo posto c’è la prevenzione attraverso il Risparmio delle materie
economico, sociale che ne deriva. Soprattutto non sanno che i rifiuti continuano ad aumentare prime. Poi viene il Riuso dei prodotti. Quindi il Riciclo degli oggetti. Da ultimo il Recupero
anche dove la loro gestione è molto migliorata, figuriamoci dove invece ciò non avviene: dell’energia contenuta negli oggetti. Insomma un terzo dei rifiuti può alimentare la macchina
come in Italia nel caso della Campania, dove il rifiuto si fiuta praticamente da sempre. del riciclo, un terzo può essere trasformato in energia con incenerimento o attraverso i
Ormai il nostro Paese, assieme ai tanti altri che una volta si (auto)definivano avanzati – processi di digestione anaerobica (che creano gas combustibili) e un terzo può finire in una
oggi probabilmente più nel senso letterale del termine: economie dove avanza troppo – discarica ben impermeabilizzata e monitorata.
assomiglia più che mai a una delle “Città invisibili” di Italo Calvino. Precisamente a Leonia, Insomma dobbiamo costruire quella “società del riciclaggio” che l’Unione europea pone
dove l’opulenza si misura dalle cose che ogni giorno vengono via per far posto alle nuove, come obiettivo strategico nel quadro di un impiego più efficiente delle risorse: occorre
“che più espelle roba – scriveva l’immaginifico e lungimirante Calvino quarant’anni fa – più essere dunque consapevoli che la gestione dei rifiuti mette in discussione tutto il sistema
ne accumula; le squame del suo passato si saldano in una corazza che non si può togliere; di produzione e di consumo della nostra società (Ecoscienza. Sostenibilità e controllo
rinnovandosi ogni giorno la città conserva tutta se stessa nella sola forma definitiva: quella ambientale, n.1, anno II, marzo 2011)
delle spazzature di ieri che s’ammucchiano sulle spazzature dell’altro ieri e di tutti i suoi Dalla società dell’usa e getta bisogna passare a quella dell’usa e riusa. L’uso delle risorse
giorni e anni e lustri” (Italo Calvino, Le città invisibili, Einaudi, Torino 1972). Un paese non dovrebbe essere soltanto una scelta etica ma anche razionale, scientifica. Se le risorse
in cui si consuma, si spreca più cibo di cui si ha bisogno, più risorse naturali di quelle che sono limitate e siamo sommersi dai rifiuti, i prodotti usa e getta devono lasciare il posto ai
servono, e si produce più immondizia, spazzatura e rifiuti di quelli che si riescono a smaltire, prodotti usa e riusa o eco-scomponibili, cioè l’evoluzione del prodotto eco-compatibile. Un
riciclare, recuperare. C’è da restar sbalorditi nel leggere di Leonia, niente affatto invisibile, approccio corretto della gestione dei rifiuti dovrebbe partire proprio da un’analisi dell’intero
che non riesce a respingere oltre i suoi confini le repellenti montagnole circostanti composte ciclo di vita dei prodotti, il life cycle assessment. Fin dalla progettazione si possono perseguire
dai resti abbandonati della civiltà quotidiana d’uso giornaliero, ed è in attesa di un immane la riduzioni di materiali, energia e pericolosità dei beni: è l’eco-design industriale, l’industrial
cataclisma. C’è molta Leonia in Italia e altrove nel mondo cosiddetto avanzato, sempre nel ecology.
senso letterale del termine. Dunque, possiamo affrontare il problema in due modi: il primo, più diffuso, è affermare
Non a caso fin dal 1975, riprendendo un indirizzo già formulato dall’Organizzazione per la che i rifiuti sono una conseguenza inevitabile del nostro sistema produttivo e dunque, non
cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), la gerarchia fissata dall’Unione europea per potendo (o non volendo) intervenire in maniera decisa per ridurli, bisogna capire come
la gestione dei rifiuti pone al primo posto la prevenzione, seguita dal riuso, dal riciclaggio e smaltirli. L’altro modo, che per fortuna è sempre più oggetto dell’attenzione generale,
da altre forme di recupero. Gerarchia obbligatoriamente ripresa in tutte le norme ambientali è la strategia Rifiuti Zero (Zero Waste Strategy). Perché – come dice il suo teorico Paul
degli stati membri, ma mai veramente applicata in questa forma, neppure nei paesi più Connet – il problema non è come eliminare i rifiuti ma semmai come evitare di produrli.
virtuosi. Nella strategia Rifiuti Zero si comincia con la raccolta porta e porta, che è solo il primo
Anche se la raccolta differenziata rappresenta ormai la base del riciclaggio, è sempre più fondamentale passaggio, ma c’è ben altro: i Centri di Ricerca sulla Riprogettazione del
complesso gestire l’aumentata eterogeneità di materiali molto diversi e difficili da trattare Prodotto Industriale e i Centri comunali per la Riparazione, Riuso e Decostruzione.
tutti insieme, per la presenza di sostanze pericolose e inquinanti. Il consumo delle risorse Per citare qualche esempio concreto, vicino e lontano, con il primo passo di Zero Waste
è inesorabilmente legato alla produzione di rifiuti. È impossibile fabbricare alcunché senza si sono già raggiunti, in molte città italiane, risultati più che significativi in termini di
lasciare tracce. Meno scorie si lasciano e più il processo produttivo è efficiente. In Italia la quantitativi di raccolta differenziata che superano il 90% e da questa riorganizzazione
produzione di rifiuti continua ad aumentare e non soltanto perché i rifiuti sono il rovescio dello smaltimento/trasformazione dei rifiuti sono sorti già nuovi posti di lavoro e piccole
della produzione: aumentano se questa aumenta. Con i prodotti aumentano anche gli forme di autoimprenditorialità. Altro esempio viene dall’Oregon, dove è nata la Zero Waste
imballaggi, le confezioni, che spesso valgono di più del bene stesso e non sono consumabili. Alliance, associazione pubblico/privata che ha lo scopo di studiare casi di produzione
Pensiamo a un profumo: spesso la confezione, che gettiamo via immediatamente nonostante sostenibile, diffonderli attraverso l’Accademia Zero Waste, supportare azioni di educazione
la sua “bellezza”, costa di più del profumo stesso. Eppure non ce ne facciamo nulla. e di marketing sul riuso e compostaggio, formare manager e coinvolgere a 360° le aziende
I consumatori maturi non fanno i pignoli quando si tratta di relegare gli oggetti nella spazzatura, che applicano questa formula. Il successivo passaggio consiste nel riciclare e inserire
di regola accettano la brevità di vita delle cose e la loro fine prestabilita con serenità, spesso correttamente sul mercato i prodotti del riciclo, supportare la ricerca tecnica e logistica,
con piacere appena dissimulato, in qualche caso con autentica gioia, celebrandola come una creare conoscenza attraverso corsi universitari con lo scopo di diffondere un clima creativo e
vittoria. I più abili sanno che liberarsi delle cose che hanno superato la loro data-limite di una cultura ecologica tra i cittadini e, di conseguenza, nell’economia. Così i rifiuti diventano
utilizzo è un evento di cui rallegrarsi. Per i maestri dell’arte consumistica il valore di ogni risorse economiche e non costi. I costi della produzione di scarti non devono ricadere sulle
oggetto non sta tanto nella sua virtù, quanto nei suoi limiti. In una società dell’eccesso e dello comunità. Gli imballaggi ad esempio sono responsabili del 40% del peso dei rifiuti solidi
sperpero, raggiungere una situazione più equilibrata significa rivedere non un solo aspetto, urbani prodotti e del 55% del loro volume. Sono la frazione più consistente, in aumento
ma prendere iniziative riguardo a tutte le fasi del ciclo di produzione, consumo e gestione ed eterogenea, per questo dovrebbero essere usati solo in caso di stretta necessità, ripensati
dei rifiuti. Perciò è indispensabile che i consumatori siano più consapevoli e ripensino i loro nella riusabilità e decomponibilità. In quest’ottica sono quattro le strategie proposte per
stili di vita. eliminare gli imballaggi: utilizzare l’acqua del rubinetto, vendere direttamente i prodotti alla
Il mercato finalizzato al profitto cerca di far moltiplicare gli acquisti dei consumatori. Un spina, non usare le borse di plastica per la spesa, rendere obbligatorio il “vuoto a rendere”,
modo per farlo è accorciare la vita dei prodotti. Le automobili di oggi durano molto meno di usare imballaggi completamente biodegradabili e realizzati con biomasse. Dunque lo scarto
quelle di una volta. E comunque poi vengono rottamate, dando degli incentivi. È così anche come risorsa e riutilizzo di ogni parte di prodotto che possa essere recuperata. In questo
per molti altri beni, come i vestiti e le scarpe che la moda spinge ogni anno a rinnovare. Poi modo possiamo diffondere la cultura del prodotto da migliorare affinché lo scarto o il rifiuto
ci sono i computer, sostituiti spesso per l’innovazione della tecnologia e dei programmi. diventino una percentuale sempre minore, addirittura inesistente. E poiché prima o poi tutti
Un’altra ragione del continuo aumento di rifiuti è che la vita è sempre più frenetica e la i prodotti, se non altro per deterioramento, diventano rifiuti, si deve pensare e produrre
gente acquista alimenti in porzioni già pronte, poi butta via una gran quantità di confezioni tutto con materiali il più possibile riassorbibili in un ciclo ininterrotto.
e imballaggi. Tutto ciò ha a monte un intenso lavoro industriale con immissione di scarti I rifiuti non sono dunque un problema tecnologico, sono un problema di strategia. Abbiamo
nell’ambiente (ossidi di azoto e zolfo, idrocarburi aromatici, polveri sottili, metalli pesanti), bisogno di migliorare l’organizzazione, l’educazione e la progettazione industriale.
e a valle un altro lavoro di trattamento dei rifiuti con ulteriori impatti ecologici. Le polveri e Insomma dobbiamo sapere come si originano e che fine fanno i prodotti che consumiamo o
le ceneri dei termovalorizzatori sono a loro volta classificate tra i rifiuti pericolosi. che semplicemente gettiamo via.

104 105
La rimozione mentale implica, a monte, la volontà di rinunciare alla consapevolezza del È vero che l’immondizia può diventare ricchezza: legale (eco-efficienza) e illegale (eco-
problema, uno dei principali in tutto il mondo. Infatti, molte persone non conoscono la mafia). Tuttavia è meglio agire a monte. In teoria il modello del buon governo dei rifiuti
quantità di rifiuti prodotta nei paesi industrializzati annualmente – ogni cittadino europeo è semplice. L’Unione europea lo ha riassunto in 4 R, infilate – come detto – secondo una
produce mediamente più di 500 kg di rifiuti urbani ogni anno – e l’impatto ambientale, precisa gerarchia. Al primo posto c’è la prevenzione attraverso il Risparmio delle materie
economico, sociale che ne deriva. Soprattutto non sanno che i rifiuti continuano ad aumentare prime. Poi viene il Riuso dei prodotti. Quindi il Riciclo degli oggetti. Da ultimo il Recupero
anche dove la loro gestione è molto migliorata, figuriamoci dove invece ciò non avviene: dell’energia contenuta negli oggetti. Insomma un terzo dei rifiuti può alimentare la macchina
come in Italia nel caso della Campania, dove il rifiuto si fiuta praticamente da sempre. del riciclo, un terzo può essere trasformato in energia con incenerimento o attraverso i
Ormai il nostro Paese, assieme ai tanti altri che una volta si (auto)definivano avanzati – processi di digestione anaerobica (che creano gas combustibili) e un terzo può finire in una
oggi probabilmente più nel senso letterale del termine: economie dove avanza troppo – discarica ben impermeabilizzata e monitorata.
assomiglia più che mai a una delle “Città invisibili” di Italo Calvino. Precisamente a Leonia, Insomma dobbiamo costruire quella “società del riciclaggio” che l’Unione europea pone
dove l’opulenza si misura dalle cose che ogni giorno vengono via per far posto alle nuove, come obiettivo strategico nel quadro di un impiego più efficiente delle risorse: occorre
“che più espelle roba – scriveva l’immaginifico e lungimirante Calvino quarant’anni fa – più essere dunque consapevoli che la gestione dei rifiuti mette in discussione tutto il sistema
ne accumula; le squame del suo passato si saldano in una corazza che non si può togliere; di produzione e di consumo della nostra società (Ecoscienza. Sostenibilità e controllo
rinnovandosi ogni giorno la città conserva tutta se stessa nella sola forma definitiva: quella ambientale, n.1, anno II, marzo 2011)
delle spazzature di ieri che s’ammucchiano sulle spazzature dell’altro ieri e di tutti i suoi Dalla società dell’usa e getta bisogna passare a quella dell’usa e riusa. L’uso delle risorse
giorni e anni e lustri” (Italo Calvino, Le città invisibili, Einaudi, Torino 1972). Un paese non dovrebbe essere soltanto una scelta etica ma anche razionale, scientifica. Se le risorse
in cui si consuma, si spreca più cibo di cui si ha bisogno, più risorse naturali di quelle che sono limitate e siamo sommersi dai rifiuti, i prodotti usa e getta devono lasciare il posto ai
servono, e si produce più immondizia, spazzatura e rifiuti di quelli che si riescono a smaltire, prodotti usa e riusa o eco-scomponibili, cioè l’evoluzione del prodotto eco-compatibile. Un
riciclare, recuperare. C’è da restar sbalorditi nel leggere di Leonia, niente affatto invisibile, approccio corretto della gestione dei rifiuti dovrebbe partire proprio da un’analisi dell’intero
che non riesce a respingere oltre i suoi confini le repellenti montagnole circostanti composte ciclo di vita dei prodotti, il life cycle assessment. Fin dalla progettazione si possono perseguire
dai resti abbandonati della civiltà quotidiana d’uso giornaliero, ed è in attesa di un immane la riduzioni di materiali, energia e pericolosità dei beni: è l’eco-design industriale, l’industrial
cataclisma. C’è molta Leonia in Italia e altrove nel mondo cosiddetto avanzato, sempre nel ecology.
senso letterale del termine. Dunque, possiamo affrontare il problema in due modi: il primo, più diffuso, è affermare
Non a caso fin dal 1975, riprendendo un indirizzo già formulato dall’Organizzazione per la che i rifiuti sono una conseguenza inevitabile del nostro sistema produttivo e dunque, non
cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), la gerarchia fissata dall’Unione europea per potendo (o non volendo) intervenire in maniera decisa per ridurli, bisogna capire come
la gestione dei rifiuti pone al primo posto la prevenzione, seguita dal riuso, dal riciclaggio e smaltirli. L’altro modo, che per fortuna è sempre più oggetto dell’attenzione generale,
da altre forme di recupero. Gerarchia obbligatoriamente ripresa in tutte le norme ambientali è la strategia Rifiuti Zero (Zero Waste Strategy). Perché – come dice il suo teorico Paul
degli stati membri, ma mai veramente applicata in questa forma, neppure nei paesi più Connet – il problema non è come eliminare i rifiuti ma semmai come evitare di produrli.
virtuosi. Nella strategia Rifiuti Zero si comincia con la raccolta porta e porta, che è solo il primo
Anche se la raccolta differenziata rappresenta ormai la base del riciclaggio, è sempre più fondamentale passaggio, ma c’è ben altro: i Centri di Ricerca sulla Riprogettazione del
complesso gestire l’aumentata eterogeneità di materiali molto diversi e difficili da trattare Prodotto Industriale e i Centri comunali per la Riparazione, Riuso e Decostruzione.
tutti insieme, per la presenza di sostanze pericolose e inquinanti. Il consumo delle risorse Per citare qualche esempio concreto, vicino e lontano, con il primo passo di Zero Waste
è inesorabilmente legato alla produzione di rifiuti. È impossibile fabbricare alcunché senza si sono già raggiunti, in molte città italiane, risultati più che significativi in termini di
lasciare tracce. Meno scorie si lasciano e più il processo produttivo è efficiente. In Italia la quantitativi di raccolta differenziata che superano il 90% e da questa riorganizzazione
produzione di rifiuti continua ad aumentare e non soltanto perché i rifiuti sono il rovescio dello smaltimento/trasformazione dei rifiuti sono sorti già nuovi posti di lavoro e piccole
della produzione: aumentano se questa aumenta. Con i prodotti aumentano anche gli forme di autoimprenditorialità. Altro esempio viene dall’Oregon, dove è nata la Zero Waste
imballaggi, le confezioni, che spesso valgono di più del bene stesso e non sono consumabili. Alliance, associazione pubblico/privata che ha lo scopo di studiare casi di produzione
Pensiamo a un profumo: spesso la confezione, che gettiamo via immediatamente nonostante sostenibile, diffonderli attraverso l’Accademia Zero Waste, supportare azioni di educazione
la sua “bellezza”, costa di più del profumo stesso. Eppure non ce ne facciamo nulla. e di marketing sul riuso e compostaggio, formare manager e coinvolgere a 360° le aziende
I consumatori maturi non fanno i pignoli quando si tratta di relegare gli oggetti nella spazzatura, che applicano questa formula. Il successivo passaggio consiste nel riciclare e inserire
di regola accettano la brevità di vita delle cose e la loro fine prestabilita con serenità, spesso correttamente sul mercato i prodotti del riciclo, supportare la ricerca tecnica e logistica,
con piacere appena dissimulato, in qualche caso con autentica gioia, celebrandola come una creare conoscenza attraverso corsi universitari con lo scopo di diffondere un clima creativo e
vittoria. I più abili sanno che liberarsi delle cose che hanno superato la loro data-limite di una cultura ecologica tra i cittadini e, di conseguenza, nell’economia. Così i rifiuti diventano
utilizzo è un evento di cui rallegrarsi. Per i maestri dell’arte consumistica il valore di ogni risorse economiche e non costi. I costi della produzione di scarti non devono ricadere sulle
oggetto non sta tanto nella sua virtù, quanto nei suoi limiti. In una società dell’eccesso e dello comunità. Gli imballaggi ad esempio sono responsabili del 40% del peso dei rifiuti solidi
sperpero, raggiungere una situazione più equilibrata significa rivedere non un solo aspetto, urbani prodotti e del 55% del loro volume. Sono la frazione più consistente, in aumento
ma prendere iniziative riguardo a tutte le fasi del ciclo di produzione, consumo e gestione ed eterogenea, per questo dovrebbero essere usati solo in caso di stretta necessità, ripensati
dei rifiuti. Perciò è indispensabile che i consumatori siano più consapevoli e ripensino i loro nella riusabilità e decomponibilità. In quest’ottica sono quattro le strategie proposte per
stili di vita. eliminare gli imballaggi: utilizzare l’acqua del rubinetto, vendere direttamente i prodotti alla
Il mercato finalizzato al profitto cerca di far moltiplicare gli acquisti dei consumatori. Un spina, non usare le borse di plastica per la spesa, rendere obbligatorio il “vuoto a rendere”,
modo per farlo è accorciare la vita dei prodotti. Le automobili di oggi durano molto meno di usare imballaggi completamente biodegradabili e realizzati con biomasse. Dunque lo scarto
quelle di una volta. E comunque poi vengono rottamate, dando degli incentivi. È così anche come risorsa e riutilizzo di ogni parte di prodotto che possa essere recuperata. In questo
per molti altri beni, come i vestiti e le scarpe che la moda spinge ogni anno a rinnovare. Poi modo possiamo diffondere la cultura del prodotto da migliorare affinché lo scarto o il rifiuto
ci sono i computer, sostituiti spesso per l’innovazione della tecnologia e dei programmi. diventino una percentuale sempre minore, addirittura inesistente. E poiché prima o poi tutti
Un’altra ragione del continuo aumento di rifiuti è che la vita è sempre più frenetica e la i prodotti, se non altro per deterioramento, diventano rifiuti, si deve pensare e produrre
gente acquista alimenti in porzioni già pronte, poi butta via una gran quantità di confezioni tutto con materiali il più possibile riassorbibili in un ciclo ininterrotto.
e imballaggi. Tutto ciò ha a monte un intenso lavoro industriale con immissione di scarti I rifiuti non sono dunque un problema tecnologico, sono un problema di strategia. Abbiamo
nell’ambiente (ossidi di azoto e zolfo, idrocarburi aromatici, polveri sottili, metalli pesanti), bisogno di migliorare l’organizzazione, l’educazione e la progettazione industriale.
e a valle un altro lavoro di trattamento dei rifiuti con ulteriori impatti ecologici. Le polveri e Insomma dobbiamo sapere come si originano e che fine fanno i prodotti che consumiamo o
le ceneri dei termovalorizzatori sono a loro volta classificate tra i rifiuti pericolosi. che semplicemente gettiamo via.

104 105
Allora nel capitolo prevenzione, a monte di tutto cioè, andrebbero eliminati o quantomeno Il piacere del consumo e il consumo del piacere
ridotti gli sprechi inutili. Anche quelli di cibo, che invece aumentano: per dire in un anno
(2009) le perdite lungo la filiera agroalimentare dell’Italia sono ammontate a 20 milioni di
tonnellate. Trasformate in nutrienti significa l’equivalente per alimentare una popolazione di
44 milioni di persone, in valore sono 37 miliardi di euro per non dire dell’impatto ambientale, Luciano Semerani
economico e sociale di questo spreco. Abbiamo consumato risorse (suolo, acqua, lavoro,
mezzi tecnici…) per produrre, trasformare e distribuire gli alimenti che poi non vengono
consumati. E per smaltirli dobbiamo consumare altre risorse. (Il libro nero dello spreco. Il
cibo, a cura di Andrea Segrè e Luca Falasconi, Edizioni Ambiente, Milano 2011).
Assurdo, certamente. Però vale la pena promuovere il recupero di queste eccedenze perché lo La regola, in una lezione accademica, vorrebbe che in primo luogo i due termini “piacere”
spreco, ciò che si getta via inutilmente, si può trasformare in risorsa, almeno per qualcuno. I e “consumo” trovassero nell’introduzione una precisa definizione.
prodotti invenduti possono essere considerati infatti come una potenziale offerta di prodotti. Ma poiché io desidero qui parlare del rapporto che l’arte e l’architettura hanno col desiderio
Così come, dall’altra parte, esiste – e cresce – una domanda inespressa proprio per quegli e col piacere, e non solo col consumo, e dell’autenticità o meno del desiderio e del piacere,
stessi prodotti. Pensiamo solo agli indigenti, i poveri: consumatori senza potere di acquisto. che influisce sull’autenticità delle stesse opere d’arte, mi permetto di dire solo che resta
Ecco un ossimoro: lo spreco utile. Ciò che per tanti è abbondanza, e quindi spreco, per sempre valida la distinzione tra “beni” e “merci” ed è che è quando diventa “merce” che
qualcun altro è scarsità e quindi opportunità. Lo spreco può dunque trasformarsi veramente l’opera d’arte perde quella forza espressiva e quell’energia che danno “vitalità” alle forme.
in risorsa. Ma soprattutto può diventare il paradigma di una nuova società che si fonda sulle Esse solo per questo, per essere nate dal desiderio e dal piacere, superano le ingiurie del
relazioni fra le persone. Fra chi dona un’eccedenza (tipicamente un’impresa) e chi la riceve tempo, attraversano le mode, restano per sempre “dentro” di noi.
(un ente caritativo). Due mondi – le imprese for profit e gli enti no profit – apparentemente “I girasoli” di Van Gogh, ma in fondo tutti quadri di Van Gogh, sono vortici di energia
lontani e antitetici. Eppure la relazione donatore-beneficiario va oltre il bene recuperato. depositata sulla tela.
Anzi è proprio il bene recuperato il mezzo che stimola la relazione diretta fra chi dona e Le “composizioni” di Kandinskij, le curve e le sfere, che si attraggono e si scontrano come i
chi riceve. Un sistema di recupero dei beni invenduti che coniuga, per davvero, solidarietà pianeti e le comete nello spazio, sono segni universali capaci di creare degli “stati d’animo”.
(più aiuti) con sostenibilità (meno rifiuti). Più aiuti meno rifiuti significa anche prolungare Trascolorano quando si sovrappongono, cambiano colore dopo ogni incontro.
la vita dei beni e vuol dire anche allungare quella di chi li utilizza: cestinare e distruggere i Dove nasceva l’energia che è congelata dentro forme inventate cent’anni fa?
prodotti prima del loro uso o della loro fine naturale è un po’ come farli morire, e con loro Anche per l’architettura di oggi, i grattacieli della “società dei consumi”, le banane di Jean
eliminare le persone che invece potrebbero consumarli (Andrea Segrè, Last Minute Market. Nouvel, i cartocci di Frank Gehry, le torri pendenti di Libeskind noi sappiamo solo dire che
La banalità del bene e altre storie contro lo spreco, Pendragon, Bologna 2010). sono “business” o troviamo alla fine, con nostra sorpresa, che anche in questi “capricci”,
Così la premessa di un prolungamento della vita un oggetto o di uno strumento – per passare anche in questa sorta di effimero “barocco” è racchiusa una nuova forma di energia?
ai beni non alimentari – diventa l’attenzione verso il suo stato: in molti casi la manutenzione Ad esempio nelle grandissime “uova pasquali”, straripanti dentro le reti di diagonali
vuol dire riparazione. Riparazione che vuol dire uscire dalla società dell’usa e getta, incrociate, luccicanti di giorno e di notte come la carta stagnola, incombenti, prepotenti,
dalla sua logica. Tuttavia riparare un oggetto vuol dire conoscerlo a fondo, sapere come esibizione dell’equilibrio raggiunto tra la “forza” generata dalla pressione interna della
funziona, saperci mettere le mani dentro, trovare o disporre delle parti che richiedono una “massa” e la “resistenza del guscio” c’è un valore che va oltre la meraviglia?
sostituzione. Stiamo perdendo queste conoscenze e abilità. Dobbiamo invece modernizzare “L’Uovo”, “la Saetta”, “Una sequenza di petali o di gusci di conchiglia”, giganteschi nello
l’uomo artigiano (Richard Sennett, L’uomo artigiano, Feltrinelli, Milano 2008): le modalità sky-line di Londra, di Sidney, di Roma, non dei portacenere o dei calamai, sono segni
di un approccio al lavoro dove si intravede un’alternativa radicale alla spersonalizzazione e emersi da un inconscio collettivo o sono solo, come vuol far credere qualche volta Frank
allo svuotamento dell’attività lavorativa, alle sue merci e al loro consumo. Gehry, giocattoli fuori scala del “Paese di Alice”?
Allora anche il rifiuto potrebbe diventare – solo a volerlo – relazione e lavoro: un modo per Che potrebbe anche essere un’acquisizione all’Architettura del mondo “dada”, o
allungare la vita dei beni, dell’ambiente che ci circonda e, in fondo, di noi stessi. del “surrealismo” o persino una conquista nuova per l’Architettura, dopo un secolo
d’Astrattismo il ritorno al Figurativo.
Ma non è detto che sempre sia così.
Questo per dire che una teoria dell’architettura non discende dalla verità di un ideale
dell’architettura ma è il risultato di un riscontro nella prassi della verità delle opere.
Importante è cogliere l’energia depositata dagli artisti nelle loro opere compiute.
L’oggetto di questa energia è la struttura interna, nascosta dentro i primi segni, i primi
modelli, il desiderio di “esserci” che è nell’opera di cui viene operato un “disvelamento”.
Un lavoro che costa fatica, fisica ed intellettuale, che richiede una visione del mondo, ma
anche richiede l’“esperienza” degli “artifici” propri ad ogni singola “arte”, perché con essi
si va “verso dentro” e si può sperare di raggiungere “l’autenticità”.
Un progetto che si propone solo “l’originalità”, che risponde ad un “desiderio” effimero
di “sorprendere”probabilmente ha successo ma non attinge al fondo delle risorse che
abbiamo a disposizione.
Se, come sosteneva Freud, è dall’illusoria realizzazione del desiderio che nasce la
rappresentazione artistica, se da lì ripartendo Derrida ha sostenuto che non esiste
motivazione più profonda del nostro agire se non il desiderio della bellezza, se infine
questa bellezza si manifesta nel mondo delle forme e se le forme sono quelle dei corpi
che si muovono nello spazio possiamo anche pensare che in ultima analisi l’opera d’arte
nasconde al suo interno una potente dimensione erotica di cui le linee, le superfici, i
materiali, ancor più che le immagini, sono una proiezione metaforica.
La scienza fa discendere dal portentoso aumento delle capacità cognitive che fece seguito
alla scoperta della “scrittura”, sistema simbolico di comunicazione, le opere architettoniche,

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Allora nel capitolo prevenzione, a monte di tutto cioè, andrebbero eliminati o quantomeno Il piacere del consumo e il consumo del piacere
ridotti gli sprechi inutili. Anche quelli di cibo, che invece aumentano: per dire in un anno
(2009) le perdite lungo la filiera agroalimentare dell’Italia sono ammontate a 20 milioni di
tonnellate. Trasformate in nutrienti significa l’equivalente per alimentare una popolazione di
44 milioni di persone, in valore sono 37 miliardi di euro per non dire dell’impatto ambientale, Luciano Semerani
economico e sociale di questo spreco. Abbiamo consumato risorse (suolo, acqua, lavoro,
mezzi tecnici…) per produrre, trasformare e distribuire gli alimenti che poi non vengono
consumati. E per smaltirli dobbiamo consumare altre risorse. (Il libro nero dello spreco. Il
cibo, a cura di Andrea Segrè e Luca Falasconi, Edizioni Ambiente, Milano 2011).
Assurdo, certamente. Però vale la pena promuovere il recupero di queste eccedenze perché lo La regola, in una lezione accademica, vorrebbe che in primo luogo i due termini “piacere”
spreco, ciò che si getta via inutilmente, si può trasformare in risorsa, almeno per qualcuno. I e “consumo” trovassero nell’introduzione una precisa definizione.
prodotti invenduti possono essere considerati infatti come una potenziale offerta di prodotti. Ma poiché io desidero qui parlare del rapporto che l’arte e l’architettura hanno col desiderio
Così come, dall’altra parte, esiste – e cresce – una domanda inespressa proprio per quegli e col piacere, e non solo col consumo, e dell’autenticità o meno del desiderio e del piacere,
stessi prodotti. Pensiamo solo agli indigenti, i poveri: consumatori senza potere di acquisto. che influisce sull’autenticità delle stesse opere d’arte, mi permetto di dire solo che resta
Ecco un ossimoro: lo spreco utile. Ciò che per tanti è abbondanza, e quindi spreco, per sempre valida la distinzione tra “beni” e “merci” ed è che è quando diventa “merce” che
qualcun altro è scarsità e quindi opportunità. Lo spreco può dunque trasformarsi veramente l’opera d’arte perde quella forza espressiva e quell’energia che danno “vitalità” alle forme.
in risorsa. Ma soprattutto può diventare il paradigma di una nuova società che si fonda sulle Esse solo per questo, per essere nate dal desiderio e dal piacere, superano le ingiurie del
relazioni fra le persone. Fra chi dona un’eccedenza (tipicamente un’impresa) e chi la riceve tempo, attraversano le mode, restano per sempre “dentro” di noi.
(un ente caritativo). Due mondi – le imprese for profit e gli enti no profit – apparentemente “I girasoli” di Van Gogh, ma in fondo tutti quadri di Van Gogh, sono vortici di energia
lontani e antitetici. Eppure la relazione donatore-beneficiario va oltre il bene recuperato. depositata sulla tela.
Anzi è proprio il bene recuperato il mezzo che stimola la relazione diretta fra chi dona e Le “composizioni” di Kandinskij, le curve e le sfere, che si attraggono e si scontrano come i
chi riceve. Un sistema di recupero dei beni invenduti che coniuga, per davvero, solidarietà pianeti e le comete nello spazio, sono segni universali capaci di creare degli “stati d’animo”.
(più aiuti) con sostenibilità (meno rifiuti). Più aiuti meno rifiuti significa anche prolungare Trascolorano quando si sovrappongono, cambiano colore dopo ogni incontro.
la vita dei beni e vuol dire anche allungare quella di chi li utilizza: cestinare e distruggere i Dove nasceva l’energia che è congelata dentro forme inventate cent’anni fa?
prodotti prima del loro uso o della loro fine naturale è un po’ come farli morire, e con loro Anche per l’architettura di oggi, i grattacieli della “società dei consumi”, le banane di Jean
eliminare le persone che invece potrebbero consumarli (Andrea Segrè, Last Minute Market. Nouvel, i cartocci di Frank Gehry, le torri pendenti di Libeskind noi sappiamo solo dire che
La banalità del bene e altre storie contro lo spreco, Pendragon, Bologna 2010). sono “business” o troviamo alla fine, con nostra sorpresa, che anche in questi “capricci”,
Così la premessa di un prolungamento della vita un oggetto o di uno strumento – per passare anche in questa sorta di effimero “barocco” è racchiusa una nuova forma di energia?
ai beni non alimentari – diventa l’attenzione verso il suo stato: in molti casi la manutenzione Ad esempio nelle grandissime “uova pasquali”, straripanti dentro le reti di diagonali
vuol dire riparazione. Riparazione che vuol dire uscire dalla società dell’usa e getta, incrociate, luccicanti di giorno e di notte come la carta stagnola, incombenti, prepotenti,
dalla sua logica. Tuttavia riparare un oggetto vuol dire conoscerlo a fondo, sapere come esibizione dell’equilibrio raggiunto tra la “forza” generata dalla pressione interna della
funziona, saperci mettere le mani dentro, trovare o disporre delle parti che richiedono una “massa” e la “resistenza del guscio” c’è un valore che va oltre la meraviglia?
sostituzione. Stiamo perdendo queste conoscenze e abilità. Dobbiamo invece modernizzare “L’Uovo”, “la Saetta”, “Una sequenza di petali o di gusci di conchiglia”, giganteschi nello
l’uomo artigiano (Richard Sennett, L’uomo artigiano, Feltrinelli, Milano 2008): le modalità sky-line di Londra, di Sidney, di Roma, non dei portacenere o dei calamai, sono segni
di un approccio al lavoro dove si intravede un’alternativa radicale alla spersonalizzazione e emersi da un inconscio collettivo o sono solo, come vuol far credere qualche volta Frank
allo svuotamento dell’attività lavorativa, alle sue merci e al loro consumo. Gehry, giocattoli fuori scala del “Paese di Alice”?
Allora anche il rifiuto potrebbe diventare – solo a volerlo – relazione e lavoro: un modo per Che potrebbe anche essere un’acquisizione all’Architettura del mondo “dada”, o
allungare la vita dei beni, dell’ambiente che ci circonda e, in fondo, di noi stessi. del “surrealismo” o persino una conquista nuova per l’Architettura, dopo un secolo
d’Astrattismo il ritorno al Figurativo.
Ma non è detto che sempre sia così.
Questo per dire che una teoria dell’architettura non discende dalla verità di un ideale
dell’architettura ma è il risultato di un riscontro nella prassi della verità delle opere.
Importante è cogliere l’energia depositata dagli artisti nelle loro opere compiute.
L’oggetto di questa energia è la struttura interna, nascosta dentro i primi segni, i primi
modelli, il desiderio di “esserci” che è nell’opera di cui viene operato un “disvelamento”.
Un lavoro che costa fatica, fisica ed intellettuale, che richiede una visione del mondo, ma
anche richiede l’“esperienza” degli “artifici” propri ad ogni singola “arte”, perché con essi
si va “verso dentro” e si può sperare di raggiungere “l’autenticità”.
Un progetto che si propone solo “l’originalità”, che risponde ad un “desiderio” effimero
di “sorprendere”probabilmente ha successo ma non attinge al fondo delle risorse che
abbiamo a disposizione.
Se, come sosteneva Freud, è dall’illusoria realizzazione del desiderio che nasce la
rappresentazione artistica, se da lì ripartendo Derrida ha sostenuto che non esiste
motivazione più profonda del nostro agire se non il desiderio della bellezza, se infine
questa bellezza si manifesta nel mondo delle forme e se le forme sono quelle dei corpi
che si muovono nello spazio possiamo anche pensare che in ultima analisi l’opera d’arte
nasconde al suo interno una potente dimensione erotica di cui le linee, le superfici, i
materiali, ancor più che le immagini, sono una proiezione metaforica.
La scienza fa discendere dal portentoso aumento delle capacità cognitive che fece seguito
alla scoperta della “scrittura”, sistema simbolico di comunicazione, le opere architettoniche,

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artistiche e letterarie realizzate negli ultimi millenni in Oriente e in Occidente. essere Architettura era quella di continuare a rappresentare se stessa, le sue proprie figure
Ma “i processi evolutivi biologici che avevano determinato l’insorgenza di nuove canoniche, archi, colonne, trabeazioni.
circonvoluzioni del cervello umano e posto le basi per l’evoluzione culturale non Quando per noi come per i pittori, i poeti, i musici non è stato più possibile motivare
influirono in ugual misura sullo sviluppo strutturale e funzionale di componenti arcaiche le scelte formali con la natura del “soggetto” si sono aperti gli sconfinati orizzonti
delle circonvoluzioni cerebrali e di una costellazione di nuclei subcorticali, connessi gli dell’indicibile, la “metafisica” appunto, oppure i territori aridi dell’urbanistica intesa come
uni agli altri in un intricato sistema di circuiti bidirezionali noto come sistema limbico”. “igiene urbano”.
(R. Levi Montalcini, “Elogio dell’imperfezione”, pag. 261, Dalai ed. PD 2011). Noi sappiamo che l’icona per antonomasia dell’arte astratta è il “Quadrato nero su fondo
è il “limbo”, il “circuito dell’emozione”, come lo definisce l’anatomo americano Papez, che bianco” al quale è giunto quasi per caso Malević con la scenografia del III atto della
“assolve, nella nostra specie, agli stessi compiti di vitale importanza per la perpetuazione “Vittoria sul sole”. Il “Quadrato nero” richiama la nozione di “limite” così come esso è
della specie e la sopravvivenza dei singoli, che svolge nelle altre specie dei vertebrati”. inteso nel calcolo infinitesimale.
(R.L.M.) La scomparsa del “Sole” è un parallelo dell’eliminazione del “Chiaro di luna” profetizzato
Nel “limbo” quindi sta quell’“Eros” di cui le linee, le superfici, i materiali, e non solo le dai futuristi, e non poteva trovare altra conclusione che una finestra nera.
immagini dell’arte figurativa, sono una proiezione metaforica. Ma con gli anni questo “Quadrato” si era trovato in compagnia di cerchi, croci dritte e
Insomma, io penso che, proprio perché è destinata a suscitare in molti modi la sublimazione sbilenche, fasci di linee, superfici piane e curve plananti.
del piacere, l’arte, ovvero l’invenzione artistica, attraversando le aree corticali, devolute Quella “Suprematista” è stata fede e non solo in una ricerca, il “Quadrato nero” è un’icona.
alle più nobili attività cognitive, attinge nella “componente arcaica” della nostra “psiche” Pochi anni dopo la messa in scena de “La vittoria sul sole” e la conquista del “Quadrato
quelle “forze” misteriose e quella “energia” sopita che distingue l’opera d’arte riuscita nero su fondo bianco”, nel 1918, Josef Albers riceve l’incarico di realizzare una vetrata
dalle opere che sono prodotte solamente dall’erudizione o dal “piacere del consumo”. piombata a colori.
Dalle sorgenti “emotive” del sistema limbico forse vengono alle “linee”, ai “punti”, L’opera ha un nome fatidico “Rosa mystica ora pro nobis”.
alle “superfici”, ai “colori” e agli “spazi” ben più grandi possibilità di esprimere “stati Albers, che passa alla storia come un secondo grande “Maestro del Quadrato” e come uno
d’animo”, “caratteri”, “tonalità”, “immagini” ma anche “idee”. studioso delle relazioni tra le forme e i colori, è profondamente cattolico.
è stato scritto che è l’arte che genera le idee e non viceversa. Albers spiega che nella percezione visuale un colore non è quasi mai visto come esso è
La diversa forza ed il diverso prorompere dell’energia racchiuse nelle diverse linee, nelle realmente in termini fisici, lo stesso colore evoca innumerevoli letture, c’è una assoluta
diverse forme, nei diversi tipi di spazialità sono dati dalla liberazione che noi ne realizziamo discrepanza tra fatto fisico ed effetto psichico, il “vedere” implica avere una “visione del
con la fusione alchemica che avviene dentro l’opera. mondo”.
La questione non è irrilevante perché altre sono state le spiegazioni che sono state date nel A questo punto la “geometria”, intesa come evocazione/costruzione dell’oggetto e non,
XX secolo in ordine al fenomeno dell’arte astratta: quella metafisica da una parte, quella all’opposto come descrizione del reale, viene raggiunta da una nuova compagnia: la
fisiologica dall’altra. “percezione”, oggetto della ricerca scientifica, nell’ambito della “Psicologia della forma”,
Come tutti sanno, all’incirca cento anni fa l’arte figurativa ha perso la “figuratività”. essa produce l’inventario degli effetti ottici e dei meccanismi associativi propri dell’occhio
L’arte così detta “astratta” si è liberata dalla dipendenza dal “verosimile”, che era stato per e di un cervello umano che come una macchina è esonerato da ogni attività “poetica”,
secoli il suo biglietto da visita. “evocativa”, “simbolica”. Dell’architettura partendo anche qui da un approccio, visivo e
Il “verosimile” inoltre era per lo più la rappresentazione del “soggetto” oggetto della concettuale ad un tempo, si scopre la “trasparenza fenomenica”.
rappresentazione ed i critici e storici dell’arte si sono occupati molto del “soggetto”, di cui A partire da Gyorgy Kepes, proseguendo con Rowe e Slutzsky e infine Hoesli, la
era facile descrivere il genere, l’uso sociale, l’origine e la destinazione, poco dell’essenza trasparenza fenomenica è stata definita come una costruzione di piani “in grado di
formale dell’oggetto. interprenetarsi senza una reciproca distruzione ottica”.
I porcaccioni si potevano portare una donna nuda, ovviamente sotto specie di statua o Il confronto operato da Rudolf Arnheim tra tre diverse sovrapposizioni di quadrati
dipinto, nella stanza da letto. E questo era il “Nudo”. evidenzia come “la sovrapposizione delle forme è un prerequisito della trasparenza, ma
I mistici si rispecchiavano nel tormento del Cristo, o di un Santo. E questa era “L’arte (essa) è una condizione necessaria e non sufficiente”.
sacra”. L’attrazione suscitata da una composizione astratta, in questo caso la sua ambiguità,
I mercanti si facevano ritrarre da soli, o con la famiglia al completo, pieni di una dignità o se vogliamo, la sua capacità di sollecitare l’attività mentale dell’osservatore deriva
non da tutti riconosciuta ma che veniva lasciata come monito agli eredi, di pari passo con dalla sorpresa e dal riorientamento delle aspettative di lettura dello spazio preesistenti
i beni accumulati. E questo era il “Ritratto”. nell’esperienza dell’osservatore.
Tutto ad un tratto tutto questo è sparito. In altre parole anche nell’architettura di Le Corbusier, come nella pittura di Léger, non
Malević, Kandinskij, Klee hanno affermato che era stata raggiunta una nuova “iconicità”. sono i reticoli spaziali dei piani sovrapposti e contrapposti che garantiscono la ricchezza
Di questa conquista sono state date nel tempo, dagli artisti stessi, due diverse interpretazioni. dell’opera ma bensì, come scrivono Slutzsky e Rowe a proposito della Villa Stein, è
La prima “metafisica”, cioè “spirituale”. necessario assistere ad “una continua dialettica tra realtà e sottinteso. La realtà di uno spazio
La seconda “fisiologica”, nata con lo studio dei “fenomeni percettivi”. che si estende in profondità si oppone continuamente ad una intuitiva consapevolezza
Io propendo per una sintesi delle due per quello che probabilmente è il flusso continuo delle di uno spazio privo di estensione, e per via della risultante tensione, letture diverse si
relazioni tra la zona “arcaica” e quella “evoluta”del cervello all’interno di un linguaggio susseguono necessarie. Le cinque stratificazioni spaziali che dividono verticalmente il
che non dispone di segni analoghi a quelli dell’“alfabeto” disposti in modo da costituire volume dell’edificio, e le quattro che lo tagliano orizzontalmente, tutte, alternativamente,
“parole” e queste organizzate da “grammatica” e “sintassi” in modo da raggiungere un richiederanno attenzione, e questa concezione dello spazio come successione di reticoli si
“senso” nelle cose. risolverà, poi, in un continuo fluttuare di interpretazioni”.
Il fatto che per millenni l’uomo abbia comunicato solo attraverso le “figure” e che l’alfabeto è a questo punto che è nato anche nell’insegnamento dell’architettura l’interesse per la
stesso sia stato conquistato solo dopo, attraverso la “riduzione di figure ideogrammatiche “topologia” dentro la struttura compositiva, e cioè la rivalutazione dell’importanza della
o morfemiche” a segni singolari precisamente pertinenti ad oggetti o concetti, ha posizione nello spazio dei segni agli effetti della costruzione del “discorso”.
indubbiamente influito su quella che è stata una sottovalutazione del linguaggio delle Liberiamoci però di un equivoco che trasferisce all’arte quell’idea di una “progressiva
forme, dei colori, delle linee, delle superfici e dello spazio rispetto al linguaggio scritto e conquista di risultati più avanzati” che è propria del mondo della produzione scientifica, che
parlato. è propria del mondo della tecnologia industriale, e che si basa sul mito dell’“innovazione”.
Gli uomini hanno comunque continuato a dipingere, a suonare strumenti, ad alzare L’innovazione va “verso dentro” l’esercizio del linguaggio, non va “verso avanti” o “verso
travi su pilastri, a voltare spazi, ma la sola forza che consentiva anche alle architetture di indietro”.

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artistiche e letterarie realizzate negli ultimi millenni in Oriente e in Occidente. essere Architettura era quella di continuare a rappresentare se stessa, le sue proprie figure
Ma “i processi evolutivi biologici che avevano determinato l’insorgenza di nuove canoniche, archi, colonne, trabeazioni.
circonvoluzioni del cervello umano e posto le basi per l’evoluzione culturale non Quando per noi come per i pittori, i poeti, i musici non è stato più possibile motivare
influirono in ugual misura sullo sviluppo strutturale e funzionale di componenti arcaiche le scelte formali con la natura del “soggetto” si sono aperti gli sconfinati orizzonti
delle circonvoluzioni cerebrali e di una costellazione di nuclei subcorticali, connessi gli dell’indicibile, la “metafisica” appunto, oppure i territori aridi dell’urbanistica intesa come
uni agli altri in un intricato sistema di circuiti bidirezionali noto come sistema limbico”. “igiene urbano”.
(R. Levi Montalcini, “Elogio dell’imperfezione”, pag. 261, Dalai ed. PD 2011). Noi sappiamo che l’icona per antonomasia dell’arte astratta è il “Quadrato nero su fondo
è il “limbo”, il “circuito dell’emozione”, come lo definisce l’anatomo americano Papez, che bianco” al quale è giunto quasi per caso Malević con la scenografia del III atto della
“assolve, nella nostra specie, agli stessi compiti di vitale importanza per la perpetuazione “Vittoria sul sole”. Il “Quadrato nero” richiama la nozione di “limite” così come esso è
della specie e la sopravvivenza dei singoli, che svolge nelle altre specie dei vertebrati”. inteso nel calcolo infinitesimale.
(R.L.M.) La scomparsa del “Sole” è un parallelo dell’eliminazione del “Chiaro di luna” profetizzato
Nel “limbo” quindi sta quell’“Eros” di cui le linee, le superfici, i materiali, e non solo le dai futuristi, e non poteva trovare altra conclusione che una finestra nera.
immagini dell’arte figurativa, sono una proiezione metaforica. Ma con gli anni questo “Quadrato” si era trovato in compagnia di cerchi, croci dritte e
Insomma, io penso che, proprio perché è destinata a suscitare in molti modi la sublimazione sbilenche, fasci di linee, superfici piane e curve plananti.
del piacere, l’arte, ovvero l’invenzione artistica, attraversando le aree corticali, devolute Quella “Suprematista” è stata fede e non solo in una ricerca, il “Quadrato nero” è un’icona.
alle più nobili attività cognitive, attinge nella “componente arcaica” della nostra “psiche” Pochi anni dopo la messa in scena de “La vittoria sul sole” e la conquista del “Quadrato
quelle “forze” misteriose e quella “energia” sopita che distingue l’opera d’arte riuscita nero su fondo bianco”, nel 1918, Josef Albers riceve l’incarico di realizzare una vetrata
dalle opere che sono prodotte solamente dall’erudizione o dal “piacere del consumo”. piombata a colori.
Dalle sorgenti “emotive” del sistema limbico forse vengono alle “linee”, ai “punti”, L’opera ha un nome fatidico “Rosa mystica ora pro nobis”.
alle “superfici”, ai “colori” e agli “spazi” ben più grandi possibilità di esprimere “stati Albers, che passa alla storia come un secondo grande “Maestro del Quadrato” e come uno
d’animo”, “caratteri”, “tonalità”, “immagini” ma anche “idee”. studioso delle relazioni tra le forme e i colori, è profondamente cattolico.
è stato scritto che è l’arte che genera le idee e non viceversa. Albers spiega che nella percezione visuale un colore non è quasi mai visto come esso è
La diversa forza ed il diverso prorompere dell’energia racchiuse nelle diverse linee, nelle realmente in termini fisici, lo stesso colore evoca innumerevoli letture, c’è una assoluta
diverse forme, nei diversi tipi di spazialità sono dati dalla liberazione che noi ne realizziamo discrepanza tra fatto fisico ed effetto psichico, il “vedere” implica avere una “visione del
con la fusione alchemica che avviene dentro l’opera. mondo”.
La questione non è irrilevante perché altre sono state le spiegazioni che sono state date nel A questo punto la “geometria”, intesa come evocazione/costruzione dell’oggetto e non,
XX secolo in ordine al fenomeno dell’arte astratta: quella metafisica da una parte, quella all’opposto come descrizione del reale, viene raggiunta da una nuova compagnia: la
fisiologica dall’altra. “percezione”, oggetto della ricerca scientifica, nell’ambito della “Psicologia della forma”,
Come tutti sanno, all’incirca cento anni fa l’arte figurativa ha perso la “figuratività”. essa produce l’inventario degli effetti ottici e dei meccanismi associativi propri dell’occhio
L’arte così detta “astratta” si è liberata dalla dipendenza dal “verosimile”, che era stato per e di un cervello umano che come una macchina è esonerato da ogni attività “poetica”,
secoli il suo biglietto da visita. “evocativa”, “simbolica”. Dell’architettura partendo anche qui da un approccio, visivo e
Il “verosimile” inoltre era per lo più la rappresentazione del “soggetto” oggetto della concettuale ad un tempo, si scopre la “trasparenza fenomenica”.
rappresentazione ed i critici e storici dell’arte si sono occupati molto del “soggetto”, di cui A partire da Gyorgy Kepes, proseguendo con Rowe e Slutzsky e infine Hoesli, la
era facile descrivere il genere, l’uso sociale, l’origine e la destinazione, poco dell’essenza trasparenza fenomenica è stata definita come una costruzione di piani “in grado di
formale dell’oggetto. interprenetarsi senza una reciproca distruzione ottica”.
I porcaccioni si potevano portare una donna nuda, ovviamente sotto specie di statua o Il confronto operato da Rudolf Arnheim tra tre diverse sovrapposizioni di quadrati
dipinto, nella stanza da letto. E questo era il “Nudo”. evidenzia come “la sovrapposizione delle forme è un prerequisito della trasparenza, ma
I mistici si rispecchiavano nel tormento del Cristo, o di un Santo. E questa era “L’arte (essa) è una condizione necessaria e non sufficiente”.
sacra”. L’attrazione suscitata da una composizione astratta, in questo caso la sua ambiguità,
I mercanti si facevano ritrarre da soli, o con la famiglia al completo, pieni di una dignità o se vogliamo, la sua capacità di sollecitare l’attività mentale dell’osservatore deriva
non da tutti riconosciuta ma che veniva lasciata come monito agli eredi, di pari passo con dalla sorpresa e dal riorientamento delle aspettative di lettura dello spazio preesistenti
i beni accumulati. E questo era il “Ritratto”. nell’esperienza dell’osservatore.
Tutto ad un tratto tutto questo è sparito. In altre parole anche nell’architettura di Le Corbusier, come nella pittura di Léger, non
Malević, Kandinskij, Klee hanno affermato che era stata raggiunta una nuova “iconicità”. sono i reticoli spaziali dei piani sovrapposti e contrapposti che garantiscono la ricchezza
Di questa conquista sono state date nel tempo, dagli artisti stessi, due diverse interpretazioni. dell’opera ma bensì, come scrivono Slutzsky e Rowe a proposito della Villa Stein, è
La prima “metafisica”, cioè “spirituale”. necessario assistere ad “una continua dialettica tra realtà e sottinteso. La realtà di uno spazio
La seconda “fisiologica”, nata con lo studio dei “fenomeni percettivi”. che si estende in profondità si oppone continuamente ad una intuitiva consapevolezza
Io propendo per una sintesi delle due per quello che probabilmente è il flusso continuo delle di uno spazio privo di estensione, e per via della risultante tensione, letture diverse si
relazioni tra la zona “arcaica” e quella “evoluta”del cervello all’interno di un linguaggio susseguono necessarie. Le cinque stratificazioni spaziali che dividono verticalmente il
che non dispone di segni analoghi a quelli dell’“alfabeto” disposti in modo da costituire volume dell’edificio, e le quattro che lo tagliano orizzontalmente, tutte, alternativamente,
“parole” e queste organizzate da “grammatica” e “sintassi” in modo da raggiungere un richiederanno attenzione, e questa concezione dello spazio come successione di reticoli si
“senso” nelle cose. risolverà, poi, in un continuo fluttuare di interpretazioni”.
Il fatto che per millenni l’uomo abbia comunicato solo attraverso le “figure” e che l’alfabeto è a questo punto che è nato anche nell’insegnamento dell’architettura l’interesse per la
stesso sia stato conquistato solo dopo, attraverso la “riduzione di figure ideogrammatiche “topologia” dentro la struttura compositiva, e cioè la rivalutazione dell’importanza della
o morfemiche” a segni singolari precisamente pertinenti ad oggetti o concetti, ha posizione nello spazio dei segni agli effetti della costruzione del “discorso”.
indubbiamente influito su quella che è stata una sottovalutazione del linguaggio delle Liberiamoci però di un equivoco che trasferisce all’arte quell’idea di una “progressiva
forme, dei colori, delle linee, delle superfici e dello spazio rispetto al linguaggio scritto e conquista di risultati più avanzati” che è propria del mondo della produzione scientifica, che
parlato. è propria del mondo della tecnologia industriale, e che si basa sul mito dell’“innovazione”.
Gli uomini hanno comunque continuato a dipingere, a suonare strumenti, ad alzare L’innovazione va “verso dentro” l’esercizio del linguaggio, non va “verso avanti” o “verso
travi su pilastri, a voltare spazi, ma la sola forza che consentiva anche alle architetture di indietro”.

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Caso mai l’innesto e l’inclusione del diverso altera il sistema dei valori preesistente e quella dell’avanguardia russa, che “partono da” e “portano a” una sorta di “anti-città”,
impone una nuova convenzione culturale, nuove regole del gioco. diversa dalla città europea.
Le parole, i colori, le linee, lo spazio assumono un ruolo dirompente perché si trovano ad All’Aia i riferimenti sono Arkhitectony Alfa e Beta di Malević.
operare entro le regole di un nuovo gioco. La tesi di laurea di Zaha Adid lo dimostra chiaramente.
Ma il nuovo gioco non nasce dall’applicazione di nuovi strumenti e nuove regole Forse lo scarto più netto avviene quando Richard Rogers vince il concorso per il Centre
preindividuate. All’opposto è il gioco che provoca l’invenzione di nuove regole. Pompidou.
Il filosofo Vincenzo Vitiello sostiene che prima del gioco non ci sono né le forze, né i E ancor più quando realizza la nuova sede dei Lloyds di Londra.
topoi, né lo spazio. A guardarla in fretta, la facciata dei Lloyds ricorda il motore di una Ferrari o di una Roll
Essi “nascono insieme al giuoco e sono - agiscono - operano solo nel giuoco”. Royce, quando si alza il cofano.
Questo è molto importante per noi. Un’iperbole di valvole e tubazioni, tiranti e cerniere che forse rappresentano, in una
Quando parliamo di “geometria”, di “percezione”, di “linee - punti - superfici” noi siamo riconquistata verosimiglianza, l’enorme pompaggio di denaro che il mondo assicurativo e
sempre all’interno della “nostra” esperienza del gioco, di una cultura che rende significanti finanziario realizza alle nostre spalle sulla nostra pelle.
le“linee”, i “punti”, le “superfici”della costruzione. Il “bucranio” di Frank Gehry nella Deutsche Bank di Berlino forse rappresenta meglio,
Bogdan Bogdanović alla linea retta associa l’arcaica opera dell’aratura. riusando la “piega” del mantello del Monaco di Digione, quella stessa dominazione
Il solco inciso nel corpo della madre terra assegna alla linea continua, il compito di tracciare plutocratica.
un percorso, di svolgere un filo narrativo. Ero per un breve periodo a far pratica nello studio dei BBPR quando anche Richard
Nella Necropoli simbolica di Šlobobište a Kruševac fa una introduzione (la porta), delle Rogers si fermò un poco, per la stessa ragione. Come tutti i giovani inglesi benestanti
stazioni intermedie (rilievi - pietre), un finale col volo delle ali. allora usavano, soprattutto gli artisti, portava i cappelli un po’ lunghi, indossava un
Il topos è il “solco” che è qualcosa di più che la linea. impermeabile lercio che lasciava intendere un interesse molto scarso per l’igiene e inoltre
La linea retta non è l’unico tipo di linea. ostentava una borsa di rete di spago nella quale stavano le spese quotidiane, che usava
Il labirinto, la svastica, la spirale da sempre costituiscono l’appoggio geometrico di un fare prima di venire al lavoro. Così occhieggiavano tra gli spaghi della borsa l’insalata, i
mondo grande di forme. pomodori, la bottiglia del latte, il giornale.
Ma la spirale diventa una figura quando alla spirale si associa, capovolgendo il moto Richard era nato a Firenze.
ascensionale delle zigurat, il tema della coincidenza della “Fine” con l’“Inizio”. Ernesto lo aveva sistemato dietro l’ultimo tecnigrafo dello studio, nella stanza dove
Ed è l’idea del Museo secondo F.L.Wright. lavoravano in fila, uno dopo l’altro, i collaboratori diplomati, e non mancava di
A Kruševac c’è l’idea dello svolgimento del tempo nello spazio. meravigliarsi, quotidianamente, dell’aspetto di questo giovane architetto che, dopo tutto,
A New York c’è l’idea del riavvolgimento del tempo nello spazio. oltre ad essere un suo parente, era anche figlio del direttore sanitario del St. Thomas
Per noi ci sono nei concetti delle opposizioni feconde, feconde nello sviluppo dei Hospital, uno dei presidi più importanti della capitale del Regno Unito.
procedimenti inventivi che nascono dalle forme. Nonostante tutto Richard fece un magnifico matrimonio, sposando una Guiness, quelli
Ad esempio l’opposizione tra lo svolgimento e il riavvolgimento del tempo e dello spazio, della birra.
quella dell’infinitesimo e dell’infinito nella concezione del numero, quella del massiccio e
del trasparente nella concezione dei corpi, tutte e tre queste opposizioni antinomiche sono
state alla base di invenzioni capitali nella storia dell’architettura del XX secolo.
Indipendentemente dal fatto che essa sia figurativa od astratta, dal fatto che essa sia teatro,
architettura o musica l’opera parla, muove, commuove come se di una più alta tensione,
una più forte vibrazione essa fosse depositaria.
Tornando a quelle che probabilmente tutti oggi considerano opere viziate dalla logica
consumistica, e cioè le grandi manipolazioni in atto nelle capitali europee e ancor più le
mastodontiche trasformazioni urbanistiche in atto nei paesi arabi e in Cina, tornando ai
miracoli dell’ingegneria dello spreco, cui si oppone la filosofia delle “decrescita” e dello
“sviluppo sostenibile”, cosa dobbiamo dire che ci riguardi veramente?
Da questo “futuro”, da questo nuovo paesaggio capitalistico, in gran parte anonimo, una
larga parte dell’architettura italiana è rimasta estranea forse per una nostra scarsa abilità
commerciale ma anche per una sua particolare tradizione, della cultura architettonica
italiana, quella del “tradimento”.
Rogers motivava il tradimento italiano nei confronti del Ciam chiamando in causa le
“preesistenze ambientali” dove “l’invenzione”, “l’immagine”, “la storia”, si affollavano
insieme accanto alla “tradizione”.
La “ragione”dei razionalisti puri, il “progresso”dei socialisti fin de siecle, il “futuro” dei
futuristi non avevano mai convinto del tutto Libera, Figini e Pollini, BBPR, Gardella,
figurarsi i romani ancora più in crisi dopo la Guerra. Come ha scritto Luca Molinari il
ritorno alla tradizione è stato una via d’uscita dalla crisi.
Né la mia generazione, pur avendo seguito un proprio autonomo diverso percorso, su
questo punto non si è allontanata molto da quel dialogo con la realtà vissuto attraverso la
storia, che è stato la nostra tradizione.
Del resto uno sbocco diverso da quello italiano, neo-avanguardista, ma in fondo sempre alla
ricerca di una tradizione, è stato anche quello che si è avuto dieci anni dopo in Inghilterra,
dove tra il ’71 e il ’90 Alvin Boyarsky, all’Architectural Association, ha allevato Bernard
Tschumi, Rem Koolhas, Zaha Adid.
All’Aia di Londra si adottò una tradizione di ricerche “astratto-concrete” sull’oggetto,

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Caso mai l’innesto e l’inclusione del diverso altera il sistema dei valori preesistente e quella dell’avanguardia russa, che “partono da” e “portano a” una sorta di “anti-città”,
impone una nuova convenzione culturale, nuove regole del gioco. diversa dalla città europea.
Le parole, i colori, le linee, lo spazio assumono un ruolo dirompente perché si trovano ad All’Aia i riferimenti sono Arkhitectony Alfa e Beta di Malević.
operare entro le regole di un nuovo gioco. La tesi di laurea di Zaha Adid lo dimostra chiaramente.
Ma il nuovo gioco non nasce dall’applicazione di nuovi strumenti e nuove regole Forse lo scarto più netto avviene quando Richard Rogers vince il concorso per il Centre
preindividuate. All’opposto è il gioco che provoca l’invenzione di nuove regole. Pompidou.
Il filosofo Vincenzo Vitiello sostiene che prima del gioco non ci sono né le forze, né i E ancor più quando realizza la nuova sede dei Lloyds di Londra.
topoi, né lo spazio. A guardarla in fretta, la facciata dei Lloyds ricorda il motore di una Ferrari o di una Roll
Essi “nascono insieme al giuoco e sono - agiscono - operano solo nel giuoco”. Royce, quando si alza il cofano.
Questo è molto importante per noi. Un’iperbole di valvole e tubazioni, tiranti e cerniere che forse rappresentano, in una
Quando parliamo di “geometria”, di “percezione”, di “linee - punti - superfici” noi siamo riconquistata verosimiglianza, l’enorme pompaggio di denaro che il mondo assicurativo e
sempre all’interno della “nostra” esperienza del gioco, di una cultura che rende significanti finanziario realizza alle nostre spalle sulla nostra pelle.
le“linee”, i “punti”, le “superfici”della costruzione. Il “bucranio” di Frank Gehry nella Deutsche Bank di Berlino forse rappresenta meglio,
Bogdan Bogdanović alla linea retta associa l’arcaica opera dell’aratura. riusando la “piega” del mantello del Monaco di Digione, quella stessa dominazione
Il solco inciso nel corpo della madre terra assegna alla linea continua, il compito di tracciare plutocratica.
un percorso, di svolgere un filo narrativo. Ero per un breve periodo a far pratica nello studio dei BBPR quando anche Richard
Nella Necropoli simbolica di Šlobobište a Kruševac fa una introduzione (la porta), delle Rogers si fermò un poco, per la stessa ragione. Come tutti i giovani inglesi benestanti
stazioni intermedie (rilievi - pietre), un finale col volo delle ali. allora usavano, soprattutto gli artisti, portava i cappelli un po’ lunghi, indossava un
Il topos è il “solco” che è qualcosa di più che la linea. impermeabile lercio che lasciava intendere un interesse molto scarso per l’igiene e inoltre
La linea retta non è l’unico tipo di linea. ostentava una borsa di rete di spago nella quale stavano le spese quotidiane, che usava
Il labirinto, la svastica, la spirale da sempre costituiscono l’appoggio geometrico di un fare prima di venire al lavoro. Così occhieggiavano tra gli spaghi della borsa l’insalata, i
mondo grande di forme. pomodori, la bottiglia del latte, il giornale.
Ma la spirale diventa una figura quando alla spirale si associa, capovolgendo il moto Richard era nato a Firenze.
ascensionale delle zigurat, il tema della coincidenza della “Fine” con l’“Inizio”. Ernesto lo aveva sistemato dietro l’ultimo tecnigrafo dello studio, nella stanza dove
Ed è l’idea del Museo secondo F.L.Wright. lavoravano in fila, uno dopo l’altro, i collaboratori diplomati, e non mancava di
A Kruševac c’è l’idea dello svolgimento del tempo nello spazio. meravigliarsi, quotidianamente, dell’aspetto di questo giovane architetto che, dopo tutto,
A New York c’è l’idea del riavvolgimento del tempo nello spazio. oltre ad essere un suo parente, era anche figlio del direttore sanitario del St. Thomas
Per noi ci sono nei concetti delle opposizioni feconde, feconde nello sviluppo dei Hospital, uno dei presidi più importanti della capitale del Regno Unito.
procedimenti inventivi che nascono dalle forme. Nonostante tutto Richard fece un magnifico matrimonio, sposando una Guiness, quelli
Ad esempio l’opposizione tra lo svolgimento e il riavvolgimento del tempo e dello spazio, della birra.
quella dell’infinitesimo e dell’infinito nella concezione del numero, quella del massiccio e
del trasparente nella concezione dei corpi, tutte e tre queste opposizioni antinomiche sono
state alla base di invenzioni capitali nella storia dell’architettura del XX secolo.
Indipendentemente dal fatto che essa sia figurativa od astratta, dal fatto che essa sia teatro,
architettura o musica l’opera parla, muove, commuove come se di una più alta tensione,
una più forte vibrazione essa fosse depositaria.
Tornando a quelle che probabilmente tutti oggi considerano opere viziate dalla logica
consumistica, e cioè le grandi manipolazioni in atto nelle capitali europee e ancor più le
mastodontiche trasformazioni urbanistiche in atto nei paesi arabi e in Cina, tornando ai
miracoli dell’ingegneria dello spreco, cui si oppone la filosofia delle “decrescita” e dello
“sviluppo sostenibile”, cosa dobbiamo dire che ci riguardi veramente?
Da questo “futuro”, da questo nuovo paesaggio capitalistico, in gran parte anonimo, una
larga parte dell’architettura italiana è rimasta estranea forse per una nostra scarsa abilità
commerciale ma anche per una sua particolare tradizione, della cultura architettonica
italiana, quella del “tradimento”.
Rogers motivava il tradimento italiano nei confronti del Ciam chiamando in causa le
“preesistenze ambientali” dove “l’invenzione”, “l’immagine”, “la storia”, si affollavano
insieme accanto alla “tradizione”.
La “ragione”dei razionalisti puri, il “progresso”dei socialisti fin de siecle, il “futuro” dei
futuristi non avevano mai convinto del tutto Libera, Figini e Pollini, BBPR, Gardella,
figurarsi i romani ancora più in crisi dopo la Guerra. Come ha scritto Luca Molinari il
ritorno alla tradizione è stato una via d’uscita dalla crisi.
Né la mia generazione, pur avendo seguito un proprio autonomo diverso percorso, su
questo punto non si è allontanata molto da quel dialogo con la realtà vissuto attraverso la
storia, che è stato la nostra tradizione.
Del resto uno sbocco diverso da quello italiano, neo-avanguardista, ma in fondo sempre alla
ricerca di una tradizione, è stato anche quello che si è avuto dieci anni dopo in Inghilterra,
dove tra il ’71 e il ’90 Alvin Boyarsky, all’Architectural Association, ha allevato Bernard
Tschumi, Rem Koolhas, Zaha Adid.
All’Aia di Londra si adottò una tradizione di ricerche “astratto-concrete” sull’oggetto,

110 111
La lumaca pensante grandi metropoli. Isole di grattacieli circondate da quartieri orribili. L’architetto filosofo
dovrebbe occuparsi di tutto ciò. Dal guscio della lumaca a Broadacre City, il grandioso
progetto urbanistico organico di Wright.
Passiamo alla casa della produzione. Leggendo libri, o meglio viaggiando, si può fare una
Luigi Sertorio ricerca sul disegno della fabbrica in Europa nell’Ottocento-Novecento. Paragonare la
concezione europea con quella della fabbrica in USA e in URSS. In parallelo descrivere i
dormitori per gli operai realizzati in Europa, USA, URSS. Si può fare il confronto con le
botteghe artigianali esistite nei precedenti millenni e che oggi noi guardiamo con nostalgia
perché erano cellule viventi integrate nel corpo della città.
Le case della collettività Che panorama si avrebbe? Si vedrebbero varie progettualità sociali in varie parti del
Ogni specie vivente è architetto, nel senso che costruisce la condizione per vivere in mondo in vari stadi di progresso e regresso. Verrebbe tristezza a considerare l’Italia, dove
interazione con l’ecosfera, la casa. Ogni specie ha una socialità che la distingue. La cozza il contrasto fra il disegno organico ereditato dal passato e la sua deformazione causata dal
ha la casa individuale, la lumaca anche, ecc. Altre specie hanno la casa per la famiglia, per non-disegno collegato alla rapida industrializzazione del ’900 è massimo.
esempio i vari tipi di nidi di uccelli monogamici. Altre hanno la casa per la comunità, le
api, le formiche, ecc. Tre grandi urbanisti del ’900
La specie umana ha una socialità più complicata. L’uomo fa la casa per la famiglia, come Quale è stato il contributo di pensiero degli architetti? Se c’è stato, quanto è stato dipendente
gli uccelli; e questo è solo il primo passo di interazione con l’ecosfera. Poi si ha la vita dalla dinamica economica opportunistica e quanto è stato veramente progettuale?
collettiva e le sue strutture dinamiche, che si possono distinguere in interazioni verso Le Corbusier, la Ville Radieuse, essenzialmente visione di formicai percorsi da strade
l’esterno e in interazioni interne. Per esempio la chiesa è la casa che implica un certo gruppo automobilistiche per ospitare, nella luce di grandi vetrate, milioni di operai.
di persone in interazione con una entità esterna, la divinità non fisica. È una forma di Niemeyer, socialità sparsa in un immenso territorio e attratta da simboli architettonici
casa antichissima, forse coeva alla casa per la famiglia. Come esempi di interazioni interne
isolati, a tutto tondo visibili, talora forti, più spesso dolci, curvilinei, femminili, sognanti.
consideriamo i luoghi della legge, della scuola, dei militari, delle celebrazioni sportive o
Wright, il moralismo della socialità organica, idea eccellente, mai realizzata. Wright era
ludiche in generale, tipo la piazza per la passeggiata civile.
un architetto filosofo e si suole paragonare la suburb americana a Broadacre City. Ma
Storicamente la dinamica della famiglia, con le sue esigenze e le sue articolazioni, si
è un errore. La suburb delle città americane, quell’area verdeggiante e protetta dove si
mostra essere stabile e relativamente uniforme; analogamente la dinamica di gruppo
costruiscono, con elegante rispetto dello spazio, le ville dei ricchi, da New York a Los
per il culto è stabile; la dinamica del gruppo dentro se stesso è invece più dipendente da
Angeles, non è una fruttificazione dell’ideale di Wright, ma viene dagli esempi nati in
circostanze evolutive labili. Infine, nel transiente recentissimo, con l’industrializzazione,
Europa. La fuga dei più ricchi dai vecchi centri cittadini lasciati agli uffici, ai negozi della
più precisamente quello che succede dalla fine del Settecento a oggi nelle nazioni in
piccola borghesia consumatrice che si sta trasformando in proletariato. La suburb non è
possesso della tecnologia dei motori termici, compare la “casa della produzione”, la
autonoma dinamicamente, ma è afferente ai centri produttivi, proprio l’opposto di ciò che
fabbrica, il magazzino, il complesso abitativo pseudo-militare degli operai, ecc. Inoltre
voleva Wright.
l’industrializzazione energivora crea a sua volta forme di socialità anomale implicanti una
Wright, Le Corbusier, Niemeyer, fanno perno sulla realtà dell’automobile. Tutti e tre
nuova forma di movimento, come l’esigenza di viaggiare e di far viaggiare le merci in
nascono e vivono nella fede della presenza eterna di petrolio. Il loro disegno non può
modo altamente artefatto. Enormi masse di esseri umani girano in macchina senza sapere
penetrare nel futuro non petrolifero.
perché, soffrono disagi, rischiano la vita e anzi muoiono in gran numero, numero che è
maggiore di quello causato dalla criminalità comune come essa si è sviluppata nei secoli,
Movimento e strade dell’intelligenza
anche se inferiore a quello implicato negli eventi eccezionali delle grandi guerre.
La forma-struttura della casa per la famiglia può essere fatta risalire a più di tremila anni Esistono idee per il futuro non petrolifero? Direi di no. Si legge dappertutto la
avanti Cristo, come vediamo per esempio nei residui ancora comprensibili dell’antico reclamizzazione di maxi progetti di estrazione di energia dai cicli naturali con enormi
Egitto. Lo stesso vale per il tempio della preghiera comune. All’opposto la casa per la apparati eolici e fotovoltaici onde produrre energia elettrica erogata centralmente. Perché
produzione tecnico-industriale è un fenomeno praticamente privo di storia, ossia un dico che ciò non è “progetto”? Per il semplicissimo motivo che queste pensate sono nulla
fenomeno che esiste in un segmento temporale piccolissimo. Gli architetti che a partire più che il ritornare all’attingimento di energia dalla dinamica naturale, ciò che l’uomo ha
dall’Ottocento sono indotti a progettare le fabbriche sono spiazzati e cercano stilemi fatto da sempre, avendo imparato a usare fin dai tempi più antichi l’acqua e il suo ciclo,
imitativi, che vanno dal tempio greco alle figure geometriche senza vita – la non vita della il vento e il suo ciclo, dove tali cicli sono l’aspetto cinetico della componente termica,
fabbrica appunto – al tentativo di imitare la casa della famiglia, come se il lavoro ripetitivo inorganica, della radiazione solare. L’altra componente è quella fotosintetica, organica.
fosse simile alla dinamica della riproduzione genetica. La potenza solare della fotosintesi è la vera e perfetta macchina fotovoltaica esistente da
Come avanza storicamente la casa collettiva? Per molti secoli è il monarca (più precisamente sempre, ossia fin dalla nascita della vita, iniziata sulla Terra molto prima che spuntasse la
la gerarchia monarchica) colui che traccia la cosiddetta urbanistica, o meglio il disegno specie umana. Cosa c’è di nuovo nel futuro delle “rinnovabili”? L’unica novità è la ricerca
della casa della socialità. Pensiamo alla Parigi centro della Francia progettata secondo i patetica di ingigantire l’accesso a questi cicli naturali onde procrastinare il modo di vivere
desideri di Luigi XIV, alla Pietroburgo progettata in dettaglio partendo dal nulla da Pietro consumista. Zero fantasia, zero logica.
il Grande secondo un disegno imperiale della Russia, alle certose medioevali progettate Nella transizione dal presente energivoro al futuro non energivoro sarebbe bello discutere
secondo un disegno aristocratico e dirette da un priore, che era un nobile messo lì appunto il concetto di “movimento naturale”. Il movimento non naturale è sotto i nostri occhi,
per gestire quei propositi per i quali le certose furono inventate. è il trasporto di massa mirato a vendere automobili da rottamare prontamente. Cosa
Con l’industrializzazione nasce il concetto di democrazia e in parallelo il concetto di vorrebbe dire trasporto naturale? In assenza di energia fossile quale potrebbe essere la
economia come scienza autonoma. Più niente monarca assoluto, chi governa sono le dimensione spaziale della struttura collettiva autoconsistente? Nel Medioevo italiano,
banche che conoscono le “leggi del mercato”. Parte in questo modo la casa della socialità periodo di tempo in cui c’è stata una evoluzione della casa collettiva che ha raggiunto una
industriale detta democratica che caratterizza il periodo in cui noi viviamo e che sappiamo straordinaria perfezione, la città era autoconsistente energeticamente. Aveva per esempio
essere transiente, perché senza il minimo dubbio l’industrializzazione tecnico-consumista un asse maggiore dell’ordine di grandezza del chilometro, distanza ripetibile a piedi o con
è alla fine della sua avventura. Cosa è questa casa? Lo si capisce visitando le periferie animali da soma. Un grattacielo costruibile con la tecnologia attuale potrebbe ospitare
degradate delle città simbolo del benessere, come ad esempio New York, sede ed emblema una popolazione superiore a quella di una città medioevale. La collettività teoricamente
della ricchezza attuale; oppure, con diverse apparenze ma comuni caratteristiche, tutte le ospitabile in un grattacielo può essere autoconsistente energeticamente? È ragionevole dare

112 113
La lumaca pensante grandi metropoli. Isole di grattacieli circondate da quartieri orribili. L’architetto filosofo
dovrebbe occuparsi di tutto ciò. Dal guscio della lumaca a Broadacre City, il grandioso
progetto urbanistico organico di Wright.
Passiamo alla casa della produzione. Leggendo libri, o meglio viaggiando, si può fare una
Luigi Sertorio ricerca sul disegno della fabbrica in Europa nell’Ottocento-Novecento. Paragonare la
concezione europea con quella della fabbrica in USA e in URSS. In parallelo descrivere i
dormitori per gli operai realizzati in Europa, USA, URSS. Si può fare il confronto con le
botteghe artigianali esistite nei precedenti millenni e che oggi noi guardiamo con nostalgia
perché erano cellule viventi integrate nel corpo della città.
Le case della collettività Che panorama si avrebbe? Si vedrebbero varie progettualità sociali in varie parti del
Ogni specie vivente è architetto, nel senso che costruisce la condizione per vivere in mondo in vari stadi di progresso e regresso. Verrebbe tristezza a considerare l’Italia, dove
interazione con l’ecosfera, la casa. Ogni specie ha una socialità che la distingue. La cozza il contrasto fra il disegno organico ereditato dal passato e la sua deformazione causata dal
ha la casa individuale, la lumaca anche, ecc. Altre specie hanno la casa per la famiglia, per non-disegno collegato alla rapida industrializzazione del ’900 è massimo.
esempio i vari tipi di nidi di uccelli monogamici. Altre hanno la casa per la comunità, le
api, le formiche, ecc. Tre grandi urbanisti del ’900
La specie umana ha una socialità più complicata. L’uomo fa la casa per la famiglia, come Quale è stato il contributo di pensiero degli architetti? Se c’è stato, quanto è stato dipendente
gli uccelli; e questo è solo il primo passo di interazione con l’ecosfera. Poi si ha la vita dalla dinamica economica opportunistica e quanto è stato veramente progettuale?
collettiva e le sue strutture dinamiche, che si possono distinguere in interazioni verso Le Corbusier, la Ville Radieuse, essenzialmente visione di formicai percorsi da strade
l’esterno e in interazioni interne. Per esempio la chiesa è la casa che implica un certo gruppo automobilistiche per ospitare, nella luce di grandi vetrate, milioni di operai.
di persone in interazione con una entità esterna, la divinità non fisica. È una forma di Niemeyer, socialità sparsa in un immenso territorio e attratta da simboli architettonici
casa antichissima, forse coeva alla casa per la famiglia. Come esempi di interazioni interne
isolati, a tutto tondo visibili, talora forti, più spesso dolci, curvilinei, femminili, sognanti.
consideriamo i luoghi della legge, della scuola, dei militari, delle celebrazioni sportive o
Wright, il moralismo della socialità organica, idea eccellente, mai realizzata. Wright era
ludiche in generale, tipo la piazza per la passeggiata civile.
un architetto filosofo e si suole paragonare la suburb americana a Broadacre City. Ma
Storicamente la dinamica della famiglia, con le sue esigenze e le sue articolazioni, si
è un errore. La suburb delle città americane, quell’area verdeggiante e protetta dove si
mostra essere stabile e relativamente uniforme; analogamente la dinamica di gruppo
costruiscono, con elegante rispetto dello spazio, le ville dei ricchi, da New York a Los
per il culto è stabile; la dinamica del gruppo dentro se stesso è invece più dipendente da
Angeles, non è una fruttificazione dell’ideale di Wright, ma viene dagli esempi nati in
circostanze evolutive labili. Infine, nel transiente recentissimo, con l’industrializzazione,
Europa. La fuga dei più ricchi dai vecchi centri cittadini lasciati agli uffici, ai negozi della
più precisamente quello che succede dalla fine del Settecento a oggi nelle nazioni in
piccola borghesia consumatrice che si sta trasformando in proletariato. La suburb non è
possesso della tecnologia dei motori termici, compare la “casa della produzione”, la
autonoma dinamicamente, ma è afferente ai centri produttivi, proprio l’opposto di ciò che
fabbrica, il magazzino, il complesso abitativo pseudo-militare degli operai, ecc. Inoltre
voleva Wright.
l’industrializzazione energivora crea a sua volta forme di socialità anomale implicanti una
Wright, Le Corbusier, Niemeyer, fanno perno sulla realtà dell’automobile. Tutti e tre
nuova forma di movimento, come l’esigenza di viaggiare e di far viaggiare le merci in
nascono e vivono nella fede della presenza eterna di petrolio. Il loro disegno non può
modo altamente artefatto. Enormi masse di esseri umani girano in macchina senza sapere
penetrare nel futuro non petrolifero.
perché, soffrono disagi, rischiano la vita e anzi muoiono in gran numero, numero che è
maggiore di quello causato dalla criminalità comune come essa si è sviluppata nei secoli,
Movimento e strade dell’intelligenza
anche se inferiore a quello implicato negli eventi eccezionali delle grandi guerre.
La forma-struttura della casa per la famiglia può essere fatta risalire a più di tremila anni Esistono idee per il futuro non petrolifero? Direi di no. Si legge dappertutto la
avanti Cristo, come vediamo per esempio nei residui ancora comprensibili dell’antico reclamizzazione di maxi progetti di estrazione di energia dai cicli naturali con enormi
Egitto. Lo stesso vale per il tempio della preghiera comune. All’opposto la casa per la apparati eolici e fotovoltaici onde produrre energia elettrica erogata centralmente. Perché
produzione tecnico-industriale è un fenomeno praticamente privo di storia, ossia un dico che ciò non è “progetto”? Per il semplicissimo motivo che queste pensate sono nulla
fenomeno che esiste in un segmento temporale piccolissimo. Gli architetti che a partire più che il ritornare all’attingimento di energia dalla dinamica naturale, ciò che l’uomo ha
dall’Ottocento sono indotti a progettare le fabbriche sono spiazzati e cercano stilemi fatto da sempre, avendo imparato a usare fin dai tempi più antichi l’acqua e il suo ciclo,
imitativi, che vanno dal tempio greco alle figure geometriche senza vita – la non vita della il vento e il suo ciclo, dove tali cicli sono l’aspetto cinetico della componente termica,
fabbrica appunto – al tentativo di imitare la casa della famiglia, come se il lavoro ripetitivo inorganica, della radiazione solare. L’altra componente è quella fotosintetica, organica.
fosse simile alla dinamica della riproduzione genetica. La potenza solare della fotosintesi è la vera e perfetta macchina fotovoltaica esistente da
Come avanza storicamente la casa collettiva? Per molti secoli è il monarca (più precisamente sempre, ossia fin dalla nascita della vita, iniziata sulla Terra molto prima che spuntasse la
la gerarchia monarchica) colui che traccia la cosiddetta urbanistica, o meglio il disegno specie umana. Cosa c’è di nuovo nel futuro delle “rinnovabili”? L’unica novità è la ricerca
della casa della socialità. Pensiamo alla Parigi centro della Francia progettata secondo i patetica di ingigantire l’accesso a questi cicli naturali onde procrastinare il modo di vivere
desideri di Luigi XIV, alla Pietroburgo progettata in dettaglio partendo dal nulla da Pietro consumista. Zero fantasia, zero logica.
il Grande secondo un disegno imperiale della Russia, alle certose medioevali progettate Nella transizione dal presente energivoro al futuro non energivoro sarebbe bello discutere
secondo un disegno aristocratico e dirette da un priore, che era un nobile messo lì appunto il concetto di “movimento naturale”. Il movimento non naturale è sotto i nostri occhi,
per gestire quei propositi per i quali le certose furono inventate. è il trasporto di massa mirato a vendere automobili da rottamare prontamente. Cosa
Con l’industrializzazione nasce il concetto di democrazia e in parallelo il concetto di vorrebbe dire trasporto naturale? In assenza di energia fossile quale potrebbe essere la
economia come scienza autonoma. Più niente monarca assoluto, chi governa sono le dimensione spaziale della struttura collettiva autoconsistente? Nel Medioevo italiano,
banche che conoscono le “leggi del mercato”. Parte in questo modo la casa della socialità periodo di tempo in cui c’è stata una evoluzione della casa collettiva che ha raggiunto una
industriale detta democratica che caratterizza il periodo in cui noi viviamo e che sappiamo straordinaria perfezione, la città era autoconsistente energeticamente. Aveva per esempio
essere transiente, perché senza il minimo dubbio l’industrializzazione tecnico-consumista un asse maggiore dell’ordine di grandezza del chilometro, distanza ripetibile a piedi o con
è alla fine della sua avventura. Cosa è questa casa? Lo si capisce visitando le periferie animali da soma. Un grattacielo costruibile con la tecnologia attuale potrebbe ospitare
degradate delle città simbolo del benessere, come ad esempio New York, sede ed emblema una popolazione superiore a quella di una città medioevale. La collettività teoricamente
della ricchezza attuale; oppure, con diverse apparenze ma comuni caratteristiche, tutte le ospitabile in un grattacielo può essere autoconsistente energeticamente? È ragionevole dare

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la risposta: no. È ovvio che la comunità che occupa un grattacielo deve afferire a sorgenti salto importantissimo: la scrittura, il maestro, il dialogo: e ciò può esistere solo se c’è un
di energia esterne. Sempre restando nell’esempio dell’operoso Medioevo dobbiamo organismo di interazioni opportuno. Organismo vuol dire il processo complesso di semina
considerare il traffico mercantile intercittadino che era energeticamente autoconsistente e coltivazione. Opportuno vuol dire aristocratico? Con la transizione dall’autorità del re
perché basato sulle risorse rinnovabili della trazione animale e della navigazione a vela. all’autorità dell’industriale, che inizia nell’Ottocento e matura nel Novecento, le università
Ma oltre alla autoconsistenza energetica è importantissimo considerare le condizioni e i centri di ricerca, che non sono più localizzati nei palazzi imperiali, si configurano con
che permettono la continuazione dell’intelligenza umana. Oltre alle strade delle merci, un mix fra Stato e privato. Vorrei citare il Los Alamos National Laboratory e il Cern
nel passato, sono state essenziali le strade del pensiero. Sia al tempo dell’impero romano come esempi interessantissimi, dove il mix ha la prevalenza dello Stato sul privato. Nel
che al tempo del Medioevo e del Rinascimento, l’intelligenza si è propagata per inter- primo si costruiscono le bombe nucleari, e ci vuole un altissimo livello di cultura scientifica
fertilizzazione. Né Roma da sola né le varie città medioevali da sole erano sufficienti a per farlo; nel secondo si studia la dinamica delle interazioni elementari ad alta energia, è
nutrire il pensiero. Ogni conquista dell’arte o della scienza è sempre stata legata a un ciò che ci fa capire come funziona l’evoluzione dell’Universo; e anche qui ci vuole una
viaggio del pensiero legato a un viaggio dell’uomo. Il pensiero è dialogo. Il pensiero grande concentrazione di intelligenza. Queste case sono necessarie perché l’intelligenza è
non dialogo si chiama intuizione mistica, cosa meravigliosa ma incomunicabile; non è dialogo, si sostiene e procede all’interno di una comunità altamente qualificata. In questi
di questo che parlo. Questo tipo di mobilità fuoriesce dai confini di ciò che chiamiamo due esempi non si parla più di aristocrazia ma di oligarchia frutto di competizione fra
tecnologia dei trasporti. Tuttavia non c’è dubbio che anche questo tipo di mobilità è reale pari. La nascita di questi laboratori è molto complessa e diversa nei due casi. La gestione è
ed esiste nel contesto naturale in cui esiste la specie umana. In condizioni ambientali non molto costosa. Prendiamo Los Alamos. La strada del denaro ha origini lontane, nella crisi
opportune il pensiero non può esistere, quindi è sensato parlare di una casa relativa alla del ’29, quando dopo un paio d’anni parte l’idea dell’intervento del denaro dello Stato
dinamica della specie umana, sia al proprio interno che verso l’esterno, tale da permettere con opere pubbliche; e queste sono in parte visibili e in parte coperte dal segreto militare.
la continuazione del pensiero. Questo filone di erogazione spiega la velocità di formazione dell’immenso armamento
USA che arriva a maturità con la seconda guerra mondiale, e la facilità nell’improvvisare il
La casa del pensiero gigantesco finanziamento del Progetto Manhattan nel breve intervallo di tempo 1943-45.
Per il Cern la strada del denaro è completamente diversa, il denaro è multinazionale e il
Questo tipo di domanda non si pone per tutte le altre specie viventi perché non siamo
seme è l’orgoglio delle università europee che furono la culla della meccanica quantistica.
abituati a distinguere per le altre specie fra esistenza della collettività e pensiero, cosa che
Questi due esempi sono particolarmente interessanti per il loro gigantismo. Sono due
invece si fa, per tradizione filosofica, nel caso dell’uomo.
comunità inaccessibili all’uomo normale prima di tutto perché lì si parla un linguaggio
Ha senso parlare di casa del pensiero? Da una parte il pensiero è un fatto casuale, nasce per
incomprensibile. Il primo gigante, Los Alamos, è ulteriormente inaccessibile perché è
caso la persona di genio, cioè la persona dotata di grande velocità di funzionamento della
nascosto sotto il segreto militare. Queste osservazioni possono essere articolate su tanti
mente per cui nel breve intervallo di tempo della vita è in grado di apprendere conoscenza
altri casi di agglomerati dell’intelligenza. I laboratori dedicati allo studio della biologia e
e di produrre conoscenza. La durata della vita umana obbedisce a leggi allometriche che
della medicina, che sono più piccoli perché non implicano grandi macchinari e, per quanto
la accomunano alla durata della vita di altri animali di massa corporea simile. Ciò che
riguarda il finanziamento, il mix Stato-privato tende dalla parte del privato. Tuttavia tutte
separa una creatura di talento grande da una di talento meno grande è dunque la velocità di
queste comunità esistono finché possono nutrirsi col talento che nasce nella famiglia,
funzionamento della rete neuronale del cervello. Come questa prerogativa sia collegabile
cresce nella scuola, e nell’università. Ma il nodo cruciale è questo: l’intelligenza entrante
alla massa del cervello non lo sappiamo e forse non lo sapremo mai. È molto sensato
deve restituire un prodotto di intelligenza uscente. Il giorno in cui questo ritorno non si
pensare che questa proprietà non sia né riproducibile né manipolabile con operazioni di
realizzasse più, questi laboratori cesserebbero di esistere. E a questo punto si farebbe il
laboratorio di chimica molecolare.
bilancio del pensiero che hanno prodotto.
Un primo modo di pensare è che il talento sia casuale. Questo è un atteggiamento
superficiale che si limita a osservare che la probabilità di incontrare una persona di talento
Conclusione
è, appunto, rara, è un evento che viene per caso. È più produttivo e sensato pensare
che il talento sia una caratteristica potenziale che può essere nutrita con varie forme di Oggi ci sono palazzi in cui vivono re e regine, e altri palazzi meravigliosi che sono rimasti
opportunità. Tali opportunità esistono nella famiglia e sono offerte ai primi anni di vita lì, ma senza re dentro, sono musei. L’uomo qualunque paga il biglietto, entra, guarda
dell’individuo, poi predomina il ruolo della società. Dunque non è insensato parlare di casa ammirato, e poi magari pensa che preferirebbe abitare in una villa tutta vetri e curve
del pensiero, nel senso di struttura di interrelazione tra famiglia e società adatta, o meno aggettanti nel verde, forse disegnata dall’amico Oscar Niemeyer.
adatta, a favorire lo sviluppo dell’individuo che era in partenza dotato. Questo modo di Ci sono musei delle scienze e biblioteche con libri scritti molti secoli fa, in parte attuali,
ragionare è quello che sta alla base del concetto generalissimo di scuola. Tuttavia parlare in parte vecchi. Il percorso evolutivo della conoscenza della natura è diverso dal percorso
di scuola in senso astratto è in parte un modo di spostare il problema: infatti è noto che da della conoscenza dell’uomo su sé stesso, ma nella diversità c’è una analogia: è il procedere
una stessa scolaresca possono venir fuori le più strane combinazioni di talento e idiozia; della experientia mentis come la chiamava Lucrezio.
quindi si ritorna all’idea del talento casuale. Solo si è spostata la domanda dal momento Questo per dire che il tempo passa, e la lumaca pensante cambia il guscio, molto lentamente,
della genetica al momento dell’adolescenza. ma lo cambia. Questo si chiama futuro. Cambiano le case, cambiano i movimenti, e
Un modo per progredire nel ragionamento è di allargare il concetto parlando non di questa o come continua il pensiero? L’uomo pensa e sbaglia: rispetto a quale verità? Questa è una
quella scuola ma di condizioni strutturali di apprendimento. Con questa definizione viene domanda di alta filosofia, ma allo stesso tempo è naturalissima. Non c’è bisogno del logico
allora spontaneo distinguere fra condizioni di apprendimento nel periodo di gestazione e formale; se la pone ogni mamma quando allatta il suo bambino.
condizioni di apprendimento nel periodo successivo. Nel primo periodo la casa è il corpo Come mai i bambini capiscono e gli adulti sbagliano? Dobbiamo partire da questa
della madre a sua volta attiva dentro la famiglia, nel secondo periodo è la vita collettiva. osservazione: l’insegnamento più alto non serve a niente se la prossima generazione è fatta
Non è solo una questione di nomi. Storicamente sono apparse le idee e le dinamiche più di deficienti. La biosfera, cioè l’insieme di tutte le specie, dimostra da miliardi di anni di
strane. L’idea più radicata è che esista l’accoppiamento e la riproduzione aristocratica e possedere una saggezza infinita nel tramandare l’informazione che conserva la vita da una
quella non. Poi che esista l’insieme delle opportunità di apprendimento aristocratico e generazione all’altra. L’uomo osserva la bellezza della natura da sempre ma non sempre
l’assenza di opportunità per tutti gli altri. Questo quadro della casa del pensiero è stato riesce a capire il messaggio che la Natura possiede. La fisica ci ha messo molti secoli per
istituzionalizzato in vari modi. È ciò che si legge nei libri di storia. Poteva esistere Mozart passare dalle stelle fisse di Dante alla cosmologia evolutiva di oggi. Capire come funziona
senza monarchi e prelati? Poteva esistere Galileo senza il granduca di Toscana? No. Il il corredo planetario delle stelle, e quali stelle, in quali galassie, è un altro passo importante.
pensiero era albergato nelle case del privilegio. Esistono tracce del pensiero albergato nelle Da qui viene spontaneo chiedersi se la biosfera di tipo terrestre sia unica nell’Universo
comunità degli schiavi? No. Dal talento innato all’espressione compiuta è necessario un o no. Infine la visione della stabilità evolutiva della biosfera terrestre sta passando dalla

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la risposta: no. È ovvio che la comunità che occupa un grattacielo deve afferire a sorgenti salto importantissimo: la scrittura, il maestro, il dialogo: e ciò può esistere solo se c’è un
di energia esterne. Sempre restando nell’esempio dell’operoso Medioevo dobbiamo organismo di interazioni opportuno. Organismo vuol dire il processo complesso di semina
considerare il traffico mercantile intercittadino che era energeticamente autoconsistente e coltivazione. Opportuno vuol dire aristocratico? Con la transizione dall’autorità del re
perché basato sulle risorse rinnovabili della trazione animale e della navigazione a vela. all’autorità dell’industriale, che inizia nell’Ottocento e matura nel Novecento, le università
Ma oltre alla autoconsistenza energetica è importantissimo considerare le condizioni e i centri di ricerca, che non sono più localizzati nei palazzi imperiali, si configurano con
che permettono la continuazione dell’intelligenza umana. Oltre alle strade delle merci, un mix fra Stato e privato. Vorrei citare il Los Alamos National Laboratory e il Cern
nel passato, sono state essenziali le strade del pensiero. Sia al tempo dell’impero romano come esempi interessantissimi, dove il mix ha la prevalenza dello Stato sul privato. Nel
che al tempo del Medioevo e del Rinascimento, l’intelligenza si è propagata per inter- primo si costruiscono le bombe nucleari, e ci vuole un altissimo livello di cultura scientifica
fertilizzazione. Né Roma da sola né le varie città medioevali da sole erano sufficienti a per farlo; nel secondo si studia la dinamica delle interazioni elementari ad alta energia, è
nutrire il pensiero. Ogni conquista dell’arte o della scienza è sempre stata legata a un ciò che ci fa capire come funziona l’evoluzione dell’Universo; e anche qui ci vuole una
viaggio del pensiero legato a un viaggio dell’uomo. Il pensiero è dialogo. Il pensiero grande concentrazione di intelligenza. Queste case sono necessarie perché l’intelligenza è
non dialogo si chiama intuizione mistica, cosa meravigliosa ma incomunicabile; non è dialogo, si sostiene e procede all’interno di una comunità altamente qualificata. In questi
di questo che parlo. Questo tipo di mobilità fuoriesce dai confini di ciò che chiamiamo due esempi non si parla più di aristocrazia ma di oligarchia frutto di competizione fra
tecnologia dei trasporti. Tuttavia non c’è dubbio che anche questo tipo di mobilità è reale pari. La nascita di questi laboratori è molto complessa e diversa nei due casi. La gestione è
ed esiste nel contesto naturale in cui esiste la specie umana. In condizioni ambientali non molto costosa. Prendiamo Los Alamos. La strada del denaro ha origini lontane, nella crisi
opportune il pensiero non può esistere, quindi è sensato parlare di una casa relativa alla del ’29, quando dopo un paio d’anni parte l’idea dell’intervento del denaro dello Stato
dinamica della specie umana, sia al proprio interno che verso l’esterno, tale da permettere con opere pubbliche; e queste sono in parte visibili e in parte coperte dal segreto militare.
la continuazione del pensiero. Questo filone di erogazione spiega la velocità di formazione dell’immenso armamento
USA che arriva a maturità con la seconda guerra mondiale, e la facilità nell’improvvisare il
La casa del pensiero gigantesco finanziamento del Progetto Manhattan nel breve intervallo di tempo 1943-45.
Per il Cern la strada del denaro è completamente diversa, il denaro è multinazionale e il
Questo tipo di domanda non si pone per tutte le altre specie viventi perché non siamo
seme è l’orgoglio delle università europee che furono la culla della meccanica quantistica.
abituati a distinguere per le altre specie fra esistenza della collettività e pensiero, cosa che
Questi due esempi sono particolarmente interessanti per il loro gigantismo. Sono due
invece si fa, per tradizione filosofica, nel caso dell’uomo.
comunità inaccessibili all’uomo normale prima di tutto perché lì si parla un linguaggio
Ha senso parlare di casa del pensiero? Da una parte il pensiero è un fatto casuale, nasce per
incomprensibile. Il primo gigante, Los Alamos, è ulteriormente inaccessibile perché è
caso la persona di genio, cioè la persona dotata di grande velocità di funzionamento della
nascosto sotto il segreto militare. Queste osservazioni possono essere articolate su tanti
mente per cui nel breve intervallo di tempo della vita è in grado di apprendere conoscenza
altri casi di agglomerati dell’intelligenza. I laboratori dedicati allo studio della biologia e
e di produrre conoscenza. La durata della vita umana obbedisce a leggi allometriche che
della medicina, che sono più piccoli perché non implicano grandi macchinari e, per quanto
la accomunano alla durata della vita di altri animali di massa corporea simile. Ciò che
riguarda il finanziamento, il mix Stato-privato tende dalla parte del privato. Tuttavia tutte
separa una creatura di talento grande da una di talento meno grande è dunque la velocità di
queste comunità esistono finché possono nutrirsi col talento che nasce nella famiglia,
funzionamento della rete neuronale del cervello. Come questa prerogativa sia collegabile
cresce nella scuola, e nell’università. Ma il nodo cruciale è questo: l’intelligenza entrante
alla massa del cervello non lo sappiamo e forse non lo sapremo mai. È molto sensato
deve restituire un prodotto di intelligenza uscente. Il giorno in cui questo ritorno non si
pensare che questa proprietà non sia né riproducibile né manipolabile con operazioni di
realizzasse più, questi laboratori cesserebbero di esistere. E a questo punto si farebbe il
laboratorio di chimica molecolare.
bilancio del pensiero che hanno prodotto.
Un primo modo di pensare è che il talento sia casuale. Questo è un atteggiamento
superficiale che si limita a osservare che la probabilità di incontrare una persona di talento
Conclusione
è, appunto, rara, è un evento che viene per caso. È più produttivo e sensato pensare
che il talento sia una caratteristica potenziale che può essere nutrita con varie forme di Oggi ci sono palazzi in cui vivono re e regine, e altri palazzi meravigliosi che sono rimasti
opportunità. Tali opportunità esistono nella famiglia e sono offerte ai primi anni di vita lì, ma senza re dentro, sono musei. L’uomo qualunque paga il biglietto, entra, guarda
dell’individuo, poi predomina il ruolo della società. Dunque non è insensato parlare di casa ammirato, e poi magari pensa che preferirebbe abitare in una villa tutta vetri e curve
del pensiero, nel senso di struttura di interrelazione tra famiglia e società adatta, o meno aggettanti nel verde, forse disegnata dall’amico Oscar Niemeyer.
adatta, a favorire lo sviluppo dell’individuo che era in partenza dotato. Questo modo di Ci sono musei delle scienze e biblioteche con libri scritti molti secoli fa, in parte attuali,
ragionare è quello che sta alla base del concetto generalissimo di scuola. Tuttavia parlare in parte vecchi. Il percorso evolutivo della conoscenza della natura è diverso dal percorso
di scuola in senso astratto è in parte un modo di spostare il problema: infatti è noto che da della conoscenza dell’uomo su sé stesso, ma nella diversità c’è una analogia: è il procedere
una stessa scolaresca possono venir fuori le più strane combinazioni di talento e idiozia; della experientia mentis come la chiamava Lucrezio.
quindi si ritorna all’idea del talento casuale. Solo si è spostata la domanda dal momento Questo per dire che il tempo passa, e la lumaca pensante cambia il guscio, molto lentamente,
della genetica al momento dell’adolescenza. ma lo cambia. Questo si chiama futuro. Cambiano le case, cambiano i movimenti, e
Un modo per progredire nel ragionamento è di allargare il concetto parlando non di questa o come continua il pensiero? L’uomo pensa e sbaglia: rispetto a quale verità? Questa è una
quella scuola ma di condizioni strutturali di apprendimento. Con questa definizione viene domanda di alta filosofia, ma allo stesso tempo è naturalissima. Non c’è bisogno del logico
allora spontaneo distinguere fra condizioni di apprendimento nel periodo di gestazione e formale; se la pone ogni mamma quando allatta il suo bambino.
condizioni di apprendimento nel periodo successivo. Nel primo periodo la casa è il corpo Come mai i bambini capiscono e gli adulti sbagliano? Dobbiamo partire da questa
della madre a sua volta attiva dentro la famiglia, nel secondo periodo è la vita collettiva. osservazione: l’insegnamento più alto non serve a niente se la prossima generazione è fatta
Non è solo una questione di nomi. Storicamente sono apparse le idee e le dinamiche più di deficienti. La biosfera, cioè l’insieme di tutte le specie, dimostra da miliardi di anni di
strane. L’idea più radicata è che esista l’accoppiamento e la riproduzione aristocratica e possedere una saggezza infinita nel tramandare l’informazione che conserva la vita da una
quella non. Poi che esista l’insieme delle opportunità di apprendimento aristocratico e generazione all’altra. L’uomo osserva la bellezza della natura da sempre ma non sempre
l’assenza di opportunità per tutti gli altri. Questo quadro della casa del pensiero è stato riesce a capire il messaggio che la Natura possiede. La fisica ci ha messo molti secoli per
istituzionalizzato in vari modi. È ciò che si legge nei libri di storia. Poteva esistere Mozart passare dalle stelle fisse di Dante alla cosmologia evolutiva di oggi. Capire come funziona
senza monarchi e prelati? Poteva esistere Galileo senza il granduca di Toscana? No. Il il corredo planetario delle stelle, e quali stelle, in quali galassie, è un altro passo importante.
pensiero era albergato nelle case del privilegio. Esistono tracce del pensiero albergato nelle Da qui viene spontaneo chiedersi se la biosfera di tipo terrestre sia unica nell’Universo
comunità degli schiavi? No. Dal talento innato all’espressione compiuta è necessario un o no. Infine la visione della stabilità evolutiva della biosfera terrestre sta passando dalla

114 115
contemplazione poetica o religiosa ai primi passi dell’indagine scientifica. L’informazione Soggetti, media e godimenti nell’età del biocapitalismo
contenuta nella biosfera terrestre è infinita, o meglio incalcolabile numericamente.
Nel pensiero dell’Ottocento e del Novecento l’economia si è presentata come filosofia
portatrice della comprensione della società umana, cosa diversa dal capire della scienza
fisica, dalla quale è disgiunta. Questa separazione poteva andare bene nel Settecento di Pasquale Stanziale
Adam Smith (la Natura dato esterno), certamente non è più sostenibile oggi. Con la
genetica industriale, la delocalizzazione militare e informatica, l’economia e l’etica sono
sottoposte alla necessità di una riformulazione radicale. E quale è il riferimento? Altro
non può essere che l’onnipotente Natura, che ha sempre dominato sulla lumaca pensante,
la quale negli ultimi decenni, ubriacata dal consumismo energivoro si è smarrita nella 1. Scene e scenari spettacolari
strada del pensiero. 1.1
Una ricerca sul biocapitalismo non può iniziare senza chiamare in causa la Società dello
Spettacolo di G. Debord (G. Debord 2002), un’analisi che rimane, a nostro avviso, un
riferimento imprescindibile per comprendere gli esiti strumentalistico-spettacolari del
biocapitalismo.
- La società dello spettacolo costituisce lo sfondo sul quale, ieri come oggi, prendono forma
le dinamiche e i processi relativi al desiderio, al consumo delle immagini, all’immaginario
ed alla fiction economy.
- Gran parte di quello che è successo sulla scena sociale, politica, comunicativa ed anche
urbanistica degli ultimi cinquant’anni era profeticamente presente nelle intuizioni di
Debord e dei suoi amici situazionisti come opportunamente ha sostenuto Agamben (1988).
- Per Debord «Lo spettacolo è il momento in cui la merce è pervenuta all’occupazione
totale della vita sociale» (G. Debord 2002:58), compreso la merce-spettacolo umana.
- La società dello spettacolo, nella sua ideologia di fondo, si presenta come quell’Ordine
(l’Immaginario) in grado di generare consenso collettivo (S. Žižek 2004).
1.2
La società dello spettacolo (SdS) di Debord rappresenta inconfutabilmente un punto di
non ritorno nell’ambito di una teoria critica della società pure nell’assetto biocapitalistico,
critica, nel senso che sarà sempre della Sds che occorrerà tener conto per comprendere
correttamente le strategie di autoriproduzione e accumulazione capitalistiche.
Proposte di analisi come quelle contenute nei concetti di accesso rifkiniano, di new economy,
di alienazione biotecnologica, di economia finzionale, viste in una loro collocazione critica,
non possono non essere ricondotte alle concezioni di fondo della Sds, unitamente alle
analisi di R. Vaneigem e degli altri situazionisti ortodossi e non.
La Sds corrisponde, ad una fase storica di ristrutturazione del capitale – nella seconda metà
del ’900 – che consolida talune strategie di dominio nell’ambito produttivo e dà origine a
nuove direttrici di consumo relative al passaggio all’avere e al baudrillardiano simulare.
Per Debord, inoltre, il divenire immagine del capitale si realizza nella metamorfosi della
merce in generale che tende a perdere il suo valore d’uso acquistando valore a partire
dall’immaginario sociale.
1.3
È possibile inoltre verificare come vi sia una corrispondenza tra elementi teorici debordiani
ed alcuni significativi ambiti analitici contemporanei. In particolare la distinzione
debordiana tra società in cui lo spettacolo si presenta concentrato, diffuso o integrato (Sds
e Commentari del 1997) viene per molti aspetti ad avere un riscontro con le fasi dello
sviluppo del capitalismo dei consumi esaminate da Lipovetsky (2007) ovvero:
1) la fase della nascita dei mercati di massa,
2) la fase del ciclo storico che inizia negli anni ’50 caratterizzata dalle società del consumo
di massa – e che richiama ampiamente lo spettacolare diffuso debordiano,
3) la fase infine che va oltre lo standing ed è caratterizzata dai consumi emotivi ed è pertinente
alla organizzazione economica post-fordista e al turbo-consumerismo, segnando il destino
felice dell’homo consumericus.
Questa fase è strettamente connessa, nell’ambito biocapitalistico, a quello che Codeluppi
(2008) chiama “processo di astrazione della società” in cui il capitale tende a smaterializzarsi
nel credito e nella finanza ed il lavoro stesso si trasforma nel quadro di una produzione
industriale reticolare propria del post-fordismo.
Questa ultima fase, infine, corrisponde, per moltissimi aspetti a quella dello spettacolo
integrato nel suo senso ultimo, quando la spettacolarità partecipa pienamente alle dinamiche
proprie del biocapitalismo, una spettacolarità che «si è mescolata ad ogni realtà… perché

116 117
contemplazione poetica o religiosa ai primi passi dell’indagine scientifica. L’informazione Soggetti, media e godimenti nell’età del biocapitalismo
contenuta nella biosfera terrestre è infinita, o meglio incalcolabile numericamente.
Nel pensiero dell’Ottocento e del Novecento l’economia si è presentata come filosofia
portatrice della comprensione della società umana, cosa diversa dal capire della scienza
fisica, dalla quale è disgiunta. Questa separazione poteva andare bene nel Settecento di Pasquale Stanziale
Adam Smith (la Natura dato esterno), certamente non è più sostenibile oggi. Con la
genetica industriale, la delocalizzazione militare e informatica, l’economia e l’etica sono
sottoposte alla necessità di una riformulazione radicale. E quale è il riferimento? Altro
non può essere che l’onnipotente Natura, che ha sempre dominato sulla lumaca pensante,
la quale negli ultimi decenni, ubriacata dal consumismo energivoro si è smarrita nella 1. Scene e scenari spettacolari
strada del pensiero. 1.1
Una ricerca sul biocapitalismo non può iniziare senza chiamare in causa la Società dello
Spettacolo di G. Debord (G. Debord 2002), un’analisi che rimane, a nostro avviso, un
riferimento imprescindibile per comprendere gli esiti strumentalistico-spettacolari del
biocapitalismo.
- La società dello spettacolo costituisce lo sfondo sul quale, ieri come oggi, prendono forma
le dinamiche e i processi relativi al desiderio, al consumo delle immagini, all’immaginario
ed alla fiction economy.
- Gran parte di quello che è successo sulla scena sociale, politica, comunicativa ed anche
urbanistica degli ultimi cinquant’anni era profeticamente presente nelle intuizioni di
Debord e dei suoi amici situazionisti come opportunamente ha sostenuto Agamben (1988).
- Per Debord «Lo spettacolo è il momento in cui la merce è pervenuta all’occupazione
totale della vita sociale» (G. Debord 2002:58), compreso la merce-spettacolo umana.
- La società dello spettacolo, nella sua ideologia di fondo, si presenta come quell’Ordine
(l’Immaginario) in grado di generare consenso collettivo (S. Žižek 2004).
1.2
La società dello spettacolo (SdS) di Debord rappresenta inconfutabilmente un punto di
non ritorno nell’ambito di una teoria critica della società pure nell’assetto biocapitalistico,
critica, nel senso che sarà sempre della Sds che occorrerà tener conto per comprendere
correttamente le strategie di autoriproduzione e accumulazione capitalistiche.
Proposte di analisi come quelle contenute nei concetti di accesso rifkiniano, di new economy,
di alienazione biotecnologica, di economia finzionale, viste in una loro collocazione critica,
non possono non essere ricondotte alle concezioni di fondo della Sds, unitamente alle
analisi di R. Vaneigem e degli altri situazionisti ortodossi e non.
La Sds corrisponde, ad una fase storica di ristrutturazione del capitale – nella seconda metà
del ’900 – che consolida talune strategie di dominio nell’ambito produttivo e dà origine a
nuove direttrici di consumo relative al passaggio all’avere e al baudrillardiano simulare.
Per Debord, inoltre, il divenire immagine del capitale si realizza nella metamorfosi della
merce in generale che tende a perdere il suo valore d’uso acquistando valore a partire
dall’immaginario sociale.
1.3
È possibile inoltre verificare come vi sia una corrispondenza tra elementi teorici debordiani
ed alcuni significativi ambiti analitici contemporanei. In particolare la distinzione
debordiana tra società in cui lo spettacolo si presenta concentrato, diffuso o integrato (Sds
e Commentari del 1997) viene per molti aspetti ad avere un riscontro con le fasi dello
sviluppo del capitalismo dei consumi esaminate da Lipovetsky (2007) ovvero:
1) la fase della nascita dei mercati di massa,
2) la fase del ciclo storico che inizia negli anni ’50 caratterizzata dalle società del consumo
di massa – e che richiama ampiamente lo spettacolare diffuso debordiano,
3) la fase infine che va oltre lo standing ed è caratterizzata dai consumi emotivi ed è pertinente
alla organizzazione economica post-fordista e al turbo-consumerismo, segnando il destino
felice dell’homo consumericus.
Questa fase è strettamente connessa, nell’ambito biocapitalistico, a quello che Codeluppi
(2008) chiama “processo di astrazione della società” in cui il capitale tende a smaterializzarsi
nel credito e nella finanza ed il lavoro stesso si trasforma nel quadro di una produzione
industriale reticolare propria del post-fordismo.
Questa ultima fase, infine, corrisponde, per moltissimi aspetti a quella dello spettacolo
integrato nel suo senso ultimo, quando la spettacolarità partecipa pienamente alle dinamiche
proprie del biocapitalismo, una spettacolarità che «si è mescolata ad ogni realtà… perché

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l’esperienza pratica del compimento sfrenato della volontà della ragione mercantile a mascherare le contraddizioni e le lacerazioni della società e dei poteri che la dominano.
mostra, rapidamente e senza eccezioni, che il divenir-mondo della falsificazione era (è) La banalizzazione, la vedette specializzata nel vissuto apparente, le finte lotte spettacolari
anche un divenir-falsificazione del mondo» (G. Debord 1997:194). e, aggiungiamo noi, le situazioni concentrazionario-spettacolari entro cui i soggetti sono
chiamati miticamente a mostrare tutti gli aspetti della loro soggettività spettacolarizzata:
1.4
tutto ciò rappresenta un artificiale che traduce nello spettacolare la falsificazione della vita
Le 72 tesi dei primi tre capitoli della Sds tracciano un percorso organico, partendo dal
sociale. Uno spettacolare che si presenta sullo scenario globale come concentrato o diffuso
concetto di separazione – che riprende in una prospettiva innovativa sia il concetto di
a seconda della miseria che smentisce o mantiene.
alienazione (sulla linea Hegel, Feuerbach, Marx) che il concetto di scissione (del Lukàcs
della Teoria del romanzo) – per giungere al concetto di falsa unità che informa di sé tutta 1.9
la realtà spettacolare. La separazione che si compie per Debord (con riferimento anche Per quanto riguarda le risposte invertite alle domande debordiane troviamo che queste
all’eccesso di metafisica lukàcsiano) sembra portare a compimento quel processo di scissione sono fatte proprie dal marketing di aziende (Negozi Hollister ecc. - M. D’Ambrosio
tra il soggetto e se stesso originato dalla rottura dell’unità presente nel mondo greco. 2008), la deriva debordiana è sperimentata e istituzionalizzata da Facoltà di Architettura
romane e torinesi ed è presente in alcuni format TV nei quali vengono costruite situazioni
1.5 emozionanti da attraversare.
Debord tratta del dominio proprio di una società che è dello spettacolo in cui Il gruppo Luther Blisset (oggi Wu Ming), anche, ha fatto la sua parte (P. Stanziale 1998)
«all’affermazione dell’apparire corrisponde una separazione dalla vita» (G. Debord con le relative denigrazioni e con critiche di cui qualcuna, a nostro avviso, fondata.
2002:64). Lo spettacolo, quindi, si fa rapporto sociale e visualizza in modo totalizzante e Che dire poi di quel gigantesco dètournement pervasivo che prende il nome di postmoderno,
pervasivo il suo essere capitale ovvero biocapitale in cui i soggetti sono assunti come merce figurazioni che assemblano stili precedenti secondo un progetto ludico, partecipando ad
spettacolare di consumo. Sono presenti in questi assunti del primo capitolo rielaborazioni uno spettacolo globale, ad un immenso “simulacro immaginifico” (F. Jameson 1994) tra
tratte dal giovane Marx, quando scrive dell’alienazione nella società borghese, mentre il stereotipizzazioni e nostalgie.
secondo capitolo riprende il concetto di feticismo della merce sulla linea Marx-Lukàcs.
Debord afferma che il predominio dello spettacolo si attua attraverso l’occupazione della 1.9.1 La narrazione situazionista ebbe indubbiamente successo (G. Debord G. Sanguinetti
vita sociale da parte della merce. A ciò corrisponde la vittoria del valore di scambio sul 1999; P. Virno 1999; P. Stanziale 2008) ma la sua spinta si infranse contro la massiccia
valore d’uso in una società che sancisce la vittoria dell’economia autonoma. affermazione del dominio capitalista in espansione, vittoria e sconfitta dunque – come
Ma è nel rapporto tra economia e società che Debord individua una possibile forma di affermato da molti – ma anche lo stabilizzarsi di un nucleo di teoria critica di riferimento
riscatto là dove, infine, l’economia finirebbe col dipendere pur sempre dalla società e dalla come tappa importante di un itinerario che, partito da lontano, deve essere ripreso e
lotta di classe. Parafrasando Freud, Debord afferma che l’Io deve situarsi là dove c’era l’es organicamente integrato con nuovi e più incisivi strumenti di analisi a fronte di scenari
economico e, politicamente, che «il desiderio della coscienza e la coscienza del desiderio» contemporanei stagliati sullo sfondo di reticoli schizoidi in cui il soggetto biocapitalistico
costituiscono un unico progetto mirante all’abolizione delle classi (G. Debord 2002:155). è frammentato, risucchiato tra forme di estetizzazione di massa e mercificazioni
edonistiche, tra godimenti autoritari, esaltazioni narcisistiche ed esplosioni nichilistiche.
1.6 Il tutto costituendo le nuove frontiere dello spettacolo che tende in modo sempre più
È inevitabile, a questo punto, affrontare quell’importante nodo teorico riguardante il pressante a saturare quella totalità che R. Vaneigem (1994) in Banalità di base (Tesi 24)
rapporto indissolubile tra economia, spettacolo e immaginario: un ambito strategicamente intende come «la realtà oggettiva nel cui movimento la soggettività può inserirsi sotto
significativo dell’ambito del biocapitalismo. Nodo borromeo che si fa struttura divenendo forma di realizzazione» e «là dove non vi è realizzazione vi è lo spettacolo».
un nucleo dialettico in grado di articolare in modo evolutivo le intuizioni debordiane.
Questa struttura traduce fondamentalmente il significato e il significante della merce 1.10
ovvero l’immagine-merce, il feticcio-merce, il soggetto-merce, ovvero fascinazione, Il concetto di società dello spettacolo rappresenta quindi un riduttore di complessità
illusione, scambio, consumo. Ciò in una fase di evoluzione strutturale dell’economia contribuendo ad una comprensione critica dell’universo socio-politico biocapitalistico
verso una evidente ed affermata sua autonomia che può essere ben correlata alle marxiane attuale. Questo perché lo spettacolo – come abbiamo già visto – ha assunto un valore
due astrazioni/alienazioni (A. Jappe 1999) ovvero lo Stato e il Denaro riguardanti il strutturale con tutto ciò che ne deriva sia per l’economia del soggetto che per l’ambito
divenire membro di una comunità e l’accesso al mondo del lavoro. L’ipostatizzazione sociale e politico. Il passaggio dalla società post-industriale alla società del dominio
di queste astrazioni/alienazioni si concreta nello spettacolo da intendersi come ideologia spettacolare ha avuto una duplice conseguenza: l’emergere di una diversa strategia di
materializzata (G. Debord 2002 cit.), ambito che vedremo in seguito in una prospettiva potere basata su parametri, che sono andati a modificare vari ambiti tra cui quelli biologici,
diversa. Questi riferimenti che attualizzano, attraverso Debord, le istanze del giovane Marx politici e comunicativi, e il fatto che tutto questo è avvenuto nel cuore stesso del sociale che
vengono riaffermate – come giustamente sottolinea Jappe – nel Capitale che individua il potere ha potuto ristrutturare secondo i suoi nuovi indirizzi. Lo spettacolare integrato
nell’astrazione la forma-merce dell’economia moderna. debordiano è stato il risultato di questo stato di cose, riuscendo ad imporsi in modo
autonomo e articolato divenendo una funzione vitale costitutiva della volontà individuale.
1.7
1.11
Come nota, poi, M. Pezzella (1996:78) il potere economico richiama immediatamente
Secondo J-L Nancy (2001), infine, la critica dell’attuale globalizzazione capitalistica,
un immaginario inseparabile dal desiderio, un immaginario che va oltre il valore d’uso
passa per la critica del radicalismo filosofico situazionista alla società dello spettacolo,
realizzando il valore di scambio. Si tratta qui di individuare «l’economia nella sua cultura»
intesa (quest’ultima) come il compimento della «mercificazione generale dei feticci […]
(W. Benjamin 1986:595 in Pezzella 1996:79) che mostra come economia e immaginario
con la produzione e il consumo di beni materiali e simbolici (tra cui, in primo luogo,
siano termini legati da un indissolubile legame funzionale nell’ambito di quella economia
l’ordinamento del diritto democratico) che hanno tutti il carattere d’immagine, d’inganno
libidinale di cui parla Lyotard (1978).
o di sembiante» (J-L. Nancy 2001:98).
Per quanto riguarda lo spettacolo esso non è una sovrastruttura – nel tradizionale linguaggio
La società dello spettacolo è, in ultima analisi, quella «che porta a compimento pieno
marxista – e neanche una simulazione (J. Baudrillard 1979). Esso, nel contesto della Sds,
l’alienazione, grazie ad un’appropriazione immaginaria dell’appropriazione reale. Il segreto
è allo stesso tempo: una figurazione dell’immaginario (la fantasy/fiction žižekiana), una
dell’inganno è questo: l’appropriazione reale non è altro che una libera immaginazione
tecnica di produzione e un motore della circolazione del capitale ma anche lo sfruttamento,
creatrice di sé, indissolubilmente individuale e collettiva ma la merce spettacolare, in
come vedremo, del biocapitale.
tutte le sue forme, non è a sua volta altro che un immaginario venduto al posto di questa
1.8 immaginazione autentica» (J-L. Nancy 2001:121).
Nel terzo capitolo della Sds Debord mostra come nella sua unità fittizia, lo spettacolo tenda Nancy partendo da queste analisi ritiene che la critica situazionista sia inficiata dalla

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l’esperienza pratica del compimento sfrenato della volontà della ragione mercantile a mascherare le contraddizioni e le lacerazioni della società e dei poteri che la dominano.
mostra, rapidamente e senza eccezioni, che il divenir-mondo della falsificazione era (è) La banalizzazione, la vedette specializzata nel vissuto apparente, le finte lotte spettacolari
anche un divenir-falsificazione del mondo» (G. Debord 1997:194). e, aggiungiamo noi, le situazioni concentrazionario-spettacolari entro cui i soggetti sono
chiamati miticamente a mostrare tutti gli aspetti della loro soggettività spettacolarizzata:
1.4
tutto ciò rappresenta un artificiale che traduce nello spettacolare la falsificazione della vita
Le 72 tesi dei primi tre capitoli della Sds tracciano un percorso organico, partendo dal
sociale. Uno spettacolare che si presenta sullo scenario globale come concentrato o diffuso
concetto di separazione – che riprende in una prospettiva innovativa sia il concetto di
a seconda della miseria che smentisce o mantiene.
alienazione (sulla linea Hegel, Feuerbach, Marx) che il concetto di scissione (del Lukàcs
della Teoria del romanzo) – per giungere al concetto di falsa unità che informa di sé tutta 1.9
la realtà spettacolare. La separazione che si compie per Debord (con riferimento anche Per quanto riguarda le risposte invertite alle domande debordiane troviamo che queste
all’eccesso di metafisica lukàcsiano) sembra portare a compimento quel processo di scissione sono fatte proprie dal marketing di aziende (Negozi Hollister ecc. - M. D’Ambrosio
tra il soggetto e se stesso originato dalla rottura dell’unità presente nel mondo greco. 2008), la deriva debordiana è sperimentata e istituzionalizzata da Facoltà di Architettura
romane e torinesi ed è presente in alcuni format TV nei quali vengono costruite situazioni
1.5 emozionanti da attraversare.
Debord tratta del dominio proprio di una società che è dello spettacolo in cui Il gruppo Luther Blisset (oggi Wu Ming), anche, ha fatto la sua parte (P. Stanziale 1998)
«all’affermazione dell’apparire corrisponde una separazione dalla vita» (G. Debord con le relative denigrazioni e con critiche di cui qualcuna, a nostro avviso, fondata.
2002:64). Lo spettacolo, quindi, si fa rapporto sociale e visualizza in modo totalizzante e Che dire poi di quel gigantesco dètournement pervasivo che prende il nome di postmoderno,
pervasivo il suo essere capitale ovvero biocapitale in cui i soggetti sono assunti come merce figurazioni che assemblano stili precedenti secondo un progetto ludico, partecipando ad
spettacolare di consumo. Sono presenti in questi assunti del primo capitolo rielaborazioni uno spettacolo globale, ad un immenso “simulacro immaginifico” (F. Jameson 1994) tra
tratte dal giovane Marx, quando scrive dell’alienazione nella società borghese, mentre il stereotipizzazioni e nostalgie.
secondo capitolo riprende il concetto di feticismo della merce sulla linea Marx-Lukàcs.
Debord afferma che il predominio dello spettacolo si attua attraverso l’occupazione della 1.9.1 La narrazione situazionista ebbe indubbiamente successo (G. Debord G. Sanguinetti
vita sociale da parte della merce. A ciò corrisponde la vittoria del valore di scambio sul 1999; P. Virno 1999; P. Stanziale 2008) ma la sua spinta si infranse contro la massiccia
valore d’uso in una società che sancisce la vittoria dell’economia autonoma. affermazione del dominio capitalista in espansione, vittoria e sconfitta dunque – come
Ma è nel rapporto tra economia e società che Debord individua una possibile forma di affermato da molti – ma anche lo stabilizzarsi di un nucleo di teoria critica di riferimento
riscatto là dove, infine, l’economia finirebbe col dipendere pur sempre dalla società e dalla come tappa importante di un itinerario che, partito da lontano, deve essere ripreso e
lotta di classe. Parafrasando Freud, Debord afferma che l’Io deve situarsi là dove c’era l’es organicamente integrato con nuovi e più incisivi strumenti di analisi a fronte di scenari
economico e, politicamente, che «il desiderio della coscienza e la coscienza del desiderio» contemporanei stagliati sullo sfondo di reticoli schizoidi in cui il soggetto biocapitalistico
costituiscono un unico progetto mirante all’abolizione delle classi (G. Debord 2002:155). è frammentato, risucchiato tra forme di estetizzazione di massa e mercificazioni
edonistiche, tra godimenti autoritari, esaltazioni narcisistiche ed esplosioni nichilistiche.
1.6 Il tutto costituendo le nuove frontiere dello spettacolo che tende in modo sempre più
È inevitabile, a questo punto, affrontare quell’importante nodo teorico riguardante il pressante a saturare quella totalità che R. Vaneigem (1994) in Banalità di base (Tesi 24)
rapporto indissolubile tra economia, spettacolo e immaginario: un ambito strategicamente intende come «la realtà oggettiva nel cui movimento la soggettività può inserirsi sotto
significativo dell’ambito del biocapitalismo. Nodo borromeo che si fa struttura divenendo forma di realizzazione» e «là dove non vi è realizzazione vi è lo spettacolo».
un nucleo dialettico in grado di articolare in modo evolutivo le intuizioni debordiane.
Questa struttura traduce fondamentalmente il significato e il significante della merce 1.10
ovvero l’immagine-merce, il feticcio-merce, il soggetto-merce, ovvero fascinazione, Il concetto di società dello spettacolo rappresenta quindi un riduttore di complessità
illusione, scambio, consumo. Ciò in una fase di evoluzione strutturale dell’economia contribuendo ad una comprensione critica dell’universo socio-politico biocapitalistico
verso una evidente ed affermata sua autonomia che può essere ben correlata alle marxiane attuale. Questo perché lo spettacolo – come abbiamo già visto – ha assunto un valore
due astrazioni/alienazioni (A. Jappe 1999) ovvero lo Stato e il Denaro riguardanti il strutturale con tutto ciò che ne deriva sia per l’economia del soggetto che per l’ambito
divenire membro di una comunità e l’accesso al mondo del lavoro. L’ipostatizzazione sociale e politico. Il passaggio dalla società post-industriale alla società del dominio
di queste astrazioni/alienazioni si concreta nello spettacolo da intendersi come ideologia spettacolare ha avuto una duplice conseguenza: l’emergere di una diversa strategia di
materializzata (G. Debord 2002 cit.), ambito che vedremo in seguito in una prospettiva potere basata su parametri, che sono andati a modificare vari ambiti tra cui quelli biologici,
diversa. Questi riferimenti che attualizzano, attraverso Debord, le istanze del giovane Marx politici e comunicativi, e il fatto che tutto questo è avvenuto nel cuore stesso del sociale che
vengono riaffermate – come giustamente sottolinea Jappe – nel Capitale che individua il potere ha potuto ristrutturare secondo i suoi nuovi indirizzi. Lo spettacolare integrato
nell’astrazione la forma-merce dell’economia moderna. debordiano è stato il risultato di questo stato di cose, riuscendo ad imporsi in modo
autonomo e articolato divenendo una funzione vitale costitutiva della volontà individuale.
1.7
1.11
Come nota, poi, M. Pezzella (1996:78) il potere economico richiama immediatamente
Secondo J-L Nancy (2001), infine, la critica dell’attuale globalizzazione capitalistica,
un immaginario inseparabile dal desiderio, un immaginario che va oltre il valore d’uso
passa per la critica del radicalismo filosofico situazionista alla società dello spettacolo,
realizzando il valore di scambio. Si tratta qui di individuare «l’economia nella sua cultura»
intesa (quest’ultima) come il compimento della «mercificazione generale dei feticci […]
(W. Benjamin 1986:595 in Pezzella 1996:79) che mostra come economia e immaginario
con la produzione e il consumo di beni materiali e simbolici (tra cui, in primo luogo,
siano termini legati da un indissolubile legame funzionale nell’ambito di quella economia
l’ordinamento del diritto democratico) che hanno tutti il carattere d’immagine, d’inganno
libidinale di cui parla Lyotard (1978).
o di sembiante» (J-L. Nancy 2001:98).
Per quanto riguarda lo spettacolo esso non è una sovrastruttura – nel tradizionale linguaggio
La società dello spettacolo è, in ultima analisi, quella «che porta a compimento pieno
marxista – e neanche una simulazione (J. Baudrillard 1979). Esso, nel contesto della Sds,
l’alienazione, grazie ad un’appropriazione immaginaria dell’appropriazione reale. Il segreto
è allo stesso tempo: una figurazione dell’immaginario (la fantasy/fiction žižekiana), una
dell’inganno è questo: l’appropriazione reale non è altro che una libera immaginazione
tecnica di produzione e un motore della circolazione del capitale ma anche lo sfruttamento,
creatrice di sé, indissolubilmente individuale e collettiva ma la merce spettacolare, in
come vedremo, del biocapitale.
tutte le sue forme, non è a sua volta altro che un immaginario venduto al posto di questa
1.8 immaginazione autentica» (J-L. Nancy 2001:121).
Nel terzo capitolo della Sds Debord mostra come nella sua unità fittizia, lo spettacolo tenda Nancy partendo da queste analisi ritiene che la critica situazionista sia inficiata dalla

118 119
metafisica dicotomia tra una verità dell’essere vs una fallace apparenza: «il limite della «Si tratta di un’economia anti-libidica: soltanto ciò che è singolare, e in questo senso
critica situazionista consisterebbe nel non aver compreso appieno ciò che rendeva eccezionale, può essere desiderabile. Io desidero solo ciò che mi appare eccezionale. Non
manifesto, ossia la costitutiva dimensione simbolico-spettacolare del legame sociale […] c’è desiderio per la banalità, bensì una coazione a ripetere che tende verso la banalità:
la questione [è quella] di capire se lo spettacolo non sia, in un modo o nell’altro, una la psiche è costituita da Eros e Thanatos, due tendenze che vengono incessantemente a
dimensione costitutiva della società: in altri termini, se ciò che chiamiamo il legame sociale patti tra loro. L’industria culturale e il marketing cercano di sviluppare il desiderio di
possa essere pensato al di fuori di un ordine simbolico e se quest’ultimo possa a sua volta consumare, ma di fatto rafforzano la pulsione di morte, nel loro sforzo per provocare
essere concepito al di fuori di un registro dell’immaginazione o della figurazione, che e sfruttare il fenomeno coattivo della ripetizione; e in tal modo contrastano la pulsione
sembrerebbe necessario, a questo punto, ripensare daccapo […] può darsi che il fenomeno di vita. In questo senso, dato che il desiderio è essenziale ai fini del consumo, questo
dello spettacolo generalizzato, con la dimensione, diciamo tele-mondiale, che non soltanto processo è autodistruttivo, o come direbbe Jacques Derrida, autoimmunitario. Io non
lo accompagna, ma che gli è consustanziale, riveli tutt’altro, se ci sforziamo di decifrarlo posso desiderare la singolarità di qualcosa, se non in quanto questa cosa è lo specchio
altrimenti» (J-L. Nancy 2001:132). di quella singolarità che sono io: una singolarità di cui non sono ancora consapevole,
e che questa cosa mi rivela. Ma dal momento che il capitale punta a ipermassificare i
Ci sembra opportuno a questo punto considerare che:
comportamenti, deve ipermassificare anche i desideri e rendere gli individui gregari. A
- effettivamente è necessario ripensare il rapporto tra legame sociale e ordine simbolico;
quel punto, l’eccezione è ciò che va combattuto, come già Nietzsche aveva anticipato
- se in linea di principio vi possono essere fondamenti validi per una critica al situazionismo
quando affermò che la democrazia industriale avrebbe fatalmente generato una società
ciò non toglie che lo spettacolismo biocapitalistico nelle società occidentali tende sempre
gregaria. Siamo in presenza di una vera aporia dell’economia politica industriale. Difatti,
più ad estremizzarsi giungendo alla negazione ed allo sfruttamento spettacolare del soggetto
mettendo sotto controllo gli schermi di proiezione del desiderio d’eccezione si induce il
attraverso forme sempre più esasperate di espropriazione, come in certa spettacolarità
predominio della tendenza thanatologica, o in altri termini, entropica. Thanatos vuol dire
mediale; in tale ambito il con-essere e la com-parizione di cui parla Nancy nel suo Essere
sottomettere l’ordine al disordine. In quanto Nirvana, Thanatos tende ad appiattire tutto:
singolare plurale (2001) divengono partecipi di una omologazione generalizzata che elude
è la tendenza alla negazione di qualunque eccezione in quanto oggetto del desiderio» (B.
ogni autenticità;
Stiegler 2009:103).
- certamente l’ontologia della com-parizione è da considerarsi il primo e fondamentale
passo di un pensiero critico rinnovato ma bisogna fare ancora i conti con tutta una serie di 2.2
modalità attraverso cui la società dello spettacolo partecipa a forme evidenti di patologia Sembra realizzarsi, poi, anche il consolidamento di quella società del controllo come la
nella dimensione dell’essere sociale. E in questo ambito di valutazioni ci sembra pertinente intendono G. Deleuze (1990) e M. Foucault (1978 1997), ovvero una società in cui si
citare Robert Kurz: «[Le idee di Debord] sono perfino più attuali che mai. Debord, nel stabilizza un paradigma di potere basato sulle macchine che colonizzano direttamente i
suo tempo, tenne in vista principalmente il mezzo spettacolare televisivo constatando uno cervelli (nei sistemi della comunicazione, nelle reti informatiche ecc.) e i corpi (nei sistemi
sviluppo del moderno feticismo giunto a un grado di accumulazione del capitale in cui del Welfare, del monitoraggio delle attività ecc.), dispositivi direttamente connessi con la
esso diventa immagine e sostituisce interamente il mondo sensoriale con una selezione biopolitica.
delle immagini. Ciò naturalmente non si riferisce solo alla semplice tecnologia mediale ma
«Il concetto di dispositivo permette di comprendere come funziona una rete di pratiche
a una nuova qualità della sussunzione reale al capitale (Marx), una sussunzione non solo
eterogenee e trasversali. Esso permette di analizzare l’insieme eterogeneo dei discorsi (i
dei processi di produzione, ma della totalità della vita e della totalità dell’esperienza, a una
pericoli, l’immigrazione, il nemico interno, l’integrazione…), delle istituzioni (agenzie
feticizzazione di tutte le relazioni fino all’intimità, come [sopra] ho già suggerito, come
pubbliche, governi, organismi internazionali…), delle infrastrutture architettoniche (aree di
soggezione di tutte le sfere della vita alla astrazione reale del valore e come liberazione
attesa degli aeroporti, circuiti Schengen di circolazione, progetti di nuove città dotate di reti
dell’individuo astratto. A ciò corrisponde una medializzazione del quotidiano in cui i
elettroniche di sicurezza e di video-sorveglianza integrate), delle leggi (sull’immigrazione,
mezzi tecnici di comunicazione non si autonomizzano per sé, ma nel loro carattere
sul lavoro nero, sulla riforma del codice penale, sul terrorismo, sul crimine organizzato),
inscritto nella merce e, in un certo modo, duplicano il feticismo della forma merce. Questo
delle misure amministrative (regolarizzazione dei clandestini, accordi transfrontalieri per
sviluppo si è drammaticamente intensificato con le nuove tecnologie della comunicazione
il respingimento…). La nozione di dispositivo impedisce di vedere il campo come una
della terza rivoluzione industriale. Ora, non si tratta appena di cruda tecnica, ma di una
configurazione di concatenamenti tecnici e giuridici monolitici, consentendo invece di
virtualizzazione generale del mondo della vita, come si può vedere nell’onnipresenza
vedere una configurazione di concatenamenti sociali mobili. Essa permette con ciò di
del telemobile, sms etc. e soprattutto di Internet. Ciò va di pari passo con la virtualità
distanziarsi dal fantasma della tecnica in senso stretto del termine (satelliti di sorveglianza,
del nuovo capitalismo finanziario, che si è staccato dall’accumulazione reale del capitale,
informatica, elettronica di spionaggio…), per ritrovare le tecnologie di addestramento del
come fenomeno di crisi. Nel virtualismo del pensiero postmoderno, tutto questo processo
corpo all’obbedienza» (M. Foucault 1997:79).
fu ideologizzato e parzialmente compreso male come emancipazione. Ma non é altro se
non un’espressione della crisi del soggetto, nella quale si riproduce come fenomeno della «La biopolitica governa corpi multipli, fissandoli su un supporto identitario stabile che ne
coscienza il limite interno del moderno sistema produttore di merci» (2006). garantisca il controllo anche quando estremamente mobile. La proliferazione di identità
plurali, anche a livello somatico, nonché la scomparsa di una identità di genere unica, anche
2. Il totalitarismo dell’outlet attraverso la manipolazione e trasformazione di elementi identitari (attraverso ad esempio
la plastica facciale, l’abrasamento delle impronte digitali e in genere ogni intervento sul
2.1
corpo in senso postumano), rendono più difficile individuare il confine di identità su
Il biocapitalismo sembra lasciare al soggetto poche vie di scampo. Si tratta di un tentativo
cui esercitare la sorveglianza. La biometria cerca in qualche modo di ovviare a questo
di economicizzazione totale del soggetto come fonte del valore. L’essere umano diviene
ostacolo, iscrivendo, incrociando e marcando segmenti diversi del corpo a sua volta con
produttivo attraverso il suo corpo, attraverso la sua mente, attraverso il consumo. Come
diversi confini codificati: sociali, giuridici, di genere, etnici» (L. Amoore 2006).
scrive V. Codeluppi (2008:37) questa tendenza si attua attraverso strategie comunicative
e di consumo, personalizzando i prodotti come “riconoscimento di identità” e non come «In questo modello di potere, lo stato non è più l’unico agente di controllo, ma gli individui
fornitura di merci e/o di servizi. È un nuovo livello di produzione di immaginario da parte e le comunità stesse partecipano al loro autocontrollo, autoscrutinio ed autodisciplina
del simbolico che tende a risucchiare strumentalmente tempo, energie e idee delle persone attraverso dispositivi di regolazione accettati in quanto tali, quali ad esempio la misurazione
per proporre un consumo emotivo, affettivo, tonificante. Questo biocapitalismo, quindi, del livello etilico, l’assistenza comunitaria, le tecniche di contraccezione, le campagne di
compendia gran parte dei processi e delle dinamiche che abbiamo esaminato in precedenza vaccinazione, le diete fai da te, l’esercizio ginnico ed altre forme di tecnologie del sé (M.
portando alcuni di essi ad un più alto livello di sofisticazione come ad esempio, il bio- Foucault 1978). Queste ultime operano attraverso la strumentalizzazione di differenti
branding, il product placement e la vetrinizzazione. tipi di libertà, […] in quanto parte e frammento di un processo di responsabilizzazione

120 121
metafisica dicotomia tra una verità dell’essere vs una fallace apparenza: «il limite della «Si tratta di un’economia anti-libidica: soltanto ciò che è singolare, e in questo senso
critica situazionista consisterebbe nel non aver compreso appieno ciò che rendeva eccezionale, può essere desiderabile. Io desidero solo ciò che mi appare eccezionale. Non
manifesto, ossia la costitutiva dimensione simbolico-spettacolare del legame sociale […] c’è desiderio per la banalità, bensì una coazione a ripetere che tende verso la banalità:
la questione [è quella] di capire se lo spettacolo non sia, in un modo o nell’altro, una la psiche è costituita da Eros e Thanatos, due tendenze che vengono incessantemente a
dimensione costitutiva della società: in altri termini, se ciò che chiamiamo il legame sociale patti tra loro. L’industria culturale e il marketing cercano di sviluppare il desiderio di
possa essere pensato al di fuori di un ordine simbolico e se quest’ultimo possa a sua volta consumare, ma di fatto rafforzano la pulsione di morte, nel loro sforzo per provocare
essere concepito al di fuori di un registro dell’immaginazione o della figurazione, che e sfruttare il fenomeno coattivo della ripetizione; e in tal modo contrastano la pulsione
sembrerebbe necessario, a questo punto, ripensare daccapo […] può darsi che il fenomeno di vita. In questo senso, dato che il desiderio è essenziale ai fini del consumo, questo
dello spettacolo generalizzato, con la dimensione, diciamo tele-mondiale, che non soltanto processo è autodistruttivo, o come direbbe Jacques Derrida, autoimmunitario. Io non
lo accompagna, ma che gli è consustanziale, riveli tutt’altro, se ci sforziamo di decifrarlo posso desiderare la singolarità di qualcosa, se non in quanto questa cosa è lo specchio
altrimenti» (J-L. Nancy 2001:132). di quella singolarità che sono io: una singolarità di cui non sono ancora consapevole,
e che questa cosa mi rivela. Ma dal momento che il capitale punta a ipermassificare i
Ci sembra opportuno a questo punto considerare che:
comportamenti, deve ipermassificare anche i desideri e rendere gli individui gregari. A
- effettivamente è necessario ripensare il rapporto tra legame sociale e ordine simbolico;
quel punto, l’eccezione è ciò che va combattuto, come già Nietzsche aveva anticipato
- se in linea di principio vi possono essere fondamenti validi per una critica al situazionismo
quando affermò che la democrazia industriale avrebbe fatalmente generato una società
ciò non toglie che lo spettacolismo biocapitalistico nelle società occidentali tende sempre
gregaria. Siamo in presenza di una vera aporia dell’economia politica industriale. Difatti,
più ad estremizzarsi giungendo alla negazione ed allo sfruttamento spettacolare del soggetto
mettendo sotto controllo gli schermi di proiezione del desiderio d’eccezione si induce il
attraverso forme sempre più esasperate di espropriazione, come in certa spettacolarità
predominio della tendenza thanatologica, o in altri termini, entropica. Thanatos vuol dire
mediale; in tale ambito il con-essere e la com-parizione di cui parla Nancy nel suo Essere
sottomettere l’ordine al disordine. In quanto Nirvana, Thanatos tende ad appiattire tutto:
singolare plurale (2001) divengono partecipi di una omologazione generalizzata che elude
è la tendenza alla negazione di qualunque eccezione in quanto oggetto del desiderio» (B.
ogni autenticità;
Stiegler 2009:103).
- certamente l’ontologia della com-parizione è da considerarsi il primo e fondamentale
passo di un pensiero critico rinnovato ma bisogna fare ancora i conti con tutta una serie di 2.2
modalità attraverso cui la società dello spettacolo partecipa a forme evidenti di patologia Sembra realizzarsi, poi, anche il consolidamento di quella società del controllo come la
nella dimensione dell’essere sociale. E in questo ambito di valutazioni ci sembra pertinente intendono G. Deleuze (1990) e M. Foucault (1978 1997), ovvero una società in cui si
citare Robert Kurz: «[Le idee di Debord] sono perfino più attuali che mai. Debord, nel stabilizza un paradigma di potere basato sulle macchine che colonizzano direttamente i
suo tempo, tenne in vista principalmente il mezzo spettacolare televisivo constatando uno cervelli (nei sistemi della comunicazione, nelle reti informatiche ecc.) e i corpi (nei sistemi
sviluppo del moderno feticismo giunto a un grado di accumulazione del capitale in cui del Welfare, del monitoraggio delle attività ecc.), dispositivi direttamente connessi con la
esso diventa immagine e sostituisce interamente il mondo sensoriale con una selezione biopolitica.
delle immagini. Ciò naturalmente non si riferisce solo alla semplice tecnologia mediale ma
«Il concetto di dispositivo permette di comprendere come funziona una rete di pratiche
a una nuova qualità della sussunzione reale al capitale (Marx), una sussunzione non solo
eterogenee e trasversali. Esso permette di analizzare l’insieme eterogeneo dei discorsi (i
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pericoli, l’immigrazione, il nemico interno, l’integrazione…), delle istituzioni (agenzie
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pubbliche, governi, organismi internazionali…), delle infrastrutture architettoniche (aree di
soggezione di tutte le sfere della vita alla astrazione reale del valore e come liberazione
attesa degli aeroporti, circuiti Schengen di circolazione, progetti di nuove città dotate di reti
dell’individuo astratto. A ciò corrisponde una medializzazione del quotidiano in cui i
elettroniche di sicurezza e di video-sorveglianza integrate), delle leggi (sull’immigrazione,
mezzi tecnici di comunicazione non si autonomizzano per sé, ma nel loro carattere
sul lavoro nero, sulla riforma del codice penale, sul terrorismo, sul crimine organizzato),
inscritto nella merce e, in un certo modo, duplicano il feticismo della forma merce. Questo
delle misure amministrative (regolarizzazione dei clandestini, accordi transfrontalieri per
sviluppo si è drammaticamente intensificato con le nuove tecnologie della comunicazione
il respingimento…). La nozione di dispositivo impedisce di vedere il campo come una
della terza rivoluzione industriale. Ora, non si tratta appena di cruda tecnica, ma di una
configurazione di concatenamenti tecnici e giuridici monolitici, consentendo invece di
virtualizzazione generale del mondo della vita, come si può vedere nell’onnipresenza
vedere una configurazione di concatenamenti sociali mobili. Essa permette con ciò di
del telemobile, sms etc. e soprattutto di Internet. Ciò va di pari passo con la virtualità
distanziarsi dal fantasma della tecnica in senso stretto del termine (satelliti di sorveglianza,
del nuovo capitalismo finanziario, che si è staccato dall’accumulazione reale del capitale,
informatica, elettronica di spionaggio…), per ritrovare le tecnologie di addestramento del
come fenomeno di crisi. Nel virtualismo del pensiero postmoderno, tutto questo processo
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fu ideologizzato e parzialmente compreso male come emancipazione. Ma non é altro se
non un’espressione della crisi del soggetto, nella quale si riproduce come fenomeno della «La biopolitica governa corpi multipli, fissandoli su un supporto identitario stabile che ne
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2.1
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Il biocapitalismo sembra lasciare al soggetto poche vie di scampo. Si tratta di un tentativo
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scrive V. Codeluppi (2008:37) questa tendenza si attua attraverso strategie comunicative
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portando alcuni di essi ad un più alto livello di sofisticazione come ad esempio, il bio- Foucault 1978). Queste ultime operano attraverso la strumentalizzazione di differenti
branding, il product placement e la vetrinizzazione. tipi di libertà, […] in quanto parte e frammento di un processo di responsabilizzazione

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tramite cui gli individui si fanno carico della loro condotta, delle loro competenze, del loro 1997, P. Falk, The Consuming Body, Sage, London-Thousand Oaks- New Delhi.
perfezionamento, della loro sicurezza e del loro benessere» (B. Ajana 2005 cfr. anche N. 1997, J. A. Miller, L’Autre qui n’existe pas et ses comités d’ethique, inedito, cit. in 2010, M. Recalcati.
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tramite cui gli individui si fanno carico della loro condotta, delle loro competenze, del loro 1997, P. Falk, The Consuming Body, Sage, London-Thousand Oaks- New Delhi.
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2007, F. Carmagnola, Il desiderio non è una cosa semplice, Mimesis, Milano. anche idee e progetti che coinvolgono nel mercato dell’arte, con gli artisti, anche critica
2007, D. Jenkins, Cultura convergente, Apogeo, Milano. e stampa, gallerie e aste d’arte, musei del contemporaneo ecc. e, ovviamente, il pubblico.
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e la critica dello spettacolo alla prova del tempo, 24.10.08 Ist. St. Fil.Napoli- Univ. Federico II, Fac. Lett. legge di mercato a sovrintendere ad ogni transazione tra artista e committente, pubblico e
Filosofia. privato. Da quando l’immagine rituale o sacra è diventata opera d’arte, un mercato dell’arte
2008, M. D’Ambrosio, Note sulla percezione critica dei rapporti tra Debord e Baudrillard, in Guy Debord, è sempre esistito, con simili durezze di concorrenza ma con altra diffusione e qualità, per
Dal superamento dell’arte alla realizzazione della filosofia, Angelus Novus, Massari Editore, L’Aquila. una committenza culturalmente, socialmente e politicamente motivata dal prestigio della
2008, M. F. Blanco, Il rovescio della psicoanalisi, Confer. Ist. Freudiano Padova , 1/3. “buona scelta”. A questa committenza competente si è via via nel tempo sovrapposto un
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popolo di compratori, non solo e tanto di opere d’arte quanto, di più, delle stesse opere
2008, R. Massari, DaLa società dello spettacolo ai Commentari, Angelus Novus, Massari Editore,
L’Aquila. intese come capitale d’investimento a breve termine. Sottolineo il breve termine perché è
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A. Marino P. Stanziale, Dall’immaginario dell’economia all’economia dell’immaginario, Civiltà Aurunca la preminenza del contingente sull’universale o, detto altrimenti, dello spettacolo sul testo.
n. 72 Ott. Dic. Latina.
Ecco di nuovo, nella parola spettacolo, un’altra chiave per comprendere lo spirito che
2009, A. Marino, CO2, CAplus e la crescita del Pil urlata, in Quaderni Craet-Diam Sec. Univ. Napoli,
marzo. condiziona una cultura del mercato, e non si può fare a meno di ricordare, a precisazione di
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CRAET DIAM Sec. Un. Napoli, marzo. linguistica delle avanguardie storiche. Perché una cosa è l’invenzione spettacolare, altra
2009, M. Magatti, Libertà immaginaria. Le illusioni del capitalismo tecno-nichilista, Feltrinelli, Milano. lo spettacolo. C’è una verità-qualità prima e universale nei segni dell’arte che non può
2009, S. Žižek, Leggere Lacan. Guida perversa al vivere contemporaneo, Bollati Boringhieri, Torino essere trasferita ad altri valori, pena la banalità dell’omologazione che proprio il mercato
2009, B. Stiegler, Pour une nouvelle critique de l’économie politique, Galilée, Paris. globale richiede per un successo che non a caso la promozione pubblicitaria, vera “arte”
2009, M. Augé, Nonluoghi, Eleuthera, Milano.
della società di mercato, può costruire o demolire. Ed è questo il vero problema, non
2009, F. Brentano, La classificazione delle attività psichiche, Carabba, Lanciano.
2009, V. Codeluppi, Tutti divi, Laterza, Bari.
tanto per gli artisti che correndo volontariamente i loro rischi fanno i loro conti con gli
2009, J. Butler, Soggetti di desiderio, Laterza, Bari. interlocutori che si scelgono e li scelgono, quanto piuttosto per chi, compratore, non
2009, G. P. Fabris, Societing – Il marketing nella società postmoderna, Egea,Milano. sapendo o non volendo correre i rischi di una scelta autonoma, fa suo il giudizio di un
2010, B. Stiegler, La mécroissance, in Regards sur la crise: réflexions pour comprendre la crise… et en sortir, mercato culturalmente invasivo fondato sul preminente valore dell’immediato utile che
con Alain Badiou, Miguel Benasayag, Rémi Brague, Dany-Robert Dufour, Alain Finkielkraut, Élisabeth non esiterei a definire ”sublimazione del profitto”. Profitto che , in quanto ricompensa per
de Fontenay e al., Éditions Hermann, Paris. un bene prodotto, non è in sé un male, nemmeno per il mercato dell’arte, ma lo diventa se
2010, A. Marino, L’economia nella società dello spettacolo e il soldout, in Quaderni Craet-Diam Sec.
si fa valore culturalmente egemone, fino al limite, non remoto, di non sapere a quali valori,
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non solo estetici ma anche etici e politici, potrà infine riferirsi una cultura capillarmente
2010, V. Codeluppi, Dalla produzione al consumo, F. Angeli, Milano. organizzata e gerarchizzata sul valore di un profitto immediato, non solo economico, non
2010, M. Recalcati, L’uomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicoanalitica, R. Cortina, Milano. solo individuale ma anche sociale e politico, ottenuto a un ”qualunque costo” riconosciuto
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2012, P. Stanziale, Ascoltare Lacan, E-Book www.slideshare.net/geseleh. trasformazione di una selezionata cultura mercantile dell’arte in cultura del consumismo
globale.

Velocità di Comunicazione
La velocità è un rapporto tra spazio e tempo che condiziona la vita. Insieme e al di là delle
velocità vitali di movimento, crescita, funzione organica ecc., la velocità di comunicazione
è, per gli uomini, non solo condizione di sopravvivenza, ma fondativa qualità culturale.
Nei tempi storici, sono sempre state le variazioni di velocità-quantità di comunicazione ad
innescare le sempre nuove percezioni dello spazio e del tempo che hanno via via generato

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popolo di compratori, non solo e tanto di opere d’arte quanto, di più, delle stesse opere
2008, R. Massari, DaLa società dello spettacolo ai Commentari, Angelus Novus, Massari Editore,
L’Aquila. intese come capitale d’investimento a breve termine. Sottolineo il breve termine perché è
2008, U. Galimberti, L’ospite inquietante, Feltrinelli, Milano. questa contrazione temporale a indicare una prima significativa differenza di prospettive
2008, M. Senaldi, Doppio sguardo. Cinema e arte contemporanea, Bompiani, Milano. e propositi tra le due committenze, antica e moderna; differenza che non esclude
2008, S. Kinsella, I love shopping, Mondadori, Milano l’intendimento d’arte degli attori, ma lo condiziona alla radice perché, se il successo di
2008, A. Marino, Economia dell’immaginario, immaginario dell’economia: punti, appunti, interrogativi in mercato a breve è riconosciuto come valore dell’arte, va anche riconosciuta in quel giudizio
A. Marino P. Stanziale, Dall’immaginario dell’economia all’economia dell’immaginario, Civiltà Aurunca la preminenza del contingente sull’universale o, detto altrimenti, dello spettacolo sul testo.
n. 72 Ott. Dic. Latina.
Ecco di nuovo, nella parola spettacolo, un’altra chiave per comprendere lo spirito che
2009, A. Marino, CO2, CAplus e la crescita del Pil urlata, in Quaderni Craet-Diam Sec. Univ. Napoli,
marzo. condiziona una cultura del mercato, e non si può fare a meno di ricordare, a precisazione di
2009, P. Stanziale, Scenari tra economia e scienze umane, ovvero dall’immaginario al godimento, Riv. questa definizione, quanto, ad esempio, sia stata spettacolare ma non spettacolo l’avventura
CRAET DIAM Sec. Un. Napoli, marzo. linguistica delle avanguardie storiche. Perché una cosa è l’invenzione spettacolare, altra
2009, M. Magatti, Libertà immaginaria. Le illusioni del capitalismo tecno-nichilista, Feltrinelli, Milano. lo spettacolo. C’è una verità-qualità prima e universale nei segni dell’arte che non può
2009, S. Žižek, Leggere Lacan. Guida perversa al vivere contemporaneo, Bollati Boringhieri, Torino essere trasferita ad altri valori, pena la banalità dell’omologazione che proprio il mercato
2009, B. Stiegler, Pour une nouvelle critique de l’économie politique, Galilée, Paris. globale richiede per un successo che non a caso la promozione pubblicitaria, vera “arte”
2009, M. Augé, Nonluoghi, Eleuthera, Milano.
della società di mercato, può costruire o demolire. Ed è questo il vero problema, non
2009, F. Brentano, La classificazione delle attività psichiche, Carabba, Lanciano.
2009, V. Codeluppi, Tutti divi, Laterza, Bari.
tanto per gli artisti che correndo volontariamente i loro rischi fanno i loro conti con gli
2009, J. Butler, Soggetti di desiderio, Laterza, Bari. interlocutori che si scelgono e li scelgono, quanto piuttosto per chi, compratore, non
2009, G. P. Fabris, Societing – Il marketing nella società postmoderna, Egea,Milano. sapendo o non volendo correre i rischi di una scelta autonoma, fa suo il giudizio di un
2010, B. Stiegler, La mécroissance, in Regards sur la crise: réflexions pour comprendre la crise… et en sortir, mercato culturalmente invasivo fondato sul preminente valore dell’immediato utile che
con Alain Badiou, Miguel Benasayag, Rémi Brague, Dany-Robert Dufour, Alain Finkielkraut, Élisabeth non esiterei a definire ”sublimazione del profitto”. Profitto che , in quanto ricompensa per
de Fontenay e al., Éditions Hermann, Paris. un bene prodotto, non è in sé un male, nemmeno per il mercato dell’arte, ma lo diventa se
2010, A. Marino, L’economia nella società dello spettacolo e il soldout, in Quaderni Craet-Diam Sec.
si fa valore culturalmente egemone, fino al limite, non remoto, di non sapere a quali valori,
Univ. Napoli, marzo.
2010, C. Sangiorgi, Il Marketing nella società postmoderna, www.ticonzero.info.
non solo estetici ma anche etici e politici, potrà infine riferirsi una cultura capillarmente
2010, V. Codeluppi, Dalla produzione al consumo, F. Angeli, Milano. organizzata e gerarchizzata sul valore di un profitto immediato, non solo economico, non
2010, M. Recalcati, L’uomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicoanalitica, R. Cortina, Milano. solo individuale ma anche sociale e politico, ottenuto a un ”qualunque costo” riconosciuto
2010, F. Carmagnola, Abbagliati e confusi. Una discussione sull’etica delle immagini, C. Mariotti Edizioni, come valore d’intraprendenza, pubblicamente accettato e apprezzato, non condannato.
Milano.
2012, P. Stanziale, Manuale minimo dell’ economia politica dell’immaginario, E-Book, Cirem, Napoli. Ma cerchiamo di individuare quale forse è stata una delle ragioni originarie e dirimenti della
2012, P. Stanziale, Ascoltare Lacan, E-Book www.slideshare.net/geseleh. trasformazione di una selezionata cultura mercantile dell’arte in cultura del consumismo
globale.

Velocità di Comunicazione
La velocità è un rapporto tra spazio e tempo che condiziona la vita. Insieme e al di là delle
velocità vitali di movimento, crescita, funzione organica ecc., la velocità di comunicazione
è, per gli uomini, non solo condizione di sopravvivenza, ma fondativa qualità culturale.
Nei tempi storici, sono sempre state le variazioni di velocità-quantità di comunicazione ad
innescare le sempre nuove percezioni dello spazio e del tempo che hanno via via generato

124 125
profondi cambiamenti culturali. Perché nel loro rapporto, lo spazio e il tempo sono, sì, Ars memoriae. Tra arte e media
misura di velocità, ma anche, di più, misura di lontananze e vicinanze, fisiche e concettuali,
“misura” di cultura.
Nel loro succedersi, le diverse tecniche e conseguenti culture di comunicazione (voce,
Vincenzo Trione
scrittura, stampa…) sono sempre state coerenti a rapporti tra spazio e tempo a “misura
d’uomo”, finché progressivamente, con sempre nuovi mezzi di trasmissione (telefono,
radio, cinema, televisione…) e infine con web e telefonia di uso istantaneo e universale,
la velocità e la quantità di comunicazione integrale (suoni e immagini ) sono aumentate a
valori indicibili, non più a “nostra misura”, generando una seconda dimensione virtuale Si tratta di un’esigenza sempre più diffusa. Pur radicati nella tradizione delle avanguardie
della realtà vista e vissuta sugli schermi. La comunicazione globale e istantanea non è più e delle neo-avanguardie, molte personalità dell’arte contemporanea avvertono con forza la
l’ evento–spettacolo limitato a un luogo e a un tempo come lo sono state e sono la lettura, necessità di opporsi a uno sperimentalismo fine a se stesso. All’apparenza, si sottraggono
il cinema, la televisione , ecc. ma si è fatta continua, ininterrotta, totale e totalizzante. alla dittatura del presente, che è simile a una lavagna sulla quale una mano invisibile cancella
Alla realtà primaria dell’esperienza fisica sembra essersi sovrapposta , non contrapposta, senza posa avvenimenti sempre diversi. I loro gesti sembrano guidati dal sentimento della
una per il momento indefinibile e indefinita realtà complessa, vista e vissuta come “realtà nostalgia: trattengono la lontananza in un inesauribile desiderio di vita.
totale”. Non più tradizionale sdoppiamento della realtà in segno, ma nuova realtà globale, Ad animarli è, innanzitutto, l’urgenza di guardare dietro di sé. Considerano la memoria
assolutamente una e doppia. Assoluta ambiguità? Forse assoluto spettacolo. come una facoltà epica. Ascoltano la voce di Mnemosyne. Che ci consente, per servirci delle
Non sembrino, questi appunti, nostalgia di una naturalezza perduta. Sono, al contrario, parole di Walter Benjamin, di appropriarci del “corso delle cose” e, insieme, ci riconcilia
ineludibili notazioni e prese di coscienza di una inedita naturalezza universalmente vissuta con il loro scomparire, “con la potenza della morte”. Musa che tramanda gli eventi da una
come “eternità del presente”, spettacolo continuo. generazione all’altra, Mnemosyne disegna una fitta rete di narrazioni: episodi diversi si
è questo, forse, un quadro visto da chi per motivi generazionali non ha consuetudine collegano, e “in ognuno di essi vive una Sheherazade, a cui, ad ogni passo delle sue storie,
culturale con la comunicazione digitale, ma, a chi ne usa abitualmente gli strumenti per la viene in mente una storia nuova”.
sua quotidiana vita sociale, la realtà virtuale percepita non apparirà “altra” rispetto a quella I “nostri” artisti vogliono radicare i loro esercizi di stile in regioni non segnate dalle
fisica, ma contigua, altrettanto vera come lo è l’idea di un oggetto rispetto all’oggetto. mitologie del presenteismo. Scelgono di coltivare più o meno evidenti discendenze
Altra, forse perfino misteriosa, potrebbe invece finire per sembrargli la realtà concreta che iconografiche. Frequentano le stanze del Museo. Ripercorrono i labirinti della storia
ha davanti agli occhi e può toccare con mano. dell’arte. Non aderiscono al nuovo come valore da idolatrare, né inseguono provocazioni
Ecco un’inedita doppiezza che tocca problematicamente il tradizionale rapporto tra effimere. Non procedono in maniera progressiva: non vogliono ideologicamente spingersi
segno-immagine e realtà, e tocca infine il cuore dell’arte in questa civiltà del consumo. sempre oltre. Essi sanno che esiste un punto oltre il quale non è possibile andare. Lì la
Perché, messi così radicalmente in crisi i tradizionali rapporti tra immagine e realtà, non linea si piega, e si fa curva: si torna indietro, in un intreccio di fughe e di ritorni. Il vettore
è prevedibile quale senso e significato potranno infine avere per gli uomini futuri parole della Storia viene invertito – ed è orientato verso il passato.
come tu ed io, lontano e vicino, reale e virtuale… ecc. e, per quello che riguarda le arti Quel passato che è sentito non come uno spazio remoto, ma come una dimensione che
figurative, quale senso e significato potranno avere le parole “opera d’arte” quando si è attraversiamo e ci attraversa. Un’entità che sembra aver definitivamente perduto il suo
affidato al valore di mercato il loro primo valore. spessore. Non è più dietro di noi. Si insinua nell’attualità: la avvolge da ogni parte, la
La rivoluzione culturale che stiamo vivendo sta ribaltando nel profondo, come mai è ricopre, la occupa. È come un archivio di icone. Che è ancora avvolto dentro un’aura. Ma
avvenuto in altre storiche rivoluzioni culturali, i valori e il senso primo del rapporto con che si vuole convocare. Qui. Ora.
la realtà. Nuovi spazi e tempi, nuove lontananze e vicinanze, lasciano credere che il loro Guidati dal bisogno di riaffermare il senso della continuità, questi artisti solitari e talvolta
segno futuro, l’immagine che ne daremo, più che dover essere via via adattato e ricostituito eccentrici si fanno interpreti del destino segreto dell’avanguardia. Che, come ha osservato
in nuovo spettacolo, debba essere visto e pensato come ex novo, a nostra nuova misura, Roland Barthes, tende a non seguire mai “fino in fondo la sua carriera di figliol prodigo”.
fisica e concettuale, proprio come sono stati visti nel mondo e inventati sulle pareti delle Prima o poi “l’Ordine recupera i suoi franchi tiratori”.
caverne i primissimi segni. Fatti a mano. Per offrire un retroterra culturale alle loro avventure linguistiche, questi artisti
Per l’arte, la pregnanza del “fatto a mano”, non sta nella poetica dell’intervento diretto sulla attribuiscono una nuova centralità alla Storia. Pur con accenti differenti, voltano le spalle
materia, ma nel farsi traccia di un nostro gesto, fisico e mentale, che, definendo un rapporto a certe miserie dell’attualità. È come se volessero riconquistare una purezza perduta: che,
spazio/tempo/materia, si fa segno del mondo a “nostra misura”. Quando tracciamo un però, rimarrà inattingibile. Riaffermano con forza l’importanza di quella che potremmo
segno sullo schermo del computer, per esempio, ne governiamo la geometria ma non le definire the ectasy of influence; per sperimentare arditi crossovers. Sembrano comportarsi,
infinite sorprese e contraddizioni al progetto che fanno la qualità e il significato del segno per riprendere una suggestiva metafora di Marc Fumaroli, non come ragni, ma come
fatto a mano, all’azzardo, anche se progettato. Un minimo segno fatto con la biro mostra api. Non si concedono “all’oggettività del caso e a una mano invisibile”, per dar vita a
immediatamente, ed è, nelle anche minime varianti di spessore, curvatura, regolarità, creazioni “autofaghe”. Per loro, eseguire un’opera non è far nascere qualcosa dal niente,
velocità del tracciato ecc., oltre che forma-misura, un modo di farsi segno-qualità di per ma è “un trovare e un ritrovare, che ha per merito principale il rinnovo dei luoghi di
sé significante, che nessun segno meccanico, anche il più sofisticato, può emulare. è come un’eterna dimora comune”. A guidarli è la convinzione secondo cui l’apice della civiltà
dire che il segno fatto a mano “risolve” equazioni ad infinite incognite mentre il segno è stato raggiunto nell’Antichità, cui si rifanno costantemente. Insomma, non pretendono
meccanico deve limitarsi a risolvere (e risolve davvero; questo, artisticamente parlando, il più di essere padri di se stessi.
limite) equazioni ad incognite finite, poche, sempre le stesse. Del resto, – si sa – ogni avanguardia, per continuare a vivere, ha sempre bisogno di un
solido esercito alle spalle.
Indispensabile è il richiamo alla classicità, intesa non come immobile e inattingibile
galleria di figure eterne da contemplare e di motivi da replicare in maniera passiva. Ma
come arsenale di valori metafisici – da ri-abitare. Albero con folte radici e rami spezzati.
Miniera di categorie assolute (bellezza, sapienza, perfezione, misura, simmetria, armonia),
da reinterpretare in un’ottica fino in fondo moderna. Scrigno da perlustrare, manipolare
– e tradire. Non luogo statico, intoccabile, ma topos dinamico. Non mèta raggiunta, ma
riserva per l’avvenire. Patrimonio fondante, decisivo, necessario.

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profondi cambiamenti culturali. Perché nel loro rapporto, lo spazio e il tempo sono, sì, Ars memoriae. Tra arte e media
misura di velocità, ma anche, di più, misura di lontananze e vicinanze, fisiche e concettuali,
“misura” di cultura.
Nel loro succedersi, le diverse tecniche e conseguenti culture di comunicazione (voce,
Vincenzo Trione
scrittura, stampa…) sono sempre state coerenti a rapporti tra spazio e tempo a “misura
d’uomo”, finché progressivamente, con sempre nuovi mezzi di trasmissione (telefono,
radio, cinema, televisione…) e infine con web e telefonia di uso istantaneo e universale,
la velocità e la quantità di comunicazione integrale (suoni e immagini ) sono aumentate a
valori indicibili, non più a “nostra misura”, generando una seconda dimensione virtuale Si tratta di un’esigenza sempre più diffusa. Pur radicati nella tradizione delle avanguardie
della realtà vista e vissuta sugli schermi. La comunicazione globale e istantanea non è più e delle neo-avanguardie, molte personalità dell’arte contemporanea avvertono con forza la
l’ evento–spettacolo limitato a un luogo e a un tempo come lo sono state e sono la lettura, necessità di opporsi a uno sperimentalismo fine a se stesso. All’apparenza, si sottraggono
il cinema, la televisione , ecc. ma si è fatta continua, ininterrotta, totale e totalizzante. alla dittatura del presente, che è simile a una lavagna sulla quale una mano invisibile cancella
Alla realtà primaria dell’esperienza fisica sembra essersi sovrapposta , non contrapposta, senza posa avvenimenti sempre diversi. I loro gesti sembrano guidati dal sentimento della
una per il momento indefinibile e indefinita realtà complessa, vista e vissuta come “realtà nostalgia: trattengono la lontananza in un inesauribile desiderio di vita.
totale”. Non più tradizionale sdoppiamento della realtà in segno, ma nuova realtà globale, Ad animarli è, innanzitutto, l’urgenza di guardare dietro di sé. Considerano la memoria
assolutamente una e doppia. Assoluta ambiguità? Forse assoluto spettacolo. come una facoltà epica. Ascoltano la voce di Mnemosyne. Che ci consente, per servirci delle
Non sembrino, questi appunti, nostalgia di una naturalezza perduta. Sono, al contrario, parole di Walter Benjamin, di appropriarci del “corso delle cose” e, insieme, ci riconcilia
ineludibili notazioni e prese di coscienza di una inedita naturalezza universalmente vissuta con il loro scomparire, “con la potenza della morte”. Musa che tramanda gli eventi da una
come “eternità del presente”, spettacolo continuo. generazione all’altra, Mnemosyne disegna una fitta rete di narrazioni: episodi diversi si
è questo, forse, un quadro visto da chi per motivi generazionali non ha consuetudine collegano, e “in ognuno di essi vive una Sheherazade, a cui, ad ogni passo delle sue storie,
culturale con la comunicazione digitale, ma, a chi ne usa abitualmente gli strumenti per la viene in mente una storia nuova”.
sua quotidiana vita sociale, la realtà virtuale percepita non apparirà “altra” rispetto a quella I “nostri” artisti vogliono radicare i loro esercizi di stile in regioni non segnate dalle
fisica, ma contigua, altrettanto vera come lo è l’idea di un oggetto rispetto all’oggetto. mitologie del presenteismo. Scelgono di coltivare più o meno evidenti discendenze
Altra, forse perfino misteriosa, potrebbe invece finire per sembrargli la realtà concreta che iconografiche. Frequentano le stanze del Museo. Ripercorrono i labirinti della storia
ha davanti agli occhi e può toccare con mano. dell’arte. Non aderiscono al nuovo come valore da idolatrare, né inseguono provocazioni
Ecco un’inedita doppiezza che tocca problematicamente il tradizionale rapporto tra effimere. Non procedono in maniera progressiva: non vogliono ideologicamente spingersi
segno-immagine e realtà, e tocca infine il cuore dell’arte in questa civiltà del consumo. sempre oltre. Essi sanno che esiste un punto oltre il quale non è possibile andare. Lì la
Perché, messi così radicalmente in crisi i tradizionali rapporti tra immagine e realtà, non linea si piega, e si fa curva: si torna indietro, in un intreccio di fughe e di ritorni. Il vettore
è prevedibile quale senso e significato potranno infine avere per gli uomini futuri parole della Storia viene invertito – ed è orientato verso il passato.
come tu ed io, lontano e vicino, reale e virtuale… ecc. e, per quello che riguarda le arti Quel passato che è sentito non come uno spazio remoto, ma come una dimensione che
figurative, quale senso e significato potranno avere le parole “opera d’arte” quando si è attraversiamo e ci attraversa. Un’entità che sembra aver definitivamente perduto il suo
affidato al valore di mercato il loro primo valore. spessore. Non è più dietro di noi. Si insinua nell’attualità: la avvolge da ogni parte, la
La rivoluzione culturale che stiamo vivendo sta ribaltando nel profondo, come mai è ricopre, la occupa. È come un archivio di icone. Che è ancora avvolto dentro un’aura. Ma
avvenuto in altre storiche rivoluzioni culturali, i valori e il senso primo del rapporto con che si vuole convocare. Qui. Ora.
la realtà. Nuovi spazi e tempi, nuove lontananze e vicinanze, lasciano credere che il loro Guidati dal bisogno di riaffermare il senso della continuità, questi artisti solitari e talvolta
segno futuro, l’immagine che ne daremo, più che dover essere via via adattato e ricostituito eccentrici si fanno interpreti del destino segreto dell’avanguardia. Che, come ha osservato
in nuovo spettacolo, debba essere visto e pensato come ex novo, a nostra nuova misura, Roland Barthes, tende a non seguire mai “fino in fondo la sua carriera di figliol prodigo”.
fisica e concettuale, proprio come sono stati visti nel mondo e inventati sulle pareti delle Prima o poi “l’Ordine recupera i suoi franchi tiratori”.
caverne i primissimi segni. Fatti a mano. Per offrire un retroterra culturale alle loro avventure linguistiche, questi artisti
Per l’arte, la pregnanza del “fatto a mano”, non sta nella poetica dell’intervento diretto sulla attribuiscono una nuova centralità alla Storia. Pur con accenti differenti, voltano le spalle
materia, ma nel farsi traccia di un nostro gesto, fisico e mentale, che, definendo un rapporto a certe miserie dell’attualità. È come se volessero riconquistare una purezza perduta: che,
spazio/tempo/materia, si fa segno del mondo a “nostra misura”. Quando tracciamo un però, rimarrà inattingibile. Riaffermano con forza l’importanza di quella che potremmo
segno sullo schermo del computer, per esempio, ne governiamo la geometria ma non le definire the ectasy of influence; per sperimentare arditi crossovers. Sembrano comportarsi,
infinite sorprese e contraddizioni al progetto che fanno la qualità e il significato del segno per riprendere una suggestiva metafora di Marc Fumaroli, non come ragni, ma come
fatto a mano, all’azzardo, anche se progettato. Un minimo segno fatto con la biro mostra api. Non si concedono “all’oggettività del caso e a una mano invisibile”, per dar vita a
immediatamente, ed è, nelle anche minime varianti di spessore, curvatura, regolarità, creazioni “autofaghe”. Per loro, eseguire un’opera non è far nascere qualcosa dal niente,
velocità del tracciato ecc., oltre che forma-misura, un modo di farsi segno-qualità di per ma è “un trovare e un ritrovare, che ha per merito principale il rinnovo dei luoghi di
sé significante, che nessun segno meccanico, anche il più sofisticato, può emulare. è come un’eterna dimora comune”. A guidarli è la convinzione secondo cui l’apice della civiltà
dire che il segno fatto a mano “risolve” equazioni ad infinite incognite mentre il segno è stato raggiunto nell’Antichità, cui si rifanno costantemente. Insomma, non pretendono
meccanico deve limitarsi a risolvere (e risolve davvero; questo, artisticamente parlando, il più di essere padri di se stessi.
limite) equazioni ad incognite finite, poche, sempre le stesse. Del resto, – si sa – ogni avanguardia, per continuare a vivere, ha sempre bisogno di un
solido esercito alle spalle.
Indispensabile è il richiamo alla classicità, intesa non come immobile e inattingibile
galleria di figure eterne da contemplare e di motivi da replicare in maniera passiva. Ma
come arsenale di valori metafisici – da ri-abitare. Albero con folte radici e rami spezzati.
Miniera di categorie assolute (bellezza, sapienza, perfezione, misura, simmetria, armonia),
da reinterpretare in un’ottica fino in fondo moderna. Scrigno da perlustrare, manipolare
– e tradire. Non luogo statico, intoccabile, ma topos dinamico. Non mèta raggiunta, ma
riserva per l’avvenire. Patrimonio fondante, decisivo, necessario.

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I classici, infatti, custodiscono “la vita interiore dell’umanità”. Rappresentano, ha scritto per ravvivare le emozioni, per dilatare gli spazi del fantastico. Vogliono saldare canto e
Alessandro Piperno, “la riserva di consapevolezza di cui si ha bisogno soprattutto quando controcanto. Interrogano quasi ossessivamente le vestigia archeologiche. Le riprendono.
le cose non vanno per il verso giusto”. Soprattutto nelle epoche di disagi, di crisi e di Le reinventano. Non per delimitare il loro campo di intervento, ma per dilatarlo. Per
inquietudini (come la nostra), servono a riempire “una voragine di cui si stenta a vedere il dare maggiore forza alla loro voce, al loro timbro. Mentre esplorano le rovine di universi
fondo”. Non sono vicini a noi – siamo noi che dobbiamo entrare nella loro orbita. Siamo perduti, ne abitano altri possibili, ne inventano altri paralleli.
noi che dobbiamo diventare loro contemporanei. Sono come le stelle – la luce arriva a noi Classico, per loro, è un topos che indica un divenire. Una figura che accoglie in sé antitesi:
quando sono morte. identità e alterità. Non meta raggiunta, ma telos. Investe anche il presente e anticipa scenari
È un inatteso “eterno ritorno” di sapore nietzschiano analogo a quello che si era dell’avvenire. È, come ha scritto Italo Calvino, ciò che tende a relegare l’attualità al rango
compiuto all’indomani della fine della Prima Guerra Mondiale, con l’avvento di un neo- di un rumore di fondo di cui non si può fare a meno: e, insieme, “ciò che persiste come
monumentalismo spesso retorico, edificante e piuttosto enfatico. Di quell’enfasi, oggi, rumore di fondo anche là dove l’attualità più incompatibile fa da padrona”. Un momento
non è rimasta alcuna traccia. Solo il bisogno di tendere verso un’armonia e un equilibrio estraneo e sempre sorprendente, da investigare nella sua complessità, da riconquistare
intemporali. Nella consapevolezza, però, che a quelle mete non si approderà mai. ogni giorno. Che è in attesa di riemergere come relitto ancora emozionante.
La classicità viene pensata in una prospettiva non winckelmaniana, ma nietzschiana. Questi artisti vogliono rendere giustizia a quella che è la segreta ambizione del “classico”:
Non come tempio di una “nobile semplicità e tranquilla grandezza”, ma come geografia lo fanno succedere qui e ora. Lo trattano come materia bruciante. Lo ri-locano. Lo fanno
dell’incertezza e della precarietà. Non come patrimonio da rimontare con ironia e vivere oltre se stesso, in un processo inarrestabile. Lo emancipano dall’identità in cui
disinvoltura, trasgredendo ordini e gerarchie, né come eredità intoccabile da rifare. Ma l’erudizione e la filologia tendono a inchiodarlo. Afferrano – e liberano – ciò che, in ogni
come strumento per guarire dalle tante ubriacature della modernità. E, insieme, come rovina, è movimento, ritmo, tensione, vita sotterranea, significato non ancora espresso,
spazio che può alimentare inquietudini, interrogazioni, ansie. parola non ancora pronunciata. Istituiscono una reazione feconda tra mondi lontani,
Sapienti nel portarsi al di là dei generi consolidati, queste voci partono da motivi museali, eppure vicinissimi.
effettuando radicali superamenti, attenti a sperimentare slittamenti di senso. Sembrano È qui la loro prepotente libertà linguistica – immettere quelle memorie in questo tempo.
voler dar vita a un processo di incorporazione e di accaparramento. In loro, vi è “Proiezione Realizzano opere simili a dissonanti palinsesti, nei quali le orme della tradizione si
verso l’Altro e […] Furto nel senso prometeico del termine” (Perec). confondono con quelle della modernità più estrema, in un sistema di corrispondenze e di
Servendosi di media diversi (pittura, scultura, fotografia, installazione, video, film, metamorfosi.
videoclip, fumetti), tendono a collocarsi all’interno di un territorio comune, fino a dar vita J. M. Coetzee: “Ciò che sopravvive alla peggiore barbarie, sopravvive perché generazioni
a una sorta di implicito movimento: il post-classicismo. Ad accomunarli è il bisogno di di individui non riescono a farne a meno e perciò vi si aggrappano con tutte le forze –
reinventare alcune figure della classicità, fino a renderle addirittura irriconoscibili. Le loro questo è il classico”.
sono autentiche profanazioni: “una volta profanato, ciò che era indisponibile e separato
perde la sua aura e viene restituito all’uso” (Agamben). Questo ritorno al classico segue diversi sentieri. Mentre alcuni artisti – da Pistoletto a
Prelevano vari episodi archeologici e storico-artistici. E, poi, li filtrano attraverso Paolini, da Parmiggiani a Longobardi, da Paladino alla Beecroft – si richiamano a motivi
uno stratagemma caro alle avanguardie primonovecentesche: lo straniamento. Che è antichi, rievocando catastrofi e crolli, altri scelgono strategie più spettacolari. Non
strumento ottico per ri-vedere, ri-prendere, ri-fare. Si tratta di un artificio che consente compiono un anacronistico ritorno alle discipline del dipingere o dello scolpire. Ma
salti linguistici. Nesso fluttuante, distorsione morfologica, lo straniamento modifica ogni vogliono saldare erudizione e sperimentazione. Da un lato, lo studio e la conoscenza
linearità rappresentativa. Si smonta una sintassi, per favorire separazioni. Si alimentano ri- approfondita della storia dell’arte. Dall’altro lato, il ricorso ai nuovi media e il dialogo con
nominazioni di “vocaboli” consueti. Si compiono mutamenti di punti di vista: dislocazioni il sistema della comunicazione.
ritmiche e tonali, che rendono ignoti i materiali di partenza. Alcuni dati sono estratti dalla Si pensi a Bill Viola e a Peter Greenaway, i quali sono animati dalla volontà di rifare i
loro fonte, per essere inseriti in regioni differenti. Si contagiano “cose”, che vengono capolavori del passato attraverso il “filtro” delle più avanzate tecnologie. Ri-mediano.
sottratte ai loro consueti contesti di riferimento. Si infrangono i nessi associativi, per Elaborare scambi, confronti. Essi vogliono definire un’area comune, per costruire un
donare a specifici elementi nuova capacità informativa: vivezza, originalità. punto di convergenza, per indicare interazioni e intese, per suggerire negoziazioni e
La cultura del passato non viene innalzata sopra un piedistallo irraggiungibile. Si prediligono patteggiamenti. All’inizio, ci sono due spazi diversi e disgiunti. Al termine, assistiamo
discontinuità, scarti, margini. La bellezza antica non è mimeticamente replicata. Piuttosto, all’affiorare di un territorio unico, all’interno del quale confluiscono due discipline
è dissolta. Si disintegra in mille pezzi, in una meravigliosa diaspora. Si fa asimmetrica autonome.
e disarmonica. Spezzata, irrimediabilmente disintegrata. Viene negata. Subisce sfregi. È Una specifica esperienza – quella artistica – trasmigra dai suoi consueti ambiti (musei,
lambita da inquietudini e da turbamenti – come un volto sfigurato. Talvolta, è ridotta a gallerie) verso altre geografie. È una ri-locazione. Ovvero, uno spostamento teso a ri-
graffito impazzito. situare alcuni eventi dentro una costellazione fisica e tecnologica differente. Quando sono
Decisiva è la strategia della distanza. Uno stratagemma che richiede attesa, pazienza, spostati al di fuori dei loro recinti, quegli eventi vengono ri-semantizzati, ri-simbolizzati.
prudenza. La distanza non va accentuata, né tradita. La sfida sta nell’avvicinare a noi Acquisiscono ulteriori possibilità espressive, inesplorate dimensioni, inattese funzioni.
qualcosa di lontano, conservandolo però nella sua lontananza. “Eppure, come ha scritto Ma perdono anche qualcosa di se stessi.
Pontiggia, solo questa fusione può accrescere o intensificare, come tra due persone, la Si genera un gioco di permanenze e di rimodulazioni: l’arte viene riproposta “quasi”
vitalità di un rapporto”. alla stessa maniera. Alcuni aspetti restano, altri svaniscono, altri ancora emergono. “La
Custodi di questa strategia, i post-classici evitano giochi e mitizzazioni. Non si limitano rilocazione […] comporta […] uno spostamento che nel cercare di salvaguardare il
a consegnare elegie delle rovine greche e romane. Oscillando tra infedeltà e fedeltà, tra vecchio, dandogli un’ulteriore opportunità, inaugura nuovi scenari, nuovi rituali, […]
presa e spossessamento, studiano e, poi, violentano ciò che prelevano. Per gettare un nuove avventure del corpo e dello spirito” (Casetti).
ponte tra universi distanti, si affidano all’intuizione analogica, all’evocazione lirica, In tal senso, stimolanti alcuni rilievi di due sociologi della comunicazione statunitensi, Jay
all’immedesimazione emotiva. Ritengono che le esperienze e le visioni degli antichi David Botler e Richard Grusin, i quali hanno descritto la remediation come una pratica
possano ancora suscitare nuove esperienze poetiche, in una reviviscenza misteriosa. della presa in prestito, del rimodellamento, del riposizionamento, della ridefinizione. “Il
Intendono il passato non come immagine ferma, né come intonsa creatura, ma come nuovo medium può rimediare cercando di assorbire completamente il medium più vecchio,
scrigno da perlustrare con intelligenza: testo complesso che, per rivelazioni, si vuole così da minimizzare le discontinuità tra i due. Lo stesso atto di rimediazione, comunque,
ricondurre dentro il presente. Considerano la Storia come un’opportunità straordinaria. assicura che il vecchio medium non possa scomparire del tutto; il nuovo medium rimane
Non una prigione, ma una galera dalle sbarre larghe: non si comportano come i secondini dipendente dal vecchio sia consapevolmente che inconsapevolmente”.
di un prigioniero evaso da tempo. Per loro, aprirsi all’antico è innanzitutto un modo Sulla soglia tra storia dell’arte e cinematizzazione, Viola e Greenaway pervengono a esiti

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I classici, infatti, custodiscono “la vita interiore dell’umanità”. Rappresentano, ha scritto per ravvivare le emozioni, per dilatare gli spazi del fantastico. Vogliono saldare canto e
Alessandro Piperno, “la riserva di consapevolezza di cui si ha bisogno soprattutto quando controcanto. Interrogano quasi ossessivamente le vestigia archeologiche. Le riprendono.
le cose non vanno per il verso giusto”. Soprattutto nelle epoche di disagi, di crisi e di Le reinventano. Non per delimitare il loro campo di intervento, ma per dilatarlo. Per
inquietudini (come la nostra), servono a riempire “una voragine di cui si stenta a vedere il dare maggiore forza alla loro voce, al loro timbro. Mentre esplorano le rovine di universi
fondo”. Non sono vicini a noi – siamo noi che dobbiamo entrare nella loro orbita. Siamo perduti, ne abitano altri possibili, ne inventano altri paralleli.
noi che dobbiamo diventare loro contemporanei. Sono come le stelle – la luce arriva a noi Classico, per loro, è un topos che indica un divenire. Una figura che accoglie in sé antitesi:
quando sono morte. identità e alterità. Non meta raggiunta, ma telos. Investe anche il presente e anticipa scenari
È un inatteso “eterno ritorno” di sapore nietzschiano analogo a quello che si era dell’avvenire. È, come ha scritto Italo Calvino, ciò che tende a relegare l’attualità al rango
compiuto all’indomani della fine della Prima Guerra Mondiale, con l’avvento di un neo- di un rumore di fondo di cui non si può fare a meno: e, insieme, “ciò che persiste come
monumentalismo spesso retorico, edificante e piuttosto enfatico. Di quell’enfasi, oggi, rumore di fondo anche là dove l’attualità più incompatibile fa da padrona”. Un momento
non è rimasta alcuna traccia. Solo il bisogno di tendere verso un’armonia e un equilibrio estraneo e sempre sorprendente, da investigare nella sua complessità, da riconquistare
intemporali. Nella consapevolezza, però, che a quelle mete non si approderà mai. ogni giorno. Che è in attesa di riemergere come relitto ancora emozionante.
La classicità viene pensata in una prospettiva non winckelmaniana, ma nietzschiana. Questi artisti vogliono rendere giustizia a quella che è la segreta ambizione del “classico”:
Non come tempio di una “nobile semplicità e tranquilla grandezza”, ma come geografia lo fanno succedere qui e ora. Lo trattano come materia bruciante. Lo ri-locano. Lo fanno
dell’incertezza e della precarietà. Non come patrimonio da rimontare con ironia e vivere oltre se stesso, in un processo inarrestabile. Lo emancipano dall’identità in cui
disinvoltura, trasgredendo ordini e gerarchie, né come eredità intoccabile da rifare. Ma l’erudizione e la filologia tendono a inchiodarlo. Afferrano – e liberano – ciò che, in ogni
come strumento per guarire dalle tante ubriacature della modernità. E, insieme, come rovina, è movimento, ritmo, tensione, vita sotterranea, significato non ancora espresso,
spazio che può alimentare inquietudini, interrogazioni, ansie. parola non ancora pronunciata. Istituiscono una reazione feconda tra mondi lontani,
Sapienti nel portarsi al di là dei generi consolidati, queste voci partono da motivi museali, eppure vicinissimi.
effettuando radicali superamenti, attenti a sperimentare slittamenti di senso. Sembrano È qui la loro prepotente libertà linguistica – immettere quelle memorie in questo tempo.
voler dar vita a un processo di incorporazione e di accaparramento. In loro, vi è “Proiezione Realizzano opere simili a dissonanti palinsesti, nei quali le orme della tradizione si
verso l’Altro e […] Furto nel senso prometeico del termine” (Perec). confondono con quelle della modernità più estrema, in un sistema di corrispondenze e di
Servendosi di media diversi (pittura, scultura, fotografia, installazione, video, film, metamorfosi.
videoclip, fumetti), tendono a collocarsi all’interno di un territorio comune, fino a dar vita J. M. Coetzee: “Ciò che sopravvive alla peggiore barbarie, sopravvive perché generazioni
a una sorta di implicito movimento: il post-classicismo. Ad accomunarli è il bisogno di di individui non riescono a farne a meno e perciò vi si aggrappano con tutte le forze –
reinventare alcune figure della classicità, fino a renderle addirittura irriconoscibili. Le loro questo è il classico”.
sono autentiche profanazioni: “una volta profanato, ciò che era indisponibile e separato
perde la sua aura e viene restituito all’uso” (Agamben). Questo ritorno al classico segue diversi sentieri. Mentre alcuni artisti – da Pistoletto a
Prelevano vari episodi archeologici e storico-artistici. E, poi, li filtrano attraverso Paolini, da Parmiggiani a Longobardi, da Paladino alla Beecroft – si richiamano a motivi
uno stratagemma caro alle avanguardie primonovecentesche: lo straniamento. Che è antichi, rievocando catastrofi e crolli, altri scelgono strategie più spettacolari. Non
strumento ottico per ri-vedere, ri-prendere, ri-fare. Si tratta di un artificio che consente compiono un anacronistico ritorno alle discipline del dipingere o dello scolpire. Ma
salti linguistici. Nesso fluttuante, distorsione morfologica, lo straniamento modifica ogni vogliono saldare erudizione e sperimentazione. Da un lato, lo studio e la conoscenza
linearità rappresentativa. Si smonta una sintassi, per favorire separazioni. Si alimentano ri- approfondita della storia dell’arte. Dall’altro lato, il ricorso ai nuovi media e il dialogo con
nominazioni di “vocaboli” consueti. Si compiono mutamenti di punti di vista: dislocazioni il sistema della comunicazione.
ritmiche e tonali, che rendono ignoti i materiali di partenza. Alcuni dati sono estratti dalla Si pensi a Bill Viola e a Peter Greenaway, i quali sono animati dalla volontà di rifare i
loro fonte, per essere inseriti in regioni differenti. Si contagiano “cose”, che vengono capolavori del passato attraverso il “filtro” delle più avanzate tecnologie. Ri-mediano.
sottratte ai loro consueti contesti di riferimento. Si infrangono i nessi associativi, per Elaborare scambi, confronti. Essi vogliono definire un’area comune, per costruire un
donare a specifici elementi nuova capacità informativa: vivezza, originalità. punto di convergenza, per indicare interazioni e intese, per suggerire negoziazioni e
La cultura del passato non viene innalzata sopra un piedistallo irraggiungibile. Si prediligono patteggiamenti. All’inizio, ci sono due spazi diversi e disgiunti. Al termine, assistiamo
discontinuità, scarti, margini. La bellezza antica non è mimeticamente replicata. Piuttosto, all’affiorare di un territorio unico, all’interno del quale confluiscono due discipline
è dissolta. Si disintegra in mille pezzi, in una meravigliosa diaspora. Si fa asimmetrica autonome.
e disarmonica. Spezzata, irrimediabilmente disintegrata. Viene negata. Subisce sfregi. È Una specifica esperienza – quella artistica – trasmigra dai suoi consueti ambiti (musei,
lambita da inquietudini e da turbamenti – come un volto sfigurato. Talvolta, è ridotta a gallerie) verso altre geografie. È una ri-locazione. Ovvero, uno spostamento teso a ri-
graffito impazzito. situare alcuni eventi dentro una costellazione fisica e tecnologica differente. Quando sono
Decisiva è la strategia della distanza. Uno stratagemma che richiede attesa, pazienza, spostati al di fuori dei loro recinti, quegli eventi vengono ri-semantizzati, ri-simbolizzati.
prudenza. La distanza non va accentuata, né tradita. La sfida sta nell’avvicinare a noi Acquisiscono ulteriori possibilità espressive, inesplorate dimensioni, inattese funzioni.
qualcosa di lontano, conservandolo però nella sua lontananza. “Eppure, come ha scritto Ma perdono anche qualcosa di se stessi.
Pontiggia, solo questa fusione può accrescere o intensificare, come tra due persone, la Si genera un gioco di permanenze e di rimodulazioni: l’arte viene riproposta “quasi”
vitalità di un rapporto”. alla stessa maniera. Alcuni aspetti restano, altri svaniscono, altri ancora emergono. “La
Custodi di questa strategia, i post-classici evitano giochi e mitizzazioni. Non si limitano rilocazione […] comporta […] uno spostamento che nel cercare di salvaguardare il
a consegnare elegie delle rovine greche e romane. Oscillando tra infedeltà e fedeltà, tra vecchio, dandogli un’ulteriore opportunità, inaugura nuovi scenari, nuovi rituali, […]
presa e spossessamento, studiano e, poi, violentano ciò che prelevano. Per gettare un nuove avventure del corpo e dello spirito” (Casetti).
ponte tra universi distanti, si affidano all’intuizione analogica, all’evocazione lirica, In tal senso, stimolanti alcuni rilievi di due sociologi della comunicazione statunitensi, Jay
all’immedesimazione emotiva. Ritengono che le esperienze e le visioni degli antichi David Botler e Richard Grusin, i quali hanno descritto la remediation come una pratica
possano ancora suscitare nuove esperienze poetiche, in una reviviscenza misteriosa. della presa in prestito, del rimodellamento, del riposizionamento, della ridefinizione. “Il
Intendono il passato non come immagine ferma, né come intonsa creatura, ma come nuovo medium può rimediare cercando di assorbire completamente il medium più vecchio,
scrigno da perlustrare con intelligenza: testo complesso che, per rivelazioni, si vuole così da minimizzare le discontinuità tra i due. Lo stesso atto di rimediazione, comunque,
ricondurre dentro il presente. Considerano la Storia come un’opportunità straordinaria. assicura che il vecchio medium non possa scomparire del tutto; il nuovo medium rimane
Non una prigione, ma una galera dalle sbarre larghe: non si comportano come i secondini dipendente dal vecchio sia consapevolmente che inconsapevolmente”.
di un prigioniero evaso da tempo. Per loro, aprirsi all’antico è innanzitutto un modo Sulla soglia tra storia dell’arte e cinematizzazione, Viola e Greenaway pervengono a esiti

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sapientemente ambigui. All’apparenza, rendono trasparenti i “dispositivi” cui ricorrono: i Le vie del reincanto: l’opera d’arte nell’epoca del consumismo
loro sono dipinti high tech. In effetti, mirano a “reinventare i media” dei quali si servono;
si concentrano sulle regole proprie dei supporti tecnici che usano; approfondiscono la
“specificità mediale” dei codici utilizzati. Per loro, - potremmo dire con Rosalind Krauss
- “una buona opera d’arte deve fare riferimento (…) al medium in cui è realizzata”. Gianpiero Vincenzo
In tal senso, illuminante una riflessione di Greenaway, secondo il quale, oggi, non ci si
può più limitare a far emergere punti di contatto tra saperi e pratiche; né si deve solo
descrivere un “passaggio di competenze”. L’artista davvero contemporaneo deve violare
i confini “classici” tra le discipline e portarsi al di là di consuetudini e di riti consolidati,
per dar vita a un genere pittorico ulteriore, dai confini continuamente rimodulabili, Per gentile concessione Quali sono i luoghi più frequentati della terra, quelli dove ogni anno si ritrova il maggior
all’interno del quale possano confluire pittura e cinema. Greenaway afferma: “La pittura dell’Autore, questo testo numero di persone? Forse i templi in cui pregano i fedeli di tutte le religioni? Oppure i
rielabora alcune parti del musei d’arte antica o quelli d’arte contemporanea? O invece le città d’arte distribuite nei
e il cinema sembrano capaci di sostenere tra loro un dialogo, di parlare l’una con l’altro. volume New Ritual Society,
Hanno sicuramente riferimenti incrociati, associazioni e distinzioni”. La meta ultima, vari continenti? In realtà in nessuno di questi ambiti troveremo il luogo più frequentato del
consumismo e cultura nella
l’interattività: “Le generazioni del computer cercano l’interattività. Questa è la strada dei società contemporanea, Fausto
pianeta. Nel mondo contemporaneo il primato lo detengono i centri commerciali, che fanno
nostri tempi”. Lupetti Editore 2014. registrare decine di milioni di visitatori. Ben 40 milioni ne entrano ogni anno nel Mall of
America di Bloomington, nel Minnesota. Vale a dire quasi il doppio dei turisti che arrivano
ogni anno a Londra. E ben cinque volte quelli che visitano il Museo del Louvre di Parigi.
Ci troviamo in un mondo caratterizzato dal consumismo e non sempre ce ne rendiamo
conto. Il consumo non implica necessariamente il consumismo. Si può consumare, anche
molto e in modo responsabile, senza necessariamente essere consumisti. Il consumismo
corrisponde a una nuova religione che ruota attorno all’onnipotenza del denaro. I moderni
stili di consumo incarnano rituali, non semplici abitudini, ma comportamenti che esprimono
simboli e valori. Il consumismo si è radicato così profondamente nella nostra vita proprio
perché sfrutta il nostro bisogno di rituali e di forme di socializzazione. E pretende anche
di avere una valenza terapeutica, di essere una sorta di placebo contro la frenesia della
vita contemporanea. Anche se in realtà promuove soprattutto il più largo uso di sostanze
psicoattive per arginare la depressione moderna. Pur se è difficile essere responsabili di
fronte al consumismo, in epoca contemporanea l’arte svolge un ruolo fondamentale nella
ricerca di un nuovo reincanto dei simboli e della vita.

Ritualismi
La sociologia ha più volte rilevato l’importanza dei rituali anche nelle società moderne. Lo
stesso Comte aveva elaborato un modello di rituale civile che sarebbe dovuto essere la base
per il superamento di quelli religiosi. In realtà molti aspetti del rituale positivista di Comte
sono effettivamente entrati a far parte delle cerimonie civili. Più recentemente, Erving
Goffmann ha osservato come anche elementi minimi del comportamento umano, come
per esempio le piccole interazioni faccia a faccia quotidiane, seguissero in realtà uno schema
altamente formalizzato. Dopo di lui si è sviluppata una microsociologia dei comportamenti
quotidiani che ha contribuito ad allargare ulteriormente il concetto di rituale.
In tal modo si è potuto individuare come la maggior parte delle azioni umane sia in qualche
modo legata a schemi di comportamento. In poche parole, l’azione umana significativa
sotto il profilo sociale è principalmente quella ritualizzata.
Il ritualismo deve essere considerato come una naturale propensione umana, più articolata
degli istinti animali, ma pur sempre fondamentale per la comunicazione individuale e
collettiva. Questo spiegherebbe, tra l’altro, anche la diffusione di simboli analoghi in tutte
le civiltà del pianeta, al di là delle differenze formali. Una delle peculiarità umane sarebbe da
ritrovarsi proprio nella capacità di elaborazione di simboli e rituali, da altri simboli e rituali,
attraverso un processo che si avvicina a quello delle rappresentazioni sociali descritte da
Serge Moscovici. In tale prospettiva sarebbe appropriato anche muoversi all’interno di una
più specifica etologia umana.
“La vecchia contrapposizione tra empirismo e innatismo è oggi senz’altro superata. I tentativi
del behaviorismo di ricondurre ogni comportamento a semplici collegamenti stimolo-
reazione che si formano attraverso l’esperienza, possono considerarsi falliti. Il nostro sistema
nervoso centrale non viene riempito di contenuti solo attraverso le percezioni sensoriali.
Esso, al contrario, è predisposto a percepire, e dunque non è una tabula rasa. Il behaviorismo
sopravvive tuttavia nelle idee di molti profani e le sue tesi semplicistiche sono accolte da una
certa parte della pedagogia, psicologia e sociologia” (Eibl-Eibesfeldt 1984, p. 380).
Il rito non può però essere separato dal simbolo cui fa riferimento. Il simbolo è una
rappresentazione dell’unione di più ordini di realtà. Qui si può solo accennare brevemente
che ogni simbolo ha una funzione di ponte e di legame, rappresenta l’elemento di

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sapientemente ambigui. All’apparenza, rendono trasparenti i “dispositivi” cui ricorrono: i Le vie del reincanto: l’opera d’arte nell’epoca del consumismo
loro sono dipinti high tech. In effetti, mirano a “reinventare i media” dei quali si servono;
si concentrano sulle regole proprie dei supporti tecnici che usano; approfondiscono la
“specificità mediale” dei codici utilizzati. Per loro, - potremmo dire con Rosalind Krauss
- “una buona opera d’arte deve fare riferimento (…) al medium in cui è realizzata”. Gianpiero Vincenzo
In tal senso, illuminante una riflessione di Greenaway, secondo il quale, oggi, non ci si
può più limitare a far emergere punti di contatto tra saperi e pratiche; né si deve solo
descrivere un “passaggio di competenze”. L’artista davvero contemporaneo deve violare
i confini “classici” tra le discipline e portarsi al di là di consuetudini e di riti consolidati,
per dar vita a un genere pittorico ulteriore, dai confini continuamente rimodulabili, Per gentile concessione Quali sono i luoghi più frequentati della terra, quelli dove ogni anno si ritrova il maggior
all’interno del quale possano confluire pittura e cinema. Greenaway afferma: “La pittura dell’Autore, questo testo numero di persone? Forse i templi in cui pregano i fedeli di tutte le religioni? Oppure i
rielabora alcune parti del musei d’arte antica o quelli d’arte contemporanea? O invece le città d’arte distribuite nei
e il cinema sembrano capaci di sostenere tra loro un dialogo, di parlare l’una con l’altro. volume New Ritual Society,
Hanno sicuramente riferimenti incrociati, associazioni e distinzioni”. La meta ultima, vari continenti? In realtà in nessuno di questi ambiti troveremo il luogo più frequentato del
consumismo e cultura nella
l’interattività: “Le generazioni del computer cercano l’interattività. Questa è la strada dei società contemporanea, Fausto
pianeta. Nel mondo contemporaneo il primato lo detengono i centri commerciali, che fanno
nostri tempi”. Lupetti Editore 2014. registrare decine di milioni di visitatori. Ben 40 milioni ne entrano ogni anno nel Mall of
America di Bloomington, nel Minnesota. Vale a dire quasi il doppio dei turisti che arrivano
ogni anno a Londra. E ben cinque volte quelli che visitano il Museo del Louvre di Parigi.
Ci troviamo in un mondo caratterizzato dal consumismo e non sempre ce ne rendiamo
conto. Il consumo non implica necessariamente il consumismo. Si può consumare, anche
molto e in modo responsabile, senza necessariamente essere consumisti. Il consumismo
corrisponde a una nuova religione che ruota attorno all’onnipotenza del denaro. I moderni
stili di consumo incarnano rituali, non semplici abitudini, ma comportamenti che esprimono
simboli e valori. Il consumismo si è radicato così profondamente nella nostra vita proprio
perché sfrutta il nostro bisogno di rituali e di forme di socializzazione. E pretende anche
di avere una valenza terapeutica, di essere una sorta di placebo contro la frenesia della
vita contemporanea. Anche se in realtà promuove soprattutto il più largo uso di sostanze
psicoattive per arginare la depressione moderna. Pur se è difficile essere responsabili di
fronte al consumismo, in epoca contemporanea l’arte svolge un ruolo fondamentale nella
ricerca di un nuovo reincanto dei simboli e della vita.

Ritualismi
La sociologia ha più volte rilevato l’importanza dei rituali anche nelle società moderne. Lo
stesso Comte aveva elaborato un modello di rituale civile che sarebbe dovuto essere la base
per il superamento di quelli religiosi. In realtà molti aspetti del rituale positivista di Comte
sono effettivamente entrati a far parte delle cerimonie civili. Più recentemente, Erving
Goffmann ha osservato come anche elementi minimi del comportamento umano, come
per esempio le piccole interazioni faccia a faccia quotidiane, seguissero in realtà uno schema
altamente formalizzato. Dopo di lui si è sviluppata una microsociologia dei comportamenti
quotidiani che ha contribuito ad allargare ulteriormente il concetto di rituale.
In tal modo si è potuto individuare come la maggior parte delle azioni umane sia in qualche
modo legata a schemi di comportamento. In poche parole, l’azione umana significativa
sotto il profilo sociale è principalmente quella ritualizzata.
Il ritualismo deve essere considerato come una naturale propensione umana, più articolata
degli istinti animali, ma pur sempre fondamentale per la comunicazione individuale e
collettiva. Questo spiegherebbe, tra l’altro, anche la diffusione di simboli analoghi in tutte
le civiltà del pianeta, al di là delle differenze formali. Una delle peculiarità umane sarebbe da
ritrovarsi proprio nella capacità di elaborazione di simboli e rituali, da altri simboli e rituali,
attraverso un processo che si avvicina a quello delle rappresentazioni sociali descritte da
Serge Moscovici. In tale prospettiva sarebbe appropriato anche muoversi all’interno di una
più specifica etologia umana.
“La vecchia contrapposizione tra empirismo e innatismo è oggi senz’altro superata. I tentativi
del behaviorismo di ricondurre ogni comportamento a semplici collegamenti stimolo-
reazione che si formano attraverso l’esperienza, possono considerarsi falliti. Il nostro sistema
nervoso centrale non viene riempito di contenuti solo attraverso le percezioni sensoriali.
Esso, al contrario, è predisposto a percepire, e dunque non è una tabula rasa. Il behaviorismo
sopravvive tuttavia nelle idee di molti profani e le sue tesi semplicistiche sono accolte da una
certa parte della pedagogia, psicologia e sociologia” (Eibl-Eibesfeldt 1984, p. 380).
Il rito non può però essere separato dal simbolo cui fa riferimento. Il simbolo è una
rappresentazione dell’unione di più ordini di realtà. Qui si può solo accennare brevemente
che ogni simbolo ha una funzione di ponte e di legame, rappresenta l’elemento di

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coesione e di comunicazione. Ogni simbolo richiede inoltre una dottrina che ne permetta cambiamenti dell’epoca, creava un’opera, lo Tzanck Check, per pagare i servizi del suo
l’interpretazione, soprattutto quando questa non risulti immediata. Dai simboli e dai dentista parigino. Si trattava della riproduzione in scala ingrandita di un assegno da $ 115,
rituali che vi sono collegati emergono quindi valori, categorie etiche generali, principi interamente dipinto a mano. Mentre altri suoi ready made erano oggetti d’uso comune
ispiratori di azioni sociali, ciò che Bourdieu ha chiamato habitus. trasportati nel museo per assumere un valore artistico, Tzanck Check va piuttosto nella
Specifici riti, simboli e valori costituiscono un insieme coerente, un ordine rituale (Bergesen direzione della rielaborazione artistica di immagini popolari. Non è l’opera forse più
1999). Un’azione ripetuta che non abbia una relazione con simboli e valori, quindi, non è conosciuta di Duchamp, ma è senz’altro una delle più significative per quanto riguarda la
un rituale, ma una semplice abitudine. Al di fuori di un ordine rituale, quindi, non vi sono mitologia del consumo. Denaro e consumo saranno le fondamenta del nascente XX secolo.
che oggetti senza valore simbolico, abitudini senza carattere rituale e opinioni che non Non si trattava, però, della prima interpretazione artistica del denaro. Già all’inizio del XVI
rappresentano valori condivisi, vale a dire elementi che svolgono un ruolo sociale, ma con secolo il pittore fiammingo Quentin Matsys (1466-1529) aveva ritratto Il Cambiavalute
minore rilevanza individuale e collettiva. e sua moglie (1514), due borghesi: per contribuire a definire il carattere di entrambi
erano state dipinte delle monete. Più recentemente, alla fine dell’Ottocento, due artisti
Produzione artistica statunitensi, William Michael Harnett (1848-1892) e John Frederick Peto (1854-1907),
La produzione di oggetti arte e di manufatti architettonici è sempre stata intimamente avevano realizzando trompe l’oeil in cui inserivano le immagini di banconote da cinque
collegata a un ordine rituale ruotato per millenni attorno alla figura dell’artista. Fino al XIX dollari. A quell’epoca, però, i due artisti americani erano assolutamente marginali e con loro
secolo, fino a quando l’avvento della fotografia e del cinema hanno modificato lo statuto tutta l’arte americana era provinciale nei confronti delle esperienze europee.
dell’arte. È esplicito il riferimento a L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità Le cose cominciarono a cambiare con l’arrivo di Duchamp a New York nel 1915, dove
tecnica (1935-39) di Walter Benjamin (1892-1940). Secondo il filosofo tedesco, per millenni contribuì a fondare la Society of Independent Artists, dal cui gruppo di direttori si dimise,
solo gli artisti hanno avuto il meraviglioso e temibile potere di creare immagini. L’aura però, quando due anni più tardi venne rifiutata la sua opera Fountain, l’orinatoio di ceramica
dell’arte derivava dall’utilizzo rituale e dalla funzione simbolica degli oggetti e delle reclinato, destinata a divenire forse la più famosa di tutto il XX secolo. Pochi anni dopo
immagini che, utilizzati nei templi e negli spazi sacri, divenivano oggetti di culto. Secondo Duchamp tornò in Europa, dove si sarebbe occupato attivamente di scacchi, facendo anche
Benjamin l’utilizzo dell’arte classica è stato essenzialmente cultuale, così le immagini il capitano della nazionale olimpica francese. Mantenne sempre vivi i contatti con New York,
erano circondate da un’aura magica e sacrale, mentre il loro utilizzo era rituale. Con il continuando a far parte dell’associazione di promozione artistica Société Anonyme, Inc.,
Rinascimento subentrava il culto della Bellezza, ma il paradigma concettuale rimaneva insieme a Man Ray (1890-1976) e a Katherine Sophie Dreier (1877 –1952), artista statunitense
invariato: le opere continuavano ad avere una valenza cultuale più che espositiva, mentre e collezionista, dando vita a una delle più grandi collezioni d’arte contemporanea dell’epoca,
ritualità e unicità conferivano all’opera d’arte un’aura carismatica. ceduta poi alla Yale University. Solo nel 1942 Duchamp decise di trasferirsi definitivamente
“Le opere d’arte più antiche sono nate, com’è noto, al servizio di un rituale, dapprima a New York, fungendo da critico e consigliere di galleristi e collezionisti come Walter
magico, poi religioso. Ora, riveste un significato decisivo il fatto che questo modo di Arensberg (1878-1954) e sua moglie Louise (1879-1953) e Peggy Guggenheim (1898-1979).
esistenza, avvolto in un’aura particolare, non possa mai staccarsi dalla sua funzione rituale. Tre anni dopo Jackson Pollock (1912-1956) e sua moglie Lee Krasner (1908-1984), anche
In altre parole: il valore unico dell’opera d’arte autentica trova una sua fondazione nel lei artista, furono aiutati da Peggy Guggenheim a comprare la loro casa-studio a Springs,
rituale, nell’ambito del quale ha avuto il suo primo e originario valore d’uso. Questo Long Island. L’8 agosto 1949 la prestigiosa rivista Life dedicava a Pollock un articolo che lo
fondarsi, per mediato che sia, è riconoscibile, nella forma di un rituale secolarizzato, anche consacrava come il più grande artista americano. Il sottotitolo era emblematico: “Is he the
nelle forme più profane del culto della bellezza” (Benjamin 1935-39, 26). greatest living painter in United States?”. Con Pollock l’arte contemporanea statunitense si
La riproducibilità fotografica e cinematografica delle immagini ha sottratto l’aura all’arte. emancipava in maniera significativa dalle correnti artistiche europee.
A partire dal XIX secolo, la maggior parte delle immagini sono state realizzate attraverso La nuova arte americana doveva quindi essere diversa da quella delle avanguardie.
mezzi meccanici. Secondo Benjanim, ancora, è venuto meno il valore cultuale delle L’originalità di Pollock consisteva nella grande dimensione delle tele, fino a una decina di
immagini, sostituito dal valore espositivo moderno. Veniva meno anche il rapporto con metri, e soprattutto nella tecnica di pittura, il dripping, che l’artista aveva messo a punto
quegli spazi in cui l’arte era stata ospitata per millenni, dato che le immagini si potevano all’inizio del suo soggiorno a Long Island, forse anche a seguito dell’incontro con le opere
ormai trovare ovunque. Emancipate dalla loro funzione cultuale, esse perdevano anche la di un’altra artista americana, Janet Sobel (1894-1968), che aveva esposto i suoi dripping
loro unicità rappresentativa e, in definitiva, la loro aura. nel 1945 a New York, presso la galleria Art of this Century di Peggy Guggenheim. La
L’arte si è affacciata al XX secolo in cerca di una nuova definizione. Sono nate le avanguardie Sobel, però, con la sua vita apparentemente normale e la sua immagine di brava donna di
e la pratica dell’astrazione è diventata un modo per differenziare l’immagine d’arte dal casa, era meno rappresentativa dell’idea d’artista tutto genio e sregolatezza che dominava a
simulacro fotografico. La pura e semplice dimensione espositiva dell’arte rappresenta però quell’epoca e che Pollock incarnava alla perfezione.
un limite estremo, che non può essere nemmeno praticato per lungo tempo. Si potrebbe Il suo travaglio interiore emergeva anche dalla superficie dei suoi lavori, dove Pollock
definire, secondo Randall Collins, un rituale insoddisfacente. Oppure, riecheggiando talvolta univa alle sgocciolature di colore, mozziconi di sigaretta, chiavi e soprattutto
piuttosto Merton, un vuoto ritualismo. Dal nostro punto di vista non si può prescindere sabbia, richiamandosi ai Sand Painters indiani del West. I suoi quadri sembravano la traccia
in ambito comunicativo, dalla possibilità di innescare rituali. L’arte rientra pienamente visibile di un rituale ancestrale. Il famoso filmato girato tra il 1950 e il 1951 dal fotografo
in quest’ambito. Anche una semplice mostra provinciale mette in atto una serie di rituali tedesco Hans Namuth (1915-1990) ritraeva l’artista mentre effettuava una vera e propria
che vanno dal vernissage alla presentazione pubblica del critico di turno, agli articoli sulla performance pittorica, in cui i gesti e i movimenti intorno alla tela stesa al suolo divenivano
stampa, alle visite guidate, al cocktail di commiato. importanti tanto quanto l’opera stessa (Dal Lago e Giordano 2006, 109). Anche Allan
Il fulcro dell’arte del Novecento potrebbe essere individuato nell’affascinante e sofferta Kaprow (1927-2006), artista statunitense fondatore dello happening, in un saggio pubblicato
ricerca dell’aura perduta o di qualcosa che fosse in grado di sopperire a essa: una nuova due anni dopo la morte di Pollock, ricordava come quest’ultimo avesse riformato il modo
rappresentazione sociale dell’arte o, piuttosto, un suo nuovo ruolo sociale. L’aura di produrre arte: la danza del dripping. La distinzione tra i generi artistici era stata rotta, al
corrispondeva in definitiva alla forza espressiva conferita dal simbolismo e dalle funzioni punto che dopo Pollock sarebbe stato superfluo per gli artisti definirsi “pittore”, piuttosto
rappresentative veicolate dai canoni tradizionali. Gli artisti si trovavano a praticare strade che “poeta” o “danzatore” (Kaprow 1993, 3-9).
differenti, talvolta opposte, alcuni attestandosi su posizioni più tradizionali, altri virando
in direzione dei ritualismi moderni, altri cercando di evitare una deriva tradizionalistica, Pop Art
così come un atteggiamento consumistico. Lo stesso anno della tragica morte di Jackson Pollock, il 1956, avvenuta in un incidente stradale
sotto l’effetto dell’alcol, cominciavano i primi passi di una tendenza artistica più decisamente
Art in America
vicina all’estetica consumistica. La Pop Art si sarebbe sviluppata contemporaneamente in
Nel 1919 Marcel Duchamp (1887-1968), forse l’artista in assoluto più sensibile ai Gran Bretagna e negli Stati Uniti, ma sarebbero stati gli sviluppi americani a dare l’impronta

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coesione e di comunicazione. Ogni simbolo richiede inoltre una dottrina che ne permetta cambiamenti dell’epoca, creava un’opera, lo Tzanck Check, per pagare i servizi del suo
l’interpretazione, soprattutto quando questa non risulti immediata. Dai simboli e dai dentista parigino. Si trattava della riproduzione in scala ingrandita di un assegno da $ 115,
rituali che vi sono collegati emergono quindi valori, categorie etiche generali, principi interamente dipinto a mano. Mentre altri suoi ready made erano oggetti d’uso comune
ispiratori di azioni sociali, ciò che Bourdieu ha chiamato habitus. trasportati nel museo per assumere un valore artistico, Tzanck Check va piuttosto nella
Specifici riti, simboli e valori costituiscono un insieme coerente, un ordine rituale (Bergesen direzione della rielaborazione artistica di immagini popolari. Non è l’opera forse più
1999). Un’azione ripetuta che non abbia una relazione con simboli e valori, quindi, non è conosciuta di Duchamp, ma è senz’altro una delle più significative per quanto riguarda la
un rituale, ma una semplice abitudine. Al di fuori di un ordine rituale, quindi, non vi sono mitologia del consumo. Denaro e consumo saranno le fondamenta del nascente XX secolo.
che oggetti senza valore simbolico, abitudini senza carattere rituale e opinioni che non Non si trattava, però, della prima interpretazione artistica del denaro. Già all’inizio del XVI
rappresentano valori condivisi, vale a dire elementi che svolgono un ruolo sociale, ma con secolo il pittore fiammingo Quentin Matsys (1466-1529) aveva ritratto Il Cambiavalute
minore rilevanza individuale e collettiva. e sua moglie (1514), due borghesi: per contribuire a definire il carattere di entrambi
erano state dipinte delle monete. Più recentemente, alla fine dell’Ottocento, due artisti
Produzione artistica statunitensi, William Michael Harnett (1848-1892) e John Frederick Peto (1854-1907),
La produzione di oggetti arte e di manufatti architettonici è sempre stata intimamente avevano realizzando trompe l’oeil in cui inserivano le immagini di banconote da cinque
collegata a un ordine rituale ruotato per millenni attorno alla figura dell’artista. Fino al XIX dollari. A quell’epoca, però, i due artisti americani erano assolutamente marginali e con loro
secolo, fino a quando l’avvento della fotografia e del cinema hanno modificato lo statuto tutta l’arte americana era provinciale nei confronti delle esperienze europee.
dell’arte. È esplicito il riferimento a L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità Le cose cominciarono a cambiare con l’arrivo di Duchamp a New York nel 1915, dove
tecnica (1935-39) di Walter Benjamin (1892-1940). Secondo il filosofo tedesco, per millenni contribuì a fondare la Society of Independent Artists, dal cui gruppo di direttori si dimise,
solo gli artisti hanno avuto il meraviglioso e temibile potere di creare immagini. L’aura però, quando due anni più tardi venne rifiutata la sua opera Fountain, l’orinatoio di ceramica
dell’arte derivava dall’utilizzo rituale e dalla funzione simbolica degli oggetti e delle reclinato, destinata a divenire forse la più famosa di tutto il XX secolo. Pochi anni dopo
immagini che, utilizzati nei templi e negli spazi sacri, divenivano oggetti di culto. Secondo Duchamp tornò in Europa, dove si sarebbe occupato attivamente di scacchi, facendo anche
Benjamin l’utilizzo dell’arte classica è stato essenzialmente cultuale, così le immagini il capitano della nazionale olimpica francese. Mantenne sempre vivi i contatti con New York,
erano circondate da un’aura magica e sacrale, mentre il loro utilizzo era rituale. Con il continuando a far parte dell’associazione di promozione artistica Société Anonyme, Inc.,
Rinascimento subentrava il culto della Bellezza, ma il paradigma concettuale rimaneva insieme a Man Ray (1890-1976) e a Katherine Sophie Dreier (1877 –1952), artista statunitense
invariato: le opere continuavano ad avere una valenza cultuale più che espositiva, mentre e collezionista, dando vita a una delle più grandi collezioni d’arte contemporanea dell’epoca,
ritualità e unicità conferivano all’opera d’arte un’aura carismatica. ceduta poi alla Yale University. Solo nel 1942 Duchamp decise di trasferirsi definitivamente
“Le opere d’arte più antiche sono nate, com’è noto, al servizio di un rituale, dapprima a New York, fungendo da critico e consigliere di galleristi e collezionisti come Walter
magico, poi religioso. Ora, riveste un significato decisivo il fatto che questo modo di Arensberg (1878-1954) e sua moglie Louise (1879-1953) e Peggy Guggenheim (1898-1979).
esistenza, avvolto in un’aura particolare, non possa mai staccarsi dalla sua funzione rituale. Tre anni dopo Jackson Pollock (1912-1956) e sua moglie Lee Krasner (1908-1984), anche
In altre parole: il valore unico dell’opera d’arte autentica trova una sua fondazione nel lei artista, furono aiutati da Peggy Guggenheim a comprare la loro casa-studio a Springs,
rituale, nell’ambito del quale ha avuto il suo primo e originario valore d’uso. Questo Long Island. L’8 agosto 1949 la prestigiosa rivista Life dedicava a Pollock un articolo che lo
fondarsi, per mediato che sia, è riconoscibile, nella forma di un rituale secolarizzato, anche consacrava come il più grande artista americano. Il sottotitolo era emblematico: “Is he the
nelle forme più profane del culto della bellezza” (Benjamin 1935-39, 26). greatest living painter in United States?”. Con Pollock l’arte contemporanea statunitense si
La riproducibilità fotografica e cinematografica delle immagini ha sottratto l’aura all’arte. emancipava in maniera significativa dalle correnti artistiche europee.
A partire dal XIX secolo, la maggior parte delle immagini sono state realizzate attraverso La nuova arte americana doveva quindi essere diversa da quella delle avanguardie.
mezzi meccanici. Secondo Benjanim, ancora, è venuto meno il valore cultuale delle L’originalità di Pollock consisteva nella grande dimensione delle tele, fino a una decina di
immagini, sostituito dal valore espositivo moderno. Veniva meno anche il rapporto con metri, e soprattutto nella tecnica di pittura, il dripping, che l’artista aveva messo a punto
quegli spazi in cui l’arte era stata ospitata per millenni, dato che le immagini si potevano all’inizio del suo soggiorno a Long Island, forse anche a seguito dell’incontro con le opere
ormai trovare ovunque. Emancipate dalla loro funzione cultuale, esse perdevano anche la di un’altra artista americana, Janet Sobel (1894-1968), che aveva esposto i suoi dripping
loro unicità rappresentativa e, in definitiva, la loro aura. nel 1945 a New York, presso la galleria Art of this Century di Peggy Guggenheim. La
L’arte si è affacciata al XX secolo in cerca di una nuova definizione. Sono nate le avanguardie Sobel, però, con la sua vita apparentemente normale e la sua immagine di brava donna di
e la pratica dell’astrazione è diventata un modo per differenziare l’immagine d’arte dal casa, era meno rappresentativa dell’idea d’artista tutto genio e sregolatezza che dominava a
simulacro fotografico. La pura e semplice dimensione espositiva dell’arte rappresenta però quell’epoca e che Pollock incarnava alla perfezione.
un limite estremo, che non può essere nemmeno praticato per lungo tempo. Si potrebbe Il suo travaglio interiore emergeva anche dalla superficie dei suoi lavori, dove Pollock
definire, secondo Randall Collins, un rituale insoddisfacente. Oppure, riecheggiando talvolta univa alle sgocciolature di colore, mozziconi di sigaretta, chiavi e soprattutto
piuttosto Merton, un vuoto ritualismo. Dal nostro punto di vista non si può prescindere sabbia, richiamandosi ai Sand Painters indiani del West. I suoi quadri sembravano la traccia
in ambito comunicativo, dalla possibilità di innescare rituali. L’arte rientra pienamente visibile di un rituale ancestrale. Il famoso filmato girato tra il 1950 e il 1951 dal fotografo
in quest’ambito. Anche una semplice mostra provinciale mette in atto una serie di rituali tedesco Hans Namuth (1915-1990) ritraeva l’artista mentre effettuava una vera e propria
che vanno dal vernissage alla presentazione pubblica del critico di turno, agli articoli sulla performance pittorica, in cui i gesti e i movimenti intorno alla tela stesa al suolo divenivano
stampa, alle visite guidate, al cocktail di commiato. importanti tanto quanto l’opera stessa (Dal Lago e Giordano 2006, 109). Anche Allan
Il fulcro dell’arte del Novecento potrebbe essere individuato nell’affascinante e sofferta Kaprow (1927-2006), artista statunitense fondatore dello happening, in un saggio pubblicato
ricerca dell’aura perduta o di qualcosa che fosse in grado di sopperire a essa: una nuova due anni dopo la morte di Pollock, ricordava come quest’ultimo avesse riformato il modo
rappresentazione sociale dell’arte o, piuttosto, un suo nuovo ruolo sociale. L’aura di produrre arte: la danza del dripping. La distinzione tra i generi artistici era stata rotta, al
corrispondeva in definitiva alla forza espressiva conferita dal simbolismo e dalle funzioni punto che dopo Pollock sarebbe stato superfluo per gli artisti definirsi “pittore”, piuttosto
rappresentative veicolate dai canoni tradizionali. Gli artisti si trovavano a praticare strade che “poeta” o “danzatore” (Kaprow 1993, 3-9).
differenti, talvolta opposte, alcuni attestandosi su posizioni più tradizionali, altri virando
in direzione dei ritualismi moderni, altri cercando di evitare una deriva tradizionalistica, Pop Art
così come un atteggiamento consumistico. Lo stesso anno della tragica morte di Jackson Pollock, il 1956, avvenuta in un incidente stradale
sotto l’effetto dell’alcol, cominciavano i primi passi di una tendenza artistica più decisamente
Art in America
vicina all’estetica consumistica. La Pop Art si sarebbe sviluppata contemporaneamente in
Nel 1919 Marcel Duchamp (1887-1968), forse l’artista in assoluto più sensibile ai Gran Bretagna e negli Stati Uniti, ma sarebbero stati gli sviluppi americani a dare l’impronta

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definitiva al movimento. L’8 agosto 1956 inaugurava nella Whitechapel Gallery di Londra Riferendosi alla serie Milk Bottle di Goode, pubblicata sulla copertina della rivista,
la mostra This is Tomorrow, curata dal critico Bryan Robertson (1925-2002). Si trattava di Coplans sottolineava il carattere di oggettivazione e visualizzazione messa in atto dalla
un percorso di dodici sezioni, la seconda della quale era curata dall’Indipendent Group, un Pop Art. I nuovi artisti intendevano creare un nuovo sistema di significati, la cui chiave
gruppo di artisti e critici d’arte che aveva posto le premesse per la Pop Art fin dal 1952. In di lettura doveva essere cercata nelle reminiscenze magiche e misteriose della società
quell’occasione Richard Hamilton (1922-2011) realizzava il collage Just What Is It That contemporanea.
Makes Today’s Homes So Different, So Appealing? (Proprio quello che rende le case di oggi “La figura isolata e solitaria è tematica nella letteratura americana e si ripresenta
così diverse, così attraenti?), la cui rappresentazione di un interno domestico diveniva il continuamente, ma qui c’è un approccio totalmente diverso da parte di un umile
manifesto dell’estetica consumistica del nuovo movimento. nessuno, un giovane sconosciuto pittore americano di nome Goode, che ha dipinto due
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, invece, sarebbe stata proprio la rappresentazione del dei più solitari dipinti immaginabili. Essi rappresentano un modo totalmente nuovo e
denaro ad accompagnare gli esordi della Pop Art. Primo esperimento con le immagini radicalmente diverso di approcciare la ricerca dell’identità (...) Egli definisce uno standard
popolari di Roy Lichtenstein (1923-1997) era il Ten Dollar Bill, una serigrafia in 25 copie per l’uso di oggetti concreti da non superare, creando un nuovo senso e una nuova logica
del 1956. Lichtenstein si dedicherà ancora per tre anni alla pittura espressionista astratta, della struttura del nostro tempo. Goode ha assorbito questo nuovo senso e lo utilizza per
il movimento artistico dominante a quell’epoca, prima di riprendere la via del Pop, con le creare due dei dipinti più potenti, commoventi e misteriosi” (ibid., 28).
celeberrime serie di Mickey Mouse e Donald Duck. La ricerca di Warhol e Lichtenstein
La rappresentazione degli oggetti degli artisti Pop, non avendo alcun rapporto con il
era contigua allo sviluppo che la società dei consumi avrebbe avuto a partire dagli anni
realismo descrittivo, costituiva piuttosto la personificazione di significati sociali moderni,
Sessanta, momento in cui la cultura statunitense era investita da ondate di ritualizzazioni e
tanto da poter essere considerata una nuova “ritrattistica”. La personificazione di forze
mitizzazioni fortemente improntate alla filosofia del consumo.
magiche in oggetti, animali ed elementi naturali è ciò che in ambito antropologico è noto
Lichtenstein, come anche Andy Warhol (1928-1997), non aveva una formazione
come totemismo. Il concetto non era estraneo al mondo dell’arte statunitense. Con la
esclusivamente artistica, ma aveva lavorato come grafico commerciale e designer di vetrine
Pop Art, anche l’arte partecipava attivamente alle dinamiche della società dei consumi.
a partire dal 1949. Anche le Accademie e le Facoltà d’arte contribuirono allo sviluppo di una
Attorno ai nuovi “oggetti comuni” reinventati dagli artisti, si ricostruiva un tessuto di
sensibilità estetica più vicina al consumo, tra arte e artigianato. Durante gli anni Cinquanta,
vincoli psicologici, affettivi e sociali, sanciti attraverso azioni rituali e ripetitive. Nasceva
infatti, vennero avviati nuovi corsi di falegnameria, di ceramica e di tessitura, provocando
quello che oggi viene comunemente definito “oggetto di culto”: totem moderni attorno
un movimento di avvicinamento tra ambiti fino ad allora rimasti relativamente distanti.
ai quali poter sviluppare ritualismi individuali e collettivi. Si pensi al divismo spettacolare
Da una parte gli artisti cominciarono a utilizzare i mezzi e le competenze dell’artigianato,
dei gruppi musicali che si sarebbe sviluppato in questi anni, dopo che il produttore
dall’altra gli artigiani presero spunto dalla cultura e dall’espressività non funzionale dell’arte
musicale Sid Bernstein (1918-2013) ebbe portato i Beatles nel Shea Stadium di New York,
contemporanea (Shiner 2001, 274).
dove giocavano a baseball i Mets. Era il 15 agosto 1965, la prima volta che un gruppo
Nel 1960 Phillip Hefferton (1933-2008), un artista di Detroit, la città dell’industria
musicale si esibiva in uno stadio davanti a 55.000 spettatori. Il pubblico sedeva solo sulle
automobilistica, iniziò a dipingere la prima della sua lunga serie di banconote. Due anni
gradinate, nel campo da gioco vuoto c’erano continui tentativi di invasione e l’insufficiente
dopo, nel 1962, partecipava alla mostra sulla Pop Art al Pasadena Art Museum (oggi Norton
amplificazione non permetteva di distinguere la musica dal rumore. Un vero pandemonio,
Simon Museum), intitolata New Painting of Common Objects, curata da Walter Hopps
come lo descrisse il New York Times, ma anche una serata memorabile, con un incasso di
(1932-2005), che includeva anche Jim Dine (Cincinnati, 1935), Robert Dowd (1936-1996),
304.000 dollari, allora record in tutti i campi dello show business (Negri 2013).
Joe Goode (Oklahoma City, 1937), Roy Lichtenstein, Edward Ruscha (Omaha, 1937),
Insieme a Warhol, tutti gli artisti della Pop Art insistevano su di un sempre più stretto
Wayne Thiebaud (Mesa, 1920) e naturalmente Andy Warhol. Quest’ultimo aveva tenuto
rapporto tra arte e consumo. Claes Oldenburg nel 1961 aveva organizzato una vendita in
nel 1961 la sua prima personale nella Ferus Gallery, aperta a Los Angeles da Walter Hopps
un negozio dell’East Side a New York in cui gli oggetti d’arte erano presentati assieme a
insieme agli artisti Edward Kienholz (1927-1994) e Robert Alexander (1923-1987), tra i
generi alimentari e biancheria intima. L’artista stesso era alla cassa.
pionieri della Installation Art. Singolarmente, nel 1963 Walter Hopps avrebbe organizzato
“La gente, insomma, comprava arte nello stesso modo in cui si comprava cibo e vestiti
anche una grande retrospettiva dedicata proprio a Marcel Duchamp.
(..) Era anche un modo per superare la distanza che separava l’arte dalla vita e, infine, un
Tornando alla mostra di Pasadena del 1962, questa venne recensita nel numero di novembre
modo per farsi conoscere molto rapidamente attraverso l’attenzione dei media” (Danto
di quell’anno dalla neonata rivista di tendenza Artforum, che sarebbe diventata la guida
2009, 32).
dell’avanguardia artistica mondiale. Nell’apertura dell’articolo intitolato The New Painting
of Common Objects, il direttore associato John Coplans (1920-1983), artista di nazionalità Nel corso degli anni Sessanta, l’arte usciva definitivamente dall’ambito del museo per
britannica a sua volta tra i curatori del museo di Pasadena, esordiva con il gergo commerciale diventare stile di vita, happening, performance, rifuggendo dalle tecniche tradizionali in
tipico dei presentatori televisivi, alludendo ai luoghi di provenienza dei diversi artisti direzione della transmedialità del video, della televisione e del cinema, delle esperienze
presenti in mostra. Era il segno che l’arte stava entrando prepotentemente nel mondo della musicali e sensoriali. Non a caso lo studio aperto da Warhol tra il 1962 e il 1968 si sarebbe
pubblicità e viceversa: “Out of New York... Out of Detroit ... Out of Oklahoma City...” chiamato The Factory, vale a dire “la fabbrica”, proprio a sottolineare il carattere che d’ora
(Coplans 1962, 26). in poi legherà arte e consumo, come una spinta dirompente o come una prigione, a seconda
La prospettiva di Coplans sul nascente movimento era semplice e chiara. L’arte europea era dei casi e dei punti di vista. Gli stessi soggetti scelti da Andy Warhol ripercorrevano
sostenuta da forti basi teoriche. L’astrattismo e il surrealismo europei avevano codificato l’intera gamma della più significative rappresentazioni sociali del nuovo mondo del
modi di rappresentazione della spazio architettonico così come dell’immaginario consumo. Incidenti automobilistici e suicidi (1963), bottiglie di Coca Cola (1962) e lattine
psicosessuale. Mancava all’arte del Vecchio Continente una base empirica, un maggiore di Campbell’s Soup (1962), banconote da un dollaro (1962), buoni sconto S & H Green
contatto con l’esperienza quotidiana, anche a costo di una volgarizzazione dei contenuti (1962) e scatole di pagliette insaponate Brillo (1967), volti di personaggi famosi come
artistici. Facendo riferimento al proverbiale mutismo degli artisti della West Cost, Coplans Che Guevara (1968) e Mao Tse-Tung (1971), fino alle copertine di dischi (The Velvet
ribadiva che l’estetica americana, invece, non aveva una analoga base teorica, ma si voleva Underground & Nico, 1967), immagini spesso ripetute decine di volte come in una sorta
ispirare direttamente alla vita, come il Jazz e la poesia Beat. La Pop Art forniva una nuova di loop televisivo. La Marylin (1962), ritratta immediatamente dopo la sua morte, è forse
base visiva all’arte americana. l’icona di culto più nota, rappresentativa della nuova dialettica tra industria culturale e arte,
Aprendo la finestra sulla realtà, gli astisti si trovavano di fronte a un mondo organizzato che riuscirà ad imprimere una netta accelerazione alle rappresentazioni sociali dell’epoca.
intorno alla produzione di massa e finalizzato al consumo. L’uomo era sottoposto a una Non a caso l’opera di Warhol è stata giudicata la terza in ordine d’importanza nel XX
continua pressione sociale, sotto il bombardamento delle immagini e degli effetti visivi che secolo da un sondaggio effettuato all’interno di un gruppo di 500 esperti d’arte, effettuato
lo spingevano verso un agire consumistico. Da questo magma visivo scaturiva la Pop Art, in occasione del Turner Price del 2004, immediatamente dopo Fountain di Duchamp del
lontana anni luce dal realismo descrittivo. 1917 e Les Demoiselles d’Avignon (1907) di Picasso.

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definitiva al movimento. L’8 agosto 1956 inaugurava nella Whitechapel Gallery di Londra Riferendosi alla serie Milk Bottle di Goode, pubblicata sulla copertina della rivista,
la mostra This is Tomorrow, curata dal critico Bryan Robertson (1925-2002). Si trattava di Coplans sottolineava il carattere di oggettivazione e visualizzazione messa in atto dalla
un percorso di dodici sezioni, la seconda della quale era curata dall’Indipendent Group, un Pop Art. I nuovi artisti intendevano creare un nuovo sistema di significati, la cui chiave
gruppo di artisti e critici d’arte che aveva posto le premesse per la Pop Art fin dal 1952. In di lettura doveva essere cercata nelle reminiscenze magiche e misteriose della società
quell’occasione Richard Hamilton (1922-2011) realizzava il collage Just What Is It That contemporanea.
Makes Today’s Homes So Different, So Appealing? (Proprio quello che rende le case di oggi “La figura isolata e solitaria è tematica nella letteratura americana e si ripresenta
così diverse, così attraenti?), la cui rappresentazione di un interno domestico diveniva il continuamente, ma qui c’è un approccio totalmente diverso da parte di un umile
manifesto dell’estetica consumistica del nuovo movimento. nessuno, un giovane sconosciuto pittore americano di nome Goode, che ha dipinto due
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, invece, sarebbe stata proprio la rappresentazione del dei più solitari dipinti immaginabili. Essi rappresentano un modo totalmente nuovo e
denaro ad accompagnare gli esordi della Pop Art. Primo esperimento con le immagini radicalmente diverso di approcciare la ricerca dell’identità (...) Egli definisce uno standard
popolari di Roy Lichtenstein (1923-1997) era il Ten Dollar Bill, una serigrafia in 25 copie per l’uso di oggetti concreti da non superare, creando un nuovo senso e una nuova logica
del 1956. Lichtenstein si dedicherà ancora per tre anni alla pittura espressionista astratta, della struttura del nostro tempo. Goode ha assorbito questo nuovo senso e lo utilizza per
il movimento artistico dominante a quell’epoca, prima di riprendere la via del Pop, con le creare due dei dipinti più potenti, commoventi e misteriosi” (ibid., 28).
celeberrime serie di Mickey Mouse e Donald Duck. La ricerca di Warhol e Lichtenstein
La rappresentazione degli oggetti degli artisti Pop, non avendo alcun rapporto con il
era contigua allo sviluppo che la società dei consumi avrebbe avuto a partire dagli anni
realismo descrittivo, costituiva piuttosto la personificazione di significati sociali moderni,
Sessanta, momento in cui la cultura statunitense era investita da ondate di ritualizzazioni e
tanto da poter essere considerata una nuova “ritrattistica”. La personificazione di forze
mitizzazioni fortemente improntate alla filosofia del consumo.
magiche in oggetti, animali ed elementi naturali è ciò che in ambito antropologico è noto
Lichtenstein, come anche Andy Warhol (1928-1997), non aveva una formazione
come totemismo. Il concetto non era estraneo al mondo dell’arte statunitense. Con la
esclusivamente artistica, ma aveva lavorato come grafico commerciale e designer di vetrine
Pop Art, anche l’arte partecipava attivamente alle dinamiche della società dei consumi.
a partire dal 1949. Anche le Accademie e le Facoltà d’arte contribuirono allo sviluppo di una
Attorno ai nuovi “oggetti comuni” reinventati dagli artisti, si ricostruiva un tessuto di
sensibilità estetica più vicina al consumo, tra arte e artigianato. Durante gli anni Cinquanta,
vincoli psicologici, affettivi e sociali, sanciti attraverso azioni rituali e ripetitive. Nasceva
infatti, vennero avviati nuovi corsi di falegnameria, di ceramica e di tessitura, provocando
quello che oggi viene comunemente definito “oggetto di culto”: totem moderni attorno
un movimento di avvicinamento tra ambiti fino ad allora rimasti relativamente distanti.
ai quali poter sviluppare ritualismi individuali e collettivi. Si pensi al divismo spettacolare
Da una parte gli artisti cominciarono a utilizzare i mezzi e le competenze dell’artigianato,
dei gruppi musicali che si sarebbe sviluppato in questi anni, dopo che il produttore
dall’altra gli artigiani presero spunto dalla cultura e dall’espressività non funzionale dell’arte
musicale Sid Bernstein (1918-2013) ebbe portato i Beatles nel Shea Stadium di New York,
contemporanea (Shiner 2001, 274).
dove giocavano a baseball i Mets. Era il 15 agosto 1965, la prima volta che un gruppo
Nel 1960 Phillip Hefferton (1933-2008), un artista di Detroit, la città dell’industria
musicale si esibiva in uno stadio davanti a 55.000 spettatori. Il pubblico sedeva solo sulle
automobilistica, iniziò a dipingere la prima della sua lunga serie di banconote. Due anni
gradinate, nel campo da gioco vuoto c’erano continui tentativi di invasione e l’insufficiente
dopo, nel 1962, partecipava alla mostra sulla Pop Art al Pasadena Art Museum (oggi Norton
amplificazione non permetteva di distinguere la musica dal rumore. Un vero pandemonio,
Simon Museum), intitolata New Painting of Common Objects, curata da Walter Hopps
come lo descrisse il New York Times, ma anche una serata memorabile, con un incasso di
(1932-2005), che includeva anche Jim Dine (Cincinnati, 1935), Robert Dowd (1936-1996),
304.000 dollari, allora record in tutti i campi dello show business (Negri 2013).
Joe Goode (Oklahoma City, 1937), Roy Lichtenstein, Edward Ruscha (Omaha, 1937),
Insieme a Warhol, tutti gli artisti della Pop Art insistevano su di un sempre più stretto
Wayne Thiebaud (Mesa, 1920) e naturalmente Andy Warhol. Quest’ultimo aveva tenuto
rapporto tra arte e consumo. Claes Oldenburg nel 1961 aveva organizzato una vendita in
nel 1961 la sua prima personale nella Ferus Gallery, aperta a Los Angeles da Walter Hopps
un negozio dell’East Side a New York in cui gli oggetti d’arte erano presentati assieme a
insieme agli artisti Edward Kienholz (1927-1994) e Robert Alexander (1923-1987), tra i
generi alimentari e biancheria intima. L’artista stesso era alla cassa.
pionieri della Installation Art. Singolarmente, nel 1963 Walter Hopps avrebbe organizzato
“La gente, insomma, comprava arte nello stesso modo in cui si comprava cibo e vestiti
anche una grande retrospettiva dedicata proprio a Marcel Duchamp.
(..) Era anche un modo per superare la distanza che separava l’arte dalla vita e, infine, un
Tornando alla mostra di Pasadena del 1962, questa venne recensita nel numero di novembre
modo per farsi conoscere molto rapidamente attraverso l’attenzione dei media” (Danto
di quell’anno dalla neonata rivista di tendenza Artforum, che sarebbe diventata la guida
2009, 32).
dell’avanguardia artistica mondiale. Nell’apertura dell’articolo intitolato The New Painting
of Common Objects, il direttore associato John Coplans (1920-1983), artista di nazionalità Nel corso degli anni Sessanta, l’arte usciva definitivamente dall’ambito del museo per
britannica a sua volta tra i curatori del museo di Pasadena, esordiva con il gergo commerciale diventare stile di vita, happening, performance, rifuggendo dalle tecniche tradizionali in
tipico dei presentatori televisivi, alludendo ai luoghi di provenienza dei diversi artisti direzione della transmedialità del video, della televisione e del cinema, delle esperienze
presenti in mostra. Era il segno che l’arte stava entrando prepotentemente nel mondo della musicali e sensoriali. Non a caso lo studio aperto da Warhol tra il 1962 e il 1968 si sarebbe
pubblicità e viceversa: “Out of New York... Out of Detroit ... Out of Oklahoma City...” chiamato The Factory, vale a dire “la fabbrica”, proprio a sottolineare il carattere che d’ora
(Coplans 1962, 26). in poi legherà arte e consumo, come una spinta dirompente o come una prigione, a seconda
La prospettiva di Coplans sul nascente movimento era semplice e chiara. L’arte europea era dei casi e dei punti di vista. Gli stessi soggetti scelti da Andy Warhol ripercorrevano
sostenuta da forti basi teoriche. L’astrattismo e il surrealismo europei avevano codificato l’intera gamma della più significative rappresentazioni sociali del nuovo mondo del
modi di rappresentazione della spazio architettonico così come dell’immaginario consumo. Incidenti automobilistici e suicidi (1963), bottiglie di Coca Cola (1962) e lattine
psicosessuale. Mancava all’arte del Vecchio Continente una base empirica, un maggiore di Campbell’s Soup (1962), banconote da un dollaro (1962), buoni sconto S & H Green
contatto con l’esperienza quotidiana, anche a costo di una volgarizzazione dei contenuti (1962) e scatole di pagliette insaponate Brillo (1967), volti di personaggi famosi come
artistici. Facendo riferimento al proverbiale mutismo degli artisti della West Cost, Coplans Che Guevara (1968) e Mao Tse-Tung (1971), fino alle copertine di dischi (The Velvet
ribadiva che l’estetica americana, invece, non aveva una analoga base teorica, ma si voleva Underground & Nico, 1967), immagini spesso ripetute decine di volte come in una sorta
ispirare direttamente alla vita, come il Jazz e la poesia Beat. La Pop Art forniva una nuova di loop televisivo. La Marylin (1962), ritratta immediatamente dopo la sua morte, è forse
base visiva all’arte americana. l’icona di culto più nota, rappresentativa della nuova dialettica tra industria culturale e arte,
Aprendo la finestra sulla realtà, gli astisti si trovavano di fronte a un mondo organizzato che riuscirà ad imprimere una netta accelerazione alle rappresentazioni sociali dell’epoca.
intorno alla produzione di massa e finalizzato al consumo. L’uomo era sottoposto a una Non a caso l’opera di Warhol è stata giudicata la terza in ordine d’importanza nel XX
continua pressione sociale, sotto il bombardamento delle immagini e degli effetti visivi che secolo da un sondaggio effettuato all’interno di un gruppo di 500 esperti d’arte, effettuato
lo spingevano verso un agire consumistico. Da questo magma visivo scaturiva la Pop Art, in occasione del Turner Price del 2004, immediatamente dopo Fountain di Duchamp del
lontana anni luce dal realismo descrittivo. 1917 e Les Demoiselles d’Avignon (1907) di Picasso.

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Reincanto la stessa qualità e la stessa natura dei cieli di Giotto, uno spazio dove la fantasia poteva
muoversi più liberamente che sulla terra, dato che in natura non vi è nulla di più astratto
Il “reincanto” è diametralmente opposto al “disincanto del mondo”, Entzauberung
del cielo. La finalità era quella di creare un percorso ascensionale, una sintesi di leggerezza e
der Welt, espressione utilizzata da Max Weber per esprimere il risultato dei processi di
chiarezza, una dimensione tipica del sogno. Dal punto di vista concettuale, Klein si ispirava
intellettualizzazione, razionalizzazione e tecnologizzazione delle società moderne (Weber
anche ai lavori di uno psicoterapista francese, Robert Desoille (1890-1966), il quale aveva
1919). L’operazione di reincanto corrisponde in pratica a quella di ricreazione dell’aura di
elaborato il metodo del “sogno ad occhi aperti guidato”, in grado di “sublimare” le tensioni
un’opera. Attraverso le opere e le ritualità messe in atto dagli artisti, l’arte contemporanea
interiori (Desoille 1938). Il sognatore sveglio era la sintesi dell’artista e dello spettatore, del
è divenuta una delle forme principali di sperimentazione del reincanto, partendo proprio
quotidiano e dell’eccezionale, in cui si realizzavano una nuova coscienza e la possibilità di
dalla messa in discussione della realtà ordinaria, nonché degli equilibri interni del sistema
conoscere e giudicarsi con maggiore verità (Klein 2003, 34).
dell’arte.
L’interazionismo simbolico proposto da Goffman a partire dalla fine degli anni Cinquanta Su questa base, Klein aveva cominciato a elaborare, insieme all’architetto tedesco Werner
era in grado di spiegare il modo in cui si alterava la percezione convenzionale della realtà. Ruhnau (nato nel 1922), il progetto per una “architettura dell’aria”, che superasse il limite
Secondo il sociologo canadese difficilmente si poteva guardare qualcosa senza applicare un strutturale incontrato dal grande Ludwig Mies van der Rohe (1886-1969). Le pareti e il
frame, una “cornice”, una struttura primaria di organizzazione dell’esperienza, anche se nella tetto degli edifici, infatti, impedivano la visione del cielo e dell’ambiente circostante e non
maggior parte dei casi basta una semplice occhiata per confermare gli stimoli provenienti permettevano una fruizione “libera” dello spazio. L’idea era venuta a Klein già nel 1951,
dall’esterno e l’applicazione di prospettive anticipate. L’orizzonte quotidiano di immagini assistendo allo spettacolo delle fontane di Versailles, e aveva immaginato di innalzare getti
convenzionali dimostra, infatti, che esiste sempre una vulnerabilità delle strutture primarie, di fuoco dalla superficie delle vasche d’acqua. Nella “architettura dell’aria”, muri d’acqua
soprattutto quando si verificano situazioni diverse dall’ordinario. É questo l’ambito in cui e di fuoco, a seconda delle condizioni climatiche, avrebbero dovuto sostituire le pareti.
operano molti artisti, nell’intento di conferire alle loro azioni un “reincanto” che le sottragga Flussi d’aria, forze magnetiche, gas, avrebbero interagito con l’architettura, preservando
alla normalità della vita quotidiana e alla banalità delle azioni di consumo. dalle condizioni esterne e provvedendo alla climatizzazione interna. I tetti sospesi e le
Molta arte contemporanea ha puntato sul reincanto e su di una nuova ritualizzazione costruzioni sospese dell’architetto tedesco Frei Otto (nato nel 1925), erano esempi di una
dell’azione umana. direzione da perseguire per la costruzione delle città del futuro.
In un mondo sempre più soffocato dal “sistema degli oggetti”, il reincanto dell’arte poteva “Con i tre elementi classici, fuoco, aria e acqua, si costruirà la città del domani, che sarà
essere realizzato sottraendo l’oggetto stesso, operando quindi verso un’immaterialità finalmente flessibile, spirituale e immateriale” (ibid., 43).
dell’arte. Venendo meno l’oggetto, l’arte poteva essere ricondotta ad azioni essenziali che Dalla conferenza alla Sorbona, fino alla morte nel 1962, a soli 34 anni, l’attività di Klein si
operavano sull’ambiente e sulla percezione. Il francese Yves Klein svolgeva in quegli anni faceva sempre più intensa. Elaborando il tema del monocromo, l’artista sperimentava le
un ruolo fondamentale nell’affermazione di un nuovo modo di concepire l’arte. Per Klein, Anthropométries, “tracce di vita” in blu impresse sulla tela bianca dai corpi delle modelle,
al centro dell’estetica c’era il processo artistico, che egli intendeva come creazione di vere e nel corso di sessioni artistico-spettacolari filmate dalla cinepresa. Lavorando sul fuoco,
proprie cerimonie. Richiamandosi apertamente alla tradizione Zen, egli mirava a sviluppare eseguiva una serie di Paintures du Feu su carta e cartoni bruciati applicati su legno, all’interno
l’esperienza del “vuoto”, attraverso una serie di azioni simboliche. Nel maggio 1958, Klein del centro di prova della società Gaz de France. Si occupava, inoltre, della vendita di Zones
inaugurava la mostra La specializzazione della sensibilità pittorica stabilizzata, detta Il Vuoto, de sensibilité picturale immatérielle (a partire dal 1959). Le Zones immateriali erano cedute
presso la Galleria Iris Clerc, di Parigi, annunciata dal lancio di 1001 palloncini blu, definiti ritualmente in cambio di sottili fogli d’oro. Per acquisire definitivamente il valore dell’opera,
una “scultura aerostatica” e conclusa con la distribuzione di un aperitivo sempre di colore però, il proprietario doveva bruciare “solennemente” la ricevuta, mentre Klein si impegnava
blu. Si trattava di una vera e propria cerimonia di preparazione, analoga a quelle già descritte a disperdere nella Senna o in mare, la metà dell’oro ricevuto. Una parte dell’oro sarebbe stata
da McCracken, in cui l’artista si appropriava dello spazio vuoto della galleria dipingendolo inserita anche in un Ex Voto donato dall’artista alle ignare suore del Santuario di Santa Rita
di bianco, riempiendolo della sua immateriale presenza, trasformandolo invisibilmente in da Cascia, in Umbria, nel febbraio 1961, per tornare alla luce solo nel 1979.
studio d’artista, in luogo della creatività. Lo stesso Klein avrebbe ricordato le dinamiche di Secondo Klein, l’arte doveva uscire fuori dall’ambito della comunicazione, doveva sottrarsi
realizzazione dell’evento durante una sua conferenza alla Sorbona, il 3 giugno 1959: alla tirannia dei differenti linguaggi. Lo scopo dell’arte doveva essere sociale. “L’uomo solo
“Mi rinchiudo nella galleria da solo per quarantott’ore prima dell’inaugurazione, per crea l’opera d’arte per non essere più solo”, aveva ripetuto l’artista francese durante la sua
ridipingerla interamente di bianco e questo, da una parte, per ripulirlo dalla impregnazione celebre conferenza alla Sorbona (ibid., 38). Architettura e urbanistica immateriali erano in
delle numerose mostre precedenti e, dall’altra, attraverso quest’azione di dipingere i muri di rapporto con una nuova concezione dell’economia. Per Klein, infatti, il denaro era “il legante
bianco, il non colore, per farne momentaneamente il mio spazio di lavoro e di creazione, in fissativo di tutti gli individui raggruppati nella società”, un vincolo di natura quantitativa
poche parole per farne il mio studio (...) La mia presenza in azione nello spazio dato creerà che “mummificava” le persone, privandole della “autorità nei loro stessi confronti” (ibid.,
il clima e l’atmosfera pittorica che irradia di solito in ogni atelier d’artista dotato di un reale 39). L’arte poteva dare l’esempio di una “responsabilità immaginativa e libera”, in grado
potere. Una densità sensibile astratta, ma reale, esisterà e vivrà in sé e per sé nei luoghi vuoti di costringere le persone a “trovare il benessere nella produzione qualitativa” (ivi). Per
solo in apparenza” (Klein 2003, 27). rilanciare il gusto della qualità, tutte le organizzazioni professionali dovevano essere invitate
Nonostante non ci fosse letteralmente nulla da “vedere”, la mostra attirava alcune migliaia a depositare i loro capolavori presso la Banca centrale, opportunamente sgombrata dai
di spettatori e la stessa stampa parigina era costretta ad ammettere che una metà dei visitatori depositi di metalli pregiati. L’istituzione sarebbe diventata così la depositaria della qualità
aveva trovato l’esperienza rasserenante e decisamente positiva. della produzione industriale, artigianale e intellettuale di un popolo, al punto che le diverse
Yves Klein, figlio d’arte – suo padre era l’olandese Fred Klein (1898-1990), sua madre Marie nazioni avrebbero rivaleggiato nella qualità e nei valori spirituali, non più nella quantità
Raymond (1908-1989), entrambi pittori – si era interessato di tradizioni orientali e di arti e nelle guerre doganali. Si sarebbe così delineato un sistema che “concilia finalmente le
marziali fin da giovanissimo. Quando gli chiedevano perché realizzava tele monocrome, aspirazioni intellettuali e morali universali con gli imperativi economici più perentori;
riportava l’antico racconto persiano di un flautista che aveva imparato a suonare solo una in un sistema simile, l’uomo ricco sarebbe necessariamente un autentico genio nella sua
nota. Dopo aver fatto così per molti anni, sua moglie gli fece notare che gli altri flautisti specialità” (ibid., 41). Ritrovando l’utopia, il mondo avrebbe ritrovato anche la giustizia.
erano soliti modulare melodie composte da molte note. Il singolare musicista rispondeva Anni luce lontano dalla vita frenetica e sregolata degli artisti dell’Action Painting
che non era colpa sua se lui aveva trovato la nota che tutti gli altri stavano ancora cercando statunitense, il 21 gennaio 1961, quasi sei mesi prima di morire, Yves Klein sposava l’artista
(Carnevale 2012). tedesca Rotraut Uecker (nata nel 1938) nella Chiesa gotica di Saint-Nicholas-des Champs.
Il colore che Klein utilizzava era prevalentemente un particolare tono di blu, cui era La moglie Rotraut indossava una corona blu, mentre Klein appariva nella divisa dell’Ordine
arrivato anche attraverso la contemplazione degli affreschi giotteschi della basilica di San dei Cavalieri di San Sebastiano, antica istituzione d’ispirazione cattolico-tradizionalista,
Francesco ad Assisi. Per Klein, l’IKB (International Klein Blue), da lui brevettato, aveva con mantello e cappello con pennacchio (Carnevale 2012). Alcune foto immortalavano gli

136 137
Reincanto la stessa qualità e la stessa natura dei cieli di Giotto, uno spazio dove la fantasia poteva
muoversi più liberamente che sulla terra, dato che in natura non vi è nulla di più astratto
Il “reincanto” è diametralmente opposto al “disincanto del mondo”, Entzauberung
del cielo. La finalità era quella di creare un percorso ascensionale, una sintesi di leggerezza e
der Welt, espressione utilizzata da Max Weber per esprimere il risultato dei processi di
chiarezza, una dimensione tipica del sogno. Dal punto di vista concettuale, Klein si ispirava
intellettualizzazione, razionalizzazione e tecnologizzazione delle società moderne (Weber
anche ai lavori di uno psicoterapista francese, Robert Desoille (1890-1966), il quale aveva
1919). L’operazione di reincanto corrisponde in pratica a quella di ricreazione dell’aura di
elaborato il metodo del “sogno ad occhi aperti guidato”, in grado di “sublimare” le tensioni
un’opera. Attraverso le opere e le ritualità messe in atto dagli artisti, l’arte contemporanea
interiori (Desoille 1938). Il sognatore sveglio era la sintesi dell’artista e dello spettatore, del
è divenuta una delle forme principali di sperimentazione del reincanto, partendo proprio
quotidiano e dell’eccezionale, in cui si realizzavano una nuova coscienza e la possibilità di
dalla messa in discussione della realtà ordinaria, nonché degli equilibri interni del sistema
conoscere e giudicarsi con maggiore verità (Klein 2003, 34).
dell’arte.
L’interazionismo simbolico proposto da Goffman a partire dalla fine degli anni Cinquanta Su questa base, Klein aveva cominciato a elaborare, insieme all’architetto tedesco Werner
era in grado di spiegare il modo in cui si alterava la percezione convenzionale della realtà. Ruhnau (nato nel 1922), il progetto per una “architettura dell’aria”, che superasse il limite
Secondo il sociologo canadese difficilmente si poteva guardare qualcosa senza applicare un strutturale incontrato dal grande Ludwig Mies van der Rohe (1886-1969). Le pareti e il
frame, una “cornice”, una struttura primaria di organizzazione dell’esperienza, anche se nella tetto degli edifici, infatti, impedivano la visione del cielo e dell’ambiente circostante e non
maggior parte dei casi basta una semplice occhiata per confermare gli stimoli provenienti permettevano una fruizione “libera” dello spazio. L’idea era venuta a Klein già nel 1951,
dall’esterno e l’applicazione di prospettive anticipate. L’orizzonte quotidiano di immagini assistendo allo spettacolo delle fontane di Versailles, e aveva immaginato di innalzare getti
convenzionali dimostra, infatti, che esiste sempre una vulnerabilità delle strutture primarie, di fuoco dalla superficie delle vasche d’acqua. Nella “architettura dell’aria”, muri d’acqua
soprattutto quando si verificano situazioni diverse dall’ordinario. É questo l’ambito in cui e di fuoco, a seconda delle condizioni climatiche, avrebbero dovuto sostituire le pareti.
operano molti artisti, nell’intento di conferire alle loro azioni un “reincanto” che le sottragga Flussi d’aria, forze magnetiche, gas, avrebbero interagito con l’architettura, preservando
alla normalità della vita quotidiana e alla banalità delle azioni di consumo. dalle condizioni esterne e provvedendo alla climatizzazione interna. I tetti sospesi e le
Molta arte contemporanea ha puntato sul reincanto e su di una nuova ritualizzazione costruzioni sospese dell’architetto tedesco Frei Otto (nato nel 1925), erano esempi di una
dell’azione umana. direzione da perseguire per la costruzione delle città del futuro.
In un mondo sempre più soffocato dal “sistema degli oggetti”, il reincanto dell’arte poteva “Con i tre elementi classici, fuoco, aria e acqua, si costruirà la città del domani, che sarà
essere realizzato sottraendo l’oggetto stesso, operando quindi verso un’immaterialità finalmente flessibile, spirituale e immateriale” (ibid., 43).
dell’arte. Venendo meno l’oggetto, l’arte poteva essere ricondotta ad azioni essenziali che Dalla conferenza alla Sorbona, fino alla morte nel 1962, a soli 34 anni, l’attività di Klein si
operavano sull’ambiente e sulla percezione. Il francese Yves Klein svolgeva in quegli anni faceva sempre più intensa. Elaborando il tema del monocromo, l’artista sperimentava le
un ruolo fondamentale nell’affermazione di un nuovo modo di concepire l’arte. Per Klein, Anthropométries, “tracce di vita” in blu impresse sulla tela bianca dai corpi delle modelle,
al centro dell’estetica c’era il processo artistico, che egli intendeva come creazione di vere e nel corso di sessioni artistico-spettacolari filmate dalla cinepresa. Lavorando sul fuoco,
proprie cerimonie. Richiamandosi apertamente alla tradizione Zen, egli mirava a sviluppare eseguiva una serie di Paintures du Feu su carta e cartoni bruciati applicati su legno, all’interno
l’esperienza del “vuoto”, attraverso una serie di azioni simboliche. Nel maggio 1958, Klein del centro di prova della società Gaz de France. Si occupava, inoltre, della vendita di Zones
inaugurava la mostra La specializzazione della sensibilità pittorica stabilizzata, detta Il Vuoto, de sensibilité picturale immatérielle (a partire dal 1959). Le Zones immateriali erano cedute
presso la Galleria Iris Clerc, di Parigi, annunciata dal lancio di 1001 palloncini blu, definiti ritualmente in cambio di sottili fogli d’oro. Per acquisire definitivamente il valore dell’opera,
una “scultura aerostatica” e conclusa con la distribuzione di un aperitivo sempre di colore però, il proprietario doveva bruciare “solennemente” la ricevuta, mentre Klein si impegnava
blu. Si trattava di una vera e propria cerimonia di preparazione, analoga a quelle già descritte a disperdere nella Senna o in mare, la metà dell’oro ricevuto. Una parte dell’oro sarebbe stata
da McCracken, in cui l’artista si appropriava dello spazio vuoto della galleria dipingendolo inserita anche in un Ex Voto donato dall’artista alle ignare suore del Santuario di Santa Rita
di bianco, riempiendolo della sua immateriale presenza, trasformandolo invisibilmente in da Cascia, in Umbria, nel febbraio 1961, per tornare alla luce solo nel 1979.
studio d’artista, in luogo della creatività. Lo stesso Klein avrebbe ricordato le dinamiche di Secondo Klein, l’arte doveva uscire fuori dall’ambito della comunicazione, doveva sottrarsi
realizzazione dell’evento durante una sua conferenza alla Sorbona, il 3 giugno 1959: alla tirannia dei differenti linguaggi. Lo scopo dell’arte doveva essere sociale. “L’uomo solo
“Mi rinchiudo nella galleria da solo per quarantott’ore prima dell’inaugurazione, per crea l’opera d’arte per non essere più solo”, aveva ripetuto l’artista francese durante la sua
ridipingerla interamente di bianco e questo, da una parte, per ripulirlo dalla impregnazione celebre conferenza alla Sorbona (ibid., 38). Architettura e urbanistica immateriali erano in
delle numerose mostre precedenti e, dall’altra, attraverso quest’azione di dipingere i muri di rapporto con una nuova concezione dell’economia. Per Klein, infatti, il denaro era “il legante
bianco, il non colore, per farne momentaneamente il mio spazio di lavoro e di creazione, in fissativo di tutti gli individui raggruppati nella società”, un vincolo di natura quantitativa
poche parole per farne il mio studio (...) La mia presenza in azione nello spazio dato creerà che “mummificava” le persone, privandole della “autorità nei loro stessi confronti” (ibid.,
il clima e l’atmosfera pittorica che irradia di solito in ogni atelier d’artista dotato di un reale 39). L’arte poteva dare l’esempio di una “responsabilità immaginativa e libera”, in grado
potere. Una densità sensibile astratta, ma reale, esisterà e vivrà in sé e per sé nei luoghi vuoti di costringere le persone a “trovare il benessere nella produzione qualitativa” (ivi). Per
solo in apparenza” (Klein 2003, 27). rilanciare il gusto della qualità, tutte le organizzazioni professionali dovevano essere invitate
Nonostante non ci fosse letteralmente nulla da “vedere”, la mostra attirava alcune migliaia a depositare i loro capolavori presso la Banca centrale, opportunamente sgombrata dai
di spettatori e la stessa stampa parigina era costretta ad ammettere che una metà dei visitatori depositi di metalli pregiati. L’istituzione sarebbe diventata così la depositaria della qualità
aveva trovato l’esperienza rasserenante e decisamente positiva. della produzione industriale, artigianale e intellettuale di un popolo, al punto che le diverse
Yves Klein, figlio d’arte – suo padre era l’olandese Fred Klein (1898-1990), sua madre Marie nazioni avrebbero rivaleggiato nella qualità e nei valori spirituali, non più nella quantità
Raymond (1908-1989), entrambi pittori – si era interessato di tradizioni orientali e di arti e nelle guerre doganali. Si sarebbe così delineato un sistema che “concilia finalmente le
marziali fin da giovanissimo. Quando gli chiedevano perché realizzava tele monocrome, aspirazioni intellettuali e morali universali con gli imperativi economici più perentori;
riportava l’antico racconto persiano di un flautista che aveva imparato a suonare solo una in un sistema simile, l’uomo ricco sarebbe necessariamente un autentico genio nella sua
nota. Dopo aver fatto così per molti anni, sua moglie gli fece notare che gli altri flautisti specialità” (ibid., 41). Ritrovando l’utopia, il mondo avrebbe ritrovato anche la giustizia.
erano soliti modulare melodie composte da molte note. Il singolare musicista rispondeva Anni luce lontano dalla vita frenetica e sregolata degli artisti dell’Action Painting
che non era colpa sua se lui aveva trovato la nota che tutti gli altri stavano ancora cercando statunitense, il 21 gennaio 1961, quasi sei mesi prima di morire, Yves Klein sposava l’artista
(Carnevale 2012). tedesca Rotraut Uecker (nata nel 1938) nella Chiesa gotica di Saint-Nicholas-des Champs.
Il colore che Klein utilizzava era prevalentemente un particolare tono di blu, cui era La moglie Rotraut indossava una corona blu, mentre Klein appariva nella divisa dell’Ordine
arrivato anche attraverso la contemplazione degli affreschi giotteschi della basilica di San dei Cavalieri di San Sebastiano, antica istituzione d’ispirazione cattolico-tradizionalista,
Francesco ad Assisi. Per Klein, l’IKB (International Klein Blue), da lui brevettato, aveva con mantello e cappello con pennacchio (Carnevale 2012). Alcune foto immortalavano gli

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sposi mentre passavano sotto due file di spade incrociate dei cavalieri dell’Ordine, attorniati prevedevano residenze in quella zona, lentamente prese vita il noto quartiere di Soho. L’idea
da amici e artisti, tra cui il bulgaro Christo (Christo Vladimirov Yavachev, nato nel 1935) e di Maciunas era quella di creare residenze collettive, sul modello dei kolkhoz, le comunità
il francese Armand (Armand Pierre Fernandez, 1928-2005). agricole sovietiche, con un teatro, un Fluxshop, una casa di produzione cinematografica
Negli stessi anni, dall’altra parte dell’Atlantico, un artista statunitense di origine lettone e studi di registrazione musicali. Sorgeva così la prima cooperativa Fluxus. Dal punto di
e tradizione ebraica, Mark Rothko (Marcus Yakovlevich Rothkowitz, 1903-1970), aveva vista economico le sue iniziative furono poco fortunate, tanto che Maciunas ebbe sempre
elaborato uno stile originale, diverso dagli altri action painters, componendo grandi tele a soffrire le pressioni, anche fisiche, dei creditori, subendo un violento pestaggio nel 1975
con campiture orizzontali, spesso tre per ogni opera. Usava la spugna per impregnare le con fratture multiple e la perdita di un occhio. Tuttavia, l’esperienza di Fluxus rimaneva
tele di colori a olio o acrilici, molto diluiti, quasi un velo di colore immateriale, pallido viva anche negli anni successivi, come esempio e modello di arte totale e di progettualità da
e vibrante allo stesso tempo. Disprezzava profondamente la leggerezza della Pop Art, la parte di intellettuali e artisti.
pretesa di quegli artisti di realizzare icone con materiali di consumo. Se gli obiettivi di
Rothko potevano essere definiti in senso lato spirituali, la sua fama cominciò a crescere
insieme alle quotazioni delle sue opere e alla preoccupazione che i suoi lavori fossero
suscettibili di un uso “decorativo”. Bibliografia
Gli venne commissionato un grande murales per il ristorante Four Seasons sulla Park Avenue
di New York. L’idea di Rothko era quella di fare qualcosa per “rovinare la digestione” degli Benjamin Walter (1935-39), Das Kunst im Zeitalten seiner technischen Reproduzierbarkeit,
avventori del locale di lusso, ma dopo aver pranzato nel locale decise di rinunziare alla in Schriften, I, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1955, pp. 366–405, trad. it. L’opera d’arte
commissione (Breslin 1993, 405). L’esperienza gli avrebbe fatto nascere l’idea, piuttosto, nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, arte e società di massa, Einaudi, Torino 2000,
di creare vere e proprie cappelle per la meditazione, dove fossero esposte una o due opere pp. 17-56.
(ibid., 376) Le persone sarebbero state libere di entrare e fermarsi a riflettere e pregare, Bergesen Albert (1999), The Ritual Order, in Humboldt Journal of Social Relations, 25, pp.
come nelle chiese e nelle cappelle votive del Medioevo. In tal modo l’arte sarebbe stata 157-197.
sottratta al consumo. Coplans John (1962), The New Painting of Common Objects, Artforum, November, pp.
Nel 1964 i suoi desideri vennero esauditi dai collezionisti John (1904-1973) e Dominique 26-29.
de Menil (1908-1997) di Houston, i quali commissionarono a Rothko una serie di opere Danto Arthur (2009), Andy Warhol, Yale University Press, trad. it. Einaudi, Torino 2010.
da esporre in una cappella da adibire al culto ecumenico e alla contemplazione dell’arte. Il Desoille Robert (1938), Exploration de l’affectivité subconsciente par la methode du rêve
progetto architettonico era stato affidato a Philip Johnson (1906-2005), che in seguito fu éveillé, D’Atrey, Parigi.
sostituito da Howard Barnstone (1923-1987) e da Eugene Aubry (nato nel 1935). Per meglio Eibl-EibesfeldtIrenäus (1984), Die Biologie des menschlichen Verhaltens Grundriss der
prepararsi al progetto, Rothko aprì un nuovo studio a New York, alto una quindicina Humanethologie, Piper, München, trad. it. Etologia umana, Le basi biologiche e culturali
di metri, che allestì in modo che avesse le stesse proporzioni della cappella di Houston. del comportamento, Bollati Boringhieri, Torino 1993.
L’artista preparò tre trittici e cinque quadri singoli, dai colori scuri fino al rosso, colore che Kaprow Allan (1993), Essays on the Blurring of Art and Life, University of California
doveva avere un ruolo centrale, ma non li vide mai installati, perché si tolse la vita nel 1970. Press, Berkeley.
La cappella venne inaugurata senza di lui solo l’anno successivo, con la partecipazione di Klein Yves (2003), Le Dépassement de la problématique de l’art et autres écrit, Ensba, Paris,
esponenti delle chiese cattoliche, greco-ortodosse e protestante e delle comunità ebraiche, trad. it. parziale, Verso l’immateriale dell’arte, ObarraO, Milano 2009.
buddista e musulmana. All’interno della cappella restavano a disposizione del pubblico Rothko Marc (2005), Écrits sur l’art, 1934-1969, Flammarion, Parigi, trad. it. Scritti sull’arte
testi sacri delle maggiori religioni del mondo, in favore del dialogo tra popoli e religioni. 1934-1969, Donzelli, Roma 2006-2007.
Per desiderio dei committenti, la cappella fu denominata Rothko Chapel e annualmente è Shiner Larry (2001), The Invention of Art, a cultural history, University of Chicago,
frequentata da circa 60.000 visitatori. Chicago.
Dopo Klein e Rothko, i termini “ritualismo”, “cerimonia”, “azione”, entravano a far parte
in pianta stabile del vocabolario dell’arte contemporanea, che negli anni successivi vedrà
la progressiva affermazione di una dimensione più collettiva e socialmente impegnata.
Con la Body e la Performing Art, collegata anche con il teatro d’avanguardia di Antonin
Artaud (1896-1948) e del Living Theatre (compagnia fondata nel 1947 a New York, ma che
svilupperà la sua attività internazionale soprattutto dopo il 1960), si assistette al consolidarsi
della logica del “gruppo” e allo sviluppo di nuove forme di associazionismo culturale. Se
non si poteva sopprimere la società dei consumi, si poteva almeno cercare di sottrarre il
sistema dell’arte alla sua ingerenza.
Una delle iniziative più significative sarebbe stata quella di George Maciunas, promotore
di Fluxus, vasto movimento artistico mirante a creare nuove forme di aggregazione e di
economia dell’arte, il più possibile indipendenti dal sistema dei consumi. Dal punto di vista
artistico, Maciunas rifiutava l’arte illusionistica, sia quella astratta che quella figurativa,
perseguendo la rottura delle convenzioni sociali attraverso relazioni inusitate tra oggetti e
persone oppure in situazioni fuori dall’ordinario in un progetto artistico che abbracciava
arte, musica, teatro e letteratura. Negli artisti di Fluxus si potevano cogliere riferimenti al
Surrealismo così come alle opere ready-made di Marcel Duchamp, alla musica ready-made
di John Cage (1912-1992) e alle azioni ready-made di George Brecht (1924-2005) e del
francese Ben Vautier (Napoli, 1935). Parallelamente, per garantire al movimento i mezzi
necessari alla sopravvivenza, gli artisti di Fluxus aprirono gallerie d’arte e svilupparono in
proprio un’intensa attività di mechandising, producendo centinaia di multipli di orologi,
dischi, mappe e tatuaggi.
Nel 1966, Maciunas organizzava un piano per convertire edifici abbandonati in studi per
artisti in una zona di New York. Sebbene osteggiato all’inizio dalle autorità cittadine, che non

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sposi mentre passavano sotto due file di spade incrociate dei cavalieri dell’Ordine, attorniati prevedevano residenze in quella zona, lentamente prese vita il noto quartiere di Soho. L’idea
da amici e artisti, tra cui il bulgaro Christo (Christo Vladimirov Yavachev, nato nel 1935) e di Maciunas era quella di creare residenze collettive, sul modello dei kolkhoz, le comunità
il francese Armand (Armand Pierre Fernandez, 1928-2005). agricole sovietiche, con un teatro, un Fluxshop, una casa di produzione cinematografica
Negli stessi anni, dall’altra parte dell’Atlantico, un artista statunitense di origine lettone e studi di registrazione musicali. Sorgeva così la prima cooperativa Fluxus. Dal punto di
e tradizione ebraica, Mark Rothko (Marcus Yakovlevich Rothkowitz, 1903-1970), aveva vista economico le sue iniziative furono poco fortunate, tanto che Maciunas ebbe sempre
elaborato uno stile originale, diverso dagli altri action painters, componendo grandi tele a soffrire le pressioni, anche fisiche, dei creditori, subendo un violento pestaggio nel 1975
con campiture orizzontali, spesso tre per ogni opera. Usava la spugna per impregnare le con fratture multiple e la perdita di un occhio. Tuttavia, l’esperienza di Fluxus rimaneva
tele di colori a olio o acrilici, molto diluiti, quasi un velo di colore immateriale, pallido viva anche negli anni successivi, come esempio e modello di arte totale e di progettualità da
e vibrante allo stesso tempo. Disprezzava profondamente la leggerezza della Pop Art, la parte di intellettuali e artisti.
pretesa di quegli artisti di realizzare icone con materiali di consumo. Se gli obiettivi di
Rothko potevano essere definiti in senso lato spirituali, la sua fama cominciò a crescere
insieme alle quotazioni delle sue opere e alla preoccupazione che i suoi lavori fossero
suscettibili di un uso “decorativo”. Bibliografia
Gli venne commissionato un grande murales per il ristorante Four Seasons sulla Park Avenue
di New York. L’idea di Rothko era quella di fare qualcosa per “rovinare la digestione” degli Benjamin Walter (1935-39), Das Kunst im Zeitalten seiner technischen Reproduzierbarkeit,
avventori del locale di lusso, ma dopo aver pranzato nel locale decise di rinunziare alla in Schriften, I, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1955, pp. 366–405, trad. it. L’opera d’arte
commissione (Breslin 1993, 405). L’esperienza gli avrebbe fatto nascere l’idea, piuttosto, nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, arte e società di massa, Einaudi, Torino 2000,
di creare vere e proprie cappelle per la meditazione, dove fossero esposte una o due opere pp. 17-56.
(ibid., 376) Le persone sarebbero state libere di entrare e fermarsi a riflettere e pregare, Bergesen Albert (1999), The Ritual Order, in Humboldt Journal of Social Relations, 25, pp.
come nelle chiese e nelle cappelle votive del Medioevo. In tal modo l’arte sarebbe stata 157-197.
sottratta al consumo. Coplans John (1962), The New Painting of Common Objects, Artforum, November, pp.
Nel 1964 i suoi desideri vennero esauditi dai collezionisti John (1904-1973) e Dominique 26-29.
de Menil (1908-1997) di Houston, i quali commissionarono a Rothko una serie di opere Danto Arthur (2009), Andy Warhol, Yale University Press, trad. it. Einaudi, Torino 2010.
da esporre in una cappella da adibire al culto ecumenico e alla contemplazione dell’arte. Il Desoille Robert (1938), Exploration de l’affectivité subconsciente par la methode du rêve
progetto architettonico era stato affidato a Philip Johnson (1906-2005), che in seguito fu éveillé, D’Atrey, Parigi.
sostituito da Howard Barnstone (1923-1987) e da Eugene Aubry (nato nel 1935). Per meglio Eibl-EibesfeldtIrenäus (1984), Die Biologie des menschlichen Verhaltens Grundriss der
prepararsi al progetto, Rothko aprì un nuovo studio a New York, alto una quindicina Humanethologie, Piper, München, trad. it. Etologia umana, Le basi biologiche e culturali
di metri, che allestì in modo che avesse le stesse proporzioni della cappella di Houston. del comportamento, Bollati Boringhieri, Torino 1993.
L’artista preparò tre trittici e cinque quadri singoli, dai colori scuri fino al rosso, colore che Kaprow Allan (1993), Essays on the Blurring of Art and Life, University of California
doveva avere un ruolo centrale, ma non li vide mai installati, perché si tolse la vita nel 1970. Press, Berkeley.
La cappella venne inaugurata senza di lui solo l’anno successivo, con la partecipazione di Klein Yves (2003), Le Dépassement de la problématique de l’art et autres écrit, Ensba, Paris,
esponenti delle chiese cattoliche, greco-ortodosse e protestante e delle comunità ebraiche, trad. it. parziale, Verso l’immateriale dell’arte, ObarraO, Milano 2009.
buddista e musulmana. All’interno della cappella restavano a disposizione del pubblico Rothko Marc (2005), Écrits sur l’art, 1934-1969, Flammarion, Parigi, trad. it. Scritti sull’arte
testi sacri delle maggiori religioni del mondo, in favore del dialogo tra popoli e religioni. 1934-1969, Donzelli, Roma 2006-2007.
Per desiderio dei committenti, la cappella fu denominata Rothko Chapel e annualmente è Shiner Larry (2001), The Invention of Art, a cultural history, University of Chicago,
frequentata da circa 60.000 visitatori. Chicago.
Dopo Klein e Rothko, i termini “ritualismo”, “cerimonia”, “azione”, entravano a far parte
in pianta stabile del vocabolario dell’arte contemporanea, che negli anni successivi vedrà
la progressiva affermazione di una dimensione più collettiva e socialmente impegnata.
Con la Body e la Performing Art, collegata anche con il teatro d’avanguardia di Antonin
Artaud (1896-1948) e del Living Theatre (compagnia fondata nel 1947 a New York, ma che
svilupperà la sua attività internazionale soprattutto dopo il 1960), si assistette al consolidarsi
della logica del “gruppo” e allo sviluppo di nuove forme di associazionismo culturale. Se
non si poteva sopprimere la società dei consumi, si poteva almeno cercare di sottrarre il
sistema dell’arte alla sua ingerenza.
Una delle iniziative più significative sarebbe stata quella di George Maciunas, promotore
di Fluxus, vasto movimento artistico mirante a creare nuove forme di aggregazione e di
economia dell’arte, il più possibile indipendenti dal sistema dei consumi. Dal punto di vista
artistico, Maciunas rifiutava l’arte illusionistica, sia quella astratta che quella figurativa,
perseguendo la rottura delle convenzioni sociali attraverso relazioni inusitate tra oggetti e
persone oppure in situazioni fuori dall’ordinario in un progetto artistico che abbracciava
arte, musica, teatro e letteratura. Negli artisti di Fluxus si potevano cogliere riferimenti al
Surrealismo così come alle opere ready-made di Marcel Duchamp, alla musica ready-made
di John Cage (1912-1992) e alle azioni ready-made di George Brecht (1924-2005) e del
francese Ben Vautier (Napoli, 1935). Parallelamente, per garantire al movimento i mezzi
necessari alla sopravvivenza, gli artisti di Fluxus aprirono gallerie d’arte e svilupparono in
proprio un’intensa attività di mechandising, producendo centinaia di multipli di orologi,
dischi, mappe e tatuaggi.
Nel 1966, Maciunas organizzava un piano per convertire edifici abbandonati in studi per
artisti in una zona di New York. Sebbene osteggiato all’inizio dalle autorità cittadine, che non

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Il progetto della chiesa nel tempo dei mercanti quando il sole incombe sulla città, e l’aria trema, e la pietra riverbera splendore come intrisa
di luce; quando tutta questa configurazione dagli spigoli tagliati a scalpello e dalle masse
murarie sta nella purezza del vento col suo tenue spirare, e nella luminosità incandescente,
allora l’anima è toccata dal grande mistero di quella profondità che non sta nel caos, ma
Paolo Zermani nella chiarezza...”.
“In questa tensione viva” scrive ancora Guardini “che continuamente si ridesta, che mai
scompare,ma viene sempre superata a nuovo in un atteggiamento particolare dell’intera
persona, è cresciuto Francesco”.
Il Santo nasce alla propria complessità dalla forma esterna ed interna del paesaggio.
Anche il progetto della chiesa è oggi pienamente investito dal materialismo che caratterizza Da qui la indicazione del Crocifisso di ricostruire tre chiese materiali prima di compiere
il nostro tempo e ne vive e partecipa le istanze superficiali. la missione dello spirito e l’urgenza dell’esperienza ricostruttiva come pratica quasi
Contemporaneamente la nozione di spiritualità, sfuggendo ai confini della liturgia, ha propedeutica.
oltrepassato i limiti del perimetro murario degli edifici per rendersi itinerante e affrancarsi Le città italiane e il paesaggio delle loro chiese assumono oggi la evocativa struttura di un
dalla necessità di un luogo deputato. Caduti i termini canonici di riferimento propri mosaico la cui trama presenta una eguale quantità di vuoti e di sopravvissuti angosciati
alla occidentale condizione del culto, e stabilite dal Concilio Vaticano II le linee di una lacerti. Rudolf Borchardt parlava già quasi un secolo fa di “una geniale totalità in macerie”,
più aperta e diffusa evangelizzazione, è sembrato possibile, costruendo gli edifici sacri, Guido Ceronetti di “frantumi di bellezza”.
abbandonare la logica consequenziale di una pratica già scritta nella storia delle architetture Oltre un contenuto di riparazione, “L’atmosfera” è forse nuovamente “tanto densa e satura
e delle forme liturgiche, nelle regole degli ordini. di forme da dover giungere al punto di precipitazione per ricomporsi in forme nuove”.
Su questo orizzonte il principio di fondo dei miei progetti rimane, come è sempre stato
per gli architetti della cristianità occidentale, quello di rivelare, nell’edificio, la croce. Un frammento d’Umbria, un casale rosa, gli ulivi, la speculazione edilizia si contendono
La manifestazione della croce, gradualmente acquisita come elemento tipologico, è la il fondale su cui nasce la chiesa di San Giovanni a Perugia che prevalentemente sarà vista
cruna entro cui lo spazio sacro continua ad avverarsi. dall’alto.
La fusione fra la croce e la pianta dell’edificio continua ad assumere valore attraverso La chiesa e il centro parrocchiale si appoggiano al corpo della collina attraverso una
la figura del Cristo che, in sembianza umana, introduce eccellenza e fragilità alla figura sequenza che privilegia il concetto di sostruzione, di scavo, di piazza bassa e piazza
tipologica, svelandone il necessario, reiterato sacrificio. alta che è nella storia della città di Perugia, di quel suo centro che i perugini chiamano,
Fino ad Alessandro Magno il mondo greco e quello orientale non si erano conosciuti. significativamente, “Acropoli”.
Il primo aveva costruito ogni cosa a partire dal “tipo”, un sigillo classificatorio con cui Una linea retta segna il percorso sacro del sagrato alla chiesa principale alla chiesa feriale
P. Zermani, Chiesa di San alla canonica: lungo questa linea gli spazi si dispongono come Stazioni.
catalogare il mondo visibile, l’altro aveva costruito ogni cosa sul “simbolo”. Giovanni a Perugia, 2006.
Possiamo dire che “tipo” e “simbolo” si incontrano, in via definitiva, alla base della croce Il percorso è duplicato all’esterno, attraverso la grande scala che lega la piazza Bassa e la
di Cristo: la croce, (fino ad allora, un patibolo) sintetizza, anche per l’architettura, una piazza Alta, con una dimensione analoga al corpo della chiesa.
rivoluzione culturale e spirituale. In sezione il corpo della chiesa, alto tredici metri lineari, raggiunge la stessa quota
Elena, madre di Costantino, parte da Roma in età avanzata per fondare una nuova chiesa altimetrica del centro parrocchiale, alto sei metri e cinquanta.
sul Santo Sepolcro, che era stato cancellato da Adriano attraverso un tempio pagano, e La quota superiore degli edifici è così identica e amplifica la presenza della scala, piazza
altre sessanta nuove chiese in Oriente. anch’essa, che congiunge il sagrato inferiore con quello superiore.
Questa vicenda interessa l’architettura perché il paesaggio occidentale ne è figlio. La chiesa principale ha la sua entrata sul sagrato inferiore, verso strada.
Se ancora guardiamo, in questa direzione, tra Ottocento e Novecento, all’opera di Il corpo complessivo della chiesa è attraversato da una linea di luce che nella chiesa
David Caspar Friedrich e di Andreij Tarkovskij, comprendiamo che il procedimento di principale segna il taglio verticale della facciata e continua in copertura, accompagnando
formazione dell’arte rivela, tra i due artisti, forti analogie, avendo inizio da un’opera di il fedele fino all’altare. Analogamente avviene nella chiesa feriale, in opposta direzione.
spoglio, di demolizione dell’inutile, per mirare ad alcune figure essenziali, che transitano, La linea di luce, come la croce che essa forma in facciata intersecandosi con una putrella in
diciamo, “sotto la croce”. ferro, è leggibile dalle colline e segna il confine tra spazio interno e cielo.
In tal senso la forma della liturgia, primo tema da iscrivere nel programma di un progetto Il blocco pietroso chiesa principale-sagrestia-chiesa feriale, come una continuazione della
di chiesa, deve tornare a coincidere con la forma dell’arte. natura del suolo, si sviluppa sul fronte strada, chiudendolo per cinquanta metri lineari,
Pavel Florenskij ha sintetizzato il concetto parlando, cento anni fa, di liturgia come sintesi costituendo una sorta di grande muro, di suolo rialzato che protegge lo spazio doppio,
delle arti. vuoto, della grande scalinata-piazza rivolta a monte, verso la collina, dal traffico veicolare.
Di questa sintesi mi limito, da architetto, a citare tre elementi imprescindibili cui oggi può In una città che è costruita sulle sostruzioni, architetture che reggono altre architetture
ancorarsi il progetto della chiesa e a mostrarvi tre corrispondenti esempi del mio lavoro. definendone e adattandone il piano di imposta rispetto alle acclività del suolo, l’insieme
dei corpi progettati, impostandosi su quote d’impianto differenti e terminando su un’unica
Terra quota in sommità, si mostra quasi come nuova sostruzione che regge, a posteriori, la città
esistente del secondo Novecento.
Il primo ancoraggio è la terra.
Il mattone che appare in piena vista come materiale esterno e interno, consacra
Nel primo capitolo, “Il volto della terra“, del suo “San Francesco”, del 1927, Romano
l’appartenenza alla natura del suolo e alla storia, all’identità di Perugia e dei suoi santi
Guardini individua il contesto in cui si costruisce, fin dalla giovinezza, la figura del Santo,
dedicandolo interamente alla descrizione dell’ambiente architettonico e derivandone il
Luce intensiva
senso della presenza francescana. “Sui declivi dell’Appennino se si scende verso la Toscana,
le case appaiono sparse come chiari, nitidi cubi. Se ci si colloca completamente sull’altura di Il secondo ancoraggio è la luce.
fronte a Perugia è come se cristallo crescesse in altezza su cristallo. Si percepisce dapprima Proprio attraverso una affermazione di sacrificio, di morte e resurrezione, si colloca nella
l’architettura con l’occhio, ma quello è solo l’inizio. Essa è colta realmente col corpo, vicenda occidentale, con la vita terrena di Cristo e il suo annuncio divino, una istanza
con l’arco della fronte, con l’ampiezza del petto, con l’essere che la sente in modo vivo, nuova del vedere.
avanzando attraverso lo spazio. Allora ti tocca con forza elementare il modo in cui questa Sarà Dante a concettualizzarla definitivamente, con temeraria chiarezza, nelle sue visioni
durezza ha forma e stratificazione”. della luce, in cui il vivo raggio lo trafigge, rendendolo consapevole della impossibilità di
“Dappertutto scorre l’aria, con moto di freschezza e avvolge di purezza ogni forma. E allontanarsene.

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Il progetto della chiesa nel tempo dei mercanti quando il sole incombe sulla città, e l’aria trema, e la pietra riverbera splendore come intrisa
di luce; quando tutta questa configurazione dagli spigoli tagliati a scalpello e dalle masse
murarie sta nella purezza del vento col suo tenue spirare, e nella luminosità incandescente,
allora l’anima è toccata dal grande mistero di quella profondità che non sta nel caos, ma
Paolo Zermani nella chiarezza...”.
“In questa tensione viva” scrive ancora Guardini “che continuamente si ridesta, che mai
scompare,ma viene sempre superata a nuovo in un atteggiamento particolare dell’intera
persona, è cresciuto Francesco”.
Il Santo nasce alla propria complessità dalla forma esterna ed interna del paesaggio.
Anche il progetto della chiesa è oggi pienamente investito dal materialismo che caratterizza Da qui la indicazione del Crocifisso di ricostruire tre chiese materiali prima di compiere
il nostro tempo e ne vive e partecipa le istanze superficiali. la missione dello spirito e l’urgenza dell’esperienza ricostruttiva come pratica quasi
Contemporaneamente la nozione di spiritualità, sfuggendo ai confini della liturgia, ha propedeutica.
oltrepassato i limiti del perimetro murario degli edifici per rendersi itinerante e affrancarsi Le città italiane e il paesaggio delle loro chiese assumono oggi la evocativa struttura di un
dalla necessità di un luogo deputato. Caduti i termini canonici di riferimento propri mosaico la cui trama presenta una eguale quantità di vuoti e di sopravvissuti angosciati
alla occidentale condizione del culto, e stabilite dal Concilio Vaticano II le linee di una lacerti. Rudolf Borchardt parlava già quasi un secolo fa di “una geniale totalità in macerie”,
più aperta e diffusa evangelizzazione, è sembrato possibile, costruendo gli edifici sacri, Guido Ceronetti di “frantumi di bellezza”.
abbandonare la logica consequenziale di una pratica già scritta nella storia delle architetture Oltre un contenuto di riparazione, “L’atmosfera” è forse nuovamente “tanto densa e satura
e delle forme liturgiche, nelle regole degli ordini. di forme da dover giungere al punto di precipitazione per ricomporsi in forme nuove”.
Su questo orizzonte il principio di fondo dei miei progetti rimane, come è sempre stato
per gli architetti della cristianità occidentale, quello di rivelare, nell’edificio, la croce. Un frammento d’Umbria, un casale rosa, gli ulivi, la speculazione edilizia si contendono
La manifestazione della croce, gradualmente acquisita come elemento tipologico, è la il fondale su cui nasce la chiesa di San Giovanni a Perugia che prevalentemente sarà vista
cruna entro cui lo spazio sacro continua ad avverarsi. dall’alto.
La fusione fra la croce e la pianta dell’edificio continua ad assumere valore attraverso La chiesa e il centro parrocchiale si appoggiano al corpo della collina attraverso una
la figura del Cristo che, in sembianza umana, introduce eccellenza e fragilità alla figura sequenza che privilegia il concetto di sostruzione, di scavo, di piazza bassa e piazza
tipologica, svelandone il necessario, reiterato sacrificio. alta che è nella storia della città di Perugia, di quel suo centro che i perugini chiamano,
Fino ad Alessandro Magno il mondo greco e quello orientale non si erano conosciuti. significativamente, “Acropoli”.
Il primo aveva costruito ogni cosa a partire dal “tipo”, un sigillo classificatorio con cui Una linea retta segna il percorso sacro del sagrato alla chiesa principale alla chiesa feriale
P. Zermani, Chiesa di San alla canonica: lungo questa linea gli spazi si dispongono come Stazioni.
catalogare il mondo visibile, l’altro aveva costruito ogni cosa sul “simbolo”. Giovanni a Perugia, 2006.
Possiamo dire che “tipo” e “simbolo” si incontrano, in via definitiva, alla base della croce Il percorso è duplicato all’esterno, attraverso la grande scala che lega la piazza Bassa e la
di Cristo: la croce, (fino ad allora, un patibolo) sintetizza, anche per l’architettura, una piazza Alta, con una dimensione analoga al corpo della chiesa.
rivoluzione culturale e spirituale. In sezione il corpo della chiesa, alto tredici metri lineari, raggiunge la stessa quota
Elena, madre di Costantino, parte da Roma in età avanzata per fondare una nuova chiesa altimetrica del centro parrocchiale, alto sei metri e cinquanta.
sul Santo Sepolcro, che era stato cancellato da Adriano attraverso un tempio pagano, e La quota superiore degli edifici è così identica e amplifica la presenza della scala, piazza
altre sessanta nuove chiese in Oriente. anch’essa, che congiunge il sagrato inferiore con quello superiore.
Questa vicenda interessa l’architettura perché il paesaggio occidentale ne è figlio. La chiesa principale ha la sua entrata sul sagrato inferiore, verso strada.
Se ancora guardiamo, in questa direzione, tra Ottocento e Novecento, all’opera di Il corpo complessivo della chiesa è attraversato da una linea di luce che nella chiesa
David Caspar Friedrich e di Andreij Tarkovskij, comprendiamo che il procedimento di principale segna il taglio verticale della facciata e continua in copertura, accompagnando
formazione dell’arte rivela, tra i due artisti, forti analogie, avendo inizio da un’opera di il fedele fino all’altare. Analogamente avviene nella chiesa feriale, in opposta direzione.
spoglio, di demolizione dell’inutile, per mirare ad alcune figure essenziali, che transitano, La linea di luce, come la croce che essa forma in facciata intersecandosi con una putrella in
diciamo, “sotto la croce”. ferro, è leggibile dalle colline e segna il confine tra spazio interno e cielo.
In tal senso la forma della liturgia, primo tema da iscrivere nel programma di un progetto Il blocco pietroso chiesa principale-sagrestia-chiesa feriale, come una continuazione della
di chiesa, deve tornare a coincidere con la forma dell’arte. natura del suolo, si sviluppa sul fronte strada, chiudendolo per cinquanta metri lineari,
Pavel Florenskij ha sintetizzato il concetto parlando, cento anni fa, di liturgia come sintesi costituendo una sorta di grande muro, di suolo rialzato che protegge lo spazio doppio,
delle arti. vuoto, della grande scalinata-piazza rivolta a monte, verso la collina, dal traffico veicolare.
Di questa sintesi mi limito, da architetto, a citare tre elementi imprescindibili cui oggi può In una città che è costruita sulle sostruzioni, architetture che reggono altre architetture
ancorarsi il progetto della chiesa e a mostrarvi tre corrispondenti esempi del mio lavoro. definendone e adattandone il piano di imposta rispetto alle acclività del suolo, l’insieme
dei corpi progettati, impostandosi su quote d’impianto differenti e terminando su un’unica
Terra quota in sommità, si mostra quasi come nuova sostruzione che regge, a posteriori, la città
esistente del secondo Novecento.
Il primo ancoraggio è la terra.
Il mattone che appare in piena vista come materiale esterno e interno, consacra
Nel primo capitolo, “Il volto della terra“, del suo “San Francesco”, del 1927, Romano
l’appartenenza alla natura del suolo e alla storia, all’identità di Perugia e dei suoi santi
Guardini individua il contesto in cui si costruisce, fin dalla giovinezza, la figura del Santo,
dedicandolo interamente alla descrizione dell’ambiente architettonico e derivandone il
Luce intensiva
senso della presenza francescana. “Sui declivi dell’Appennino se si scende verso la Toscana,
le case appaiono sparse come chiari, nitidi cubi. Se ci si colloca completamente sull’altura di Il secondo ancoraggio è la luce.
fronte a Perugia è come se cristallo crescesse in altezza su cristallo. Si percepisce dapprima Proprio attraverso una affermazione di sacrificio, di morte e resurrezione, si colloca nella
l’architettura con l’occhio, ma quello è solo l’inizio. Essa è colta realmente col corpo, vicenda occidentale, con la vita terrena di Cristo e il suo annuncio divino, una istanza
con l’arco della fronte, con l’ampiezza del petto, con l’essere che la sente in modo vivo, nuova del vedere.
avanzando attraverso lo spazio. Allora ti tocca con forza elementare il modo in cui questa Sarà Dante a concettualizzarla definitivamente, con temeraria chiarezza, nelle sue visioni
durezza ha forma e stratificazione”. della luce, in cui il vivo raggio lo trafigge, rendendolo consapevole della impossibilità di
“Dappertutto scorre l’aria, con moto di freschezza e avvolge di purezza ogni forma. E allontanarsene.

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precisa, il cui medium architettonico è il Tempio vero e proprio, collocato al centro delle
due dimensioni.
Quest’ultimo segna, anche spazialmente, i tempi del rito, tra esterno e interno, dividendo,
in un percorso processionale, la zona dell’accoglienza del defunto e dei famigliari, posta in
prossimità dell’ingresso, da quella del Giardino di aspersione delle ceneri, collocato dopo
gli spazi di commiato e di cremazione, caratterizzandosi per due facciate analoghe a Nord
e a Sud, quasi due sezioni che consentono di ricavare altrettanti spazi aperti e coperti.
La pianta dell’edificio è segnata da due grandi quadrati, tra loro collegati attraverso un
quadrato di dimensione inferiore.
Il primo quadrato è costituito dalla grande Sala del Commiato, illuminata da una sorgente
di luce centrale e occupata soltanto dalle colonne sulle pareti e dall’ambone riservato
all’orazione.
Una alta porta posta sulla parete di fondo costituisce il varco di transizione della salma
verso il secondo quadrato, di dimensione inferiore, camera di luce illuminata zenitalmente,
P. Zermani, Tempio della completamente vuota.
cremazione a Parma, 2010. La salma così scompare nella luce.
Il terzo quadrato è costituito dal crematorio vero e proprio, in cui il corpo viene bruciato.
In modo opposto alla luce violenta del mondo sensibile la luce in sé offre agli occhi di chi la
guarda la forza di sopportarne l’intensità mentre acceca chi non ha la volontà di guardarla.
Silenzio
E, non a caso è in Borges, cieco, che il concetto di perdita della vista prelude a un privilegio
rifondativo. Il terzo ancoraggio è il silenzio.
Così Borges immagina la ricostruzione di un infinito circolare (nei suoi sogni vede spesso Che cosa significa oggi chiedere silenzio? La cosa non corrisponde a un’aspettativa di
un edificio circolare con tante finestre) in cui si verificano eventi sempre nuovi. mutismo, né a una generica rivendicazione minimalista, ma all’esigenza di una chiesa scabra.
“La luce cade – scrive Deleuze in “Cinema” – Che cos’è il movimento dell’intensità. Il Lo storico francese Henry-Irenée Marrou, fingendo, nel 1940, un trattatello di ricostruzione
movimento dell’intensità è la caduta della luce”. Nel buio di una prosaica sala di proiezione erudita del pensiero di S. Agostino (Traitè de la musique selon l’ésprit de S.Augustin) fissa
egli ricostruisce l’alfabeto che avvicina l’arte all’infinito. icasticamente il valore del silenzio nell’arte contemporanea parlando di una “musica
Anche attraverso il mezzo moderno, quello cinematografico, scandisce la verità silenziosa”, che ancora molti attendono.
raggiungibile con lo spostamento “intensivo” del punto di vista. Il tema costituito dalla “anticipazione dell’eterno” che l’arte deve contenere è tale per cui
L’immagine cinematografica, che non è per nulla astratta, estrae una modulazione della “la musica sonora che il movimento delle mie dita sulla tastiera realizza è dunque soltanto
luce. Non sono il carrello né il veicolo a determinare la verità, ma la luce che cade: “Qui un’imitazione della musica silenziosa che vive nella mia mente”.
tutti questi movimenti sono come ripresi in un movimento più profondo...”. Solo un atto “Così l’esecuzione strumentale non è che un mezzo, subordinato come il suo fine, a una
dello spirito può catturare l’insieme del tempo. musica interiore che risiede nella parte più segreta del cuore, in seno a un misterioso
“La luce cade sopra di noi, ed è questa l’intensità: essa non cessa di cadere. E ciascuno di silenzio”.
noi chiederà pietà”. Nuove cose urgenti devono essere scavate, scritte e ordinate dall’arte, per ammetterle a una
Questo può avvenire anche in una prosaica chiesa dell’oggi. è, ancora, la condizione di zona di sospensione, sobriamente illuminata, che attribuisca misura e senso alla realtà e ne
luce altrimenti evocata da Florenskij per descrivere l’icona: “Immaginate di trovarvi chiusi insegua la verità superiore. Il silenzio di cui parlo, riguardo all’architettura, non è dunque
in una stanza, dove però si trova una finestra poco illuminata, dalla quale penetra la luce una questione di forma, anche se investe la forma.
di un altro mondo”. Non voglio qui sostenere semplicemente la necessità di silenzio rispetto al frastuono delle
forme vuote da cui l’architettura sembra investita, in una gara folle verso l’esibizione della
II nuovo Tempio di cremazione di Parma, che ho progettato qualche anno fa, è ubicato
gratuità e dei segni di superficie, dei tatuaggi evanescenti o permanenti.
a nord dell’antico Cimitero di Valera, tra questo e la tangenziale recentemente realizzata,
Ma di un principio di sospensione, di distanziamento dal processo in atto, che costituisce
circa un chilometro a ovest della città. Da una parte la città e la Via Emilia, dall’altra
la fondamentale condizione critica del progetto e che qualifica, per converso, il suo stare
la campagna e l’abitato di Valera, segnano i riferimenti di un paesaggio storicamente
nella realtà presente.
caratterizzato dall’ordine centuriale della colonizzazione romana e dalla fondamentale
Non è un caso che al silenzio si riferisca – storicamente – l’atto di costruzione del tempio, in
viabilità altomedievale: una civiltà ancora leggibile in filigrana o in superficie nei
ogni religione e in ogni epoca, e lo stato di sospensione evochi la necessaria consapevolezza
rinvenimenti della Domus romana, nel tracciato delle strade e dei poderi, nell’architettura
che ogni nostro atto è sacro.
romanica delle chiese di Vicofertile, S. Pancrazio, S. Croce.
Improvvisamente il silenzio appare e la sua presenza non si impone alla ingiustificata
Il Tempio emerge all’interno del recinto, visibile da lontano e a chi percorre la tangenziale,
frenesia delle nostre parole, ma forse ha qualcosa da dire.
come un grande elemento basamentale, preceduto da due spazi coperti alle estremità,
Come l’ombra sostiene la luce, il silenzio sostiene le sole parole necessarie.
analoghi a sud e a nord, verso Valera e verso Parma.
Quale frammento tagliato, ospita e sospende nel tempo il rito del passaggio, rendendolo Ecco infine un terzo progetto: la Cappella nel bosco a Varano, costruita nel 2012.
un unico grande simbolo urbano, quasi altare, in cui la città celebra, in modo incessante, la Il progetto realizza un luogo di preghiera intimamente connesso alla realtà paesaggistica
memoria di sé attraverso la memoria dei suoi morti. esistente nell’area storica collinare interessata dall’itinerario di pellegrinaggio della Strada
Il rapporto tra i due recinti, antico e progettato, e quello tra essi, la campagna e l’abitato di Romea, ancora segnato dalla duecentesca meridiana in pietra incisa sulla parete dell’antico
Valera, costituisce il primo tema affrontato dal progetto. hospitale di Casa Faggi, sito poco lontano.
Il nuovo recinto, un recinto fatto di spazio architettonico perché pensato come un muro Qui, nel 2010, frane e alluvioni hanno determinato la temporanea chiusura dell’antico
porticato e abitato dai cellari che ospitano le polveri, contiene, in un percorso ininterrotto, itinerario e la deviazione del corso d’acqua che lo affianca.
il rapporto tra vita e morte, fissandone la lettura nel senso di una continuità ideale della vita. Il percorso a cielo aperto tra la casa di abitazione e il bosco, che si sviluppa per circa trecento
In forma di un grande rettangolo la cui giacitura si attesta a fianco del cimitero esistente il metri, è il rivelatore della piccola opera, costruita quale risarcimento simbolico del corpo
porticato, al quale si accede dall’area a parcheggio posta sul lato più stretto, secondo l’uso del paesaggio.
attuale del cimitero esistente, abbraccia i momenti del percorso stabilendone una gerarchia Il lungo lembo prospettico costituito dall’appendice del parco, compreso tra il rio a sinistra

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precisa, il cui medium architettonico è il Tempio vero e proprio, collocato al centro delle
due dimensioni.
Quest’ultimo segna, anche spazialmente, i tempi del rito, tra esterno e interno, dividendo,
in un percorso processionale, la zona dell’accoglienza del defunto e dei famigliari, posta in
prossimità dell’ingresso, da quella del Giardino di aspersione delle ceneri, collocato dopo
gli spazi di commiato e di cremazione, caratterizzandosi per due facciate analoghe a Nord
e a Sud, quasi due sezioni che consentono di ricavare altrettanti spazi aperti e coperti.
La pianta dell’edificio è segnata da due grandi quadrati, tra loro collegati attraverso un
quadrato di dimensione inferiore.
Il primo quadrato è costituito dalla grande Sala del Commiato, illuminata da una sorgente
di luce centrale e occupata soltanto dalle colonne sulle pareti e dall’ambone riservato
all’orazione.
Una alta porta posta sulla parete di fondo costituisce il varco di transizione della salma
verso il secondo quadrato, di dimensione inferiore, camera di luce illuminata zenitalmente,
P. Zermani, Tempio della completamente vuota.
cremazione a Parma, 2010. La salma così scompare nella luce.
Il terzo quadrato è costituito dal crematorio vero e proprio, in cui il corpo viene bruciato.
In modo opposto alla luce violenta del mondo sensibile la luce in sé offre agli occhi di chi la
guarda la forza di sopportarne l’intensità mentre acceca chi non ha la volontà di guardarla.
Silenzio
E, non a caso è in Borges, cieco, che il concetto di perdita della vista prelude a un privilegio
rifondativo. Il terzo ancoraggio è il silenzio.
Così Borges immagina la ricostruzione di un infinito circolare (nei suoi sogni vede spesso Che cosa significa oggi chiedere silenzio? La cosa non corrisponde a un’aspettativa di
un edificio circolare con tante finestre) in cui si verificano eventi sempre nuovi. mutismo, né a una generica rivendicazione minimalista, ma all’esigenza di una chiesa scabra.
“La luce cade – scrive Deleuze in “Cinema” – Che cos’è il movimento dell’intensità. Il Lo storico francese Henry-Irenée Marrou, fingendo, nel 1940, un trattatello di ricostruzione
movimento dell’intensità è la caduta della luce”. Nel buio di una prosaica sala di proiezione erudita del pensiero di S. Agostino (Traitè de la musique selon l’ésprit de S.Augustin) fissa
egli ricostruisce l’alfabeto che avvicina l’arte all’infinito. icasticamente il valore del silenzio nell’arte contemporanea parlando di una “musica
Anche attraverso il mezzo moderno, quello cinematografico, scandisce la verità silenziosa”, che ancora molti attendono.
raggiungibile con lo spostamento “intensivo” del punto di vista. Il tema costituito dalla “anticipazione dell’eterno” che l’arte deve contenere è tale per cui
L’immagine cinematografica, che non è per nulla astratta, estrae una modulazione della “la musica sonora che il movimento delle mie dita sulla tastiera realizza è dunque soltanto
luce. Non sono il carrello né il veicolo a determinare la verità, ma la luce che cade: “Qui un’imitazione della musica silenziosa che vive nella mia mente”.
tutti questi movimenti sono come ripresi in un movimento più profondo...”. Solo un atto “Così l’esecuzione strumentale non è che un mezzo, subordinato come il suo fine, a una
dello spirito può catturare l’insieme del tempo. musica interiore che risiede nella parte più segreta del cuore, in seno a un misterioso
“La luce cade sopra di noi, ed è questa l’intensità: essa non cessa di cadere. E ciascuno di silenzio”.
noi chiederà pietà”. Nuove cose urgenti devono essere scavate, scritte e ordinate dall’arte, per ammetterle a una
Questo può avvenire anche in una prosaica chiesa dell’oggi. è, ancora, la condizione di zona di sospensione, sobriamente illuminata, che attribuisca misura e senso alla realtà e ne
luce altrimenti evocata da Florenskij per descrivere l’icona: “Immaginate di trovarvi chiusi insegua la verità superiore. Il silenzio di cui parlo, riguardo all’architettura, non è dunque
in una stanza, dove però si trova una finestra poco illuminata, dalla quale penetra la luce una questione di forma, anche se investe la forma.
di un altro mondo”. Non voglio qui sostenere semplicemente la necessità di silenzio rispetto al frastuono delle
forme vuote da cui l’architettura sembra investita, in una gara folle verso l’esibizione della
II nuovo Tempio di cremazione di Parma, che ho progettato qualche anno fa, è ubicato
gratuità e dei segni di superficie, dei tatuaggi evanescenti o permanenti.
a nord dell’antico Cimitero di Valera, tra questo e la tangenziale recentemente realizzata,
Ma di un principio di sospensione, di distanziamento dal processo in atto, che costituisce
circa un chilometro a ovest della città. Da una parte la città e la Via Emilia, dall’altra
la fondamentale condizione critica del progetto e che qualifica, per converso, il suo stare
la campagna e l’abitato di Valera, segnano i riferimenti di un paesaggio storicamente
nella realtà presente.
caratterizzato dall’ordine centuriale della colonizzazione romana e dalla fondamentale
Non è un caso che al silenzio si riferisca – storicamente – l’atto di costruzione del tempio, in
viabilità altomedievale: una civiltà ancora leggibile in filigrana o in superficie nei
ogni religione e in ogni epoca, e lo stato di sospensione evochi la necessaria consapevolezza
rinvenimenti della Domus romana, nel tracciato delle strade e dei poderi, nell’architettura
che ogni nostro atto è sacro.
romanica delle chiese di Vicofertile, S. Pancrazio, S. Croce.
Improvvisamente il silenzio appare e la sua presenza non si impone alla ingiustificata
Il Tempio emerge all’interno del recinto, visibile da lontano e a chi percorre la tangenziale,
frenesia delle nostre parole, ma forse ha qualcosa da dire.
come un grande elemento basamentale, preceduto da due spazi coperti alle estremità,
Come l’ombra sostiene la luce, il silenzio sostiene le sole parole necessarie.
analoghi a sud e a nord, verso Valera e verso Parma.
Quale frammento tagliato, ospita e sospende nel tempo il rito del passaggio, rendendolo Ecco infine un terzo progetto: la Cappella nel bosco a Varano, costruita nel 2012.
un unico grande simbolo urbano, quasi altare, in cui la città celebra, in modo incessante, la Il progetto realizza un luogo di preghiera intimamente connesso alla realtà paesaggistica
memoria di sé attraverso la memoria dei suoi morti. esistente nell’area storica collinare interessata dall’itinerario di pellegrinaggio della Strada
Il rapporto tra i due recinti, antico e progettato, e quello tra essi, la campagna e l’abitato di Romea, ancora segnato dalla duecentesca meridiana in pietra incisa sulla parete dell’antico
Valera, costituisce il primo tema affrontato dal progetto. hospitale di Casa Faggi, sito poco lontano.
Il nuovo recinto, un recinto fatto di spazio architettonico perché pensato come un muro Qui, nel 2010, frane e alluvioni hanno determinato la temporanea chiusura dell’antico
porticato e abitato dai cellari che ospitano le polveri, contiene, in un percorso ininterrotto, itinerario e la deviazione del corso d’acqua che lo affianca.
il rapporto tra vita e morte, fissandone la lettura nel senso di una continuità ideale della vita. Il percorso a cielo aperto tra la casa di abitazione e il bosco, che si sviluppa per circa trecento
In forma di un grande rettangolo la cui giacitura si attesta a fianco del cimitero esistente il metri, è il rivelatore della piccola opera, costruita quale risarcimento simbolico del corpo
porticato, al quale si accede dall’area a parcheggio posta sul lato più stretto, secondo l’uso del paesaggio.
attuale del cimitero esistente, abbraccia i momenti del percorso stabilendone una gerarchia Il lungo lembo prospettico costituito dall’appendice del parco, compreso tra il rio a sinistra

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P. Zermani, Cappella nel Bosco
a Varano, 2012.

e il monte a destra, assume come punto di fuoco, in lontananza, il nuovo elemento simbolico
costituito dal frammento di muro e dalla croce.
Verso di essi l’abitante o l’ospite si incamminano.
L’intervento è costituito da un setto murario di ml 9 x 6, su cui si appoggia una croce in
ferro di altezza analoga, e da una seduta.
In pianta: un punto e due linee.
Dal punto di vista materico la costruzione è concepita attraverso una muratura faccia
vista in mattoni di tipo antico rosa chiaro, secondo la tradizione costruttiva di quest’area
collinare in cui si rinvengono, da secoli, fornaci per la cottura dell’argilla.
La croce è costituita da travi tipo Hea 120 mm verniciate color ruggine, come l’acqua
ferruginosa che scende dal rio della Moglia, alimentata da sorgenti ricche di ferro.
Il muro è costruito a margine del declivio che, immediatamente, si inerpica a quote sempre
maggiori.
La croce è impiantata dalla parte opposta, verso il rio e la strada che sale al santuario di
S. Lucia e al castello del IX secolo.
L’edificazione è così composta attraverso elementi diversi, accostati a esaltare il rapporto
con l’osservazione della morfologia paesaggistica esistente: chi giunge dalla casa, dal paese
o da lontano, transita sotto la croce o vi sosta.
L’evocazione dei due elementi simbolici, il muro e la croce, uniti dallo svolgersi di un
percorso, assume carattere rituale.
Il tipo architettonico è il percorso stesso, arricchito da frammenti.
Ogni giorno il sole del mattino illumina la croce in modo diretto, proiettandone
gradualmente l’ombra sul muro.
Soltanto quando il sole è più alto, prima di scomparire dietro il monte, l’ombra della croce
si dispone sulla terra per un breve intervallo di tempo.

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P. Zermani, Cappella nel Bosco
a Varano, 2012.

e il monte a destra, assume come punto di fuoco, in lontananza, il nuovo elemento simbolico
costituito dal frammento di muro e dalla croce.
Verso di essi l’abitante o l’ospite si incamminano.
L’intervento è costituito da un setto murario di ml 9 x 6, su cui si appoggia una croce in
ferro di altezza analoga, e da una seduta.
In pianta: un punto e due linee.
Dal punto di vista materico la costruzione è concepita attraverso una muratura faccia
vista in mattoni di tipo antico rosa chiaro, secondo la tradizione costruttiva di quest’area
collinare in cui si rinvengono, da secoli, fornaci per la cottura dell’argilla.
La croce è costituita da travi tipo Hea 120 mm verniciate color ruggine, come l’acqua
ferruginosa che scende dal rio della Moglia, alimentata da sorgenti ricche di ferro.
Il muro è costruito a margine del declivio che, immediatamente, si inerpica a quote sempre
maggiori.
La croce è impiantata dalla parte opposta, verso il rio e la strada che sale al santuario di
S. Lucia e al castello del IX secolo.
L’edificazione è così composta attraverso elementi diversi, accostati a esaltare il rapporto
con l’osservazione della morfologia paesaggistica esistente: chi giunge dalla casa, dal paese
o da lontano, transita sotto la croce o vi sosta.
L’evocazione dei due elementi simbolici, il muro e la croce, uniti dallo svolgersi di un
percorso, assume carattere rituale.
Il tipo architettonico è il percorso stesso, arricchito da frammenti.
Ogni giorno il sole del mattino illumina la croce in modo diretto, proiettandone
gradualmente l’ombra sul muro.
Soltanto quando il sole è più alto, prima di scomparire dietro il monte, l’ombra della croce
si dispone sulla terra per un breve intervallo di tempo.

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Finito di stampare nel mese di maggio 2014
da Beniamini GD&P - Roma
© Copyright 2014
Accademia Nazionale di San Luca
www.accademiasanluca.eu

issn 2240-158
isbn 978-88-97610-16-8
Finito di stampare nel mese di maggio 2014
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