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Capitolo 33

Una notte, verso la fine d’agosto, Don Rodrigo inizia ad avvertire uno strano malessere mentre
sta tornando a casa da una festa, durante la quale ha suscitato l’ilarità dei presenti con un
elogio funebre del conte Attilio, morto due giorni prima. Arrivato a casa, viene accompagnato
subito nella camera da letto dal Griso, uno dei pochi servitori rimasti ancora vivi, e dopo un
lungo rigirarsi nel letto riesce finalmente ad addormentarsi. Il sogno è per lui terribile: Don
Rodrigo si trova in una chiesa in mezzo ad una fitta folla di appestati che si accalcano intorno
a lui urtandolo in particolare al fianco sinistro, tra il cuore e l’ascella, dove l’uomo sente una
violenta fitta; al pulpito della chiesa compare infine padre Cristoforo e punta il dito verso il
tiranno, come aveva fatto in precedenza. Don Rodrigo si sveglia urlando, si guarda il fianco
sinistro e scopre di avere un bubbone: è malato di peste. Terrorizzato non solo dalla morte ma
anche dall’idea di essere condotto dai monatti al Lazzaretto, l’uomo chiama il Griso (che con un
colpo d’occhio si accerta del presentimento avuto la sera prima) e gli ordina di andare a
chiedere soccorso ad un chirurgo noto per tenere nascosti gli ammalati. Il bravo si prende
carico della missione ma tradisce però il padrone, liberando la casa dagli altri servitori con
falsi incarichi e andando a chiamare lui stesso i monatti, per dividere con loro il tesoro di Don
Rodrigo. Mentre il tiranno viene portato al Lazzaretto, il Griso fruga tra gli averi del padrone
e spinto dalla cupidigia non esita anche a toccarne i vestiti infetti: morirà il giorno dopo.

Tornando a parlare di Renzo, iniziata la guerra tra la repubblica Veneta e la Spagna, e cessato
quindi ogni timore di ricerche, il giovane era tornato nel paese di Bortolo. Più volte era stato
sul punto di arruolarsi nell’esercito, ma grazie alle parole del cugino aveva poi sempre
abbandonato l’idea. Giunta la peste anche nel bergamasco, Renzo si era anche lui ammalato ma
era infine riuscito a guarire.

Ritornato ora in salute, il giovane decide di tornare al suo paese per accertarsi della
condizione di Agnese, e di raggiungere poi Milano, dove sa che si trova Lucia, per convincere la
ragazza ad abbandonare il voto. Il ritorno a casa riempie di tristezza Renzo. Per strada
incontra Tonio e lo scambia inizialmente per il fratello Gervasio, tanto è istupidito dalla peste.
Incontra poi anche Don Abbondio, anche lui guarito dalla peste, che lo informa del fatto che
Agnese si trova a Pasturo in Valsassina da suoi parenti, che Lucia si trova ancora a Milano, che
anche Don Rodrigo si trova a Milano, che Perpetua è morta e che padre Cristoforo non ha
fatto ancora ritorno. Sapute le intenzioni del giovane, il religioso tenta inutilmente di
convincerlo a fare ritorno nel territorio di Bergamo, per evitare che vada a cacciarsi nei guai
e soprattutto, con il solito egoismo, per evitare che ne crei a lui stesso. Renzo fa poi visita alla
sua vigna ed alla sua abitazione e trova solo degrado e distruzione. Si reca infine alla casa di
un suo vecchio amico, da quale riceve ospitalità. Durante la cena, mentre i due si scambiano
informazioni, il giovane viene a conoscenza del casato di Don Ferrante e viene anche a sapere
che il podestà e buona parte degli sbirri sono morti: si convince così di andare direttamente a
Milano, senza nessun timore della giustizia.

Il giorno dopo Renzo riprende il suo viaggio. Prima di arrivare a Milano si ferma in una bottega
di Monza ed acquista due pani da tenere in tasca in caso di necessità

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