Lucia, ancora sotto il controllo dell’Innominato, incapace di rincuorarsi nonostante
gli incoraggiamenti della “vecchia” aspira ad un ritrovo con la madre. A variare l’ordinario trascorso della giornata è l’arrivo di un nuovo innominato, il quale accompagnato da Don Abbondio e da una villana incaricata dal cardinale Borromeo per accompagnare una sua simile di egual sesso sono giunti a scagionare la fanciulla. La vista di una faccia nota è quasi paradisiaca per la mondana, visione che viene intermediato dall’incredulità per la conversione del nobile. Durante il viaggio Don Abbondio è immerso in dialogo interiore dove rivendica di “render conto dell’affare del matrimonio”, che lo pone tra le incomodità da lui tanto disprezzate, poiché non seguono il suo ordinario vivere. Così come il pensiero della reazione di Don Rodrigo, reazione che “sarebbe cascata sempre all’ingiù” dove sono gli umili. Con dei stratagemmi riesce, però, a scampare alle problematiche scusandosi con l’innominato e dicendo lui di avere degli “affari urgenti” nel paesino. Accolta dalla donna incaricata dal cardinale Borromeo Lucia si ristora e, ripresasi, si ricorda di un avvenimento successo tempo addietro:il voto, seguito da un “oh povera me, cos’ho fatto!”. Assieme a questo fausto ricordo sovviene l’angoscia e il fervore, sentimenti che secondo la fanciulla sarebbero parsi come un ingrati dune nei confronti del divino, così confermò il voto. Dopo il pranzo nella famiglia del sarto, entrò nell’abitazione il curato del paese che il cardinale desidera la presenza della giovine il giorno stesso, seguita poi dalla notizia dell’arrivo della madre, che non tarda ad arrivare. Segue un rincuorante incontra tra madre e figlia, incontro nel quale la promessa fatta viene celata. L’arrivo del cardinale e del curato e seguito con l’attiva attenzione del popolo, dopo un solenne ingresso nella casa del sarto succede la confessione di Lucia ed Agnese le quali non celano nessuna vicissitudine del loro trascorso. Federigo assicura le donne dicendo loro che avrebbe fatto il possibile per avere notizie di Renzo e di risolvere la questione. Peculiare è anche l’imbarazzo del padrone di casa innanzi a cotanta solennità, il quale sentendosi ringraziato dal porporato non riesci ad ottenere la tanto desiderata gloria, rispondendo con un deciso “si figuri!”. La conversione dell’innominato termina con un discorso rivolto ai suoi confusi e avvezzi uomini, ordinando loro di annullare tutte le malefatte che sarebbero state destinate e di decidere se permanere al suo comando, non vi sarebbero state pene. La notte del 10 Dicembre 1628 termina con la preghiera del potente rivolta a quel dio misericordioso che perdona i suoi peccatori, Dio che ha concesso lui una nuova coscienza ed innocenza, “Rizzandosi poi, andò a letto, e s’addormentò immediatamente.”.