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LINGUA ITALIANA III

ARGOMENTI PER L’ ESAME

1. L’ EMIGRAZIONE

Storia dell'emigrazione italiana


Dal 1861 circa 30 milioni di italiani hanno cercato
fortuna all'estero. Accolti dagli stessi pregiudizi che
oggi spesso noi riserviamo agli immigrati che
arrivano nel nostro Paese.

Tra il 1861 e il 1985 dall'Italia sono partiti quasi 30 milioni di emigranti. Come se l'intera
popolazione italiana di inizio Novecento se ne fosse andata in blocco. La maggioranza
degli emigranti italiani, oltre 14 milioni, partì nei decenni successivi all'Unità di Italia,
durante la cosiddetta "grande emigrazione" (1876-1915).

Emigrati italiani impiegati nella costruzione di una ferrovia negli Stati Uniti (1918). ©
Internet Archive Book Images/WikiMedia
GRANDE EMIGRAZIONE. Intere cittadine, come Padula in provincia di
Salerno, videro la loro popolazione dimezzarsi nel decennio a cavallo tra '800 e
'900. Di questi quasi un terzo aveva come destinazione dei sogni il Nord America,
affamato di manodopera.
A partire non erano solo braccianti. Gli strati più poveri della popolazione in
realtà non avevano di che pagarsi il viaggio, per questo tra gli emigranti
prevalevano i piccoli proprietari terrieri che con le loro rimesse compravano casa
o terreno in patria.

LE DESTINAZIONI. New York e gli States le destinazioni più gettonate. Ma


non le uniche. Così come non si partiva solo dal Sud Italia. I genovesi ad esempio
ben prima del 1861 partirono per l'Argentina e l'Uruguay.
E, proprio come gli immigrati oggi che giungono da noi, non iniziavano
l'avventura con tutta la famiglia: quasi sempre l'emigrazione era programmata
come temporanea e chi partiva era di solito un maschio solo.
A fare eccezione fu solo la grande emigrazione contadina di intere famiglie dal
Veneto e dal Meridione verso il Brasile, specie dopo l'abolizione in quel paese
della schiavitù (1888) e l'annuncio di un vasto programma di colonizzazione.
VIAGGI DELLA SPERANZA. Di solito chi partiva dalle regioni del Nord si
imbarcava a Genova o a Le Havre in Francia. Chi partiva dal Sud invece si
imbarcava a Napoli. Il rapporto tra passeggeri di prima classe e di terza era di
5mila a 17mila e le differenze di trattamento per questi ultimi abissali: un sacco
imbottito di paglia e un orinatoio ogni 100 persone erano gli unici comfort di un
viaggio che poteva durare anche un mese.
L'approdo dei bastimenti di emigranti è l'isola di Ellis
Island, nella baia di New York. In molti muoiono
durante il viaggio e quelli che sopravvivono vengono
esaminati scrupolosamente dalle autorità sanitarie: si
teme che gli italiani portino malattie, come il tracoma
(un'infezione degli occhi che rende ciechi). Alle visite
mediche segue una visita psico-attitudinale. Chi non
supera i controlli, che possono durare anche tre giorni
(in cella), viene marchiato con una X sui vestiti e
rimandato indietro.
Sui documenti rilasciati agli italiani, accanto alla
scritta white (bianco), che indica il colore della pelle, a
volte c'è un punto interrogativo: è un altro indice del
razzismo che devono subire gli italiani da una parte
della società americana. © Contrasto

Molti morivano prima di vedere il Nuovo Mondo. Una volta arrivati, superato
l'umiliante filtro dell'ufficio immigrazione di Ellis Island, iniziava la sfida per
l'integrazione.
Se in Sud America conquistarsi un posto nella nuova patria fu più facile, negli Stati
Uniti era una faticaccia. I nostri connazionali preferivano così ghettizzarsi nei
quartieri italiani e frequentare scuole parrocchiali, rallentando così la diffusione
dell'inglese nelle comunità.
PREGIUDIZI. Negli Stati Uniti che da poco avevano abolito la schiavitù si diceva
che gli italiani non erano bianchi, "ma nemmeno palesemente negri". In Australia,
altra destinazione, erano definiti "l'invasione delle pelle oliva". E poi ancora "una
razza inferiore" o una "stirpe di assassini, anarchici e mafiosi". E il presidente Usa
Richard Nixon intercettato nel 1973 fu il più chiaro di tutti. Disse: "Non sono come
noi. La differenza sta nell'odore diverso, nell'aspetto diverso, nel modo di agire
diverso. Il guaio é che non si riesce a trovarne uno che sia onesto".

Talenti in fuga: quando sempre più giovani scappano


all’estero
41,8 % è la crescita del numero di talenti italiani fuggiti all’estero dal 2013.

I dati forniti dalla Corte dei Conti nel Referto sul sistema universitario 2021 mostrano un
aumento di giovani laureati nazionali impegnati con successo in altri Paesi. Cresce il numero
di iscritti negli atenei italiani nell’ultimo quinquennio (+3,8%, da circa 1,67 milioni di nuove
immatricolazioni a 1,73 milioni), ma altrettanto sostenuto è l’aumento di trasferimenti oltralpe
post laurea, in un contesto di contrazione del numero di studenti che arrivano a fine percorso.
Inoltre, poco più della metà tra i laureati di primo livello, decide di proseguire gli studi,
intraprendendo una laurea magistrale.

Ci si trova di fronte a dati contrastanti e viene da domandarsi “Perché così tanti talenti si
allontanano dal nostro paese?”
Protagonisti della “fuga di cervelli” sono ragazzi tra i 18 e i 34 anni con altissime
competenze e specializzazioni, soprattutto in ambito tecnologico e di ricerca. La maggior
parte di questi decide di recarsi all’estero per fare esperienza o arricchire il proprio CV e, in
seguito, non torna più in patria perché non vede le stesse opportunità o grandi prospettive.
Secondo il rapporto AlmaLaurea 2021, il 45,8% di laureati 2020 è pronto a trasferirsi
all’estero. Perché?

Nonostante un piccolo balzo nel 2018, complessivamente negli ultimi anni la spesa pubblica
italiana per l’istruzione arretra, discostandosi molto rispetto alle medie UE. L’occasione
derivante dai fondi del PNRR si profila quindi ancora più strategica e probabilmente urgente.
Uno scarso investimento nell’educazione comporta infatti anche un numero ridotto di laureati
e un rischio maggiore di trasferimento all’estero di quelli eccellenti. Infatti più di un terzo dei
laureati italiani sceglie un paese diverso dall’Italia per radicare il proprio futuro: molti
studenti si formano in “casa” per poi fuggire all’estero. Segno di riconosciuto valore
dell’offerta accademica italiana, ma di successive problematiche nel momento di ingresso nel
mercato del lavoro domestico.

Altro aspetto rilevante nella scelta di uscire dall’Italia è la differenza degli stipendi italiani ed
europei tra un laureato ed un diplomato. Secondo il report OCSE, un laureato, in Italia,
guadagna il 39% in più rispetto ad un diplomato. La media europea è il 55% in più. A ciò si
aggiunge una certa frustrazione dei laureati legata al tasso di occupazione, nettamente
inferiore per i neolaureati rispetto ai diplomati in particolare provenienti da istituti tecnico-
professionali.

Un’occasione per sperimentare, da parte delle aziende italiane, modelli incentivanti nel
trattenere talenti, potrebbe essere rappresentata da progetti di welfare adeguati. I benefit,
infatti, rappresentano un incentivo importante per i collaboratori, sia per favorire un
incremento del benessere aziendale, sia per supportare il work-life balance personale.

Altro vulnus delle imprese, che potrebbe diventare una leva strategica di attrattività verso il
personale, la formazione: investire sui collaboratori con corsi formativi, aggiornamenti e
progetti fuori sede, arricchisce l’esperienza lavorativa, permette di stimolare la motivazione,
curiosità e ambizione dei lavoratori.

Quali sono le conseguenze? Non solo una conseguenza “immediata”, ovvero l’esodo dei
laureati, ma anche un’ingente perdita di capitale umano e, di conseguenza, di rallentamento
dei tempi di innovazione e di sviluppo d’imprenditorialità del paese. Infine, un’ultima
conseguenza è evidente nella diminuzione della nascita di nuove imprese: per ogni 1000
emigrati, si formano 100 imprese in meno, gestite da under 45.

La pandemia ha frenato questo fenomeno, offrendo all’Italia una grande opportunità di


ripartenza.
Per “custodire” i talenti all’interno dei nostri confini nazionali, c’è quindi bisogno di grande e
intenso lavoro congiunto, dove misure politiche, di incentivazione fiscale, di investimento in
spesa pubblica e di coinvolgimento partecipato dei soggetti coinvolti nell’educazione dalla
fase pre-scolare a quella universitaria, si intreccino collaborando proattivamente così da
consentire che il trasferimento all’estero diventi una vera scelta, un’opzione alla cui base ci
siano motivazioni diverse dalll’assenza di alternative in Italia.

2. L’ AMBIENTE

CAMBIAMENTI CLIMATICI
Fino a pochi anni fa erano i modelli matematici a prevedere che il clima del Pianeta
stava cambiando e alcuni governi e pochissimi esponenti del mondo scientifico
mostrava scetticismo.

Oggi siamo di fronte a fenomeni climatici sempre più estremi, frequenti e


devastanti. Molte specie stanno reagendo al cambiamento: alcuni uccelli migratori
stanno cambiando le date di arrivo e di partenza anno dopo anno, le fioriture stanno
anticipando, le specie montane si spingono, finché possono, in alta quota.

Ormai nessuno ha più dubbi sul fatto che siano in atto importanti mutazioni nel clima
del Pianeta e sulla nostra responsabilità.

OVERVIEW

Gli ultimi cinque anni sono stati i più caldi della storia e anche il decennio 2010-2019,
è stato il più caldo da quando esistono registrazioni attendibili e regolari della
temperatura. Dagli anni Ottanta, ogni decennio successivo è stato più caldo di tutti i
precedenti tornando indietro fino al 1850.

Le misurazione strumentali, la frequenza e la violenza di eventi climatici che stiamo


osservando, i cambiamenti nei comportamenti, nelle abitudini migratorie e
riproduttive di molte specie animali e vegetali lasciano poco spazio a
interpretazioni: la crisi climatica è ormai un dato di fatto.

La comunità scientifica è ormai unanime nell’indicare le attività umane quali


responsabili della crisi climatica, in particolare a causa dell’aumento dei gas serra
immessi nell’atmosfera. La concentrazione di gas serra nell’atmosfera ha raggiunto
livelli record: l’anidride carbonica è aumentata del 147%, il metano del 259% e il
protossido di azoto del 123% rispetto ai livelli preindustriali.

La CO2 in atmosfera viene attualmente stimata, in media, in 413 parti per milione,
una concentrazione che non si registrava da almeno 650 mila anni, ma
probabilmente da molto prima.

Questi cambiamenti rendono sempre più frequenti fenomeni di inondazioni, siccità,


dissesto idrogeologico, diffusione di malattie, crisi dei sistemi agricoli, crisi idrica e
estinzione di specie. Non possiamo più attendere, dobbiamo invertire la rotta.
COSA FA IL WWF

Per combattere i cambiamenti climatici e assicurare un futuro al Pianeta e alle


persone bisogna raggiungere una nuova impostazione dell’economia, sostenibile,
equa e non fondata sul carbonio entro il 2050, in grado di resistere a quel livello di
cambiamento climatico che non siamo più in grado di evitare.

Per questo siamo impegnati per raggiungere un nuovo accordo globale a livello
internazionale, efficace, giusto e legalmente vincolante. Proponiamo al governo
nazionale la promozione di strategie e percorsi con obiettivi e tappe precise per
arrivare all’azzeramento delle emissioni per la metà del secolo, costruendo una
transizione all’economia del futuro.

Promuoviamo l’efficienza energetica per ridurre le emissioni di CO 2 e la conversione


della produzione energetica verso le fonti energetiche rinnovabili, come l’energia
solare, quella eolica e quella geotermica. Proponiamo lo sviluppo di strategie di
adattamento al cambiamento climatico per salvaguardare le persone e gli ecosistemi
a rischio.

COSA PUOI FARE TU

Ognuno di noi si deve sentire coinvolto nella lotta ai cambiamenti climatici. Il


risparmio dell’energia è uno dei primi passi, non basta infatti che i governi e le
nazioni attuino programmi di riconversione della produzione energetica,
abbandonando progressivamente i combustibili fossili verso le fonti energetiche
rinnovabili. Puntare sull’efficienza e il risparmio energetico è fondamentale e su
questi punti il ruolo di ognuno di noi è cruciale.

Sostieni le nostre battaglie per la difesa del clima, quelle in piazza e quelle
istituzionali, se riusciremo a far sentire la nostra voce, insieme ce la possiamo fare.

3. IL CINEMA
Storia del cinema italiano
Il cinema italiano dal punto di vista degli incassi ha subito storicamente l'egemonia prima
francese poi statunitense. Sul piano del successo dei suoi generi ha conosciuto un'epoca
florida negli anni '10 e sul piano artistico molti dei suoi film sono stati internazionalmente
acclamati nei 30 anni che vanno dal secondo dopoguerra fino alla metà degli anni
Settanta. Le pagine in cui è suddivisa la sezione affrontano la storia del cinema italiano per
fasi storiche, cercando di tenere insieme il contesto sociale, i progressi artistici e linguistici,
l'affermarsi dei vari generi e i cambiamenti economici intervenuti nel settore.
- I primi venti anni. La capitale del cinema italiano era Torino, dove venivano prodotti negli
anni '10 i film del genere storico-mitologico, che conobbe un successo internazionale grazie
alla complessità della messinscena. Un altro genere di successo fu il cosiddetto diva-film.
- Il cinema sotto il fascismo. Sotto la dittatura vennero prodotti molti film di propaganda o di
revisione storica, ma il genere che ebbe maggior successo (in Italia) fu quello della commedia
sentimentale. Dal punto di vista artistico non fu un periodo felice, ma il regime al fine di
utilizzare il cinema come strumento di propaganda non lesinò gli investimenti: in quegli anni
venne costruita Cinecittà.
- Il neorealismo. La fine della Seconda Guerra Mondiale e gli entusiasmi suscitati dalla
Liberazione e dalla Resistenza facilitarono lo sviluppo di un movimento cinematografico
estremamente innovativo, per temi e stile, e che ebbe risonanza mondiale: il neorealismo.
- Il cinema d'autore. Tra gli anni '50 e '60 in un clima di inquietudine sociale, una serie di
autori realizzarono film che riflettevano sull'individuo e il suo rapporto con la società, con uno
stile e punti di vista originali e fuori dalle logiche di mercato.
- La commedia all'italiana. Tra la fine degli anni '50 e la metà degli anni '70 la commedia
all'italiana riscosse un grande successo popolare, non solo in Italia. Era un genere che
cercava di fondere la commedia classica con la critica sociale e in questo modo offriva
un'analisi spesso spietata dei limiti e dei problemi del boom economico in Italia.
- Il nuovo cinema italiano. Parallelamente alla nascita di movimenti cinematografici di
innovazione linguistica e all'effervescenza dei giovani degli anni '60, si formavano anche in
Italia una serie di autori che mettevano in discussione il modo di fare cinema che sino ad
allora aveva imperato in Italia.
- Il cinema politico. In gran parte dell'Occidente tra gli anni '60 e gli anni '70 si svilupparono
forti movimenti di contestazione sociale, particolarmente intensi in Italia. Una parte del cinema
italiano si mise in sintonia con quella fase storica realizzando film fortemente politicizzati.
- I generi degli anni '60-'70. In questo periodo anche il cinema cosiddetto commerciale era
molto vivace e innovativo. In Italia presero piede diversi generi, all'inizio come imitazione degli
analoghi statunitensi, poi acquisendo tratti piuttosto originali: il peplum, l'horror, il thrilling, il
poliziottesco, e soprattutto lo spaghetti western, che guadagnò fama internazionale.

4. LA TELEVISIONE

Storia della televisione italiana

Dal monopolio RAI alla TV tematica: com'è cambiata la


televisione nazionale

In Italia il servizio televisivo iniziò nel 1954 ad opera della RAI, in regime di monopolio
pubblico e sotto controllo governativo, insieme al servizio radiofonico. Era un’offerta televisiva
limitata e senza concorrenza, in bianco e nero (il colore giungerà negli anni ’70) e su un solo
canale, disponibile in alcune ore soltanto della giornata, per non ostacolare il lavoro, lo studio
ed il riposo.

Il decollo della TV italiana avvenne tra il 1956 ed i primi anni ’70. Nel 1961 arrivò il secondo
canale e nel 1979 il terzo.

Riguardo al cosa fosse più adatto per gli spettatori, la programmazione girava intorno
ai generi televisivi:

 il varietà;
 l’informazione;
 la commedia;
 il film;
 la TV dei ragazzi;
 la TV per gli agricoltori;
 rubriche culturali.

La TV italiana trasmetteva grandi eventi, cerimonie e cronache sportive, adattava per il


piccolo schermo opere teatrali, musicali e letterarie (mediante gli ormai celebri romanzi
sceneggiati o teleromanzi in più puntate) e produceva in studio rubriche a cadenza
settimanale. L’informazione, oltre che dai burocratici telegiornali o TG, era fornita dai
seriosi rotocalchi e dalle pedanti tribune politiche.

I primi quiz erano veramente difficili, per specialisti e professori universitari, poi con il tempo si
è capito che la massa televisiva era più facilmente attratta da quiz e giochi a premi molto
semplici e familiari.

Negli anni ’70 il monopolio pubblico della Rai entrò in crisi per una serie di fattori, tra i quali il
più importante è stato sicuramente quello economico, consistente nel forte stimolo a
realizzare ingenti profitti grazie alle potenzialità pubblicitarie che lo spazio televisivo – ancora
vergine – prometteva.

Le emittenti televisive private si moltiplicarono, ma ben presto si formò, nel 1984 circa, il
duopolio tra la Rai e l’allora Fininvest.

Arriva l’Auditel e si inizia a guardare i programmi avendo la possibilità di valutare


costantemente altre scelte in virtù di un nuovo strumento: il telecomando. Tale modalità di
visione/comportamento televisivo è stata definita zapping.

La programmazione televisiva diventa molto più ampia: la TV prende vita anche in fasce
orarie fino ad allora sconosciute come il mattino e la tarda notte.

Si passa dall’attesa del raro evento televisivo alla scelta tra tanti e diversi programmi, in tutte
le ore della giornata, anche in competizione tra di loro. Nasce quindi la concorrenza
televisiva, con i suoi pro ed i suoi contro.

La TV festiva si trasforma in TV feriale e la programmazione, abbandonato il palinsesto,


assume sempre più i toni del flusso televisivo, composto da brevi testi narrativi o di
intrattenimento, semplicissimi da capire e modellati inesorabilmente sul formato generalista.

Da questo punto in poi si registrano numerosi ed interessanti cambiamenti nei prodotti


televisivi.

Negli anni ’80 si rafforza ulteriormente il potere dei conduttori di talk show, grazie al
moltiplicarsi di tali programmi.

Si distinguono a tale proposito i seguenti prodotti TV:

 le series o telefilm, fiction a puntate in cui ciascuna puntata è un episodio a parte,


autonomo, che non si ricollega agli altri della serie: se ne potrebbe tranquillamente
alterare l’ordine di programmazione senza nessuna controindicazione per le storie.
Le trame sono poi di una semplicità straordinaria: un evento modifica l’ordine delle
cose (e la spensieratezza dei personaggi) e per tutto il tempo dell’episodio/puntata i
protagonisti cercano di ricomporre l’ordine perduto, per sistemarlo regolarmente alla
fine del telefilm;
 i serial, telefilm che negli anni ’80 hanno preso il posto delle series. Se ne
differenziano perché hanno una storia più articolata, imprevedibile ed avvincente, che
si estende su più puntate (le quali hanno quindi una loro memoria, concatenandosi
alle precedenti ed alle successive). Le trame interagiscono spesso con la realtà ed i
personaggi crescono e si evolvono nel corso dei vari cicli del serial (c.d. stagioni
televisive);
 le soap operas, commedie sentimentali americane incentrate sulle travagliate
vicende (soprattutto sentimentali, con grande intreccio di corna) di pochi personaggi
principali. Sono spesso produzioni aperte, cioè senza una conclusione programmata,
e quindi di lunghissima durata (alcune di esse sono iniziate nel dopoguerra e sono
ancora in onda). Generalmente sono girate in interni;
 le telenovelas brasiliane, di modesto costo (e scarsa qualità). Sono la versione
sudamericana delle soap USA, dalle quali divergono per l’elemento sentimentale, più
cupo ed elementare, e perché il meccanismo narrativo è chiuso, destinato cioè alla
conclusione;
 le sitcom (situation comedy), della breve durata di 30 minuti, sempre girate in interni,
hanno la caratteristica di avere una trama particolarmente brillante ed umoristica,
frequentemente al limite del verosimile. Sono ricche di battute e gag, spesso
accentuate da un sottofondo artificiale di risate ed applausi.

Dagli anni ’90 ad oggi la televisione mostra invece i segni di un maggior desiderio di
rappresentare la realtà (o presunta tale) che ci circonda.
L’ultima ed estrema variante di questa rigorosa tendenza verso la TV realtà (o real TV) è
ovviamente la produzione dei famigerati reality show, prodotti che da qualche anno ci
perseguitano con tutti i loro numerosi replicanti. Si tratta di portare in scena quella che è
definita la realtà (ma in concreto è più fiction che realtà, spesso pure magistralmente
manovrata per suscitare consensi e audience), vale a dire la situazione vera di personaggi
noti o sconosciuti, mediante la messa in onda, in diretta (vera o falsa) ed in continuo, di
quanto accade in una casa, in una fattoria, in un’isola o in una palestra di aspiranti talentuosi.

Il meccanismo, pur con le sue diverse modalità, è sempre lo stesso: ci sono molteplici prove
di abilità da superare ed alla fine, in una gara senza esclusione di colpi e con il voto e la
partecipazione del pubblico da casa, si designa il vincitore dell’edizione annuale del reality. A
lui spetteranno fama e popolarità.

I reality show sono il genere attualmente più alla moda, che va per la maggiore. Il motivo è
strettamente legato alla violazione della privacy delle persone coinvolte, che nella fantasia dei
telespettatori gettano per l’occasione la maschera tipica dell’attore televisivo, per mostrarsi
nella loro quotidianità, ma non mancano certo gli aspetti dell’esibizionismo e del pettegolezzo
(gossip). Alla fine il reality piace per la sua capacità (reale o potenziale) di sconfinare nel
morboso, nell’intrigante o nel contesto, largamente atteso, dello scandalo pubblico,
diventando perciò abbastanza frequentemente nient’altro che TV spazzatura (trash TV).

5. IL TEMPO LIBERO

Cosa fanno gli italiani nel tempo libero?


Gli italiani hanno sempre meno tempo libero da dedicare a se stessi, è questo che emerge dagli studi
condotti negli ultimi anni su un ampio campione di persone. Riuscire a trovare del tempo per gli hobby
e le passioni, durante la frenetica vita di tutti i giorni, tra lavoro, gestione delle finanze ed impegni
improrogabili, è quasi un’utopia per buona parte della popolazione.

Solo poco più del 50% degli italiani riesce a ritagliarsi qualche ora per praticare sport o da dedicare agli
hobby, mentre gli altri preferiscono godersi la vita in famiglia immergendosi completamente nelle
faccende domestiche. Ad ogni modo, un fattore inequivocabile unisce tutti, ovvero l’esigenza di far
coincidere le proprie passioni con il budget mensile a disposizione.

Sono infatti le attività a basso costo quelle preferite dagli italiani, che hanno così modo di concedersi
qualche momento di svago quotidiano, rimanendo sotto la soglia dei 100,00€ mensili come spese. In
queste attività rientrano gli sport, il fai-da-te casalingo e l’arte, come pittura, scultura e musica.
Analizziamo qua alcuni dati significativi per comprendere a fondo quali sono le passioni degli italiani
e chi può permettersi di cedervi.

Fai da te ed attività outdoor

Molti italiani impiegano il loro tempo libero unendo l’utile al dilettevole, ovvero effettuando piccoli
interventi di manutenzione casalinga, come riparazione di elettrodomestici, lavori di muratura e
falegnameria: tale hobby concilia l’esigenza di dedicare del tempo alle attività extra-professionali
risparmiando anche sul budget dedicato alla manutenzione. Inoltre creare suppellettili ed oggetti
d’arredo è una pratica molto comune e rilassante, oltre che essere gratificante.

Anche creare capi d’abbigliamento a maglia è una pratica, non solo utile, ma molto gratificante e
permette a molte persone di rilassarsi comodamente sedute sul divano, godendo alla fine anche di un
prodotto fai-da-te. A tal proposito vanno anche considerate le riparazioni casalinghe e la creazione di
vestiti da zero, grazie all’utilizzo di macchine da cucire anche all’interno delle mura domestiche.
Grazie anche al clima temperato del nostro Paese, in tanti praticano attività di giardinaggio (il 31%
degli intervistati), affittando addirittura dei piccoli terreni fuori città per coltivare frutta e verdura
distanti dal caos urbano. Gli italiani sono indubbiamente un popolo con un “pollice verde” spiccato, ma
spostandosi nelle Isole Maggiori, come Sicilia e Sardegna, questa attività raggiunge i picchi massimi.

Buona parte degli italiani presi a campione hanno dichiarato che il giardinaggio (31%) sia l’attività che
preferiscono nel tempo libero: il dato aumenta esponenzialmente nelle Isole e nelle regioni del Sud, il
cui clima permette di passare molto più tempo all’aria aperta.

Attività sportive singole e di squadra

Di sicuro, l’attività che più impegna gli italiani durante il tempo libero è lo sport; non solo gli italiani
sono culturalmente propensi alle attività sportive, ma la tradizione sportiva agonistica del nostro Paese
incoraggia sempre più giovani a praticare una disciplina anche con lo scopo di farne in futuro un vero e
proprio lavoro. Anche se in molti non possono praticare sport outdoor, per cui preferiscono attività
come la palestra, discipline semplici ed a costo zero come la corsa e la camminata veloce sono tra le
più praticate.

Il calcio, il calcetto, il ciclismo ed il tennis sono in cima alle preferenze degli italiani, anche perché
sono occasioni in cui si può socializzare facendo attività fisica in compagnia di amici. Allo stesso
modo le associazioni sportive offrono ai più giovani, orientativamente dai sette ai 18 anni, la possibilità
di conoscere coetanei con la stessa passione, curandone sia l’aspetto fisico che quello sociale.

Cucina ed attività casalinghe

La cucina ha un ruolo fondamentale all’interno della cultura e della società italiana, assumendo non
solo un’importanza per il mero sostentamento. Grazie anche al proliferare di trasmissioni televisive
dedicate al cibo, alla sua preparazione ed alla vita degli “chef star”. sempre più italiani si sono
appassionati alla cucina anche come passatempo utile a creare nuovi piatti dai sapori esotici. Un dato
significativo è quello riguardante gli uomini, che ormai tra i fornelli condividono la stessa passione
delle donne.

Per chi passa la maggior parte del tempo lontano dalle mura domestiche, la casa è il luogo dove
preferiscono passare la maggior parte del tempo libero: lettura, televisione oppure cene con gli amici
sono le attività più amate dagli italiani. Negli ultimi anni i social network e le attività videoludiche
sono diventati un ulteriore pretesto per connettersi con gli amici e passare del tempo insieme.

6. RAPPORTI FAMILIARI

Rapporti di coppia e familiari


Le relazioni più importanti sono spesso conflittuali, perché si costruiscono in
una quotidianità che fa apparire falsamente tollerabili le diversità di
prospettive e aspettative di ciascuno. Un esame delle difficoltà emerse
propone un nuovo assetto relazionale.

Quando c’è il conflitto


Tra i partners o tra i componenti la famiglia possono verificarsi screzi di varia
natura e gravità tali da far diventare difficile anche solo parlarne.
Ciò nonostante, in un ambiente professionale di trattamento psicologico che
garantisca un’attenzione neutrale e solidale nei confronti di tutti, i partners o
ciascuno dei componenti la famiglia possono trovare lo spazio (e il metodo) di
una discussione che renda possibile trovare una “conciliazione” o quantomeno
una via d’uscita al disagio di una conflittualità poco gestibile.

Quando non c’è il conflitto


Esistono casi nei quali –pur non essendosi manifestate contrapposizioni gravi- i
rapporti di coppia e familiari risultano essersi fatti difficili.
Questi, spesso, sono i casi nei quali il fatto di vivere più o meno sempre insieme
ha nascosto che con il tempo ciascuno dei componenti la coppia o la famiglia può
aver costruito per sé aspettative diverse da quelle degli altri. Diverse da quelle
che originariamente erano condivise da tutti e nello stesso modo.
Non si tratta di un allontanamento affettivo (e perciò non ci si fa caso), ma di
fatto è come se non si lavorasse tutti insieme per uno stesso obiettivo, perché ciò
che originariamente era prioritario negli interessi di tutti non lo è più.
Questo accade perché in qualcuno emergono altre esigenze, oppure perché si
ritiene che quanto s’è fatto in qualche direzione inizialmente condivisa sia stato
già sufficiente, e che è giunto il momento di “dedicarsi ad altro”. Oppure ancora,
succede solo che con il tempo ciascuno cambia anche notevolmente rispetto agli
altri e il cambiamento che si realizza a poco a poco, impercettibilmente,
comporta che l’attenzione venga posta su nuovi obiettivi, propri di ciascuno, ma
non più condivisi da tutti. Senza che se ne parli mai: vuoi perché il problema non
è visto nella sua sostanza, vuoi perché non si saprebbe che dire. Ciò rende la
difficoltà del rapporto ancor più rilevante e dolorosa.
Quando ci si accorge di questo –nonostante si riscontri che l’amore e il rispetto
reciproci restano saldi- la coppia o la famiglia vanno in crisi. C’è sempre qualcuno
che si sente “tradito” dal fatto che il partner abbia cambiato opinione e non
condivida più aspettative e obiettivi inizialmente comuni.
Sulle prime si pensa che con un po’ di tolleranza reciproca si potrà evitare di
discutere in termini –appunto- di “tradimento”. Si pensa anche di poter indurre il
partner –o un componente della famiglia- a “tornare quello di prima”, o di
riuscire a contenere e limitare la insoddisfazione di ciascuno. Ma tenendo conto
di quanto esposto prima, non sempre è facile né una cosa, né l’altra.
Ciò nonostante, anche in casi come questi, un’accoglienza professionale di tipo
psicologico può facilitare la ripresa di una discussione tra i partners o ciascuno
dei componenti la famiglia, e che si ripristini una “unità di intenti”.

I conflitti generazionali e tra genitori e figli


La nostra è certamente un’epoca difficile. Sembra che non ci sia più un “modo
giusto” di fare i genitori. E anche i figli!
Si pone l’esigenza –sia per i genitori che per i figli- di corrispondere alle
reciproche aspettative complementari. Che sono nuove e da definire.
Anche in questo caso, un trattamento psicologico facilita l’attenzione dell’ascolto
e l’efficacia della comunicazione.

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