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Enzo Riboni

ADDIO PER SEMPRE?


STORIE DI GIOVANI ALL'ESTERO

Prefazione di DOMENICO DE MASI


ADDIO PER SEMPRE?
ISBN: 9788898156030
Prima edizione digitale Maggio 2013

© ITALIC DIGITAL EDITIONS 2013

ITALIC DIGITAL EDITIONS Editore


via Benedetto Croce 19
00142 Roma
www.italicdigitaleditions.it
info@italicdigitaleditions.it

Realizzazione eBook: Italic Digital Editions, Roma


INDICE

FUGA E INVASIONE DEI CERVELLI


Prefazione di Domenico De Masi
INTRODUZIONE
GRUPPO 1: I GLOBETROTTER
Francesco Caracuta
Damiano Giampaoli
Carmine De Salvo
Sara Borgiattino
Veronica Denti
Chiara Carpenito
Vincenzo Belpiede
Daniela Gorza
Daniele Canu
GRUPPO 2: GLI “ASIATICI”
Francesco Grillo
Luca Verre
Simone Brunozzi
Stefania Welke e Andrea D’ippolito
Elena Mannoni
Daniele Solari
Alice Laguardia
Ambra Avenia
Arianna Gellini
Valentina Preti
Adelaide Begalli
GRUPPO 3: GLI OCEANICI
Sara Bezzan
Francesca Mottola
Giuseppe Vestrucci
Elisa Chieno
Alessandra Alessio
GRUPPO 4: MAL D’AFRICA E DI DESERTO
Emanuele Santi
Martina Starace
Graziano Bevilacqua
GRUPPO 5: I FAN DELLA GRANDE MELA
Simone Iacopini
Graziano Casale
Paolo Dal Gallo
Leonardo Auricchio
Andrea Forte
Francesco Tronci
Piero Armenti
GRUPPO 6: LAVORARE IN AMERICA? NON SOLO NEW YORK
Martina Tonizzo
Giovanni Marenco
Carla Benassi
Lorenzo Migliavacca
Carolyn Puliti Picchi
GRUPPO 7: SEDOTTI DALLA CITY
Yannick Roux
Federico Mossa
Mariasole Paduos
Silvia Rossi
Davide Pu
Anita Da Ros
GRUPPO 8: I CONTINENTALI
Mariolina Eliantonio
Silvia Zolfanelli
Liberatore Raspa
Chiara Pascarella
Luisa Laureti
Federica Malinverni
Christian Maffeo
Fabio Meloni
GRUPPO 9: I “FRONTALIERI”
Silvia Vendrame
Alessia Schiavon
Giancarlo Porta
Serena Speroni
Nicole Pingitore
GRUPPO 10: I RIMPATRIATI
Anna Pivato
Emanuela Gricia
Daniela Galante
Angela Ceribelli
Martina Gulini
Giacomo Romano
Marina Fasser
Gruppo 11: IL CAMMINO INVERSO E LA “CHANCE ITALIA”
Rajmonda Vahibi
Ioana Andreea Zeres
GRUPPO 12: OUTSIDER? GLI ASTRONAUTI
Samantha Cristoforetti & Luca Parmitano
FUGA E INVASIONE DEI CERVELLI

Pr e fazione di Dome nico De Masi

Cento anni fa milioni di italiani, soprattutto veneti e meridionali, emigrarono alla volta delle Americhe e
dell’Australia. Venivano ammucchiati come bestie nelle stive dei bastimenti e gli era consentito salire sul ponte per una
boccata d’aria solo nell’ora in cui i passeggeri di prima classe pranzavano nel ristorante di lusso. Quando emergevano
all’aria aperta, alcuni emigranti si dirigevano verso poppa per guardare con nostalgia l’orizzonte dal quale
provenivano e nel quale avevano lasciato i parenti, la storia, le radici; altri si dirigevano a prua per scrutare con
speranza l’orizzonte dove prima o poi sarebbe apparso il mondo nuovo, la terra promessa, la vita migliore.
Tutti sanno che questi emigranti erano contadini semi-analfabeti, ma pochi sanno che, in mezzo a loro,
accomunati dalle stesse delusioni e dalle stesse speranze, vi erano anche giovani laureati. Se, ad esempio,
paragoniamo il 2012 con il 1912 ci accorgiamo che cento anni fa, quando la popolazione italiana era di 35 milioni,
emigrarono 638.955 italiani di cui 2.901 (pari allo 0.45%) erano professionisti. A quell’epoca in Italia si laureavano
circa 4.000 giovani all’anno e, dunque, i laureati che espatriavano erano il 70% di quelli sfornati nello stesso anno
dall’università.
Cento anni dopo, nel 2012, la popolazione italiana è di 60 milioni e i cittadini emigrati sono 78.941, con un’età
media di 34 anni. 6.276 (pari al 12.5%) sono laureati. Nello stesso 2012, anche grazie alla riforma del 3+2 che ha
portato alla duplicazione dei titoli di laurea (triennale+specialistica), i laureati stati 289.000. Dunque, quelli che
hanno scelto di andarsene all’estero sono stati appena lo 0.5% di tutti i giovani che, nello stesso anno, hanno
conseguito una laurea.
Nell’arco di un secolo ci siamo trasformati da paese di emigrazione a paese di immigrazione. Sempre nel 2012
sono arrivati in Italia circa 380.000 immigrati con un’età media di 31 anni; il 26% sono laureati. In altri termini, seimila
cervelli sono fuggiti e 99.000 sono arrivati.
Poiché l’educazione di un cittadino da 0 a 25 anni costa circa 400.000 euro, di cui la metà a carico dello Stato,
abbiamo gettato 25 milioni di euro e ne abbiamo incamerati 396. Sta a noi far fruttare questi cervelli immigrati
inserendoli nel circuito del mercato di lavoro intellettuale invece di sprecarli riducendoli a manovali.
Da tutte queste cifre possiamo dedurre che l’emigrazione italiana è ridotta ai minimi termini e che, essendo quasi
azzerato il numero degli italiani analfabeti, molti giovani emigrati hanno un diploma o una laurea. Sappiamo inoltre
che, a differenza di quanto avveniva cento anni fa, la maggior parte non è andata nei lontani paesi d’oltre Oceano ma a
due passi da casa: in Germania, Svizzera e Regno Unito.
Quando si parla di “fuga dei cervelli” si intende due cose diverse: o ci si riferisce genericamente ai laureati, o si
allude alla fuga dei laureati eccellenti, addirittura dei geni. Nel primo caso, dobbiamo rassegnarci: i paesi dell’Ocse
sono ormai alfabetizzati e puntano all’obiettivo della laurea per tutti, dal momento che, in una società complessa,
questo titolo di studio non serve solo per lavorare ma anche per vivere degnamente. Dunque, in un domani non
lontano, chiunque emigrerà sarà un laureato, cioè un “cervello”. Ciò corrisponde, del resto, alla rapida mutazione del
mercato del lavoro: nella metà dell’Ottocento, il 94% dei lavoratori dipendenti dalle industrie manifatturiere di
Manchester, cioè della città più industrializzata del mondo, erano operai addetti a lavori manuali; oggi, in Italia come in
America, il 70’% dei lavoratori svolge attività di natura intellettuale.
Se per fuga dei cervelli si intende “fuga di laureati eccellenti” o addirittura “fuga di geni”, allora occorre
preoccuparsi perché i geni sono rari e perderne anche uno solo significa regalare ai concorrenti una risorsa preziosa,
difficilmente rimpiazzabile. Ma anche in questo caso le cifre tornano vantaggiose per l’Italia, dal momento che la
maggior parte degli immigrati laureati hanno conseguito il titolo presso università come quelle rumene o cecene,
niente affatto mediocri. Immaginiamo, esagerando, che tutti i 6.276 laureati emigrati siano geni forniti di ottima
preparazione universitaria; e immaginiamo, minimizzando, che solo il 10% dei giovani laureati immigrati abbiano le
stesse qualità eccellenti; comunque avremmo perso 6.276 “cervelli” e ne avremmo incassati 9.900, con un saldo attivo
di 3.624 geni.
Se poi, d’accordo con Voltaire e con Rousseau, si considera la genialità come un dono di Dio a tutta l’umanità,
l’appropriazione di un genio da parte di un’azienda può essere vista come la privatizzazione indebita di un bene
comune, paragonabile all’aria o all’acqua. Tra i 75 scienziati che costruirono la bomba atomica a Los Angeles, la
maggioranza era di immigrati che, con la loro invenzione, liberarono l’intero pianeta dalla caparbia distruttiva dei
giapponesi.
I dati dai quali sono partito dimostrano come l’Italia non ha mai saputo valorizzare i propri laureati. Ma oggi, con il
suo 40% di disoccupazione intellettuale, ha raggiunto un primato abominevole. Tuttavia va ricordato che la mobilità
dei cervelli caratterizza tutte le società postindustriali e non dipende solo dalla disperazione. Oggi emigrano anche i
giovani laureati americani, dirigendosi verso la Cina o il Giappone ed emigrano anche i giovani laureati cinesi,
dirigendosi verso l’America o l’Europa. Perciò le storie contenute in questo volume rappresentano altrettante finestre
su un mondo nuovo, reso mobile non solo dalla disperazione, ma anche dalla curiosità intellettuale e dal nomadismo
postmoderno: la generazione dei “digitali globalizzati”.
L’azione congiunta del progresso tecnologico, dello sviluppo organizzativo, della globalizzazione, della
scolarizzazione diffusa e dei mass media ha provocato l’avvento di una società nuova in cui la popolazione va
polarizzandosi intorno a due paradigmi: quello degli “analogici” in via di estinzione e quello dei “digitali” in via di
espansione.
Gli “analogici”, prevalentemente anziani, sono impauriti dalle novità che si succedono a valanga e, invece di
goderne i vantaggi, ne traggono motivo di panico: ad esempio, di fronte allo sviluppo demografico, paventano la fame
per tutti e l’invasione del Primo mondo da parte del Terzo mondo; considerano lo sviluppo tecnologico come un
incontrollabile cataclisma, colpevole della disoccupazione e del consumismo; paventano la violenza sociale e le guerre
come inevitabili e crescenti; giudicano le epidemie, l’instabilità politica, l’inflazione, la corruzione, come mali
connaturali alla società attuale e inesistenti in un fantomatico passato, che essi amano mitizzare.
I “digitali”, al contrario, contano sull’effetto benefico del progresso, sul controllo delle nascite, sull’aumento del
tempo libero, sulla longevità, sul dialogo e sull’interscambio tra i popoli e tra le culture. Prendono atto che si vive una
volta sola e perciò considerano questa vita unica come un’avventura esaltante, che la scienza e la tecnologia hanno
reso sempre più godibile.
I “digitali” sono soprattutto cittadini del mondo, conoscono le lingue, non soffrono il jet-lag, sperimentano in
prima persona i limiti e le opportunità della globalizzazione, navigano nel pianeta come “emigranti di prua”, cui
appartiene il futuro.
In questa chiave ho letto le storie contenute in questo libro, precorritrici di un villaggio globale dove per ogni
cervello c’è un posto accogliente da qualche parte nel mondo. E spero che anche gli altri lettori le interpretino con
questa speranza.
INTRODUZIONE

“Un consiglio per i miei coetanei? Non aver paura di cambiare Paese e lavoro frequentemente. Oggi per i giovani la
sfida è questa: mettersi in gioco adattandosi velocemente al cambiamento”.
Non sono le parole di uno dei tanti “predicatori” che sollecita i giovani a darsi da fare. È l’incitamento, vissuto sul
campo come esperienza diretta, di uno dei 71 giovani emigranti le cui storie sono qui raccontate così come pubblicate
dal Corriere Della Sera nella mia rubrica “Giovani all’estero”. Storie che in più, in questo libro, vengono seguite nella
loro evoluzione, dall’apparizione sul quotidiano ad oggi.
Il libro è di fatto anche un mini sondaggio. Un’indagine senza pretese di scientificità statistica, che però racconta
vicende veramente e attualmente vissute dagli “emigranti 2.0”, quelli della cosiddetta Generazione Y, i Millenium, i
Nativi digitali a seconda della definizione che si preferisce.
Le storie vanno dal Novembre del 2008 all’Aprile del 2013, attraversano cioè tutta la crisi economica degli ultimi
anni, quella che oggi ha portato i tassi di disoccupazione tra i 15-24enni alla vertiginosa quota del 38,4%.
I giovani protagonisti di questo libro sono tutti laureati, molti di loro hanno conseguito lauree, master o dottorati
nelle più prestigiose università del mondo.
Nonostante l’Italia non abbia offerto loro prospettive occupazionali minimamente attraenti, quelle raccontate non
sono vicende di disperati, di ragazzi che hanno bussato a mille porte senza riuscire a trovare un lavoro decente. Sono
piuttosto le scelte di giovani che nulla hanno a che fare con lo stereotipo del “bamboccione”, del “mammone” che si fa
mantenere dai genitori fino a non verde età o del più recente “choosy-schizzinoso” di forneriana memoria.
Sono ragazzi che, molto spesso, seguendo una loro voglia di conoscere, scoprire, relazionarsi con un mondo che
gli è stato servito global, fin da giovanissimi, a 16 anni e anche prima, sono andati all’estero a imparare le lingue, a
studiare nei licei stranieri grazie a iniziative di scambio internazionale o in università estere sull’onda di Erasmus.
Spesso sono dei talenti, ragazzi molto intelligenti e brillanti aiutati nelle loro scelte da famiglie lungimiranti o da
provvidenziali borse di studio.
Sono gli ultracitati cervelli in fuga? La metafora non è gradita perché spersonalizza e non dà conto del profilo di
persone che hanno un nome e cognome, una storia familiare, una vicenda coraggiosa e avventurosa in giro per il
mondo.
Il loro atteggiamento, poi, non è di disprezzo o di rifiuto verso il paese d’origine, è invece molto pragmatico e
realistico. “Allo stato attuale non ci sono le condizioni per ritornare”, “In Italia non mi offrirebbero le chance di carriera
e le retribuzioni che oggi ottengo qui”, “In Italia non c’è meritocrazia, qui invece chi vale avanza, senza favoritismi e
raccomandazioni”. Sono solo alcune delle risposte che si ottengono quando si chiede loro cosa pensino
dell’eventualità del ritorno a casa
La fotografia della loro situazione di expatriate è un pezzo del puzzle di un’Italia che non riesce a dare fiducia ai
suoi giovani. Secondo l’Aire, l’anagrafe degli italiani all’estero, negli ultimi due anni l’emigrazione totale è schizzata in
su del 30,2%, passando dai 60.635 cittadini italiani espatriati nel 2011 ai 78.941 nel 2012. Un esodo che si è
concentrato (nel 44,8% dei casi) nella fascia d’età tra i 20 e i 40 anni. Con una rapida crescita dell’emigrazione
intellettuale. Secondo l’Istat, infatti, nel decennio 2001-2010 gli emigranti italiani senza alcun titolo di studio o con la
sola licenza media sono scesi da 29.343 a 24.734 unità, quelli diplomati da 13.679 a 8.535, mentre i laureati sono
quasi raddoppiati da 3.879 a 6.276.
Secondo l’osservatorio “Work in progress”, infine, la propensione ad emigrare dei nostri giovani è in crescita
preoccupante: due su tre sono disposti a vivere lontano pur di trovare lavoro e il 37% degli intervistati ha già inviato il
suo curriculum all’estero.
In questo quadro i neo emigranti intervistati nel libro, rimandano profili visti da vicino, immagini della realtà dei
giovani italiani all’estero riflessa in tempo reale. Prima di tutto sono originari di ogni parte d’Italia, anche se tra loro
prevale il Nord con il 50% dei casi. Ma è forte anche la presenza di chi proviene dal Sud, con il Centro che segue in
coda.
C’è poi un dato per molti inaspettato: le più disposte ad emigrare e a lanciarsi nell’avventura del lavoro all’estero
sono le donne. La schiera degli expatriate, infatti, vede una netta maggioranza femminile: 40 su 71, oltre il 56%. È un
segno significativo di come stanno cambiando le tendenze nella nostra società, rispetto ai tempi ormai lontani in cui gli
emigranti italiani erano quasi solo uomini e le donne semmai andavano al seguito con i bambini. Oggi le donne sono
in maggioranza perché le storie qui raccontate sono tutte di laureati e in Italia è ormai consolidata la prevalenza delle
lauree al femminile. Sembra però che le ragazze, una volta liberate le loro potenzialità e non più limitate dai timori
familiari, dimostrino più voglia di cambiare e più gusto del rischio dei loro coetanei maschi.
In termini geografici è l’Asia il continente che attira maggiormente, con la Cina che, più di otto volte su dieci, è la
terra asiatica più ambita. Anche gli Stati Uniti sono molto gettonati, con New York che esercita il maggior fascino
attrattivo.
In Europa, invece, la città che richiama di più è Londra, scelta spesso per il miraggio di una rapida carriera nella
finanza (settore che però, qualche volta, genera a posteriori decisi rifiuti).
Non pochi sono poi i “globetrotter”, i giramondo, quelli che hanno nel Dna il viaggio, il cambiamento, la vocazione
per carriere che non sono tali se non vengono costruite macinando chilometri, passando di Paese in Paese, imparando
nuove lingue (qualcuno ne conosce cinque o sei), confrontandosi con molteplici culture.
In crescita sensibile è la destinazione Oceania, soprattutto Australia ma anche Nuova Zelanda. L’identikit di chi
sceglie gli antipodi è quello di giovani con un particolare spirito di avventura e di scoperta, disposti a sottoporsi a
grandi fatiche e a superare ostacoli impegnativi pur di strappare sei mesi in più di visto di lavoro. E, sorpresa, gli audaci
che scelgono questa meta sono quasi sempre donne.
Non mancano anche un paio, come si diceva una volta, di “terzomondisti”, che hanno scelto di lavorare in
sostegno delle popolazioni africane. Mentre un solo giovane ha puntato sul lavoro in cantieri isolati nel deserto con
l’obiettivo di accelerare la carriera.
Dei 71 ragazzi di queste storie, poi, sono appena 7 i “rimpatriati”, quelli che ora sono tornati in Italia. Quasi
sempre l’hanno fatto controvoglia, perché si è esaurito il loro contratto all’estero o perché sono stati richiamati in
Patria dall’azienda per cui lavorano. Quasi mai il rientro è dovuto a un’offerta particolarmente allettante arrivata
dall’Italia.
Due giovani donne dell’Europa dell’Est hanno fatto il cammino inverso, vedendo nell’Italia la chance per un
lavoro di buon livello.
La ciliegina finale è la storia di due nostri expatriate che, come meta di “emigrazione” temporanea, hanno scelto la
più lontana che si possa immaginare: lo spazio extraterrestre.
A parte gli astronauti puntati a destini non certo comuni, lasciar “fuggire” tanti giovani è una leggerezza che costa
troppo al Paese. Basti ricordare che in Italia l’educazione di un ragazzo da 0 a 25 anni costa circa 400 mila euro, di cui
la metà è a carico dello Stato. Lasciar andare all’estero un giovane proprio quando, appena laureato, sarebbe nella
fase per restituire alla società l’investimento fatto su di lui, è disastroso. Tanto più se si tratta di un laureato o di un
ricercatore che approda a società estere. Si calcola infatti che ammonti a un miliardo di euro all’anno il danno
economico che l’Italia deve subire per i mancati introiti dai brevetti registrati dagli italiani all’estero.
Eppure molti vorrebbero tornare se solo l’Italia desse qualche garanzia in più e diventasse almeno un po’
concorrenziale con l’offerta estera. Come ci ricorda la nostalgica conclusione di uno di loro che oggi vive e lavora a
New York: “Ammetto che mi piacerebbe tornare in Italia, perché mi mancano famiglia, amici e … il mio cane, ma per
quanto mi riguarda i tempi non sono ancora maturi”.

Enzo Riboni
È partito con una laurea in matematica e ha anche insegnato nei licei e all’università. La sua passione, però, è
sempre stata la scrittura e il giornalismo. Free lance, ha cominciato con Il Manifesto, poi Il Mondo, Capital, Gente
Money e, dall’88, Corriere Della Sera, per il quale nel 2005 ha ideato le pagine Economia & Carriere (ora Trovolavoro)
pagine in cui, dal 2008, cura la Rubrica Giovani all’estero. È coautore di Lavoro in affitto (Zelig, 1999), tutto Lavoro
2002 (Etas), Letteratura per manager (Etas, 2008), Le aziende invisibili (Scheiwiller, 2008).
GRUPPO 1: I GLOBETROTTER
Francesco Caracuta

Ier i (4 Dicembre 2009)


Da buttafuori a pendolare tra Londra e Dublino con tappe in Polonia, Russia e Cina
Da buttafuori a Bologna a 19 anni, a lavapiatti a Londra a 25. E ora, appena compiuti i 32, pendolare tra Londra e
Dublino, ma come responsabile vendite Oracle per il mercato del Regno Unito. La sua corsa verso l’estero, Francesco
Caracuta l’ha iniziata partendo da Martano, vicino a Lecce. Finito il liceo si è trasferito a Bologna per studiare
economia. “Ma per mantenermi all’università l’unico lavoro che ho trovato è stato quello di guardia del corpo e
buttafuori”. Nel 2001, poi, è arrivato l’Erasmus in Polonia: un anno alla University of Warsaw. Seguito da altri sei mesi
in Russia. “L’anno dopo sono rientrato in Italia, mi sono laureato e ho cominciato a inviare curricula. Ne ho spediti 50
ad altrettante aziende, 48 non mi hanno risposto, una mi ha detto no dopo una settimana e l’ultima mi ha dato un
riscontro dopo due anni! Così ho capito che non era aria, ho fatto le valigie e sono sbarcato a Londra. Ho bussato ai
ristoranti italiani e, per qualche mese, ho fatto il lavapiatti”. Attraverso un’agenzia interinale, Caracuta prima trova
qualche lavoro a tempo e poi entra alla Netiq, come Telemarketer Sud Europa. “Dopo due anni sono passato alla
Mercury Interactive come Account manager per il mercato italiano”. Altri due anni, e poi un sabbatico in Cina. Nel
2006 è di nuovo a Londra: due anni alla Datadirect come Territory manager per il Sud Europa. “Finché nel 2008,
attraverso un social network, vengo contattato da Oracle per il lavoro attuale. Ora abito ancora a Londra con mia
moglie, anche se ‘abitare’ è un eufemismo, visto che tutti i lunedì, alle 4.30, parto per la mia sede di lavoro a Dublino,
dove resto fino al venerdì sera”.

Oggi
Consulente in proprio, tra Dubai, Ginevra e il Qatar
Il pendolare degli arei low cost, però, nei suoi avanti e indietro evidentemente costruisce contatti, si fa la sua rete
di conoscenze professionali. Così, mentre continua l’esperienza con Oracle, arriva una chiamata interessante. “Sono
stato contattato direttamente da Liaison techcnologies, un’azienda che mi ha fatto un’offerta indeclinabile: diventare
responsabile Emea, cioè per Europa, Medio Oriente e Africa”. Un anno e mezzo e poi Francesco è di nuovo nel mirino
dei cacciatori di talenti, questa volta di una società che si muove nei financial services. “Era la Merrill Corporation, che
mi ha offerto un ruolo di direttore”. Ma con un nuovo cambiamento di residenza e con l’immancabile pendolarismo,
questa volta tra Inghilterra e Svizzera. “Risiedevo a Ginevra ma lavoravo a Londra”, chiarisce l’ex buttafuori che,
evidentemente, non ha sbagliato a giocare la carta del professionista giramondo, vista la sua rapida progressione di
carriera. Anche se l’irrequietezza non smette di premere: “Ora ho creato una società di consulenza per le aziende che
vogliono esportare in Medio Oriente e faccio la spola fra Dubai, Ginevra, Londra e Qatar”.
Damiano Giampaoli

Ier i (12 marzo 2010)


La carriera “mobile” di Damiano tra Siviglia, Kathmandu e Bruxelles
“Vedo tante strade aperte davanti a me, purtroppo però nessuna mi riporta in Italia”. Damiano Giampaoli ha 24
anni ed ha appena lasciato il suo lavoro come consulente di sviluppo internazionale presso l’ambasciata thailandese
di Bruxelles. “Ho lavorato lì per un anno, ben pagato come mai lo sarebbe un neolaureato in scienze politiche in Italia.
Ma ora ho interrotto per frequentare uno stage che, credo, mi farà fare un ulteriore passo professionale in avanti”. La
sede è ancora Bruxelles, presso la Commissione europea, dove ora Giampaoli lavora nell’ufficio per le politiche di
vicinato della direzione generale per le relazioni esterne. La sua prima puntata all’estero era stata a 20 anni nel 2006:
un anno a Siviglia con l’Erasmus e, alla fine, la laurea triennale a Milano in Mediazione linguistica e culturale, un
corso affiliato alla facoltà di Scienze politiche. “Erano in pochi a conoscere questo indirizzo di studi, al punto che la mia
scelta suscitò anche l’ilarità di molti conoscenti, inclusi alcuni professori della facoltà”. Di lavoro ancora non se ne
parla e così Giampaoli dedica l’estate a fare il volontario in Turchia e poi in Polonia, come animatore e insegnante di
inglese per bambini. Tornato in Belgio viene accettato alla Université Libre de Bruxelles in un corso di laurea
specialistica in Politiche dello sviluppo internazionale, che prevede un semestre di stage all’estero. “Ho scelto una
meta un po’ avventurosa, il Nepal, e sono andato a Kathmandu in una Ong che si occupa di educazione per ragazzi di
strada. Anche se non ero pagato quella esperienza ha rappresentato la gavetta necessaria: la mia professionalità e i
passi successivi non sarebbero stati possibili senza quello stage”. E ora ancora uno stage senza la certezza di una
sistemazione definitiva? “Non cerco il posto fisso, solo continue possibilità di crescita e apprendimento”.

Oggi
Il sogno avverato: a Tunisi ad occuparsi di migrazioni
E in effetti la sorte a non ha offerto a Damiano un’immediata prospettiva stabile, gli ha proposto anzi un nuovo
scorazzare per il mondo. “La fine del tirocinio alla Commissione Europea non ha marcato la fine della mia gavetta
professionale. In quel momento, infatti, mi sono reso conto di quanto, pur avendo collezionato alcune esperienze
interessanti, il settore delle relazioni internazionali metta in competizione migliaia di giovani estremamente qualificati
provenienti da tutto il mondo, a fronte di pochissimi posti offerti. E la sensazione deprimente è che le lingue
conosciute e i titoli acquisiti non bastino mai ”. Soprattutto perchè alcune occasioni professionali gli sfumano sotto il
naso all’ultimo momento, dal programma Jpo dell’Onu in Sudafrica al lavoro per una lobby tibetana. “Così, per
evitare di rimanere inattivo, sono tornato per qualche mese in Nepal, presso la Ong dove già avevo lavorato. Poi ho
accettato un ennesimo stage di sei mesi alle Nazioni Unite a Ginevra ”. Finito il quale Damiano riesce ad ottenere
un’offerta più stabile presso una piccola organizzazione internazionale in Grecia. “ Lì mi sono fatto le ossa per quasi
due anni, prima di trasferirmi a Tunisi dove lavoro tuttora, per l’Organizzazione internazionale per le Migrazioni. Per
me è un sogno avverato: il tema, l’istituzione e il paese rientrano appieno nei miei obiettivi e conto restarci fin quando
sarà possibile ”. E il ritorno in Italia ? “A un certo punto ci ho provato, per candidarmi a un dottorato alla Sapienza di
Roma, ma l’incompetenza e la maleducazione di chi ha risposto alle mie richieste di informazioni (essendomi laureato
all’estero avevo bisogno di chiarimenti per la partecipazione al concorso) mi hanno fatto desistere ”.
Carmine De Salvo

Ier i (16 aprile 2010)


Dalla Basilicata a Zanzibar: il salto di Carmine e della sua carriera
Certo che quando Carmine De Salvo viveva a Francavilla sul Sinni, un piccolo comune montano nel centro della
Basilicata, non si sarebbe mai sognato di trovare il suo primo impiego dall’altra parte del mondo, nella mitica
Zanzibar. “A 18 anni ho fatto il primo passo fuori regione e mi sono trasferito a Ferrara. L’università l’ho frequentata a
Bologna, dove ho preso la laurea specialistica nell’indirizzo economico di scienze politiche”. A 20 anni, però, De Salvo
già veleggia verso lidi lontani approfittando dei programmi di studio all’estero del suo ateneo. Nel 2005 in Cile alla
Pontificia universidad catolica, due anni dopo a Parigi con una borsa Erasmus, poi al Dickinson college in
Pennsylvania, “dove studiavo e, contemporaneamente, insegnavo italiano agli studenti del college”. La formazione di
De Salvo è poi virata più decisamente sul versante economico, grazie al master frequentato alla London school of
economics. La svolta verso l’occasione professionale è arrivata nel 2007, quando aveva 22 anni ed è venuto a
conoscenza dell’offerta dell’Odi, l’Overseas development institute di Londra. “Ho fatto domanda per una fellowship
per due anni consecutivi. La prima volta non sono stato selezionato, ma il secondo anno ce l’ho fatta, passando prima
attraverso la scrematura dei curricula e superando poi la selezione che verificava la mia preparazione sui temi
dell’economia dello sviluppo”. Ora De Salvo, come fellow dell’Odi, lavora a Zanzibar presso il ministero delle Finanze
e fa l’analista nel programma di riduzione della povertà. “I ritmi di lavoro locali sono molto rilassati. Nel settore
pubblico gli impiegati sono numerosi oltre il necessario, malpagati e di produttività spesso bassissima. Credo
comunque che questa esperienza mi darà una grande ricchezza per le mie mosse professionali successive”.

Oggi
Alla Banca Mondiale, tra il Messico e i Caraibi
Un’autoprofezia avverata, quella di Carmine, soprattutto perché l’esperienza di Zanzibar gli ha offerto nuove
chance per lavorare in altre parti del mondo. “Ora viaggio ancora più frequentemente di prima, almeno per una decina
di giorni al mese. In questo momento, per esempio, sto scrivendo dalla mia stanza d’albergo a Popayan, in Colombia,
dove stiamo cercando di coniugare la vocazione produttiva del progetto che sto seguendo con i tentativi del governo
colombiano di offrire inclusione sociale a popolazioni duramente colpite dalla violenza che ancora affligge il Paese,
soprattutto in zone come questa, il dipartimento del Cauca”. Carmine ha fatto il salto di qualità dopo aver lasciato
Zanzibar nel settembre del 2011: assunto, con sede a Washington, come Junior professional associate dalla Banca
Mondiale. “Lavoro nel dipartimento di Sviluppo sostenibile per l’America Latina e i Caraibi. Mi occupo di agricoltura e
sviluppo rurale e seguo cinque progetti, in Colombia, Messico, Perù, Giamaica e Panama. Sono programmi che si
occupano della competitività delle organizzazioni di piccoli produttori agricoli”.
Sara Borgiattino

Ier i (28 gennaio 2011)


La carriera di Sara, zig zag mondiale tra Sudafrica e Finlandia
La prima volta all’estero, quando Sara Borgiattino aveva solo 17 anni, è stata un’esperienza sicuramente non
facile. Poi girare per l’Europa e per il mondo è diventata (ed è tuttora) la cifra caratteristica dei suoi studi e del suo
lavoro. “Era il 1996, frequentavo il liceo linguistico di Giaveno in provincia di Torino, e avevo ottimi voti in tedesco.
Così, indirizzata dall’ associazione Intercultura, quell’estate l’ho trascorsa nell’ex Ddr. Mi sembrava di dover reimparare
tutto, a partire dalla lingua, ostacolo seminsormontabile nonostante il mio inseparabile dizionarietto. Direi che, per
usare un eufemismo, quella fu proprio un’esperienza impegnativa”. Finite le superiori Sara si iscrive a Scienze
internazionali e diplomatiche all’università di Torino e, con cocciutaggine, insiste sulla strada dell’estero puntando
sull’Erasmus: un anno all’università di Turku in Finlandia. “Nel 2005, poi, dopo la laurea, sono finita dall’altra parte
del mondo con una borsa di studio e ricerca su istruzione e politiche sociali all’università di Kwa-Zulu-Natal in
Sudafrica”. Ma l’avanti-indietro di Sara per il mondo non è finito e la meta, questa volta, è nuovamente l’Europa: prima
all’ateneo di Kassel in Germania per un master in Global political economy e poi, nel 2009, all’università di Duisburg.
“Ed è lì che ho incontrato il mio attuale fidanzato tedesco, con il quale ora, dopo un po’ di tempo in Irlanda, mi sono
trasferita a Bruxelles. Lui è al Parlamento europeo e io, dopo un semestre alla Commissione europea nella direzione
generale Education and culture, mi occupo di diritti umani e sviluppo, cultura e dialogo interculturale per una Ong”.
Ma la tranquilla sede europea è stata conquistata dopo un altro zigzagare nel mondo: un anno a Ouahigouya in
Burkina Faso come operatrice per la cooperazione internazionale e lo sviluppo.

Oggi
In Germania meglio che in Africa? Solo se ti assimili
Bruxelles, però, per Sara non è stata ancora la sede “definitiva”, quella in cui consolidare un inizio di carriera. “Per
motivi famigliari mi sono dovuta trasferire in Germania, lasciando così in sospeso, per il momento, possibili sviluppi
professionali a Bruxelles. Ora sto puntando su un nuovo corso di studi e su traduzioni per aziende e privati. Non è
esattamente la direzione lavorativa a cui aspiravo e che avevo imboccato con le mie esperienze in Africa e in Belgio. Ma
nei miei progetti è solo una situazione temporanea, credo infatti che le nuove qualifiche accademiche mi apriranno
ancora la strada del lavoro in ambito cultura e diritti umani”.
Anche se, secondo Sara, non è che la vita in una grande nazione europea sia così facile rispetto, per esempio, alle
esperienze africane. “La Germania offre ottime condizioni di vita, a patto di essere disposti e in grado di assimilarsi.
Suona un po’ duro, ma gli italiani, alla stregua di greci e spagnoli, sono visti come coinquilini esotici e sfortunati. La
perfetta conoscenza della lingua tedesca (senza accento) è la conditio sine qua non del trattamento alla pari”.
Alla fine, allora, lo zigzagare per il mondo è stata la scelta giusta? O era meglio insistere sull’Italia? “L’emigrazione
offre prospettive (non certezze) di crescita e realizzazione professionale in Italia difficilmente realizzabili, vuoi per una
staticità tipica nostrana, vuoi per un’infelice congiuntura politico-economica. E comunque non credo che la ricerca del
lavoro sia l’unico motore che spinge questa nostra generazione da un Paese all’altro. Infatti, per quanto l’Europa e le
sue istituzioni vengano perlopiù percepite come qualcosa di avulso e distante dal quotidiano, gli effetti
dell’integrazione europea ormai influiscono profondamente sulla socializzazione dei giovani europei. L’educazione,
poi, tende a internazionalizzarsi e così l’effetto finale è che i confini del proprio Paese diventano labili”.
Veronica Denti

Ier i (1 aprile 2011)


Basilea, Berlino, Filadelfia e Singapore: Il curriculum giramondo di Veronica
La “storia estera” di Veronica Denti inizia nel 1981, quando ha 5 anni e comincia a frequentare l’asilo alla
Deutsche schule di Milano. “È stata la chiaroveggenza dei miei genitori - entrambi sordi causa meningite - che hanno
pensato dovessi udire e comunicare “anche per loro”, in tutte le direzioni e verso tutto il mondo. Così, in quella scuola
sono rimasta per 13 anni e ne sono uscita con un diploma di maturità scientifica e un passaporto per il mondo”. Sì,
perché Veronica ora parla fluentemente tedesco, inglese e francese e ha una conoscenza di base di spagnolo e cinese.
Anche perché la Germania la attraeva, ma la voglia di conoscere il resto del mondo era ancora più forte. “Tra i 16 e i 18
anni mi sono data all’esplorazione di varie università, dove ho fatto una serie di esami estivi: da Yale nel ‘91, alla
Georgetown university due anni dopo, alla London school of economics nel ‘94. E in seguito, mentre studiavo
economia aziendale alla Bocconi, ho fatto un corso di marketing alla Wharton school di Filadelfia e, nel ‘97, ho
studiato un po’ di mandarino alla Hangzhou university in Cina. Più una serie di stage a Monaco di Baviera, Berlino e
Singapore”. Tutto questo girare da una parte all’altra del mondo le dà una marcia in più per le società di consulenza
multinazionali, al punto che, pochi mesi prima della laurea alla Bocconi, Veronica già sta lavorando negli uffici
milanesi di At Kearney, dai quali però si allontana spesso in trasferta a Wolfsburg in Germania. “Sono rimasta fino alla
fine del 2001, poi di nuovo formazione: master in business administration alla Insead, studiando tra Fontainebleau in
Francia e Singapore”. Un diploma che l’ha fatta subito assumere, nel 2003, a Basilea, in Svizzera, dalla multinazionale
farmaceutica Novartis, presso la quale ancora lavora. “Oggi sono Global brand director di un vaccino influenzale”.

Oggi
Stabile in Svizzera, ma con puntate in California
Dopo tanto correre da una parte all’altra del mondo, Veronica ha puntato tutto su una carriera interna alla
Novartis nel quartier generale di Basilea. Senza però rinunciare a viaggiare per lavoro. “Ho appena terminato un breve
corso accademico, il Futuremed, in California”. E accanto al lavoro profit, Veronica sta anche muovendosi su alcune
attività di volontariato. “Una delle principali è quella di coach e mentor per la Cherie Blair Foundation for Women”.
Chiara Carpenito

Ier i (2 settembre 2011)


Australia, Thailandia e Stati Uniti. Gli ingredienti della carriera di Chiara
L’Australia è stata la sua nave scuola nella professione del turismo di studio, quella che, oggi, ha portato Chiara
Carpenito, 30 anni appena compiuti, ad approdare a San Francisco, a lavorare per “Chi”-Cultural homestay
international. “A Sidney sono arrivata alla fine del 2005, subito dopo la laurea, con una borsa di studio del Fondo
sociale europeo, per uno stage di sei mesi all’Enit, l’ufficio italiano del turismo”. Alla fine dell’internship, però, come
spesso accade a chi conosce l’Australia per la prima volta, Chiara non se l’è sentita di rientrare subito in Italia e così ha
cercato un modo per restare. “Il sogno si è realizzato quando ho scoperto il programma Working holiday visa, che
permette agli italiani tra i 18 e i 30 anni di lavorare, studiare e viaggiare in Australia per un anno”. Ma la passione per i
viaggi all’estero in Chiara - nata in provincia di Varese e laureata in Scienze linguistiche - si era manifestata già all’inizio
dei suoi studi all’università Cattolica di Milano. “Nel 2003 ho fatto uno stage di tre mesi a Bangkok, alla Camera di
commercio italo-thailandese, e prima ancora avevo partecipato a diversi programmi di studio dell’inglese a Malta e in
Irlanda. E poi durante il periodo universitario ho sempre lavorato, come hostess o interprete nelle fiere e come
impiegata in una società finanziaria”. Il primo lavoro stabile è però arrivato al rientro dall’Australia: un contratto a
tempo indeterminato presso la Wep-World education program di Milano, come coordinatrice dei programmi di lavoro,
di stage e di volontariato. “Dovevo promuovere proprio il nuovo programma australiano di vacanze-lavoro a cui avevo
appena partecipato”. Ma la resistenza al richiamo dell’estero è durata solo fino al 2008, quando Chiara ha trovato il
lavoro attuale presso un partner della Wep, la Chi di San Francisco, per coordinare il programma “Au pair” in tutti gli
Stati Uniti.

Oggi
Da San Francisco a Bogotà e poi il corso a Berkeley
Chiara vive ancora nella Bay Area a nord di San Francisco e tuttora lavora per l’agenzia americana “Chi”. Alla sua
“collezione” di globetrotter mancava ancora il Sudamerica. “Così”, spiega scherzosamente, “ho rimediato subito. Da
gennaio a maggio dell’anno scorso ho lavorato nell’ufficio di un’agenzia partner di Chi, la Smaller earth di Bogotà”.
Chiara si è occupata degli studenti colombiani che volevano partire per gli Usa con il programma di scambio culturale
J1. “È stato davvero interessante lavorare in un Paese di cui si sente parlare solo per droghe e sequestri, ma che invece
offre grandi opportunità ed è molto più avanzato di quanto mi immaginassi prima di conoscerlo”. Dopo la Colombia
ritorno a San Francisco di nuovo a lavorare con Chi. “E contemporaneamente ora sto frequentando un corso di
specializzazione in Business e marketing all’università di Berkley”. Cioè incredibilmente, vista la sua storia, vicino a
casa.
Vincenzo Belpiede

Ier i (11 novembre 2011)


Dal Nord della Finlandia fino a San Diego. La strada ad alta tecnologia di Vincenzo
L’esaltazione per cellulari e per quanto di più nuovo nasce negli strumenti di telecomunicazione, nella
“generazione digitale” non dà origine solo a dipendenze e sperpero di soldi per rincorrere le mode tecnologiche. In
qualche caso, come in quello del 27enne Vincenzo Belpiede, quella frenesia produce anche opportunità di lavoro
all’estero, e proprio nella massima espressione del personale oggetto del desiderio. “Che per me, da sempre preda di
una passione sfrenata per la tecnologia, era la Nokia. Un obiettivo che sono riuscito a realizzare quattro anni fa con
l’assunzione nella multinazionale finlandese”. Belpiede è originario di Canosa di Puglia e, già a 15 anni, trova il
coraggio di staccarsi dal suo territorio. “Non sapevo una parola d’inglese, ma ho scelto una scuola anglosassone. Mi
sono trasferito a Roma per frequentare la St. Stephen’s school, dove le lezioni si tengono esclusivamente in inglese. È
stato difficile, ma con qualche sforzo ce l’ho fatta”. Finito il liceo approda alla Bocconi di Milano, dove l’inglese diventa
sempre più la sua lingua prevalente: frequenta il Degree in International economics and management, una laurea
triennale rigorosamente in lingua. “Per preparare la tesi sono stato otto mesi in Messico e, dopo la laurea, ho lavorato
per quattro mesi all’ambasciata italiana di Belgrado. Infine, tornato a Milano, altri due anni alla Bocconi per la laurea
specialistica in general management”. Non passa poi tanto tempo che arriva l’occasione sempre attesa: la
partecipazione a un business project di Nokia a Helsinki e poi l’assunzione a tempo indeterminato. Seguita subito da
incarichi alla globe trotter. “Ogni sei mesi ho cambiato, prima in Germania poi a Pechino poi ancora a Oulu nel nord
della Finlandia e, infine, nella sede attuale, a San Diego in California”.

Oggi
La California come base. Ma Nokia proietta in tutto il mondo
Base San Diego e occhi su tutto il mondo. Il lavoro di Vincenzo ha preso la piega che più l’appassionava. “Lo
scorso novembre sono stato nominato Global business owner di App discovery per tutti i Nokia Windows Phone”. In
pratica si occupa di ciò che Nokia chiama “App Highlights”, che promuove le applicazioni su Windows phone in
tantissimi paesi del mondo. Un avanzamento che per Vincenzo è arrivato proprio grazie al suo girovagare per il mondo.
“Sono contentissimo perché credo che nell’ambito dell’industria delle telecomunicazioni ciò di cui mi occupo sia il
business più divertente, più pieno di giovani, che si muove alla velocita più elevata in assoluto e che, ogni giorno, apre
nuove strade a numerosissime opportunità”. Provare per credere ma, soprattutto, girare il mondo per confermare.
Daniela Gorza

Ier i (26 ottobre 2012)


Il curriculum cosmopolita di Daniela. E, a 24 anni, c’è ancora tutta la vita davanti
Daniela Gorza ha 24 anni e fino al 2007 ha studiato a Feltre, la sua città natale in provincia di Belluno. Poi è
iniziata la vita in giro per il mondo, un’avventura che dura tuttora. Ha cominciato con l’Inghilterra, alla London
metropolitan university per studiare Relazioni internazionali. Tre anni che però non sono stati un tranquillo periodo
stanziale nella capitale britannica. “A quel tempo ho scelto l’Erasmus per allargare le mie esperienze internazionali e
così, nel 2009, ho passato sei mesi negli Usa, alla San Francisco State university e l’anno successivo un ulteriore
semestre, questa volta in Turchia, alla Istanbul Bilgi universitesi”. Ritorno a Londra giusto per concludere la laurea
triennale e per decidere che vale la pena di restare per un altro periodo di formazione. La scelta cade sulla London
school of economics, dove si iscrive al double master in Public administration and governement. “Sì, è un master
doppio nel senso che prima si deve frequentare in Cina e poi qui a Londra dove sono ora”. Così per un anno, fino al
giugno scorso, Daniela studia alla Peking university e trova anche il tempo per uno stage alla Dezan Shira & Associates,
una società di consulenza per investitori stranieri che opera anche in Vietnam, India e Singapore. “Certo la cultura e lo
stile di vita cinesi sono molto diversi da quelli occidentali, ma io mi sono adattata facilmente a tutto. O quasi, perché in
effetti con il cibo locale non sono mai andata d’accordo”. Quest’ultima estate poi, rientrata in Italia per le vacanze,
tanto per non stare con le mani in mano Daniela va a Cesena per collaborare nel marketing e vendite con la
Technogym. “L’anno prossimo concluderò il master qui a Londra e poi punto agli States, a un dottorato ad Harvard. Se
la cosa non va in porto mi piacerebbe una società di consulenza, tipo la McKinsey per capirci”.

Oggi
Pronta per una nuova avventura: consulente in Vietnam
Un oggi molto vicino a “ieri” per Daniela, che comunque ha già trovato l’occasione per puntare a una altra meta
nel mondo. “Da giugno andrò per tre mesi in Vietnam, a Ho Chi Min City, a lavorare per una società di consulenza, la
Dezan Shira & Associates, e a scrivere la tesi finale del mio master”. E a cercare nuove proposte in altre parti del
mondo?
Daniele Canu

Ier i/O g g i (08 febbraio 2013)


Europa, Australia e America Latina. La carriera “very global” di Daniele
“Mi piacerebbe tornare, ma oggi le opportunità di lavoro e di carriera che si offrono qui sono imparagonabili con
quelle italiane”. Daniele Canu ha 26 anni e da un anno e mezzo lavora a Città del Messico, prima come stagista nella
sede locale di una banca cinese, la Uob Singapore, e ora in una società di finanziamento, la Smx Financial. L’approdo
di Daniele in America Latina, però, è passato prima per una serie di tappe in Europa e ben più lontano, perché anche
per lui come per molti altri giovani “emigranti”, l’estero è stato un obiettivo perseguito fin da giovanissimo. “Sono nato
a Trento e la mia prima tappa stabile fuori casa è stata tutta italiana: nel 2006 a Bologna per iniziare la laurea in
economia. Durante gli studi, però, mi sono dato da fare lavorando, prima tre mesi in un hotel a Trento e poi altri
quattro mesi dall’altra parte del mondo, in un albergo di Sidney dove ho migliorato l’inglese e dove ho fatto anche
esperienze di contabilità”. Tornato dall’Australia, mentre continuava gli studi di economia, Daniele si è poi candidato
per l’Erasmus in Portogallo, riuscendo a partire per Lisbona nel 2008. “A maggio del 2009, però, altro trasferimento,
verso la Germania, a Karslruhe per imparare il tedesco, e poi a Stoccarda per scrivere la tesi”. La laurea è arrivata nel
2010, ma subito Canu si è rimesso in viaggio: a Nancy in Francia per un master all’Icn business school. “Di nuovo, poi,
ho puntato sulla Germania, dove ho fatto un field work per una società di consulenza di Dortmund e mi sono
occupato di sviluppo di business plan”. In Germania, però, Daniele ha anche conosciuto una ragazza tedesca con cui
ha deciso di scommettere sul nuovo mondo: entrambi, ad agosto del 2011, sono volati a Città del Messico e hanno
trovato occupazioni promettenti.
GRUPPO 2: GLI “ASIATICI”
Francesco Grillo

Ier i (28 novembre 2008)


Dalla Cina alla Cina, passando per il Pakistan. La carriera asiatica di Francesco
Come riconvertirsi quando la via appena scelta non piace più. Anche e soprattutto da giovani, dopo la prima
esperienza lavorativa e per scommettere sulla carta estera. È la storia di Francesco Grillo, monzese oggi 31enne, una
laurea in giurisprudenza nel 2003, “perché entrambi i miei genitori sono avvocati”. Una scelta quasi obbligata ma che
non lo soddisfa: “Non avevo le idee chiare e, dopo i primi lavori, compreso quello in una società di consulenza con
contratti a progetto, ho scoperto due forti spinte che mi animavano, la voglia di andare all’estero e l’idea di rischiare un
po’ di più. Ma per farcela dovevo completamente rivedere il mio profilo professionale”. Prima con un bel po’ di buona
volontà e impegno – “Ho studiato le lingue e oggi parlo bene inglese, francese e spagnolo” - e poi la presa al volo
dell’occasione giusta: la frequenza di un corso di specializzazione sull’internazionalizzazione organizzato dall’Istituto
per il commercio estero a Strasburgo. “Il corso prevedeva uno study tour e così sono andato per quattro settimane in
Cina, alle quali sono seguiti quattro mesi di stage, due in Italia e due all’estero”. Lo stage era in un’impresa che, prima
di quel momento, Grillo non aveva mai sentito: la Landi Renzo con sede a Reggio Emilia. “Poi ho scoperto che era
un’azienda molto internazionalizzata, che era leader mondiale nei sistemi di alimentazione a gpl e metano per
autotrazione, e che stava per trasformare la sua presenza commerciale in Pakistan in una vera e propria filiale”. Così
per Grillo è arrivata la proposta irrefutabile: “Vuoi far partire tu la filiale?”. Ora è da due anni a Karachi, ha concluso lo
start up ed è diventato consigliere di amministrazione e direttore commerciale e marketing della società pakistana. E
per il futuro? “Credo nell’internazionalizzazione e nei Paesi emergenti, vorrei continuare a lavorare in quelle realtà”.

Oggi
Pronto per mettersi in proprio, sul fiume delle Perle
In Cina c’era stato per poco più di un mese al tempo degli studi, ma dopo il biennio di esperienza in Pakistan quel
paese è tornato ad allettarlo, con un’offerta che ha rilanciato la sua vita professionale, iniziata da direttore commerciale
a soli 29 anni a Karachi. La città del suo nuovo lavoro è un verdeggiante centro industriale di un milione e mezzo di
abitanti nel delta del fiume delle Perle, il terzo della Cina per lunghezza. “Sono lì da quattro anni, assunto come
direttore generale della filiale locale di un’azienda leader nella componentistica gpl, la Cavagna group di Brescia. Oltre
all’inglese, francese e spagnolo che già conoscevo, ora parlo anche un discreto cinese e un po’ di portoghese”.
Spaesamento per il salto da una parte all’altra dell’Asia? Difficoltà di relazioni con i locali? “Assolutamente no, anzi, ho
costruito un rapporto di fiducia e rispetto con i miei colleghi cinesi, andiamo spesso a cena fuori insieme e qualche
volta al karaoke. L’unico problema è che di solito finiscono ubriachi troppo presto”. Un buon lavoro, dunque, e ottimi
rapporti, ma a Francesco sembra cominciare a pesare l’attività da dipendente. “Ho deciso, da maggio mi metto in
proprio. Aiuterò le aziende italiane del settore della meccanica e della siderurgia che vogliono espandersi nel mercato
cinese”.
Luca Verre

Ier i (6 febbraio 2009)


Luca, dalla Sila al Giappone: con (temporaneo?) approdo a Francoforte
“Ora ho 27 anni e da due lavoro ad Osaka, in Giappone. Prima ero stato per studio o lavoro a Parigi, Londra, Nizza
e Lione. Ma il mio vero passo coraggioso, quello che mi è costato il massimo sforzo e il massimo cambiamento, è stato
quando avevo 18 anni: finito il liceo ho abbandonato l’ ambiente rurale del mio paese sulla Sila in provincia di
Catanzaro e sono andato al Nord, ad iscrivermi al Politecnico di Milano”. Da quel momento per Luca Verre il
trasferimento da una città all’altra e l’Italia come luogo di transito sono diventati stile di vita. Nel 2002 la laurea
triennale in ingegneria elettronica, poi due anni di master all’Ecole Centrale de Lyon (con contorno di studio della
lingua giapponese), quindi lo stage a Parigi e, nel 2004, un’internship ad Osaka. Poi altro master in ingegneria fisica a
Milano e, da gennaio a novembre 2006, la tesi di laurea nei laboratori dell’Imperial College of London. “Neanche due
mesi dopo avevo già il mio primo lavoro per la Schneider Electric France, a Sophia Antipolis vicino a Nizza.
Un’occasione che mi era stata segnalata dal job advisor dell’Ecole Centrale de Lyon”. Verre parte come project manager
su alcuni progetti di automazione industriale, ma il suo lavoro in Francia è destinato ad essere breve. “Sì, perché dopo
soli nove mesi la Schneider mi ha spedito in missione ad Osaka”. Doveva essere un’esperienza transitoria, da chiudersi
alla fine del mese scorso. “Ma mi è stata data la possibilità di un primo passo di carriera, la responsabilità del
marketing per la gamma di Pc industriali. E così resterò nella filiale giapponese almeno fino a tutto il 2010”.

Oggi
Più responsabilità in Germania, ma sullo sfondo c’è la Svezia
Programma rispettato per Luca: dopo quasi quattro anni in Giappone a occuparsi di marketing è arrivata l’ora di
cambiare. Sempre all’estero, naturalmente. “Ancora nello stesso gruppo, Schneider Electric, ma con un passo avanti
nella carriera: all’inizio del 2011 mi hanno offerto la responsabilità per la strategia (definizione di nuovi prodotti,
acquisizioni, partnership) di una intera Business unit in Germania”. Inevitabile dunque il trasferimento, con moglie e
due figli piccoli, nei pressi di Francoforte.
Tutto a posto, dunque? Nuova e stabile vita borghese in una villetta unifamiliare? Non per Luca, che già pensa al
cambiamento e a nuovi spostamenti. “Intanto da settembre 2013 dovrei cominciare un Master in business
administration all’Insead di Fontainebleau vicino a Parigi. Poi valuterò alcune opzioni. La prima è di continuare a
lavorare in Schneider Electric in un ruolo più operativo ma con maggiori responsabilità manageriali”. Visto i precedenti
di irrequietezza, però, sembrano più probabili altre due alternative. “Una è di totale ribaltamento di industry: mi
piacerebbe lavorare in una società nonprofit su tematiche di sviluppo sostenibile, energy efficiency ed energy
management”. L’altra è la voglia di fare l’imprenditore. “Vorrei creare una start-up: ho un paio di idee da realizzare con
un mio amico del Politecnico post-doc dell’università di Orebro in Svezia”.
Simone Brunozzi

Ier i (8 gennaio 2010)


Ieri Assisi, domani Singapore, dopodomani San Francisco. Il viaggio di Simone nel lavoro
Da impiegato pubblico a Perugia a “technology evangelist” per Amazon, una sorta di profeta itinerante che porta
nel mondo la “novella” della multinazionale del commercio elettronico. Dal primo gennaio Simone Brunozzi, 32 anni,
è stato spedito da Amazon nella nuova sede di lavoro di Singapore, dopo due anni con base in Lussemburgo. “Ma
attualmente sono a Seattle, al quartier generale della società, dove sto partecipando a una serie di training e riunioni”.
Brunozzi è originario di Assisi e, in quella città, ha fatto prima il tecnico informatico per il Teatro Lyrick, poi si è messo
in proprio offrendo consulenze informatiche e infine, nel 2002, ha conseguito una laurea triennale in informatica.
“L’anno seguente ho vinto una borsa di studio alla Universiy of California di Irvine e, dal 2004, ho fatto il professore a
contratto all’Università di Perugia”. L’obiettivo, per Brunozzi, a quell’epoca sembra essere un lavoro stabile e sicuro,
meglio se in una struttura pubblica. L’occasione arriva nel 2006, quando vince un concorso e diventa responsabile reti
e sistemi dell’università per stranieri. “Ma quell’impiego, pur se super garantito, mi stava stretto e smaniavo per
scovare un’alternativa. Così, nel novembre del 2007, mentre visitavo una fiera del lavoro in Second Life, ho incontrato
Amazon”. Brunozzi va a colloquio virtuale con i responsabili del personale e poi deve sottoporsi ad altri 15 incontri
(sempre via web) prima di essere finalmente assunto nel marzo del 2008. “Mi sono trasferito in Lussemburgo e ho
cominciato a viaggiare per l’azienda in tutta l’Europa. Fino alla grande novità del 2010: destinazione Singapore”.

Oggi
Esperto “evangelista”, inviato di Amazon nella Silicon Valley
Due anni e mezzo in Cina sono stati una grande scuola per Simone, che ha incontrato una cultura e uno stile di
lavoro così lontani da quelli occidentali. “Per poi, da non molto, venir di nuovo rituffato nel centro dell’Occidente: nel
luglio del 2012 Amazon mi ha trasferito a San Francisco, come Senior technology Evangelist”. Teatro di lavoro la Silicon
Valley, il cuore della tecnologia informatica Usa. “Da quella sede mi occupo principalmente di startup proprio nella
Silicon Valley e a San Francisco”.
Stefania Welke e Andrea D’ippolito

Ier i (28 maggio 2010)


Stefania e Andrea, coniugi e colleghi: dai musical alle ceramiche cinesi
Verrebbe da dire galeotto fu Quasimodo. Quello di Notre Dame de Paris in versione musical, alla quale entrambi
lavoravano nel 2003 a Roma per la casa discografica Musiza, lei come “organization manager” e lui come stagista.
Dopo quell’incontro Stefania Welke e Andrea D’Ippolito prima si sono fidanzati e poi sposati. Venivano uno da
Campobasso e l’altra da San Benedetto del Tronto e ora, a 32 anni, si sono catapultati in una sede di lavoro tra le più
lontane possibili: a Foshan City nel Guangdong, nel sud della Cina. A spingerli verso l’avventura asiatica è stata lei
che, dopo la laurea in lingue a Bologna, nel 2002 era andata a Shanghai per un corso di cinese alla East China Normal
University. D’Ippolito invece s’era laureto a Campobasso in Economia aziendale e aveva frequentato il master in
Marketing management all’Aberdeen business school. “Dopo Musiza sono stato assunto alla Carrefour di Frosinone -
racconta D’Ippolito - esperienza per me fondamentale ma tanto intensa da annullare la vita familiare”. Evidentemente
il richiamo di Stefania che era rimasta a Roma è stato più forte e i due, così, si sono ricongiunti. “Per buttarci senza rete
in un’avventura internazionale - spiega lei - Abbiamo affittato casa su Internet e siamo partiti per Shanghai con la
speranza di costruire qualcosa per il futuro”. Le occasioni sono arrivate prima con l’assunzione alla Ip’s&Consulting,
una società di interior design presente in tutta l’Asia. “E in seguito - raccontano - con la Powergres, un’azienda
sassolese che commercializza piastrelle. Così ci siamo trasferiti nel Guangdong per realizzare lo start up, in joint
venture con il partner cinese Kito Ceramic Company. Società che, l’anno scorso, ci ha offerto di occuparci del loro
mercato europeo”. Così D’Ippolito è diventato direttore generale per l’Europa e Welke direttore marketing. “Entro fine
anno, però, ci avvicineremo all’Italia, lavoreremo con sede a Parigi”.

Oggi
Un ufficio a Pechino per importare il made in Italy
Il ritorno in Europa, avvenuto puntualmente alla fine del 2010, non è però durato che poco più di un anno, fino a
quando è arrivato il risultato dell’indagine antidumping: la comunità europea ha chiuso le porte all’importazione di
materiale ceramico cinese. “Così, inevitabilmente, la Kito Ceramic Company ha deciso di ridurre gli investimenti in
Europa e ha interrotto il progetto di Parigi”, spiega Andrea. A quel punto i due coniugi cercano altri sbocchi
professionali nuovamente in Cina, offrendo qualcosa che in Europa non possiedono ancora in molti: una consolidata
esperienza maturata in quel paese. “Così – continua Andrea - ho proposto il mio nominativo e il mio profilo ad alcuni
cacciatori di teste specializzati. Il risultato è stato l’accordo con Aertecnica, un’importante azienda italiana leader nel
suo settore, per prendere le redini della filiale cinese con l’obiettivo di sviluppare ulteriormente il suo mercato”.
Viaggio a ritroso, dunque, ma questa volta con meta la capitale del grande paese asiatico. “Mi sono trasferito con la
famiglia a Pechino, dove ora ho un ufficio con 15 persone che importa sul mercato cinese un prodotto cento per cento
made in Italy”. Con un ulteriore progetto d’espansione: aprire una nuova sede a Guangzhou (Canton), che sarà il
punto di riferimento per il mercato del Sud. “Lavoro con una clientela che realizza progetti residenziali di lusso,
immobili per uffici e hotel”.
Elena Mannoni

Ier i (18 giugno 2010)


Elena e il suo volo a Hong Kong passando per Londra e l’Australia
Esattamente due anni fa, nel giugno del 2008 quando aveva 24 anni, Elena Mannoni ha cambiato vita: da
neolaureata friulana a lavoratrice nell’avamposto cinese di Hong Kong. Ma il cammino verso il primo impiego in Asia
per Elena parte dalla passione per i viaggi. “Già quando avevo 14 anni e frequentavo la prima liceo, per migliorare il
mio inglese ho iniziato a trascorrere qualche settimana all’estero d’estate, prima a Londra in college e poi a Dublino
ospite di una famiglia. Ma l’esperienza che più ha influenzato le mie scelte è giunta quando avevo 17 anni: un
bimestre al Prendiville catholic college di Perth grazie a una borsa di studio di Intercultura”. La laurea specialistica in
Scienze internazionali e diplomatiche arriva nel marzo del 2008, ma durante l’università Elena non resta ferma in
Italia: prima un mese di studio all’Alliançe française di Parigi, poi un altro mese a Londra e infine ancora nella capitale
francese all’Inalco-Istitut national des langues et civilisations orientales con il programma Erasmus. “È stato lo studio
del mandarino ad aprirmi le porte d’Oriente. Ho presentato infatti la mia candidatura per il programma di stage
Assocamerestero-Crui presso la Camera di commercio Italiana in Hong Kong, e proprio il giorno successivo alla laurea
mi è stato comunicato che ero stata selezionata”. Uno stage che doveva durare tre mesi, ma che già nell’agosto 2008 si
conclude, perché Elena trova un’occasione in un’azienda locale di orologi, la Mpi Limited. “Sono diventata Customer
relationship officer, ma dopo soli 7 mesi ho ricevuto una nuova offerta di lavoro nel settore moda”. Così, da poco più
di un anno, Elena è Sales & marketing manager per la Kinta di Hong Kong, un' azienda in crescita di borse e piccola
pelletteria.

Oggi
Dalle borse ai giocattoli, per l’Italia made in China
Ormai Elena è “cinese” da quasi cinque anni e per ora non sembra avere il ritorno in patria tra le sue prospettive.
“Sono ancora ad Hong Kong ma non lavoro più per Kinta. Appena dopo la pubblicazione della mia storia sul Corriere,
infatti, e già con l’idea di cambiare lavoro, mi si è presentata una nuova opportunità presso una grande azienda
italiana: Giochi Preziosi”. Così, nel luglio 2010, Elena diventa assistente di uno degli executive manager di Giochi
Preziosi H.K. Ltd. “Lo affianco nell’attività di supervisione dei team che seguono lo sviluppo dei giocattoli per la prima
infanzia, il maschile e l’elettronica”. Giocattoli che poi verranno spediti verso l’Italia e le filiali europee del gruppo.
Italia made in China, cioè.
Daniele Solari

Ier i (8 ottobre 2010)


A 17 anni a Hong Kong e a 24 a Shanghai. Slancio cinese per la carriera di Daniele
Il suo legame con la Cina è nato molto presto, quando aveva solo 17 anni ed ebbe il coraggio, lui che era nato e
abitava nella provincia italiana, a Como, di accettare una borsa di studio di Intercultura per l’altra parte del mondo, a
Hong Kong. “Sono stato ospite per dodici mesi di una famiglia locale ed ho frequentato il quarto anno di liceo alla
Chinese international school”. Ora Daniele Solari ha 29 anni e, da cinque, vive e lavora stabilmente a Shanghai. “È una
città con la quale ho avuto un amore a prima vista e che mi ha contraccambiato offrendomi un lavoro di
responsabilità”. Un traguardo tuttavia raggiunto dopo un cammino, percorso per buona parte all’estero, di studi e di
tirocini non brevi. Prima la laurea in Scienze politiche internazionali all’università di Birmingham, poi il master in
Relazioni internazionali della Cina e del Medio Oriente alla School of oriental and African studies di Londra. “Finché
nel 2004 sono rientrato in Cina ancora in veste di studente, sponsorizzato dalla Fondazione Ermenegildo Zegna per
un progetto del Wwf Cina”. A cui segue il ritorno in Italia, dove Solari ottiene il diploma “Business in China”
dell’università Bocconi, che gli vale finalmente il primo vero lavoro. “È stato all’inizio del 2005, quando mi sono
definitivamente trasferito per aprire l’ufficio cinese della società di comunicazione Promoest”. Dal 2010, infine, in
seguito alla fusione di Promoest China con China Partner, il branch cinese della società di pubblicità Montangero &
Montangero, Daniele viene nominato Director of Operations. “La Cina di oggi è una realtà che si sviluppa, trasmette
energia e stimola le capacità creative. Qui un giovane trova spazi di crescita e per reinventarsi professionalmente molto
più ampi che non in Italia”.

Oggi
Da Pechino all’Italia: cammino inverso per businessmen locali
Da teenager era partito da Como verso la Cina e ora, poco più che trentenne, “mi faccio promotore del flusso
inverso: imprenditori cinesi in direzione dell’Italia”. Sì perché Daniele, ormai all’ottavo anno di vita a Shanghai, oggi è
Managing director di The Blenders Communications, che fa capo ad Alessandro Rosso, il maggior gruppo italiano nel
settore del marketing d’incentivazione, meeting ed eventi. “Mi occupo di organizzare viaggi d’affari e incentive per i
cinesi, oltre che di produrre eventi per multinazionali in Cina, da Swarovski a Nestlé ad altri”. Nel dicembre 2012, per
esempio, Daniele ha organizzato la più grande delegazione business cinese in Italia, formata da 80 aziende e
istituzioni. “Attualmente, poi, mi sto occupando dell’area Pubbliche relazioni di theMICAMshanghai, la principale fiera
mondiale della calzatura”.
Alice Laguardia

Ier i (27 aprile 2012)


Dalla Brianza a Pechino, via Madagascar. La carriera, tutta under 30, di Alice
“Il lavoro in Cina? Sembra che conti soprattutto la quantità: si è impegnati tutti i giorni e i weekend è come se non
esistessero. I miei colleghi, poi, non sorridono mai, salvo poi scatenarsi nel karaoke fino alle cinque di mattina quando
c’è qualcosa da celebrare, una pubblicazione scientifica piuttosto che un compleanno”. Alice Laguardia ha 29 anni, e
sei mesi fa è arrivata a Pechino per un dottorato alla Forestry University: uno studio sulla genetica dei leopardi che
durerà quattro anni. Ha ottenuto quel lavoro dandosi da fare online, dopo aver provato la strada degli Usa: “ma nelle
università americane, per colpa della crisi economica, non c’erano fondi per ricerche come la mia”. Così Alice ha
partecipato al bando cinese e ha vinto una borsa di studio del governo di Pechino. “Il mio primo soggiorno all’estero,
però, è stato tanti anni prima, quando frequentavo il liceo scientifico a Como e sono andata per sei mesi in Oregon per
perfezionare l’inglese”. Nata in Brianza a Vimercate, nel 2005 ha ottenuto una laurea triennale in Biotecnologie
veterinarie all’Università degli Studi di Milano e, nemmeno un anno dopo, era già in Madagascar come volontaria del
Wwf ad applicare microchip ai lemure. “È stato lì che mi sono innamorata degli animali selvatici e che m’è venuta l’idea
di approfondire gli studi sull’argomento. Così, appena rientrata in Italia, ero già pronta a ripartire per Edimburgo, dove
ho frequentato un master annuale in Biologia e conservazione della fauna selvatica alla Napier university”. Alla fine,
nel 2009 per Alice è arrivato un contratto a progetto della Zoological society of London, destinazione Gabon nel
Centrafrica come supervisore di una ricerca sulla popolazione dei gorilla. “Cosa farò dopo la Cina? Punto a una
posizione manageriale in un parco nazionale”.

Oggi
Borsa di studio per il dottorato, grazie al governo cinese
L’oggi di Alice è molto vicino a “ieri”, perché dall’inizio del suo dottorato in Cina è passato solo poco più di un
anno. “Lo concluderò qui a Pechino solo nel giugno del 2015, un’opportunità che mi è stata data dal governo cinese
con la borsa di studio Chinese Government Scholarship”.
Ambra Avenia

Ier i (14 settembre 2012)


Ambra, 25 anni, la ragazza del Sud che è volata a New York, Montreal e Shanghai
Ambra Avenia ha 25 anni, è originaria di Bari e si è laureata a Napoli in “Relazioni ed istituzioni dell’Asia e
dell’Africa”. Da un paio di mesi ha un compito insolito: portare un po’ di Trastevere nell’estremo oriente della Cina.
“Sono marketing manager presso il ristorante Sabatini di Shanghai”. Che è appunto una trattoria storica trasteverina
che ora ha due sedi nell’Impero del Centro: Hong Kong oltre che Shanghai. “Qui fa capo a investitori taiwanesi, ai quali
riferisco del mio operato direttamente in cinese”. Sì, perché Ambra, nonostante la giovane età, è ormai una veterana di
quell’idioma. “Prima ho studiato cinese all’università L' Orientale di Napoli e poi, tre anni fa, ho frequentato i corsi di
lingue semestrali della Shanghai international studies university”. Poco dopo, nel febbraio del 2010, Ambra è tornata
a Shanghai per un altro semestre intensivo di lingua cinese, questa volta alla Fudan university, l’ateneo in cui, da
settembre a dicembre del 2011, ha poi usufruito di una borsa di studio del governo cinese. “Il mio primo soggiorno
lungo all’estero è stato però quasi dieci anni fa quando, grazie al programma annuale di Intercultura, ho frequentato
la quarta liceo nel Missouri, alla Fort Zumwalt west high school”. Un’attrazione per l’Oltreoceano che si è riproposta
mentre studiava all’università, prima per una simulazione dei lavori dell’Onu a New York tramite il progetto National
model united nations e poi per quattro mesi in Canada all’Istituto italiano di cultura di Montreal. Ma l’attrazione
irresistibile per la Cina si è riproposta ad inizio 2012 per il primo lavoro dopo la laurea, un tirocinio presso la Camera
di commercio italiana a Shanghai che le ha aperto la strada per l’impiego attuale al Sabatini. E per il futuro? “Mi
piacerebbe lavorare nel campo dello sviluppo e del dialogo interculturale per una Ong”.

Oggi
Dal ristorante al design, Ambra rilancia in Cina
In sei mesi dalla ristorazione al design. È il rapido cammino di Ambra a Shanghai. “Il mio contratto con il Sabatini/
Brown Sugar Group è terminato nel dicembre 2012. Nel gennaio successivo, però, ho trovato un nuovo lavoro, ancora
come Marketing manager ma presso la compagnia di design e lifestyle Ma.Design”. È un’azienda che si occupa di
progettazione, design e art decò per abitazioni private, uffici e spazi commerciali. “Il mio compito è di aiutare nella
gestione delle relazioni nel mercato internazionale”.
Arianna Gellini

Ier i/O g g i (11 gennaio 2013)


Il passaggio a Est di Arianna in cerca di nuovi artisti a Hong Kong
La sua prima passione è stata per le lingue orientali, solo dopo è arrivata quella per l’arte. Ora però, a 28 anni,
Arianna Gellini è riuscita a compiere la sintesi per lei più coinvolgente: lavorare nel business dell’arte in una grande
città asiatica. “A partire dal 2010 e fino a pochi mesi fa ho lavorato come curatrice all’Osage Gallery di Hong Kong, una
delle più importanti dell’Asia e trampolino di lancio nel mondo per molti artisti del Continente. Ora sono codirettrice
alla galleria Exit, sempre ad Hong Kong”. Il viaggio di Arianna verso Oriente è partito da Faenza, la città della provincia
romagnola dove è nata e da cui si è staccata per la prima volta quando è arrivato il momento di andare all’università:
trasferimento a Venezia e laurea triennale in Lingue, culture e società dell'Asia Orientale. Durante il triennio, però,
Arianna non è rimasta ferma nella città lagunare. “Ho cominciato a conoscere la realtà cinese, prima con un soggiorno-
studio presso una famiglia di Pechino, l’anno successivo con un corso di lingua all’università Beijing WaiGouYu DaXue
e infine, nel 2006, a Nanchino alla ShiFan DaXue”. Due anni dopo la laurea, nel 2009, Arianna scopre la vocazione
per le arti e decide così di puntare in quella direzione frequentando il Master in Arte contemporanea al Sotheby’s
institute of art di Singapore, un’attività che l’ha anche condotta a compiere ricerche di studio in Indonesia ed Australia.
“Nei due anni tra la laurea triennale e il master avevo già cominciato a lavorare come interprete per diverse aziende
italiane in Cina e, nel 2088, per le olimpiadi di Pechino. Ma è stato il master che mi ha permesso di incontrare diverse
persone del mondo dell’arte del Sudest asiatico, fino alla proposta di lavoro alla Osage gallery. Lavoro interessante ma
impegnativo: Hong Kong non si ferma mai e le gallerie sono aperte anche nei week end”.
Valentina Preti

Ier i/O g g i (8 marzo 2013)


Valentina, curriculum “made in Asia”. Con la predilizione per Shanghai
Obiettivi per il futuro? “Continuare a lavorare nella progettazione della sostenibilità ambientale, ma in paesi come
Laos o Birmania, dove credo si concentreranno le sfide del futuro in Asia”. Per ora Valentina Preti, 30 anni, resta in
Cina. È lì da sette mesi e fa l’Urban designer per la filiale di Shanghai della multinazionale australiana Hassel design
consulting. Nata a Correggio vicino a Reggio Emilia, si è laureata in architettura al Politecnico di Milano e subito ha
cominciato a collaborare da libera professionista con piccoli studi. “Purtroppo però la maggior parte del tempo andava
via per adempiere alle questioni burocratiche invece che per la progettazione”.
Ecco allora la decisione di riprendere a studiare puntando sulla sua passione: l'ambiente. La scelta va sulla Iuss di
Pavia, la scuola superiore universitaria che offre un master internazionale in “Valutazione ambientale e gestione
integrata delle aree urbane”. “È un corso che prevede tre semestri a Shanghai e uno di stage a Milano: l’ho terminato
nel giugno scorso. È stato in quei due anni che ho acquisito sia le competenze sulla progettazione legata alla
sostenibilità, sia un’adeguata conoscenza della cultura e della società cinese”. Più, naturalmente, le qualità necessarie
per l’assunzione alla Hassel. “Ai giovani architetti do un consiglio: puntate sull’Asia, ci sono corporation di grandi
dimensioni che offrono opportunità di crescita professionale e buone condizioni economiche”.
Adelaide Begalli

Ier i/O g g i (19 aprile 2013)


Dalle lingue al design per le auto. Il percorso di Adelaide verso il Giappone
Per prima è arrivata l’attrazione per le lingue, un richiamo che sorgeva da un desiderio più profondo: viaggiare per
il mondo. Poi è venuta la scoperta delle sue capacità nel disegno e nella fotografia. Ora infine, Adelaide Begalli, 25
anni, ha trovato la sua vera affermazione: il design. “Beh, non proprio sotto casa mia nel Valpolicella. Diciamo
qualcosa come 10 mila chilometri più ad est. In Giappone”.
Adelaide già alle medie studia inglese e tedesco e poi, al liceo linguistico a Verona, anche lo spagnolo. “Proprio
quando ero alle medie avevo chiesto ai miei genitori, appena possibile, di farmi andare all’estero per studiare”. Detto
fatto, perché una volta arrivata al Linguistico va per un anno in Scozia alla Lornshill Academy. “È in quel periodo che
ho scoperto nuovi linguaggi, della fotografia e del disegno”.
Terminato il liceo in Italia Adelaide si prende un anno di riflessione per capire cosa fare poi. Ma non sta ad oziare:
fa l’istruttrice di nuoto e la volontaria alla Croce Bianca. Nel 2007, quindi, si iscrive al corso di Fashion design dello Ied
Moda di Milano che, con il suo Exchange program, la invia per quattro mesi a studiare in Finlandia. “Sempre attraverso
lo Ied, nel 2010, sono entrata in contatto con Toyota Boshoku e poi selezionata per uno stage di due mesi nel suo
ufficio design in Giappone”. Che si è trasformato un anno dopo in assunzione. “Come si lavora nell’impero del Sol
Levante? Occorre adattarsi a giornate d’attività molto lunghe e alle cerimoniosa importanza delle gerarchie aziendali.
Ma gli sforzi sono ripagati da un buon lavoro di squadra e da risultati eccellenti, grazie alla perseveranza e al metodo
giapponesi”.
GRUPPO 3: GLI OCEANICI
Sara Bezzan

Ier i (30 settembre 2011)


La scelta controcorrente di Sara. Lasciare tutto per gli antipodi
Decidere in una sera di lasciare tutto, luoghi di vita, abitudini, famiglia, un lavoro (quasi) sicuro. E trasferirsi da
Lissone, comune di mobilieri brianzoli, alle sabbie bianche australiane di Manly Beach, 30 minuti di ferry dal centro di
Sydney. Lo ha fatto nel luglio di un anno fa Sara Bezzan, 25 anni, laurea in pubbliche relazioni allo Iulm, oggi “Order
coordinator” di Billabong, azienda di articoli sportivi che più australiana di così non si può: vende tavole da surf. “La
pazza idea mi è venuta una sera d’aprile del 2010 mentre ero a cena a Milano con un amico. Mi lamento un po’ della
situazione di lavoro, lui concorda e io alla fine la butto lì: vado in Australia”. Detto fatto perché già il mese dopo Sara
trova uno stage (non retribuito) come “Brand management Pr” proprio a Manly. Il tempo di reperire i biglietti d’aereo e
a luglio già parte per l’Australia. “Con il Working holiday visa: se hai dai 18 ai 30 anni puoi lavorare per sei mesi e in
più viaggiare”. E pensare che proprio il giorno prima era arrivato il rinnovo del contratto temporaneo che aveva alla
Samsung Italia, con buone prospettive di conferma a tempo indeterminato. “Ho detto no, e tutti mi hanno dato della
scellerata”. Ma l’Australia, per Sara, non è stata per niente facile: soggiorno per tre mesi in una camera senza finestre a
250 dollari la settimana, lavoro in un ristorante sette giorni su sette per pagarsi l’affitto, tre mesi di lavoro in una farm
a raccogliere olive e strappare erbacce dormendo la notte con un materasso sul pavimento. “Perché se non avessi fatto
quel lavoro non avrei più potuto rinnovare il mio working holiday visa”. È così che Sara, con il nuovo visto, può tirare il
fiato fino ad ottenere l’attuale impiego in Billabong. “Certo, l’Italia mi manca, ma che prospettive avrei? Basti pensare
che qui un dipendente medio guadagna almeno 800 dollari la settimana”.

Oggi
Da Sidney a Perth, continua il fascino dell’Australia
“Sì, sono ancora in Australia, ma 4 mila chilometri più a ovest”. Dopo tre anni dall’altra parte del mondo Sara è
ancora entusiasta della sua scelta, anche se non vive più a Manly Beach, una delle più belle spiagge del pianeta. “Ora
sono a Perth, per cambiare un’altra volta, spinta dalla voglia di vedere quella costa inesplorata”. La rinnovata sete
d’avventura è scattata alla fine di febbraio del 2012, quando il contratto di Sara con Billabong è terminato causa le
restrizioni del visto Working Holiday Visa , che permette di lavorare non più di sei mesi per lo stesso datore di lavoro.
“Inoltre la mia casa, vecchia ma con un giardino immenso e una vista da Mille e una notte, era destinata alla
demolizione. Così ho accolto l’invito di una mia amica di Perth e sono volata da lei”.
Due giorni dopo il suo arrivo Sara trova lavoro in un negozio di Prada come Sales manager. Poi però, mentre inizia
a studiare Marketing management, cambia e diventa Brand e Project manager per Amiracle, un nuovo brand made in
Italy nato appena cinque mesi prima. “Certo, il mio arrivo a Perth, è stato uno choc emotivo. È una città estremamente
diversa da Sydney, molto più tranquilla e isolata: per raggiungere il posto più vicino per un weekend fuori porta,
Margaret River, devi sobbarcarti 350 chilometri. A Perth le spiagge sono lunghe, l’oceano è totalmente diverso dal mare
tasmaniano, più freddo, e i continui allarmi “attenti allo squalo” non ti fanno certo sentire sicura quando fai il bagno
in quelle acque”. E per Sara non solo è cambiato il lavoro, ma anche lo stile di vita. “Non più la stravaganza delle
nottate di Sydney a Oxford street, niente più notti intere senza dormire: a Perth i locali restano aperti al massimo fino a
mezzanotte. Ma l’Australia è comunque un paese dove è bello vivere, è sicuro e sereno, le persone ti sorridono e ti
chiedono come stai anche se non ti conoscono”. E per far capire ai suoi coetanei che tipo di vita aspetta chi sceglie
l’Australia, Sara racconta altri particolari del quotidiano. “È il paese dove le amicizie sono internazionali e si fanno
solide in pochissimo tempo, dove avocado, tost e pepe diventano la tua colazione preferita, dove l’espresso viene
sostituito dal flat white di soya, dove la migliore pizza la fai con le tue mani e al ristorante vai solo per assaporare la
cucina asiatica (la più economica), dove la malinconia e il pensiero di casa ti rattristano spesso ma poi prendi la
bicicletta, vai davanti all’oceano e capisci che è qui che vuoi stare”. In conclusione, il consiglio per i giovani che cercano
lavoro all’estero è di puntare sull’Australia? “Beh, non in modo incondizionato. Bisogna sapere che qui non c’è
l’Eldorado, che non basta arrivare, e ne arrivano tanti di italiani, per diventare ricchi. Il grande boom, infatti, si sta
esaurendo”.
Francesca Mottola

Ier i (16 dicembre 2011)


Il volo australiano di Francesca grazie al visto misto “lavoro-vacanza”
L’Australia è stata per lei la fuga da contratti italiani sempre precari, ma soprattutto la realizzazione di un sogno
inseguito con passione e - almeno secondo chi le era più vicino - anche con un po’ di irresponsabilità. “Volevo vedere i
canguri, i koala, fare surf e vivere a Bondi Beach. Così ho lasciato tutto, i genitori dispiaciutissimi, il fidanzato e un
impiego che, pur se temporaneo, avrebbe potuto stabilizzarsi”. Francesca Mottola ha fatto il grande salto verso Sydney
poco più di un anno fa, quando ancora aveva 29 anni. Fino a quel momento in Italia il lavoro non le era mancato, ma
sempre come cococo e con continue scadenze e speranze di rinnovo. “Sono nata a Milano e lì mi sono diplomata al
liceo artistico. La mia conoscenza delle lingue, però, era insoddisfacente e così nel 1999 sono andata per un anno a
Londra dove ho conseguito il First Certificate di Cambridge". Tornata a Milano, Francesca ha lavorato come Producer
presso diverse agenzie e case di produzione. “Ma sempre con contratti di collaborazione, tutti di tre mesi in tre mesi.
Così sono passati gli anni e il massimo della conquista è stato un contratto di sei mesi e poi ancora sei mesi come
assistant di un partner in un’azienda internazionale. Con la promessa di una futura stabilizzazione “. A quel punto,
era il settembre del 2010, la decisione, la partenza, l’approdo a Sydney con un Work holiday visa, il lavoro come
babysitter e come commessa in un punto vendita. “Quest’ultimo l’ho trovato come si usa qui, entrando a chiedere di
negozio in negozio. Contemporaneamente, però, ho iniziato una terza attività, più gratificante e più vicina alle mie
competenze: partnership manager di 11Eleven Project, un progetto mondiale non profit che punta a far percepire il
nostro pianeta come un’entità unica”.

Oggi
L’idea di un film e il master all’Australian College
Il progetto 11Eleven è andato avanti e, nel suo sviluppo, Francesca ha cambiato ruolo, diventando Post Producer
con il compito di coordinare montaggio e finalizzazione di un film, uscito come indipendente nelle sale l’undici
novembre del 2012.
“Terminato quel lavoro ho deciso di dedicarmi, ancora a Sydney, a un mio progetto personale, sempre per la
realizzazione di un film e di prendermi un periodo di pausa”. Uno stop solo dal lavoro dipendente, visto che Francesca
ora si è anche iscritta a un master, l’Advance Diploma in Marketing , dell’Australian Pacific College di Sydney. “Finirò
nell’agosto del 2014, poi vedrò cosa fare”.
Giuseppe Vestrucci

Ier i (10 febbraio 2012)


Pianificare una carriera a medio termine? A Perth, Australia occidentale, si può
Almeno 50 piani. È l’altezza delle torri che, Giuseppe Vestrucci, da poco più di un anno è andato a costruire in
Australia. “Non sarò mai grato abbastanza a questo paese per l’opportunità che mi ha dato. In Italia, visto lo stallo
totale dell’architettura, non avrei mai potuto pianificare la mia carriera come qui, almeno a medio termine”. Una
considerazione che spiega l’emigrazione di tanti talenti ma che, nel caso di Vestrucci, non significa giudicare il nostro
Paese incapace di offrire chance formative nel settore. “Anzi, devo dire che l’opportunità australiana è nata proprio
grazie all’esperienza che ho maturato in studi italiani dalto livello. E grazie a una formazione universitaria che in Italia è
più completa e multitasking che altrove”. Originario di Forlì, Vestrucci ha conseguito nel 2004 la laurea magistrale in
architettura all’università di Firenze. “Subito dopo, quando avevo 26 anni, mi sono trasferito a Londra per lavorare con
Claudio Silvestrin Architects, ma l’anno dopo ero già a Milano a collaborare con lo studio leader di Antonio Citterio and
partners”. Due anni e poi di nuovo uno studio italiano di fama internazionale, a Roma con Massimiliano Fuksas.
“Grandi scuole, ma mi stava stretta la forma contrattuale, collaborazione con partita Iva, che non mi garantiva
prospettive vista la quasi impossibilità di aprire uno studio proprio. Così ho puntato su un grande network
internazionale”. È la fine del 2010 e Vestrucci approda a Perth, nell’Australia occidentale, dove il boom minerario sta
attirando capitali e professionisti dal mondo, soprattutto Cina e Stati Uniti. “Da allora lavoro con Hassel, 12 studios nel
mondo con una media di 150 persone per ufficio. Sono designer e project architect e mi occupo soprattutto di progetti
high-rise, torri per uffici e torri-hotel di oltre 140 metri d’altezza”.

Oggi
A breve il visto permanente, ma l’economia rallenta
La difficoltà, in Australia, è di ottenere un visto permanente e su questo Giuseppe sta concentrandosi poiché la
sua carriera “progettata” nel 2010 ora sta procedendo. “A settembre del 2012 ho cambiato impiego: ora lavoro ancora
a Perth ma con WB-Woods Bagot, lo studio di architettura più grande di questo continente. Il passaggio non è stato
semplice per via dei visti, per questo sto preparando i documenti per ottenere il visto permanente che mi permetterà di
avere la residenza e non dover esser legato ad uno sponsor per restare qui”. Giuseppe si occupa ancora del design e
dello sviluppo degli high-rise e dal Natale 2012 è impegnato full-time nell’Aereoporto internazionale di Perth, che WB
sta riprogettando e ampliando per conto del governo del Western Australia.
Giuseppe però segnala che la situazione non è più vivacissima come qualche tempo fa. “L’economia ha avuto un
rallentamento, a fine agosto 2012, che si è protratto fino a quando ci sono state le elezioni di stato che hanno
riconfermato la vittoria dei Liberal. Ciò dovrebbe garantire una continuità con le politiche precedenti permettendo,
spero, una riattivazione del mercato”. Nonostante la frenata, però, l’immigrazione di talenti continua. “Vedo arrivare
sempre più persone di tutte le età, ma la netta maggioranza è di giovani decisamente under 30”.
Elisa Chieno

Ier i (23 novembre 2012)


A 24 anni è già una viaggiatrice veterana. Dalla Gran Bretagna fino agli antipodi
Tra pochi giorni partirà per la Cina, alla fiera di Canton per il “Guangzhou international food&beverage trade
show”. Da un continente all’altro, da un Paese lontanissimo dal nostro come la Nuova Zelanda, all’ex Impero del
centro. Perché anche se Elisa Chieno ha solo 24 anni è già una globetrotter dello studio e, seppure ai primi passi, del
lavoro. “Ci andrò in rappresentanza dell’Iccnz, l’Italian chamber of commerce in New Zeland, e come supporto alle
aziende neozelandesi partecipanti”. Elisa è nata a Milano e lì ha compiuto la maggior parte dei suoi studi. “Però
l’attrazione verso l’estero è stata precoce, già dalla prima media ho cominciato a trascorrere qualche settimana in Gran
Bretagna per migliorare l’inglese. Ma la prima esperienza di lungo termine è arrivata al quarto anno di liceo, quando,
grazie a un programma di scambio internazionale, ho trascorso sette mesi nella scuola di Christchurch nell’isola del
Sud della Nuova Zelanda”. Poi è venuta l’iscrizione alla laurea triennale della Bocconi in International economics and
management, un corso full inglese rivolto a una selezione di studenti di tutto il mondo. “Contemporaneamente nel
2009 ho trascorso un’estate alla Tsinghua university di Pechino per un campus abroad”. Elisa, poi, è stata selezionata
per il programma Cems, un master in International management nato dall’alleanza delle principali università
commerciali del mondo, con una trasferta di sei mesi all’università Hec di Parigi. “Nello stesso tempo, sempre alla
Bocconi, ho frequentato la laurea specialistica in International management che ho appena concluso”. Così, nel
giugno scorso, Elisa è tornata in Nuova Zelanda per uno stage all’Iccnz, riuscendo anche ad infilare, nell’estate, una
puntata a Monaco di Baviera per un corso di tedesco. Rimpianti in un curriculum internazionale? “La distanza dalla
famiglia e la difficoltà per i costi di vitto, alloggio e trasporti”.

Oggi
Consulenza o marketing, i progetti neozelandesi di Elisa
Evidentemente per Elisa l’aria della Nuova Zelanda è diventata familiare e la voglia di scommettere su quel paese
non si è ancora esaurita. “Lo stage alla Camera di Commercio italiana in Nuova Zelanda si è concluso a fine dicembre
del 2012, ma da gennaio l’internship si è trasformata in un contratto di consulenza”. Ma i progetti neozelandesi di
Elisa non si fermano ad una propaggine italiana all’estero e spaziano verso il “mare aperto” del mercato del lavoro. “Il
mio progetto è di trovare, entro giugno, un impiego nel settore del marketing o, ancora, della consulenza”. E, viste le
premesse, per lei non dovrebbe essere una meta difficile da raggiungere.
Alessandra Alessio

Ier i/O g g i (25 gennaio 2013)


Dal liceo di Bergamo alla Google a Sydney. La carriera intercontinentale di Alessandra
Giovani italiani indolenti? E se uno avesse un impiego sicuro in Italia e si facesse trasferire dall’altra parte del
mondo, si potrebbe dargli del pigro? È il caso di Alessandra Alessio, 27 anni, nata a Bergamo e da quattro mesi a
Sydney, Australia, a lavorare per Google. “La passione per le mete lontane e per i viaggi ce l’ho sin da piccola, così a 17
anni, appena ne ho avuta l’opportunità, ho lasciato il liceo linguistico di Bergamo e sono andata per un anno a
studiare negli Stati Uniti”. L’occasione che la porta in una scuola dello Utah è la vincita di una borsa di studio di
Intercultura nel 2002. Due anni dopo, per l’università, punta su Milano, alla Bocconi per la laurea triennale in
International economics and management. “Che mi ha dato un’altra opportunità di viaggio: al secondo anno un
semestre di studi a Dubai, alla American university. Dopo la triennale l’idea era di proseguire gli studi all’estero, ma il
problema erano i soldi”. Non un vero impedimento quando si hanno le doti per vincere un’altra borsa di studio, un
finanziamento completo per due anni a Rotterdam in Olanda, per conseguire il master Cems in International
management alla Rsm Erasmus university. E con in mezzo una “capatina”, nella primavera del 2008, in Belgio per un
programma di scambio, alla Université catholique di Louvain. “Per tutto il periodo dell’università, sia quand’ero in
Italia che all’estero, ho però sempre lavorato come interprete durante le fiere e, nel poco tempo libero, come
assistente bagnanti in piscina”. Terminati gli studi nel 2009 arriva subito l’offerta di Google: in Irlanda come Account
associate. Un anno dopo il ritorno in Italia, a Milano, sempre con Google ma come Account strategist. Finalmente
stabile e in patria, dunque? Non per Alessandra, che nel settembre scorso sceglie gli antipodi e diventa Account
manager a Sydney.
GRUPPO 4: MAL D’AFRICA E DI DESERTO
Emanuele Santi

Ier i (5 febbraio 2010)


Emanuele, l’economista di Tunisi. Lo sprint? Sei lingue nel curriculum
“Ho appena imparato il portoghese, ma già parlavo inglese, francese, tedesco e spagnolo. Ecco, credo che la vera
differenza per trovare il lavoro che mi piaceva l’abbia fatta proprio la mia conoscenze delle lingue. Certo ci ho investito
molto, con corsi serali, soggiorni all’estero e amicizie internazionali”. Emanuele Santi ha 33 anni, ma già da 10 lavora
all’estero nella cooperazione allo sviluppo, prima a Washington alla Banca Mondiale per 8 anni e ora a Tunisi alla
Banca Africana di sviluppo, come economista che cura i programmi e le strategie per l’Africa del Nord. “Il mio primo
vero lancio verso l’estero, però, è stato merito dei miei genitori. Avevo 17 anni e studiavo in un liceo scientifico di Roma,
la mia città, loro mi hanno incoraggiato ad andare a frequentare il quarto anno negli Stati Uniti, aderendo a un
programma di scambio”. Il 1998, poi, l’anno prima di laurearsi in Scienze politiche, Santi l’ha passato a Vienna con il
programma Erasmus. La sua formazione è quindi proseguita con due master, prima in economia a Roma Tor Vergata e
poi di nuovo all’estero, in Belgio, in Studi economici europei al collegio d’Europa di Bruges. “Era il 2001 e dopo molta
perseveranza a colpi di curricula inviati, incontri, telefonate, grazie a un contatto fortunato fornito da un mio
professore, ho ottenuto prima una consulenza e dopo pochi mesi un contratto stabile alla Banca Mondiale di
Washington”. Ritagliando anche il tempo per conseguire, nel 2005, un dottorato in Politiche dello sviluppo presso
l’università di Trieste. “Ora, da Tunisi, posso fare un bilancio delle mie esperienze: gli Stati Uniti mi hanno insegnato a
credere in me, a sapermi vendere, mentre l’Africa mi ha dato la voglia e la passione di migliorarmi continuamente, per
agire contro le ingiustizie del continente”.

Oggi
Alla Banca Africana, per aiutare il nuovo corso tunisino
Emanuele, appena passato da una grande organizzazione, la World Bank, alla più piccola Banca Africana di
sviluppo, trova occasioni di lavoro ancor più stimolanti. Il suo ruolo: esperto di governance, incaricato di un
promuovere la lotta contro la corruzione. “Inoltre dovevo occuparmi del miglioramento del clima d’investimento in
Mozambico e Tanzania, oltre che di aiutare le Seychelles con un programma di sostegno alla bilancia dei pagamenti
che, alla fine, ha permesso al paese di pagare la salatissima fattura energetica e di rilanciare l’economia ”.
Un risultato che lo fa promuovere al dipartimento dell’Africa del Nord per aiutare la ricapitalizzazione della Banca
Africana. Nel gennaio 2011, poi, appena cominciato ad occuparsi della Tunisia come economista specializzato su quel
Paese, vive in diretta la nascente rivoluzione. “Abitavo a due passi dal palazzo presidenziale e così sono diventato
osservatore e, grazie al mio lavoro, protagonista della nuova Tunisia ”. E alla fine, assieme alla moglie e con una rete di
amici, artisti, blogger e giornalisti, scrive un libro che racchiude i suoi ricordi e racconta i 30 giorni della rivoluzione :
Non ho più paura.
Martina Starace

Ier i (11 maggio 2012)


Mal d’Africa, carriera e solidarietà. La strada di Martina da Napoli all’Uganda
Il “mal d’Africa” può essere anche un’occasione di lavoro. È successo a Martina Starace, 29enne napoletana, oggi
Regional manager di Nacwola (National community of women living with Aids) nel nord dell’Uganda. “Coordino tutti i
progetti della Ong nella regione, con l’obiettivo di prevenire la diffusione del virus e di affermare i diritti della
popolazione locale uscita da pochi anni dalla guerra”. Un approdo che forse, Martina, non prevedeva affatto quando
aveva in mente di fare la diplomatica iscrivendosi all’Istituto orientale di Napoli per studiare “Relazioni internazionali”.
“Ma di voler puntare sull’apertura mentale che dà il cosmopolitismo l’avevo già capito durante il liceo, quando, grazie
a una borsa di Intercultura, sono stata per due mesi presso una famiglia australiana. Ho scoperto che non avevo paura
di partire da sola per paesi lontani”. Ma i prodromi del mal d’Africa di Martina sono inaspettatamente partiti da Parigi
dove, nel 2003-2004, s’era recata per l’Erasmus. “Giravo spesso per le vie del quartiere africano ed ero affascinata dalla
loro musica e dai colori dei vestiti”. Ecco allora la decisione di partire per la Tanzania (della quale aveva studiato la
lingua ufficiale, lo Swahili) finendo in un piccolo villaggio sul lago Vittoria a 30 ore di pullman da Dar-es-Salam, a
raccogliere fondi per aprire un asilo e a preparare la tesi. Dopo la laurea triennale è stato il momento di uno stage a
Kampala presso l’ambasciata italiana. “Ho annusato il mondo diplomatico e ho capito che era una vita che non mi
apparteneva. Così questa volta sono partita per l’Olanda per un master biennale di ricerca sull’Africa”. Ma finiti gli
studi è rispuntata la nostalgia africana: di nuovo l’Uganda, prima da volontaria e infine come dipendente di Nacwola.
“Lo stipendio è basso, ma sto imparando tantissimo”.

Oggi
La scelta africana che forma e gratifica
La scelta di lavoro di Martina continua ad essere tutta puntata sul versante della solidarietà, a Lira in Uganda. Così
la sua attività, che non permette certo lauti guadagni, dona però molta gratificazione. “E anche un notevole
insegnamento professionale per il settore in cui sto operando e voglio operare nel futuro”.
Graziano Bevilacqua

Ier i (12 ottobre 2012)


La scelta di Graziano, 24 anni, ingegnere: lasciare l’Italia per il deserto arabico
Graziano Bevilacqua ha solo 24 anni e in questo momento si trova nel mezzo del deserto arabico, a 200 chilometri
da Abu Dhabi. È nato a Caltagirone in provincia di Catania ed è finito a lavorare nel cuore degli Emirati Arabi poco
dopo la laurea in ingegneria gestionale. Un traguardo conquistato già con un bel distacco dalla sua terra, perché
l'università, la Liuc di Castellanza vicino a Varese, non era certo prossima a casa. “Il deserto, però, è tutto un altro
mondo. Si lavora spesso anche nel ‘tempo libero’ e progettare di farsi una passeggiata rilassante è impensabile visto il
caldo che fa. Così, negli Emirati, la maggior parte della giornata si svolge all’interno dei pur lussuosi edifici. E poi tutto
lo stile di vita è molto lontano dalla nostra cultura: dalla religione alla visione della donna alla cucina. Nonostante ciò
sono contento, perché nel lavoro qui si cresce rapidamente”. Graziano lavora come Project manager engineer in un
cantiere della Saipem del gruppo Eni. Ci è arrivato dopo le delusioni accumulate nei primi approcci al mercato del
lavoro italiano. “Il massimo che ti offrono le aziende in Italia è qualche stage con magri rimborsi spese e senza
possibilità di ottenere qualche vero progresso professionale”. E in effetti Graziano di stage ne ha già fatti tre, il primo di
sei mesi obbligatorio per realizzare la tesi, in un’azienda in provincia di Varese, gli altri due di cinque e quattro mesi,
l’ultimo a Gela, nella sua regione d’origine. “Così, poco prima di laurearmi, ho cominciato a fare colloqui e a
rispondere a molti annunci, fino a che ho incrociato Saipem. Per la selezione all’inizio mi hanno sondato con
telefonate motivazionali, poi due colloqui diretti e, infine, eccomi qui, approdato negli Emirati”. E per il futuro? “Ho un
contratto di due anni, ma mi piacerebbe far carriera in questa azienda”.

Oggi
Lavoro isolato ma grandi opportunità professionali
Il suo contratto con Saipem è ancora in corso e Graziano continua a vedere in quell’azienda un’ottima occasione
di sviluppo professionale. “Certo vivere in un campo in pieno deserto non è facilissimo, ma questa mi sta dando una
grandissima opportunità, come la sta dando a tanti altri giovani come me”.
GRUPPO 5: I FAN DELLA GRANDE MELA
Simone Iacopini

Ier i (15 ottobre 2010)


Simone, il funzionario diventato sommelier. Con un lavoro tra i wine bar di New York
Quando un corso da sommelier apre più porte di un Mba, un master in business administration. Capita a Simone
Iacopini, 28 anni, torinese, da fine luglio Key account dell’azienda vitivinicola friulana Lis Neris: base a New York e
rappresentanza per il mercato locale. “Seguo ristoranti, wine bar ed enoteche, così realizzo il mio sogno di lavorare in
America e nel settore del vino in particolare, dopo essere diventato per passione sommelier”. In effetti il punto di
partenza di Simone indicava tutt’altra direzione, anche se il primo piede negli Usa l’aveva già messo quando aveva solo
16 anni. “I miei genitori mi avevano inserito in un programma di scambio internazionale. Sono partito molto
angosciato ma per fortuna la famiglia ospite mi ha rincuorato. A quel punto ho scoperto e molto apprezzato la
struttura scolastica americana e così, dopo il diploma di ragioniere in Italia, ho deciso di frequentare l’università negli
Usa”. Nel 2000 Simone è all’American university di Washington e dopo quattro anni si laurea in International
relations. Trovare un lavoro nella diplomazia, però, è difficile, così rientra in Italia e va a Trieste per il Master in
business administration del Mib. “Appena finito ho trovato lavoro a Milano: funzionario commerciale alla Indesit.
Un’esperienza entusiasmante, ma avevo voglia di tentare altre vie. Così sono stato assunto come area manager per il
centro-sud da uno dei marchi di “Panariagroup industrie ceramiche”. Dopo tre anni, nel 2010, ero molto insoddisfatto
e quindi, quasi per gioco, ho deciso di prendere il diploma di sommelier”. Un’occasione per inviare 200 curricula e
attendere speranzoso. Arrivano però solo 12 risposte, 11 delle quali negative. La dodicesima, finalmente, è quella
buona: viene dalla Lis Neris e gli apre le porte di New York.

Oggi
“Resto perché qui vince la meritocrazia, non le raccomandazioni”
“Molti non sanno che vivere negli Stati Uniti è legato all’avere un visto che permetta di lavorare per un lungo
periodo di tempo. Proprio per questo io ho vissuto con grande ansia gli ultimi mesi con Lis Neris, per la paura di
perdere il visto e di dover rientrare in Italia”. Sì perché Simone non aveva e non ha nessuna intenzione di rientrare,
tanto più che il suo lavoro di diffusione dei vini italiani ancora lo appassiona molto. “Ho lavorato per Lis Neris fine a
Marzo 2011. È stata un’esperienza assolutamente positiva che mi ha fatto acquisire un know-how generale di
conoscenze nel mondo della ristorazione locale”. C’era però un “ma”, che secondo Simone bloccava la sua carriera.
“Vendere un solo vino a Manhattan è molto difficile. Quando un ristorante ha assaggiato i tuoi vini vorrebbe ricevere
altre proposte. Io però avevo un portafoglio di soli vini friulani e così non potevo espandere le mie vendite”.
Era l’Aprile del 2011 e a quel punto Simone prende una decisione: cercare un’opportunità di lavoro che offra
migliori prospettive di sviluppo. “E da quel momento la mia vita lavorativa a New York è mutata grazie all’offerta di
impiego di Vias Imports, un grosso importatore e distributore di vini, soprattutto italiani, con una consolidata
tradizione nel mercato newyorkese e di tutti gli Stati Uniti”. Un lavoro che ha portato con sé anche un grande
cambiamento che Simone aspetta va da tempo. “Grazie a Vias che mi ha sponsorizzato per il visto sono diventato
‘legale’ al cento per cento. Ora, poi, lavoro con un portafoglio ricco di grandi vini di qualità, così posso offrire ai miei
clienti dal prosecco ai vini bianchi, rossi e dolci di tutte le regioni d’Italia oltre che altri vini esteri”. Progetti di rientro in
patria? “Ho fatto molti sacrifici che ora stanno pagando, per questo non tornerei mai indietro. Mi dispiace essere
arrivato a questa conclusione, ma le opportunità che offrono gli Stati Uniti credo siano impensabili in questo momento
in Italia. Qui vince sempre la meritocrazia, non le conoscenze e le raccomandazioni”.
Graziano Casale

Ier i (14 gennaio 2011)


“Quei tre giorni che hanno cambiato la mia vita” Così Graziano è volato a New York
“Per decidere se lasciare tutto in Italia e andare a lavorare all’estero mi sono stati concessi solo tre giorni.
Esattamente quattro anni fa, un mercoledì notte del gennaio 2007, ho ricevuto una telefonata da New York: vuoi
venire a lavorare con me? Era il mio ex capo italiano trasferitosi lì da poco. Un’occasione da non perdere, ma i termini
erano perentori: essere a New York il lunedì mattina”. E Graziano Casale, oggi ventinovenne, quell’opportunità
proprio non se l’è fatta sfuggire. Ha prenotato in fretta un aereo ed è partito per andare a lavorare alla Rrd, un’azienda
che si occupava di televisione mobile. “Una scelta di cui non mi sono certo pentito, visto che dopo poco più di tre anni,
nell’agosto del 2010, sono diventato direttore dell’area commerciale per il mercato Nord America del gruppo ‘Screen
service broadcasting’, società di trasmissioni radiotelevisive digitali che nel frattempo aveva acquistato la Rrd”.
Il cammino di Graziano inizia a Gaeta, cittadina laziale in cui è nato e cresciuto e da cui si è staccato per andare a
studiare economia all’università di Roma 3. Per mantenersi gli studi c’era il lavoro da barista nei week end e le
occupazioni stagionali in estate. Fino al momento della tesi di laurea. “Camminando per i corridoi dell’università ho
visto un annuncio per una tesi in azienda con cliente-partner Mediaset e con argomento la televisione digitale. Ho
capito che era la mia via e, pur di seguire quel progetto, ho rimandato la laurea al dicembre del 2005”. La caccia al
posto di lavoro, però, non è stata facile: 19 colloqui con altrettante aziende e, con alcune, 2 o 3 incontri di selezione.
“Finché nell’aprile dell’anno successivo mi chiamano a Milano, alla ‘Tre’, per uno stage retribuito sulla televisione
mobile. Ed è stato proprio chi mi aveva chiamato lì che, poi, mi ha richiesto anche per l’avventura newyorkese”.

Oggi
Carriera in crescita, con teatro di lavoro tutti gli States
Una “avventura lavorativa” era stata la definizione di Graziano riguardo la sua scelta, quando aveva dovuto
decidere in tempo reale se partire per New York. Ora quell’avventura si è trasformata in un’attività consolidata e, da
pochissimo, ha portato anche a un avanzamento di carriera e ad un aumento di responsabilità.
“Ho appena lasciato il vecchio lavoro e sono diventato, sempre qui nella Grande Mela, Account manager per il
mercato americano dei trasmettitori broadcasting, per l’azienda multinazionale tedesca Rohde & Schwarz”. Con la
probabile prospettiva di frequenti spostamenti, visto che Graziano avrà come territorio di lavoro tutti gli Stati Uniti.
Paolo Dal Gallo

Ier i (29 aprile 2011)


Il salto di Paolo, da Treviso agli Stati Uniti. Una carriera all’insegna del buon vino
“Il mio lavoro all’estero? L’ho trovato grazie a questa rubrica”. Paolo Dal Gallo ha 30 anni e da poco più di due
mesi ha un impiego a New York. È lì perché, pur avendo già un buon posto in Italia, la sua meta era proprio quella
città, che da sempre l’attraeva. “Leggendo questa rubrica sul Corriere ho visto la storia di Simone Iacopini che si era
trasferito a New York per lavoro, così l’ho contattato e ho inviato il curriculum alla sua azienda”. All’impresa - la Lis
Neris, vitivinicola friulana attiva sul mercato Usa - piace il profilo di Paolo e così avanza una proposta che richiede una
rapida decisione. “È stato così che, con un bel po’ di sana incoscienza, ho deciso di mollare tutto e di partire verso il
sogno americano”. Una scelta certo coraggiosa, visto che in quel momento Paolo era Direttore marketing di Warsteiner
Italia, marchio di birra tedesca. Un approdo a cui era arrivato dopo una carriera rapida e molto mobile. Originario di
Asolo in provincia di Treviso, nel 2002 si laurea in Economia aziendale alla Ca’ Foscari di Venezia. “Poi ho frequentato
il master Upa in Marketing e comunicazione d’azienda e quindi un altro master, alla Sda Bocconi, in Fashion design”.
Un background che gli permette di trovare lavoro come Brand manager a L’Oréal. “Ottima esperienza, ma mi andava
di migliorare”. E infatti dopo meno di due anni arriva all’Illva di Saronno e ci resta per un anno e mezzo. Ma la voglia di
nuove esperienze lo spinge ancora: 18 mesi in Stock Spirits Group come Senior brand manager. “Quando arriva
un’acquisizione decido di cambiare aria ed approdo nel 2009 alla Warsteiner, ultima tappa prima del salto a New
York”. Il contratto è solo di un anno, a tempo determinato fino al 2012, come Representative di Lis Neris per il mercato
americano. “Ritornare? Si vedrà, ma oggi l’talia è ancora un paese fermo”.

Oggi
“A New York si lavora, s’impara, si guadagna”. Ma le ferie sono poche
Paolo è sempre più convinto della sua scelta di “emigrante” a New York. “Perché la realtà americana è ancora
molto attraente. Si può lavorare imparando moltissimo, si respira un’aria di ampia apertura mentale e si vive la parola
meritocrazia non come una semplice voce del vocabolario come in Italia. Qui se vali cresci e se cresci guadagni”. E per
lui la crescita è arrivata dal cambiamento, dopo l’impiego a scadenza alla Lis Neris. “Ora lavoro per Casa Vinicola
Zonin e sono focalizzato sul canale horeca (wine bar, ristoranti e club) dove propongo ai buyer e wine director i nostri
vini d’eccellenza. Mi occupo anche di eventi e fiere”.
Il settore “food” e vini, negli Usa, cerca ancora molto la qualità dei produttori italiani e chi arriva lì, come conferma
Paolo, se si impegna ha molte probabilità di riuscire. “Ho conosciuto tanti italiani che sono arrivati 10-15 anni fa senza
saper parlare una parola di inglese. Hanno cominciato come BusBoy cioè come camerieri che sparecchiano i tavoli e
portano le pietanze. Poi molti sono rapidamente cresciuti, diventando commandant, manager, wine director, buyer, e
oggi magari possiedono anche due o tre ristoranti”.
Un altro plus che un giovane “expatriate” trova a New York è quello delle retribuzioni. “Gli stipendi sono più alti e
una spesa che in Italia può sembrare importante - un nuovo computer piuttosto che un piccolo viaggio in aereo - qui è
molto più alla portata di tutti”. Anche se però il tempo libero dal lavoro è più limitato perché non ci sono le lunghe
ferie italiane. “Qui un lavoratore ha diritto a due settimane di ferie all’anno per i primi cinque anni presso un’azienda,
che poi diventano tre settimane fino al decimo anno e infine quattro quando si è alla soglia della pensione”.
Quindi Stati Uniti for ever? “Ammetto che mi piacerebbe tornare in Italia, perché mi mancano famiglia, amici e … il
mio cane, ma per quanto mi riguarda i tempi non sono ancora maturi”.
Leonardo Auricchio

Ier i (10 giugno 2011)


Stati Uniti-Italia andata e ritorno. La carriera under 30 di Leonardo
Nel suo Dna c’è l’America e il provolone, ma dei due imprinting ha conservato solo il primo, pur essendo quella
del formaggio una storia di famiglia che dura da 134 anni. Leonardo Auricchio, 29 anni, non lavora infatti nell’azienda
fondata dai suoi antenati a San Giuseppe Vesuviano e poi esportata da Gennaro Auricchio anche negli Stati Uniti. La
nazione in cui, comunque, Leonardo è nato, a Green Bay nel Wisconsin e in cui oggi lavora, a New York. “Ma la mia
formazione è stata tutta italiana, prima in un liceo classico di Napoli e poi a Milano con la laurea in Economia
aziendale alla Bocconi”. Con l’intento proprio di non dormire sugli allori del business di famiglia e di scegliere una
strada tutta propria. “Finita l’università, grazie ai servizi di placement della Bocconi, ho trovato lavoro a Milano nella
multinazionale delle telecomunicazioni Buongiorno Spa e ci sono rimasto dal 2004 al 2005”. Ma la seduzione di un
ritorno all’estero era cominciata già a 17 anni, quando era andato per otto mesi a studiare in Australia con uno
scambio di Afs-Intercultura, e poi nel 2003 con i sei mesi dell’Erasmus alla Carlos III di Madrid. E dopo l’esperienza di
lavoro in Buongiorno è stata ancora la Bocconi con il suo servizio di offerte di impiego per giovani laureati a dargli
l’opportunità di entrare nella società in cui oggi lavora, la Barabino & Partners: per sei anni nella sede milanese. “Mi
sono occupato di comunicazione corporate ed economico-finanziaria, di operazioni di finanza straordinaria e di fondi
di investimento. Poi, pochi mesi fa, è arrivata l’offerta che sognavo”. Barabino & Partners, infatti, ha aperto la sua sede
americana a New York e ha mandato Leonardo a guidare il nuovo team di consulenti. Un ritorno alle origini, anche se a
1.500 chilometri più ad est del Wisconsin.

Oggi
Consulente e partner, dal vecchio grattacielo di New York
Da “inviato speciale” di Barabino & Partners a responsabile e partner dell’ufficio Usa a New York. “Dopo lo
startup abbiamo appena chiuso il primo anno completo di attività e stiamo crescendo secondo le aspettative grazie alla
consulenza per diverse aziende italiane che operano sul mercato statunitense”. Per metterla come nei film sui
businessmen americani, ci si può immaginare Leonardo, giovane Ceo, che “domina” Manhattan dalle finestre di un
grattacielo. Un’immagine vera solo per la posizione e non certo per l’arroganza: “Il nostro ufficio è al 595 Madison
Avenue, al 14mo piano del Fuller Building”.
Andrea Forte

Ier i (14 ottobre 2011)


Catanzaro-New York, volo di sola andata verso gli Stati Uniti
“L’intraprendenza? È la vera chiave del successo”. Se Andrea Forte, originario di Catanzaro, non ne avesse avuta
una buona dose, invece di lavorare a New York probabilmente sarebbe ancora in Italia a dibattersi tra contratti a tempo
e il sogno di fare il ricercatore con una retribuzione non proprio da fame. Invece ha scommesso sulla capacità di
realizzare una tesi di valore internazionale nell’ingegneria delle telecomunicazioni, in cui si stava laureando alla
Sapienza di Roma. “Era il 2003 e decisi di tentare la strada della tesi all’estero. Al proposito mi avevano parlato del
programma Leonardo, purtroppo però i termini di partecipazione erano scaduti. Così decisi di fare tutto da solo e
vedere cosa riuscivo a combinare inviando il curriculum a un gruppo di università americane”. Inaspettatamente ad
Andrea arrivano diverse risposte, tra cui quella di un’autorità nel settore, il padre della telefonia via Internet, il
professor Henning Schulzrinne della Columbia university. “Così a 27 anni sono partito per New York, con la
previsione di restarci non più di nove mesi, il tempo di completare la tesi”. Ma il lavoro di Andrea è di valore e non solo
viene pubblicato, ma addirittura brevettato dalla Columbia che, a quel punto, lo assume come Research scientist in
computer science. “In Italia non sarebbe mai successo, ma l’università americana è meritocratica, vicina all’industria e
piena di opportunità, come quella che ho colto io”. Un’apertura di credito a cui Andrea risponde con otto anni di
fedeltà. “Fino al gennaio di quest’anno, quando ho ricevuto una proposta dal settore privato che era impossibile
rifiutare: Ricercatore senior presso il Security research center newyorkese della At&t, il primo operatore di telefonia
mobile degli Stati Uniti”.

Oggi
“Gli Usa insegnano che tutto si può fare, a qualunque età”
Andrea vive ancora a New York e ancora lavora alla At&t, ma con la speranza di tornare in Italia. “Sto percorrendo
il cammino al contrario, prima mi sono costruito una carriera nella ricerca in America e ora comincio un dottorato in
Ingegneria dell’informazione presso l’università di Parma. Senza comunque lasciare gli Usa”. Un po’ tardi per un
dottorato? “Per la mentalità italiana forse, ma io ormai penso all’americana: gli Stati Uniti ti insegnano che non c’è
un’età prestabilita per ogni cosa, ma che tutto si può fare a qualunque età”. Obiettivo? “Spero che il dottorato mi aiuti,
un giorno, a riavvicinarmi all’Italia”.
Francesco Tronci

Ier i (28 settembre 2012)


Dalla Sardegna a New York, via Canada. La strada di Francesco verso l’alta finanza
Era partito con l’ingegneria elettronica, ma presto s’è accorto che non c’era feeling. Tutta colpa della fascinazione
per la finanza, che non solo gli ha offerto occasioni di carriera, ma che l’ha portato nel cuore della Grande Mela.
“Attualmente lavoro a New York alla Barclays Capital, come Assistant vice president in investment banking”. È
dall’estate del 2009, quando aveva 27 anni, che Francesco Tronci ha un rapporto con la sede newyorkese della banca
d’affari inglese, prima solo come stagista mentre frequentava il Master in business administration (Mba) alla Harvard
business school, e poi come dipendente stabilizzato. “Ma per me la prima volta negli States è stata ben 11 anni prima,
quando ero un ragazzino e, come borsista di Intercultura, ho frequentato per un anno la Pampa High school in
Texas”. Lontanissimo cioè da Isili, la cittadina di 3 mila anime a 70 chilometri da Cagliari dove frequentava il liceo
scientifico. “Ma la vera scelta difficile per me è stata la decisione di trasferirmi stabilmente dalla Sardegna alla
Lombardia, dopo essermi iscritto ad ingegneria elettronica a Cagliari”. Ma non era la sua vocazione e così Tronci ha
lasciato la sua terra ed è finito in una cittadina del Nord a puntare sull’ingegneria gestionale, in una università che gli
dava più chance di impiego post laurea, la Liuc di Castellanza. “Così, già nel 2004, ho ottenuto un tirocinio retribuito
alla Novartis seguito da un contratto a progetto. Poi però ho lasciato l’azienda farmaceutica per una borsa di studio di
finanza in Canada, alla Wilfrid Laurier university di Waterloo. Al ritorno sono stato assunto nella consulenza, al Boston
consulting group di Milano”. Un anno e poi, nel 2008, l’avventura americana per l’Mba ad Harvard, con viaggi di studio
in India, Portogallo e Costa Rica prima dell’approdo in Barclays.

Oggi
Sempre alla Barclays, a realizzare fusioni e acquisizioni
La Barclays di New York è tutt’ora il luogo di lavoro di Francesco e lì si è recentemente occupato di fusioni,
acquisizioni e partnership tra imprese per un valore superiore ai cinque miliardi di dollari. Ma la novità è un’altra e
riguarda i “Master in business administration” made in Usa. “Nell’ultimo anno sto dedicando parecchio tempo libero
alla mia attività di Segretario generale di Nova-Mba, l’Associazione degli Mba Italiani negli Stati Uniti, carica a cui sono
stato eletto nel 2012”.
Piero Armenti

Ier i/O g g i (22 febbraio 2013)


Piero e l’America, passando per Caracas. “Giovani, puntate sull’Erasmus”
Da Avellino a New York passando per Caracas. Ora nella Grande Mela a dirigere il webmagazine di Volatour, un
tour operator internazionale. In origine Piero Armenti, avellinese 32enne, pensa di diventare avvocato, così si laurea a
Salerno in Giurisprudenza. “Grazie ad Erasmus, però, tutto è cambiato e l’estero è diventato la mia vera prospettiva.
Era il 2002 e mi mancava un esame alla laurea. Inaspettatamente si è aperta l’occasione allettante che aspettavo: una
borsa Erasmus per l’università spagnola di Alicante per realizzare la tesi”. E in aggiunta la partecipazione a un corso di
giornalismo del quotidiano El Pais. Niente più quindi concorsi pubblici in Italia come avrebbe voluto la famiglia. Così,
appena laureato, partenza per il Sudamerica per un tirocinio Crui-Mae presso il consolato italiano di Caracas. “Lì, tra
l’altro, ho aperto un blog e ho iniziato a collaborare con la Voce d’Italia, il quotidiano degli italiani in Venezuela”.
Dopo quattro anni il ritorno in Italia attratto dalla vittoria di una borsa di studio per un dottorato all’Università
Orientale di Napoli. Tre anni e poi, finiti gli studi, la decisione di puntare su New York, con l’unica prospettiva di uno
stage ad america24.com. “Certo non era il massimo a trent’anni fare lo stagista non retribuito, ma non volevo cedere.
Così, dopo tanti colloqui, è arrivata l’assunzione a Volatour”. Un consiglio per i giovani? “Assolutamente puntare
sull’Erasmus, per me, anzi, dovrebbe essere obbligatorio”.
GRUPPO 6: LAVORARE IN AMERICA? NON SOLO NEW YORK
Martina Tonizzo

Ier i (20 marzo 2009)


La carriera di Martina, da Londra a Washington per gestire il rischio alla Banca Mondiale
“Il mio primo lavoro, nel novembre del 2007, l’ho trovato in un think tank di Washington che opera nello sviluppo
internazionale, il Center for global development. Per essere assunta, però, ho dovuto superare un percorso ad ostacoli
multimediale”. Martina Tonizzo, 26 anni, ora è impiegata alla World Bank, sempre nella capitale americana, e si
occupa di Disaster risk management, la gestione del rischio nelle calamità naturali. “Quel primo lavoro mi era stato
segnalato da un amico mentre stavo scrivendo la tesi del master che frequentavo a Londra: ho mandato il curriculum e
me ne sono dimenticata, visto che in quel periodo ne inviavo molti. Dopo un po’ è arrivata un’email che mi fissava
un’intervista telefonica. Poi mi è stato chiesto di scrivere un breve saggio e, infine, ho dovuto affrontare un colloquio in
videoconferenza”. Da Londra a Washington, quindi, come in una mossa di Monopoli “senza passare dal via”, cioè da
casa. Anche perché la famiglia l’ha sempre supportata, anzi, spronata, verso esperienze internazionali. Abitando a
Bolzano, parlava una seconda lingua, il tedesco, ma, mentre frequentava il liceo linguistico, quasi tutte le estati veniva
spedita a studiare all’estero. Poi Martina si è trasferita a Milano per prendersi la laurea specialistica in Discipline
economiche e sociali. “Ma non mi sentivo ancora pronta, così, prima di una decisione definitiva, ho scelto di
frequentare un master alla London School of Economics”. Come da manuale del buon cacciatore d’impiego, nel
curriculum di Martina ci sono anche tre stage, uno alla Camera di commercio di Milano e due in centri di ricerca
londinesi. E per il futuro? “Continuare a lavorare nello sviluppo internazionale. Peccato però che in Italia ci siano ben
poche chance”.

Oggi
Dagli Usa a Manila, per il programma “Giovani talenti”
L’impiego in Banca Mondiale, per Martina ha avuto luci ed ombre. “Si è concluso dopo solo nove mesi ed è stata
un’esperienza interessante perché mi ha fatto capire come lavora una banca dello sviluppo. Il contenuto del mio
specifico lavoro, però, si è rivelato piuttosto deludente, perché era troppo focalizzato su un pezzo ristretto di ricerca
nell’ambito del disaster risk management”. Martina si è così buttata alla caccia di un’alternativa, che è arrivata
rispolverando un contatto che aveva realizzato durante la ricerca del lavoro che la portò in World Bank. “Era una
piccola società di consulenza, altamente specializzata in finanziamenti d’infrastrutture, in particolare acqua ed
elettricità. Così, ad Ottobre 2009, ho iniziato a lavorare per loro ed i miei clienti principali, guarda caso, sono stati
proprio la Banca Mondiale e l’International Finance Corporation”.
Dopo due anni, però, Martina sceglie un ulteriore, drastico cambiamento di vita. “Ho lasciato Washington Dc per
un lavoro basato a Manila nelle Filippine, dove l’Adb, Asian Development Bank, ha il suo quartier generale”. Adb è una
“world bank” che opera su scala regionale, in particolare in Asia e Pacifico, e Martina è stata assunta come esperta del
settore energia grazie al programma Young Professional , che recluta giovani talenti e li posiziona all’interno della
banca per creare i futuri manager dell’organizzazione. “È un lavoro estremamente interessante, anche se a tratti
faticoso: da Dicembre 2011 a Dicembre 2012 ho viaggiato per 97 giorni, soprattutto nell’area Pacifico”. Il programma
in cui è inserita Martina finirà però ad Ottobre 2013. E poi? “Non ho ancora scelto cosa fare dopo, una possibile
opzione è restare a Manila nella mia divisione”.
Giovanni Marenco

Ier i (12 giugno 2009)


Giovanni, da New York a Parigi. Ed ora in giro per l’America Latina
La mossa vincente è stata la prima: utilizzare uno dei nuovi mezzi per trovare lavoro via web, un sito di recruiting
on line. “Cercavo aziende a caccia di giovani laureati da formare e far crescere, così ho incrociato su Internet un motore
di ricerca di personale, dove un’azienda offriva un programma di graduate developer”. Il nome dell’azienda era un
acronimo a lui sconosciuto, Cnh, e il fatto insolito era che Giovanni Marenco, oggi 27enne, nel 2005 si trovava a New
York per concludere gli studi e stava per mandare il curriculum, sperando in un’assunzione, a un’azienda con sede a
Torino. Un’azienda che, scoprì poi Marenco, altri non era che Case new holland, la società del gruppo Fiat che
produce macchine agricole e per movimento terra. “Fortunatamente, dopo un po’, fui contattato dal responsabile del
programma graduate di Cnh per partecipare a un colloquio. Il risultato fu positivo: nell’ottobre del 2005 già venivo
inviato a Parigi per uno stage presso la sede Parts & service”. Proprio dopo aver appena concluso i suoi studi
newyorkesi in “International business”, iniziati alla Ese di Milano nel 2001 e conclusi nella Grande mela. “Dopo sei
mesi di stage fui assunto a tempo indeterminato e inserito nel programma di sviluppo dei neolaureati che dura tre
anni e che prevede il cambio di lavoro e di Paese ogni anno. Ho iniziato come responsabile per la Francia e la Spagna
di un progetto di geo-marketing”. Marenco è passato poi nell’ufficio acquisti di Torino come buyer sia di Cnh che di
Iveco. “Infine il terzo anno di nuovo a Parigi, dove mi trovo tuttora, a fare il Project manager nella logistica ricambi”. Un
consiglio per i coetanei? “Non aver paura di cambiare Paese e lavoro frequentemente. Oggi per i giovani la sfida è
questa: mettersi in gioco adattandosi velocemente al cambiamento”.

Oggi
Imprenditore nel turismo di lusso, ma con sede in Brasile
Un buon impiego nel gruppo Fiat, ma per Giovanni la soddisfazione non dura tantissimo.
Eppure, dopo l’incarico di project manager sempre con base in Francia, per quasi due anni ricopre la posizione di
responsabile acquisti di alcune tipologie di prodotti, per la divisione ricambi di Cnh. “A causa della crisi economica
sempre più incisiva nel settore dell’automotive, più passava il tempo e più mi convincevo che sarebbe stato molto
meglio proseguire la mia carriera fuori dall’Europa”. Così Giovanni si mette alla caccia di un nuovo impiego e, dopo
varie ricerche, viene assunto dalla Tim in Brasile. “Era il Maggio del 2011 e, da quel momento, per un anno e mezzo ho
lavorato come Supply chain strategies manager”.
Tutto bene, dunque? Era arrivato il momento di stabilizzarsi? Non per Giovanni, che ancora una volta “ribalta il
tavolo” della sua carriera. “Dopo una lunga riflessione, infatti, mi sono reso conto che non mi andava più di fare il
dipendente di una grande azienda: volevo creare qualcosa di mio”. Ecco allora nascere un progetto che, per ora, è
ancora in fase di sviluppo: mettere in piedi un’azienda specializzata nel turismo di lusso. “E così sto percorrendo gran
parte dell’America Latina, dal Cile all’Argentina al Brasile, alla ricerca di luoghi e strutture speciali, tra cui hotel e
ristoranti”.
Carla Benassi

Ier i (16 luglio 2010)


Dal North Dakota alla California: la carriera a stelle e strisce di Carla
La scommessa l’ha fatta sugli Usa e ora che si è consolidata nel suo lavoro ha capito che la puntata è stata
vincente. Carla Benassi ha appena compiuto 27 anni, ma già da quando ne aveva 19 si è, di fatto, trasferita in America.
“In realtà tutto è cominciato ancora prima, nel 2000: grazie a Intercultura, che mi ha collocata in una splendida
famiglia statunitense, ho frequentato la quarta superiore a Fargo, nel Nord Dakota”. Un salto oltreoceano che è partito
da un piccolo comune ai piedi delle colline parmensi, Traversetolo, dove nell’estate del 2002 Carla si è diplomata. “Ma
già in agosto ero di nuovo negli Usa, a Moorhead nel Minnesota, nel college locale. Mi sono data da fare, ho
frequentato anche in estate, e così in soli tre anni mi sono laureata”. Con un trasferimento di sole (viste le distanze
americane) 250 miglia fino a Minneapolis, il primo impiego è arrivato subito, alla Tcf bank. “Ma il permesso di lavoro
durava un anno e io avevo già deciso di approfondire gli studi per avere più chance”. Così ad agosto 2006 Carla era già
dall’altra parte dell’America, sulla West coast, per frequentare il master in Marketing e finanza alla California Lutheran
university di Thousand Oaks. “Studiavo a tempo pieno ma sono riuscita comunque a trovare un paio di stage al di fuori
del campus, per guadagnare qualche dollaro e farmi un’esperienza lavorativa, prima in Macy’s come merchandiser e
poi con Servoy, un’azienda olandese di software development”. Il diploma di master arriva alla fine del 2007 e così
Carla riesce a trasformare lo stage in Servoy in un vero e proprio lavoro che dura tuttora, come marketing manager.
“Certo non è facile vivere lontano dalla mia famiglia, ma ho deciso di restare, perché qui, nonostante la crisi, si trovano
sempre più opportunità che in Italia”.

Oggi
Aprire un’agenzia di viaggi? Magari dopo il “golden birthday”
Carla ormai è stabilizzata in California a Thousand Oaks, tanto più che lì si è anche sposata con un
italoamericano. Ma per fine giugno del 2013 ha in programma qualche settimana di ritorno in patria. “Compirò 30
anni il 30 Giugno e quindi festeggerò in Italia quello che qui in America si chiama golden birthday, quando cioè il
giorno del compleanno e il numero degli anni coincidono. Poi andremo in Sicilia, a visitare le radici della famiglia di
mio marito”.
La puntata in Italia, tuttavia, non spegne l’entusiasmo di Carla per la sua vita negli States che, lavorativamente, è
cambiata rispetto al 2010. “Dopo cinque anni ho lasciato il ruolo di marketing manager alla Servoy e ho cambiato
completamente settore: sono diventata la manager di un negozio di arredamento della catena ‘Urban Home’. È un
lavoro che adoro, è bello parlare con le persone e mi fa piacere quando notano il mio accento e mi chiedono della mia
provenienza. Io così parlo dell’Italia e spesso do qualche consiglio sulle città e i luoghi più belli da visitare a chi
programma una vacanza italiana”. Con un’idea che sembra affacciarsi nella sua mente. “Chissà che il mio prossimo
lavoro non sarà proprio quello di aprire un’agenzia viaggi o di rappresentare gli hotel italiani qui in California”.
Lorenzo Migliavacca

Ier i (24 febbraio 2012)


Lorenzo, un po’ manager e un po’ portiere. Grazie al calcio si è finanziato il master in Florida
Pagarsi gli studi in Florida giocando a calcio nella squadra del college. È quello che ha fatto Lorenzo Migliavacca,
25 anni, e che ora vorrebbe trasformare in un business proponendo la stessa strada ad altri giovani italiani. Intanto,
finiti gli studi, da settembre dell’anno scorso ha trovato un lavoro. “Sono Office manager presso Concetta Corporation
di Parkland, la casa discografica di proprietà della cantante italoamericana degli anni sessanta Connie Francis”.
Lorenzo è nato a Roma ma la laurea triennale in Economia europea l’ha conseguita a Milano, all’Università degli Studi.
“In quel periodo, grazie ad Erasmus, ho trascorso il mio primo periodo lungo all’estero, sei mesi a Stoccolma alla
Sodertorn Hogskola”. Dopo la laurea breve, nel 2009, Lorenzo punta a un master internazionale, possibilmente negli
Stati Uniti. Ma i costi di frequenza e di mantenimento sono proibitivi, così cerca di sfruttare le sue capacità sportive
contando sul fatto che in America va di moda il calcio europeo e che molti college hanno squadre studentesche. “Così
ho inviato decine di mail ad altrettante università con allegato un video in cui si potevano vedere le mie abilità come
portiere. Mi ha risposto la Nova University di Fort Lauderdale in Florida, che ha addirittura inviato in Italia un suo
allenatore per valutarmi. Così è arrivata l’offerta inattesa: giocare nella loro squadra, gli Sharks, in cambio di due anni
di studi gratuiti”. Giusto il tempo, cioè, di conseguire un Master in business administration nella stessa università. La
quale, soddisfatta delle sue prestazioni, l’ha sponsorizzato per il posto attuale alla Concetta Corporation.
“Contemporaneamente ho dato corpo alla mia idea fondando la società Sports Academics, per aiutare giovani studenti-
atleti italiani a ottenere borse di studio sportivo-accademiche presso università americane”.

Oggi
Da venditore d’auto a business manager, aiutando i giovani italiani
Conclusa l’esperienza in ambito discografico alla Concetta Corporation, Lorenzo, forte del suo Mba, è riuscito a
trovare un impiego che lo sta soddisfacendo. “Sto lavorando presso AutoNation, la più grande auto retailer del
mondo”. Un’attività che, nonostante la sua preparazione generale, ha richiesto ancora un’ulteriore formazione. “Dopo
otto mesi come venditore sto per finire il corso per diventare Business Manager”.
Anche il progetto per aiutare studenti italiani a conquistare borse di studio si sta muovendo. “Sports Academics,
l’agenzia che abbiamo creato per reclutare giovani talenti sportivi italiani e trovare borse in America, sta procedendo
bene, anche se lentamente. Il primo anno di business abbiamo ‘piazzato’ quattro giocatori, tutti in Florida, alla Nsu-
Nova Southeastern University. Ora, a metà del secondo anno di attività, stiamo lavorando per trovare scolarship ad altri
quattro ragazzi”.
Carolyn Puliti Picchi

Ier i (09 novembre 2012)


Firenze, Montagne Rocciose e Nicaragua. Il curriculum a tutto campo di Carolyn
Per Carolyn Puliti Picchi il destino internazionale è cominciato fin dal giorno della nascita. Nel gennaio del 1984,
infatti, i suoi genitori italiani, padre carpentiere e madre dipendente di un ospedale, da qualche anno si erano trasferiti
a San Anselmo, una cittadina a nord della baia di San Francisco. Carolyn, in realtà, in California è rimasta solo fino ai
quattro anni di età, ma il legame originario con gli Stati Uniti più tardi si è ripresentato puntualmente. “Tornati in Italia
abbiamo puntato sulla vita di campagna, ad Antella, un piccolo paese a 15 chilometri da Firenze. Ho cominciato le
elementari alla International school of Florence, ma costava troppo, così ho ripiegato subito sulla scuola primaria di
Antella”. Per gli studi superiori, però, il capoluogo toscano diventa un approdo obbligato. “Ho preso la maturità al
liceo linguistico internazionale Santissima Annunziata di Firenze e, subito dopo, nel 2004, ho deciso di rientrare negli
Usa, questa volta però al nord, in uno stato attraversato dalle Montagne Rocciose, il Montana”. Per Carolyn arrivano
così quattro anni di studi per conseguire il bachelor in Antropologia all’università di Missoula, riempiti anche da due
stage, uno locale al United nations associations e uno a Washington al Council of United States. “Tra il 2009 e il 2010,
poi, ho lavorato come volontaria in Nicaragua e Perù in progetti di cooperazione”. Tutte esperienze che le hanno
permesso di accedere alla prestigiosa Heller School for social policy and management del Massachusetts e di trasferirsi
nuovamente per uno stage allo Women office dell’Onu a Città del Guatemala. “Lì, purtroppo, mi sono fratturata il
piatto tibiale e sono rientrata in Usa per operarmi. Nel frattempo mi hanno offerto due diversi lavori in organizzazioni
internazionali. Ora spero di non perdere le occasioni appena non sarò più immobilizzata”.

Oggi
Alla caccia di una nuova occasione, nonostante la frattura
L’incidente in Nicaragua ha temporaneamente stoppato la carriera di Carolyn, costretta per lunghi mesi a
un’immobilità che durerà ancora un po' di tempo. “Sì, purtroppo sto ancora recuperando le conseguenze della
frattura al piatto tibiale”. Lo stop tuttavia non fermerà la possibilità di trovare un lavoro vista la preparazione e
l’esperienza accumulate. “Pur nello stallo della convalescenza mi sto dando da fare stabilendo contatti via Internet e
presentando domande di lavoro. Spero che una nuova occasione si presenti presto”.
GRUPPO 7: SEDOTTI DALLA CITY
Yannick Roux

Ier i (5 marzo 2010)


Finanza addio, arriva la start up. Yannick si tuffa nel commercio online
Si può rinunciare a una promettente carriera all’estero e a guadagni che, per un giovane di 25 anni, sono perlopiù
irraggiungibili? È quello che ha fatto pochi mesi fa Yannick Roux abbandonando l’investment banking alla Macquarie
Capital di Londra, e tentando di inventarsi un’attività tutta sua. “Sto lanciando un sito di e-commerce qui a Londra che
partirà la settimana prossima. Il mio sogno è sempre stato di creare qualcosa da zero, di essere il boss di me stesso.
Certo - aggiunge Roux - ora non volo più in business class, ho restituito l’American Express e non frequento più
alberghi a cinque stelle”. Roux è nato a Milano, la città dove ha frequentato il triennio universitario, alla Bocconi dal
2003 al 2006. Poi però ha scelto l' Inghilterra, ed è andato a studiare accounting e finance alla London School of
Economics. “Gli ottimi studi nell’estate del 2007 mi hanno aperto le porte di una banca d’affari, la Macquarie, e così,
con il buon stipendio, sono arrivati i quattro abiti pregiati nell’armadio, le cravatte di Hermes e il sogno di bonus a
cinque cifre”. La cosa funziona per due anni pieni, poi Roux comincia a sentire il peso di dover stare quasi tutte le sere
fino a notte alla scrivania, perché “se non lasci l’ufficio dopo il tuo boss fai la figura dello scansafatiche, di quello che
non ci mette l' anima”. E allora matura la decisione, difficilissima, di uscire dal sistema, di rinunciare a una carriera un
po’ troppo omologante. “Ora il mio sito, likebees.com, sta partendo davvero. Contiamo di formare gruppi di acquisto
attorno a servizi locali (ristoranti, centri bellezza, teatri, spettacoli, palestre, go-karting e altro) con l’obiettivo di
ottenere sconti significativi. Al momento stiamo discutendo con diversi investitori interessati a finanziarci”. Funzionerà?
Difficile da dirsi ora. Di sicuro buttare via il certo per l’incerto non è da tutti, anche se si hanno 25 anni e la voglia di
avventura è più grande.

Oggi
Marcia indietro verso la finanza … ma digitale
A 25 anni un’idea imprenditoriale può anche fallire in pochi mesi senza che l’ideatore se ne disperi troppo. È così
che Yannick, dopo aver sognato l’abbandono del mondo “triturante” della finanza, alla fine ha fatto ritorno al punto di
partenza. “La nostra esperienza con Likebees si è conclusa nell’estate del 2010. Ci siamo resi conto molto presto che il
modello di business ‘alla Groupon’ non era sostenibile nel lungo termine, così abbiamo preferito staccare la spina
invece che intestardirci. Siamo riusciti anche a rivendere la tecnologia e il brand, recuperando il capitale investito”.
Fallimento frustrante? “No, anzi, è stata un esperienza molto formativa, perché fallire non è bello ma riconoscere e
ammettere i propri errori è una leva per riuscire meglio nel futuro”. Abbandonato Likebees, Yannick ha subito trovato
un impiego con Forward Internet group. “È una holding a capitale privato, una delle realtà più innovative nel settore
digitale/internet. Mi occupo della parte di investimenti in tre aree: acquisizioni, investimenti di minoranza e incubazioni
di nuovi progetti”.
Federico Mossa

Ier i (14 maggio 2010)


Banche d’affari o discografia. È tutta londinese la scelta di Federico
Era arrivato in Morgan Stanley nel luglio del 2008, assunto come analista nella divisione real estate proprio alla
vigilia della fase più acuta della grande crisi dei subprime. Già a metà settembre, però, dal suo ufficio di Londra aveva
visto gli impiegati di Lehman Brothers uscire sconsolati dall’edificio di fronte, senza più posto di lavoro. Federico
Mossa, che oggi ha 25 anni, nella banca di investimenti ha resistito così per soli altri due mesi. “Mi dimisi a novembre,
ma non per paura, anche se ovviamente la crisi rendeva tutti più nervosi. Avevo capito che quella carriera non si
addiceva alle mie aspirazioni e alla mia personalità. Così ho rischiato: un salto nel vuoto senza nessuna alternativa di
lavoro”. Eppure Mossa, fino a quel momento, aveva visto l’investment banking a Londra come la meta più ambita da
raggiungere. Nato a San Teodoro, paesino turistico della costa nord-orientale della Sardegna, a 18 anni si era iscritto
alla Bocconi di Milano per la laurea triennale in Economia delle amministrazioni pubbliche. “Ma non ero soddisfatto e
così, per la specialistica, ho cambiato tutto puntando sulla finanza, ancora alla Bocconi con il Master of science in
finance. Grazie ai programmi internazionali dell’università ho avuto anche due utili esperienze all’estero. La prima in
Cina alla Fundan university di Shanghai e l’altra alla Copenhagen business school”. Ma Mossa il battesimo dello studio
all’estero l’aveva avuto quando era ancora in quarta liceo, grazie a una borsa di studio della fondazione non profit
Intercultura: tre mesi in Sudafrica alla High school di Mossel Bay. Dopo la laurea, infine, grazie ai suoi brillanti risultati
era subito arrivato il posto alla Morgan Stanley. “All’inizio del 2009, però, poco dopo il salto nel buio
dell’autolicenziamento, è iniziata la mia seconda vita professionale in una direzione del tutto nuova: sempre a Londra
sono stato assunto come Pricing project manager dalla Universal music, la più grande record company del mondo”.

Oggi
Finanza addio per sempre: la musica è il nuovo business
Il divorzio con la finanza, per Federico, è stata una cosa seria e, molto probabilmente, definitiva. Viceversa
l’innamoramento per il mondo della musica sembra destinato a reggere a lungo, visto i progressi della sua carriera
londinese. “Lavoro sempre per la Universal Music ma ho già cambiato ruolo un paio di volte. Già dall’inizio del 2011
ho raggiunto la posizione di Commercial affairs analyst nella divisione International. Un anno e mezzo dopo sono
diventato Commercial manager per la divisione Uk”. Un lavoro di soddisfazione? “Molto. Tra le varie cose ho lavorato
al dossier per ottenere l’approvazione della Commissione Europea all’acquisizione di EMI da parte di Universal.
Ora invece mi occupo della negoziazione e modelling di tutti i deals di distribuzione digitale della musica nel
Regno Unito”.
Mariasole Paduos

Ier i (10 settembre 2010)


Non solo Londra per fare la manager. La carriera inglese di Mariasole
“All’inizio m’era andata anche bene, molto meglio di tante mie compagne di corso laureate in psicologia che
ancora cercano un posto fisso: responsabile della selezione per una catena multinazionale di supermercati”. Era il
gennaio del 2006 e Mariasole Paduos, veneziana oggi trentenne, usciva da uno stage di sei mesi in Adecco (“senza
ricevere un soldo”) dopo aver compiuto in un consultorio il tirocinio obbligatorio di un anno (“10 ore al giorno
sempre senza retribuzione”). Prima aveva conseguito la laurea quinquennale (in quattro anni) in psicologia del lavoro
e un master di secondo livello in formazione e sviluppo delle risorse umane. “Era un impiego a tempo indeterminato,
ma dopo nemmeno un mese mi resi conto che l’atmosfera negli uffici era di terrore puro: urla, insulti, pianti, impiegati
trattati malissimo per non parlare dei poveretti che lavoravano nei negozi. Selezionare in quel contesto era per me
moralmente insostenibile e tutte le mattine, nel tragitto verso l’ufficio, piangevo per la situazione. Così ho risposto
all’annuncio di una multinazionale del packaging con sede a Londra, la Rexam beverage can”. Un colloquio telefonico,
uno vis-à-vis e dopo una settimana Mariasole era assunta: per un anno base in Italia e viaggi in Uk, Egitto e Usa. “Una
realtà tutta diversa dall’azienda precedente, un mondo delle risorse umane identico a come l’immaginavo da
studentessa. Anzi, con più sfaccettature e possibilità”. E dal luglio 2007 arriva la trasferta definitiva: Hr manager per i
due stabilimenti inglesi. “Ho abitato prima in un paesino, Stony Straford prossimo a Milton Keynes, e poi, oggi, con il
mio futuro marito inglese, vicino a Northampton. Dopo questi tre anni ho capito che, lavorare in Inghilterra nelle
risorse umane, rispetto all’Italia dà molte più possibilità di formare e sviluppare le persone positivamente”.

Oggi
Convinta dalle risorse umane, ma nel modello inglese
Le risorse umane made in Uk, evidentemente, continuano tuttora a convincere Mariasole, che non ha quindi
nessuna idea di rientro in Italia. Tanto più che, da pochi mesi, è diventata mamma con un marito inglese. “Vivo ancora
a Milton Keynes, a meno di un’ora da Londra, e lavoro sempre per la stessa azienda, anche se ora ho un nuovo ruolo:
hour manager”.
Silvia Rossi

Ier i (20 gennaio 2012)


La scelta “british” di Silvia tra logistica ed emergenze umanitarie
“Il mio sogno era un lavoro che mi permettesse di aiutare gli altri, ma la laurea in economia con indirizzo
aziendale, in Italia, non mi dava propriamente grandi occasioni di sbocco verso la responsabilità sociale”. Così Silvia
Rossi, oggi 31enne, nel 2008 ha scelto la via del Regno Unito per realizzare la sua aspirazione. “Ora ho un impiego a
tempo indeterminato come ricercatrice alla Cranfield school of management. E l’obiettivo di ricerca è puntato in una
direzione che asseconda il mio sogno iniziale: trovare modi per mantenere e sviluppare la produttività e la redditività di
un’impresa riducendo però drasticamente l’impatto ambientale”. Alla scuola di management inglese (nel
Bedfordshire, a un’ora di viaggio da Londra) Silvia era arrivata per la prima volta nel 2007 per un semestre come
visiting student, nel corso del dottorato in Economia e finanza per la gestione d’impresa che frequentava alla Sapienza
di Roma. Ma l’esperienza estera, durante il dottorato, non s’era limitata all’Europa: c’erano state alcune puntate negli
Stati Uniti per partecipare a conferenze internazionali. “Tornata a Roma pensavo che ormai le mie esperienze estere
fossero concluse, così, quando ho visto un bando di concorso proprio per la Cranfield, ho partecipato convinta di non
avere alcuna possibilità di accesso. Quel mio scetticismo, evidentemente, è stato scaramantico, perché alla fine il
concorso l’ho vinto proprio io”. E la scuola inglese le ha rapidamente dato responsabilità inattese, nominandola
portavoce europea del progetto di ricerca. “Ed ora l’università mi dà pure l’opportunità di mettere in piedi un centro di
ricerca sulla logistica delle emergenze umanitarie”. Quindi espatrio definitivo? “Non mi dispiacerebbe tornare in Italia,
ma potrei continuare il lavoro che sto facendo?”

Oggi
“Un bel lavoro che mi permette di viaggiare per l’Europa”
Per ora la domanda che Silvia s’era posta – “tornare ma con che lavoro?” – non ha avuto una risposta italiana
positiva. Così la sua esperienza inglese sta procedendo, e con soddisfazione. “Sono sempre alla Cranfield, per la quale
ho anche iniziato a insegnare humanitarian logistics. È un’attività che, tra l’altro, ha anche molte occasioni di
trasferimento all’estero: ho viaggiato per l’Europa presentando le nostre ricerche a diverse conferenze per manager, ad
Amsterdam e Bruxelles, per esempio”.
Davide Pu

Ier i (1 giugno 2012)


Sangue cinese e curriculum bocconiano. Da Londra la carriera di Davide vira sugli States
“Ho 23 anni e a Londra sto facendo il supervisore di persone con età doppia della mia. All’inizio la situazione mi
imbarazzava, poi ho capito che il problema era solo mio. Quindi ora lavoro bene con tutti”. Davide Pu è nato a
Legnano, pochi chilometri al di là del capoluogo lombardo, da genitori cinesi originari di Shanghai. Per le superiori ha
scelto il liceo linguistico a Varese e, in quarta, grazie a una borsa di studio di Intercultura che l’ha portato a Pechino per
un anno di studi, ha potuto scoprire le origini della sua famiglia. Origini che però, per lui da sempre occidentale, erano
del tutto estranee. “È stata un’esperienza non facile, ma ha dato una svolta alla mia vita: mi ha aperto la mente ad una
prospettiva veramente interculturale”. Che ha poi spinto Davide a replicare il trasferimento all’estero quando
frequentava il terzo anno di Economia e scienze sociali della Bocconi di Milano ed è andato a studiare in Usa alla
University of Wisconsin-Madison. “È stato veramente formativo, al punto che poi ho deciso di trattenermi un altro
semestre per conto mio per approfondire economia e matematica”. Nel 2010, prima della laurea, un’altra puntata in
Cina a fare il project manager a Shanghai con la Co.Export China/The blenders, per aiutare il team che organizzava
eventi per il World Expo 2010. Appena due mesi dopo la laurea del novembre 2011, Pu cerca uno stage per
approfondire la sua esperienza di “eventologo”, fa domanda per 30 internship diverse ma l’unica che va in porto è
quella trovata sul sito di London 2012. “Così, dal gennaio scorso, sono nella capitale Uk come Deputy venue transport
manager per il comitato organizzatore delle Olimpiadi”. Obiettivo a breve? Mettere da parte una quota del suo
stipendio per un master negli Stati Uniti e poi lavorare nell’organizzazione di eventi sportivi.

Oggi
Obiettivo trasporto aereo, perseguito con un master in Virgina
Obiettivo Stati Uniti subito centrato da Davide: in questo momento si trova in Virginia. “Le Olimpiadi sono state
un’esperienza magnifica, ho imparato tanto e allo stesso tempo lavorato molto. Con la fine del mio contratto, però, ho
deciso di non continuare a lavorare, perché credo che al momento sia meglio investire nella formazione, per avere
maggiori opportunità in futuro”. Ora Davide sta studiando nel Master in Ingegneria dei trasporti presso l’università
Virginia Tech. “Per coprire le spese sono riuscito a conquistare una borsa di studio parziale come Assistente ricercatore
nel laboratorio di trasporto aereo, proprio il settore in cui vorrei specializzarmi”. Prospettive di ritorno in Italia? “Poche,
visto ciò che leggo quotidianamente sui giornali”.
Anita Da Ros

Ier i/O g g i (5 aprile 2013)


Anita, da Conegliano al centro di Londra. Con la vocazione da giramondo
“Puntate ad un impiego a Londra? Attenti, è una città che impone molti sacrifici, non è facile come molti pensano.
Devi riuscire a crearti uno spazio lavorando su te stesso giorno dopo giorno”. Anita Da Ros oggi ha 24 anni, ma il suo
spazio londinese ha cominciato a costruirselo quando di anni ne aveva solo 19. “Appena diplomata in ragioneria a
Conegliano, in provincia di Treviso, ho preso la valigia e, piena di sogni, sono volata a Londra”. Sogni ma anche molto
coraggio per una giovanissima che, per prima cosa, si iscrive alla laurea triennale della London metropolitan university
e poi va a frequentare il secondo anno dall’altra parte dell’oceano, alla San Francisco state university. “L’ultimo
semestre del mio undergraduate è stato intensissimo: studiavo, lavoravo 20 ore nei week end e, un giorno alla
settimana, ero al Parlamento a Westminster per uno stage”. Completata la triennale nel febbraio 2012, a settembre
Anita avrebbe iniziato un master in Public services policy and management al King’s college. “In quell’intervallo di
tempo mi sono trasferita a Girona e ho seguito un corso di tre mesi in cui ho imparato lo spagnolo”. Ora che sta
studiando per il master ha anche trovato un lavoro: controllo crediti alla TechQuarters & Dunning enterprises. “Una
volta consegnata la tesi il mio primo obiettivo è imparare il portoghese, perché entro la fine dell’anno penso di
trasferirmi in Brasile e cercare lavoro lì. O magari in Asia”.
GRUPPO 8: I CONTINENTALI
Mariolina Eliantonio

Ier i (29 ottobre 2010)


A 31 anni direttore di un corso universitario a Maastricht, nei Paesi Bassi
A 31 anni direttore di un corso di laurea. Un anno dopo, nel 2010, inviata in Corea come ambasciatrice
dell’università per esplorare l’opportunità di accordi con gli atenei di quel Paese. “Ora sono tornata a Maastricht ad
insegnare Diritto amministrativo europeo, Diritto costituzionale comparato e Diritto europeo istituzionale”. Mariolina
Eliantonio ha toccato traguardi, anche retributivi, che alla sua età, in Italia, molto difficilmente sarebbero stati alla sua
portata. “E soprattutto assunta solo in base ai titoli e alle performance, ben lontano dalle logiche dei concorsi truccati
che troppo spesso regolano queste cose in Italia e alle quali non voglio sottomettermi, quand’anche il vincitore
designato dovessi essere io stessa”. Il cammino di Eliantonio è partito da Pescara, città di nascita e di studi superiori
lasciata per andare a frequentare l’università a Teramo: laurea in Giurisprudenza nel 2001. “A quel punto volevo
specializzarmi in Diritto europeo con un corso in lingua inglese. Così mi sono messa alla caccia via Internet - che allora
non offriva la marea di informazioni attuali e ancora non prevedeva il sistema Bachelor/master in Europa - di qualcosa
che facesse al caso mio. Dopo un po’ di fatica, l’ho trovata in Olanda”. Era il master in Diritto europeo e comparato
della Maastricht university, che prevedeva una severa selezione internazionale. “Sono stata ammessa, ho preso il
diploma e poi ho puntato più in alto: come previsto in quella università ho presentato un progetto di studi per un
dottorato di ricerca”. Una volta accettata, le sue performance come dottoranda sono state misurate come in una
qualunque azienda privata. Visti i buoni risultati è arrivata l’assunzione come Assistant professor nel 2007 e poi, due
anni dopo, la promozione a direttore accademico di un corso di laurea triennale, la “European law school”.

Oggi
Continua la carriera accademica, tra l’Olanda e il Belgio
Mariolina è ormai consolidata nella carriera accademica, una strada che ha scelto di percorrere nei Paesi Bassi, con
l’Italia sempre più lontana. “Sono sempre all’università di Maastricht e in più, da un anno a questa parte, lavoro anche
part time a Bruxelles per una società che fa ricerca per le istituzioni europee. É un modo interessante per
complementare la visione accademica del diritto europeo: mi consente di vedere da vicino il policy-making e di fornire
opinioni e analisi”.
Silvia Zolfanelli

Ier i (12 novembre 2010)


Una promozione durante la maternità? È successo a Silvia. A Cork, in Irlanda
L’assenza dal lavoro per maternità. Il timore del rientro in un ruolo sminuito. E poi la possibilità, così frequente
oggi per una donna, di un demansionamento di fatto. E invece nulla di tutto ciò per Silvia Zolfanelli, anzi, per lei arriva
addirittura la promozione ufficiale a team leader proprio mentre è ancora assente per maternità. Insomma una storia,
una volta tanto, finita bene. Peccato che il tutto non sia avvenuto in Italia. Racconta Silvia. “Quando il mio capo
irlandese mi ha offerto la posizione di responsabile dell’ufficio gestione ordini, aspettavo la seconda bambina. Così,
con la mia mentalità italiana, gli ho chiesto se fosse davvero il caso di darmi quel posto visto che ero in gravidanza.
Sapete cosa m’ha risposto? “Sei incinta, non sei diventata irresponsabile o stupida tutto in un colpo”. Non me
l’aspettavo: ho più di un' amica in Italia che s’è vista negare il rinnovo del contratto a progetto proprio a causa della
sua imminente maternità”. L’avventura irlandese di Silvia è cominciata sei anni fa quando aveva 28 anni, dopo la
laurea in lettere alla Cattolica di Milano e dopo due anni passati vagando tra lavori precari come cameriera, baby sitter,
ripetizioni di latino e call centre. “Così ho deciso di trasferirmi in Irlanda, a Cork, e anche lì ho cominciato con i call
centre, prima con Siemens e poi con Apple. Alle fine del 2005, però, ho trovato un’occasione alla Trend Micro, azienda
che realizza antivirus, per la quale ho lavorato nella gestione ordini”. Poco più di un anno dopo arriva la sistemazione
attuale, alla “VMware International”, società di software. “Avrei anche voglia di rientrare a Milano vicino alla mia
famiglia di origine. Ma so che, se mai un giorno riuscissimo a trasferirci, le mie ambizioni di donna lavoratrice
verrebbero drasticamente ridimensionate”.

Oggi
E con il terzo figlio arrivano le mansioni da supervisor
Chissà se per Silvia si ripeterà l’impensabile (in Italia): una promozione durante la maternità. Volendo fare una
battuta forse è proprio questa la ragione per cui lei, per la terza volta, si trova in quella condizione. “Sono in maternità
per il mio terzo figlio dopo che ho continuato a lavorare come team leader alla VMware”. Anche se non in modo
ufficiale, comunque, una promozione effettiva di mansioni Silvia l’aveva già avuta prima di quest’ultima interruzione
del lavoro e sempre a causa di una maternità, anche se questa volta non la sua. “Sebbene formalmente la mia
posizione professionale sia rimasta la stessa, per quasi un anno ho svolto il ruolo di supervisor per coprire la
maternità della mia Supervisor, con il conseguente incremento di mansioni, aumento di stipendio e maggior
concentrazione sulla gestione delle persone”.
Liberatore Raspa

Ier i (8 luglio 2011)


La veloce carriera di Liberatore tra gruppi anglosassoni e Mitteleuropa
Per lui, la svolta nel lavoro è venuta da un insolito mix di Stati Uniti e Mitteleuropa. I primi come casa madre di
una storica multinazionale, la Ibm, la seconda con l’inaspettata offerta d’impiego da Repubblica Ceca e Ungheria. “In
effetti dopo tanti lavoretti nel turismo estivo, quando ho deciso di puntare tutto sull’estero è arrivata finalmente una
proposta seria da Ibm: base a Brno come specialista It per i grossi clienti italiani. E questo solo due anni fa, quando
ormai avevo compiuto i 30”. Raspa è di origini siciliane, ma è nato a Leonberg in Germania dove, anche i suoi genitori
come lui ora, erano emigrati per lavoro. Rientrato a 8 anni in Italia, prima ha conquistato il diploma di perito
elettrotecnico ad Augusta e poi il salto di qualità con la frequenza del biennio di ingegneria informatica al Politecnico
di Milano. “Gli studi li ho completati nella mia regione e mi sono laureato a Catania. In vari momenti del periodo della
mia formazione, poi, a 20, 21 e 27 anni, ho lavorato per Mercedes-Benz con il programma Summer Job in Germania, a
Stuttgart e Sindelfingen”. Ma la sua esperienza estera si è completata a 26 anni con una vacanza/lavoro di tre mesi in
Australia e poi, dopo la laurea, con un lungo periodo a Londra dove con qualche lavoro temporaneo si è mantenuto
ad un corso di inglese in un college locale. “Approdato in Ibm, dopo alcuni mesi trascorsi a lavorare giorno e notte sui
turni e dopo ottimi risultati in termini di performance, ho ricevuto la prima possibilità di muovermi all’interno della
stessa azienda, a Budapest, come team leader per un nuovo progetto. Ora, dopo appena due anni, ho raggiunto un
obiettivo impervio in Italia in così poco tempo: sono a capo di un team di 30 persone a supporto di Italia, Spagna,
Grecia e Israele”.

Oggi
Budapest: uno scivolo per accelerare la carriera
Ancora a Budapest, ma non più in Ibm. Liberatore ha cambiato azienda ed ha assunto una posizione professionale
di livello più elevato. “Da meno di un anno ricopro il ruolo di “Regional Manager - Italia e Spagna in Agoda.com,
azienda leader in Asia nel settore delle prenotazioni alberghiere online”. Un altro risultato di successo per chi ha scelto
l’estero come scivolo per accelerare nella carriera.
Chiara Pascarella

Ier i (15 luglio 2011)


Dalla diplomazia al management. Da due anni imprenditrice a Mosca
Voleva diventare una diplomatica. Poi la vita l’ha portata in una direzione diversa, anche se, a lavorare all’estero,
c’è arrivata comunque quando aveva 29 anni. “Era l’aprile del 2006 ed io ero a Lipetsk, una città a circa 400 chilometri
da Mosca, per l’apertura di un centro logistico di Indesit. È stato lì, in quel periodo che doveva essere di pochi mesi di
lavoro, che la Russia mi ha conquistato. Così sono rimasta e da cinque anni sono stabile a Mosca”. Chiara Pascarella
viene dal Sud Italia, è nata a Caserta e si è laureata all’università Federico II di Napoli in scienze politiche con indirizzo
internazionale. Una base di lancio, sperava, verso la carriera diplomatica. “E invece, nonostante una laurea con il
massimo dei voti, due lingue estere parlate e vari soggiorni, ciascuno di alcuni mesi, in Olanda e negli Stati Uniti
durante gli studi, un lavoro nella diplomazia non si è mai palesato all’orizzonte”. Così Chiara decide di puntare in
tutt’altra direzione, quella del management, con un Master in business administration al Cuoa di Altavilla Vicentina.
“Così si sono aperti molti contatti con prestigiose multinazionali, tra cui Indesit Company che mi ha offerto una
collaborazione”. Prima come New media manager e, dopo due anni, come responsabile comunicazione
internazionale, con un rapporto a tempo indeterminato e con l’invio per un periodo di lavoro in Russia. “Lasciata
Indesit, fino al 2009 ho lavorato a Mosca come Relationship director di Capital group. Infine ho deciso di mettermi in
proprio”. È nata così la società Dasìyes (come il “sì” in tre lingue) che ora opera su tre divisioni: eventi, servizi di lusso e
nightlife (consulenza per bar, ristoranti e club prestigiosi). “Con un team che ho voluto il più internazionale possibile:
italiani, russi, cechi e armeni”.

Oggi
La sua azienda cresce. “Io? Un’opinionista dello show business”
Chiara ha sviluppato ulteriormente la sua attività imprenditoriale con la società che ha fondato, la Dasìyes.
“Abbiamo ancora tre divisioni, ma la prima non si occupa più solo di eventi, è diventata una società di pubbliche
relazioni a 360 gradi”. Chiara, poi, ha acquisito notorietà a Mosca, “Grazie alla divisione nightlife che è diventata un
brand notissimo della notte moscovita”. Al punto che lei si autodefinisce “opinionista dello show business” e
“personaggio della notte”. “L’8 Dicembre, poi, verrò nominata Direttore promozione e sviluppo delle Pmi italiane in
Russia e, di conseguenza, membro del direttivo di Confindustria Russia”.
Luisa Laureti

Ier i (25 novembre 2011)


Realizzare il sogno da ricercatrice. Obiettivo raggiunto, ma a Parigi
Nonostante le facoltà scientifiche non siano sufficientemente affollate, almeno quanto sarebbe necessario al
nostro paese, tra i giovani che le scelgono non sono pochi quelli che lo fanno per inseguire un sogno: diventare
ricercatori. Una vocazione che spesso viene scoraggiata in partenza negli stessi ambienti familiari: “Faresti la fame, è un
lavoro senza prospettive”. Non è stato così per Luisa Laureti, perché l’asfittico mondo della ricerca italiana l’ha saltato a
piè pari scegliendo subito l’estero. “Tutto è iniziato nel 2006, durante il mio ultimo anno di laurea specialistica,
quando ho ottenuto una borsa Erasmus per un’attività di laboratorio all’università di Leiden in Olanda. È stata
un’esperienza bellissima, che mi ha spinto a puntare sull’estero per cercare quelle opportunità nella ricerca scientifica
che l’Italia non poteva offrirmi”. Luisa ha 29 anni, è napoletana di nascita ma gli studi li ha fatti da “emigrante” al
Nord, prima il liceo scientifico a Milano e poi l’università a Pavia, fino ad arrivare, nell’ottobre del 2006, alla laurea
magistrale in Biotecnologie industriali. “A quel punto il mio obiettivo era il dottorato di ricerca, ma in Italia non c’erano
prospettive. Così sono stata scelta per un progetto finanziato dall’Unione europea in Francia, all’università Henri
Poincaré di Nancy. Obiettivo, la scoperta di nuove molecole ad attività antibiotica”. Tre anni di lavoro, il conseguimento
del dottorato e poi, il grande successo: la molecola identificata diventa un brevetto europeo. Un risultato ottenuto
anche con qualche puntata in Inghilterra, all’università di Warwick per portare a termine alcuni esperimenti. “E così,
nell’aprile del 2010, ho ottenuto quel contratto per cui tanto mi ero impegnata: ricercatrice presso il laboratorio di
genetica medica ed evolutiva all’università René Descartes di Parigi”.

Oggi
Pronta a trasferirsi a Marsiglia, per combattere il cancro
La carriera di ricercatrice di Luisa ha segnato tappe significative, al punto che due articoli scientifici sui risultati
delle ricerche a cui ha partecipato sono stati recentemente pubblicati sulle riviste DNA repair e Nature Comunication.
“Fino al maggio di quest’anno continuerò le ricerche su Escherichia coli e sui meccanismi responsabili
dell’apparizione di mutazioni spontanee e indotte dall’esposizione ad antibiotici”. Un’attività svolta presso il
laboratorio di genetica medica ed evolutiva dell’università René Descartes di Parigi. “Da giugno, però, cambia tutto:
inizio un nuovo contratto come ricercatrice presso il centro di cancerologia di Marsiglia, per indagare i meccanismi di
riparazione delle mutazioni”.
Federica Malinverni

Ier i (29 giugno 2012)


Federica insegna lingue in Spagna. E sogna i Paesi in via di sviluppo
“Il mio sogno per il futuro? Partecipare a un progetto educativo in un paese in via di sviluppo”. Intanto Federica
Malinverni, 27 anni appena compiuti, il lavoro come educatrice già ce l’ha, non in una parte difficile del mondo ma nei
Paesi Baschi, a Donostia-San Sebastian, dove insegna inglese alla Elduaien Hizkuntzak eskola. L’attrazione verso
l’internazionale, però, l’ha sviluppata molto prima e per un luogo della Terra ben più lontano. “Avevo 16 anni e con
Intercultura sono andata per un anno di studi a Tegucigalpa nell’Honduras. Partivo da Ivrea, dove sono nata e dove
frequentavo il liceo internazionale”. L’allontanamento vero da casa è tuttavia arrivato nel 2006, quando Federica s’è
trasferita a Treviso alla conquista della laurea in Mediazione linguistica e culturale (ottenuta nel 2009). Prima di
Treviso, però, s’era fatta sentire la nostalgia del Centroamerica: di nuovo Tegucigalpa per un anno, a insegnare
l’italiano all’Accademia europea. “La simpatia per la lingua spagnola, quando dovetti scegliere una destinazione
Erasmus, mi ha fatto puntare a Jaèn nell’Andalusia. Lì ho conosciuto una ragazza catalana che però viveva nei Paesi
Baschi, a Donostia, a cui mi sono molto legata. Così, quando due anni dopo andai a trovarla, mi innamorai di quella
città. Da allora, era il 2010, non mi sono più mossa”. Federica, prima di trasferirsi, aveva inviato il suo curriculum a
tappeto. La risposta è arrivata dalla eskola Elduaien Hizkuntzak, prima per collaborazioni da interprete e poi con
l’assunzione come insegnante di lingue. “Contemporaneamente ho frequentato un corso per maestre d’asilo nido.
Oggi è il settore in cui più mi piacerebbe lavorare, soprattutto con i bambini di Paesi in via di sviluppo. Per questo sto
seguendo un master on line in tema di cooperazione ed uguaglianza di genere”.

Oggi
Studiando euskara, per insegnare ai bambini baschi
Federica continua a puntare al suo obiettivo di lavoro nell’ambito della cooperazione. “Continuo a dar lezioni di
inglese e italiano e sto cercando di studiare euskera, perché nei Paesi Baschi il bilinguismo è molto forte, in particolar
modo per quanto riguarda l’istruzione. Così penso di poter accedere più facilmente al settore dell’educazione
infantile”.
Christian Maffeo

Ier i (13 luglio 2012)


Roma-Helsinki-Stoccolma-Praga. La carriera di Christian corre per l’Europa
“La prima volta da solo fuori dall’Italia? L’estate dei miei 15 anni appena finita la prima liceo: tre mesi a
Manchester da amici di famiglia per imparare l’inglese. E così tutte le estati successive, fino al diploma”. Christian
Maffeo ora ha 32 anni ma già da sei, appena un mese dopo essersi laureato, lavora all’estero. “Sono di Roma e tutta la
mia formazione fino alla laurea in Economia aziendale si è svolta nella capitale. Ma i viaggi di studio oltrefrontiera non
si sono limitati alle puntate estive da liceale”. Christian infatti aveva intuito che ogni esperienza in più all’estero
avrebbe pesato positivamente sul suo curriculum. “Così, durante l’università, ho mandato un’application per una
borsa di studio per tesi all’estero e l’ho vinta”. Partenza dunque per il Belgio verso la Antwerpen universiteit, per una
tesi sulla logistica nel porto di Anversa. “Sono rimasto per sei mesi e poi sono tornato a Roma giusto il tempo di
discutere la tesi, vendere la mia utilitaria e prendere un volo di solo andata per Helsinki, affascinato dal mito
dell’efficienza scandinava”. Trovare un impiego adatto, però, non è immediato e così Christian per qualche mese fa il
lavapiatti nelle mense aziendali prima che arrivi l’offerta giusta: Key account manager alla Mozo ltd. “Tre anni e poi
Helsinki ha cominciato a starmi stretta, così ho deciso di trasferirmi a Stoccolma per un nuovo lavoro: Account director
alla Grow Ab, una delle migliori branding agency svedesi”. Altri 18 mesi e poi l’avanzamento di carriera arriva per caso
durante un volo Monaco-Stoccolma. Un vecchio cliente gli dà una dritta: c’è una posizione aperta in SabMiller come
International marketing manager di Peroni Nastro Azzurro, con sede a Praga. “Ci lavoro dalla fine del 2010 e sono
soddisfatto: qui ad un giovane si danno responsabilità impensabili in Italia”.

Oggi
Nella capitale Ceca, a gestire nuovi marchi della birra
La scelta della bellissima città ceca a Christian sta portando fortuna. “Oltre a Peroni Nastro Azzurro m’hanno dato
anche la gestione del marchio Miller”. Prospettive? “Sto valutando un mio possibile spostamento all’interno del
gruppo SabMiller”.
Fabio Meloni

Ier i/O g g i (22 marzo 2013)


La passione di Fabio per la finanza ma in versione moscovita
“Certo, vivere lontano da dove sei cresciuto non è sempre l’ideale, però oggi è quasi dovuto in un mondo
globalizzato. Per questo mi sento di dare un consiglio ai giovanissimi: se volete realizzare i vostri sogni dovete essere
flessibili, dinamici e dar fondo allo spirito d’iniziativa”. Un comportamento che Fabio Meloni, oggi trentenne, ha scelto,
appunto, fin da giovanissimo puntando sulle sue due passioni, il mondo economico-finanziario e la cultura russa.
“Durante l’università ho studiato il russo e così, dopo il primo lavoro a Londra con Jp Morgan, ho puntato su Mosca”.
Il cammino di Fabio verso l’oriente europeo parte dal cuore profondo della Sardegna, dal paesino di Ghilarza in
provincia di Oristano dove è nato. Il primo grande salto è stato verso Milano, università Bocconi per la laurea
specialistica in Management. “Per un semestre però ho preso al volo l’Erasmus e ho frequentato la Rotterdam School
of Management. Ma in Olanda non sono rimasto ad attendere, ho inviato il cv a una serie di società scelte da un mix di
annunci offerti dalla Bocconi. Così sono stato selezionato per due stage a Milano, prima alla Lazard Bank e poi alla
Rothschild”.
Arrivata la laurea nel 2006, viene contattato da un cacciatore di teste e riesce a entrare in Jp Morgan con sede a
Londra. Tre anni e poi Fabio chiede il trasferimento a Mosca come associato. “Da gennaio, infine, mi hanno promosso
a vicepresidente nel team di investment banking”.
GRUPPO 9: I “FRONTALIERI”
Silvia Vendrame

Ier i (11 febbraio 2011)


Ventisei anni e “team manager”. Succede all’italiana Silvia, ma in Svizzera
“Ho solo 26 anni, ma da pochi giorni e dopo appena un anno di lavoro, sono stata messa a capo di un team di
cinque persone. Peccato, però, che ciò non stia avvenendo in Italia”. Per ottenere una posizione equivalente nel nostro
paese, infatti, Silvia Vendrame avrebbe probabilmente dovuto attendere parecchi anni, sempre che fosse riuscita ad
avere un’assunzione stabile fin dall’inizio come è successo a Zurigo. “Sono partita come recruitment consultant nel
gennaio del 2010, nella società di executive search Swisslinx. Ho subito cominciato ad occuparmi di personale di
medio e alto livello, per istituzioni finanziarie basate in Svizzera e negli Emirati arabi uniti. L’elemento che ha fatto la
differenza per la mia assunzione? L’ottima conoscenza della lingua tedesca”. Una padronanza che muove i primi passi
nel settembre del 2001, quando Silvia frequenta il liceo linguistico a Treviso e aderisce alla proposta di Intercultura
per un anno di studio in Germania, presso una famiglia di una cittadina del Baden-Wuerttemberg, Schwaebisch Hall.
“Sono poi tornata in Germania con il programma Erasmus durante l’ultimo anno della mia laurea specialistica in
Economia degli scambi internazionali, questa volta nella cittadina universitaria di Bamberg”. Due anni prima, intanto,
visto che il suo corso di laurea alla Ca’ Foscari di Venezia prevedeva uno stage all’estero, Silvia aveva fatto una puntata
in un altro continente: quattro mesi di internship alla Camera di commercio italiana di Santiago del Cile come
assistente del direttore commerciale. Progetti futuri? “Per il momento vedo la mia carriera svilupparsi qui in Svizzera. A
Zurigo, poi, che è il cuore finanziario del Paese, vivono persone di tutto il mondo e ci sono numerose opportunità
lavorative”.

Oggi
A Zurigo per coordinare le assunzioni e valutare le performance
La previsione di Silvia sulle opportunità professionali zurighesi si è poi puntualmente avverata. “Sempre a Zurigo,
dal dicembre del 2011, lavoro come Junior project manager ed HR coordinator presso Rothschild Bank”. Una
progressione di carriera facilitata anche dalla sua attività precedente che le aveva creato contatti nell’area finanza. “Ora
le mie responsabilità sono cresciute. Mi occupo di coordinare le assunzioni in Svizzera e del processo di valutazione
delle performance annuali di tutti i dipendenti della divisione Wealth management & Trust in ogni sede della banca:
Svizzera, Hong Kong, Singapore, Germania, Guernsey”. Con in più un altro compito a volte non piacevole: la stesura
del budget legato alle variazioni nel personale. Che è come dire assunzioni e licenziamenti.
Alessia Schiavon

Ier i (11 marzo 2011)


Italiano, francese, tedesco e russo. Così Alessia gioca il suo poker di lingue
“La mia fortuna? Un bando di concorso scaduto”. Alessia Schiavon è trevisana, ha 28 anni e ha trovato impiego
all’estero grazie a una filosofia di vita possibilista a oltranza: “Devi essere intraprendente pur se in apparenza non hai
chance, perché non perdi nulla comunque, anche se ti va male”. E la sua intraprendenza, che molti avrebbero definito
insensatezza, è culminata nel 2008, mentre stava concludendo il master in traduzione alla Scuola superiore di lingue
moderne di Trieste e passava per caso davanti a una bacheca dell’università. “Ho visto un bando per traduttrice
praticante all’Ufficio federale della sanità pubblica di Berna. C’era solo un piccolo particolare che strideva: ormai era
scaduto. Io però non mi sono data per vinta e mi sono candidata ugualmente”. Così, anche in quel caso, ha funzionato
il noto proverbio e la fortuna ha aiutato l’audace: pochi giorni dopo in Svizzera viene approvato il budget per gli stage
dell’anno e Alessia è immediatamente contattata. “Ho fatto il test di selezione e trenta giorni dopo la laurea sono
partita per Berna, dove mi trovo tuttora”. Lo stage dura cinque mesi, poi segue un praticantato presso la Segreteria
generale del dipartimento federale dell’ambiente e dell’energia. “Nel 2010 ho infine vinto un concorso pubblico per
un posto di traduttrice a tempo indeterminato all’Ufficio federale della cultura”. La passione di Alessia per le lingue
era cominciata al liceo linguistico di Treviso, sostenuta poi da due semestri di Erasmus a Vienna nel 2004 durante
l’università. Conosce bene il francese ma ora traduce prevalentemente dal tedesco. “Ma il mio obiettivo è lavorare nel
settore in cui mi sono specializzata, le traduzioni in ambito energetico. Giocherò il mio asso nella manica, l’ottima
conoscenza della lingua russa”.

Oggi
Alla Consob svizzera, unica traduttrice in italiano
Forse il progresso non è venuto solo dall’asso della lingua russa e hanno ben giocato anche i re e le regine del
tedesco e del francese, fatto sta che Alessia ora ha cambiato datore di lavoro e ha migliorato la sua professionalità.
“Sono passata alla Finma, l’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari, per intenderci, la Consob svizzera.
Traduco fondamentalmente dal tedesco, un po’ dal francese e qualcosa dal russo”. Cosa è cambiato allora
professionalmente? “Soprattutto l’aumentata autonomia e poi la posta in gioco: nella Finma sono l’unica traduttrice
in-house per l’italiano”. Quindi la responsabilità del risultato è solo sua nel tradurre comunicati stampa, rapporti,
leggi, ordinanze, circolari. “E non da ultima la corrispondenza. Curo anche una base dati terminologica per l’italiano
che raccoglie termini significativi per il settore bancario, finanziario e assicurativo”. E per non “oziare” troppo dopo il
lavoro istituzionale, Alessia si dedica anche alla traduzione in libera professione. Il prossimo obiettivo? “Diventare capo
di un servizio linguistico italofono”.
Giancarlo Porta

Ier i (28 ottobre 2011)


La ricetta svizzera di Giancarlo. Maggiore flessibilità e carriera più veloce
L’estero può essere anche a soli 22 chilometri dal confine italiano, ma per un giovane può diventare una strada
che corre su percorsi di carriera veloci. “Magari, come nel mio caso, bisogna rinunciare a qualche iper garanzia italiana
come l’illicenziabilità, ma se lavori bene non c’è da temere”. Giancarlo Porta, che risiede a Lugano da 7 anni, si riferisce
al contratto di lavoro di diritto svizzero: tempo indeterminato ma ... “Alla fine del 2004, in fase di selezione, chiedo al
mio futuro capo: ma in Svizzera come funzione l’articolo 18? E lui: semplicemente non esiste, se un giorno mi gira ti
licenzio e te ne vai. Segue sguardo terrorizzato del sottoscritto e lui che risponde ridendo: non ti preoccupare, se sei
bravo e volenteroso sarei uno stupido a licenziarti”. Porta è nato a Genova, la stessa città dove si è laureato in chimica
nel 2001, un anno in cui molte aziende si spingevano verso siti tipo Timisoara o Minsk. “Così sono riuscito a cogliere il
momento iscrivendomi al corso di Esperto per l’internazionalizzazione delle imprese della business school vicentina
Cuoa. Appena finito sono stato assunto da una piccola azienda farmaceutica, la Monico di Mestre, che voleva fare il
passo verso l’estero, in Russia e Bielorussia”. Porta ci lavora tre anni ma alla fine è insoddisfatto, vuole trovare
un’occasione migliore. “La svolta è arrivata per caso. Sul treno tra Vicenza e Venezia trovo un giornale abbandonato, il
Corriere del Ticino, do un’occhiata e vedo un’inserzione interessante. Appena arrivato rispondo all’annuncio e,
finalmente, a 27 anni mi trasferisco a Lugano come Junior area manager per la Refarmed Chemicals”. Ora, dopo
pochi anni, Porta è responsabile commerciale per l’Est Europa, Giappone, Cina, Sud Corea, Vietnam, Israele e Nord
Africa. “Purtroppo non credo che in Italia avrei potuto progredire così in fretta”.

Oggi
Lugano, quasi Italia, ma con responsabilità tutte asiatiche
La scelta dell’estero, pur se “limitrofo”, ha confermato l’ipotesi di Giancarlo sulla progressione di carriera
accelerata rispetto all’Italia. “Sono ancora a Lugano alla Refarmed Chemicals ma il mio lavoro ha segnato progressi
operativi sostanziali: sono diventato responsabile di tutto il Fareast asiatico e, prossimamente, anche dell’area Asean,
quella del Sudeast asiatico”. Insomma, anche solo dalla Svizzera italiana l’espatrio sembra pagare, visto che Giancarlo
sta diventando un super esperto delle aree asiatiche, una competenza molto spendibile sul mercato del lavoro: “Sono
anche responsabile e coordinatore dei progetti di ricerca e sviluppo delle nostre fabbriche con il target finale asiatico”.
Serena Speroni

Ier i (1 maggio 2009)


La strada di Serena, da Varese al Dow Jones di Francoforte... Con l’approdo in Svizzera
“Essere positivi e tenaci. Io lo sono sempre stata e mi sento di consigliarlo ai miei coetanei, soprattutto in un
momento di crisi come quello attuale. Non scegliete sempre la situazione più comoda e a portata di mano. Osate”.
Serena Speroni, 27 anni, oggi lavora a Francoforte alla Dow Jones & Company, dopo aver “osato” andando a studiare
e lavorare tra gli Stati Uniti e il Belgio. “Sono di Varese e il mio primo passo coraggioso, almeno per una ragazza di 18
anni, è stato quello di trasferirmi a Milano per frequentare Lingue e tecniche della comunicazione all’Università
Cattolica”. Un indirizzo di laurea oggi considerato, perlomeno nella parte comunicazione, inflazionato, con troppi
giovani che cercano lavoro. Ma Serena, un anno prima della laurea, aveva preso al volo una prima occasione che forse
per lei ha fatto poi la differenza: una borsa di studio per un programma di tre mesi di studi linguistici alla Tulane
university di New Orleans. Seguito poi, immediatamente dopo la laurea nel 2005, da uno stage di sei mesi a Bruxelles
come Assistente marketing ed eventi presso Euroidees, l’associazione europea per lo sviluppo delle piccole e medie
imprese. “Lo stage è stato determinante, perché appena tornata in Italia ho trovato un impiego alla Vorwerk , dove per
tre anni ho fatto l’Event planner”. Fino all’ottobre scorso quando c’è stata da cogliere l’ultima occasione al volo: un
sito di recruiting on line cercava un Conference & marketing specialist per Francoforte. “Ho superato prima una dura
selezione telefonica e poi i colloqui in Germania. Ora in Dow Jones mi occupo dello sviluppo del settore conferenze,
in Francia e in Italia, del mercato dei metalli”. Un approdo, secondo Serena, favorito anche da un plus che spesso i
giovani sottovalutano. “La conoscenza delle lingue: parlo fluentemente inglese e francese e sto migliorando il mio
attuale buon livello di tedesco”.

Oggi
“Giovani, migliorate le conoscenze impegnatevi nel lavoro”
Dal mondo della finanza alla galassia dell’associazionismo non profit, è il cammino di Serena che parte da
Francoforte e arriva al Canton Ticino. “Al Dow Jones ho lavorato per un anno e mezzo. È stata un’esperienza
altamente formativa e determinante per la mia carriera, anche se poi, per motivi personali, ho deciso di interrompere la
mia collaborazione”. A quel punto, però, Serena aveva acquisito buone competenze nelle aree del marketing, degli
eventi e della comunicazione. Ed aveva un altro plus : l’approfondita conoscenza dell’inglese, del francese e del
tedesco. “Così mi sono un po’ più avvicinata all’Italia, perchè ho subito trovato un’altra occupazione in Svizzera, a
Lugano, dove vivo e lavoro ormai da tre anni ”. Serena è Communications coordinator alla Esmo, European society for
medical oncology, la principale organizzazione professionale europea che riunisce 7 mila professionisti di 120 paesi.
La mission è quella di far progredire la specialità dell’oncologia medica e di promuovere un approccio
multidisciplinare al trattamento e alla cura del cancro. “Quando sento parlare delle difficoltà che incontrano i miei
coetanei italiani nella ricerca di un lavoro, mi rendo conto di essere stata molto fortunata nella mia carriera. Ma non si
può imputare tutto il successo alla fortuna. Il consiglio che mi sento di dare, dunque, è che ci vuole un impegno
costante nel cercare di ampliare le proprie conoscenze e nel migliorarsi professionalmente. Dal canto mio continuo a
frequentare corsi di formazione nel settore comunicazione, grazie anche al supportato economico della mia società.
Inoltre al momento sono iscritta a un corso di tedesco professionale”.
Nicole Pingitore

Ier i (16 marzo 2012)


La passione di Nicole per i grandi hotel. Dagli Usa al ritorno in Svizzera
“Ho viaggiato sin da piccola con la mia famiglia e così ho subìto il fascino dell’atmosfera da hotel. Soprattutto la
mattina nella sala colazione, quando l’aria ha un intenso profumo di caffè. Così l’ho promesso a me stessa: da grande
lavorerò in un albergo internazionale”. Giuramento mantenuto perché Nicole Pingitore, 24 anni, ora è a Chicago ed ha
già lavorato per un anno in un grande hotel londinese. La sua avventura estera, in realtà, comincia già a diciannove
anni, appena dopo aver concluso il liceo linguistico a Treviso, la sua città natale. “Volevo seguire la mia vocazione per
l’hotelerie, cercavo qualcosa che mi desse basi pratiche oltre che teoriche. Purtroppo in Italia, a parte Economia del
turismo che non mi attirava, non vedevo nulla che si avvicinasse alle mie aspirazioni”. Così Nicole sceglie le Alpi
svizzere di Cras-Montana, dove ha sede una quotata scuola internazionale che forma direttori d’albergo, l’istituto Les
Roches, e lì si laurea in International hospitality management. Nei tre anni di studi frequenta anche due stage a
Londra, il primo per un training in “food and beverage operations” al Grove golf resort e l’altro all’hotel Landmark.
“Prima di laurearmi avevo già diverse offerte di lavoro, in California, a Bruxelles e ancora a Londra. Nel febbraio del
2011 ho scelto l’Hyatt Regency London the Churchill, sia perché mi offriva qualcosa oggi quasi impossibile per un
giovane in Italia, un contratto a tempo indeterminato, sia perché dovevo lavorare con una clientela vip: ambasciate,
delegazioni internazionali, business company”. Un anno di impegno intenso e poi Nicole punta a livelli ancora più
alti. Oggi è al Kendall college di Chicago per seguire altri due corsi: Meetings and events e Management and finance.
“Finiscono a dicembre, poi tornerò in Europa”.

Oggi
Dagli alberghi alla consulenza per le imprese nascenti
La passione per gli hotel di Nicole, una volta tornata in Europa e nella sua crisi, ha dovuto cedere il passo al
realismo e alla ricerca di altre opportunità, in particolare nel management e nella finanza, per trovare un impiego. E il
risultato è stato migliore delle aspettative. “Ho conseguito la mia doppia laurea alla Kendall College University di
Chicago in anticipo di tre mesi e così mi sono messa subito alla ricerca di un lavoro. Una ricerca non breve ma che alla
fine mi ha portato in una posizione che mi permette di sfruttare a 360 gradi le mie capacità, oltre che di imparare
moltissimo”. E il luogo di lavoro, alla fine, è stato quello che già fu della sua formazione, la Svizzera, ma questa volta
nel Canton Ticino nel posto più vicino al confine italiano. “Da fine novembre 2012 vivo a Mendrisio e lavoro a Lugano
presso De Lorenzi & Partners”. Una società di consulenza, cioè, che si rivolge primariamente alle startup. “Affianca
imprese giovani ma ad alto potenziale di crescita ponendosi come facilitatore e business accelerator. Io svolgo la
funzione di executive assistant del Ceo Alberto De Lorenzi e del suo principale partner Bruno Giussani. Per un’altra
loro società, la Tinext SA, svolgo il ruolo di marketing assistant e curo la comunicazione in tutti i suoi aspetti”.
GRUPPO 10: I RIMPATRIATI
Anna Pivato

Ier i (22 maggio 2009)


Anna da Vienna a Monaco. Quella carriera iniziata con una mail
“All’inizio non è semplice lavorare all’estero, è faticoso instaurare una comunicazione efficace e una “complicità
con i colleghi stranieri. Spesso hanno uno stile di lavoro diverso, ti guardano con circospezione e ti sembra abbiano un
senso dell’umorismo incomprensibile. In seguito però s’impara a capire meglio le persone e si diventa molto più
open-minded”. Anna Pivato ha 28 anni e parla da Vienna dove è arrivata meno di un anno fa per entrare a far parte
dell’ufficio di tesoreria della divisione leasing di Unicredit. La sua “apertura di mente” comincia all’inizio del 2004,
quando lei - trevisana laureata l’anno prima a trieste in Economia del commercio internazionale e dei mercati valutari -
legge su un quotidiano il nome della managing director di Standard & Poor’s. “E poiché anche voi sulle vostre pagine
dite sempre di darsi da fare senza aspettare invano che le cose ti cadano addosso, io ho mandato direttamente a quel
nome una quantità di email tentando tutti i possibili indirizzi”. Un ardire premiato, perché dopo tre mesi arriva l’invito
di S&P a trasferirsi a Milano per uno stage di un anno: 750 euro al mese più buoni pasto da 8 euro al giorno. “Con il
biglietto da visita dell’esperienza nell’agenzia di rating, quando poi ho inviato il curriculum a una società di consulenza
del gruppo Bain & Co subito mi hanno assunto a tempo indeterminato per seguire un progetto in Unicredit”. Un
lavoro che deve aver fatto molto bene se la divisione New Europe di Unicredit ha deciso di proporle di entrare nel
gruppo. Così, dopo i primi passi a Milano, all’inizio del 2006 Anna è già a Monaco di Baviera nel nuovo team di
Planning & control del gruppo. “Ci sono rimasta due anni e mezzo prima di arrivare qui a Vienna per una nuova sfida:
cambiamento totale, tutto da imparare da zero”.

Oggi
Unicredit richiama in Italia, per studiare tra Istanbul e Varsavia
Anna a Vienna, nell’ufficio di Tesoreria di UniCredit Leasing, è rimasta per un anno e mezzo. Poi è arrivata la
proposta di tornare a Milano, per lavorare però su un grande progetto estero di UniCredit Holding, la banca cioè, non
più il settore leasing. “Dovevamo aprire alcune filiali in Libia ed è stata un’esperienza bellissima. Abbiamo partecipato
alla gara con altre banche straniere per vincere la licenza e ce la siamo aggiudicata. Abbiamo dovuto studiare tutto da
zero, perché la Libia era un paese completamente vergine sotto il punto di vista bancario, non avevano neppure le
carte di credito”. L’obiettivo era poi che Anna, unica donna assieme a una decina di altri colleghi, si trasferisse in Libia
per dare un imprinting alla nuova banca. “Tuttavia quando eravamo già sul punto di scegliere l’appartamento e ci
godevamo il caldo sole di gennaio in maniche di camicia in giro per un’affascinante Tripoli, purtroppo è iniziata la
guerra. Così siamo scappati in fretta e furia e il progetto Libia è stato interrotto”. Ora, da due anni Anna lavora a Milano
nell’ufficio di Business development della Global line di Financing & advisory, dove si occupa principalmente di
seguire progetti strategici. “Con UniCredit che ha investito su di me, facendomi conseguire un Master di secondo livello
in Corporate & Investment banking alla Bocconi, assieme ad altri 45 colleghi provenienti dai 22 paesi in cui è presente
il gruppo. Pur se locata in Italia, è stata un’altra esperienza fantastica di integrazione e collaborazione internazionali:
18 mesi in cui 4-5 giorni al mese giravamo tra la Bocconi, l’università di Vienna, quella di Istanbul, quella di Monaco e
quella di Varsavia. Bellissimo, non lo dimenticherò mai”.
Emanuela Gricia

Ier i (9 Ottobre 2009)


Da commessa a capo ufficio stampa quando Londra fa da trampolino
“Appena arrivata a Londra ho girato una quantità di negozi: entravo, salutavo e consegnavo il mio curriculum.
Dopo un mese ero già assunta come commessa da Selfridges. Poi sono passata alla boutique Versace, sempre per fare
la commessa”. A quel tempo Emanuela Gricia aveva solo vent’anni e si era appena diplomata nell’istituto tecnico della
sua città, Ferentino in provincia di Frosinone. Una cittadina che, evidentemente, le andava stretta, al punto da
spingerla a prendere il coraggio a due mani e trasferirsi nella capitale inglese. Ora Emanuela di anni ne ha 25 e dal
settembre 2008 è a capo del primo ufficio stampa inglese in-house del marchio Giuseppe Zanotti Design. La gavetta,
però, non è stata leggera, visto che mentre lavorava da commessa frequentava il corso in International business della
European school of economics. “Così, nel giugno 2005, ho potuto mettere un primo piede nel mondo delle Pr grazie a
uno stage presso l’agenzia I-Mage communications, seguito poi da un altro con Front row Pr, che opera nel settore
moda-bellezza”. Passi che l’hanno portata, tre mesi dopo, ad essere assunta a tempo indeterminato, a concludere il
quarto anno di studi alla Ese e a superare i colloqui per entrare in Giuseppe Zanotti Design. “E pensare che, nel 2004,
ero venuta a Londra per perfezionare l’inglese e restare solo tre mesi. Poi, tutto ha preso una piega diversa. In cosa
Londra è meglio di Roma? Qui i datori di lavoro non esitano a lodare chi si impegna e ottiene buoni risultati. Per
quanto ne so, in Italia la cosa è molto più rara”.

Oggi
Il rientro, la fatica per reinserirsi e poi l’ottima occasione in Gucci
“Nel Dicembre 2009, per motivi personali, ho deciso di tornare a casa, dove mi sono scontrata con la realtà
italiana, quella delle raccomandazioni e delle conoscenze. Ero molto ottimista perché avevo ottenuto un colloquio con
un brand molto noto, per una posizione in ufficio stampa. Colloquio andato benissimo con secondo appuntamento
subito fissato. Mi vedevo già a Milano ad iniziare la mia nuova avventura”. Il colloquio, invece, viene misteriosamente
cancellato e spostato a data da definire. “Non li ho mai più sentiti ma non ho lasciato che questo episodio mi facesse
perdere l’ottimismo”. Così Emanuela comincia ad inviare Cv su Cv, ad ogni ufficio stampa della moda e risponde a
centinaia di annunci. “Dopo sei mesi di vane ricerche, nel giugno 2010 ero pronta ad abbandonare il mio settore.
Avevo il morale a terra dopo essere tornata nel mio paesino a farmi mantenere dai miei genitori”. Quando tutto sembra
perso arriva un’offerta di stage a Roma (con rimborso spese di 500 euro mensili) in Fendi, nell’ufficio Wholesale Italia
e Europa. “Mi sentivo una fallita a dover ricominciare da zero e non avere più le responsabilità che avevo a Londra”. Lo
stage dura 12 mesi, durante i quali Emanuela fa la pendolare tutti i giorni Ferentino-Roma. “Avanti e indietro mattina e
sera: detestavo quel treno. Nel maggio 2011, finalmente, arriva un contratto a tempo determinato, come assistente
commerciale per il mercato italiano e, dopo un altro anno, l’ambita conferma a tempo indeterminato. Senza aumento
di stipendio, però, perché ‘sei già fortunata ad avere un posto sicuro’! Ma ho imparato un nuovo mestiere che mi piace,
lavorando per un brand stupendo”.
Nel Giugno 2012 il suo nome comincia ad essere conosciuto e così iniziano ad arrivare offerte di lavoro di brand
italiani importanti, tra i quali Gucci: evidentemente la sua esperienza estera ha contato. “Dopo svariati colloqui alla
fine decido proprio per Gucci per cui ancora ora lavoro come Area manager Italia per il mercato Wholesale e i
Franchising.
Ai ragazzi della mia età voglio dare dei consigli: imparate una o più lingue straniere, non abbiate paura di andare
all’estero perché anche se all’inizio sarà dura e vi ritroverete a fare lavori umili, tutto vi verrà ripagato. Aggiornate il
vostro Cv e, oltre al contenuto, siate molto attenti anche a piccoli dettagli come l’impaginazione, il formato e la
punteggiatura. Ultimo consiglio, i social network come LinkedIn sono la miglior vetrina per farvi notare da aziende ed
headhunter”.
Daniela Galante

Ier i (19 febbraio 2010)


Il curriculum di Daniela: oltre confine aumenta lo stipendio. E il tempo libero
“A soli due anni dalla laurea, nel 2007, avevo già conquistato un contratto a tempo indeterminato in Italia. Visto
ciò che oggi offre il mercato a un giovane, avrei dovuto essere soddisfatta. Il fatto è, però, che nel 2009 dopo due anni
di lavoro la mia professionalità si era decisamente accresciuta, non così invece le mie responsabilità e la retribuzione:
guadagnavo ancora 1000 euro al mese, assolutamente insufficienti per vivere in una città come Roma”. Daniela
Galante ha 28 anni e racconta così l’insoddisfazione lavorativa che, l’anno scorso, l’ha spinta a puntare sull’estero e,
almeno per ora, a non avere alcuna voglia di rientrare in Italia. “Ora lavoro a Bruxelles in una società di consulenza,
Euroconsulting, per la quale mi occupo di finanziamenti comunitari in agricoltura, ambiente ed energia”. Daniela
viene da Aprilia in provincia di Latina, ma di lì, dopo il liceo, è andata a Roma, alla Sapienza, e nel 2005 si è laureata in
Scienze politiche con indirizzo internazionale. Poi ha completato la formazione con un master in commercio estero.
“Così è arrivata la mia prima esperienza di lavoro: uno stage al consolato d’Italia a Friburgo. Tornata a Roma ho
trovato un’occasione che mi ha indirizzata verso quella che poi è diventata la mia professione: una collaborazione con
la Confederazione imprenditori italiani nel mondo, per la quale ho seguito le attività di progettazione europea”. Nel
2007 Daniela coglie una chance inattesa, un contratto a tempo indeterminato in una società di consulenza, ma dopo
due anni punta su Bruxelles. “Ho risposto a una vacancy su Internet e dopo un colloquio e un test mi hanno assunta
a Eurocities e, in seguito, ad Euroconsulting”. Stipendio sensibilmente più alto che in Italia e, conclude Daniela, “ritmi
di lavoro più compatibili con la vita privata”.

Oggi
“Sono tornata per lavorare per la mia città”
Nonostante le lusinghe di Bruxelles, su Daniela alla fine ha prevalso il richiamo delle origini. “Dopo due anni in
Belgio sono stata contattata dal sindaco di Aprilia, la mia città di origine, che aveva saputo di me proprio a seguito
dell’articolo sul Corriere Della Sera. Mi ha proposto di tornare con un contratto di consulenza per aprire uno Sportello
Europa. Ho accettato e sono diventata responsabile del progetto. Abbiamo presentato un piano da finanziare
attraverso il fondo europeo di sviluppo regionale”. A luglio 2012 il Comune ha vinto il bando aggiundicandosi circa 7
milioni di euro. “Anche se ho rinunciato a condizioni più vantaggiose e come consulente non ho gran certezza del
domani, non mi sembra ancora vero di essere riuscita a fare il mio lavoro per la mia città. Certo che, tornando, ho
ritrovato lo stesso paese poco meritocratico che avevo lasciato”.
Angela Ceribelli

Ier i (18 marzo 2011)


La strada di Angela, gli stop italiani e il via libera a stelle e strisce
La fuga dei cervelli? Quasi sempre ci si ferma al dato statistico e raramente si pensa che sotto quel cervello c’è un
viso, una storia, una persona. Angela Ceribelli, 30 anni, dall’aprile scorso negli Usa, è “quella persona”. “Vivo a
Gainesville e lavoro presso il Department of oral biology della University of Florida. Collaboro con il professor Edward
K. L. Chan, un’autorità internazionale nella reumatologia, che sta conducendo ricerche avanzate sulle malattie
autoimmuni”. Sì, perché Angela è un medico, specializzata (con risultati super) in reumatologia e avrebbe voluto
seguire la sua strada in Italia, anche perché ha un marito italiano che l’ha seguita all’estero per non intralciare la sua
carriera. La sua formazione è stata piena di successi. Nata in un paesetto del bergamasco, studi al liceo linguistico di
Crema con una maturità da 100 su 100 con menzione, laureata con 110 in Medicina e chirurgia nel 2005 all’università
di Brescia, altri quattro anni di specializzazione in reumatologia conclusi nel marzo 2010 con 50 su 50 e lode. “Già nel
2009, però, avevo conosciuto a Brescia il dottor Chan che collaborava all' Unità di reumatologia dove mi stavo
specializzando. Così, quando è tornato negli Usa, gli ho scritto una mail e lui ha accettato di farmi lavorare per tre mesi
nel suo laboratorio a Gainesville”. Rientrata in Italia Angela conclude la specializzazione ma non riesce ad ottenere
alcuno spazio per continuare le sue ricerche. “Così ho ricontattato Chan che mi ha chiamata di nuovo a lavorare con
lui al College of dentistry dell’università della Florida. Ho un contratto di due anni che finirà nell’aprile del 2012, poi
si vedrà”. Ma l’impressione è che l’Italia si allontani sempre più e che le chance negli Stati Uniti non siano affatto
esaurite.

Oggi
L’Italia richiama e offre una chance inaspettata
E invece per una volta l’Italia è tornata ad avvicinarsi ed ha offerto ad Angela una chance interessante per chi come
lei punta tutto sulla ricerca più avanzata. “Sono rimasta al laboratorio del Department of Oral Biology di Gainesville
fino all’agosto del 2012”. Due mesi prima, però, Angela aveva vinto una delle quattro borse di studio per giovani
ricercatori offerte dall’Istituto clinico Humanitas di Rozzano (vicino a Milano) e sponsorizzate da Gerry Scotti. “Io ero
collegata via Skype dalla Florida e mia mamma e mia sorella hanno partecipato per me alla premiazione”. Così, da
settembre 2012, Angela diventa medico ricercatore nel laboratorio di Autoimmunità e metabolismo dell’Humanitas.
“Due mesi dopo sono entrata nel dottorato di ricerca in Patologia e neuropatologia sperimentale dell’Università degli
Studi di Milano e da gennaio ho ripreso l’attività clinica presso il reparto di Reumatologia dell’Humanitas”. Con la
speranza che l’Italia sappia davvero conservare i suoi talenti.
Martina Gulini

Ier i (16 settembre 2011)


Giovane, donna, italiana e psicologa. In carriera, ma nella spagnola Madrid
Per un giovane laureato in psicologia, in Italia, è un’impresa quasi impossibile trovare un impiego adeguatamente
retribuito, stabile e coerente con la propria formazione. Martina Gulini, neotrentenne, è tra le poche che hanno
tagliato quel traguardo. Solo che, per farlo, ha dovuto andare all’estero, in Spagna. “Da un anno e mezzo lavoro a
Madrid, ho un contratto a tempo indeterminato come psicologa di Asinter. È un ente privato che offre assistenza
terapeutica a domicilio a persone affette da deterioramento cognitivo, grazie a un’equipe multidisciplinare di psicologi,
terapisti e assistenti sociali”. Martina, originaria di Fermignano, comune delle Marche a un passo da Urbino, è cresciuta
e si è formata tutta in quella piccola area provinciale. Ha frequentato prima il liceo linguistico di Urbino e poi, sempre
in quella città, si è laureata nel 2007 in psicologia, con una tesi sperimentale sui disturbi della personalità. Quell’area
geografica, però, le stava stretta e, soprattutto, non ci vedeva un futuro lavorativo immediato. Tanto più che la legge le
chiedeva di svolgere un anno di tirocinio post laurea per potersi iscrivere all’albo degli psicologi. “Così, esattamente
due settimane dopo la laurea, ho deciso di partire per Madrid, per svolgere il tirocinio con l’equipe di psicologia del
reparto ematologia dell’ospedale La Paz. Doveva essere un’esperienza limitata, dopo dodici mesi, invece, non me la
sono sentita di tornare in Italia senza prospettive”. Nel 2009 Madrid le ha ricambiato la fiducia con una borsa di studio
per un progetto di ricerca sulla fibrosi cistica e poi, nel 2010, con l’assunzione ad Asinter. “È un impiego fisso ma part
time, una scelta che ho fatto per poter frequentare un master sulla medicina palliativa e altri corsi di formazione utili
per la carriera futura”.

Oggi
A Bologna per il Master e poi la maternità
Martina, con il suo impiego part time verticale, dal 2010 è riuscita a frequentare il Master biennale in Medicina
palliativa. “Si svolgeva in Italia, quindi, dovendolo frequentare presso l’università di Bologna a cadenza mensile, ho
viaggiato da Madrid a Bologna tutti i mesi, fino a conseguire il diploma alla fine del novembre 2012”. Solo due
settimane dopo, però, Martina è diventata mamma. “Così ho lasciato il mio lavoro in Spagna e sono tornata in Italia.
Ora spero di cogliere un’opportunità lavorativa coerente con la mia formazione”.
Giacomo Romano

Ier i (13 aprile 2012)


Tokyo, Seul, Mosca, Londra, Barcellona, Dublino, Shanghai e New York: le otto tappe di Giacomo
Non si può certo dire che Giacomo Romano, 24 anni, non abbia seguito il consiglio che sempre più spesso viene
dato ai giovani: fare esperienza all’estero. Il suo itinerario formativo-lavorativo, infatti, conta già otto tappe in tutto il
mondo: Tokyo, Seul, Mosca, Londra, Barcellona, Dublino, Shanghai e New York. “La prima volta è stato a 18 anni,
quando frequentavo il liceo classico a Lecce e, con una borsa di studio di Intercultura, ho trascorso i tre mesi estivi a
Tokyo ospite di una famiglia locale”. Da Leverano, la cittadina pugliese di nascita, Giacomo se n’è poi andato ancora
per frequentare la Bocconi a Milano, fino al 2010 quando ha conseguito la laurea triennale in economia e
management. “L’anno precedente, però, ero tornato a Tokyo per una summer school che si è poi conclusa a Seul,
seguita da un semestre alla Plekhanov university of economics di Mosca. Altra esperienza che mi ha indotto
all’internazionalità: vivevo in un pensionato con studenti francesi, svedesi, tedeschi, belgi e finlandesi”. Ma Giacomo
non si è fermato in Italia nemmeno dopo la laurea, ha preferito un altro mese estivo di studio, alla London school of
economics di Londra, città in cui era già stato due anni prima a lavorare come barista. Era il 2010 e non ritenendo
completa la sua formazione economica ha puntato su una nuova meta, naturalmente all’estero: all’Esade di
Barcellona per un master in International management seguito da un semestre di scambio a Dublino. “Finiti gli studi,
l’anno scorso ho trovato uno stage a Shangai come assistente alle vendite presso una pubblicazione specializzata in
finanza”. Ma non era ancora il momento di fermarsi, perché subito dopo è partita l’attuale internship a New York, alla
divisione Debt capital markets di Banca Imi. “Cosa farò poi? Punto ad un altro lavoro nella finanza, in Europa però”.

Oggi
La finanza italiana rilancia e Giacomo rientra
L’offerta interessante in Europa a cui puntava Giacomo, in effetti poi è arrivata, e addirittura dall’Italia. “Tornato da
New York sono stato invitato da Banca Imi a continuare nella loro sede di Milano con un altro stage, al termine del
quale mi è stata prospettata l’ipotesi di un contratto a tempo indeterminato a partire dal 2013”. Nel dicembre
precedente Giacomo ha completato i suoi studi in International management. “Ora sono in Italia, ma nel frattempo ho
continuato a viaggiare, soprattutto a Londra, per conferenze e per colloqui di lavoro”.
Marina Fasser

Ier i (25 maggio 2012)


Marina, 26 anni, bresciana d’Egitto. Una passione tra viaggi e dialetti arabi
Di giovani che conoscano l’arabo e ne facciano strumento di lavoro certo non ce ne sono molti. Che poi siano
addirittura appassionati dei dialetti dei diversi paesi arabofoni è una vera rarità. Eppure, anche nel lavoro, ci sono le
vocazioni precoci e Marina Fasser, bresciana, 26 anni, ne è un esempio eclatante. “Fin da piccola stupivo i miei genitori
con la capacità di imitare i dialetti e le parlate diverse, così, dovendo poi scegliere una scuola superiore, è stato
naturale optare per il liceo linguistico”. Dall’inglese e francese arrivare all’arabo, però, anche per Marina il cammino
non è breve. Intanto già a 17 anni sperimenta un lungo soggiorno all’estero grazie a Intercultura: un anno al liceo di
Linkoping in Svezia ospite in famiglia. “È stato duro ma bellissimo, ho scoperto la loro cultura, le tradizioni, la loro
lingua”. Finito il liceo a Brescia, Marina non si iscrive subito all’università: non ha ancora chiara la direzione da
prendere. Così fa qualche lavoretto e poi, per due mesi, viaggia tra il Cile e il Brasile a trovare le amiche conosciute in
Svezia. “Al rientro nel 2005 ho scelto quanto di più sfidante c’era nelle lingue, la facoltà di Arabistica a Torino.
Contemporaneamente, però, ho voluto approfondire andando all’università di Damasco, prima per studiare l’arabo
classico e poi il dialetto siriano”. È il 2009 e il percorso linguistico di Marina continua con un master annuale a Londra,
alla School of Oriental studies. Ma nel 2011 già altri dialetti la allettano e così arriva il momento di studiare quello
marocchino, in parallelo al tirocinio che svolge alla Ong Chantiers sociaux marocaines di Rabat. Infine l’ultimo
trasferimento. “Dal settembre scorso insegno italiano presso la scuola Ahlan Egypt di Alessandria”. E, naturalmente,
studia il dialetto egiziano.

Oggi
Obiettivo diritti umani, ma con base a Brescia
Dal dicembre 2012 Marina è tornata a Brescia. “L’obiettivo è progredire nella mia carriera, sfruttando ciò che ho
imparato in Egitto. Vorrei trovare un lavoro nelle organizzazioni internazionali, preferibilmente nell’ambito dei diritti
umani”. Ma a Brescia, in quell’area, c’è ben poco. “Mi rendo conto quindi che la ricerca sarà lunga, intanto cerco un
lavoro qui per mantenermi”.
Gruppo 11: IL CAMMINO INVERSO E LA “CHANCE ITALIA”
Rajmonda Vahibi

Ier i (17 settembre 2010)


La carriera italiana di Rajmonda. Quando è Milano a catturare i talenti
Quando “l’estero” dove far carriera è l’Italia. Rajmonda Vahibi, 27 anni, albanese di Durazzo, ha percorso al
contrario il cammino di tanti talenti nostrani espatriati per trovar lavoro. “Ho sempre sognato l’Italia come i giovani
italiani sognano Londra o New York. Dopo la caduta della dittatura le uniche reti televisive che ricevevo, oltre al canale
nazionale, erano italiane, così ho iniziato a conoscere il vostro paese e la vostra lingua”. Ecco dunque che Rajmonda,
dopo gli studi superiori nella sua città, a 18 anni lascia la famiglia e si trasferisce a Pavia per la laurea in Economia
politica e istituzioni internazionali. Nel gennaio del 2008, con il titolo triennale, cerca un lavoro in Italia, perché il suo
obiettivo è conquistare la laurea specialistica ed ha bisogno di soldi per mantenersi agli studi. “Così mi sono candidata
sul sito di Ubi Banca, che cercava personale per la sua sede di Assago alle porte di Milano. Dopo due settimane di
colloqui ecco l’offerta che non osavo sperare: un contratto a tempo determinato rinnovato poi per tutto il 2009”. Tra il
lavoro di sportello e di back office, Rajmonda studia la sera e conquista finalmente la laurea specialistica. A quel
punto, all’inizio di quest’anno, punta a un nuovo impiego e, per una come lei che parla molto bene italiano, inglese e
francese, su un sito di recruiting on line trova un’offerta interessante: Extrabanca, la prima banca dedicata agli
immigrati in Italia, cerca persone per l’apertura della sua prima filiale a Milano. “Con un contratto a tempo
indeterminato ora mi occupo di pratiche di finanziamento, spesso piccole somme che i clienti usano per comprare
l’auto o il biglietto aereo per andare a trovare la famiglia nel paese di origine. Ma soprattutto ho il piacere di
accompagnare gli immigrati per un tratto di quel percorso di inserimento in Italia che io ho iniziato 9 anni fa”.

Oggi
Ancora in Extrabanca, “Ma in Italia non c’è parità di genere”
Da meno di un anno, l’Italia di Rajmonda le ha fatto vivere la più bella esperienza per una donna: la nascita di
una bambina. “Ma io continuo comunque a lavorare per Extrabanca, anche se, nel campo professionale, non mi sono
stati dati gli stimoli che mi aspettavo”. Anche perché la sua esperienza nel campo del lavoro probabilmente ha dovuto
incassare qualche discriminazione di genere. “È stato detto molte volte, ma non è banalità: in Italia le donne che
lavorano sono sempre svantaggiate rispetto agli uomini”. Ma Rajmonda non rinuncia ai suoi obiettivi professionali, per
questo ha ripreso ha studiare per “perfezionare le mie conoscenze e capacità”.
Ioana Andreea Zeres

Ier i (26 novembre 2010)


La carriera di Ioana, romena, 34 anni partita da 300 curricula senza risposta. In Italia
Prima di spedirlo aveva curato per bene il curriculum, compilato seguendo alla lettera gli standard europei. Poi
l’aveva messo in 300 buste e inviato ad altrettante aziende italiane. Risultato: neanche una risposta. Eppure aveva una
laurea in legge, un master in Marketing e comunicazione alla Bocconi e, cosa che oggi è considerata una vera marcia in
più, conosceva cinque lingue. Unico “handicap”, probabilmente, il pregiudizio di qualcuno verso la sua nazionalità:
romena. Era il 2005, Ioana Andreea Zeres aveva 29 anni ed era la seconda volta che veniva in Italia per lavorare. “Così,
in mancanza d’altro, ho messo a frutto qui a Milano il mio essere poliglotta, collaborando come interprete nelle fiere”.
Ora che Ioana ha davvero trovato il suo “estero” lavorativo in Italia ed è diventata una professionista della “caccia di
teste”, ricorda il suo punto di partenza: il cinema. “Sì, perché mio padre era regista e nella nostra casa di Bucarest il
cinema si respirava nell’aria. Così, dopo la laurea nel 1999, ho lavorato nelle produzioni cinematografiche estere che
arrivavano in Romania”. E con esse arrivava anche l’internazionalità. “Nel 2001 ero a Parigi con il regista Alexandre
Arcady e l’anno successivo in Italia, proprio mentre il cinema andava in crisi”. Così Ioana ha frequentato il master
bocconiano a Milano e nel 2004 ha completato gli studi con uno stage in un’importante casa di produzione
cinematografica di Barcellona. “Tornata in Italia sono entrata in Gucci con un contratto a tempo determinato, poi in
Banca Imi nell’ufficio risorse umane e comunicazione”. Dove è nata la sua passione per la gestione del personale.
“Ora lavoro, sempre a Milano, nell’executive search di Michael Page International e il paradosso è che mi trovo a
completare organici in tante aziende che, solo pochi anni prima, non avevano neppure risposto all’invio del mio
curriculum”.

Oggi
L’Italia le dà nuove chance, nella “caccia di teste”
Ioana ha lavorato in Michael Page Executive Search per poco più di due anni, ma la sua carriera italiana continua
tuttora. “Ho scelto di lavorare per lo start-up, in Italia e in Svizzera, della multinazionale Fusion Associates, una
boutique di executive recruiting internazionalizzata e specializzata in luxury, fashion e sport. Così, oggi, lavoro
estendendo la ‘caccia di teste’ non più solo a manager del territorio italiano ma a talenti che provengono da tutto il
mondo”.
GRUPPO 12: OUTSIDER? GLI ASTRONAUTI
Samantha Cristoforetti & Luca Parmitano

SAM AN T HA

LUCA

Ier i (17 dicembre 2010)


Samantha e Luca, italiani nello spazio. Due giovani astronauti per la Stazione spaziale
Oggi Samantha e Luca lavorano all’estero, a Colonia, in Germania, ma tra due anni il loro sarà un “estero” che più
di così non si può. Non solo cioè oltre i confini italiani, ma addirittura di là di quelli della Terra. Perché Samantha
Cristoforetti, 33 anni, e Luca Parmitano, 34, sono due giovani astronauti pronti per le missioni sulla Stazione spaziale
internazionale dal 2013 in avanti. Per Samantha, milanese di nascita, tutto è cominciato nel 1994. “Quando ho
frequentato il quarto anno di liceo come borsista di Intercultura a St. Paul, nel Minnesota. Gli Usa erano al centro delle
mie passioni, dal programma spaziale alla fantascienza, dalla lingua inglese al mito di una tecnologia all’avanguardia.
Il mio anno di High School è stato pieno di emozioni, a partire dalla partecipazione al programma Space camp di
Huntsville, Alabama, che mi ha avvicinata al mio grande sogno di diventare un’astronauta”.
Luca, invece, è nato all’altro estremo dell’Italia, a Paternò, e anche lui il quarto anno di liceo l’ha frequentato negli
Usa, a Mission Viejo, in California. “Come molti bambini della mia generazione, accarezzavo il sogno di diventare
astronauta. Poi, si sa, dai sogni ci si allontana, per pensare a cose più concrete. E invece, a 17 anni, trovarmi a contatto
con il mondo dell’aeronautica in occasione del mio anno di studio con Intercultura, è stata la spinta decisiva verso la
carriera attuale”. Eppure Luca aveva scelto una laurea che sembrava lontanissima dai sogni spaziali: scienze politiche a
Napoli. “Ma già nel 2000 aggiungevo il diploma dell’Accademia aeronautica di Pozzuoli e nel 2001 mi addestravo alla
Sheppard air force in Texas”. Ora è capitano dell’Aeronautica italiana, conta più di 2.000 ore di volo ed è qualificato su
oltre 20 tipi di velivoli.
Samantha parte invece da un master in ingegneria all’università di Monaco di Baviera, poi con l’Erasmus frequenta
l a Scuola superiore di aeronautica e dello spazio di Tolosa e in seguito l’università Mendeleev delle tecnologie
chimiche a Mosca. Infine ottiene il diploma di scienze aeronautiche a Napoli. Ora è tenente dell’Aeronautica italiana ed
ha accumulato più di 500 ore di volo su sei tipi di aerei militari.
Per diventare astronauti Samantha e Luca hanno superato durissime selezioni, per poi essere scelti tra più di 8.500
candidati. Ora si addestrano al Centro degli astronauti europei di Colonia.

Sam an th a O g g i
Ancora un anno e poi sarà la prima donna italiana nel cosmo
Per lei manca un anno e mezzo a una data fatidica, il 30 Novembre 2014: in quel momento Samantha - che nel
frattempo è stata promossa capitano - diventerà la prima donna italiana nello spazio. Raggiungerà la Stazione Spaziale
Internazionale a bordo del razzo russo Soyuz TMA-15M, per la missione Expedition 43 che durerà parecchio: circa sei
mesi fino al 16 Maggio 2015. Il suo ruolo sarà quello di Ingegnere di bordo, per una missione che studierà la Terra
attraverso vari esperimenti nel campo della fisica e della medicina.

L u ca O g g i
Passeggiando nello spazio al ritmo di Volare
Per Luca, ormai diventato maggiore, la scadenza per l’inizio della più grande avventura della sua vita è invece
vicinissima: l’appuntamento è alle 22,32, ora italiana del 28 maggio 2013, sulla rampa di lancio del cosmodromo di
Baikonur nella steppa del Kazakistan. Salirà a bordo della Soyuz TMA-09M e ci resterà fino al 10 Novembre.
Anche per lui ci sarà un emozionante primato, un’attività mai compiuta prima dai cinque astronauti italiani che
l’anno preceduto: la passeggiata spaziale. Nella prima metà di luglio uscirà infatti due volte nello spazio, per
effettuare due “attività extraveicolari”. “La missione è denominata Volare, mi piacerebbe quindi che fosse possibile,
prima di uscire nello spazio, sentire la voce Domenico Modugno cantare Nel blu dipinto di blu”.

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