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6/20 novembre 2021


Quindicinale
Anno 172

Elezioni amministrative italiane


Clima e politica alla Cop26
La fondazione del Partito nazionale
fascista e i cattolici italiani
Il premio Nobel per la pace 2021
I giochi paralimpici
Lo spirito dei Sinodi
La Germania dopo le elezioni
Israele dopo Netanyahu
Il discernimento spirituale
Éric Rohmer
RIV ISTA INTERNAZIONALE DEI GESUITI

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B E AT U S P OPU LU S , C U I U S D O M I N U S DE U S E I U S
SOMMARIO 4113

6/20 novembre 2021


Quindicinale
Anno 172

209 LE ELEZIONI AMMINISTRATIVE 2021


Una analisi del voto
La Civiltà Cattolica

216 LE QUESTIONI CLIMATICHE E POLITICHE DELLA COP26:


VERSO UNA CULTURA DELLA CURA?
Gaël Giraud S.I. - Loïc Giaconne

228 LA FONDAZIONE DEL PARTITO NAZIONALE FASCISTA E


I CATTOLICI ITALIANI
Giovanni Sale S.I.

239 IL PREMIO NOBEL PER LA PACE 2021 ALLA STAMPA LIBERA


Vladimir Pachkov S.I.

248 I GIOCHI PARALIMPICI


Giancarlo Pani S.I.

258 LO SPIRITO DEI SINODI


Antonio Spadaro S.I.

261 CHE COSA VERRÀ DOPO LE ELEZIONI IN GERMANIA? E CHI?


Andreas R. Batlogg S.I.

275 ISRAELE DOPO NETANYAHU


David Neuhaus S.I.

286 IL DISCERNIMENTO SPIRITUALE


Miguel Ángel Fiorito S.I.

293 ÉRIC ROHMER


Riflessioni alla luce della «Nouvelle vague» del cinema rumeno
Piero Loredan S.I.

300 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA


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SOMMARIO 4113

EDITORIALE
209 LE ELEZIONI AMMINISTRATIVE 2021
Una analisi del voto
La Civiltà Cattolica
Erano molto attese le elezioni amministrative di ottobre, le prime, dopo la costituzione del governo
Draghi, che coinvolgessero una base elettorale importante. Dai risultati emergono due segnali da
considerare: il primo è la diffusa astensione; il secondo è uno spostamento degli equilibri tra le forze in
campo. L’impressione è stata quella di una schiacciante vittoria del centrosinistra, che ha conquistato
5 dei 6 principali capoluoghi. Ma se si analizzano i dati, la situazione appare più complessa. Oltre al
disincanto dell’astensione, vanno valutati il ridimensionamento del Movimento 5 Stelle, l’indecisione
nel centrodestra sulla via «sovranista», la strada stretta del Pd e l’incognita Calenda. I partiti sono in
una fase di grande cambiamento, e ci sono tensioni interne che hanno avuto ripercussioni sul voto.

ARTICOLI
216 LE QUESTIONI CLIMATICHE E POLITICHE DELLA COP26:
VERSO UNA CULTURA DELLA CURA?
Gaël Giraud S.I. - Loïc Giaconne

Dal 31 ottobre al 12 novembre 2021 si svolge la 26a Conferenza delle Nazioni Unite sui cambia-
menti climatici (Cop26) a Glasgow. I problemi da affrontare sono l’aumento degli impegni per
allineare il più possibile le traiettorie delle emissioni entro il 2030 con gli obiettivi di neutralità
carbonica dell’Accordo di Parigi del 2015; l’adattamento ai disastri ecologici già in corso; l’obbligo,
per i Paesi sviluppati, di fornire assistenza finanziaria ai Paesi in via di sviluppo. Ciò che è in gioco
è il passaggio all’azione da quella che papa Francesco chiama una «cultura dello scarto» a una «cul-
tura della cura». Gli Autori sono p. Gaël Giraud, direttore di ricerche al Cnrs (Centre national de
la recherche scientifique), e Loïc Giaconne, ricercatore della Georgetown University di Washington.

228 LA FONDAZIONE DEL PARTITO NAZIONALE FASCISTA E


I CATTOLICI ITALIANI
Giovanni Sale S.I.

Un secolo fa, nel novembre 1921, in occasione del III Congresso dei Fasci italiani di combat-
timento, che si tenne a Roma nel teatro dell’Augusteo, veniva ufficialmente fondato il Partito
nazionale fascista. Un evento che fu appena notato dalla stampa ufficiale, ma che avrebbe avuto
un ruolo centrale nella storia nazionale successiva. A un secolo da questi fatti, e dopo la dolorosa
esperienza del «Ventennio», della guerra civile e di occupazione, sorprende che ci siano italiani
che considerano il fascismo come un «esperimento politico» positivo e spesso guardano con sim-
patia al suo fondatore Benito Mussolini.
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SOMMARIO 4113

239 IL PREMIO NOBEL PER LA PACE 2021 ALLA STAMPA LIBERA


Vladimir Pachkov S.I.

Il premio Nobel per la pace 2021 è stato assegnato ai giornalisti Maria Ressa, filippina, e
Dmitrij Muratov, russo. Quest’ultimo è il direttore di uno dei pochi giornali in Russia che
può ancora esprimersi liberamente. Il prezzo per i giornalisti che osano farlo può essere molto
alto: sei dipendenti del giornale di Dmitrij sono stati uccisi negli ultimi vent’anni. Il premio
dovrebbe rendere orgogliosi tutti coloro che in Russia lottano per la libertà e i diritti umani,
ma purtroppo la divisione nell’opposizione liberale è così forte che anche in questa circostanza
non è riuscita a trovare un accordo, indebolendo, in questo modo, la sua influenza e la sua
voce, che sarebbero tanto importanti per la società russa.

248 I GIOCHI PARALIMPICI


Giancarlo Pani S.I.

I Giochi paralimpici di Tokyo hanno avuto una risonanza eccezionale: davano lo «scacco matto»
ai pregiudizi. Si può correre senza una gamba, nuotare senza braccia, fare scherma senza mani e
piedi, lanciare il peso essendo cieco… La rivelazione: Ambra Sabatini e due ragazze italiane con
protesi sono salite sul podio, con un record mondiale sui 100 metri. Bebe Vio ha confermato la
sua eccellenza con l’oro nel fioretto. Zheng Tao, l’«uomo pesce», perché senza braccia, ha vinto
quattro ori nel nuoto. Jessica Long si è distinta per la sua ventiseiesima medaglia nel nuoto: da
piccola, aveva perduto le gambe. Ogni medaglia ha una sua storia e un suo dramma. La squadra
azzurra ha vinto 69 medaglie, con le congratulazioni del presidente Mattarella e del premier
Draghi. I Giochi hanno mostrato che un Paese è civile se un disabile può realizzare se stesso.

IL PUNTO | CHIESA
258 LO SPIRITO DEI SINODI
Antonio Spadaro S.I.

L’avvio del Sinodo sulla sinodalità, avvenuto il 9 ottobre scorso, significa porre la domanda su
che cosa significhi oggi essere Chiesa e quale sia il suo senso nella storia. Il Pontefice ha sem-
pre molto insistito sul fatto che il Sinodo non è un’assemblea parlamentare. Il protagonista,
in realtà, è lo Spirito Santo, che «muove e attira», come scrive sant’Ignazio nei suoi Esercizi
spirituali. Il Sinodo è quindi un’esperienza di discernimento spirituale alla ricerca della volontà
di Dio sulla Chiesa. Una Chiesa in stato sinodale è inquieta. Se non si sperimenta il terremo-
to, la percezione della sorpresa scomoda, allora forse non c’è Sinodo. Se lo Spirito Santo è in
azione – una volta ha affermato Francesco –, allora «dà un calcio al tavolo».
SOMMARIO 4113

FOCUS
261 CHE COSA VERRÀ DOPO LE ELEZIONI IN GERMANIA? E CHI?
Andreas R. Batlogg S.I.

La fine dell’era Merkel era l’unica certezza prima delle elezioni. Il suo partito, l’Unione
Cdu/Csu, ha subìto una sconfitta storica. Tre settimane dopo le elezioni federali del 26 set-
tembre 2021, Spd, Verdi e liberali hanno avviato i negoziati per una coalizione, preceduti
da colloqui esplorativi. È molto probabile che per la prima volta nella storia della Repub-
blica tedesca ci sarà una «coalizione semaforo»: una novità, un rischio e un’opportunità. La
Cdu/Csu vuole aggiornare i propri contenuti e rinnovarsi stando all’opposizione. Potrebbe
esserci un nuovo governo al più tardi entro Natale. La strada per arrivarci sarà difficile,
perché i programmi dei potenziali partiti di governo sono distanti tra loro. L’Autore è
direttore emerito della rivista Stimmen der Zeit.

275 ISRAELE DOPO NETANYAHU


David Neuhaus S.I.

Benjamin Netanyahu è stato complessivamente per 15 anni primo ministro di Israele, il


più longevo in questa carica dalla costituzione dello Stato di Israele, e ha lasciato un segno
indelebile nel Paese. Dopo il giuramento del nuovo governo, avvenuto il 13 giugno 2021,
quali sono le prospettive per un’epoca post-Netanyahu? Questo articolo cerca di mostrare
che cosa è cambiato e che cosa invece è rimasto uguale in un Paese ora governato da una
coalizione di partiti che abbraccia quasi l’intero spettro politico ed è fondata esclusivamente
sulla loro comune opposizione a Netanyahu.

NOTE E COMMENTI
286 IL DISCERNIMENTO SPIRITUALE
Miguel Ángel Fiorito S.I.

In questo articolo si parla del discernimento spirituale secondo sant’Ignazio di Loyola. Il


punto fondamentale della sua dottrina è la ricerca di Dio in ogni momento: ricerca che
va compiuta non soltanto nella preghiera, ma anche e soprattutto nell’azione, tenendo
presenti sia l’esperienza esterna (gli avvenimenti della vita personale e/o comunitaria) sia
quella interna (della propria coscienza). Questa attenzione a entrambe le esperienze si
manifesta in particolare nell’esame di coscienza. L’Autore, argentino, è stato padre spiri-
tuale di Jorge Mario Bergoglio.
SOMMARIO 4113

ARTE MUSICA SPETTACOLO


293 ÉRIC ROHMER
Riflessioni alla luce della «Nouvelle vague» del cinema rumeno
Piero Loredan S.I.

Éric Rohmer (1920-2010) è uno dei principali esponenti della Nouvelle vague, la «nuova onda»
del cinema francese, nata a fine anni Cinquanta del secolo scorso. Le sue opere sono carat-
terizzate da uno stile aderente alla realtà e alla vita. Il Transilvania International Film Festival,
in Romania, ha proposto recentemente una retrospettiva sul regista francese. Cosa può dire
Rohmer a chi oggi «vive» di cinema? Abbiamo rivolto questa domanda a Ion Indolean, criti-
co cinematografico e giovane regista rumeno, cresciuto professionalmente nell’ambito della
Nouvelle vague del cinema rumeno, caratterizzata da uno spirito innovatore e dalla rottura
rispetto alla cinematografia nazionale precedente. L’Autore opera presso il Centrul Manresa di
Cluj-Napoca (Romania).

300 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

Barbero A. 305 - Chiti V. 303 - Garrard C. 309 - Garrard J. 309 - Mazzurco M. 302 - Palaia
G. E. 308 - Pani G. 300 - Robinson M. 306 - Varela Tafur A. 302
LE ELEZIONI AMMINISTRATIVE 2021
Una analisi del voto

Erano molto attese le elezioni amministrative di ottobre, le pri-


me, dopo la costituzione del governo Draghi, che coinvolgessero
una base elettorale importante, circa 21 milioni di cittadini. Un
buon banco di prova per i partiti, per verificare i rapporti di forza
209
dopo l’avvento dell’esecutivo di unità nazionale, costituito per af-
frontare l’emergenza pandemica e avviare la ripartenza socioeco-
nomica dell’Italia, finanziata dal piano Next Generation dell’Unione
Europea.
Dai risultati emergono due segnali da considerare: il primo è la
diffusa astensione; il secondo è uno spostamento degli equilibri tra
le forze in campo.
Durante la tornata elettorale che si è tenuta il 3 e il 4 ottobre
ha votato poco meno del 56,2% dei cittadini aventi diritto: si è
registrata così una perdita di circa il 6% rispetto alle passate am-
ministrative. L’astensione è stata ancora più ampia al secondo tur-
no. Nei comuni dove è stato necessario il ballottaggio, il 17 e 18
ottobre ha votato solo il 43,9% (-8,7% rispetto al passato). Certo,
in parte la rinuncia è fisiologica al secondo turno, ma un livello
così alto di astensioni offre l’idea di una consistente porzione di
elettori poco propensi a scendere a compromessi, se convinti dalla
decisione già presa al primo turno.
Tra i principali comuni capoluogo al voto, il primo turno ha as-
segnato direttamente la vittoria a candidati sindaco del centrosini-
stra: Giuseppe Sala a Milano, Matteo Lepore a Bologna e Gaetano
Manfredi a Napoli. Tutti hanno superato il 50% delle preferenze.
Nello stesso appuntamento elettorale, al candidato del centrodestra
Roberto Occhiuto, esponente di Forza Italia, è andata la Regione

© La Civiltà Cattolica 2021 IV 209-215 | 4113 (6/20 novembre 2021)


EDITORIALE

Calabria. Invece Roma, Torino e Trieste hanno avuto bisogno del


ballottaggio, nel quale erano impegnati i candidati sindaco di cen-
trodestra e centrosinistra. I risultati hanno attribuito ai primi Trie-
ste, ancora con un esponente forzista, Roberto Dipiazza, mentre a
Roberto Gualtieri e Stefano Lo Russo del Partito democratico sono
andate le altre due città.
La prima impressione è quella di una schiacciante vittoria del
centrosinistra, che conquista 5 dei 6 principali capoluoghi. Ma non
si può trascurare la grande astensione, che è sintomo di disagio per
un sistema democratico. Se si analizzano i dati, la situazione appare
più complessa.

210
Il disincanto dell’astensione

Sono stati molti i cittadini che hanno disertato le urne. Il segna-


le non è entusiasmante per un sistema democratico che, per essere
vivace e fertile, si deve alimentare di partecipazione. L’espressione
di voto è la cartina al tornasole; la crescita dell’astensione marca un
disinteresse o una distanza tra i cittadini e le forze politiche che
aspirano a rappresentarli con i propri candidati. Il comportamento
è stato diffuso in tutto il territorio nazionale e ha raggiunto le punte
più alte nelle grandi città.

SONO STATI MOLTI I CITTADINI CHE HANNO


DISERTATO LE URNE. IL SEGNALE NON È
ENTUSIASMANTE PER UN SISTEMA DEMOCRATICO.

Alcune caratteristiche principali dei componenti del popolo


del non voto al primo turno si possono ricavare dai risultati di
un’indagine prodotta da Swg. Tra quanti non si sono recati al
seggio, innanzitutto ci sono tanti giovani tra i 18 e i 35 anni (il
62% a Torino, il 66% a Roma e a Trieste, il 57% a Napoli e il
55% a Bologna); poi si contano molte persone con un basso livello
di istruzione (il 62% dei milanesi, il 64% dei romani, il 65% dei
napoletani). Così traiamo le prime due indicazioni forti – età e
livello culturale –, alle quali si aggiungono altri due elementi di
LE ELEZIONI AMMINISTRATIVE 2021

contorno, individuati nel 66% degli astenuti tra gli operai torinesi
e nel 71% tra i disoccupati triestini.
Per la salute della democrazia appare utile interrogarsi sulle
motivazioni che hanno indotto gli elettori, e soprattutto queste
fasce della popolazione, a non votare. In primo luogo, tutte que-
ste categorie di persone hanno pagato più di altre il contraccolpo
delle misure adottate per contrastare la pandemia. In secondo
luogo, c’è il disincanto dei giovani che non hanno trovato le
motivazioni per esprimere le loro preferenze, perché purtroppo
nella maggior parte dei contesti le proposte elettorali si sono li-
mitate a garantire l’efficacia di una buona amministrazione per
gestire l’esistente (la mobilità, i rifiuti, la sicurezza). La grande
assente nel dibattito è stata una visione di futuro per la città che
211
interessa soprattutto alle nuove generazioni per poter intuire un
orizzonte su cui investire. Conservare l’inerzia di deboli processi
di mantenimento non scalda i cuori. In terzo luogo, ci sono le
persone con un basso livello di istruzione. Tra loro l’astensione è
da tempo radicata. Diversi studi affermano che negli ultimi anni
con il crescere del livello culturale aumenta proporzionalmente
la partecipazione al voto, e anche le recenti amministrative han-
no rispettato questa tendenza. Il coinvolgimento delle persone
con minore istruzione passa per la relazione, per il radicamen-
to territoriale, per una sensibilizzazione ai problemi comuni e
alle possibilità di dare risposta, oppure attraverso le scorciatoie
della spettacolarizzazione della politica e della radicalizzazione
dei conflitti. Quando le forze politiche che si affidano a queste
ultime perdono parte della loro reputazione, e le altre sono as-
senti, nelle comunità emerge il rischio più grande di non sentirsi
rappresentati da nessuno e di abbandonare l’impegno nella par-
tecipazione e le aspirazioni di poter costruire insieme qualcosa.
Nessuno è stato in grado di attrarre il voto di protesta né di
scaldare gli animi degli indecisi. Purtroppo l’astensione alimenta se
stessa. Spesso si crea un circolo vizioso, perché gli eletti finiscono
per rivolgersi e curare gli interessi soprattutto del proprio elettorato;
così quanti si sentivano trascurati dalle iniziative politiche accresco-
no la loro distanza dai partiti e dai loro rappresentanti.
EDITORIALE

Il ridimensionamento del Movimento 5 Stelle

Il Movimento 5 Stelle, molto probabilmente, è la forza politica


che ha subìto il contraccolpo maggiore degli effetti dell’astensione
ed esce dalla prova elettorale fortemente ridimensionato. Dopo i fa-
sti raggiunti nelle elezioni politiche del 2018, quando aveva attratto
il voto del 32% dei cittadini, appare in forte affanno. Sicuramente
i pentastellati hanno pagato i disorientamenti iniziali di un gruppo
nuovo e inesperto nella gestione delle responsabilità di governo na-
zionale e di alcune città.
Dopo la sofferta decisione di concedere il sostegno al governo
Draghi, il Movimento ha iniziato una nuova fase del suo percorso,
non senza profondi traumi. C’è stato l’addio di figure di riferimento
212 come Alessandro Di Battista, o la separazione da Davide Casaleg-
gio, detentore della piattaforma Rousseau, base organizzativa della
forza politica. È stata quasi necessaria una rifondazione, che ha av-
viato un nuovo percorso. Al padre fondatore – Beppe Grillo – è
stata conferita la corona di garante e custode dei princìpi e valori
politici del Movimento, mentre a Giuseppe Conte, già presidente
del Consiglio, è stato affidato il ruolo di presidente e legale rappre-
sentante, con la responsabilità dell’azione politica. Dentro lo spazio
di questa «diarchia» si è cercato di riassemblare le varie componenti,
e le amministrative sono state un primo importante test.
Il Movimento ha imboccato due strade: mantenere il percorso
originario, presentando il proprio candidato senza apparentamenti
con altre forze; partecipare a una coalizione con il centrosinistra.
La prima è stata la strada scelta sia a Milano – dove la candidata
Layla Pavone ha svolto un ruolo di comparsa di fronte al duello tra
il sindaco uscente Giuseppe Sala e Luca Bernardo del centrodestra
– sia a Roma e a Torino, dove il Movimento era forte delle eredità
portate in dote dalle sindaco uscenti, ma anche qui i risultati sono
stati deludenti. Nel capoluogo piemontese Chiara Appendino non
si era ricandidata e Valentina Sganga non ha superato il 10% del-
le preferenze. A Roma, per la prima volta, un candidato sindaco
uscente non è entrato al ballottaggio: Virginia Raggi si è fermata al
quarto posto, con meno del 20% dei voti. La seconda strada ha visto
i pentastellati, che hanno raggiunto risultati modesti, appoggiare i
LE ELEZIONI AMMINISTRATIVE 2021

candidati del Partito democratico usciti vincitori al primo turno,


come a Napoli e a Bologna.
Se le elezioni saranno collocate all’interno di un percorso, il
Movimento dagli insuccessi potrà cogliere almeno due indicazio-
ni: da un lato, il relativo consenso riscosso nelle periferie urbane;
dall’altro, la grande astensione, che segnala l’esistenza di un bacino
elettorale deluso, che però non ha ancora scelto dove ricollocarsi e
forse potrebbe essere recuperato.

L’indecisione nel centrodestra: sovranisti o centrodestra europeo?

Forse per la prima volta negli ultimi vent’anni, il centrodestra


si è presentato sostanzialmente diviso alle elezioni, anche se for-
213
malmente unito. I candidati erano proposti e sostenuti da tutti i
simboli della coalizione, ma la campagna elettorale è stata vissuta
come una competizione per la supremazia interna. Le due forze
sovraniste si sono contese la leadership: la Lega di Matteo Salvini,
in una fase di riassestamento dopo l’exploit delle elezioni europee,
cercava di resistere al sorpasso di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni,
in crescita secondo i sondaggisti. Le tensioni interne hanno porta-
to a un ritardo nell’individuazione dei candidati e hanno prodotto
una campagna elettorale – a volte – accidentata, con politici che
dovevano mediare sui territori un’immagine che a livello nazionale
mostrava visioni e strategie diverse: la Lega ha aderito al Governo
di unità nazionale, mentre Fratelli d’Italia ha rifiutato di appoggiar-
lo. La Meloni ha conservato la sua libertà di azione, mantenendo il
partito sulla linea sovranista e antieuropeista e assumendo posizioni
meno chiare su campagna vaccinale e applicazioni della carta verde
per la circolazione delle persone. La scelta di Salvini si è rilevata più
controversa: da un lato, la Lega è entrata a pieno titolo nel Governo
con propri rappresentanti, in risposta alla richiesta di una parte della
base di partecipare attivamente al Piano nazionale di ripresa e resi-
lienza (Pnrr); dall’altro lato, ha continuato a esprimere nel dibattito
pubblico una posizione sovranista e antieuropeista. Infine, la scelta
di Forza Italia di appoggiare in modo convinto e incondizionato il
governo Draghi è stata coerente conseguenza per una forza di cen-
trodestra collocata all’interno di una visione europeista.
EDITORIALE

Dalle urne è emersa una sostanziale parità tra le due forze sovra-
niste, un equilibrio da attribuire, probabilmente in alcuni casi, a un
travaso di voti dalla Lega a Fratelli d’Italia. Il centrodestra rimane
la coalizione più votata, ma non è stato allargato il bacino elettorale
e nessuno dei candidati proposti nelle grandi città dai due princi-
pali contendenti e scelti tra esponenti della società civile è riuscito
ad affermarsi. Il partito di Salvini ha pagato la strategia doppia di
governo e di opposizione, mentre il partito della Meloni ha dovuto
fare i conti con una parte della tradizione del suo movimento che
permette di avere un tesoretto di voti in tempi di magra, ma impe-
disce di diventare affidabile per i moderati. Il legame di alcuni rap-
presentanti di Fratelli d’Italia con esponenti neofascisti, rivelato da
un’inchiesta di Fanpage, e la tiepida reazione di condanna dell’assalto
214
di matrice fascista alla sede della Cgil sono esempi che mostrano la
ragione profonda che ha impedito di raccogliere a Milano e a Roma
il pacchetto dei voti surgelati provenienti dai delusi pentastellati.
Il risultato delle urne ha, invece, premiato i candidati di For-
za Italia che guidavano la coalizione a Trieste e in Calabria. Il
partito di Silvio Berlusconi si è schierato immediatamente con il
governo Draghi senza problemi identitari da giustificare. Inol-
tre, l’assenza del voto delle periferie e di quello di protesta ha
evidentemente favorito i partiti moderati, che sembrano aver
conservato il loro elettorato.

La strada stretta del Pd e l’incognita Calenda

Le vittorie del Pd sono state la conferma che l’emorragia interna


esplosa nel 2018 è stata bloccata. L’operazione di sutura, iniziata con
le regionali del 2020 e completata da Enrico Letta con l’azione di
pacificazione delle correnti interne, sembra abbia dato i suoi frutti.
Il centrosinistra ha candidato politici navigati, anche se non sempre
di primo piano. Il Partito democratico si è presentato come forza
affidabile per amministrare le città e a livello nazionale ha aderito
al governo Draghi per poi divenirne il suo più fedele sostenitore.
Letta ha impostato un dibattito dialettico, per distinguersi dagli av-
versari su temi identitari: migranti, diritti civili, ius soli. Per l’elet-
torato tradizionale l’immagine è apparsa rassicurante e credibile e la
LE ELEZIONI AMMINISTRATIVE 2021

conferma del suo voto è stata sufficiente in una campagna dove gli
altri principali avversari hanno sbagliato toni, argomenti e candida-
ti. L’arrocco ha funzionato.
Ora, però, la strada del Pd è stretta. Da un lato, c’è l’apparen-
tamento con un Movimento 5 Stelle in crisi; dall’altro lato, sembra
emergere tra gli elettori la domanda di una nuova proposta di centro.
Il caso di Roma è esemplare: Gualtieri ha raccolto solo poche briciole
tra gli elettori della Raggi, ma ha potuto godere dell’endorsement di
Carlo Calenda, che è riuscito a traghettare i suoi voti. Lo evidenziano
i dati del ballottaggio: la crescita vertiginosa dell’astensione nelle pe-
riferie e il grande successo ottenuto dal nuovo sindaco nei municipi
più centrali. È la testimonianza che i voti ottenuti dalla lista Calenda,
diventato primo partito della Capitale al primo turno, provengono
215
in larga parte (nel 50,8% dei casi, secondo un sondaggio di Swg) da
elettori di centrosinistra delusi, che sono stati disposti a mediare la
loro decisione al ballottaggio. Ma il successo della lista è il segnale
dell’esistenza di un nuovo spazio nell’elettorato che chiede una propo-
sta che integri la narrazione di cambiamento con il sapere tecnico, e
non è detto che il Pd sappia intercettarlo. La proposta politica di Letta
è quella di ampliare e strutturare una coalizione con gli uni e con gli
altri, ma non è detto che tutti i soggetti con identità differenti siano
d’accordo nel condividere un percorso unitario.
I partiti sono in una fase di grande cambiamento, ci sono ten-
sioni interne che hanno avuto ripercussioni sul voto. Le ambizioni
delle forze sovraniste e di quelle vicine a posizioni populiste escono
sconfitte, mentre sembrano tenere i partiti che guardano più alle
tradizioni moderate di destra e di sinistra.

La Civiltà Cattolica
ARTICOLI

LE QUESTIONI CLIMATICHE
E POLITICHE DELLA COP26:
VERSO UNA CULTURA DELLA CURA?
Gaël Giraud S.I. - Loïc Giaconne

Dal 31 ottobre al 12 novembre 2021 si svolge la 26a Conferenza


delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop26) presso lo
Scottish Event Campus, a Glasgow (Regno Unito). Rinviata di un
anno a causa della pandemia di Covid-19, mentre gli eventi cli-
216
matici estremi sono sempre più numerosi e intensi e il gruppo di
lavoro I dell’Ipcc (Gruppo intergovernativo sul cambiamento cli-
matico) ha appena pubblicato un rapporto allarmante, questa con-
ferenza, organizzata insieme con l’Italia, segna una tappa cruciale
nell’attuazione dell’Accordo di Parigi. Cosa possiamo aspettarci?
Il 4 ottobre scorso papa Francesco si è riunito con vari leader
religiosi e scienziati per firmare un appello congiunto in vista della
Cop26. L’ispirazione per questo incontro, che è stato preceduto da
mesi di intenso dialogo, è stata, secondo i termini dell’appello, «la
consapevolezza delle sfide senza precedenti che minacciano noi e la
vita nella nostra magnifica casa comune […] e della necessità di una
sempre più profonda solidarietà di fronte alla pandemia globale e alla
crescente preoccupazione per la nostra casa comune»1.
Durante questo incontro è emersa una forte convergenza delle
diverse tradizioni religiose e spirituali presenti sull’urgente necessità
di un cambiamento di rotta, per allontanarsi con decisione e fer-
mezza dalla «cultura dello scarto», che prevale nelle nostre società,
e andare verso una «cultura della cura». In che modo la Cop26 può
essere un passo in questa direzione?

1. «Incontro “Fede e scienza: verso COP26”, promosso dalle Ambasciate


di Gran Bretagna e di Italia presso la Santa Sede», in Bollettino della Sala Stampa
Vaticana, 4 ottobre 2021.

© La Civiltà Cattolica 2021 IV 216-227 | 4113 (6/20 novembre 2021)


LE QUESTIONI CLIMATICHE E POLITICHE DELLA COP26

Contesto e «governance» del clima

Nel dicembre 2015, le 196 parti presenti alla Cop21 hanno adot-
tato l’Accordo di Parigi. Il suo intento principale è mantenere il ri-
scaldamento globale «ben al di sotto dei 2°C» e proseguire gli sforzi
per mantenerlo a +1,5°C rispetto ai livelli di due secoli fa, per rag-
giungere l’obiettivo finale della Convenzione delle Nazioni Unite
sui cambiamenti climatici (Unfccc), che è di «prevenire pericolose
interferenze antropogeniche con il sistema climatico terrestre». Per
riuscirci, i Paesi devono fissare un tetto e quindi diminuire le proprie
emissioni di gas serra, al fine di raggiungere un equilibrio tra emis-
sioni e assorbimenti nella seconda metà di questo secolo2. Sapendo
che le tecniche di cattura e stoccaggio del carbonio industriale per-
metteranno verosimilmente di assorbire solo una quantità margi- 217
nale del carbonio rilasciato nell’atmosfera, questo significa che tutta
l’umanità deve puntare a emissioni prossime allo zero entro l’ulti-
mo quarto di questo secolo. L’Ipcc ha confermato, nel suo rapporto
dell’agosto 2021, che il raggiungimento di tale equilibrio permette-
rebbe di stabilizzare la temperatura globale. Resta inteso che i Paesi
in via di sviluppo potranno impiegare più tempo per raggiungere il
tetto delle proprie emissioni, e che il raggiungimento dell’obiettivo
avverrà «sulla base dell’equità, e nel contesto dello sviluppo sosteni-
bile e della lotta alla povertà» (art. 4 dell’Accordo di Parigi). Tuttavia,
questo appello per un’equa risoluzione della sfida ecologica rimane
vago e ambiguo all’interno della comunità internazionale.
Per raggiungere il tetto, e quindi la riduzione delle emissioni, il
più rapidamente possibile, l’Accordo istituisce un meccanismo per
rafforzare e monitorare le ambizioni climatiche delle parti. Ciascun
Paese deve quindi «definire, comunicare e aggiornare» i Contri-
buti determinati a livello nazionale (Ndc), indicando le misure di
riduzione delle emissioni e di adattamento ai disastri climatici che
prevede in un determinato periodo. Ogni cinque anni, gli Ndc
devono essere rinnovati o aggiornati, ogni volta con ambizioni e
obiettivi rafforzati. In linea di principio, non vi è quindi la possi-

2. E anche prima del 2050, se vogliamo avere la possibilità di restare al di


sotto del tetto di +1,5°C. Torneremo su questo punto più avanti. Cfr anche P. de
Charentenay, «Luci e ombre sulla Cop21», in Civ. Catt. 2016 I 363-372.
ARTICOLI

bilità di tornare indietro. Allo stesso modo, ogni cinque anni un


bilancio globale consentirà, sulla base dei «migliori dati scientifici
disponibili», di valutare i progressi dell’azione per il clima, in vista
del rafforzamento dei successivi Ndc. Per i Paesi in via di sviluppo
alcuni degli impegni degli Ndc possono essere condizionati, il che
significa che il raggiungimento dei loro obiettivi dipende dal so-
stegno finanziario esterno da parte dei Paesi sviluppati. Per gli altri
Paesi, invece, essi rappresentano impegni incondizionati, sebbene
non vincolanti.

La situazione attuale

Il gruppo di lavoro I dell’Ipcc, che si occupa delle basi fisico-


218
scientifiche dei cambiamenti climatici, ha pubblicato il suo rapporto
all’inizio del mese di agosto 20213. Gli altri due gruppi di lavoro,
dedicati agli impatti, alla vulnerabilità e all’adattamento (gruppo
II) e alla riduzione delle emissioni (gruppo III), pubblicheranno il
loro rapporto nella primavera del 2022. Un rapporto di sintesi, che
riassumerà l’intero lavoro dei tre gruppi, verrà pubblicato nell’ot-
tobre del 2022. Questa imponente mole di conoscenze servirà in
occasione del bilancio globale degli sforzi nella lotta ai cambiamenti
climatici, previsto per il 2023, nel quadro dell’Accordo di Parigi.
Il rapporto conferma che l’aumento della temperatura globale
ha raggiunto +1,09°C nel periodo 2011-20 rispetto all’era prein-
dustriale. Questo riscaldamento è provocato, in modo certo e
inequivocabile, dalle attività umane. Altri cambiamenti di diverse
componenti del sistema climatico sono determinati dall’influenza
umana, con più o meno certezza: aumento delle precipitazioni,
ritiro dei ghiacciai, diminuzione del manto nevoso nell’emisfe-
ro settentrionale, forte riscaldamento degli strati superficiali degli
oceani, innalzamento del livello del mare ecc. Questi cambiamenti
sono senza precedenti su scale temporali che vanno, nel passato, da
diversi secoli a diverse centinaia di migliaia di anni. Alcuni di essi,
in particolare quelli dell’oceano e delle calotte glaciali, sono già ir-
reversibili sulla scala di diversi secoli, se non dei prossimi millenni.

3. Cfr Ippc, «Sixth Assessment Report», in www.ipcc.ch/assessment-report/ar6


LE QUESTIONI CLIMATICHE E POLITICHE DELLA COP26

Questo è, in particolare, il caso dell’innalzamento del livello del


mare, che dovrebbe proseguire per centinaia di anni. L’entità di
tale aumento dipende dalle emissioni attuali e future, ma non c’è
dubbio ormai che il volto delle terre emerse del nostro Pianeta sarà
irriconoscibile nel XXII secolo. Secondo alcune stime, metà del
Bangladesh e il delta vietnamita del Mekong saranno sott’acqua
prima del 2050. Inghilterra e Stati Uniti stanno già preparando
dighe per proteggere Londra e New York. L’Indonesia ha da poco
cambiato capitale a causa della progressiva invasione di Giacarta
da parte del mare. Tutti i nostri litorali saranno già profondamen-
te trasformati nell’arco di una generazione.

NON C’È DUBBIO ORMAI CHE IL VOLTO DELLE 219


TERRE EMERSE DEL NOSTRO PIANETA SARÀ
IRRICONOSCIBILE NEL XXII SECOLO.

Un gruppo di ricercatori specializzati in questo settore, la


World Weather Attribution4, ha lavorato su diversi eventi estremi
avvenuti nel 2021 e ha dimostrato un’influenza del cambiamento
climatico nella probabilità del loro verificarsi e della loro intensità:
è il caso dell’ondata di freddo tardivo in Francia ad aprile, dell’in-
tensa canicola di fine giugno in Nord America, o delle catastro-
fiche inondazioni verificatesi a luglio in Belgio e in Germania. È
quindi ormai un dato acquisito che l’intensificarsi di piogge in-
tense, ondate di calore e canicola, siccità o cicloni nel corso degli
ultimi anni è dovuto all’attività umana. La buona notizia è che,
contrariamente all’innalzamento del livello dei mari, è possibile
modificare molto rapidamente i fattori che intensificano queste
catastrofi meteorologiche riducendo le nostre emissioni. I risultati
degli sforzi che stiamo compiendo oggi si dovrebbero vedere in
modo chiaro fra vent’anni.
Riguardo al futuro, le proiezioni indicano che la soglia di +1,5°C
potrebbe essere superata fin dall’inizio degli anni 2030 nella maggior
parte degli scenari. Solo due dei cinque scenari presentati dall’Ipcc

4. Cfr www.worldweatherattribution.org/analyses
ARTICOLI

consentono di rispettare l’Accordo di Parigi entro la fine del secolo: il


primo, stabilizzando la temperatura al di sotto di +2°C; il secondo, al
di sotto di +1,5°C. Entrambi gli scenari esigono riduzioni immediate
e drastiche delle emissioni; ma sono pochi nella comunità scientifica
a credere che ciò accadrà. Ci si dovrà quindi adattare alle conseguen-
ze potenzialmente catastrofiche degli altri tre scenari dell’Ipcc, che
prevedono aumenti medi compresi tra +2,7°C e +4,4°C nel periodo
2081-2100, a seconda dei diversi livelli di emissione di gas serra. Il
rapporto indica inoltre che in caso di proseguimento delle emissioni
non si possono escludere eventi «a bassa probabilità ma ad alto im-
patto», come lo scioglimento accelerato delle calotte glaciali, bruschi
cambiamenti nella circolazione oceanica o anche la combinazione
di diversi eventi estremi. La corrente del Golfo potrebbe allontanarsi
220
dall’Europa e trasformare il clima di Parigi in quello di New York.
Il permafrost siberiano potrebbe continuare a sciogliersi e rilasciare il
metano in esso contenuto, accelerando bruscamente il riscaldamen-
to fino a temperature che, secondo alcuni, potrebbero raggiungere
+6°C o +7°C nel prossimo secolo. La sopravvivenza dell’umanità sa-
rebbe allora probabilmente a rischio.
La Cop26 sarà l’occasione per rinegoziare gli Ndc di ciascuno
dei Paesi membri delle Nazioni Unite. È quindi fondamentale com-
prendere e anticipare l’impatto che questi impegni possono avere
sul clima. I lavori più recenti5 mostrano che gli Ndc dell’Accordo
di Parigi ci stanno portando a un riscaldamento di poco inferiore
a +3°C nel 2100. Sin dal 2015, quindi, era percepibile una forma di
schizofrenia della comunità internazionale, poiché gli impegni na-
zionali non consentivano di rispettare l’Accordo. Per di più, questi
impegni restano disattesi: le politiche attualmente in atto ci porta-
no a poco più di +3°C alla fine del secolo, in media. Ora, come ha
mostrato il rapporto intermedio del 20186, ogni frazione di grado
conta. Una buona analogia è quella con la febbre: ci sono tante dif-
ferenze tra un riscaldamento di +2,5°C e di +3°C quante ve ne sono
tra una febbre di 39°C e una di 40°C. Gli Ndc rivisti, così come gli

5. Cfr «Wave of net zero emission targets opens window to meeting the Paris
Agreement», in Nature (go.nature.com/27dGLvb), 16 settembre 2021.
6. Cfr Global Warming of 1,5°C (www.ipcc.ch/sr15).
LE QUESTIONI CLIMATICHE E POLITICHE DELLA COP26

impegni che non sono stati ancora resi ufficiali, potrebbero portarci
a +2,7°C7. Questa è una buona notizia, anche se non è ancora ab-
bastanza. È inoltre necessario che questi impegni siano confermati
durante la Cop26 e, soprattutto, che siano mantenuti o rafforzati.
I Paesi possono ancora depositare o modificare i loro Ndc fino alla
vigilia della Cop, e in quel momento verrà pubblicata una nuova
sintesi con gli ultimi impegni.

Cop26: obiettivi e sfide

Centinaia sono i delegati attesi a Glasgow nella «zona blu»,


riservata ai negoziati ufficiali, e migliaia di partecipanti della so-
cietà civile, Ong o professionisti si incontreranno e discuteranno
221
nella «zona verde», aperta al pubblico. Molte voci si sono levate
negli ultimi mesi per protestare contro lo svolgimento della Cop
in un contesto di pandemia. Per alcuni delegati, così come per
alcuni membri delle Ong e della società civile8, soprattutto per
alcuni leader dei popoli indigeni9, è molto difficile, se non im-
possibile, recarsi a Glasgow e partecipare alla conferenza. Questo
è, in particolare, il caso delle delegazioni africane, che non di-
spongono delle stesse risorse delle delegazioni di altre regioni, né
dello stesso accesso alla vaccinazione10. È quindi probabile che gli
squilibri che colpiscono i partecipanti a causa delle disparità nella
gestione della pandemia di Covid-19 incidano sull’equità dei ne-
goziati che si svolgeranno a Glasgow.
Uno dei principali obiettivi presentati dagli organizzatori è l’au-
mento degli impegni per allineare il più possibile le traiettorie del-
le emissioni entro il 2030 con gli obiettivi di neutralità carbonica

7. Cfr UNFCCC, Full NDC Synthesis Report: Some Progress, but Still a Big
Concern (bit.ly/UNFCCCReport), 17 settembre 2021.
8. Cfr J. Van der Made, «NGOs say Cop26 climate summit must be
postponed», in RFI (bit.ly/ONGCOP26), 7 settembre 2021.
9. Cfr M. A. Pember, «Indigenous leaders face barriers to UN climate
conference», in Indian Country Today (bit.ly/ICTCOP26), 16 settembre 2021.
10. Cfr E. Barthet - A. Garric, «Cop26: les délégations africaines à la peine
pour se rendre à Glasgow», in Le Monde (bit.ly/LMCOP26), 11 ottobre 2021.
ARTICOLI

dell’Accordo di Parigi11. Si è detto che questo obiettivo, che sarà


vagliato con attenzione dagli osservatori, sembra quasi impossibile
da raggiungere, visti i Contributi determinati a livello nazionale
già dichiarati. Resta il fatto che tutte le simulazioni climatiche mo-
strano che le decisioni che verranno prese (o non verranno prese)
durante il decennio 2020 saranno determinanti per l’evoluzione del
riscaldamento durante l’intero secolo. Pertanto, la serietà degli im-
pegni che verranno presi a Glasgow si preannuncia decisiva per i
prossimi decenni.
Il secondo obiettivo della Cop26 è l’adattamento ai disastri eco-
logici già in corso. Di questo non si tiene sufficientemente conto
nelle politiche e nei negoziati sul clima, mentre gli impatti del ri-
scaldamento globale sono sempre più forti, in particolare nei Paesi
222
e nelle regioni più vulnerabili. Gli eventi estremi – l’innalzamento
del livello del mare o i cambiamenti del ciclo dell’acqua – mettono
in pericolo gli ecosistemi e le popolazioni, e questi impatti con-
tinueranno a intensificarsi e a diventare sempre più numerosi nei
prossimi anni. Facciamo due esempi.
1) L’accesso all’acqua potabile in Italia potrebbe diminuire di ol-
tre il 40% entro il 204012. Ora, si può vivere qualche giorno senza
elettricità, ma nessuna comunità umana può sopravvivere senza ac-
qua. Ciò implica che devono essere considerati fin da ora progetti di
desalinizzazione dell’acqua di mare. Il Marocco e la Tunisia vi lavo-
rano da diversi anni. La Spagna e il Portogallo, a loro volta, stanno
progettando la costruzione di impianti di desalinizzazione. La dif-
ficoltà è che la desalinizzazione richiede molta energia ed è costosa.
La spesa pubblica si preannuncia come un problema nel contesto
dell’austerità di bilancio imposta dai Paesi «frugali» dell’Unione Eu-
ropea, i quali, peraltro, sono anche meno colpiti dallo stress idrico13.
Inoltre, l’energia necessaria per la desalinizzazione, a sua volta, deve
essere «verde». Ma le infrastrutture legate al fotovoltaico e all’eoli-
co richiedono enormi quantità di rame. Oltre al fatto che la stessa

11. Cfr «COP26 explained», in https://ukcop26.org/wp-content/uploads/


2021/07/COP26-Explained.pdf
12. Cfr Ranking of countries with the highest water stress (bit.ly/WATERSTRESS).
13. Ciò non significa che siano risparmiate le conseguenze del riscaldamento
globale: le alluvioni in Germania nell’estate del 2021 lo testimoniano.
LE QUESTIONI CLIMATICHE E POLITICHE DELLA COP26

attività estrattiva non è priva di conseguenze per gli ecosistemi na-


turali, risulta che il rame è uno dei minerali che diventerà sempre
più scarso nei prossimi anni: la sua estrazione richiederà sempre più
energia e acqua14. Per fortuna oggi – in Francia e in Germania – si
sa come realizzare il fotovoltaico organico, che richiede pochissimi
minerali per produrre elettricità.
Questa tecnologia rivoluzionaria consentirà di abbattere gli
ostacoli nell’accesso all’acqua nel sud dell’Europa? Dipende dalla
capacità dell’industria europea di aumentare molto rapidamente la
scala di produzione di questa tecnica, il che richiede un settore ban-
cario in grado di finanziare un tale sforzo di investimento. Ma il
settore bancario, per il momento, si rifiuta di fornire i finanziamenti
necessari per questo cambiamento di marcia. Come mai? Perché
223
molte grandi banche europee sono talmente dipendenti dai combu-
stibili fossili che sarebbero in bancarotta se in futuro riuscissimo a
fare a meno del carbone, del petrolio e del gas15. Per poter garantire
agli italiani l’accesso all’acqua potabile nel 2040, è quindi urgente
regolamentare e risanare il settore bancario europeo.
2) In un intervento al vertice del G20 dedicato al dialogo in-
terreligioso, a Bologna, il 12 settembre 2021, i leader religiosi e
spirituali sono stati esortati a fare una proposta concreta al G20:
quella di accelerare il passaggio dall’agricoltura industriale e in-
tensiva che distrugge il nostro Pianeta a un’agricoltura ecologica
(permacultura, agroforestazione ecc.). Tra le istituzioni, infatti, che
sul terreno possono dialogare con tutti i piccoli coltivatori che nu-
trono l’umanità un ruolo particolare lo svolgono le organizzazioni
religiose. Esse sono chiamate a promuovere pratiche agricole che
consentirebbero al tempo stesso di preservare la biodiversità dome-
stica e selvatica e di fornire soluzioni all’immenso problema della
denutrizione. Tuttavia, uno dei maggiori ostacoli alla conversione

14. Cfr O. Vidal - F. Rostom - C. François - G. Giraud, «Global Trends in


Metal Consumption and Supply: The Raw Material-Energy Nexus», in Elements,
13 (2017) 319-324; «Prey-Predator Long-Term Modelling of Copper Reserves,
Production, Recycling, Price and Cost of Production», in Environmental Science and
Technology, n. 53, 2019, 11323-11336.
15. Cfr G. Giraud et Al., «Fossil assets “the new subprimes”?», in Reclaim
Finance (https://reclaimfinance.org/site/en/2021/06/10/fossil-fuel-assets-the-new-
subprimes-report), giugno 2021.
ARTICOLI

delle pratiche agricole all’agroecologia è il sovraindebitamento dei


contadini. In India, in media ogni 28 minuti un contadino si sui-
cida per tentare di sfuggire alla mannaia del debito. L’attuazione
di soluzioni finanziarie consistenti nella cancellazione di una parte
di questi debiti in cambio della conversione a un’agroecologia che
emetta meno carbonio è perfettamente possibile ed è stata praticata
a lungo dalla Banca mondiale in passato. È qui che un dialogo tra le
comunità religiose e spirituali, il G20 e la Fao sarebbe estremamen-
te utile per promuovere questo tipo di soluzione.
Riusciamo a mostrare, con questi due esempi, la complessità
economica, politica, tecnologica, sociale, spirituale che implicano
le sfide dell’adattamento?
La pandemia ci ha anche permesso di prendere coscienza della
224
gravità delle sfide della salute mondiale. E il riscaldamento rischia di
aggravare questi problemi. All’inizio di ottobre, l’Organizzazione
mondiale della sanità, supportata da milioni di medici del mondo
intero, ha messo in guardia sui rischi del cambiamento climatico
per la salute umana16. Il riscaldamento favorirà la diffusione del-
le malattie tropicali oltre il loro attuale campo di prevalenza. Con
ogni probabilità, la malaria dovrebbe riapparire in Messico e nel
sud degli Stati Uniti prima del 2050. Da questo punto di vista, la
scoperta molto recente di un vaccino contro la malaria è una buona
notizia per l’umanità: una notizia attesa troppo a lungo. Ma molte
altre pandemie rischiano di diffondersi a causa del riscaldamento
globale. Pertanto bisogna adattare rapidamente a questa nuova real­
tà tutti i sistemi sanitari del mondo intero. E anche in questo caso
saranno determinanti gli impegni che eventualmente potrebbero
essere presi a Glasgow.
Il terzo obiettivo della Cop26 riguarda l’obbligo, sancito dall’Ac-
cordo di Parigi, per i Paesi sviluppati di fornire assistenza finanzia-
ria ai Paesi in via di sviluppo, per misure sia di mitigazione sia di
adattamento. Nel 2015 era stato fissato un obiettivo di 100 miliardi
di dollari all’anno stanziati a partire dal 2020. L’Ocse calcolava che
78,9 miliardi di dollari erano stati sbloccati nel 2018 e la cifra defi-

16. Cfr OMS, «WHO’s 10 calls for climate action to assure sustained recovery
from COVID-19» (bit.ly/30NY5rl), 11 ottobre 2021.
LE QUESTIONI CLIMATICHE E POLITICHE DELLA COP26

nitiva per il 2020 non è stata ancora stabilita. Tuttavia, sembra che
l’obiettivo non sia stato raggiunto17. Peggio, una parte delle somme
dichiarate è messa in dubbio da alcune Ong18.
Infine, le delegazioni devono accordarsi per finalizzare il «Pa-
ris Rulebook», che definisce le regole specifiche per l’attuazione
dell’Accordo di Parigi. In particolare, è l’articolo 6 – che offre la
possibilità per i Paesi di istituire meccanismi di cooperazione, so-
prattutto i mercati del carbonio – a essere oggetto di lunghi nego-
ziati19. Eppure i mercati del carbonio non sono affatto una panacea:
quelli già esistenti sono stati finora tutti dei fallimenti. E come è
stato chiaramente indicato dal rapporto Stern-Stiglitz, l’istituzione
di una tassa sul carbonio sarebbe molto più efficace20. C’è da temere
che molto tempo e molte energie diplomatiche saranno spesi sulla
225
questione dei mercati del carbonio semplicemente perché il mon-
do finanziario ha capito che questa è potenzialmente una colossale
fonte di profitto. I negoziati rischiano dunque di perdere di vista
l’interesse generale.

È ora di agire

Cosa aspettarsi da questa Cop26? I temi della giustizia e dell’e-


quità saranno al centro dei dibattiti, soprattutto per quanto riguarda
l’aiuto finanziario accordato ai Paesi in via di sviluppo per la ridu-
zione delle emissioni e l’adattamento alle catastrofi ecologiche già
in atto. I Paesi industrializzati si renderanno finalmente conto delle
loro responsabilità storiche nel cumulo delle emissioni e manter-
ranno gli impegni presi firmando l’Accordo di Parigi?

17. Cfr K. Abnett, «L’objectif de 100 milliards de dollars pour le climat n’a sans
doute pas été atteint, dit l’OCDE», in Reuters (reut.rs/3Efu2as), 17 settembre 2021.
18. Cfr «2020: les vrais chiffres des financements climat», in www.
oxfamfrance.org/wp-content/uploads/2020/10/2020-Les-vrais-chiffres-des-
financements-climat.pdf
19. Cfr «In-depth Q&A: How “Article 6” carbon markets could “make or
break” the Paris Agreement», in www.carbonbrief.org/in-depth-q-and-a-how-
article-6-carbon-markets-could-make-or-break-the-paris-agreement
20. Cfr «Report of the high-level commission on carbon prices», in www.
carbonpricingleadership.org/report-of-the-highlevel-commission-on-carbon-
prices
ARTICOLI

In realtà, il negoziato sul clima non si fa solo e semplicemente


una volta all’anno, durante le Cop. Il rafforzamento degli impe-
gni sul clima è ormai un lavoro permanente. Lo si è visto negli
ultimi mesi, quando molti annunci importanti sono stati fatti da
Cina, Unione Europea, Stati Uniti e molti altri Paesi21: tutti hanno
promesso di rafforzare i propri impegni. Tuttavia, per alcuni, resta
ancora il compito di formalizzarli nei loro Ndc, altrimenti queste
promesse rimarranno lettera morta. Entriamo ora nella fase del-
le negoziazioni, che consiste, per ciascun Paese, nel trasformare i
propri obiettivi di riduzione delle emissioni in precise strategie na-
zionali, poi in politiche climatiche concrete e operative. È quindi
ormai a livello nazionale che deve essere intrapresa l’azione concreta
per il clima. Le Cop sono destinate a diventare sempre più arene di
226
organizzazione globale e di monitoraggio della sincerità degli im-
pegni, ma la parte essenziale delle politiche climatiche dovrà essere
preparata, attuata e valutata a livello nazionale22.
Per garantire che gli impegni e gli obiettivi sanciti dagli Stati
siano seguiti e raggiunti, è necessaria la mobilitazione di tutte le
componenti della società. Le imprese, le associazioni e i cittadini
non devono abbassare il livello della loro attenzione. Senza dubbio
essi dovrebbero anche partecipare attivamente alle politiche clima-
tiche dei loro Paesi e regioni. Per questo, tutti i mezzi sono buo-
ni: lobby, petizioni, manifestazioni o anche azioni legali sul clima,
come è stato fatto recentemente in Francia nell’ambito dell’ Affaire
du Siècle23. Lo Stato francese è stato condannato a riparare i danni
ecologici causati dal mancato rispetto dei budget per il carbonio che
aveva inizialmente previsto per il periodo 2015-18. Più in generale,
ciò che ormai è in gioco è il passaggio all’azione da quella che papa
Francesco chiama una «cultura dello scarto», che caratterizza molte

21. Cfr www.climateactiontracker.org/countries


22. Cfr «COP26: what’s the point of this year’s UN climate summit in Glasgow?»,
in The Conversation (https://theconversation.com/cop26-whats-the-point-of-this-
years-un-climate-summit-in-glasgow-167509), 6 ottobre 2021.
23. A. Garric - S. Mandard, «“L’affaire du siècle”: la justice ordonne au
gouvernement de “reparer le préjudice écologique” dont il est responsable», in Le
Monde (www.lemonde.fr/climat/article/2021/10/14/l-affaire-du-siecle-la-justice-
ordonne-au-gouvernement-de-reparer-le-prejudice-ecologique-dont-il-est-
responsable_6098357_1652612.html), 14 ottobre 2021.
LE QUESTIONI CLIMATICHE E POLITICHE DELLA COP26

società industrializzate, a una «cultura della cura»24. Per questo le


Cop sono un luogo indispensabile di negoziazione tra Stati nazio-
nali degli impegni presi e del loro rafforzamento.
Ma ormai l’urgenza è tale che i progressi devono essere possi-
bili ovunque, all’interno della società civile e con la collaborazione
di ciascuno di noi. Basterà un solo esempio per dimostrarlo: anco-
ra oggi, pare che un terzo del cibo che viene conservato nei frigo-
riferi delle famiglie dei Paesi industrializzati non venga consuma-
to, ma buttato. Quando impareremo a porre fine a questo spreco
indecente in un mondo in cui 800 milioni di persone soffrono di
malnutrizione, uno spreco che contribuisce anche al riscaldamen-
to del Pianeta? Quando impareremo a limitare il consumo della
carne per ridurre l’impronta di carbonio e ambientale della nostra
227
dieta? Quando stabiliremo delle regole per l’uso di internet, i cui
giganteschi data center sono responsabili di oltre il 4% delle nostre
emissioni? È necessario riflettere su come cambiare mentalità ri-
spetto al consumismo imperante. Il singolo cittadino non può fare
tutto, ovviamente. Ma sarebbe irresponsabile aspettarsi tutto dai
grandi incontri internazionali come le Cop: queste non possono
che incoraggiare e registrare i progressi fatti da ogni persona, da
ogni comunità, da ogni città, da ogni Paese, sul campo25.

24. Francesco, Discorso ai partecipanti all’incontro interparlamentare preparatorio


per Cop26, 9 ottobre 2021, in www.vatican.va
25. Gli Autori ringraziano Elena de Nictolis per l’aiuto prestato nella
composizione di questo articolo.
ARTICOLI

LA FONDAZIONE DEL PARTITO NAZIONALE


FASCISTA E I CATTOLICI ITALIANI

Giovanni Sale S.I.

Un secolo fa, nel novembre 1921, in occasione del III Congresso


dei Fasci italiani di combattimento1, che si tenne a Roma nel teatro
dell’Augusteo, veniva ufficialmente fondato il Partito nazionale fa-
scista. Un evento che fu appena notato (e commentato) dalla stampa
228
ufficiale, ma che avrebbe avuto un ruolo centrale nella storia nazio-
nale dei successivi 20 anni e anche dopo. Fino a quel momento il
movimento creato da Benito Mussolini a Milano il 23 marzo 1919
si era presentato all’opinione pubblica come un «antipartito», crea-
tore di nuove istanze politiche. Era fondato su una «anti-ideologia»
che idolatrava il mito della forza e dell’azione come motore del-
la storia, nella tradizione dello spontaneismo sovversivo, che aveva
presieduto la fondazione dei primi Fasci2 .
Alla fine del 1921 il fascismo era diventato, soprattutto nel Nord
della Penisola, un fenomeno di massa, fondato sull’organizzazione
squadristica. Anzi, il nuovo statuto del Partito nazionale fascista,
redatto a dicembre dello stesso anno, consacrò lo squadrismo qua-
le istituzione essenziale del nuovo partito3. Il progetto ideologico-
politico di cui questo partito si faceva portatore «aveva perduto le
componenti di improvvisazione e casualità a mano a mano che si
allontanava dallo spirito anarchico ed eversivo degli inizi per far
propri i valori d’ordine e di tradizione»4, che a quel tempo erano i

1. Cfr S. Lupo, «Fasci italiani di combattimento», in Dizionario del fascismo,


Torino, Einaudi, 2002, 511-515.
2. Cfr Dizionario dei fascismi. Personaggi, partiti, culture e istituzioni in Europa
dalla grande guerra a oggi, Milano, Bompiani, 2002, 473.
3. Cfr E. Gentile, Storia del partito fascista. Movimento e milizia. 1919-1922,
Roma - Bari, Laterza, 2021, 46.
4. Cfr Dizionario dei fascismi..., cit., 473.

© La Civiltà Cattolica 2021 IV 228-238 | 4113 (6/20 novembre 2021)


LA FONDAZIONE DEL PARTITO NAZIONALE FASCISTA E I CATTOLICI ITALIANI

pilastri di ogni vera azione politica nazionale. In realtà, da tempo il


movimento fascista aveva cominciato a cambiare pelle e ad assume-
re sempre di più tratti ideologici (cioè politici) orientati in direzione
antisocialista e antipopolare, al fine di guadagnare consensi tra i
tanti elettori scontenti dell’azione dei nuovi partiti di massa. Da fe-
nomeno prevalentemente «urbano» e «giovanilista», il fascismo era
diventato un fenomeno «rurale» e «nazionale», una forza, cioè, che
raccoglieva adesioni ormai anche nei settori della piccola e media
borghesia intellettuale e impiegatizia, e come «partito armato» di-
ventava sempre più funzionale agli interessi degli industriali e degli
agrari, preoccupati di ristabilire l’ordine – gravemente turbato nei
due anni precedenti – nelle fabbriche e nelle campagne.
Trasformando il movimento fascista in partito politico Mussolini
229
perseguiva un duplice obiettivo: da un lato, rafforzava l’autorità della
direzione nazionale, con i suoi organismi centrali, controllati da uomi-
ni da lui stesso nominati, eliminando i particolarismi dei vari indisci-
plinati e riottosi ras locali5; dall’altro, conferiva all’insieme «eterogeneo
dei fascismi delle origini» un’organizzazione stabile, basata sui princìpi
di gerarchia, di autorità e di disciplina, suscettibile di divenire lo stru-
mento per la conquista del potere, come di fatto avvenne poco dopo.
In questa sede non intendiamo ripercorrere le vicende della na-
scita e della formazione del movimento fascista e neppure la con-
troversa storia del «Ventennio», sulla quale esiste una nutrita lettera-
tura storica: ci interessa soltanto analizzare la posizione dei cattolici
italiani, e soprattutto delle gerarchie vaticane, in quel particolare
periodo, riguardo all’avanzata nazionale del movimento-partito
fascista. Sorprende che le posizioni assunte dalla Santa Sede, e in
particolare dalla Segreteria di Stato, sulle vicende riguardanti il «fa-
scismo delle origini» e sulla stessa fondazione del Partito nazionale

5. Superati i dissensi interni, Mussolini riuscì ad accentrare i poteri nelle pro-


prie mani e in quelle dei suoi più stretti collaboratori. Gli scontri tra le diverse anime
del fascismo – ricordiamo che nell’agosto di quell’anno Mussolini si dimise per po-
chi giorni dal Comitato centrale – testimoniavano come egli non esercitasse ancora
un’indiscussa autorità carismatica sul movimento. L’istituzionalizzazione dei Fasci
e la nascita del Partito nazionale fascista, con il netto predominio della cosiddetta
«corrente milanese», portò al ridimensionamento di alcuni ras locali, come Farinac-
ci, che solo in alcuni casi riuscirono a mantenere il loro potere a livello locale. Cfr F.
Tacchi, Fascismo, Firenze, Giunti, 2000, 46.
ARTICOLI

fascista fossero ispirate a sostanziale tolleranza, e in ogni caso, come


appare dalla stampa filo-vaticana – in particolare da La Civiltà Cat-
tolica, che, allora come oggi, veniva rivista dalla Segreteria di Stato6
–, a una sorta di «sospensione di giudizio politico», come se il fa-
scismo fosse un fenomeno passeggero, legato a fatti di delinquenza
locale (da condannare, naturalmente, sul piano morale) e frutto del-
la durezza dei tempi. Il fenomeno, insomma, fu sottovalutato, e da
alcuni ecclesiastici persino considerato necessario per combattere il
dilagare, nelle città e nelle campagne, della peste socialista e comu-
nista. Questo fatto pesò molto sul successivo atteggiamento che la
gerarchia cattolica italiana ebbe nei confronti del fascismo al potere
e della creazione dello Stato totalitario.
Ma per comprendere la posizione del mondo cattolico e della Santa
230
Sede riguardo alle vicende di cui stiamo trattando è necessario inqua-
drare i fatti nel loro contesto storico a partire dalla crisi del governo
Giolitti e dalle elezioni politiche del maggio 1921, quando per la prima
volta i fascisti, sia pure in numero limitato, entrarono in Parlamento.

Le elezioni politiche del maggio 1921

Nell’aprile 1921 Giovanni Giolitti chiese al re Vittorio Ema-


nuele III, con l’accordo della maggior parte dei suoi ministri, lo
scioglimento delle Camere e fece indire nuove elezioni politiche
per il 15 maggio successivo. L’obiettivo era quello di indebolire in
Parlamento sia i socialisti sia i popolari, che nelle elezioni del 1919
– le prime dopo la Grande guerra – avevano ottenuto una strepi-
tosa vittoria, esautorando la vecchia classe politica liberale, la quale
però, attraverso la fiducia a essa accordata dalla Corona, continua-
va a tenere in mano le leve dello Stato. Giolitti intendeva creare
un blocco d’ordine conservatore, capace di frenare le richieste ri-
formatrici che venivano dai partiti di massa e che rendevano dif-
ficile l’azione di governo. I popolari naturalmente rifiutarono di
partecipare al «blocco» – costituito, oltre che dal partito di Giolitti,

6. In quegli anni, come anche successivamente, le posizioni vaticane in ma-


teria politica erano espresse attraverso La Civiltà Cattolica, in quanto organo non
ufficiale della Santa Sede e quindi più libero nel manifestare le sue posizioni.
LA FONDAZIONE DEL PARTITO NAZIONALE FASCISTA E I CATTOLICI ITALIANI

dai democratici, dai salandrini e, per la prima volta, dai fascisti – e


decisero di presentarsi alle elezioni con liste proprie7.
A circa tre settimane dalle elezioni, La Civiltà Cattolica pub-
blicò un importante articolo, scritto dal direttore della rivista,
p. Enrico Rosa, nel quale si esaminava la situazione politica del
Pae­se. Esso era intitolato «I torti dei partiti e il dovere dei cattoli-
ci». L’articolo divideva i partiti dello schieramento politico in tre
categorie: i sovversivi, i liberali e i popolari. Nella prima categoria
rientravano i socialisti, i comunisti e i movimenti anarchici. L’e-
lemento che accomunava tutti questi partiti – secondo l’articolista
– era lo spirito rivoluzionario, che era tutta la ragione della loro
esistenza, cioè «il rovesciamento della monarchia non solo, ma di
tutto l’ordinamento presente della società, la violenza insomma
231
della rivoluzione a cui deve servire il bene pubblico: quindi l’am-
bito trionfo dell’irreligione e dell’immoralità, che è parte precipua
del loro comune programma di partito»8 .
La critica si incentrava poi sull’azione parlamentare dei socia-
listi, i quali, invece di promuovere riforme per il bene del popolo,
«da loro tanto decantato», avrebbero unicamente promosso due
proposte di legge: una a loro esclusivo vantaggio, cioè l’aumento
dell’indennità parlamentare; l’altra a vantaggio dei «viziosi e dei
gaudenti», cioè il divorzio.
Gran parte del torto nella gestione della cosa pubblica – continua-
va La Civiltà Cattolica – è però da attribuire ai molteplici partiti libera-
li, cioè a radicali, moderati, costituzionali, democratici, nazionalisti e
fascisti. Da notare che l’articolista includeva il fascismo non tra i partiti
rivoluzionari (nonostante la sua ascendenza dal socialismo massima-
lista), ma tra quelli liberali. Esso infatti sarebbe il prodotto «violento
e autoritario» della crisi del liberalismo, l’altra faccia insomma di un
sistema corrotto, soltanto in apparenza «libertario», che vuole a tutti i
costi e in tutti i modi conservare il potere e bloccare lo sviluppo de-
mocratico del sistema politico. Il partito fascista era presentato non sol-
tanto come una sorta di «bastone» liberale per tenere a freno i socialisti

7. Cfr G. Sale, Popolari e destra cattolica al tempo di Benedetto XV, Milano,


Jaca Book, 98 s.
8. E. Rosa, «I torti dei partiti e il dovere dei cattolici», in Civ. Catt. 1921 II 195.
ARTICOLI

e i sovversivi, ma anche come un movimento politico e di pensiero


intrinsecamente malvagio e anticristiano.
Questi partiti si presentano come gli ultimi epigoni della rivolu-
zione liberale (ormai in crisi), di cui adottano lo stesso sistema di va-
lori, utilizzando però, nella loro azione in difesa dell’ordine costituito,
gli stessi sistemi violenti dei socialisti, figli degeneri della stessa madre.
Tanto più che «ai nuovi venuti dalla baraonda rivoluzionaria del fasci-
smo il liberalismo si guarda bene dal richiedere qualsiasi rinuncia ai
loro principi di violenza e di morale nuova, quantunque affatto sov-
versiva della società»9.
Infine l’articolista trattava dei popolari, «che non crediamo che si pos-
sano mettere al paragone coi partiti che neppure implicitamente ricono-
scono i principi cristiani». Essi sono impegnati a fare un lodevole «esame
232
di coscienza» sull’indirizzo politico seguito fino a questo momento (rite-
nuto dalla Santa Sede troppo progressista). Tale dovrà essere il compito di
un nuovo Congresso nazionale, che dovrebbe avere come fine «la purifi-
cazione e non la distruzione del partito». Esso farebbe chiarezza su molti
punti, per indirizzare meglio il compito dei cattolici in politica, «sebbene
il partito non voglia dirsi cattolico, né debba confondersi con l’azione
cattolica e molto meno con l’operato della gerarchia cattolica»10.
Venendo poi a trattare delle prossime elezioni politiche, l’arti-
colista si chiedeva come dovevano orientarsi in materia elettorale
i cattolici italiani. L’indicazione che egli dava loro su questo pun-
to era chiara: dovranno scegliere quella lista che fra tutte porti «i
nomi più degni» per un cattolico, e all’interno di essa votare per i
più «sicuri sul piano morale e religioso». A tale riguardo si ricor-
davano le indicazioni che Pio X nel 1905 aveva dato ai cattolici
spagnoli in materia elettorale: «I cattolici – aveva scritto il Papa
– debbono con ogni industria sforzarsi a far riuscire nelle elezio-
ni, siano municipali o nazionali, coloro che, giusta la circostanza
di ciascuna elezione, dei tempi e dei luoghi, sembra che meglio
debbano provvedere, nel loro governo, ai vantaggi della religione
e della patria»11.

9. Ivi, 201.
10. Ivi, 204.
11. Ivi, 207.
LA FONDAZIONE DEL PARTITO NAZIONALE FASCISTA E I CATTOLICI ITALIANI

La parola d’ordine che la Santa Sede dava in quel momento agli


elettori cattolici, attraverso le pagine della rivista dei gesuiti, era che
essi continuassero a votare per il Ppi, scegliendo però, all’interno delle
sue liste, quei candidati più sensibili alle questioni di carattere reli-
gioso12. Questo era il punto di vista del Papa, che non desiderava che
il partito dei cattolici si scindesse al suo interno, o che le sue forze si
disperdessero in alleanze politiche diverse, e non era favorevole alla
formazione di un «partito guelfo», cioè apertamente cattolico, accan-
to a quello «popolare». Questo indirizzo politico fu poi ribadito dalla
maggioranza del partito nel Congresso di Venezia di quell’anno.

Fascismo di difesa e fascismo di violenza


233
Alcuni giorni prima delle elezioni politiche del 15 maggio
1921 la rivista dei gesuiti tornò a parlare della competizione elet-
torale in corso: questa volta però non per commentare o valutare
il programma politico dei singoli partiti, ma per denunciare le
violenze che durante la campagna elettorale erano state compiu-
te da alcuni partiti, in particolare dai socialisti e dai fascisti. In
un breve articolo di cronaca, titolato «Fascismo di difesa, fasci-
smo di violenza, fascismo di setta», la rivista si soffermò a valu-
tare, per la prima volta in modo specifico, il movimento fascista,
già da tempo organizzatosi in movimento politico e presente
come tale nel listone dei «partiti d’ordine».
La distinzione tra «fascismo di difesa» e «fascismo di violenza» (o
di setta) è la prima apparsa sulle pagine de La Civiltà Cattolica. Sem-
pre di più – scriveva l’articolista – si fa manifesto, per confessione de-
gli stessi capi del fascismo, che il movimento, sorto dapprima per rea-
zione contro le prepotenze dei socialisti e dei comunisti, e quindi per
ragioni di legittima difesa nazionale – e questo sarebbe «il fascismo di
difesa» –, spesso oltrepassa il limite della giusta misura, «peccando di
quella stessa arbitraria violenza giustamente rinfacciata ai sovversivi e

12. Si veda, a tale proposito, la direttiva privata inviata dalla Segreteria di Stato
ai vescovi italiani nelle precedenti elezioni del 1919, in AAEESS, Italia, 346, 40 s;
e J. F. Pollard, Il papa sconosciuto. Benedetto XV e la ricerca della pace, Cinisello
Balsamo (Mi), San Paolo, 2001, 199.
ARTICOLI

raddoppiando la confusione invece di servire all’ordine e alla pubblica


tranquillità»13; e questo sarebbe «il fascismo di violenza» (o di setta).
In verità, durante la campagna elettorale il fascismo, forte di po-
tenti protezioni a livello sia centrale sia locale, manifestava sempre più
il suo vero volto violento e autoritario, e denunciava senza pudore la
sua istintiva avversione per la democrazia e per i metodi di lotta poli-
tica democratica14. «Né l’uso né l’abuso della prepotenza – affermava
La Civiltà Cattolica – si restringe ai casi personali: in più di una delle
loro “spedizioni” pubbliche si vedono prendere a norma non la giusta
difesa, ma il loro maltalento e lo sfogo del loro pazzesco impulso»15.
La distinzione tra fascismo di difesa e fascismo di violenza aveva
una finalità esclusivamente descrittiva e non implicava alcun giudizio
di carattere ideologico-politico sul fenomeno analizzato, nel senso
234
cioè che esisterebbe, come alcuni affermavano, un fascismo buono e
uno cattivo. Va ricordato anche che la rivista non poteva in nessun
modo ritenere affidabile un movimento che si dichiarava apertamen-
te anticristiano e nemico dei «preti in gonnella o senza gonnella»,
come venivano definiti gli attivisti dell’azione cattolica o del Ppi16.
Le elezioni del 15 maggio 1921, come era prevedibile, non modi-
ficarono di molto l’equilibrio delle forze rappresentate nel Parlamento
appena sciolto: il crollo dei partiti liberali veniva riconfermato; i socia-
listi, invece, perdevano qualche seggio (ne ebbero 122, ma i comunisti
ne ottennero 16), mentre i popolari ne guadagnavano qualche altro
(ebbero 107 deputati, pari al 20,7% dei voti); per la prima volta entra-

13. «Cose italiane», in Civ. Catt. 1921 II 371.


14. Cfr R. De Felice, Mussolini il fascista, Torino, Einaudi, 1966, 202 s; E.
Gentile, Storia del partito fascista..., cit.; S. Lupo, Il fascismo. La politica in un regime
totalitario, Milano, Feltrinelli, 2013, 54; Id., «Fasci italiani di combattimento», in
Dizionario del fascismo, cit., 511-515.
15. «Cose italiane», in Civ. Catt. 1921 II 372.
16. Lo scrittore concludeva il suo articolo affermando: «Non è però soltanto
la mancanza di misura e di ragionevole difesa che si deve rimproverare a molti atti
del movimento fascista nazionale, che finiranno per renderlo tanto odioso quanto il
suo antagonista bolscevico e internazionale. Da qualche tempo, giudicando di aver
rintuzzato e confuso le organizzazioni socialiste, esso va estendendo la sua azione
aggressiva contro ogni altro partito per dominare dispoticamente la piazza, sosti-
tuendo la tirannia tricolore al terrore rosso. E in questa specie di evoluzione vedia-
mo allargarsi un’infiltrazione anticlericale, cioè antireligiosa, che prima i dirigenti
del movimento avevano lasciato nell’ombra» (ivi).
LA FONDAZIONE DEL PARTITO NAZIONALE FASCISTA E I CATTOLICI ITALIANI

rono a Montecitorio 35 deputati fascisti – fra i quali Benito Mussolini


–, eletti nelle liste del blocco, oltre ai 10 nazionalisti. E questo, come
la storia insegna, non fu una cosa di poco conto. Il nuovo governo,
formato da Ivanoe Bonomi, non poté fare a meno, come era accaduto
precedentemente, della collaborazione dei popolari, che non avevano
permesso un reincarico a Giolitti. Ad essi per la prima volta venne
affidato un ministero importante, quello della Giustizia.
La nomina di Giulio Rodinò a guardasigilli scatenò tra i liberali
una bufera, che pose in pericolo la stessa sopravvivenza del governo
appena formato; non si voleva che quel ministero chiave passasse in
mano a un cattolico. «Ci volle – dichiarò Sturzo – la minaccia ufficia-
le del partito che, se Bonomi fosse caduto, i popolari non avrebbero
partecipato ad altro ministero, a far superare quel difficile momento
235
e tenere a freno i malcontenti»17. Ai popolari furono dati anche altri
due ministeri: quello dei Lavori Pubblici (Micheli) e quello dell’Agri-
coltura (Mauri), nonché diversi sottosegretariati. Il Ppi partecipò con
uomini propri a tutti i governi – alcuni dei quali durarono per bre-
vissimo tempo – che si succedettero fino al ministero Mussolini, dal
quale i ministri popolari uscirono dopo pochi mesi.

Il Congresso dei fascisti all’Augusteo di Roma

Dal 7 al 10 novembre 1921, come si è detto, si svolse a Roma


all’Augusteo il III Congresso dei Fasci di combattimento18 . Que-
sto Congresso, che fu aperto neppure un mese dopo quello dei
popolari a Venezia (20-23 ottobre)19, «doveva venir contrassegna-
to – è stato giustamente osservato – per le baruffe tra congressi-

17. Il Popolo nuovo, 6 luglio 1921.


18. R. De Felice, Mussolini il fascista, cit., 224 s; E. Gentile, Storia del partito
fascista…, cit., 358 s; P. Milza, Mussolini, Roma, Carocci, 1999, 318.
19. Il III Congresso dei popolari a Venezia aveva escluso ogni accordo politico
e parlamentare con i socialisti (come chiedeva l’ala sinistra del partito, capeggiata
da Migliori). Sebbene avesse escluso anche la possibilità di una collaborazione con i
fascisti e con i nazionalisti, «il suo esito – scrive Emilio Gentile – giovava comunque
alla politica di Mussolini, il quale, ancora prima dell’apertura del Congresso, aveva
previsto che l’intransigenza socialista [definita nel Congresso di Milano del 10-15
ottobre dello stesso anno] avrebbe indebolito la corrente collaborazionista del PPI,
mentre offriva al fascismo “la possibilità di vivere in rapporti di buon vicinato” con
la destra popolare» (E. Gentile, Storia del partito fascista…, cit., 355).
ARTICOLI

sti e socialisti con le quali si alternarono tornate e passeggiate; e


finalmente doveva chiudersi tra le angosce di una piccola guerra
civile». Il vero protagonista del Congresso fu Mussolini, «salutato
fin dal suo apparire come un trionfatore; ebbe la soddisfazione di
veder prevalere le sue idee massimamente quelle della costituzione
dei fasci a partito politico»20 .
La relazione sullo stato del movimento fu fatta da Umberto Passel-
la, il quale descrisse, numeri alla mano, i progressi che il movimento
dei fasci aveva fatto in soli tre anni di vita: al primo Congresso di Fi-
renze avevano preso parte 22 fasci in rappresentanza di 17.000 iscritti,
mentre a quello di Milano i fasci erano saliti a 56 con 30.000 iscritti,
«oggi i fasci sono 2.200 con oltre 300.000». Il fascismo quindi in un
solo anno aveva decuplicato il numero degli iscritti al movimento.
236
Questo fu avvertito da molti – soprattutto socialisti e popolari – come
un fatto inquietante e pericoloso per il Paese. Veniva spiegato facendo
riferimento alla debolezza e mancanza di autorità dello Stato demo-
cratico, che preferiva lasciar fare ai violenti anziché intervenire tempe-
stivamente per arginare il contrasto sociale con una proposta politica
forte. Vi erano poi alcune forze politiche, come i comunisti, che si
facevano assertori della politica del «tanto peggio».
Le questioni più importanti che il Congresso discusse furono
fondamentalmente due. La prima riguardò il «patto di pacificazio-
ne» o di desistenza, stipulato qualche tempo prima da Mussolini con
i socialisti, al fine di contenere la «guerra civile» in atto tra le due fa-
zioni. Con questo patto Mussolini si presentava agli italiani come il
«pacificatore nazionale», l’uomo nuovo capace di mettere ordine nel
Paese e riportare lo scontro sociale entro limiti accettabili da un re-
gime democratico-parlamentare. Quando il relatore parlò del patto
di pacificazione, l’assemblea iniziò a rumoreggiare, «dimostrando
l’umore battagliero e la disapprovazione per il trattato»21.
Il Pellizzari sostenne che bisognava discutere sull’opportunità o
meno di mantenere in vigore l’accordo. Questo era anche il parere di
altri relatori. Secondo Grandi, bisognava o parlarne subito o mai più.
Dopo la difesa che Mussolini fece dell’accordo, il Congresso, volente o

20. «Cose italiane», in Civ. Catt. 1921 IV 461.


21. Ivi, 462.
LA FONDAZIONE DEL PARTITO NAZIONALE FASCISTA E I CATTOLICI ITALIANI

nolente, votò per la sua accettazione. Mussolini non poteva permettersi


uno smacco così grande, quale sarebbe stato, davanti al Paese, il rigetto
del patto, proprio nel momento in cui egli si poneva come arbitro della
situazione politica e garante della pace nazionale. L’aria che si respirava
nel Congresso era però tutt’altro che volta alla pacificazione. Alla do-
manda retorica dell’onorevole Roberto Farinacci su che cosa dovessero
fare 35 fascisti contro 500 deputati di altri partiti politici, molti con-
gressisti risposero arditamente: «Bombe a mano ci vogliono!»22. Questo
era il partito che Mussolini ci accingeva a costituire.
La seconda questione di cui si parlò nel Congresso fu appunto
quella riguardante la costituzione del fascismo in partito politico
nazionale. La proposta fu perorata con decisione da Mussolini stes-
so – ormai deciso a entrare nell’agone politico nazionale e pronto a
237
lottare alla pari con gli altri partiti politici – e fu accolta con entu-
siasmo dall’assemblea. Almeno su questo punto non ci furono nel
Congresso dissensi di rilievo.

«BOMBE A MANO CI VOGLIONO!». QUESTO ERA


IL PARTITO CHE MUSSOLINI SI ACCINGEVA A
COSTRUIRE.

La cronaca de La Civiltà Cattolica sul Congresso – come anche


quella apparsa su L’Osservatore Romano – passò invece sotto silenzio
le parole che Mussolini indirizzò ai cattolici. Egli promise in materia
religiosa «piena libertà alla Chiesa cattolica nell’esercizio del suo mi-
nistero spirituale, [nonché la] soluzione del dissidio con la Santa Sede».
Più di uno certamente, anche tra i presenti al Congresso, si meravi-
gliò nell’udire tali parole, dette da colui che fino a poco tempo prima
riteneva la lotta anticlericale una delle priorità del movimento fascista.
Nel suo discorso Mussolini dedicò anche attenzione al partito popo-
lare: «Indubbiamente – disse – un partito potente perché si appoggia
a trentamila parrocchie ed ha un’organizzazione politica disciplinata

22. Ivi.
ARTICOLI

che scimmiotta il fascismo»; ha il sostegno di banche e giornali e «il


prestigio che lo fa ritenere espressione del mondo cattolico»23.
La Santa Sede e la stampa cattolica in generale mantennero sulle
inattese aperture di Mussolini verso la questione religiosa un pru-
dente silenzio: prima di lanciarsi in una qualche considerazione da
parte della gerarchia, si cercò di prendere tempo e di verificare in
base ai fatti l’attendibilità delle parole pronunciate in un contesto
molto particolare dal capo del fascismo.
Dopo le elezioni del 1921, Mussolini concentrò la sua polemica
contro il Ppi, ritenendolo (strategicamente) filo-socialista, esclu-
dendo però, a differenza di come aveva fatto precedentemente,
ogni critica contro la Chiesa ufficiale. In questo modo egli cercava
di sottrarre al popolarismo la rappresentatività politica del mondo
238
cattolico e di guadagnarsi la simpatia della gerarchia ecclesiastica24.
Questa tattica alla fine risultò vincente – in particolare quando il fa-
scismo divenne regime di Stato –, non senza provocare però all’in-
terno del mondo cattolico dolorose lacerazioni.
A un secolo esatto da questi fatti, e dopo la dolorosa esperienza del
«Ventennio», della guerra civile e di occupazione, sorprende che ci sia-
no italiani che considerano il fascismo come un «esperimento politico»
positivo, e in ogni caso «necessario» sul piano storico, e spesso guar-
dano con simpatia e ammirazione al suo fondatore Benito Mussolini.

23. Mussolini continuò dicendo che i popolari, in ogni caso, erano un parti-
to dilaniato da lotte interne, diviso tra la componente di sinistra di Migliori, che il
fascismo doveva combattere, e una destra, che poteva riconciliarsi con la nazione
e a certe condizioni dialogare con il fascismo (cfr E. Gentile, Storia del partito
fascista..., cit., 369). Importante è anche ciò che Mussolini disse riguardo ai libe-
rali. Sebbene si professasse liberale in economia, il fascismo aborriva il liberalismo
politico e il sistema democratico: «Attorno a noi – disse Mussolini – si raggrup-
peranno i frammenti degli altri partiti costituzionali. Noi assorbiremo i liberali e
il liberalismo, perché con il metodo della violenza abbiamo sepolto tutti i metodi
precedenti» (ivi, 370).
24. Cfr G. De Rosa, Il Partito Popolare Italiano, Roma - Bari, Laterza, 1988, 112.
IL PREMIO NOBEL PER LA PACE 2021
ALLA STAMPA LIBERA

Vladimir Pachkov S.I.

Il 15 ottobre 2006 la giornalista e attivista per i diritti umani


Anna Politkovskaja fu uccisa nell’ascensore della sua casa nel cen-
tro di Mosca: aveva 48 anni, e gli autori di questo omicidio non
sono stati ancora trovati1. Esattamente 15 anni dopo, il direttore del
239
giornale dove lavorava Anna, Dmitrij Muratov, assieme alla gior-
nalista filippina Maria Ressa, ha ricevuto il premio Nobel per la
pace. Secondo il Norwegian Nobel Commitee, questo premio è stato
assegnato ai due giornalisti per i loro «sforzi per salvaguardare la
libertà di espressione, condizione preliminare per la democrazia e
una pace duratura».
È importante spiegare perché sia stato un giornalista relativa-
mente sconosciuto al di fuori della Russia, e non un politico attivo,
a ricevere questo premio. Muratov è la terza persona in Russia a
ricevere il premio Nobel, dopo due noti personaggi come Andrej
Dmitrievič Sakharov (1975) e Michail Gorbaciov (1990), ma il pri-
mo nella Federazione russa di recente indipendenza. Egli ora è ac-
costato a due persone che hanno dato un contributo decisivo alla
caduta della dittatura comunista nell’Urss, e in generale nell’Europa
dell’Est. Al caos degli anni Novanta, che per il giornalismo indi-
pendente non è stato meno letale della stessa dittatura, è seguita la
«stabilità» di Putin, che, se forse ha portato un miglioramento eco-
nomico per la maggioranza dei cittadini, non ha risolto i problemi

1. 15 лет со дня убийства Анны Политковской: о чем нужно помнить («15


anni dopo l’omicidio di Anna Politkowskaya: di che cosa ci si deve ricordare?»),
in www.dw.com/ru/15-let-so-dnja-ubijstva-anny-politkovskoj-o-chem-nuzhno-
pomnit/a-59426210

© La Civiltà Cattolica 2021 IV 239-247 | 4113 (6/20 novembre 2021)


ARTICOLI

per le persone che considerano la libertà di espressione un valore


imprescindibile.
Nella redazione del quotidiano Novaja Gazeta c’è una parete
a cui sono appese le foto dei colleghi uccisi mentre svolgevano
il loro lavoro di giornalisti. Una di questi giornalisti è Anna
Politkovskaja, che ha pagato il prezzo più alto per la libertà di in-
formazione, e in Russia è un simbolo di questa libertà. Muratov
ha dedicato ad essi il premio: «Questo è il premio dei miei col-
leghi morti che hanno dato la vita per altre persone, che hanno
combattuto contro la dittatura e che hanno lottato per la libertà
di espressione. Il Nobel per la pace non viene assegnato ai morti,
ma ai vivi. Ovviamente hanno deciso di darlo a me, che sono
vivo, ma in realtà intendevano darlo a Jurij Ščekočichin, Igor
240
Domnikov, Anna Politkovskaja, Anastasija Barburova, Stanislav
Markelov e Natalja Estemirova»2 .

«QUESTO È IL PREMIO DEI MIEI COLLEGHI MORTI CHE


HANNO DATO LA VITA PER ALTRE PERSONE, CHE
HANNO COMBATTUTO CONTRO LA DITTATURA».

Nella dichiarazione della Nobel Prize Foundation si legge: «Da


decenni Dmitrij Andreevič Muratov difende la libertà di espres-
sione in Russia, in un contesto sempre più difficile. Nel 1993, è
stato uno dei fondatori della testata indipendente Novaja Gazeta.
Dal 1995 ne è direttore, per un totale di 24 anni. Novaja Gazeta è
la testata più indipendente in Russia oggi, con un atteggiamento
fondamentalmente critico verso il potere. È divenuta una impor-
tante fonte di informazione su aspetti censurabili della società russa,
raramente menzionati negli altri media. Dalla sua nascita nel 1993,
Novaja Gazeta ha pubblicato articoli critici su una serie di temi che
vanno dalla corruzione alla violenza della polizia, dagli arresti ille-
gali alle frodi elettorali e dalle “fabbriche di troll” fino all’uso delle
forze militari russe, sia entro che al di fuori dei confini della Russia.

2. «Il premio appartiene ai colleghi che ho perso», Meduza, 8 ottobre 2021, in


https://meduza.io/en/feature/2021/10/08/this-prize-belongs-to-my-lost-colleagues
IL PREMIO NOBEL PER LA PACE 2021 ALLA STAMPA LIBERA

Gli oppositori della Novaja Gazeta hanno risposto con molestie,


minacce, violenze e omicidi. Da quando il giornale ha iniziato a
esistere, sei dei suoi giornalisti sono stati uccisi, compresa Anna Po-
litkovskaja, che ha scritto articoli rivelatori riguardo alla guerra in
Cecenia. Nonostante gli omicidi e le minacce, il direttore Muratov
non ha rinunciato all’indipendenza della testata. Con coerenza ha
difeso il diritto dei giornalisti di scrivere tutto ciò che vogliono su
ciò che vogliono, purché nel rispetto degli standard professionali ed
etici del giornalismo»3.

Chi è Dmitrij Muratov?

Il lavoro giornalistico di Muratov unisce tre epoche: gli ultimi


241
giorni dell’Urss, il periodo post-sovietico e l’era di Putin.
Nato nel 1961 nella città di Kuybischev (ora Samara), Dmitry ha
studiato alla facoltà di filologia dell’università locale. Ha iniziato a la-
vorare come giornalista nel 1985, anno in cui Gorbaciov ha dichiarato
la perestroika. Nel 1992, non essendo d’accordo con la nuova linea edi-
toriale della Komsomolskaya Pravda, dove lavorava all’epoca, ha lascia-
to il giornale e ha fondato l’associazione giornalistica «Il sesto piano»
(Шестой этаж). Già un anno dopo, questa associazione ha dato vita
a Novaja Gazeta (Новая ежедневная газета). Nel 1994-95 Dmitrij
ha lavorato come corrispondente speciale in Cecenia. Nel 1995 è di-
ventato direttore di Novaja Gazeta4.
Secondo l’ex corrispondente da Mosca di Deutschlandfunk Sabi-
ne Adler, Muratov è il più coraggioso direttore di giornale che ci sia
mai stato in Russia. Nessuno, tranne Novaja Gazeta, osa pubblicare
analisi sulla situazione in Cecenia, dove, come lei dice, ancora oggi
dominano il terrore e l’illegalità. Anche la pubblicazione di mate-
riale sulle azioni del gruppo militare Wagner in Siria è stata molto
coraggiosa, oltre che pericolosa; Muratov lo ha potuto sperimentare

3. «The Nobel Peace Prize 2021. Announcement», in www.nobelprize.org/


prizes/peace/2021/press-release
4. Биография Дмитрия Муратова: что известно о лауреате Нобелевской
премии мира из России («Biografia di DmitryMuratov: che cosa si sa del vincitore del
premio Nobel dalla Russia»), in https://kemerovo.tsargrad.tv/news/biografija-dmitri-
ja-muratova-chto-izvestno-o-laureate-nobelevskoj-premii-mira-iz-rossii_427512
ARTICOLI

personalmente: si è trovato la testa mozzata di una pecora davanti


alla porta del suo appartamento di Mosca.
Ina Ruck, che dal 2018 è redattrice e giornalista della trasmissione
televisiva mattutina Ard a Mosca, ritiene che Novaja Gazeta abbia
pagato un alto prezzo per le sue prese di posizione. Negli anni di
governo di Putin, 37 giornalisti sono stati uccisi in Russia, e in una
situazione del genere si deve avere molto coraggio e determinazione
per difendere le proprie posizioni. Muratov, lei dice, ha tali qualità5.
Sebbene sei dei suoi collaboratori siano stati uccisi negli anni in
cui è stato direttore e nonostante le minacce ricevute, Muratov è
rimasto per tutto questo tempo al suo posto. D’altra parte, il fatto
che Novaja Gazeta sia diventata – e continui a essere – uno dei po-
chi mass media in Russia che si possa davvero definire «libero» lo si
242
deve a lui, e ovviamente anche ai colleghi.

Il panorama dei media in Russia

Per comprendere meglio l’importanza del lavoro di Muratov si


deve guardare alle condizioni in cui operano oggi i mass media
indipendenti in Russia. Oltre alle minacce ai giornalisti a livello
personale, la cosiddetta «legge sugli agenti stranieri» è l’ostacolo più
grande alla funzione dei media. La legge è stata approvata nel 2012
e sanziona le organizzazioni non governative «politicamente attive»
che ricevono sostegno finanziario dall’estero. Dal novembre 2017
anche i media possono essere dichiarati «agenti stranieri».
Si potrebbe scrivere un romanzo sulle ripetute modifiche appor-
tate alla legge, e la sua conclusione provvisoria sarebbe l’emendamen-
to approvato nel dicembre 2020, che consente di dichiarare «agenti»
i movimenti sociali e gli individui che svolgono «attività politiche»
nell’interesse di una «fonte straniera». Essi sono obbligati a inserire
l’annotazione «agente straniero» nelle loro pubblicazioni. Anche i
media devono indicarlo, quando citano tali persone o organizzazioni.
Le leggi sono formulate in modo vago, e l’etichetta di «agente», che

5. «Il premio Nobel a Dimitry Muratov: che cosa dicono di lui i colleghi te-
deschi», 8 ottobre 2021, in www.dw.com/ru/nobelevka-dmitriju-muratovu-chto-
govorjat-o-nem-nemeckie-kollegi/a-59452118
IL PREMIO NOBEL PER LA PACE 2021 ALLA STAMPA LIBERA

risale all’epoca di Stalin, spesso viene attribuita in modo arbitrario. Le


organizzazioni così definite devono anche adeguarsi a regolamenti
molto stringenti che rendono il loro lavoro notevolmente più difficile.
Come funziona in pratica questa legge? L’esperienza della «legge
sugli agenti stranieri» dimostra in primo luogo che la sua attuazione
non è uniforme e avviene in modo selettivo. Da una parte, ciò può
essere dovuto alle diverse strategie di difesa delle Ong interessate;
dall’altra parte, è anche dovuto alla formulazione deliberatamente
vaga della legge stessa: il concetto centrale di «politicamente attivo»
non viene definito in modo esaustivo. Le leggi ambivalenti concedo-
no di fatto agli organi statali un alto grado di discrezionalità e aprono
la porta a un’applicazione selettiva della legge. La giustizia sta diven-
tando sempre più un fattore di influenza politica. Il fatto stesso che
243
nei tribunali siano insolitamente lente le sentenze su casi che hanno a
che fare con la legge sugli agenti spesso è stato interpretato nel senso
che si dovesse innanzitutto aspettare un’istruzione «dall’alto».
Nel 2013 sono iniziate le ispezioni alle Ong, ad ampio raggio e
senza preavviso, alcune delle quali hanno portato a sanzioni, sulla
base della legge. La campagna contro le Ong nella primavera del
2014 ha ricevuto un ulteriore impulso in seguito a una modifica alla
legge, che autorizza il ministero della Giustizia a inserire di pro-
pria iniziativa le Ong nel registro degli agenti stranieri. Nell’agosto
2015 ne sono state censite 85. Poiché molte organizzazioni hanno
successivamente cessato le loro attività, il registro contiene ora solo
75 organizzazioni.
Dal novembre 2017, anche i media possono essere definiti «agen-
ti stranieri». Anche in questo caso, la legge è formulata in modo
così vago che il semplice fatto di partecipare a una conferenza di
giornalisti in un Paese straniero è sufficiente per dichiarare l’inte-
ra testata «agente». Nel complesso, queste leggi dovrebbero servire
a rendere più difficile il lavoro delle organizzazioni politicamente
attive, ma esse funzionano anche come deterrente che stronca sul
nascere le attività politiche «indesiderate»6.

6. «Alles Propaganda? Russlands Medienlandschaft» («Tutta propaganda? Il


panorama dei media in Russia»), in www.dekoder.org/de/dossier/medienlandschaft-
propaganda-pressefreiheit
ARTICOLI

Non tutti nell’opposizione sono contenti del premio Nobel

Purtroppo, non soltanto la pressione dello Stato, ma anche le ac-


cuse reciproche e i litigi personali nell’opposizione liberale ostacolano
la situazione di coloro che vogliono difendere le libertà politiche e i
diritti umani, e molto spesso li rendono politicamente insignificanti,
come è stato dimostrato anche dalle ultime elezioni della Duma: l’u-
nico partito di tradizione liberale, Yabloko, non è riuscito a superare lo
sbarramento del 5%, avendo ricevuto soltanto l’1,34% dei consensi7.
Si poteva immaginare che un riconoscimento come l’assegna-
zione del premio Nobel per la pace a un giornalista dell’opposizio-
ne russa avrebbe suscitato una generale reazione positiva nel Paese,
specialmente tra i compagni di lotta di Muratov. Ma la soddisfazio-
244 ne non è così generale. L’opposizione liberale in Russia è endemi-
camente frammentata, anche sull’opposizione al governo. Lo stesso
Muratov è disposto a lavorare con Putin su interessi comuni: ad
esempio, nella fondazione Krug Dobra («Il cerchio della gentilezza»),
sostenuta dallo Stato, che aiuta i bambini malati. Per questo gli op-
positori più radicali non lo considerano uno di loro.
Mentre alcuni funzionari del governo e i media ufficiali hanno
espresso la loro soddisfazione per la decisione, alcuni oppositori del
governo si sono chiesti perché un giornale come Novaja Gazeta, che
è considerato un bastione della libertà di stampa, non sia stato anco-
ra dichiarato «agente straniero» come quasi tutti i mass media più o
meno indipendenti, e se non venga quindi premiato per la sua «leale
opposizione» al regime. Questo è difficile da spiegare, se si considera
che le relazioni tra il potere e i mass media in Russia vengono descritte
con espressioni come «repressione generale». Tuttavia, sebbene il go-
verno non tolleri media e giornalisti veramente indipendenti, sembra
che non agisca poi in modo così radicale e faccia alcune eccezioni.
Ovviamente si può anche ritenere che in Russia ci sia
un’«opposizione privilegiata», tutelata dal governo, che la usa come
vetrina della libertà. La reazione del Cremlino alla decisione di as-
segnare il premio Nobel per la pace 2021 a Muratov sembra con-

7. «Политолог объяснил провал «Яблока» на выборах в Госдуму» («Un


politologo spiega il fallimento di “Yabloko” nelle elezioni per la Duma»), in RIA
(https://ria.ru/20210921/yabloko-1751216805.html), 21 settembre 2021.
IL PREMIO NOBEL PER LA PACE 2021 ALLA STAMPA LIBERA

fermarlo. L’agenzia di stampa ufficiale Ria Novosti ha riferito che


il Cremlino si è congratulato con Muratov per il premio. Dmitrij
Peskov, portavoce del presidente Putin, ha detto che Muratov è un
giornalista coraggioso e devoto ai suoi ideali e lavora sempre se-
guendo tali ideali8. Ma alcuni ritengono ciniche queste congratula-
zioni, dal momento che lo stesso governo non rispetta la libertà di
stampa e gli «ideali» che Peskov loda.
Andrey Kolesnikov del Carnegie Moscow Center, che conosce Mu-
ratov da molto tempo, spiega che Novaja Gazeta e la radio Echo Moskvy
(«Eco di Mosca») con il suo direttore Aleksej Venediktov, uno dei più
noti e agguerriti critici del governo, non soltanto possono continuare a
esistere, ma anche a lavorare in maniera relativamente libera, perché sia
Muratov sia Venediktov hanno un tale peso politico e sono così noti –
245
almeno in Russia – che viene tutelata non soltanto la loro libertà perso-
nale, ma anche quella del giornale e della radio di cui sono responsabili.
Muratov e Venediktov si sono guadagnati il rispetto anche di chi è al
potere, perché sono considerati – e di fatto lo sono – molto importanti
nel panorama giornalistico e politico russo. Essi infatti sono stati al
centro della vita politica e giornalistica della Russia durante tutto il pe-
riodo post-sovietico e sono riusciti a sopravvivere, cosa purtroppo non
scontata per la loro professione. Hanno usato – e continuano a usare
– con chi è al potere un linguaggio che non si può in alcun modo
ignorare. Prova del loro peso è stata la vicenda di Ivan Golunov, il gior-
nalista investigativo arrestato e di cui poi essi sono riusciti a ottenere
il rilascio. Questo è stato uno dei pochi casi in cui la società civile in
Russia si è dimostrata più forte dell’apparato della polizia, al punto che i
poliziotti che hanno arrestato illegalmente Golunov sono stati puniti9.
Ci sono anche punti di contrasto tra questi due noti giornalisti
e l’opposizione politica che circonda Navalny. Durante le ultime
elezioni parlamentari del settembre 2021, Venediktov ha fortemen-
te sostenuto il voto online, e così si è attirato aspre critiche da molti
politici dell’opposizione. Muratov ha esplicitamente preso le sue di-
fese, e così è entrato in contrasto con Leonid Volkov, il candidato

8. «Congratulazioni del Cremlino a Muratov per il premio Nobel per la


pace», in https://ria.ru/20211008/muratov-1753654410.html?in=t
9. «I poliziotti che hanno messo la droga addosso a Ivan Golunov hanno
ricevuto condanne fino a 12 anni», in www.bbc.com/russian/news-57256398
ARTICOLI

sostenuto da Navalny. Secondo Muratov, il fatto che un’opposizione


liberale sempre più ridotta attaccasse Venediktov ed Echo Moskvy
sarebbe stato un suicidio e avrebbe aiutato il governo a screditare
questo pressoché ultimo bastione della libertà di stampa in Rus-
sia. Lo stesso Venediktov ha parlato del premio Nobel assegnato a
Muratov come di un premio pienamente meritato: «Questa è una
vittoria per la libertà di stampa, ed è importante per tutto il Paese,
indipendentemente da ciò che si pensa della Novaja Gazeta e di
Muratov personalmente. Questa decisione non è una manifesta-
zione di russofobia, ma una conferma che la libertà di stampa e il
giornalismo libero esistono in Russia nonostante tutto»10.
Sebbene le decisioni della Fondazione Nobel riguardo all’asse-
gnazione del premio per la pace negli ultimi anni a volte siano sta-
246
te contestate, la decisione di quest’anno sembra essere equilibrata e
saggia. Alcuni si chiedono perché il premio non sia stato assegnato
a un politico – uomo o donna – come Navalny in Russia o Tikha-
novskaya in Bielorussia. Potremmo rispondere che è stata una saggia
decisione non assegnare a una figura politica un premio destinato a
promuovere approcci umanistici, tanto più se si tratta di un perso-
naggio politico giovane e piuttosto controverso. Questo è il caso di
Navalny, che si è lasciato andare ad alcune dichiarazioni nazionaliste,
e che in generale non è molto prevedibile.
Il premio Nobel per la pace non è destinato a promuovere i
giovani politici, ma a onorare meriti. In questo senso, la Novaja
Gazeta con il suo direttore è stata una buona scelta, soprattutto nel
momento in cui l’anniversario dell’assassinio di Anna Politkovska-
ya ricordava il ruolo che questo giornale ha svolto per decenni
nella lotta non soltanto per la libertà di stampa, ma anche per la
difesa dei diritti umani in Russia. Il fatto che questa lotta sia stata
necessaria negli ultimi anni dell’Urss, al tempo di Eltsin, e che lo
sia ancora, rende l’assegnazione del premio Nobel per la pace a
una personalità che ha dedicato tutta la sua vita a tale lotta una de-
cisione che può essere importante anche per il futuro della Russia.

10. «За усилия по защите свободы выражения мнений» («Per gli sforzi
nella difesa della libertà di espressione»), in Kommersant (www.kommersant.ru/
doc/5020300#id2122364), 8 settembre 2021.
IL PREMIO NOBEL PER LA PACE 2021 ALLA STAMPA LIBERA

Non possiamo aspettarci che l’assegnazione del premio Nobel


a un giornalista famoso ponga fine alla persecuzione di altri gior-
nalisti che non sono così noti. Il governo lo ha anche dimostra-
to chiaramente: poco dopo che si è saputo che Muratov avrebbe
ricevuto il premio, altri giornalisti in Russia sono stati dichiarati
«agenti stranieri». E il direttore del giornale che, come abbiamo
detto sopra, è uno dei pochi mass media indipendenti che non
sono dichiarati «agenti stranieri», dopo aver ricevuto la notizia del
Nobel, ha affermato: «Cercheremo di aiutare coloro che sono stati
designati agenti stranieri, coloro che sono stati perseguitati e cac-
ciati dalla Russia»11.
Non si può dubitare che i membri della Fondazione Nobel
non conoscessero tutti questi dettagli e le difficili relazioni all’in-
247
terno dell’opposizione liberale. Ciò che è importante, tuttavia,
è che essi hanno attirato l’attenzione del mondo su persone che,
come Muratov, difendono valori quali la libertà e i diritti umani
e che sono in grado di mettere i loro princìpi e valori al di sopra
delle loro ambizioni e dei loro sentimenti. Questo premio vuole
essere un segnale non soltanto per il governo russo, ma soprat-
tutto per tutti i giornalisti che hanno gli stessi ideali di Muratov e
incoraggiarli a unirsi per un obiettivo comune, invece di litigare
per qualsiasi piccola questione.

11. «Russia labels reporters foreign agents after Nobel award», in BBC (https://
www.bbc.com/news/world-europe-58840084), 8 ottobre 2021.
ARTICOLI

I GIOCHI PARALIMPICI

Giancarlo Pani S.I.

Tre ragazze italiane hanno conquistato a Tokyo l’attenzione del


mondo nei 100 metri piani1: correvano con una protesi agli arti in-
feriori e hanno stabilito un record. Su quella stessa pista un mese pri-
ma aveva conseguito a sorpresa l’oro Marcell Jacobs, infrangendo la
248
barriera dei 10 secondi sui 100 metri in 9”80, il primo italiano dopo
il mitico giamaicano Usain Bolt, che aveva corso in 9”58. La prima,
Ambra Sabatini, 19 anni, è stata una rivelazione dei Giochi paralim-
pici di Tokyo: taglia il traguardo dei 100 metri in 14”11, vincendo
l’oro con record mondiale, nonostante la pioggia. La seguono imme-
diatamente Martina e Monica: le tre azzurre, sventolando il tricolore,
sono salite insieme sul podio olimpico. È stata una «tripletta storica».
Diversi giornali hanno pubblicato, a tutta pagina, la foto con i loro
sorrisi di gioia per questa conquista davvero memorabile.
Ma la vittoria era anche un’altra: segnava in modo clamoroso lo
«scacco matto» ai pregiudizi2. I Giochi hanno dimostrato, ancora
una volta se ce ne fosse stato bisogno, che si può correre senza una
gamba, nuotare senza le braccia, pedalare senza le gambe, saltare
senza gli arti, giocare al tennis da tavolo senza le mani, fare scherma
senza mani e piedi…
«In Italia – scrive Ambra, il giorno dopo la conquista dell’o-
ro –, le barriere architettoniche sono tante, ma ancor di più quelle
mentali: se cominciassimo ad abbattere queste ultime, sarebbe tutto

1. Categoria T63: dove «T» sta per le gare su pista mentre il «63» indica l’am-
putazione monolaterale transfemorale con protesi.
2. Per la storia delle Paralimpiadi si veda l’articolo di G. Mattei, «Quando le
“Paralimpiadi” si facevano in Vaticano», in Oss. Rom., 21 agosto 2021, 8. Giochi dei
disabili si sarebbero svolti all’inizio del Novecento proprio nel Cortile del Belvedere,
davanti a Pio X.

© La Civiltà Cattolica 2021 IV 248-257 | 4113 (6/20 novembre 2021)


I GIOCHI PARALIMPICI

molto più semplice. Per me che vado in giro con la protesi non ci
sono grossi problemi. Certo, se fosse tutto a misura di persona con
disabilità come al villaggio paralimpico, sarebbe un sogno. Altro
che marciapiedi stretti, poche rampe, bagni non accessibili, per non
parlare poi di quelli che parcheggiano nei posti per disabili»3.
Il 22 settembre la campionessa ha avuto un incontro con papa
Francesco, che ha ricevuto in udienza una delegazione di atleti delle
Fiamme Gialle partecipanti ai Giochi. Ambra è stata protagonista
di un fuori programma: ha avuto l’idea di mettere al collo del Papa
la propria medaglia d’oro. È stato un gesto spontaneo, particolar-
mente toccante, che egli ha gradito4.

Ogni medaglia, una storia 249

Dietro ognuna delle tre vincitrici c’è una storia drammatica e in-
credibile. Nel 2019 Ambra, già con un futuro da mezzofondista, men-
tre andava in scooter con il padre, è stata vittima di un incidente stra-
dale: colpita da una macchina che procedeva in senso opposto, ha perso
la gamba sinistra, che le è stata amputata sopra il ginocchio. Sembrava
una vita perduta con i suoi sogni infranti, e invece lei ha avuto il co-
raggio di rimettersi subito in gioco con la vita, e due anni dopo, con
l’aiuto di Martina, ha conquistato l’oro a Tokyo. È passata dalla riani-
mazione in ospedale alla conquista di un record mondiale nella corsa.
Monica Contrafatto, 40 anni, è la prima donna caporal maggiore
dell’Esercito italiano a essere decorata perché vittima di un attenta-
to nella guerra in Afghanistan in cui perde una gamba: conquista il
bronzo, ma aveva vinto l’oro nel 2018 nei 100 metri piani a Sidney,
agli Invictus Games. La sua dedica è stata la più commovente: «Voglio
dedicare la mia medaglia a quell’altro Paese che mi ha tolto qualcosa,
ma in realtà mi ha dato tanto, l’Afghanistan»5. Ai Giochi la gioia più
grande: quella di aver trasformato una tragedia in una vittoria.

3. A. Sabatini, «Gli sguardi pietosi della gente, barriere mentali da abbatte-


re», in La Stampa, 6 settembre 2021, 22.
4. Cfr S. Zuppa, «Ambra, la medaglia a Papa Francesco», in La Nazione, 24
settembre 2021.
5. L. Coen, «Triplete nei 100 metri: Sabatini, Caironi e Contrafatto sul po-
dio. Con record e dedica», in Il Fatto Quotidiano, 6 settembre 2021, 22.
ARTICOLI

Martina Caironi, 32 anni, delle Fiamme Gialle, anche lei con la


gamba amputata per un incidente a 18 anni, vince l’argento6. Aveva
conquistato due ori nel 2016: uno nei 100 metri e l’altro nel salto in
lungo. Lei è stata tra le prime ad adottare le protesi di Oscar Pisto-
rius e fa volontariato nelle scuole per comunicare la sua esperienza.
Soprattutto si è rivelata l’ispiratrice di Ambra e Monica: quando ha
vinto Ambra, Martina ha gioito per lei, come documenta quella
indimenticabile immagine a caldo sulla pista bagnata, e l’ha procla-
mata idealmente «regina», mimando con le mani una corona.

Bebe Vio all’Europarlamento

Tokyo ha confermato l’eccellenza sportiva di Beatrice Vio, detta


250
Bebe, 24 anni: colpita a 11 da meningite, con necrosi ad avambrac-
ci e arti inferiori, deve subire l’amputazione di mani e gambe. L’an-
no seguente, dopo operazioni e diversi mesi in ospedale, riprende la
scherma, di cui era appassionata, e diventa una campionessa: vanta
negli anni 11 medaglie d’oro, due d’argento, e conquista a Tokyo un
altro oro nel fioretto individuale. Quel giorno tutti sono rimasti colpiti
dalle sue lacrime di gioia, con un pianto dirotto e irrefrenabile, come
nel 2016, ma con una maggiore consapevolezza. La spiegazione: «Lo
scorso quattro aprile mi sono dovuta operare e sembrava che a queste
Paralimpiadi non dovessi esserci […] perché ho avuto una tremenda
infezione da stafilococco. […] Si prefigurava un’amputazione entro
due settimane dell’arto sinistro e la morte entro poco tempo»7. Parla
della sua partecipazione ai Giochi come di un vero miracolo.
A sorpresa, il 15 settembre, Bebe viene invitata dalla presidente
della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, come ospite d’onore
alla plenaria dell’Europarlamento per il discorso annuale sullo stato
dell’Unione. Accolta con una standing ovation, la Presidente ne ha
fatto un singolare elogio: «La sua storia è l’emblema di una rinascita
contro ogni aspettativa», di un successo che nasce da «talento, tena-

6. Il giorno della vittoria l’atleta ha firmato un articolo per il giornale vati-


cano: M. Caironi, «Vi sembro debole? No, non lo sono», in Oss. Rom., 4 settembre
2021, 2.
7. L. Coen, «Paralimpiadi, Bebe Vio da leggenda: 2° oro. Poi le lacrime: “Ad
aprile ero quasi morta”», in Il Fatto Quotidiano, 29 agosto 2021, 15.
I GIOCHI PARALIMPICI

cia e indefessa positività; […] è l’immagine della sua generazione»8.


Il discorso ha una conclusione a sorpresa: «Facciamoci ispirare da
Bebe e da tutti i giovani che cambiano la nostra percezione di ciò
che è possibile, che ci dimostrano che è possibile essere chi voglia-
mo essere. E che è possibile raggiungere tutto quello in cui credia-
mo. […] Questo è lo spirito dei fondatori dell’Europa e della pros-
sima generazione dell’Europa»9. Il suo ritratto è stato quello di una
persona speciale. Il suo credo: «Se sembra impossibile, allora può
essere fatto»10. Spregiudicata e ottimista, Bebe è sembrata incarnare
la gioia di vivere, «l’arte della felicità»11.

Gli atleti al Quirinale e a Palazzo Chigi


251
Il 23 settembre gli atleti che hanno partecipato ai Giochi sono
stati ricevuti al Quirinale dal presidente Sergio Mattarella, che si
è congratulato con loro: «Avete superato le aspettative di tutti gli
italiani. Il mondo ci guarda con invidia e ammirazione. […] Vi
sono momenti in cui lo sport assume significati più ampi. Il nostro
Paese è in ripresa e si è sentito rappresentato da voi. Questa è stata
una grande estate per lo sport»12. Il Presidente ha chiuso con un
ringraziamento particolare agli azzurri: «Concludo sottolineando
che voi siete stati squadra, avete dimostrato amicizia e integrazione
tra voi, e avete sollecitato attenzione allo sport e a praticare lo sport.
[…] Grazie a tutti voi per aver reso onore alla bandiera nelle Olim-
piadi e Paralimpiadi. Bravissimi, 109 medaglie, mai così tante»13. Al
Presidente i portabandiera hanno donato il tricolore con le firme di
tutti gli atleti. Per i Paralimpici, Mattarella si è rivolto in particolare

8. F. Basso, «Il discorso dell’Unione», in Corriere della Sera, 16 settembre


2021, 14.
9. Ivi.
10. A. Catapano, «Bebe Vio star a Strasburgo. Standing ovation in aula. “Una
leader cui ispirarsi”», in Il Messaggero, 16 settembre 2021, 7.
11. Ivi.
12. C. Vecchio, «Draghi e Mattarella agli eroi di Tokyo: “Il mondo ora ci
guarda con invidia”», in la Repubblica, 24 settembre 2021, 61.
13. «Olimpiadi. Mattarella riceve i medagliati: “Siete stati squadra, avete emozio-
nato”» (https://sport.sky.it/olimpiadi/2021/09/23/olimpiadi-tokyo-quirinale-riconsegna-
tricolore-mattarella), 23 settembre 2021.
ARTICOLI

a Bebe Vio e le ha detto: «La sua è stata una entusiasmante vittoria


delle avversità»14.
Nell’incontro al Quirinale ha preso poi la parola il presidente del
Coni, Giovanni Malagò: «Lo sport non è mai fine a se stesso, e an-
cor di più in questo momento: perciò gli azzurri non vedevano l’ora
di sventolare il tricolore sul podio. Sono davvero fratelli e sorelle
d’Italia. […] Non c’è mai stata per l’Italia nella storia un’Olimpia-
de con 40 medaglie – ha aggiunto –, mai tutte le Regioni hanno
avuto almeno un rappresentante, mai un’Italia con 46 atleti in tutti
e cinque i continenti, a dimostrazione di una squadra multietnica e
perfettamente integrata»15. Gli ha fatto eco Luca Pancalli, presiden-
te del Comitato italiano paralimpico: «All’epoca [quando Mattarella
li ha ricevuti, prima di partire] quella bandiera si caricò del peso
252
delle speranze e delle emozioni, oggi la riconsegniamo carica di
69 medaglie, ma non con meno sogni e ambizioni, perché lo sport
olimpico e paralimpico italiano è proiettato nel futuro». E ha con-
cluso: «Non si vuole commuovere, ma smuovere»16.
Infine, gli atleti sono stati ricevuti a Palazzo Chigi dal premier
Draghi, a cui hanno regalato una bicicletta con inciso il tricolore sui
lati. «Spesso quando parliamo di futuro è facile perdersi in concet-
ti astratti, – ha detto Draghi –. Qui invece vedo la generazione che
vuole cambiare l’Italia e che, ne sono certo, ci riuscirà. Siete simboli di
integrazione e di superamento delle barriere. Tocca a noi come gover-
no mettere in grado voi e i vostri coetanei di sprigionare le energie»17.

Scacco ai pregiudizi

Ambra, qualche giorno prima della gara, ha dovuto togliersi


la protesi, poiché le dava fastidio, e ha ripreso le canadesi per poter
camminare. Ha sofferto gli sguardi pietosi delle persone che incon-
trava, poiché era una ragazza che aveva perduto una gamba. Ma

14. C. Vecchio, «Draghi e Mattarella agli eroi di Tokyo…», cit., 61.


15. «Mattarella agli atleti di Tokyo: “L’Italia si è sentita rappresentata da voi”» (https://
giornalesm.com/mattarella-agli-atleti-di-tokyo-litalia-si-e-sentita-rappresentata-da-
voi), 23 settembre 2021.
16. «Olimpiadi. Mattarella riceve i medagliati…», cit.
17. C. Vecchio, «Draghi e Mattarella agli eroi di Tokyo…», cit., 7.
I GIOCHI PARALIMPICI

dentro di sé pensava: «Se sapeste quanto corro, forse mi guardereste


in un modo diverso»18.
Ecco un’altra delle barriere mentali: la pietà della gente. Le ferite
dei disabili sono visibili e ci impietosiscono. Eppure essi non hanno
meno di noi, anzi forse sono più ricchi di noi, poiché hanno avuto il
coraggio di vincere la sfida con la vita. Se si ha l’ardire di guardarsi
nell’intimo, si scopre che ognuno ha delle ferite. Esse sono invisibili
agli altri, ma ci sono, e a volte sono gravi e rovinano l’esistenza: oc-
corre avere il coraggio di rimettersi in discussione e lottare per vivere.
Impressionante la vicenda dell’«uomo pesce» che nuota senza
braccia: Zheng Tao, 30 anni, è stato soprannominato il «pesce vo-
lante». Il nuotatore cinese ha perso le braccia da bambino a causa
di una violenta scossa elettrica, ma non si è mai arreso. A Tokyo
253
ha vinto quattro ori nel nuoto e li ha dedicati alla figlia piccola,
dicendole semplicemente: «Guardami! So nuotare così velocemente
anche se non ho le braccia»19. Non per ammirare un atleta con più
medaglie d’oro, ma perché ha lottato per la vita.
Straordinaria la storia di Jessica Long, 29 anni, che ha vinto
nel nuoto la sua ventiseiesima medaglia nei 400 metri stile libero
femminile: da piccola, nata in Siberia e adottata a 12 mesi da una
famiglia statunitense, aveva una rara malattia e le dovettero ampu-
tare le gambe. Dopo l’intervento inizia ad allenarsi nel nuoto e a
12 anni partecipa la prima volta alle Paralimpiadi, diventando una
pluricampionessa. In questi Giochi olimpici una casa automobilisti-
ca ha lanciato uno spot che scandiva in modo originale i principali
momenti della sua vita, suscitando emozioni, ma anche mettendo
in primo piano le attese dei genitori adottivi per quell’esistenza stu-
pefacente che con amore sognavano e speravano20.

18. A. Sabatini, «Gli sguardi pietosi della gente…», cit., 22.


19. «Paralimpiadi Tokio 2020: Zheng Tao, la star del nuoto senza braccia: in
Giappone quattro ori» (www.eurosport.it/paralimpiadi/tokyo-2020/2021/paralimpiadi-­
tokyo-2020-zheng-tao-la-star-del-nuoto-senza-braccia-in-giappone-quattro-ori_
sto8521882/story.shtml).
20. Cfr «Olimpiadi. Jessica Long e Toyota: l’adozione è la vera speranza di ogni
bambino abbandonato» (www.aibi.it/ita/olimpiadi-jessica-long-e-toyota-ladozione-­
e-la-vera-speranza-di-ogni-bambino-abbandonato), 26 luglio 2021. L’Ai.Bi. è l’asso-
ciazione «Amici dei Bambini».
ARTICOLI

Lo straordinario di Tokyo

Se la partecipazione dei disabili agli sport è sempre un evento,


quest’anno è accaduto qualcosa di straordinario: per l’Italia c’è stato
il record di 69 medaglie che hanno segnato la storia dei Giochi
paralimpici. Per la squadra azzurra il bilancio è stato superiore alle
aspettative: certo si è rivelato inferiore alle Paralimpiadi di Roma,
nel 1960, quando furono vinte 80 medaglie; ma oggi la differen-
za è un’altra: allora concorrevano 23 nazioni con circa 400 atleti,
quest’anno a Tokyo erano 4.300 atleti di 196 nazioni. Un bilancio
eccezionale. Nell’équipe nazionale il più giovane atleta era Matteo
Parenzan, 18 anni, campione di tennistavolo; la decana era inve-
ce Francesca Porcellato, 50 anni, campionessa di paraciclismo, che
254 partecipava alla sua undicesima olimpiade.
Nel nuoto si è avuta la prima sorpresa dei Giochi per le molte
medaglie conquistate. La prima della spedizione italiana l’ha vinta
il 25 agosto Francesco Bettella, 32 anni, tetraplegico, nella gara dei
100 metri dorso. Bettella è un ingegnere biomeccanico, tecnico
specializzato nella progettazione di protesi. Francesco Bocciardo,
27 anni, affetto dalla nascita dalla diplegia spastica, ha vinto due
medaglie d’oro, nei 200 metri stile libero e nei 100 metri dorso. Il
suo strabiliante risultato giunge poco dopo quello eccezionale del-
la collega nuotatrice Carlotta Gigli – 20 anni, ipovedente, colpita
alle elementari dalla malattia di Stargardt (retinopatia degenerativa)
–, che ha vinto ben cinque medaglie: due ori, due argenti e un
bronzo21. Tra gli ipovedenti, vanno ricordati Oney Tapia, 45 anni,
di origini cubane e una carica di gioia incredibile, due bronzi nel
lancio del disco e nel getto del peso: dopo essere divenuto cieco
in un incidente sul lavoro ha riacquistato parzialmente la vista; e
soprattutto Assunta Legnante, 43 anni, che nel 2012 diventa cie-
ca, dopo varie vittorie olimpiche, ma non si arrende e, pur non
vedendo assolutamente nulla, a Tokyo vince due argenti, uno nel
peso e uno nel disco, ed è pronta a rimettersi in gioco a Parigi per
riconquistare l’oro.

21. Carlotta Gigli ha realizzato 11 record mondiali paralimpici, con 23 meda-


glie, di cui 17 d’oro.
I GIOCHI PARALIMPICI

Gli atleti paralimpici meriterebbero di essere nominati tutti, ma


non si può omettere Giovanni Achenza: 50 anni, conquista una stu-
penda medaglia di bronzo al triathlon. Già nel 2016 si era piazzato
terzo a Rio. «Se sono qui – ha detto in un’intervista –, lo devo ad
Alex Zanardi»22. Un riferimento indispensabile, un modello ispiratore
assoluto per moltissimi disabili, dopo l’incidente in Formula 1 e con il
suo «Obiettivo 3»23 nel paraciclismo. In un certo senso, la settantesima
medaglia ideale azzurra dei Giochi paralimpici è di Zanardi!

I compensi ai Giochi

Per ciò che riguarda i compensi alle Olimpiadi, va detto che essi
sono stabiliti dai singoli Stati di appartenenza che li assegnano e che
255
sono diversi per i Giochi olimpici e per quelli paralimpici; ma questi
ultimi sono meno retribuiti.
Alcuni Paesi pagano cifre stratosferiche: per esempio, le Filippi-
ne hanno ricompensato la loro prima medaglia d’oro con 500.000
euro lordi; la Francia premia l’oro con 50.000; il Regno Unito inve-
ce non dà alcun compenso straordinario ai vincitori. Si distinguono
gli Stati Uniti, dove quest’anno i compensi degli atleti paralimpici
sono stati equiparati per la prima volta a quelli degli altri: per l’oro
37.500 euro lordi, per l’argento 22.500 e per il bronzo 15.00024.
In Italia, ai Giochi olimpici, l’oro vale 180.000 euro lordi, l’argento
90.000, il bronzo 60.000; nei Paralimpici l’oro riceve 75.000, l’argento
40.000 e il bronzo 25.00025. Viene da chiedersi perché da noi vi sia un
così grande divario fra le due categorie di premi, tanto che i secondi
sono meno della metà dei primi. Tenendo presente che l’allenamento

22. Cfr La Stampa, 6 settembre 2021, 24.


23. Si tratta di un’iniziativa benefica portata avanti per l’Italia in quel dramma-
tico 19 giugno 2020, quando in una staffetta di handbike, Alex rimase gravemente
ferito.
24. Cfr E. Moro, «A Tokyo le medaglie paraolimpiche USA varranno (final-
mente) quanto le altre - e perché prima no?» (www.cosmopolitan.com/it/lifecoach/
news-attualita/a37156653/atleti-paralimpici-pagati-quanto-gli-altri-tokyo-2020),
1° settembre 2021.
25. Cfr F. Bianchi, «Olimpiadi Tokyo, aumentano i premi: un oro vale 180
mila euro», in la Repubblica, 17 giugno 2021; Il Giornale d’Italia, 24 agosto 2021; D.
Rabotti, «L’oro paralimpico paga meno della metà», in Quotidiano Nazionale, 27
settembre 2021.
ARTICOLI

di un disabile e la conseguente organizzazione sono certamente più


costosi di quelli di un atleta normodotato, come si spiega una così
grande differenza nei compensi? Inoltre, le quote sono stabilite dal
Coni, i cui dirigenti dovrebbero conoscere bene le difficoltà cui de-
vono far fronte i disabili. È stata fatta una petizione al governo per
l’equiparazione dei compensi per gli olimpici e i paralimpici, poiché la
Costituzione Italiana prevede all’art. 3 che «tutti i cittadini hanno pari
dignità sociale»26. Bebe Vio, in un’intervista, ha rivelato il suo sogno:
«Unire in un’unica federazione il mondo Olimpico e Paralimpico»27.

LE PARALIMPIADI SEGNANO IL GRADO DI


CIVILTÀ DI UN PAESE, QUANDO UN DISABILE PUÒ
256 REALIZZARE SE STESSO.

Un Paese civile

I Giochi hanno indicato il grado di civiltà di una nazione: un


Paese civile è quello in cui un disabile può realizzare se stesso, come
tutti. Una persona priva di una gamba deve essere aiutata a poter
camminare, ad allenarsi in una palestra, a correre, e perfino a par-
tecipare ai Giochi olimpici. Un disabile in carrozzina deve poter
scendere e salire un marciapiede con gli scivoli, muoversi senza es-
sere ostacolato dalle moto che invadono il percorso, e senza mono-
pattini parcheggiati abusivamente e maldestramente ovunque. L’I-
talia sta diventando un Paese più civile? Va detto chiaramente che
siamo lontani da questa meta, ma qualcosa di significativo è stato
fatto e le Paralimpiadi lo hanno dimostrato.
E questo anche nell’ambito della pura visibilità. Singolare è stata,
nella cerimonia d’inaugurazione dei Giochi paralimpici di Tokyo, l’e-
sibizione musicale della violinista e atleta Manami Ito: priva del brac-
cio destro, nell’eseguire il pezzo non si è scomposta minimamente

26. Cfr «Equiparazione dei premi dei medagliati paralimpici a quelli olimpici:
raccolte già 20 mila firme», in Gazzetta di Parma, 9 settembre 2021.
27. «Bebe Vio: “Sogno un giorno di unire Olimpiadi e Paralimpiadi”» (www.
pianetascherma.com/2021/05/07/intervista-bebe-vio-sogno-olimpiadi-paralimpiadi-
tutti-assieme), 7 maggio 2021.
I GIOCHI PARALIMPICI

nel mostrare la sua protesi al braccio amputato, anzi nel suo volto non
è mancato il sorriso. Nel 2004, a 16 anni, aveva perso, a causa di un
incidente, il braccio destro. Grazie alla sua forza di volontà, era diven-
tata la prima infermiera giapponese con protesi, ma non le era venuta
meno la passione per il violino e, per lo sviluppo delle moderne protesi,
la sua bravura ora è apprezzata in campo internazionale28.
Gli atleti ci hanno insegnano che i pregiudizi sono, sì, abbattuti,
ma non una volta per sempre. Si tratta di una realtà in evoluzione
che va continuamente rinnovata. Soprattutto bisognerebbe pensa-
re di più alla «normalità», anche nel linguaggio. Noi chiamiamo i
disabili «diversamente abili», ma non si deve dimenticare che loro
si definiscono tranquillamente handicappati, paralitici, zoppi e così
via; forse dovremmo davvero chiamarli «diversamente normali», o
257
semplicemente «normali», poiché sono persone come noi, che han-
no avuto la ventura di aver sofferto più di noi, e forse per questo
hanno una tenacia e un coraggio maggiori.
Infine, occorre notare che le Paralimpiadi hanno destato negli
ultimi anni una sensibilità e un’attenzione nuove, un po’ in tutto il
mondo, nei confronti dei disabili. Una sensibilità e un’attenzione
che sono cresciute sempre di più, perché a ogni Paralimpiade c’è
stato un salto di qualità rispetto alla precedente: negli atleti e nella
struttura di appoggio aumentano la forza, il coraggio, la dedizione,
la passione per la competizione, e insieme tanta gioia di vivere.

28. Cfr «Manami Ito, la violinista-atleta che ha incantato le Paralimpiadi»


(https://it.euronews.com/2021/09/02/manami-ito-la-violinista-atleta-che-ha-in-
cantato-le-paralimpiadi), 2 settembre 2021.
LO SPIRITO DEI SINODI

IL PUNTO | CHIESA

L’
Antonio Spadaro S.I.

avvio del Sinodo sulla sinodalità, avve-


nuto il 9 ottobre scorso, c’invita a porre
la domanda su che cosa significa oggi es-
sere Chiesa e quale sia il suo senso nella
258 storia. E tale domanda è pure alla base
del Cammino sinodale che la Chiesa italiana sta avvian-
do, e di quello in corso o in fase di avvio in Germania,
Australia e Irlanda.
Chi ha seguito le Assemblee del Sinodo dei vescovi
degli ultimi anni si è certamente reso conto di quanto sia
emersa la diversità che plasma la vita della Chiesa cattoli-
ca. Se un tempo una certa latinitas o romanitas costituiva e
modellava la formazione dei vescovi – i quali, tra l’altro, ca-
pivano almeno un po’ di italiano –, oggi emerge con forza
la diversità a ogni livello: mentalità, lingua, approccio alle
questioni. E ciò, lungi dall’essere un problema, è una risor-
sa, perché la comunione ecclesiale si realizza attraverso la
vita reale dei popoli e delle culture. In un mondo fratturato
come il nostro, è una profezia.
Non si deve immaginare la Chiesa come una costruzione
di mattoncini Lego diversi che si incastrano tutti al punto
giusto. Sarebbe questa un’immagine meccanica della co-
munione. Potremmo meglio pensarla come una relazione
sinfonica, di note diverse che insieme danno vita a una
composizione. Se dovessimo proseguire usando questa im-
magine, direi che non si tratta di una sinfonia dove le parti
sono già scritte e assegnate, ma di un concerto jazz, dove si
suona seguendo l’ispirazione condivisa nel momento.
Chi ha fatto l’esperienza dei recenti Sinodi dei vescovi
avrà percepito le tensioni che emergevano all’interno dell’As-

© La Civiltà Cattolica 2021 IV 258-260 | 4113 (6/20 novembre 2021)


LO SPIRITO DEI SINODI

semblea, ma anche il clima spirituale Chiese, ciascuno portando nel cuo-


nel quale erano – per lo più – immerse. re domande e speranze, e sono certo
Il Pontefice ha sempre molto insistito che lo Spirito ci guiderà e ci darà la
sul fatto che il Sinodo non è un’assem- grazia di andare avanti insieme, di
blea parlamentare dove si discute e si ascoltarci reciprocamente e di avvia-
vota per maggioranza e minoranza. re un discernimento nel nostro tem-
Il protagonista, in realtà, è lo Spiri- po, diventando solidali con le fatiche
to Santo, che «muove e attira», come e i desideri dell’umanità». Mettere
scrive sant’Ignazio nei suoi Esercizi la Chiesa in stato sinodale significa
spirituali. Il Sinodo è un’esperienza di renderla inquieta, scomoda, tesa per-
discernimento spirituale alla ricerca ché agitata dal soffio divino, che cer-
della volontà di Dio sulla Chiesa. to non ama safe zones, aree protette:
Che questa visione del Sinodo soffia dove vuole. 259
sia anche una visione della Chiesa, Il modo peggiore per fare sinodo
non è da mettere in discussione. C’è allora sarebbe quello di prendere il
una ecclesiologia – maturata negli modello delle conferenze, dei con-
anni grazie al Concilio Vaticano II gressi, delle «settimane» di rifles-
– che oggi si dispiega. sione, e immaginare che così tutto
possa procedere in modo ordinato,
*** anche cosmeticamente. Altra ten-
tazione è l’eccessiva premura per la
Per questo c’è bisogno di grande «macchina sinodale», perché tutto
ascolto. Ascolto di Dio, nella pre- funzioni come previsto.
ghiera, nella liturgia, nell’esercizio Se non c’è il senso della vertigine,
spirituale; ascolto delle comunità ec- se non si sperimenta il terremoto, se
clesiali nel confronto e nel dibattito non c’è il dubbio metodico – non
sulle esperienze (perché è sulle espe- quello scettico –, la percezione della
rienze che si può far discernimento sorpresa scomoda, allora forse non
e non sulle idee); ascolto del mon- c’è sinodo. Se lo Spirito Santo è in
do, perché Dio vi è sempre presen- azione – una volta ha affermato
te ispirando, muovendo, agitando: Francesco –, allora «dà un calcio al
abbiamo l’opportunità di diventare tavolo». L’immagine è riuscita, per-
«una Chiesa che non si separa dalla ché è un implicito riferimento a Mt
vita», ha detto Francesco salutando 21,12, quando Gesù «rovesciò i ta-
i partecipanti intervenuti all’inizio voli» dei mercanti del tempio.
del percorso sinodale (9 ottobre). Per fare sinodo occorre cacciare i
Il Pontefice ha quindi sintetizzato mercanti e rovesciare i loro tavoli.
così: «Siete venuti da tante strade e Non sentiamo oggi il bisogno di un
IL PUNTO | CHIESA

calcio dello Spirito, se non altro per cioè: “Apriti!”» (Mc 7,34) è la parola
svegliarci dal torpore? Ma chi sono chiave del Sinodo.
oggi i «mercanti del tempio»? Solo Roland Barthes – da esimio lin-
una riflessione intrisa di preghie- guista e semiologo – aveva capito
ra potrà aiutarci a identificarli. Per- che gli Esercizi spirituali di Ignazio
ché non sono i peccatori, non sono di Loyola servono a creare un lin-
i «lontani», i non credenti, e neanche guaggio di interlocuzione con Dio
chi si professa anticlericale. Anzi, a fatto di ascolto e parola. Occorre
volte essi ci aiutano a capire meglio comprendere che il Sinodo, a suo
il tesoro prezioso che conteniamo nei modo, condivide questa natura lin-
nostri poveri vasi di argilla. I mer- guistica, di creatore di linguaggio.
canti sono sempre prossimi al tem- Ed è per questo che è importante il
260 pio, perché lì fanno affari, lì vendono metodo, cioè il modo e le regole del
bene: formazione, organizzazione, cammino, soprattutto in funzione
strutture, certezze pastorali. I mer- del pieno coinvolgimento.
canti ispirano l’immobilismo delle
soluzioni vecchie per problemi nuo- ***
vi, cioè l’usato sicuro che è sempre un
«rattoppo», come lo definisce il Pon- In definitiva, la dinamica che si
tefice. I mercanti si vantano di esse- sviluppa nel Sinodo può essere de-
re «al servizio» del religioso. Spesso scritta come un «giocarsi», un «met-
offrono scuole di pensiero o ricette tersi in gioco». E, ad esempio, gio-
pronte all’uso e geolocalizzano la care a calcio non significa soltanto
presenza di Dio che è «qui» e non «lì». tirare una palla, ma anche correrle
Fare sinodo allora implica essere dietro, «essere giocati» dalle si-
umili, azzerare i pensieri, passare tuazioni che si verificano in cam-
dall’«io» al «noi», aprirsi. Colpisce po. Infatti, «il gioco raggiunge il
in questo senso, ad esempio, quanto proprio scopo solo se il giocatore
ha detto il Relatore generale del Si- si immerge totalmente in esso»,
nodo, card. Jean-Claude Hollerich, come scrive Gadamer nel suo cele-
nel suo saluto il 9 ottobre durante bre saggio Verità e metodo. Il sog-
l’inaugurazione: «Devo confessare getto del gioco, dunque, non è il
che non ho ancora idea del tipo di giocatore, ma il gioco stesso, che
strumento di lavoro che scriverò. Le prende vita attraverso i giocatori. E
pagine sono vuote, sta a voi riem- questo è, in fondo, lo spirito del Si-
pirle». Occorre vivere il tempo si- nodo: mettersi finalmente davve-
nodale con pazienza e attesa, apren- ro in gioco seguendo la dinamica
do bene occhi e orecchie. «Effatà animata dallo Spirito.
CHE COSA VERRÀ DOPO LE ELEZIONI
IN GERMANIA? E CHI?

Andreas R. Batlogg S.I.

«Semaforo» o «Giamaica»1? E Angela Merkel terrà ancora il prossi-


mo discorso di Capodanno? Queste due domande assillano i tedeschi
dopo le elezioni politiche del 26 settembre 2021. Si resta in attesa di sa-
pere se nelle trattative per la formazione di una coalizione di governo
261
la Spd (Sozialdemokratische Partei, «Partito socialdemocratico»), i Verdi
(Bündnis 90/Die Grünen) e la Fdp (Freie Demokatische Partei, «Partito
liberale democratico») si uniranno per formare una cosiddetta «coali-
zione semaforo», con il precedente ministro delle Finanze Olaf Scholz
come cancelliere federale, oppure se Cdu/Csu (Christlich-Demokrati-
sche Union/Christlich-Soziale Union, «Unione cristiano-democratica/
Unione cristiano-sociale»), Verdi e Fdp formeranno una cosiddetta
«coalizione Giamaica», e con quale nuovo capo politico della Cdu
come cancelliere, dopo che il candidato alla cancelleria e presidente
della Cdu Armin Laschet si è ritirato. Entrambe le ipotesi sono possi-
bili. Vi sono argomentazioni a sostegno dell’una e dell’altra.
Umori e tendenze, e le persone ad essi associate, costituiscono
fattori decisivi, almeno quanto i programmi politici. La tendenza
– sia dal punto di vista degli umori che della politica – va nella dire-
zione della «coalizione semaforo». E questo, sebbene le «intersezioni»
politiche tra Cdu/Csu e Fdp siano tradizionalmente più ampie di
quelle tra Spd e Fdp. Ma la cosiddetta «Unione», cioè l’alleanza tra
Cdu e Csu, ha chiaramente perso le elezioni, anche se Cdu/Csu e
Spd non sono tanto distanti in termini di percentuale. Tuttavia, an-

1. Questi modi di indicare le diverse possibili coalizioni fanno riferimento


ai colori tradizionali delle formazioni politiche che le dovrebbero comporre:
«semaforo» indica il rosso (socialisti), giallo (liberali) e verde (Verdi); «Giamaica»
invece si ispira i colori della bandiera di quella nazione: nero-giallo-verde, che
stanno per Cdu/Csu, liberali e Verdi.

© La Civiltà Cattolica 2021 IV 261-274 | 4113 (6/20 novembre 2021)


FOCUS

che se Cdu/Csu facessero un’«offerta» per un governo di coalizione


guidato da loro, chi vorrebbe creare una coalizione con una for-
mazione perdente? L’«ago della bilancia» sono i Verdi e la Fdp, che
si sono incontrati subito dopo le elezioni per colloqui esplorativi, al
fine di capire se dovessero parlare prima con la Spd o con la Cdu/
Csu. A favore di una «coalizione semaforo» c’è inoltre il fatto che la
maggioranza di quanti hanno votato per la prima volta in queste
elezioni si è espressa a favore dei Verdi o della Fdp.
Una «grande coalizione» («GroKo», cioè große Koalition) sareb-
be la terza opzione, anche se questa volta non verrebbe guidata da
Cdu/Csu, ma dalla Spd. I tedeschi però sono stanchi di questa va-
riante «GroKo», un’alleanza tra partiti considerata da molti una sta-
gnazione. La società invece vuole un risveglio, un rinnovamento,
262
una modernizzazione. Con l’ Alternative für Deutschland (Afd, «Al-
ternativa per la Germania»), una formazione di estrema destra, nes-
sun partito vuole formare una coalizione, anzi non vuole nemmeno
parlarci. Il partito Die Linke («La Sinistra») durante la campagna
elettorale si è offerto per un’alleanza rosso-rosso-verde (quindi con
Spd e Verdi), ma questo modello non raggiunge una maggioranza
aritmetica a causa della pesante sconfitta di Die Linke.

Dal 2017 al 2021: uno scenario politico cambiato

Questa volta avevano diritto al voto un po’ di più di 61 milioni


di cittadini. Hanno votato un po’ meno di 47 milioni, che corri-
sponde a una percentuale di votanti del 76,6% (nel 2017: 76,2%).
Vincitori sono risultati i socialdemocratici. I partiti gemellati Cdu/
Csu hanno avuto il peggiore risultato della loro storia dal 1949.
Hanno subìto una sorte simile a quella della Spd nelle elezioni poli-
tiche del 2017. I Verdi invece hanno ottenuto una grande afferma-
zione e per la prima volta si sono piazzati al terzo posto. La Fdp ha
aumentato di poco la sua percentuale di voti. E per la prima volta
al Bundestag («Parlamento federale») è entrata, sia pure con un solo
deputato, la Südschleswigscher Wählerverband (Ssw), ossia l’Associa-
zione degli elettori del Sud Schleswig, un partito che esprime una
minoranza regionalista dello Schleswig-Holstein.
IL FUTURO DELLA GERMANIA DOPO LE ELEZIONI

Secondo i risultati finali, i socialisti della Spd hanno ottenuto il


25,7% dei voti (nel 2017: 20,5%); i cristiano-democratici della Cdu
il 18,9% (nel 2017: 26,8%) e i loro alleati bavaresi della Csu il 5,2%
(nel 2017: 6,2%) (nell’insieme l’Unione ha quindi ottenuto il 24,1%
dei voti); i Verdi il 14,8% (nel 2017: 8,9%); i liberali della Fdp l’11,5%
(nel 2017: 10,7%); l’estrema destra Afd il 10,3% (nel 2017: 12,6%);
l’estrema sinistra Die Linke il 4,9% (nel 2017: 9,2%); e la Ssw (che nel
2017 non si era ancora presentata al voto) l’1% dei voti. La perdita
di voti è stata massiccia per Cdu/Csu e Die Linke, mentre è risultata
più limitata per l’Afd. A causa dei complicati conteggi elettorali, Die
Linke resta in Parlamento, sebbene non abbia superato la soglia del
5%. Infatti, i cosiddetti «mandati in eccedenza» (Überhangsmanda-
te) l’hanno salvata dal passaggio all’opposizione extraparlamentare, a
263
differenza di quello che avvenne all’epoca alla Fdp, che per la prima
volta nella sua storia dal 2013 al 2017 non ha avuto alcuna rappresen-
tanza in Parlamento. Altri partiti che si erano presentati alle elezioni
– in totale se ne erano candidati 47 – non sono riusciti a superare la
soglia di sbarramento del 5% necessaria per il Bundestag.
La drammaticità delle sconfitte in termini assoluti è dimostrata
dalla distribuzione dei seggi in Parlamento. Questa volta doveva essere
assegnato il numero record di 735 seggi (nel 2017: 709; nel 2013: 631),
che sono andati così ripartiti: Spd 206 (+ 53), Cdu 151 (- 49), Csu 45
(- 1) (il gruppo parlamentare Cdu/Csu dispone quindi di 196 seggi),
Verdi 118 (+ 51), Fdp 92 (+ 12), Afd 83 (- 11), Die Linke 39 (- 30), Ssw
1. Di conseguenza 91 deputati hanno dovuto lasciare il Parlamento,
rispetto ai 117 nuovi eletti che sono entrati nel Bundestag.
Appare grande la sconfitta di Cdu/Csu, analogamente a quan-
to avvenne nel 2017 alla Spd, che allora rimase un po’ più al di
sopra del 20%. La forte crescita dei consensi per i Verdi, sebbene
sia rimasta al di sotto delle loro aspettative iniziali, è da conside-
rarsi storica. La Fdp ha avuto una leggera crescita. Si interrompe
l’impennata dell’Afd, che raccoglie consensi soprattutto nei «nuovi»
Länder (quelli della ex Repubblica democratica tedesca). Die Linke si
è quasi dimezzata. Se si pensa che l’Unione Cdu/Csu nelle elezioni
parlamentari del 2013 aveva avuto il 41,5% dei voti, e nel 2017 an-
cora il 31%, e che adesso è riuscita a raccogliere non più del 24,1%
dei consensi, il terremoto politico appare chiaro.
FOCUS

Il tramonto dei tradizionali partiti popolari è evidente: «Per entram-


bi si può dire che ora sono diventati partiti popolari senza popolo»2.
Complessivamente Cdu/Csu e Spd hanno il consenso di un po’ meno
della metà di tutti gli aventi diritto (nel 2021: 49,8%; nel 2017: 53,4%;
nel 2013: 67,2%; nel 2005: 69,4%; nel 1976: 91,2%). I loro maggiori
risultati storici, a partire dalla fondazione della Repubblica federale te-
desca nel 1949, sono stati raggiunti da Cdu/Csu nel 1983 con il 48,8%;
e da Spd nel 1972 con il 45,8%. I grandi partiti al potere si trovavano nel
2005 al di sopra del 30% (Cdu/Csu: 35,2%; Spd: 34,2%); nel 2013 l’U-
nione Cdu/Csu arrivò al 41,5%, mentre la Spd dalle elezioni del 2009
è rimasta sempre sotto il 30%, e ora, nelle elezioni del 2021, è riuscita a
riportare la sua quota di consensi al livello del 2013.
Per il lavoro concreto di governo ciò significa che, a meno che Cdu/
264
Csu e Spd non si uniscano per formare una «GroKo», altre coalizioni
devono essere composte da almeno tre partiti, dal momento che Cdu/
Csu e Fdp, oppure Spd e Fdp, oppure Spd e Verdi, da soli non han-
no una maggioranza numerica. Tradizionalmente, è il partito che ha
avuto più voti a designare il cancelliere. Ma in questo non esiste alcun
automatismo. Se infatti non fosse stato così, Willy Brandt (nel 1969)
e Helmut Schmidt (nel 1974), entrambi della Spd, non sarebbero mai
diventati cancellieri. Essi hanno potuto governare solo con l’appoggio
dei democratici liberali (Fdp), che per decenni sono stati le «eminen-
ze grigie» del Parlamento, dove fino ad allora erano stati rappresentati
soltanto tre partiti (o quattro, se si considerano separatamente Cdu e
Csu). Oggi ce ne sono sette (o otto). Tuttavia, con le elezioni politiche
si elegge il Parlamento, e solo indirettamente il capo del governo.

Si vincono le elezioni, non i sondaggi

I due esponenti al vertice dei Verdi, Annalena Baerbock e Robert


Habeck (che ha dovuto lasciare la precedenza, per le quote rosa, alla
Baer­bock come candidata alla cancelleria), hanno intuìto un’oppor-
tunità storica e hanno reclamato con forza un cambiamento politico.
Nei sondaggi sono apparsi a lungo in vantaggio su tutti gli altri par-

2. S. Langer, «Agenda Zusammenhalt», in Christ in der Gegenwart 73


(2021/40) 3.
IL FUTURO DELLA GERMANIA DOPO LE ELEZIONI

titi, lasciandosi alle spalle la Cdu/Csu, ma soprattutto la Spd, che in


ogni caso appariva un partner minore nel caso di una partecipazione
al governo. La Baerbock ha commesso degli errori nella campagna
elettorale. Il suo libro programmatico Jetzt. Wie wir unser Land er-
neuern («Adesso. Come rinnoviamo il nostro Paese») per molte set-
timane è stato sospettato di plagio. A sua volta, Habeck è apparso a
molti come il candidato più promettente per la cancelleria.
Olaf Scholz è stato segretario generale della Spd dal 2002 al
2004; dal 2007 al 2009 è stato ministro federale per il Lavoro e
gli affari sociali nel governo Merkel I; dal 2011 al 2018 sindaco di
Amburgo, prima di diventare, nel marzo 2018, ministro delle Fi-
nanze e vicecancelliere nel governo Merkel IV. Era considerato un
burocrate poco carismatico, che, sebbene fosse conosciuto sul piano
265
internazionale, suscitava poca risonanza emotiva. Per mesi è rima-
sto molto dietro la Cdu/Csu e perfino i Verdi. Per alcuni periodi, i
sondaggi hanno attribuito alla Spd meno del 10% dei voti. Scholz
ha completamente ribaltato questa tendenza. A ciò ha contribuito la
compattezza del suo partito alle sue spalle, diversamente da quanto
ha fatto la Cdu/Csu con il suo candidato.
La Cdu/Csu si è presentata, infatti, per la prima volta senza l’abi-
tuale bonus cancelliere. Laschet puntava sulla continuità. L’Unione si
è indebolita sempre di più da sola, regalando così probabilmente una
vittoria certa. Fin dall’inizio Laschet ha avuto lo svantaggio che parti
della Cdu – la Csu in ogni caso – erano – e sono rimaste – convinte
che il presidente della Csu e il presidente dei ministri della Baviera,
Markus Söder, non solo fosse il candidato più promettente per la ca-
rica di cancelliere – più spontaneo, più diretto, più vicino alla gente
e più persuasivo –, ma fosse anche il «candidato del cuore». Ancora
nell’estate 2021 ci si chiedeva se Laschet dovesse essere sostituito da
Söder («il bulldozer bavarese»). Anche queste considerazioni su un
eventuale arrocco hanno danneggiato enormemente l’Unione.
Solo verso la fine dell’estate anche la Merkel ha fatto la sua com-
parsa nella campagna elettorale, dalla quale in precedenza si era tenuta
lontana, esprimendosi apertamente a favore di Laschet, che è stato pre-
sentato dall’Unione come «àncora di stabilità del nostro Paese». Alcuni
elettori della Cdu/Csu hanno inteso questo come un «Si continua così»
e hanno avvertito la distanza con l’indirizzo e lo stile della Merkel.
FOCUS

Troppo tardi, solo quando i sondaggi indicavano possibili loro grosse


perdite di consenso, Cdu e Csu hanno mostrato una compattezza, che
però è tornata rapidamente a sfaldarsi dopo la sconfitta alle elezioni.
Subito sono sorte speculazioni sul futuro di Laschet, che aveva escluso
un suo ritorno alla politica regionale e aveva presentato un suo succes-
sore alla presidenza dei ministri della Renania settentrionale-Vestfalia.
È stato difficile far accettare Laschet come capo del gruppo Cdu/Csu
al Bundestag. Sono scoppiate antiche rivalità, ed è diventata forte la
richiesta di un salto generazionale. Alla fine, due settimane dopo le
elezioni, Laschet ha accennato al suo ritiro. Un ritiro che però egli vo-
leva «gestire»: un ritiro, dunque, a rate. Sono evidenti i paralleli con la
sorte dell’ex presidente del Parlamento europeo Martin Schulz (Spd), il
quale nel 2017 fallì clamorosamente contro la Merkel, quando, la sera
266
delle elezioni, escluse una grande coalizione, che invece si formò effet-
tivamente, non essendosi realizzata la prevista «coalizione Giamaica»
(Cdu/Csu, Verdi, Fdp).
La Fdp allora si offrì apertamente come partner per una coali-
zione di governo a guida Cdu/Csu, essendo chiaro fin dall’inizio
che molto probabilmente ci sarebbe stato bisogno di un altro par-
tito; e questo anche per una «coalizione Giamaica», che aveva un
certo «fascino», soprattutto perché i programmi politici della Cdu/
Csu e della Fdp erano più vicini tra loro, e nonostante i Verdi e la
Fdp fossero su posizioni diametralmente opposte su molte questio-
ni. Nelle trattative per la formazione di una coalizione tutti e due
questi partiti furono poi costretti ad arrendersi.

«Il crepuscolo della Cancelliera» e la fine dell’era Merkel

L’unica certezza prima delle elezioni era che l’era Merkel era al
termine. Dal 2 dicembre 1990, data delle prime elezioni politiche te-
desche in comune dopo la riunificazione, Angela Merkel è stata de-
putata (eletta direttamente) al Parlamento. Ministra tedesca per le Pari
opportunità e le politiche giovanili dal 1991 al 1994 nel governo Kohl
IV, dopo le elezioni politiche del 1994 venne nominata a sorpresa mi-
nistra per l’Ambiente, la protezione della natura e la sicurezza nuclea­re.
Dopo la sconfitta elettorale del settembre 1998, quando per la pri-
ma volta dal 1949 non venne rieletto un governo federale in carica
IL FUTURO DELLA GERMANIA DOPO LE ELEZIONI

e Helmut Kohl annunciò il suo ritiro, il nuovo presidente della Cdu,


Wolfgang Schäuble, la nominò segretaria generale del partito. Dopo
uno scandalo per il finanziamento illecito del partito, risalente al pe-
riodo in cui era ancora in carica Kohl, nel febbraio 2000 Schäuble fu
costretto al ritiro da presidente del partito e da capo del gruppo della
Cdu al Bundestag. Nell’aprile 2000 la Merkel divenne presidente della
Cdu, capo dell’opposizione dal 2002 al 2005 e infine, dopo le elezioni
politiche anticipate del settembre 2005, il 22 novembre di quell’anno
venne eletta prima cancelliera tedesca con 397 voti favorevoli sui 611
voti validi dei deputati (con 51 voti in meno rispetto a quelli a disposi-
zione dei partiti della coalizione di Cdu/Csu e Spd).
Nella sua persona la Merkel incarnava allora una serie di fattori del
tutto nuovi: a 51 anni era la più giovane tra i cancellieri, una donna
267
proveniente dai nuovi Länder, che quindi portava il suo passato nella
Repubblica democratica tedesca, e una studiosa di scienze naturali.
Per quattro volte ha presieduto un governo federale: dal 2005 al 2009
una coalizione formata da Cdu/Csu e Spd (la «GroKo», Grande coali-
zione); dal 2009 al 2013 una coalizione composta da Cdu/Csu e Fdp;
e dal 2013 al 2018, come pure dal 2018 al 2021, di nuovo una (non
amata) Grande coalizione, formata da Cdu/Csu e Spd.
In passato, Konrad Adenauer (1876‒1967) aveva ricoperto la carica di
cancelliere dal settembre 1949 fino all’ottobre 1963, quindi per 14 anni;
Helmut Kohl (1930‒2017) aveva ricoperto la stessa carica dall’ottobre
1982 all’ottobre 1998, quindi per 16 anni; la Merkel ora ha uguagliato
Kohl. Se fino al 17 dicembre 2021 non avrà ancora prestato giuramento
un nuovo governo, per la durata della carica la Merkel avrà addirittura
superato Kohl, che finora è stato il capo di governo della Repubblica
federale più a lungo in carica. Anche questo sarebbe un record, di cui
nessuno nel 2005 e anche in seguito l’avrebbe creduta capace.
Già dopo le dure sconfitte nelle elezioni politiche del 2017 si era
parlato di «crepuscolo della Cancelliera»3. La Merkel invece ha gesti-
to con competenza gli anni successivi; il suo stile di governo pacato,
per quanto povero di gesti e di retorica, è stato apprezzato in Europa,
e persino nel mondo, forse più all’estero che nella stessa Germania.

3. Cfr A. R. Batlogg, «Le elezioni parlamentari in Germania», in Civ. Catt.


2017 IV 153-165.
FOCUS

Era «amata e odiata per la sua politica, stimata o denigrata. A lungo


è stata sottovalutata, ma ora lascia la sua carica con scioltezza, come
difficilmente è accaduto a un altro cancelliere prima di lei. Forse la
sua autocomprensione politica è un’eredità che resterà come monito:
gli affari della politica non sostituiscono la vita!»4.
Già nel dicembre 2018 la Merkel aveva ceduto la presidenza della
Cdu ad Annegret Kramp-Karrenbauer, che nel Congresso del partito
era riuscita a imporsi con il 51,75%, in un ballottaggio contro due
candidati maschi, Friedrich Merz e Jens Spahn. Dal febbraio 2018 se-
gretaria generale della Cdu, in precedenza (dal 2012 al 2018) presiden-
te dei ministri del Saarland, nel luglio 2019 la Kramp-Karrenbauer
è stata chiamata dalla Merkel a far parte del suo governo, dopo che
Ursula von der Leyen era stata eletta presidente della Commissione
268
europea. Ma già nel febbraio 2020 la Kramp-Karrenbauer aveva an-
nunciato il suo ritiro dalla carica di presidente della Cdu, dopo una
crisi di governo in Turingia che aveva rivelato la divisione interna
della Cdu, mantenendo tuttavia la carica di ministra della Difesa. A
causa della pandemia, il Congresso del partito è stato rimandato più
volte: dall’aprile 2020 alla seconda metà del 2020, fino a quando, in un
Congresso tenuto per via telematica, il 16 gennaio 2021 è stato eletto
come nuovo presidente della Cdu Armin Laschet, il presidente dei
ministri della Renania settentrionale-Vestfalia (che con 17,9 milioni di
abitanti è il Land più popoloso della Germania).
Gli accesi dibattiti interni al partito avevano portato per la prima
volta nella Cdu a una competizione tra più candidati: una lotta per il
potere, nella quale l’esperto di economia Friedrich Merz e quello di
politica estera Norbert Röttgen (che dal 2009 al 2012 era stato mini-
stro federale per l’Ambiente, la protezione della natura e la sicurezza
nucleare, fino a quando la Merkel non lo ha destituito dalla carica)
sono stati sconfitti dall’altra coppia di candidati emergenti, Laschet e
Spahn. Quest’ultimo è stato dal 2015 membro del governo federale:
dapprima come sottosegretario nel ministero delle Finanze, e dal 2018
come ministro della Sanità. Laschet ora con il 24,1% dei voti ha otte-
nuto il peggiore risultato nella storia della Cdu, che per la prima volta
dal 2005 non è più il gruppo più numeroso del Bundestag.

4. V. Resing, «Nie Aktivistin», in Herder Korrespondenz 75 (2021/10) 4.


IL FUTURO DELLA GERMANIA DOPO LE ELEZIONI

Che cosa è più importante: i programmi o le persone?

Anche se si è ritirata dalla presidenza della Cdu tre anni fa, la Mer-
kel è rimasta un’autorità indiscussa nel suo partito. Nel discorso tenuto
in occasione dell’Unità tedesca, il 3 ottobre 2021, accogliendo una
definizione che aveva dato di lei un giornalista, ha affermato di «aver
imparato a essere una cittadina della Repubblica federale tedesca e una
cittadina europea». Per la politica e la tattica del partito sono state sem-
pre sfruttate la sua provenienza dalla Germania dell’Est e la sua bio-
grafia di successo. Fatto sta che anche dopo 30 anni dalla caduta del
muro (9 novembre 1990) esiste ancora un divario tra Est e Ovest, che
non si esprime soltanto in un’enorme differenza tra salari, ma anche
nel campo delle tematiche sociali. Il fatto che la Cdu abbia conosciu-
to grosse sconfitte non soltanto nelle grandi città, ma soprattutto nei 269
nuovi Länder federali, deve far riflettere gli strateghi del partito.

IL LOGORAMENTO DEI VERTICI DI DIVERSI PARTITI


MOSTRA COME IN GERMANIA SI STIA VERIFICANDO
UN CAMBIO GENERAZIONALE.

Mentre la Spd, già nell’agosto 2020, aveva designato il ministro


delle Finanze Scholz come candidato alla cancelleria, presentandolo
come «crisis manager con esperienza di leadership», Cdu/Csu invece
hanno esitato fino all’aprile 2021, nominando solo allora Laschet
come candidato alla cancelleria. La Merkel era stata il loro pro-
gramma per quattro legislature. La gente non credeva che Laschet
rappresentasse un nuovo inizio e un rinnovamento. Egli mancava
– e manca tuttora – di credibilità.
Il logoramento dei vertici di diversi partiti mostra come in Ger-
mania si stia verificando un cambio generazionale. Di questo in fin
dei conti ha approfittato ampiamente la coppia dirigente Baerbock-
Habeck, come mostrano le analisi dei flussi elettorali, sebbene non
siano riusciti a conquistare il cancellierato. L’ establishment di parti-
to della Cdu/Csu poteva certamente contare sull’«esperienza». Ma
i giovani elettori e quelli che votavano per la prima volta hanno
FOCUS

dato fiducia per il rinnovamento e la modernizzazione soprattutto


ai Verdi e alla Fdp.
La Spd, a sua volta, ha fatto tesoro dell’esperienza dell’«effetto
Schulz» delle prime settimane del 2017, che è scoppiato come una
bolla di sapone. La mancanza di carisma di Scholz è stata compen-
sata dalla sua esperienza di governo. Non ci sono state lotte tra i due
presidenti della Spd Saskia Esken e Norbert Walter-Borjans, o con
l’ex presidente del Jusos ( Jungsozialistinnen und Jungsozialisten, cioè
il movimento delle giovani socialiste e dei giovani socialisti) Ke-
vin Kühnert, vicepresidente del partito. Nell’ala sinistra del partito,
a suo tempo aveva fallito Andrea Nahles, segretaria generale della
Spd dal 2009 al 2013, poi ministra federale per il Lavoro e gli affari
sociali dal 2013 al 2017 nel governo Merkel III, e infine presiden-
270
te del gruppo parlamentare dal 2017 al 2019. Quando, nel febbraio
2018, Schulz si dimise dalla presidenza dell’Spd, Andrea Nahles as-
sunse questo incarico, ma diede le dimissioni dopo 14 mesi alla luce
dei cattivi risultati nelle elezioni europee del 2019, abbandonando la
presidenza del partito e quella del gruppo parlamentare.
La Fdp deve il suo successo soprattutto al leader del suo gruppo
parlamentare Christian Lindner, che in precedenza era stato segre-
tario generale del partito e che nel 2017 la Fdp ha riportato al Bun-
destag come capolista, dopo essere stata costretta all’opposizione ex-
traparlamentare per quattro anni. Tuttavia, Lindner allora fu molto
criticato per aver fatto fallire le trattative per la formazione di una
«coalizione Giamaica» dopo quattro settimane di colloqui esplora-
tivi. «È meglio non governare piuttosto che governare in maniera
sbagliata», aveva detto. Ma ora è di nuovo presente come eminenza
grigia e ha destato sorpresa, la sera delle elezioni, quando ha invitato
i Verdi e la Fdp a verificare innanzitutto tra loro se sarebbe stato
meglio avviare i colloqui prima con la Spd o con la Cdu/Csu.
Oltre al know-how, un futuro governo ha bisogno anche di un
chiaro indirizzo: dove si deve andare? Come ci orientiamo? Che
cosa è importante per le generazioni future? Ancora una volta si
richiedono visioni, non soltanto un pragmatismo politico. «La que-
stione decisiva – così si è espresso il copresidente dei Verdi, Ha-
beck, nella Seconda rete televisiva tedesca (Zdf) – è se c’è un’idea,
un obiettivo capace di fondare l’identità di questo governo, oppure
IL FUTURO DELLA GERMANIA DOPO LE ELEZIONI

se sarà un governo che si limiterà sempre e soltanto a un’azione di


corto respiro, al minimo comune denominatore e a ostacolarsi a vi-
cenda. Questa è la prima e la più importante fra tutte le questioni»5.
Si devono affrontare soprattutto questioni economiche importanti,
come l’accelerazione del processo di abbandono del carbone, che
spingerà intere regioni alla disoccupazione, se non si comincia a
sostituirlo con nuovi settori economici, e la questione della necessità
di una svolta ecologica. Queste problematiche non possono più es-
sere evitate in Germania, che è la quarta maggiore economia mon-
diale e il maggiore Paese esportatore al mondo dopo la Cina. Agli
inizi del 2021 si pensava che i Verdi fossero capaci di questa svolta,
come mostrano le cifre dei sondaggi di allora, che li vedevano al
28%, mentre a settembre hanno realizzato solo il 14,8%.
271
Il cambiamento climatico, le pensioni, le tasse, i debiti per la
pandemia: su diversi punti Spd, Verdi e Fdf, che partecipano alla
«coalizione semaforo», appaiono molto distanti tra loro. Spd e Unio-
ne nella campagna elettorale hanno confermato la tabella di mar-
cia già decisa di una neutralità climatica da raggiungere nel 2045,
mentre la Fdp vorrebbe che si raggiungesse nel 2050. I Verdi invece
premono per una data anticipata. Per questo mettono in conto an-
che aumenti di tasse, cosa che Fdp e Cdu/Csu respingono catego-
ricamente. I liberali hanno persino previsto tagli alle tasse, mentre
la Cdu un loro alleggerimento. Anche sulla politica delle famiglie,
dell’istruzione e delle pensioni le visioni appaiono molto distanti.
Una coalizione si basa essenzialmente sui compromessi. Dipende da
quello che si può politicamente fare e applicare. Ma tutti quelli che
esplorano le possibili varianti della coalizione sanno che la società
punta sul rinnovamento e sulla modernizzazione. A tale riguardo,
Scholz – che probabilmente sarà il prossimo cancelliere tedesco – ha
parlato anche del «rispetto» come nuovo stile della politica.
Nelle future trattative per la formazione di una coalizione tut-
ti gli interessati devono tener conto delle complesse strutture di
potere. Il salario minimo e l’aumento delle pensioni e delle tasse
costituiranno certamente temi di discussione. Ma, di fronte ai cre-
scenti timori per il futuro, molti elettori vogliono che si presentino

5. S. Langer, «Agenda Zusammenhalt», cit.


FOCUS

obiettivi a lungo termine. È auspicabile un cambiamento del modo


con cui la politica affronta tali questioni. Si ha fiducia piuttosto in
un’alleanza tra Spd, Verdi e Fdp, sebbene una «coalizione Giamaica»
abbia forse in sé una maggiore capacità di progettare una visione
del futuro, poiché la Spd è attaccata ancora a categorie politiche
troppo antiquate. Ma, dal punto di vista politico e sociale, riscuote
maggiore fiducia una «coalizione semaforo». I segretari generali dei
tre partiti interessati si sono già incontrati più volte.
Dopo i primi tentativi esplorativi del suo partito, il capo della
Csu, Söder, ha dichiarato «morta» un’«alleanza Giamaica», attaccan-
do così di nuovo alle spalle Laschet. Il motto della Cdu/Csu sembra
essere: «Disordine, invece di coalizione». Due politici della Cdu di
alto livello – la ministra della Difesa Annegret Kramp-Karrenbauer
272
e il ministro dell’Economia Peter Altmaier (che in precedenza era
stato capo della Cancelleria e ministro per gli Affari speciali) – han-
no rinunciato spontaneamente al loro mandato parlamentare per
aprire la strada a deputati più giovani. Si prevede che seguiranno
altri cambiamenti di personale nei quadri dirigenti della Cdu, in
modo che possa essere dato al partito un nuovo indirizzo che sem-
bri credibile. Ma il rinnovamento della Cdu/Csu avverrà stando
all’opposizione dopo 16 anni di governo.

Angela Merkel, il Papa e la Chiesa tedesca

Nel frattempo, la Merkel fa il giro dell’Europa per congedarsi dalla


politica attiva. A Gerusalemme ha addirittura partecipato a una seduta
del governo israeliano. Il 7 ottobre 2021 è stata ricevuta per la sesta
volta in udienza privata da papa Francesco (nel corso dei 16 anni da
cancelliere Kohl era stato tre volte da papa Giovanni Paolo II). Una
frase scherzosa che la Merkel ha rivolto a Francesco, e che rivela l’at-
mosfera cordiale dell’incontro, è stata: «La prossima volta ce ne andia-
mo a mangiare una pizza in piazza»6. Francesco e la Merkel hanno
avuto una grande consonanza sulle questioni dei migranti e del clima.

6. Th. Jansen, «Merkels Nähe zu Franziskus», in Frankfurter Allgemeine


Zeitung, n. 234, 2021, 10.
IL FUTURO DELLA GERMANIA DOPO LE ELEZIONI

Condividono anche la preoccupazione per una Chiesa credibile, in-


nanzitutto per il modo di affrontare la questione degli abusi.
Non è un caso che, nella sua visita di congedo in Vaticano, la Mer-
kel sia passata anche da Villa Malta, sede de La Civiltà Cattolica – di an-
tiche radici tedesche –, dove avrà sede l’«Istituto di Antropologia» della
Pontificia Università Gregoriana. Lo dirige il gesuita tedesco p. Hans
Zollner, che lo chiama anche «Istituto per il Safeguarding». Quindi la
Cancelliera è intervenuta al XXXV Incontro interreligioso per la Pace,
organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio presso il Colosseo.
Annette Schavan, che da molti anni è compagna di cammino poli-
tico di Angela Merkel7, e che dal 2005 al 2013 è stata ministra federale
per la scienza e la ricerca, ha rappresentato la Repubblica federale tedesca
dal 2014 al 2018 come ambasciatrice presso la Santa Sede, mostrando-
273
si un’eccellente costruttrice di ponti. Anche il suo successore, Bernard
Korsch, è uno stretto ex collaboratore della Merkel.
Nel corso del tradizionale ricevimento di San Michele al Cen-
tro congressi dell’Accademia cattolica di Berlino, il giorno dopo
le elezioni tedesche, il 27 settembre 2021, accanto al presidente del
Parlamento è apparsa anche la Cancelliera federale. Il presidente
della Conferenza episcopale tedesca (Dbk), il vescovo di Limburgo
Georg Bätzing, per la circostanza ha tenuto un discorso autocritico.
Ha collegato la strisciante «perdita di rilevanza delle Chiese nella
nostra società» con la circostanza che i partiti cristiani sembrano
non aver avuto alcun problema a chiedere la rinuncia volontaria alle
liturgie pasquali nella primavera 2021. Ha usato la metafora di una
«spaccatura di fondo», che fa pensare a «un radicale crollo non solo
della vita ecclesiale, ma anche della stessa fede in Dio». «Di fronte
a eventi di una tale portata – ha detto – i processi strategici e i ne-
cessari adattamenti delle strutture appaiono iniziative missionarie
tanto inadeguate quanto applicate alla buona. La trasformazione
necessaria dovrà andare più a fondo: richiede una conversione nel
senso più vero e religioso del termine».

7. Cfr A. Schavan (ed.), Die hohe Kunst der Politik. Die Ära Merkel, Freiburg,
Herder, 2021; Id. (ed.), Päpste vor Parlamenten. In Verantwortung vor Gott und den
Menschen, ivi, 2015.
FOCUS

Bätzing ha ripreso anche il concetto di papa Francesco del «cam-


biamento di tempo»8 e ha affermato: «Se riusciamo a essere onesti e
a non spendere tutte le nostre energie su come fermare la crisi, ma
piuttosto riconosciamo umilmente in che cosa la crisi ci blocca, al-
lora ci vorrà ancora molto tempo per un’inversione di tendenza, ma
abbiamo scelto bene il punto di partenza. Infatti, come dice papa
Francesco, la verità si apre a chi si apre a essa». Il presidente della Dbk
è convinto che la fede cristiana non debba mai restare nel privato,
ma debba diventare attiva pubblicamente e politicamente (anche se
non nel senso di seguire le idee di un determinato partito politico).
«Nel frattempo, i cristiani delle diverse Confessioni religiose hanno
compreso che solo una forte e concorde testimonianza di fede con
buone argomentazioni può avere anche un impatto sociale»9.
274

La Germania e il mondo

La Germania, il Paese più popoloso dell’Unione Europea, ha un


desiderio profondo di stabilità. Allo stesso modo, l’Europa ha bisogno
di una Germania forte e stabile, e non solo perché questo Paese è il
maggiore contributore netto al bilancio Ue. Senza la Germania, non
funziona nulla a Bruxelles e a Strasburgo. La Germania è anche un
importante Paese della Nato, soprattutto ora che, dopo le divergenze
sotto il governo Trump, il Patto atlantico va ritrovato – ma non rein-
ventato – con il nuovo presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Anche
il mondo ha bisogno di un partner affidabile a Berlino. A mostrarlo
è stata proprio la Merkel, cancelliera a lungo sottovalutata e capo di
governo europeo in carica da più tempo. Prevedibilità e affidabilità,
e in più la sobria analisi politica, sono virtù politiche rare di cui c’è
più che mai bisogno, al di là degli show e delle autorappresentazioni
dei politici di spicco, interessati più ai sondaggi che a preoccuparsi del
bene comune. La Merkel finisce il suo mandato, e al nuovo governo
tedesco si richiede ora un nuovo impegno.

8. Francesco, Lettera al popolo di Dio che è in cammino in Germania, 29 giu-


gno 2019.
9. «Bischof Bätzing spricht auf dem St. Michael-Jahresempfang in Berlin», in
www.dbk.de/presse/aktuelles/meldung/bischofbaetzing-spricht-auf-dem-st-michael-
jahresempfang-in-berlin
ISRAELE DOPO NETANYAHU

David Neuhaus S.I.

Le elezioni di marzo 2021 in Israele hanno fatto sì che il Likud,


guidato dal primo ministro in carica Benjamin Netanyahu, mantenes-
se la sua posizione di partito più importante, con 30 seggi su 120 nel
Parlamento israeliano. Un fatto scontato. Tanto maggiore, quindi, è
275
stata la successiva sorpresa: Netanyahu non è stato in grado di formare
un governo. E a guidare l’opposizione al suo ritorno al potere c’erano i
suoi più stretti alleati ideologici.
Tre mesi dopo, in giugno, Yair Lapid, capo del partito Yesh Atid,
a suo tempo alleato di Netanyahu, ha annunciato di essere riuscito a
formare un governo. Non meno sorprendente è stata la decisione che lo
stesso Lapid avrebbe ricoperto la carica di ministro degli Esteri, ceden-
do il primo periodo di premierato a Naftali Bennett, capo del partito di
destra Yamina, e instaurando così un’alternanza in base alla quale egli
a sua volta avrebbe preso le redini dopo due anni. Il governo, che ha
prestato giuramento il 13 giugno 2021, comprendeva una serie di par-
titi, che andavano dalla destra alla sinistra nello spettro politico, incluso
un partito arabo di radici islamiche. Questi improbabili alleati avevano
raggiunto un accordo di coalizione tale da consentire la formazione di
un nuovo governo, fondandosi principalmente sulla loro comune op-
posizione a Netanyahu. Pochi credevano che questo governo sarebbe
durato, perché i contrasti di fondo tra i partiti erano evidenti a tutti.
Israele ha davvero cambiato direzione dopo 12 anni di governo
di Netanyahu? Non c’è dubbio che questi, primo ministro per com-
plessivi 15 anni (lo era stato anche dal 1996 al 1999), il più longevo
in questa carica dalla costituzione dello Stato di Israele, abbia lascia-
to un segno indelebile nel Paese. Che cosa è cambiato nell’epoca
post-Netanyahu, e che cosa è rimasto uguale?

© La Civiltà Cattolica 2021 IV 275-285 | 4113 (6/20 novembre 2021)


FOCUS

Discontinuità. L’uomo

Il settantunenne ex primo ministro, nato un anno dopo la costi-


tuzione dello Stato di Israele, continua a godere di ampia popolarità
tra i gruppi che lo avevano portato al potere. Rimangono suoi ac-
cesi sostenitori molti discendenti di ebrei immigrati dai Paesi arabi
e musulmani e dall’ex Unione Sovietica, nonché quelli del movi-
mento nazional-religioso e di colonizzazione, propugnatori della
campagna di insediamento nei territori occupati da Israele nel 1967
(da allora in poi definiti «i territori occupati»), e la comunità degli
ultraor­todossi. Netanyahu ha messo insieme questi gruppi eteroge-
nei, sfruttandone la comune antipatia per le vecchie élite (per lo più
ebrei laici europei), che ancora dominano l’economia, la magistra-
276 tura, il mondo accademico, i media e l’esercito israeliani.
Nel corso dei suoi anni al potere Netanyahu ha perseguito tre obiet-
tivi. In primo luogo, si è impegnato nell’impedire qualsiasi ritiro dai
territori occupati, bloccando così la creazione di uno Stato palestinese.
In secondo luogo, si è concentrato sul «pericolo iraniano», in particolare
sui tentativi della Repubblica islamica di acquisire risorse nucleari. La
Primavera araba ha paralizzato altri concorrenti per il dominio nella re-
gione, e la riuscita descrizione, fatta dal ministro, dell’Iran come di una
delle principali minacce a Israele ha garantito una collaborazione del
mondo arabo conservatore con Israele e contro l’Iran. In terzo luogo,
Netanyahu si è proposto di trasformare Israele in uno Stato pienamente
capitalista, svincolando la nazione dalle sue origini socialiste.
Netanyahu ha in larga misura realizzato questo programma.
Durante il suo governo Israele non ha ceduto territori agli arabi,
e non si è quasi fatto cenno all’istituzione di uno Stato palestinese.
Grazie al sostegno del governo Trump, quattro Paesi arabi hanno
normalizzato le relazioni con Israele, nonostante la totale interru-
zione del processo di pace con i palestinesi. Mentre l’Iran attirava
le critiche della comunità internazionale, Israele ha notevolmente
migliorato le proprie capacità strategiche. Lo sviluppo economico
capitalista è stato fiorente, e l’elenco dei miliardari israeliani si è al-
lungato di anno in anno.
Questi successi hanno creato in molti israeliani un’illusione di pace
e prosperità, dal momento che Netanyahu si vantava di aver raggiunto
ISRAELE DOPO NETANYAHU

questi risultati: una crescita economica senza precedenti, un basso nu-


mero di vittime sul fronte palestinese, una pace redditizia con alcuni
Paesi arabi, ed esiti positivi nella battaglia contro il Covid-19.
Al tirar delle somme, Netanyahu non è stato sconfitto dal pro-
cesso democratico: le masse non lo hanno abbandonato; il suo par-
tito è rimasto il più grande. Invece, è stato battuto perché i suoi
alleati più stretti e capaci lo hanno lasciato uno dopo l’altro, creando
partiti alternativi di destra, che si sono uniti in una coalizione per
sconfiggerlo. La caduta di Netanyahu è stata in parte dovuta al suo
stile di governo sempre più tendenzialmente individuale e solitario.
Il primo ministro Bennett, il ministro della Giustizia Gideon Sa’ar,
il ministro delle Finanze Avigdor Lieberman, la ministra degli In-
terni Ayelet Shaked e il ministro delle Comunicazioni Yoaz Hendel
277
erano entrati in politica come suoi soci e sostenitori. Bennett era il
capo del suo staff; Sa’ar era il suo segretario di gabinetto e un mini-
stro di lungo corso; Lieberman era un suo autorevole consigliere e il
direttore generale del Likud; Shaked dirigeva il suo ufficio politico;
e Hendel era il suo responsabile delle comunicazioni. Ma poi, dopo
essere stati trattati alla stregua di minacce nei confronti della sua
influenza sul partito, essi si sono accordati per abbatterlo. Tra i loro
alleati prestigiosi si conta un altro membro del Likud, poi divenuto
avversario del governo di Netanyahu, il presidente Reuven Rivlin.
Da quando nel 2019 Netanyahu è stato incriminato per cor-
ruzione, frode e abuso di ufficio, dopo un’inchiesta durata tre
anni, la minaccia della reclusione ha offuscato i suoi ultimi anni
al potere. Sara, sua moglie, è stata a sua volta accusata di inge-
renza negli affari dello Stato, abuso nei confronti di dipendenti e
spreco di fondi pubblici.
A raccoglierne le redini è ora una nuova generazione di
israe­liani, rappresentata da Bennett, il nuovo premier cinquan-
tenne che, pur essendo ideologicamente allineato alla politica di
destra di Netanyahu, appartiene a una nuova classe emergente
di giovani high-tech, esperti nell’uso dei media. Resta da vedere
se Bennett, Lapid e i loro soci sapranno introdurre uno stile di
governo più collaborativo e meno autoritario.
FOCUS

Gli alleati internazionali

Nel gennaio 2021, Joe Biden ha prestato giuramento come qua-


rantaseiesimo presidente degli Stati Uniti d’America. Netanyahu,
così come la maggior parte degli israeliani, parteggiava per Donald
Trump, che ha perso la corsa per il secondo mandato presidenziale.
Fin dall’inizio della sua amministrazione Trump ha sostenuto tutti gli
obiettivi di Netanyahu. Ha riconosciuto Gerusalemme come capitale di
Israele, azzerando di fatto la possibilità che Gerusalemme Est potesse di-
ventare la capitale della Palestina. Nel 2018 ha trasferito l’ambasciata degli
Stati Uniti da Tel Aviv a Gerusalemme, portando a una radicale rottura
dei rapporti con i palestinesi. Il suo cosiddetto «Accordo del secolo» ri-
guardo a Israele e alla Palestina, reso pubblico nel 2020, è stato elaborato
278 e proclamato senza nemmeno informare i palestinesi. Non diversamente
da Netanyahu, Trump sembrava cancellare la loro stessa esistenza. Papa
Francesco si è unito a molti altri nel mettere in guardia contro «soluzioni
non eque». Rivolgendosi ai vescovi delle Chiese del Mediterraneo, riuniti
a Bari il 23 febbraio 2020, ha insistito sul fatto che il mondo non deve
«dimenticare il conflitto ancora irrisolto tra israeliani e palestinesi, con il
pericolo di soluzioni non eque e, quindi, foriere di nuove crisi».
Ignorando ogni critica secondo cui il suo appoggio a Netanyahu
stava destabilizzando l’intera regione, Trump ha tirato dritto, soste-
nendo gli accordi di normalizzazione tra Israele ed Emirati Arabi
Uniti, Bahrein, Sudan e Marocco. In Israele ha nominato come am-
basciatore degli Stati Uniti un ebreo religioso sionista di destra, David
Friedman, che condivideva puntualmente le sue opinioni, in partico-
lare l’intransigenza israeliana verso i palestinesi, l’attività di colonizza-
zione e i moniti circa il pericolo iraniano.
Il saldo rapporto tra Netanyahu e Trump era ritenuto dagli osser-
vatori di cattivo auspicio riguardo a ciò che sarebbe potuto avvenire
tra il premier israeliano e il nuovo presidente democratico Biden. Mol-
ti esperti di politica estera israeliani hanno fatto presente che le relazio-
ni tra l’amministrazione del loro Pae­se e gli Stati Uniti non erano mai
andate peggio di allora, e che questo si ripercuoteva anche sugli ebrei
statunitensi, schierati in misura schiacciante a favore dei democratici.
In effetti, Trump e Netanyahu condividono alcune caratteristiche
politiche di base. Entrambi professano un esplicito disprezzo per i media
ISRAELE DOPO NETANYAHU

e le élite culturali, e simpatizzano per un certo populismo nazionalista,


diffusosi anche in altri Paesi, come l’India del primo ministro Narendra
Modi, il Brasile del presidente Jair Bolsonaro e l’Ungheria del primo
ministro Viktor Orbán. I cordiali rapporti di Netanyahu con questi
leader hanno incrinato quelli con molti ebrei della diaspora, seriamente
preoccupati per l’antisemitismo insito nel populismo di destra.

IL GOVERNO ISRAELIANO HA AVVIATO UN NUOVO


LEGAME CON BIDEN, E HA RAFFREDDATO I
RAPPORTI CON I GOVERNI DI DESTRA.

Il nuovo governo israeliano non soltanto ha avviato un nuovo


279
legame con l’amministrazione di Biden, ma ha anche raffreddato i
rapporti con i governi di destra. Un esempio lampante è l’atteggia-
mento ostile assunto nei confronti dell’attuale compagine governa-
tiva polacca. Netanyahu aveva instaurato una stretta amicizia con il
presidente Andrzej Duda, basata sul forte sostegno di quest’ultimo
alle politiche israeliane. Tuttavia, successivamente, ci sono state alcu-
ne polemiche tra i due governi su alcune iniziative legislative inte-
se dalle autorità israeliane come ostili. Negli ultimi giorni in carica,
Netanyahu è stato spinto ancora più a destra, fino a legittimare il
messaggio di Rabbi Meir Kahane, che aveva chiesto di limitare i di-
ritti in Israele ai soli ebrei e di espellere la popolazione araba1.
Attualmente prevalgono un tono e un orientamento diversi, anche
per la provenienza di Bennett e Lapid: il primo è un uomo d’affari di
grande successo, il secondo proviene dalla borghesia di Tel Aviv. La

1. Nella campagna che ha portato alle elezioni del 2021, Netanyahu ha appog-
giato il partito Jewish Power. Uno dei suoi leader, Itamar Ben-Gvir, si autodefinisce
un fedele discepolo di Kahane. Nella precedente tornata elettorale, per le elezioni di
marzo 2020, l’ex primo ministro aveva incoraggiato Bennett a fondere il suo partito
con la fazione di Ben-Gvir. Ma Bennett aveva replicato: «Come presidente del partito
della Nuova Destra, ora in corsa per la Knesset, e come ex ministro dell’Istruzione dello
Stato di Israele, non inserirò nella mia lista qualcuno che nel suo soggiorno tiene una
fotografia di un uomo che ha ucciso 29 persone innocenti». Si riferiva alla foto di Ba-
ruch Goldstein, che nel 1994 aveva fatto fuoco sui palestinesi musulmani in preghiera
nella moschea della Tomba dei Patriarchi, a Hebron, provocando una strage. Identica
reazione è giunta da un altro ex alleato, Gideon Sa’ar, durante la campagna del 2021.
FOCUS

loro coalizione, che associa capacità imprenditoriali di successo e valori


borghesi, si concentra maggiormente sulla costruzione di un’economia
stabile e sulle buone relazioni con gli Stati Uniti e l’Unione Europea.

Gli alleati interni

Tra gli sviluppi più notevoli c’è stata l’inclusione nella coalizione
di Mansour Abbas (nessuna parentela con Mahmud Abbas, presidente
della Palestina) e del suo partito Ra’am (Partito Arabo Unito), legato
al Ramo Sud del Movimento islamico in Israele. Abbas è un politico
arabo musulmano conservatore, che appare propenso a schivare que-
stioni nazionali, come quella di porre fine all’occupazione dei territori
palestinesi in cambio di un miglioramento della vita dei cittadini arabi
280
israeliani. Ha rotto con la Joint Arab List, un’ampia coalizione di par-
titi arabi fondata nel 2015, prima delle elezioni del 2021. Lapid aveva
bisogno del sostegno di Ra’am per mettere la propria coalizione in
grado di battere Netanyahu, e alla fine è riuscito a venire a capo delle
molte esitazioni di Abbas. Bennett e Lapid si sono mostrati pragmatici
e capaci di negoziare con i cittadini arabi dello Stato di Israele. Da
parte sua, Abbas ha spiegato: «Ci concentriamo sulle questioni e sui
problemi dei cittadini arabi di Israele all’interno della Linea Verde [i
confini di Israele prima del 1967]. Abbiamo davanti problemi cruciali:
la criminalità, la violenza, il disagio economico, la grave mancanza di
alloggi, villaggi non riconosciuti nel Negev. Vogliamo risolvere i no-
stri problemi». Non è chiaro se questo governo, guidato da sionisti di
destra e centristi, possa accogliere simili richieste. Tuttavia la presenza
di Abbas nella coalizione amplia le categorie di inclusività ed esclusivi-
tà riguardo alla definizione dell’identità civica di Israele.
Mentre gli arabi spiccano per la loro presenza nella coalizio-
ne, i partiti ultraortodossi si distinguono per la loro assenza. Ne-
gli ultimi anni essi sono stati totalmente sedotti dal populismo
di destra di Netanyahu, sebbene talvolta ne siano rimasti vittime.
Radicalmente contrari al laicismo, non vogliono saperne di en-
trare nelle istituzioni dello Stato, temendo una perdita della loro
identità religiosa. La conseguenza più rilevante è che si oppon-
gono al servizio militare obbligatorio per i giovani. La protesta
degli ultraor­todossi contro la coercizione statale ha dato luogo
ISRAELE DOPO NETANYAHU

a sporadiche tensioni e persino a violenze. Tuttavia Netanyahu


ha coltivato un rapporto stretto con le loro autorità, basato sul
sostegno economico e sulla retorica xenofoba. Ma il fattore più
importante nel forgiare l’abbraccio di Netanyahu con gli ultra-
ortodossi è stata l’antipatia dei partiti laici, in particolare quelli di
Lapid e Lieberman, per lo status speciale di cui essi godono nella
società israeliana.
Mentre gli ultraortodossi sono assenti all’interno della coali-
zione governativa, per la prima volta vi ha preso parte un rabbino
ebreo riformato. L’ingresso in parlamento di Gilad Kariv, come
membro del Partito laburista, ha attirato l’attenzione dei media,
perché egli è nello stesso tempo a capo del Movimento riformista
e progressista israeliano. I ruoli rilevanti attribuiti ad alcuni so-
281
stenitori degli obiettivi sociali liberali, delle correnti alternative
dell’ebraismo, del femminismo, dei diritti Lgbt, della maternità
surrogata indicano l’intento di Bennett e Lapid di sanare la frattu-
ra con i principali gruppi che rappresentano gli ebrei statunitensi.
Neta­nyahu si era alleato con gli ebrei di destra, in particolare con
quelli che sostenevano fortemente l’amministrazione Trump, tra
cui i più importanti erano Jared Kushner, genero e consigliere di
Trump, e David Friedman, ambasciatore degli Stati Uniti. Tutta-
via, la maggior parte degli ebrei statunitensi appoggia i democra-
tici, e sulle questioni sociali propende per posizioni liberali.
Ci sono quindi alcuni elementi di discontinuità nel nuovo go-
verno di coalizione che ha soppiantato Netanyahu. Ma c’è anche
molta continuità riguardo alle linee principali che sono state ela-
borate negli ultimi decenni in Israele.

Continuità. Il fattore ideologico

I nuovi governanti condividono con Netanyahu una visione ideo-


logica dello Stato di Israele come Stato ebraico. La popolazione ebraica
in Israele continua perlopiù ad aderire al sionismo tradizionale, ossia a
quel nazionalismo che celebra Israele come Stato ebraico. Negli ulti-
mi decenni, la maggior parte degli israeliani ha trovato più comodo
vivere in uno Stato etnocentrico. Sebbene essi si vantino del loro Stato
FOCUS

come di una democrazia, i limiti che l’etnocentrismo frappone a tale


convinzione penetrano di rado nella coscienza collettiva.
L’etnocentrismo ideologico ha introdotto, nel 2018, una legge
nella quale, con sgomento dei cittadini israeliani non ebrei (quasi un
quarto della popolazione), si ribadisce che Israele è «Stato nazione del
popolo ebraico». Coloro che guidano l’attuale coalizione – Bennett
dalla destra e Lapid dal centro – sono strenui sostenitori di tale legge
e degli interessi ebraici che essa rafforza. Dai margini della coalizione,
Abbas e il partito Meretz – attento ai diritti umani – potrebbero forse
opporre qualche critica ai suoi contenuti e alla sua natura antidemo-
cratica. Tuttavia, i leader della coalizione continuano a ripetere come
un mantra che Israele è al contempo uno Stato ebraico e democratico.
Nessuno sembra capace di risolvere le tensioni e le contraddizioni che
282
sussistono tra le due componenti. Israele, dunque, è uno Stato per ebrei
– sia quelli che vivono in Israele sia quelli che non hanno mai vissuto lì
a partire dalla diaspora ebraica –, o è uno Stato di tutti i suoi cittadini?
Ma Abbas è più interessato ad annullare le restrizioni concrete impo-
ste agli arabi che sono considerati «non ebrei» (21% della popolazione
israeliana) che non a impegnarsi in un dibattito di carattere ideologico.
Sebbene lo Stato riconosca ai cittadini che non sono ebrei – in parti-
colare gli arabi – il diritto di voto, la discriminazione è parte integrante
della vita quotidiana, in cui i fondi vengono assegnati in modo prepon-
derante alle aree ebraiche. Un semplice confronto tra le infrastrutture
degli ebrei e quelle arabe evidenzia le disparità socioeconomiche che di-
vidono gli uni dagli altri, in particolare per quanto riguarda la distribu-
zione della terra, la pianificazione urbana, gli alloggi, i servizi pubblici, lo
sviluppo economico e l’istruzione. Oltre la metà delle famiglie povere in
Israele sono arabe, pur essendo gli arabi solo un quinto della popolazione.

Insediamenti

L’eredità più deleteria di Netanyahu è quella di aver indotto la gen-


te a credere che non ci fosse un’alternativa alla continua occupazione
dei territori conquistati da Israele nel 1967. I governi israeliani che si
sono avvicendati sono riusciti in gran parte nell’obiettivo di cancellare
le linee di confine tra lo Stato di Israele e i territori occupati, mediante
la costruzione di insediamenti ebraici e lo sviluppo di infrastrutture,
ISRAELE DOPO NETANYAHU

soprattutto strade, che uniscono quei territori con quelli sovrani di


Israele. Netanyahu e i suoi alleati hanno coltivato l’idea di «applicare
la sovranità ebraica (cioè israeliana)», ossia di annettere quei territori a
Israele, prima de facto e poi de iure, contravvenendo al diritto interna-
zionale. Un progetto che però sarebbe stato accantonato dopo la firma
degli accordi di normalizzazione con i Paesi del Golfo Persico.
Tuttavia, il nuovo governo non ha una reale alternativa alla con-
tinuazione dell’occupazione. Lapid, che si è dichiarato favorevole alla
soluzione dei due Stati (sebbene riaffermi che questo non potrebbe
mai avvenire a scapito della sicurezza di Israele), ha dichiarato che la
sua coa­lizione con Bennett preclude qualsiasi progresso verso la fine
dell’occupazione. Piuttosto che porre fine agli insediamenti, l’attuale
governo cerca di smorzare il conflitto, riducendo gli atti di violen-
283
za dell’esercito israeliano, le provocazioni dei coloni e le violazioni dei
diritti umani. Inoltre, sta cercando di trovare una soluzione tempora-
nea al problema dei quartieri di Sheikh Jarrah e Silwan a Gerusalem-
me Est, dove centinaia di famiglie palestinesi sono state cacciate dalle
loro case, che sono rivendicate dai coloni ebrei. Allo stesso modo, pur
continuando a edificare insediamenti ebraici, ha approvato un piccolo
numero di permessi per costruire edifici palestinesi in aree totalmente
controllate da Israele. Il nuovo governo sembra voler contenere il pro-
blema dell’occupazione attraverso piccoli compromessi, attenuando la
violenza, al fine di persuadere i palestinesi ad accettare lo status quo.
Ma questa strategia non impedisce che il conflitto con i palestinesi
resti aperto e, d’altra parte, anche sotto questo governo la violenza cer-
tamente non è venuta meno. Nel luglio 2020, un’organizzazione israe­
liana per i diritti umani, Yesh Din, ha accusato Israele del crimine di
apartheid riguardo all’occupazione dei territori palestinesi. Nel gennaio
2021, un altro importante osservatorio israeliano sui diritti umani, B’T-
selem, ha dichiarato che il razzismo traspariva in modo evidente dalle
politiche discriminatorie di Israele nei confronti dei cittadini arabi dello
Stato. Questa accusa è stata poi ripresa a livello internazionale da Hu-
man Rights Watch nel Rapporto diffuso nell’aprile 2021. Di fatto la di-
scriminazione e gli insediamenti costituiscono le principali insidie alla
stabilità di Israe­le, come ha dimostrato anche di recente la spirale di
violenza a cui si è assistito nel maggio 2021.
FOCUS

Cortine fumogene

Netanyahu sviava le critiche grazie ad alcune considerazioni che


vengono usate anche dal nuovo governo israeliano.
In primo luogo, Netanyahu ha insistito sulla minaccia rappresen-
tata dall’Iran, adottando una retorica secondo la quale qualsiasi altra
cosa svanisce di fronte alle sue crescenti risorse nucleari, al suo carattere
antidemocratico e alla sua ostilità verso l’Occidente. Solleticando l’isla-
mofobia, è riuscito nell’intento di focalizzare gran parte dell’opinione
pubblica mondiale sulla minaccia proveniente dall’Iran, distogliendo
l’attenzione da ciò che stava accadendo in Palestina. Bennett e Lapid
hanno adottato una retorica simile.
In secondo luogo, il governo Netanyahu – in ciò fortemente sostenu-
284 to dall’amministrazione Trump – è riuscito a normalizzare i rapporti con
alcuni regimi arabi, che ne hanno tratto benefìci economici. Coltivare
legami commerciali o di altro tipo con Emirati Arabi Uniti, Bahrein,
Sudan e Marocco ha fatto sì che la questione palestinese fosse accantonata.
Quei trattati sono stati presentati come «accordi di pace», volti a garantire
un Medio Oriente pacificato, in cui Israele è inserito a pieno titolo e i
palestinesi sono scomparsi. Il nuovo governo si è allineato a tale politica.
Infine, Netanyahu ha sfruttato abilmente l’accusa di antisemiti-
smo, di odio verso gli ebrei, come arma per zittire chi lo criticava. I
tentativi di sviluppare una definizione efficace di che cosa si debba
intendere per «antisemitismo» hanno messo in difficoltà i sionisti di
destra, determinati a etichettare come antisemitica qualsiasi critica alla
politica israeliana, ma anche quanti vorrebbero distinguere l’antisemi-
tismo, in quanto razzismo illegittimo, dall’antisionismo, ossia la critica
legittima rivolta a un’ideologia politica. Lapid, il centrista del nuovo
governo, ha detto e ripetuto che di solito le critiche al sionismo e alle
politiche di Israele sono contaminate dall’antisemitismo.

***
L’attuale governo di coalizione si fonda su una paralisi. Lapid
afferma di sostenere la «soluzione dei due Stati», ma che non se ne
farà nulla finché durerà la coalizione con Bennett, Sa’ar e Lieber-
man. Questi ultimi appoggiano la colonizzazione attiva dei terri-
ISRAELE DOPO NETANYAHU

tori occupati, in particolare di Gerusalemme Est, e continueranno


in questa linea in mancanza di una reazione risoluta della comunità
internazionale. Perdurano la discriminazione in Israele e l’occupa-
zione dei territori palestinesi. Il cambiamento evidente si constata
però nel tentativo di attenuare il conflitto, di abbassare i toni, di
ridurre la violenza e di minimizzare le misure oppressive2.

2. Chi è convinto che il conflitto israelo-palestinese possa essere smorzato sen-


za affrontare i problemi scottanti dell’occupazione e della discriminazione dovrebbe
leggersi con attenzione il testo di una recente canzone israeliana, Let’s talk straight
(«Parliamoci chiaro»), apparsa nel bel mezzo degli episodi di violenza del maggio 2021.
L’educatore israe­liano Uriya Rosenman e il rapper arabo Sameh Zakout hanno unito le 285
forze per comporre uno straordinario commento della realtà che oggi definisce la vita
quotidiana in Israele. Qualche stralcio da questo testo brutalmente sincero può darci un
assaggio di quale debba essere un vero programma finalizzato alla giustizia e alla pace.
Nella canzone, un ebreo e un arabo si siedono a un tavolo. L’ebreo Rosenman dice:
Parliamoci chiaro […] Credere nella coesistenza significa solo essere ingenui. Quindi sì,
quando sento quell’accento [arabo] sono sempre sospettoso. Non gridate al razzismo, smette-
tela di piagnucolare! Ti professi palestinese, quindi come possiamo essere vicini? […] Ovun-
que ci siano arabi, ci sono attacchi terroristici. […] Quindi, che dovrei fare, aspettare che un
qualche Mahmud afferri un coltello e urli: «A morte tutti gli ebrei»? […] Non sono razzista
[…], ho smesso di sperare. Difficile immaginare che venga il giorno in cui potremmo vivere
in armonia. […] Tra noi e voi c’è un abisso culturale, e non senza un motivo. L’ebraismo
guarda alla vita, a restaurare il mondo, e all’amore libero, ma voi educate i bambini all’odio in
nome dell’Islam, santo cielo! […] Non sono razzista. So che c’è un’altra versione della storia.
[…] Non sono razzista. Condividiamo questo Paese, ma l’odio non finisce mai. Vorrei che la
nostra realtà fosse diversa. Non sono razzista, lo giuro.
L’arabo Zakout risponde: Parliamoci chiaro. Voi ebrei vi siete dimenticati che cosa vuol
dire essere una minoranza. All’inizio eravate come un crogiolo. Ma ora vi importa solo dei
reattori nucleari, dell’apartheid e del razzismo. […] Non appoggio il terrorismo, sono contro
la violenza. Ma settant’anni di occupazione... è ovvio che ci sia resistenza. […] Voi dite: «Un
arabo buono è un arabo morto» e poi vi lamentate del fatto che non presto servizio [nell’e-
sercito]. Questo governo mi tratta come un cittadino di serie B. La Legge Stato-nazione non
fa che accrescere il problema. L’inno nazionale non mi rappresenta, e nemmeno la Stella di
Davide. […] Il Paese mi vede come un terrorista, non come un essere umano. Non parliamo
di pari responsabilità, quando fra noi manca l’uguaglianza. […] Nel 1948 avete cacciato la
mia famiglia. Il cibo era ancora caldo nei piatti quando avete fatto irruzione nelle nostre case,
occupandole, e poi lo negate, la verità non è facile. […] Non sono razzista, sono arrabbiato.
[…] Ne ho abbastanza, ho un orgoglio. Non sono uno di quegli arabi addomesticabili. Ho so-
gni e ambizioni. Voglio spiccare il volo. Ascoltami, non sono trasparente, ricorda la mia faccia!
Devi ammettere che siete un popolo razzista. […] Voglio solo vivere. E mi stanno togliendo
la bella vita che sognavo. Ti preoccupi per te, ma mi fai male. […] Non sono razzista. Noi,
entrambi, non abbiamo un altro Paese, ed è qui che inizia il cambiamento.
NOTE E COMMENTI

IL DISCERNIMENTO SPIRITUALE
Miguel Ángel Fiorito S.I.

Il discernimento spirituale care la sua Parola, il suo Volto, la sua


Volontà… cercare il suo Regno1.
Il punto di appoggio, il cardi- Ma questo pensiero biblico si fa an-
ne attorno a cui gira tutta la dot- che ignaziano quando configura
286
trina di sant’Ignazio di Loyola sul un «uomo di azione» o un «uomo
discernimento spirituale è la ricerca attivo» caratterizzato dal fatto che,
di Dio in ogni momento. In que- senza smettere di cercare Dio nel-
sto senso essa non sembra poi così la vita ritirata o nella preghiera, lo
specifica di sant’Ignazio, perché ne cerca soprattutto nell’azione2.
sono pieni sia l’Antico Testamento L’uomo attivo cerca Dio soprat-
(cfr Am 5,4, con la nota della Bibbia tutto nell’azione. Inoltre, orienta la
di Gerusalemme) sia il Nuovo (cfr preghiera all’azione, e non vicever-
Mt 6,33, con la nota della Bibbia di sa, come fa l’uomo contemplativo.
Gerusalemme): cercare Dio, si dice, Pertanto la stessa azione lo prepa-
è interpellarlo, interrogarlo… cer- ra alla preghiera. È il «circolo pre-

1. Questo articolo, apparso originariamente in Boletín de espiritualidad, n. 80, aprile


1983, 1-16, è ora raccolto in M. Á. Fiorito, Escritos, V, Roma, La Civiltà Cattolica, 2019,
176-190. Qui ne presentiamo la seconda parte. Con il titolo «La paternità spirituale», ne
abbiamo presentato la prima parte in Civ. Catt. 2021 IV 430-438.
2. Nella Chiesa ci sono soltanto due tipi di vocazione: quella contemplativa e quella
attiva; e ciascuno di essi è caratterizzato dalle istituzioni che usa tipicamente (mezzi, orari
ecc.). Così afferma il Vaticano II: «[Ci sono] istituti dediti interamente alla contempla-
zione, in modo tale che i loro membri si occupano unicamente di Dio nella solitudine e
nel silenzio, in continua preghiera e intensa penitenza […], pur nella urgente necessità di
apostolato attivo» (Perfectae caritatis, n. 7); e ci sono anche «moltissimi istituti […] dediti
alle varie opere di apostolato. […] In questi istituti l’azione apostolica e caritatevole rientra
nella natura stessa della vita religiosa, in quanto costituisce un ministero sacro e un’opera di
carità, che sono stati loro affidati dalla Chiesa e devono essere esercitati in suo nome. […]
[E in questi istituti] bisogna che la loro azione apostolica si svolga in intima unione con
lui» (ivi). Le parole del Concilio Vaticano II dicono apertamente che, sebbene nella Chiesa
ci siano solo due tipi di vocazione, la «dimensione contemplativa» appartiene a entrambe.

© La Civiltà Cattolica 2021 IV 286-292 | 4113 (6/20 novembre 2021)


IL DISCERNIMENTO SPIRITUALE

ghiera-azione», di cui spesso parla rienza esterna, ovvero quella degli


Jerónimo Nadal, uno dei primi di- avvenimenti della vita quotidiana;
scepoli di sant’Ignazio3. Dobbiamo ma il «cerchio» non si chiude se
caratterizzare meglio questa ricerca non si tiene in conto l’esperienza
di Dio, soprattutto nell’azione. E interna, contemporanea all’altra.
per questo parleremo dell’esperien-
za, così come ne parla sant’Ignazio. Esperienza esterna
Che Dio vada cercato nell’e-
sperienza del discernimento è un Sull’importanza, nella spirituali-
principio basilare della spiritualità tà ignaziana, dell’esperienza esterna,
ignaziana. Ma l’esperienza del di- potremmo citare il padre Simón Ro-
scernimento è duplice: ovvero è al drigues, uno dei primi «compagni»
tempo stesso esterna (storica, nel- di sant’Ignazio. In una lettera indi- 287
le relazioni con gli altri) e interna rizzata a sant’Ignazio, egli diceva,
(nella propria coscienza). a proposito delle Costituzioni che il
C’è una relazione molto intima, santo stava redigendo a Roma: «Non
per sant’Ignazio, tra i due tipi di credo vada male aspettare alcuni
esperienza: il punto di partenza del giorni prima di confermarle [o di
discernimento ignaziano è l’espe- dichiararle chiuse], perché il tempo

3. Cfr M. Nicolau, Jerónimo Nadal S.I. (1507-1580): sus obras y doctrinas espirituales,
Madrid, Consejo superior de investigaciones científicas, 1949; si veda, nell’indice, l’espres-
sione «contemplativi nell’azione». Tuttavia ci pare più chiara la spiegazione che del «cerchio
preghiera-azione» dà san Pietro Favre, che conosceva sant’Ignazio da prima ancora. Egli
dice così nelle sue Memorie spirituali: «La tua vita [sta parlando a un uomo che come lui
stesso è nella vita attiva e non in quella meramente contemplativa] deve seguire Marta e
Maria insieme [modelli classici di vita attiva e di vita contemplativa] […]. Se però un tipo
di vita devi praticarlo in vista dell’altro e non per se stesso, come spesso capita, cioè se tu
intraprendi la preghiera come mezzo per agire meglio, oppure al contrario l’azione è in vi-
sta della preghiera, sarà più conveniente tutto sommato che tu orienti le tue orazioni verso
i tesori delle buone opere che non il contrario, e viceversa che tu miri nell’agire ai tesori
che si conquistano con la preghiera. Sarebbe diverso per chi conduce una vita puramente
contemplativa: il suo scopo è il radunare tesori di conoscenza e d’amore di Dio, ed egli non
ha bisogno di chiedere in ogni circostanza le grazie di cui necessitano coloro che si trovano
in una vita d’azione» (P. Favre, Memorie spirituali, n. 126). Poco sopra Favre aveva detto
che chi cerca Dio spiritualmente nelle opere buone (come è proprio dell’uomo attivo), poi
lo trova meglio nella preghiera di quanto non farebbe se lo cercasse anzitutto nella pre-
ghiera per trovarlo poi nelle opere. Quindi la soluzione di Favre al problema spirituale della
relazione tra preghiera e azione è duplice: in primo luogo, ordinare la preghiera all’azione;
e, in secondo luogo, cercare e trovare Dio anzitutto nell’azione, prima di farlo anche nella
preghiera (quest’ultimo elemento è il più originale del santo). Cfr M. A. Fiorito, Escritos,
cit., V, 56-59.
NOTE E COMMENTI

molte volte, e con il tempo Dio no- buono e l’altro dallo spirito cattivo»
stro Signore, insegna ai suoi servi»4. (Esercizi spirituali [ES], n. 32).
Sant’Ignazio ha tenuto conto Inoltre egli elabora un vero e
dell’esperienza esterna quando si è proprio «codice» di interpretazione
dedicato alla redazione delle Costitu- «per sentire [cioè rendersi conto] e
zioni della Compagnia di Gesù: non conoscere [cioè sapere da chi viene
ha chiuso – vale a dire non ha dato il pensiero] in qualche modo le va-
per confermate – quelle Costituzioni rie mozioni che si producono nel-
prima di aver avuto presenti sia l’e- l’[interno dell’]anima» (ES 313).
sperienza personale sia quella della Sant’Ignazio, negli Esercizi spi-
Compagnia, già sparsa per il mondo . rituali, aiuta questa esperienza in-
5

terna con qualcosa di «esterno» a


Esperienza interna colui che fa gli Esercizi: la contem-
288
plazione della vita di Cristo nostro
Tuttavia l’esperienza esterna Signore «secondo la carne».
non basta: serve anche l’esperienza A provocare – soprattutto negli
interna, che la accompagna sem- Esercizi – l’esperienza interna delle
pre. mozioni (affetti, sentimenti, pen-
Sant’Ignazio attira l’attenzione sieri...) è la contemplazione dei «mi-
sull’esperienza interna, o di co- steri della vita di Cristo nostro Si-
scienza, quando, introducendoci gnore» (cfr ES 261-312): come dice
all’esame di coscienza, ci dice: «Pre- l’Apocalisse con il suo linguaggio
suppongo che esistono in me [nel simbolico, soltanto l’Agnello, «in
mio intimo o nella mia coscienza] piedi, come immolato» (simbolo di
tre tipi di pensieri, cioè uno mio Cristo nella sua Passione e Risurre-
proprio […] e gli altri due che ven- zione), è «degno di prendere il libro
gono dall’esterno: uno dallo spirito e di aprirne i sigilli» (Ap 5,1-5; sul

4. S. Rodrigues, Epistolae, 531. Oggi diremmo che la storia è maestra di vita, o


che i segni di Dio vanno rintracciati nei segni dei tempi (cfr M. A. Fiorito, Escritos, cit.,
IV, 7-66). Qualche anno dopo sant’Ignazio, adottando come proprio il principio enuncia-
to da Rodrigues, così scriveva al superiore di una comunità di gesuiti in formazione: «Le
Costituzioni o regole che mi avete mandato le approvo, e penso che faranno bene all’inizio
della vostra vita di comunità. Con il tempo, l’esperienza vi insegnerà che cosa va aggiunto
o tolto» (Ignazio di Loyola, s., Epistolae, I, 661).
5. Stiamo per parlare della conferma della propria esperienza personale. Quanto alla
conferma da parte della Compagnia di Gesù, per questo il fondatore chiamò Nadal e lo
inviò a promulgare le Costituzioni in vari Paesi.
IL DISCERNIMENTO SPIRITUALE

«libro» come simbolo della «rivela- to nell’azione, tenendo presenti al


zione di Dio» cfr Is 29,11). tempo stesso entrambe le esperien-
Basti citare qui un solo testo ze: quella esterna (gli avvenimenti
ignaziano; quando introduce il della vita personale e/o comunita-
tema dell’elezione – o ricerca del- ria) e quella interna (della propria
la volontà di Dio –, egli dice così: coscienza).
«Considerato l’esempio che ci ha E se abbiamo parlato distinta-
dato nostro Signore per il primo mente delle due esperienze, è stato
stato di vita […], e così pure per ilper richiamare l’attenzione su quel-
secondo […], continueremo a con- la più dimenticata nell’esperienza
templare i misteri della sua vita [dal
del discernimento: l’esperienza in-
Battesimo all’Ascensione], comin- terna.
ciando al tempo stesso a ricercare e 1) Si cerca di giustificare que-
289
a domandarci in quale stato di vita sta dimenticanza accusando, per
sua divina Maestà vuole servirsi di esempio, l’esperienza interna di
noi» (ES 135). essere «solipsistica», individualista,
Ma il Gesù che contempliamo soggettiva e via dicendo.
non è soltanto un personaggio del Lo sarebbe, se fosse separata
passato: vive attualmente fra noi, e dall’esperienza esterna, ma non lo
ci conduce al futuro6. In altre pa- è, se si considerano entrambe allo
role, non è soltanto il «Cristo stori-
stesso tempo.
co», ma anche il «Cristo della fede» Gli avvenimenti della vita sono
a motivare la nostra esperienza in- maestri che Dio ci offre per gui-
teriore, alla luce della quale dobbia-
darci. Dobbiamo forse intende-
mo discernere la sua volontà sulla re questo come se Dio prendesse
nostra vita esteriore. nelle sue mani alcuni avvenimenti
per farne segni della sua volontà
L’esperienza del discernimento e lasciasse che gli altri seguano il
loro corso naturale? Niente affat-
In definitiva, la ricerca di Dio to. Dobbiamo comprendere che
va compiuta non soltanto nella gli avvenimenti che viviamo pro-
preghiera, ma anche e soprattut- vocano in noi – ovvero, nel nostro

6. Perciò sant’Ignazio ci fa cominciare ogni ora di preghiera «volgendo in alto la


mente e pensando che Dio nostro Signore mi guarda e cose simili» (ES 75): questo «sguar-
do» è quello di Cristo, risorto e glorioso, su di noi e sulla nostra vita (cfr M. A. Fiorito,
Escritos, cit., IV, 371-385).
NOTE E COMMENTI

intimo o coscienza – reazioni: ci Quindi il discernimento, seb-


sentiamo, nei vari avvenimenti o bene si basi sull’esperienza inte-
in uno di essi, contenti o umiliati, riore, non è «intimista», perché ha
ansiosi o liberi; sentiamo ogni tipo anche presente la contemporanea
di desideri o avversioni; formulia- esperienza esteriore8.
mo giudizi o prendiamo decisioni. 2) Per citare un solo esempio di
In altre parole, gli avvenimenti che ciò che diciamo, si ricordi l’espe-
viviamo nella nostra vita di relazio- rienza di sant’Ignazio quando gli
ne con gli altri ci agitano. fu notificato come una cosa certa,
Se prestiamo attenzione a que- a proposito del suo discepolo san
sta agitazione interiore, avvertire- Francesco Borgia – ecco l’espe-
mo che lo Spirito Santo ci insegna a rienza esteriore –, «che l’imperato-
distinguere, vale a dire a discernere, re aveva proposto il suo nome e il
290
fra tutti questi sentimenti, reazioni, papa era contento di farla cardina-
giudizi e decisioni, quali vengono da le», come egli scrive all’interessato9.
Dio e sono conformi a Gesù Cristo Sant’Ignazio sente subito – ed ecco
e quali no. In altri termini, trovare l’esperienza interna – «un’inclina-
Dio negli avvenimenti della nostra zione o mozione a porvi ostacolo
vita è discernere, in modo che l’av- con tutte le mie forze. Tuttavia non
venimento possa essere segno di Dio ero certo della volontà divina per
(o del «non-Dio»), segno con il quale molte ragioni pro o contro che mi
Dio ci chiama7. venivano in mente», vale a dire che

7. Cfr C. Flipo, «Trouver la décision», in Vie chrétienne, n. 175, 1975, 4-7.


8. Non è neanche «naturalista», perché non si accontenta della mera esperienza
esteriore – sociologica, psicologica, economica... –, ma tiene conto anche dell’esperienza
interiore della grazia e della tentazione (cfr M. A. Fiorito, Escritos, cit., IV, 7-66). C’è tut-
tavia una peculiare situazione in cui si può prescindere dall’esperienza interiore, non perché
la si neghi, ma perché è «tranquilla», vale a dire quando «l’anima non è agitata da vari spiriti
ed esercita le sue facoltà […] tranquillamente» (ES 177). È quello che sant’Ignazio chiama
«terzo tempo», in cui la grazia si manifesta proprio nella tranquillità o assenza di «varietà di
spiriti». Allora bisogna applicare la ragione, considerando «quali vantaggi o utilità ci siano
[…] nell’avere […], e viceversa considerare quali svantaggi e pericoli vi siano nell’averli.
Devo fare lo stesso […]: considerare vantaggi e utilità nel non averli, e viceversa svantaggi
e pericoli nel non averli» (ES 181). Dopo essersi fatti questo «quadro della situazione» in
cui si tiene conto soltanto dei pro e dei contro di una certa alternativa, si deve «osservare
da quale parte propende di più la ragione, e decidere sulla cosa in questione seguendo il
maggiore stimolo della ragione senza alcun influsso della sensualità» (ES 182) riguardo
alla volontà di Dio.
9. Ignazio di Loyola, s., «Lettera del 5 giugno 1552», in Monumenta Historica
Societatis Iesu, Epistolae, IV, 283-285.
IL DISCERNIMENTO SPIRITUALE

lo inclinavano ora a una scelta ora a in tutti questi documenti ignazia-


un’altra, al punto che «mi sono pre- ni potremo scoprire, se prestiamo
so tre giorni per pensarci e pregare». attenzione, una «esperienza di di-
«Durante questi tre giorni, in certe scernimento» che abbraccia a sua
ore, […] sentivo certi timori e non volta una esperienza «esterna» e
quella libertà di spirito per parla- una, distinta, esperienza «interna».
re [al Papa] e impedire la cosa. Mi
dicevo: Che so io cosa voglia fare ***
Dio nostro Signore? […] In altri
momenti […] sentivo questi timo- Finora abbiamo parlato del di-
ri allontanarsi. Dopo essere stato in scernimento, e l’abbiamo caratte-
questa perplessità a diverse riprese, a rizzato, in sant’Ignazio, con un’at-
volte con questo timore, a volte con tenzione all’esperienza al tempo 291
il sentimento contrario [vale a dire stesso esterna e interna.
con libertà di spirito] finalmente il Questa attenzione, nella spiri-
terzo giorno […] mi trovai […] con tualità ignaziana, ha un nome: esa-
un giudizio così deciso e con una me di coscienza.
volontà tanto soave e libera di op- Questo è un modo di pregare
pormi, quanto mi fosse possibile di che ci conviene vedere più appro-
fronte al Papa e ai cardinali che, se fonditamente, perché ci permette
non lo facessi, sarei e sono ancora di sottolineare l’importanza dell’a-
certo che non darei buon conto di spetto interno dell’esperienza di di-
me a Dio nostro Signore, ma lo da- scernimento, senza per questo tra-
rei anzi totalmente cattivo». scurarne l’aspetto esterno.
E che cos’altro è l’ Autobiografia
di sant’Ignazio se non la relazio- L’esame di coscienza
ne simultanea sulla sua esperienza
interiore (convalescenza a Loyola, Non si tratta di una coscienza
letture, viaggio in Terra Santa, stu- meramente morale di peccato, gra-
di a Barcellona, Alcalá, Salamanca ve o lieve, ma di qualcosa di più
e Parigi, e via dicendo) e sulla sua profondo e ricco. Ovviamente non
esperienza interiore (desiderio di escludiamo questo primo senso,
imitare i santi o di vita mondana, ma non ci limitiamo a considera-
timori ecc.)? re l’esame di coscienza come una
Potremmo dire lo stesso del preparazione «per purificarsi e per
Diario spirituale e delle lettere (di confessarsi meglio» (cfr ES 32-42).
governo o di direzione spirituale): Quando, nel contesto ignaziano
NOTE E COMMENTI

del discernimento degli spiriti, par- che evangelicamente viene chia-


liamo di «coscienza», la intendiamo mato «vigilanza»11, compresa come
come il «campo di battaglia» spiri- un modo di pregare.
tuale dove, come dice sant’Ignazio, In altre parole, l’esame di co-
si danno «tre tipi di pensieri [mo- scienza è un modo di pregare. Ci
zioni, affetti, sentimenti...], cioè sono altri modi di pregare (la pe-
uno mio proprio10 […] e gli altri tizione e il ringraziamento, per
due che provengono dall’esterno: esempio), che sono evangelici e
uno dallo spirito buono e l’altro altrettanto validi, ma la spiritualità
dallo spirito cattivo» (ES 32). Così ignaziana, come spiritualità emi-
intesa la coscienza, il suo esame – nentemente attiva, presenta l’esame
sia della preghiera sia dell’azione, sia di coscienza come il modo preferi-
particolare sia generale – è quello to e più frequente di pregare12.
292

10. Per confessarsi, basta preoccuparsi del «pensiero mio proprio» nel quale è il pec-
cato: non si è responsabili di ciò che «proviene dall’esterno», ma bisogna rispondere soltan-
to di ciò che «deriva unicamente dalla mia libertà e dalla mia volontà» (ES 32).
11. Cfr Mt 26,41; Mc 14,38; Lc 21,36. Questi testi connettono la vigilanza con la
preghiera e sembrano dire che la migliore «vigilanza» è un «atteggiamento di preghiera»;
ovvero, che è un modo di pregare, come lo è, per sant’Ignazio, l’esame di coscienza. Per
questo Xavier Léon-Dufour così conclude le sue considerazioni sul termine biblico «ve-
gliare, vigilare»: «Dunque la vigilanza […] caratterizza il cristiano […]. D’altra parte […]
la vigilanza cristiana richiede al discepolo una preghiera e una sobrietà continue: “Vegliate,
pregate, siate sobri”. L’uso di due verbi («vegliare» e «pregare») può implicare una «endiadi»
(letteralmente, uno per mezzo di due); ovvero due verbi con una subordinazione di uno
rispetto all’altro, per esprimere l’azione di uno solo, che sarebbe quello principale. Se così
fosse, la raccomandazione del Signore implicherebbe un atteggiamento (la vigilanza) sotto
forma di preghiera. Il testo di Luca lo esprimerebbe meglio, perché il verbo “vegliare” è
all’imperativo (come verbo principale); e il verbo “pregare” al gerundio (come verbo su-
bordinato, che spiega il modo di vegliare)» (Cfr X. Léon-Dufour, I Vangeli e la storia di
Gesù, Milano, Paoline, 1967).
12. «Un altro tratto della vita interiore di sant’Ignazio è la coesistenza in lui, fino alla
fine della sua vita, di doni infusi […] con pratiche ascetiche che a molti sarebbero parse
buone soltanto per principianti. In primo luogo, l’uso frequente di esami di coscienza,
continuati fino alla fine della sua vita. […] Ribadeneira preciserà: ha sempre avuto quest’a-
bitudine di esaminare a ogni ora la sua coscienza. […] E segue un aneddoto citato molte
volte: avendo incontrato un padre […], gli domandò quante volte si fosse esaminato quel
giorno. Siccome, se non ricordo male, aveva risposto sette volte, nostro padre [Ignazio]
ribatté: così poche? E mancava ancora una buona parte della giornata» ( J. de Guibert, La
espiritualidad de la Compañia de Jesús, Santander, Sal Terrae, 1955).
ÉRIC ROHMER
Riflessioni alla luce della
«Nouvelle vague» del cinema rumeno
Piero Loredan S.I.

Il cinema di Rohmer ducibili a uno stile facilmente rico-


noscibile; la sua impronta continua
Éric Rohmer (1920-2010), a ispirare molti degli autori con-
nome d’arte di Jean-Marie Maurice temporanei.
Schérer, è uno dei principali espo- Quali sono gli elementi di- 293
nenti della Nouvelle vague, la «nuo- stintivi del cinema di Rohmer che
va onda» del cinema francese, nata possono ispirare anche i cineasti
a fine anni Cinquanta del secolo di oggi? La domanda è stata posta
scorso per promuovere un cinema (indirettamente) dal Transilvania
più aderente alla realtà e alla vita. International Film Festival (Tiff), il
Come Godard, Truffaut, Rivet- principale festival di lungometrag-
te e Chabrol – gli altri fondatori del gi della Romania, svoltosi a Cluj-
movimento –, prima di dedicarsi Napoca dal 23 luglio al 1° agosto
alla regia, Rohmer ha collaborato scorsi. Il Tiff, giunto alla sua ven-
con André Bazin nella redazione dei tesima edizione, ha proposto ai nu-
Cahiers du Cinéma, la più prestigiosa merosi cinefili – arrivati da tutto il
rivista cinematografica francese. mondo nel cuore della Transilvania
In linea con la politica portata – una retrospettiva su Rohmer. Per
avanti dagli autori della Nouvelle professionisti e dilettanti del mon-
vague – secondo cui il ruolo del re- do del cinema è stata un’occasione
gista non si esaurisce nel compito per guardare al futuro sulle spalle
tecnico di confezionare un prodot- di un gigante, per riscoprire un au-
to attraente per il grande pubbli- tore cui attingere per rinnovare il
co, ma nell’essere padre-autore di cinema contemporaneo.
un’opera espressione di una poetica La selezione di film proposta
personale –, il regista francese ha dal festival ha permesso di mettere
firmato anche la sceneggiatura dei a fuoco la poetica del regista fran-
suoi film. Le sue opere sono ricon- cese: un inno all’esistenza umana,

© La Civiltà Cattolica 2021 IV 293-299 | 4113 (6/20 novembre 2021)


ARTE MUSICA SPETTACOLO

colta nella sua complessità e inaf- tezza come occasione per scendere
ferrabilità. Come emerso dai film in profondità, per ri-scoprire senza
riproposti dal Tiff, protagonista del fretta qualcosa di noi e delle nostre
cinema di Rohmer è la vita quo- relazioni nelle vite dei suoi prota-
tidiana, presentata senza artifici e gonisti.
cosmesi. Il cinema del regista fran- Proprio il tema delle relazioni,
cese non ci invita a evadere dalla e soprattutto del desiderio e dell’a-
realtà, bensì a scoprirla, a lasciarci more, è centrale nei suoi film. Nel
sorprendere dalla sua bellezza, a corso di lunghissimi dialoghi – che
cogliere quanto nella vita di ogni sono una caratteristica principale
giorno passa sotto l’occhio addor- del cinema di Rohmer – i perso-
mentato dell’abitudine. naggi si conoscono, si corteggiano,
Lo stile è essenziale: lunghe cercano di comprendersi e di com-
294
inquadrature fisse e montaggio prendere il mondo in cui ballano e
linea­re inducono l’occhio a soffer- traballano, a volte con leggerezza,
marsi sui volti, sui gesti dei prota- a volte con difficoltà. La macchina
gonisti, sul contesto in cui vivono da presa segue i personaggi men-
e sulle loro esitanti discussioni. Lo tre si spostano da un luogo all’altro:
spettatore quasi si dimentica della la Louise di Le notti della luna pie-
mediazione della macchina da pre- na (1984) si affanna tra la casa che
sa; davanti a lui scorre la vita nella condivide con il suo ragazzo e un
sua semplicità, intrecciata con le angolo-rifugio nel cuore di Parigi,
sue grandi domande. mentre la Félicie di Racconto d’in-
Il ritmo lento costituisce una verno (1991) si divide indecisa tra
provocazione: chi ha oggi la pa- le case dei due uomini tra cui vor-
zienza di fermarsi, di ascoltare, di rebbe scegliere e l’abitazione della
osservare, di lasciarsi interrogare madre.
dalle domande e dall’apparente in- L’attenzione ai luoghi è dunque
genuità dei protagonisti, di risco- un’altra caratteristica dei film del re-
prire – insieme ai personaggi dei gista francese. Tutt’altro che ridotti
suoi film – il fascino misterioso e a semplice cornice, essi giocano un
inafferrabile delle relazioni umane? ruolo significativo nei suoi film: ac-
Come per ogni bellezza che compagnano le vicende (interiori ed
non sia abbagliante, per ogni verità esteriori) dei protagonisti, metten-
che richieda un cammino da fare, il done a fuoco le vicissitudini.
cinema di Rohmer esige pazienza. Nel film Il raggio verde (1986),
I suoi film sono un invito alla len- Delphine si sposta febbrilmente tra
ÉRIC ROHMER

città, mare e montagna, alla ricerca dei suoi personaggi, esposte nei
di un luogo-vacanza in cui sentirsi lunghi dialoghi. Ne La mia notte con
a casa: da nessuna parte e con nes- Maud (1969), ad esempio, il con-
suna persona riesce a sentirsi dav- fronto verbale dei protagonisti – in
vero a proprio agio. cui etica e fede si intrecciano – fa i
La spiaggia e il mare, in Rac- conti con la complessità della vita e
conto d’estate (1996), evocano un’a- delle situazioni in cui si trovano i tre
pertura di orizzonti e di possibilità personaggi del film.
in cui il giovane protagonista non
riesce a orientarsi: inquieto e inde- Rohmer e i cineasti di oggi
ciso, passeggia senza meta e senza
sosta, con improvvisi cambi di di- La poetica di Rohmer apre dun-
rezione, insieme a tre ragazze, tra le que orizzonti sempre attuali. Cosa
295
quali non è capace di scegliere. può dire allora il regista francese a
La scelta è un altro tema fon- chi oggi «vive» di cinema? Nell’am-
damentale del cinema di Rohmer, bito del Tiff, abbiamo rivolto que-
insieme a un velato ottimismo nei sta domanda a Ion Indolean, critico
confronti della vita. Ne Il raggio verde cinematografico e giovane regista
l’impossibilità di Delphine di sceglie- rumeno, che ha presentato in com-
re il proprio «compagno di vita» tra petizione al festival il film Toni &
le persone del suo ambiente si risolve prietenii săi («Toni e i suoi amici»).
in un incontro inaspettato per bel- Negli ultimi anni si è molto par-
lezza e autenticità. Allo stesso modo, lato di «nuova onda del cinema ru-
in Racconto d’inverno la speranza in- meno» (Noul Val Românesc), spesso
genua di Félicie di ritrovare il grande associata alla Nouvelle vague fran-
amore della sua giovinezza – perdu- cese per la ventata innovatrice e di
to per un equivoco – si concretizza rottura rispetto alla cinematografia
in modo imprevedibile. Il caso (o la nazionale precedente. Sebbene sia
provvidenza) mescola le carte, crean­ difficile racchiudere in una singola
do incontri o dissipando illusioni. In etichetta film molto diversi tra loro,
Racconto d’autunno (1998) Isabelle è interessante osservare come dai
orchestra magistralmente l’incontro primi anni 2000 una nuova genera-
della sua amica Magali, sola e disillu- zione di registi rumeni abbia trion-
sa, con un potenziale futuro partner; fato ai festival internazionali con
il lieto fine è dietro l’angolo. film – prodotti con budget limitati
Sempre nel cinema di Rohmer, – che si distinguono per il realismo
la realtà sorprende e supera le idee minimalista. Con uno stile asciut-
ARTE MUSICA SPETTACOLO

to ed essenziale, i film della «nuova il più innovativo della sua cinema-


onda» presentano un affresco della tografia; potrei definirlo la «ricerca
realtà rumena odierna e del recente dell’ineffabile», di quei momenti che
passato, mettendone in luce difficol- accadono senza essere stati pensati in
tà e contraddizioni. Come per ogni precedenza.
opera d’arte, la particolarità dei temi
e delle situazioni narrate ha un’eco Secondo te, quale dei registi con-
universale: i film sono di grande in- temporanei, e in che modo, è stato
teresse e attualità ben oltre i confini maggiormente influenzato dalla ci-
del Paese. nematografia di Rohmer?
È difficile dirlo. Si potrebbe
Una conversazione con Ion Indolean intuire, dal suo modo di lavora-
re, che un regista sia stato ispira-
296
Chiarito brevemente il contesto to dall’opera di alcuni maestri, ma
in cui lavora chi fa cinema in Ro- non è detto. Probabilmente, l’uni-
mania, entriamo in conversazione co regista che potrei dire con cer-
con Ion Indolean. tezza che si sia ispirato al «metodo
Rohmer» è Cristi Puiu – uno dei
Quali sono per te gli elementi più più grandi interpreti del cinema
significativi e innovativi della cine- rumeno contemporaneo –, che a
matografia di Rohmer? un certo punto, in relazione a una
Penso che l’aspetto più interessan- sequenza del film Trei exerciții de
te della cinematografia di Rohmer interpretare («Tre esercizi di inter-
sia il modo in cui sceglie di improv- pretazione»), ha detto: «Il sole esce
visare molte volte durante le riprese. ed entra dalle nuvole», il che mi ha
Nei suoi film si avverte una ricerca di reso molto felice, perché questo è,
autenticità: questo è un aspetto che i senza volerlo, una sorta di omag-
registi della sua generazione non rie­ gio a Rohmer.
scono a realizzare in modo così ef-
ficace. Nei film di Rohmer l’azione In che modo Rohmer ti ha in-
sembra costruita per caso, anche se fluenzato nei film che hai realizzato?
sono sicuro che egli ha sempre chia- Penso che mi abbia influenza-
ro nella mente dove vuole portare le to direttamente e indirettamente.
sue storie. È estremamente difficile Direttamente, per il fatto che alcu-
per un regista dare la sensazione che ni dei suoi film hanno suscitato in
il suo film si sia costruito da solo, per me domande significative, punti di
così dire. Questo aspetto mi sembra partenza importanti per il mio la-
ÉRIC ROHMER

voro. Ad esempio, mi hanno spinto per lo meno, desidero che gli atto-
a chiedermi cosa potrei prendere ri esprimano alcuni degli elementi
in prestito da lui, come sceglierei della propria personalità nel perso-
di risolvere artisticamente un certo naggio che interpretano.
momento narrativo, o come si fa a
costruire una storia che non sembra Dal punto di vista dei temi dei
essere stata scritta prima. suoi film, qual è l’aspetto più signi-
D’altra parte, mi ha influenza- ficativo e forse più interessante per i
to indirettamente attraverso Cri- cineasti di oggi?
sti Puiu, che ho seguìto da vicino. È una domanda molto diffici-
Puiu si riferisce spesso ai film e al le, alla quale non so come rispon-
modo in cui lavora Rohmer. C’è dere, perché richiederebbe di
sempre una sensazione di freschez- esaminare tutti i film di Rohmer
297
za nei film di Rohmer, una sensa- e cercare potenziali risposte. For-
zione che Puiu riprende e porta in se un aspetto rilevante per oggi
un’altra direzione. Nella mia tesi è proprio questa sua capacità di
di laurea ho trattato del già citato costruire storie individuali, ap-
film di Puiu Trei exerciții de inter- parentemente insignificanti, ma
pretare, da lui realizzato in Fran- che lasciano un messaggio forte
cia, nell’ambito di un laboratorio dietro di sé. Questa però non è
di recitazione. Lì Puiu più volte fa una caratteristica che troviamo
riferimento diretto a Rohmer. Ho soltanto nei film di Rohmer: tan-
già menzionato la sequenza in cui ti grandi registi partono dal par-
il sole entra ed esce dalle nuvole in ticolare e finiscono per fornire
modo tale che la luce cambi senza elementi universalmente validi.
la volontà di Puiu. Il regista rume- Il regista francese, tuttavia, lo
no non rinuncia a questo ciak, anzi fa più sistematicamente nei suoi
è contento che sia successo qualcosa film, specialmente nella serie
di sorprendente durante la ripresa. dei Sei racconti morali, come la
Per quanto mi riguarda, cerco chiama lui. Morali e non mora-
sempre di trovare persone che in- leggianti. Lì Rohmer affronta la
terpretino se stesse, si tratti di attori natura umana. Per lui, un mora-
professionisti o di dilettanti. Non lista è interessato a comprendere
voglio necessariamente ruoli pre- e descrivere cosa succede nella
parati ad hoc, ma piuttosto mi in- mente dell’uomo, si occupa dello
teressa che chi recita sia davanti alla stato mentale e dei sentimenti di
telecamera come è realmente. O, una persona. Rohmer non è mo-
ARTE MUSICA SPETTACOLO

raleggiante, ma cerca di presen- venzionali e penetrano nella mente


tare la morale umana. Penso che dello spettatore attraverso le idee
questo sia il momento migliore che propongono.
della sua carriera, anche se egli
ha fatto altri film importanti, che Qual è, secondo te, il contributo
apprezzo. Rohmer ha mantenuto principale che il cinema rumeno può
per tutta la vita questo interesse offrire al cinema internazionale?
per lo spirito e la psiche umana: è La rilevanza delle storie locali.
un filosofo del cinema. Ed è inte- La Romania è all’incrocio di alme-
ressato ai grandi temi della storia no tre culture contrastanti: i Balca-
umana, il che lo rende importan- ni, l’Occidente e la Russia (per chia-
te per la generazione attuale, e di marla in modo generico). Abbiamo
fatto per qualsia­si generazione. I attinto qualcosa da ogni luogo, ab-
298
suoi grandi temi non cambiano biamo una cultura ricca e variegata.
radicalmente. Dobbiamo servircene. Abbiamo an-
che una storia complicata con molti
Qual è il tuo film preferito, e perché? cambiamenti. Per arrivare al presen-
L’ amour, l’après-midi («L’amore te, ci sono molte storie che si possono
il pomeriggio») (1972), pur ricono- raccontare. Alcune sono negative,
scendo che devo ancora vedere mol- come la corruzione; altre positive,
ti film di Rohmer. Lo preferisco, come le nostre tradizioni. Noi siamo
perché in esso Rohmer ha toccato volubili quando ci lamentiamo, ma
di più il mio cuore. Il dilemma che non quando è il momento di agire.
vive il protagonista è innanzitutto Conosciamo bene i nostri diritti, ma
un dilemma amoroso, ma a livello non quelli di chi ci sta intorno. Il
più ampio è un dilemma morale. crollo del comunismo è stato un ar-
Penso che lì Rohmer riesca a cattu- gomento forte per la generazione di
rare molto bene come una decisio- registi come Puiu, Mungiu, Porum-
ne di un momento possa cambiare boiu. Ora possiamo dire che siamo
il corso della nostra vita. È un invito passati alla fase successiva del capita-
a riflettere bene prima di buttarci, lismo rumeno, e qui sono certo che
indipendentemente dal contesto o potranno apparire nuovi temi, come
dall’epoca in cui viviamo. ad esempio, per gli anni Novanta e il
Tutti i film francesi sono inte- 2000, il documentarista Alexandru
ressanti, affrontano argomenti es- Solamon li ha identificati con Ka-
senziali; alcuni portano proposte pitalism – reţeta noastră secretă («Ca-
formali audaci, altri sono più con- pitalismo, la nostra ricetta segreta»).
ÉRIC ROHMER

Ritengo che abbiamo qualcosa da sta strada. I consigli che darei sono
offrire al cinema sia formalmente quelli che do a tutti miei studenti e
sia, soprattutto, in termini di storie a cui credo che pochi pensino: fare
che possiamo raccontare. di più dei compiti che ricevono a
scuola, essere buoni autodidatti, es-
Ultima domanda: tu hai coronato sere sempre curiosi su tutto, capire
il tuo sogno di diventare un regista. il mondo in cui vivono, valutare
Quale consiglio daresti a chi come te bene se questo è proprio il percor-
volesse intraprendere questa strada? so che vogliono intraprendere. Per
Non è stata la realizzazione di avere successo in qualsiasi campo,
un sogno, ma piuttosto una serie di ma soprattutto nei campi creativi,
congiunture mi ha portato su que- devi impegnarti seriamente.
299
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

GIANCARLO PANI

300 R OBERTO BELLARMINO.


CERCATORE DELLA VERITÀ
Palermo, Pietro Vittorietti, 2021, 128, € 10,00.

Il 17 settembre 2021 si è celebrato il quarto centenario della morte di


Roberto Bellarmino, gesuita e cardinale, avvenuta a Roma nel 1621 in odore
di santità, al punto che sul letto di morte «le sue vesti divennero all’istante
reliquie che andavano letteralmente a ruba» (p. 13). In modo essenziale ma
coinvolgente e ben documentato, l’A. offre un agile profilo della vita del San-
to, canonizzato soltanto nel 1930 da Pio XI, dopo un iter piuttosto complesso.
Prendendo come filo conduttore la cosiddetta Autobiografia, uno scrit-
to privato composto dal Bellarmino su richiesta del Preposito generale della
Compagnia, si ripercorrono le tappe essenziali della vita di san Roberto, il suo
ruolo di teologo di punta svolto nella Curia romana del Cinque e Seicento,
ma anche la sua attività di docente – fu anche rettore del Collegio romano, da
cui l’attuale Università Gregoriana – e di pastore. Ne emerge la figura di un
uomo alla ricerca sincera della verità – come riassume il sottotitolo –, libero,
perché orientato a Dio solo. «Oggi lo definiremmo un intellettuale aperto
ed equilibrato, capace di esercitare il proprio compito con spirito critico, con
rigore, con fermezza ma anche con attenzione alla Tradizione della Chiesa e
della cultura a lui contemporanea» (p. 8).
Nato a Montepulciano nel 1542, Roberto entra nella Compagnia di Gesù
nel 1560. Giovane predicatore di successo a Lovanio, si propone di «conso-
lidare nella fede il cattolico e convertire l’eretico dalla sua mala fede» (p. 26),
dimostrando le verità della dottrina cattolica a confronto con le tesi dei pro-
testanti. Sarà questo il motivo principale di molti suoi scritti e in particolare
della sua opera maggiore, le Controversie, «un capolavoro di ricerca storica e
insieme un modello di argomentazione, che da un lato si ispirava alla carità e
al rispetto, dall’altro era totalmente privo di rancore e di espressioni ingiurio-

© La Civiltà Cattolica 2021 IV 300-310 | 4113 (6/20 novembre 2021)


RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

se, usuali nelle relazioni tra le diverse confessioni» (p. 37). Vi ricorrono temi
fondamentali del dibattito con la Riforma: la Scrittura, la Tradizione, il pri-
mato del papa, quest’ultimo con sviluppi all’interno dello stesso cattolicesimo
fino alla proclamazione del dogma dell’infallibilità nel Vaticano I.
Buona parte della fama del Bellarmino deriverà dalla teoria del potere in-
diretto del papa sul potere politico, che però, rileva l’A., era già stata formaliz-
zata da san Tommaso nel Medioevo. La novità da lui introdotta stava nell’aver
precisato che il potere politico era completamente autonomo e legittimo ri-
spetto alla Chiesa, e quindi il papa non poteva ritenersi il sovrano assoluto del
mondo, come avrebbe voluto Sisto V (cfr p. 46). Questo costò al Bellarmino
l’inserimento del suo primo libro delle Controversie nell’Indice dei libri proibiti,
il che tuttavia non ebbe alcuna conseguenza a causa della morte del ponte-
fice. Clemente VIII fu il papa che lo creò cardinale, ma fu anche il papa che
lo allontanò da Roma, inviandolo come arcivescovo a Capua (1602-1605): il
Bellarmino non aveva esitato ad affermare che il papa non era padrone, ma
301
servitore della Chiesa. Fu un periodo breve, ma fecondo di attività pastorale,
prima che fosse richiamato a Roma per il conclave.
Come teologo del Sant’Uffizio il Bellarmino partecipò anche al processo
contro Giordano Bruno, finito con la condanna al rogo il 17 febbraio 1600
a Campo de’ Fiori. Non è possibile stabilire con certezza quale fu il suo con-
tributo in questa vicenda, mentre l’A. ricostruisce il suo coinvolgimento nel
«caso Galileo», al quale è legata la sua fama nel XX secolo. Si ricordano la
conoscenza che egli aveva della teoria di Copernico, un incontro con Galileo
nel 1616 e una lettera con l’invito prudenziale a non parlare della dottrina
del copernicanesimo come cosa certa, perché era un’ipotesi non dimostrata.
Molti nella Curia romana, come pure negli ambienti accademici e cultura-
li italiani, avevano paura della forza distruttiva della nuova astronomia, che
sembrava contraddire la lettera della Scrittura.
La condanna di Galileo, avvenuta nel 1633, quando il Bellarmino era
morto da 12 anni, «non fu casuale, ma la necessaria conseguenza del rifiuto,
da parte della Chiesa, di distinguere quanto lo studioso proponeva: un ambito
proprio della scienza e uno della rivelazione e della fede» (p. 113). Il Bellarmi-
no fu anche padre spirituale del giovane Luigi Gonzaga, ne riconobbe la san-
tità e lo assistette giorno e notte negli ultimi momenti di una vita breve, ma
spesa fino allo sfinimento nell’assistenza agli appestati. San Roberto «fa parte
di quella generazione di pastori e mistici della Riforma cattolica che hanno
accompagnato la Chiesa dal Medioevo all’Età moderna, e hanno contribuito,
pur con i loro limiti, all’edificazione della Chiesa di oggi» (p. 118).

Clara Maria Fusciello


RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

ANA VARELA TAFUR

V OCI DALLA RIVA - VOCES DESDE


LA ORILLA
a cura di MAURIZIO MAZZURCO,
Roma, Edizioni Progetto Cultura, 2021, 114, € 12,00.

La prima citazione di poeti che troviamo nell’esortazione apostolica di


papa Francesco Querida Amazonia (QA) fa riferimento a questi «alberi vivi
che non vogliono morire»: sono alcuni versi della poesia Timareo (1950), in-
serita nel libro di Ana Varela Tafur Lo que no veo en visiones. La citazione è
contenuta nel primo dei quattro sogni del Papa – «Un sogno sociale» – ed
esprime il grido verso il cielo dei popoli indigeni, rivieraschi e di origine
africana, che furono espulsi dalla loro terra o assediati dagli interessi dei co-
lonizzatori: «“Molti sono gli alberi / dove abitò la tortura / e vasti i boschi /
comprati tra mille uccisioni” (Ana Varela Tafur, Lo que no veo en visiones,
302
Iquitos-Perù, Tierra Nueva, 2010, 8)» (QA 9).
È significativo che l’esortazione apostolica abbia scelto questa poesia, che
si apre e si conclude con la denuncia della «non registrazione» della vita e della
cultura di molti popoli da parte della storia ufficiale. Di ciò che la storia non
registra è invece la poetessa a dare una documentazione minuziosa.
Per chi intende approfondire i poeti citati dal Papa, l’incontro con la poe-
sia di Varela Tafur è un evento che costituisce una «porta d’ingresso», perché
attraverso un’opera concreta ci è reso possibile entrare nel cuore di un popolo,
ossia nella sua cultura. Così afferma l’A. nel prologo all’edizione bilingue: «Le
registrazioni orali e scritte costituiscono un universo personale e collettivo».
Alle voci umane del libro fanno eco le voci non umane dell’Amazzonia, «ca-
paci di creare linguaggio dove la natura parla rivelando codici». Queste voci
creatrici di linguaggio «sperano di essere riconosciute con lo stesso valore di
altre lingue del Pianeta».
Per registrare queste voci, l’A. ha attraversato l’Amazzonia, da un popolo
all’altro, e oggi può rallegrarsi perché «dopo 20 anni dalla sua pubblicazione
a Iquitos, le voci di questo corpo letterario arrivano sui mari e sulle coste d’I-
talia». Ogni cultura ama comunicare se stessa, e il fatto che raggiunga altre
sponde costituisce un motivo di gioia e di reciproco arricchimento.
Queste voci hanno attratto anche Maurizio Mazzurco, risvegliando in lui
il desiderio di farle ascoltare in italiano. Il sogno si è tradotto così in questa
edizione accurata, di cui l’Ambasciata del Perù si è fatta promotrice. Ed è in-
teressante anche ascoltare il traduttore, Claudio Fiorentini, il quale ci fa «sen-
tire» quasi fisicamente che «la poesia di Varela Tafur ha un respiro magmatico
e argilloso: è fango che si incolla sulla pelle, sudore che cola sulla schiena,
pantano che ti pasticcia i piedi, e sangue, sangue, sangue della memoria delle
stragi. A tratti è difficile scorporare le singole poesie dall’insieme, una scultu-
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

ra di parole, una storia che restituisce dignità agli antenati: a donne e uomi-
ni minimi, persone morte per l’avidità del commerciante o perché trascinati
dalla corrente del Rio e ora cullati dalla grande Madre, quell’acqua invadente
e spietata che tra piene e magre canta i suoi quotidiani ritmi».
L’Amazzonia è una zona del Pianeta che genera tanta vita, e non trasmet-
te solo aria, ma anche il desiderio di parlare un linguaggio che ha la sonorità
dei suoi suoni. Essa crea poesia, e l’A., con il suo orecchio attento, ha il privi-
legio di «registrare, archiviare e condividere» le voci che dialogano in questi
linguaggi.
Concludiamo con la sintesi di Fiorentini: «Questo libro è una silloge da
leggere come un romanzo, diviso in due parti e chiuso con una splendida
ode. Le due parti, denominate archivi, cantano alla terra attraverso i suoi
sentieri e alla imponente presenza dell’acqua attraverso piene, magre e piog-
ge. La conclusione parla direttamente alla grande Madre, l’Amazzonia, vista
come un essere spirituale e spietato che impone, attraverso la sua frattura, il
303
pianto del Rio e dei suoi affluenti, non più grido della terra, ma ritmo della
vita. Ne deriva un testo fisico e grandioso».

Diego Fares

VANNINO CHITI

I L DESTINO DI UN’IDEA E IL FUTURO


DELLA SINISTRA. PCI E CATTOLICI
UNA RADICE DELLA DIVERSITÀ
Milano, Guerini e Associati, 2021, 208, € 18,50.

Il Partito comunista d’Italia, divenuto nel 1943 Partito comunista ita-


liano, nasce a Livorno, da una scissione del Partito socialista, il 21 gen-
naio del 1921. Dagli anni Novanta del secolo scorso non esiste più, e nel
centenario della sua formazione Vannino Chiti, politico e studioso del
movimento cattolico, ripercorre la storia e l’evoluzione del Pci dal punto
di vista del suo rapporto con il cattolicesimo italiano. Come un «palom-
baro» d’eccezione, egli ci conduce nelle profondità di certi valori politici,
recuperandoli all’attualità delle urgenze dei nostri tempi e in vista di un
progetto comune.
Tre sono i protagonisti che scandiscono i temi principali di questa av-
ventura politica: Gramsci, Togliatti, Berlinguer. Essi non erano cattolici,
ma, nell’interrogarsi sulla società italiana, incontrarono il cattolicesimo in
molteplici aspetti. Anzitutto, con la «questione romana» e la presenza della
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

Santa Sede dopo il 1870, ma poi anche nelle abitudini del popolo e nelle
attività sindacali e associazioniste.
Per Gramsci l’obiettivo fondamentale era «la liberazione dell’uomo: la
critica alla religione si giustifica quando costituisce un impedimento a rea­
lizzarla» (p. 31). Per Togliatti, invece, si trattava di riconoscere la pos-
sibilità di impegnarsi in un movimento di orientamento socialista non
«nonostante» la propria fede religiosa, ma in piena coerenza, e sapendo che
«tale aspirazione può trovare uno stimolo in una sofferta coscienza religiosa
posta di fronte ai drammatici problemi del mondo contemporaneo» (p. 69).
Infine Berlinguer, che, in una lettera del 1976 indirizzata a monsignor Luigi
Bettazzi, affermava: «Nel Partito comunista italiano esiste e opera la volontà
non solo di costruire e di far vivere qui in Italia un partito laico e democra-
tico, come tale non teista, non ateista e non antiteista; ma di volere anche,
per diretta conseguenza, uno Stato laico e democratico, anch’esso dunque
non teista, non ateista, non antiteista» (p. 115).
304
L’A. allora si chiede: «Esiste ancora una questione cattolica?». La do-
manda non riguarda soltanto l’Italia, ma l’Europa e il mondo, pur nella
diversità delle forme con cui le religioni, nei vari continenti, si sono pre-
sentate sulla scena pubblica. Per poter rispondere in modo giusto a que-
sta domanda, essa dovrebbe essere formulata in termini più appropriati:
«Esiste per la politica una questione religiosa con cui misurarsi?» (p. 181).
Secondo Chiti, sì, esiste, e la sinistra in Europa la sta sottovalutando. Le
religioni esprimono una radicalità – non radicalismo – che non è da con-
fondere con l’individualismo: la radicalità delle proprie convinzioni, che
spingono al ripensamento della comunità dentro la quale si realizzano le
nostre individualità, i diritti, ma anche «il dialogo tra i credenti e i diver-
samente credenti» (card. Martini).
La sinistra dovrebbe promuovere una profonda riforma dell’economia
di mercato attraverso un nuovo compromesso con il capitalismo, fondan-
dola su tre cardini: dignità della persona, non più del solo lavoratore;
welfare universale; ecologia. Questa riformulazione fondamentale apre la
via a quello che da tanti anni l’A. definisce un «nuovo umanesimo» (p. 203).
Nelle parole di Chiti si avverte l’eco di due importanti encicliche di papa
Francesco: Laudato si’, in cui c’è l’invito del Papa a costruire un sistema
economico e sociale più giusto e rispettoso del creato, che abbia al centro
l’uomo e non l’idolatria del denaro; e Fratelli tutti, dove il Papa indica la via
su cui camminare per raggiungere questo obiettivo: il riconoscersi fratelli
e sorelle, custodi l’uno dell’altro.

Giovanni Luchetti
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

ALESSANDRO BARBERO

D ANTE
Bari - Roma, Laterza,
2020, 368, € 20,00.

Su Dante Alighieri, il maggiore poeta della letteratura italiana e forse


il più grande letterato di tutti i tempi a livello mondiale, sono stati scritti
migliaia di libri in pressoché tutte le lingue, e molti ne sono stati pubbli-
cati in occasione della ricorrenza dei 700 anni dalla sua morte, avvenuta a
Ravenna presumibilmente fra il 13 e il 14 settembre 1321. Tra questi ultimi
dobbiamo annoverare quello di Alessandro Barbero, professore di Storia
medievale presso l’Università del Piemonte Orientale.
Di fronte a un nuovo saggio su Dante, la prima domanda che viene da
porsi è se esso rappresenti qualcosa di davvero innovativo, se cioè apporti
informazioni non ancora conosciute sulla vita del Poeta e se proponga visioni
305
alternative di critica letteraria, oppure se faccia emergere novità rilevanti nel-
lo studio filologico delle opere sia in latino sia in volgare. Nel nostro caso, la
risposta è quantomeno bivalente: da un lato, il libro non presenta veri e propri
«scoop», né dal punto di vista storico-biografico né da quello strettamente
critico-letterario; dall’altro, però, mette ordine nella complessa vicenda della
vita di Dante e la inserisce in maniera organica nel suo tempo, con una note-
vole mole di dati e un’originale linearità espositiva.
Il saggio di Barbero si caratterizza proprio per un costante richiamo delle
fonti documentaristiche, sulla base delle quali vengono fornite le informa-
zioni, formulati i giudizi e avanzate ipotesi; ma tutto si dipana con uno stile
appassionato e chiaro, che coinvolge anche il lettore culturalmente meno pre-
parato sull’argomento. Si parte dagli avi dell’Alighieri, e da qui si ricostruisce,
per quanto possibile, il suo albero genealogico o parentale, per poi seguire
passo passo la sua esistenza, dalla nascita alla morte, cercando di metterne in
luce il carattere, le passioni mondane, la vivacità intellettuale, l’infatuazione
per la politica, la fede religiosa cristiana e la tristezza esistenziale in alcuni
momenti difficili della sua vicenda terrena.
Il libro inizia con un avvenimento topico nella vita del poeta, che si veri-
fica intorno ai suoi 24 anni: la battaglia di Campaldino dell’11 giugno 1289,
vinta dai Guelfi, in prevalenza fiorentini, contro i Ghibellini, in prevalenza
aretini. Dante prese parte allo scontro tra i «feditori» (feritori) a cavallo: fatto,
questo, che già indica una collocazione sociale di Dante come benestante,
se non propriamente come nobile. È del resto risaputo che i suoi parenti più
prossimi erano probabilmente degli usurai, che da questa attività avevano ri-
cavato un discreto tenore di vita e anche alcune proprietà terriere.
Si passa quindi a ricostruire l’infanzia di Dante e l’incontro con Beatri-
ce, con particolare attenzione al suo quartiere di residenza, che in Firenze
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

aveva sempre una certa importanza. Seguono poi l’età giovanile, con i suoi
amori e i suoi amici; gli studi particolarmente intensi; il matrimonio, sul qua-
le permangono problemi insoluti; la propensione per gli affari e soprattutto
l’impegno in politica. Come è noto, è proprio da quest’ultima passione che
derivarono le disgrazie maggiori per il Poeta, perché malauguratamente si
trovò a essere tra i priori del Comune di Firenze schierato con la fazione dei
Cerchi (Guelfi Bianchi) allorquando nel 1301, con l’aiuto di papa Bonifacio
VIII, risultò vincitrice nella contesa civile la fazione dei Donati (Guelfi Neri).
In breve tempo Dante si trovò condannato a morte in contumacia ed
espropriato di tutti i suoi averi, costretto così a dare inizio al suo celebre
lungo esilio e provando sulla sua pelle «come sa di sale lo pane altrui» e
quanto «è duro calle lo scendere e ’l salir per l’altrui scale» (Paradiso, canto
XVII, vv. 59-60).
Il saggio di Barbero, nel rispetto del suo percorso cronologico, si con-
clude con gli ultimi anni di Dante a Ravenna, e cerca di rispondere ai tanti
306
quesiti irrisolti intorno alle vicende dell’autore della Commedia, compreso il
suo impegno nei confronti dei figli, dei quali di solito si dice assai poco.

Roberto Timossi

MARILYNNE ROBINSON

Q UEL CHE CI È DATO


Roma, minimum fax, 2021,
368, € 18,00.

Nel lavoro di Marylinne Robinson (nata a Sandpoint, in Idaho, nel


1943) pensiero e narrazione si influenzano costantemente: la sua saga ro-
manzesca, ambientata nel mondo mitico di Gilead, in Iowa, appassiona un
pubblico assai vasto, mentre i suoi scritti critici e i suoi interventi occupano
un ruolo importante nella sfera pubblica. Amica e sodale di Barack Obama,
si rimanda alla loro intensa conversazione, pubblicata dalla New York Re-
view of Books nel 2015 e disponibile in rete: lettura utile anche per smettere
di pensare che l’alta cultura americana sia ormai estinta, o risucchiata in
blocco nel vuoto delle cosiddette culture wars.
La prima cosa che colpisce leggendo i saggi di questa raccolta, oltre allo
spirito militante, alla lucidità e all’eleganza dello stile, è la meraviglia per il
creato che essi esprimono, la fascinazione per il «dato» del titolo, la cui esplo-
razione esperienziale e teoretica eclissa l’artificiale divario tra scienza e re-
ligione, abituale terreno di contesa soprattutto dei non veri scienziati e dei
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

non autentici religiosi: «L’esistenza è straordinaria, anzi incredibile. Almeno


tacitamente, la consapevolezza di questo fatto è diffusa nella scienza contem-
poranea quanto nel Libro dei Salmi, nel Libro di Giobbe».
Il primo saggio della raccolta – «Umanesimo» – è una ferma presa di posi-
zione nei confronti delle neuroscienze; l’A. liquida il loro riduzionismo mecca-
nicistico, e lo fa con accenti da umanista, oltre che con le argomentazioni della
teologa: «L’anima è sempre stata ritenuta immateriale, e quindi un aspetto sacro
e santificante dell’essere umano. È l’io, ma si distingue dall’io. Subisce offese di
natura morale, quando l’io, che è e al tempo stesso non è, mente o ruba o ucci-
de, ma è immune dagli eventi che mutilano o uccidono l’io. Questa intuizione
– che è molto più ricca e profonda di qualsiasi concetto trasmesso dalla parola
credenza – non si lascia dissipare dalla dimostrazione della fisicità dell’anima».
In altri saggi la Robinson respinge le idées reçues, sedimentate contro i
puritani («i cosiddetti puritani erano dei classici letterati di stampo rinasci-
mentale») e conduce un’appassionata difesa del suo maestro e ispiratore, Cal-
307
vino, illuminando la crucialità della traduzione della Bibbia in volgare del
XIV secolo e il conseguente ruolo che essa ebbe per la Riforma. Quest’ultima
fu non solo un’operazione spiritualmente e politicamente deflagrante, ma un
potente veicolo di sviluppo delle lingue nazionali, la via maestra dell’alfabe-
tizzazione di ampi strati della popolazione europea.
L’ottimismo della Robinson è molto di più di una predisposizione psico-
logica, di un comandamento della fede o di un imperativo etico: è soprattutto
il riflesso di una seria prospettiva storica e filosofica, com’è evidente nella
polemica contro la deprecatio temporum delle élites intellettuali. «Il pessimi-
smo culturale va sempre di moda e, siccome siamo umani, ha sempre i suoi
motivi» ma, ci ricorda l’A., «disponiamo ancora di tutto il potenziale che ab-
biamo sempre avuto per il bene. Siamo ancora esseri di straordinario interesse
e valore, con un’anima agile, come abbiamo sempre avuto e sempre avremo,
nonostante i nostri errori e le nostre devastazioni, per tutto il tempo in cui
dimoreremo su questa terra».
In altre pagine, la Robinson riflette su Shakespeare, affermandone la
grandezza teologica oltre che letteraria, e in altre ancora smaschera l’annac-
quamento del messaggio cristiano, in America specialmente, la trasforma-
zione del Cristo in una sorta di «amico immaginario» con cui intrattenere
rapporti centrati sulla salvezza personale.
Di questo libro il lettore conserverà il senso di un’indagine mai cinica, mai
dogmatica, e soprattutto mai superficiale: il prodotto di un intelletto vivace che,
esplorando «quel che ci è dato», continua a rinnovarne l’incanto per tutti noi.

Ennio Ranaboldo
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

GIOVANNI EMIDIO PALAIA

L AUDATO SI’. PERSONA E RELAZIONI:


UN CONTRIBUTO AL GLOBAL COMPACT
ON EDUCATION
Padova, Messaggero, 2021, 118, € 10,00.

Un testo agile e stimolante quello che ci presenta don Giovanni Emidio


Palaia, docente presso l’Università Lumsa di Roma, arricchito da due interes-
santi contributi, assai diversi, ma altrettanto ricchi di spunti: una Prefazione
«artistica», e al contempo spirituale, di Angelo Branduardi e una Postfazione
più teologico-pastorale di mons. Domenico Pompili.
Si tratta di un interessante lavoro, capace di coniugare riflessioni teo-
logiche e scritturistiche con la prospettiva dell’enciclica di papa Francesco
Laudato si’. Sfondo e paradigma di riferimento sono il Cantico delle creature
di san Francesco d’Assisi. Palaia propone entrambi come esempi attuali e,
308
soprattutto, imitabili di fronte alle grandi sfide dell’epoca che ci troviamo ad
affrontare e di quella a cui ci apriamo nel post-pandemia.
Altro aspetto significativo sta nel fatto che gli stimoli delle rifles-
sioni proposte sono suscitati nei confronti delle giovani generazioni,
protagoniste del periodo post-pandemico. Saranno proprio loro, infatti,
a essere chiamate alla costruzione di un mondo che sempre più chia-
ramente richiede il recupero della persona con il suo valore e le sue
relazioni al centro sia della riflessione sia della vita sociale e politica,
oltre che nella semplice quotidianità. Così si comprende come la finalità
dell’opera sia rappresentata dal desiderio di offrire un contributo pun-
tuale e costruttivo al Global Compact on Education, fortemente voluto e
ispirato da papa Francesco.
Il valore della riflessione a cui si può accedere in queste pagine sta pro-
prio nella capacità dell’A. di coniugare il progetto educativo in un ambito
ampio come quello offerto dalle dimensioni aperte dalla Laudato si’ e, allo
stesso tempo, mostrare in Francesco d’Assisi un esempio ancora attuale
anche nel mondo globalizzato, ferito dalla pandemia. Proprio la ricerca di
modalità per recuperare la centralità della persona umana e tutte le rela-
zioni che la costituiscono – quella con Dio creatore, con gli altri uomini e
donne con i quali è chiamato a vivere la fraternità universale e quella con
tutto il creato – rende il «poverello di Assisi» un compagno di viaggio da
scoprire in tutta la sua ricchezza umana e mistica.
Così viene sottolineato il valore di ogni essere umano, ma anche nella
sua molteplice rete di relazioni con altre persone e nel suo rapporto con
la realtà che la circonda. Tutto questo permette di superare la tentazione
omologante degli attuali processi di globalizzazione. Ne possiamo coglie-
re il senso simbolico nel capitolo che l’A. dedica alla «Creazione di Ada-
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

mo» di Michelangelo, visione plastica del respiro cosmico che coinvolge


l’uomo di fronte al suo Creatore, ma anche nel rapporto con tutti gli esseri
viventi, di cui quell’atto creativo è sintesi.

Roberto Catalano

JOHN GARRARD - CAROL GARRARD

L E OSSA DI BERDIČEV. LA VITA


E IL DESTINO DI VASILIJ GROSSMAN
Bologna, Marietti 1820, 2020, 488, € 29,00.

Questa biografia su Vasilij Grossman (1905-64) ne ricostruisce in maniera


309
assai circostanziata tanto l’esistenza quanto l’opera. Frutto di una ricerca decen-
nale condotta da John Garrard – docente di Letteratura russa presso l’Università
dell’Arizona – e dalla moglie Carol sui materiali di archivio venuti alla luce a se-
guito del crollo dell’Unione Sovietica, lo studio prende in esame la vicenda per-
sonale di uno dei maggiori autori russi del Novecento, sottolineando come essa
sia stata profondamente influenzata da alcuni dei tragici avvenimenti che hanno
segnato la storia del XX secolo. Ci si riferisce in particolare alle due spaventose
carestie che ridussero alla fame l’Ucraina, alle persecuzioni del Grande Terrore
staliniano, al Secondo conflitto mondiale, all’occupazione nazista e alla Shoah.
Nell’opera, comunque, non manca affatto un’articolata analisi relativa sia
alla formazione sia all’inizio dell’attività letteraria di Grossman. Egli, pro-
veniente da una famiglia appartenente alla borghesia ebraica culturalmen-
te cosmopolita, contraria al regime zarista e bendisposta nei confronti della
rivoluzione, pubblicò la sue prime opere – due romanzi brevi – nel 1934.
Arruolatosi nell’esercito sovietico come soldato semplice, lavorò poi in qualità
di corrispondente di guerra per quasi tre anni: fu così il primo, nel corso del
periodo bellico e seguendo la linea del fronte, a scrivere delle fucilazioni di
massa nell’Ucraina occupata dai nazisti e dei campi di sterminio; come pure
fu lui a elaborare, con la sua prosa sincopata ed essenziale, il magistrale reso-
conto sul massacro perpetrato a Berdičev, la propria città natale, nel settembre
del 1941, quando, nella prima operazione di annientamento pianificata su
vasta scala, in soli tre giorni le Einsatzgruppen uccisero 30.000 ebrei.
Nel dopoguerra Grossman concepisce l’idea che lo condurrà a scrivere un
imponente romanzo corale sulla battaglia di Stalingrado, la cui seconda par-
te – dal titolo Vita e destino – assurge indubbiamente al rango di capolavoro:
un’opera di livello altissimo, che impressiona per la rara potenza espressiva e
innalza l’A. tra i massimi esponenti della letteratura mondiale.
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

I due studiosi statunitensi dedicano grande attenzione alla genesi di un te-


sto estremamente complesso, nel quale lo scrittore ebreo-russo ripercorre gli
avvenimenti bellici, riflette su alcune questioni che si sarebbero poste succes-
sivamente in tutta la loro drammaticità, descrive le grandi e piccole persone,
racconta dell’eterna sfida tra il bene e il male che si svolge nell’ambito dei più
spietati regimi totalitari del Novecento, ma non trascura di inserirvi tutti i clas-
sici ingredienti della narrativa romanzesca, quali sentimenti e passioni, idee che
lottano o si incontrano, vittorie e sconfitte. In Vita e destino Stalingrado diventa
insomma un vero e proprio mondo in cui l’essere umano, l’esistenza che è chia-
mato a vivere e la sorte che lo attende trovano la loro compiuta rappresentazione.
Nel 1961 il manoscritto venne sequestrato dal KGB: sarebbe stato pub-
blicato oltre 20 anni dopo, quando Grossman era morto ormai da tre lustri.
L’intervento del Servizio segreto sovietico non era per la verità giunto ina-
spettato, visto che l’A. aveva confrontato le proprie osservazioni ed esperienze
di corrispondente di guerra con le distorsioni contenute nelle ricostruzioni
310
ufficiali e il loro tentativo di alterare la storia, arrivando a concludere che la
Germania hitleriana e la Russia sovietica erano molto simili.
Grossman, che nel corso degli anni Cinquanta aveva patito i tormenti
provocati da una grave crisi spirituale e politico-filosofica, era diventato in-
tanto un convinto sostenitore dei valori della libertà; si era cioè reso conto
della natura violenta di ogni ideologia, aveva meditato sul ruolo dell’indivi-
duo e affermato l’irriducibilità dell’io di fronte a ogni potere. Oltre all’enorme
valore letterario, è probabilmente questo il lascito più grande che abbiamo
ricevuto da Grossman e che continua a costituire un importante argomento
di riflessione.

Enrico Paventi
OPERE PERVENUTE

BIOGRAFIE STORIA
BARTOLI M., Rosario Livatino. Il giudice Europa cristiana e impero ottomano. Momenti e
giusto, Cinisello Balsamo (Mi), San Paolo, 2021, problematiche (A. BORROMEO - P. PIATTI - H.
238, € 18,00. E. WEIDINGER), Città del Vaticano - Vienna,
BORRIELLO L., Fratel Charles di Gesù. Libr. Ed. Vaticana - Hollitzer, 2021, 404, € 70,00.
Pellegrino dell’ Assoluto, ivi, 2021, 290, RESSICO F., Carlo Cadorna (1809-1891). Uno
€ 25,00. statista del Risorgimento con e oltre Cavour, Roma,
CARNEMOLLA P. A., Un laico cristiano: BastogiLibri, 288, € 18,00.
Giorgio La Pira, Firenze, Polistampa, 2021, 308,
€ 18,00. STORIA DELLA CHIESA
GARZONIO M., Schuster il vescovo della
Ricostruzione, Milano, Àncora, 2021, 200, ANSALDO M., Un altro Papa. Ratzinger,
€ 18,00. le dimissioni e lo scontro con Bergoglio, Milano,
Rizzoli, 2020, 160, € 17,00.
CLEONI A., «O tutti o nessuno!». Storia e
DIRITTO ritratti di 123 sacerdoti e religiosi morti in Emilia
TUPPUTI E., L’ indagine pregiudiziale o Romagna nella Seconda guerra mondiale, Milano,
pastorale alla luce del m.p. Mitis Iudex Dominus Ares, 2021, 192, € 15,00.
Iesus. Applicazioni nelle diocesi della Puglia, Roma,
Urbaniana University Press, 2021, 240, TEOLOGIA
€ 18,00.
BALTHASAR H. URS VON, Verità del
mondo, Milano, Jaca Book, 2021, 272, € 30,00.
FILOSOFIA DURAND E., Dio Trinità. Comunione e
MAURIZI M., La quadratura del nulla. trasformazione, Brescia, Queriniana, 2021, 192,
Nicola Cusano e la generazione del significato, € 20,00.
Milano, Jaca Book, 2021, 184, € 20,00. LORIZIO G. - FERRARIO F. - MARANI
G., Le parole della fede. Glossario teologico
interconfessionale, Cinisello Balsamo (Mi), San
PATRISTICA Paolo, 2021, 224, € 18,00.
LÖSER W., Elementi per una teologia delle
ORIGENE, Omelie sui Salmi. Vol. II. religioni. Sguardi e passi oltre i confini, Brescia,
Omelie sui Salmi 76, 77, 80, 81 (L. PER­- Queriniana, 2021, 256, € 26,00.
RONE), Roma, Città Nuova, 2021, 608, Mistica (La) cristiana. Vol. 2. Mistica tedesca e
€ 100,00. brabantina, francese, italiana moderna (V. CIRLOT
- A. VEGA - B. PAPÀSOGLI - M. CATTO - G.
RELIGIONI MONGINI), Milano, Mondadori, 2021, 1682,
€ 80,00.
PALLAVICINI Y., Contemplare Allâh.
Regole sulla Via interiore di maestri musulmani,
Milano, Mimesis, 2021, 320, € 24,00. VARIE
CIULLA G. - CATANIA C., La cala. Cento
SACRA SCRITTURA giorni nelle prigioni libiche, Firenze, Bompiani,
2021, 240, € 17,00.
FLORIO G., Paolo. Da Tarso a Tre Fontane, FAGGIOLI M., Joe Biden e il cattolicesimo
per continuare il cammino, Cinisello Balsamo (Mi), negli Stati Uniti, Brescia, Morcelliana - Scholé,
San Paolo, 2021, 110, € 15,00. 2021, 208, € 16,00.

NOTA. Non è possibile dar conto delle molte opere che ci pervengono. Ne diamo intanto un annuncio
sommario, che non comporta alcun giudizio, e ci riserviamo di tornarvi sopra secondo le possibilità e lo
spazio disponibile.
BEATUS POPULUS, CUIUS DOMINUS DEUS EIUS

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