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Per rispondere è fondamentale definire cosa è una muffa, perché è così difficile da debellare e quale è
l’influenza di un insufflaggio in fibra di cellulosa sulla temperatura di parete e sui ponti termici analizzando il
cambiamento di comportamento di un nodo da “non isolato” ad “isolato”. Per completare il quadro si
suggeriscono alcune considerazioni su due temi apparentemente in opposizione: tenuta all’aria ed
igroscopicità. Infine alcuni esempi di ponti termici rilevati tramite termografia.
Spesso la muffa è un coinquilino domestico sottovalutato. La muffa più comune, quella chiamata igienico
sanitaria, non è salutare da respirare, soprattutto in fase notturna quando il corpo si sta rigenerando e le
difese immunitarie sono più basse. Alcuni tipi di muffa più rari, ma non così rari da non essere presi in
considerazione, possono creare problemi di tipo neurologico oltre che respiratorio.
La muffa possiede due caratteristiche principali: la prima è quella di essere una spora, quindi viaggiare
nell’aria; la seconda è essere una pioniera, quindi si allocarsi nel punto più facile da conquistare e da lì si
diffondersi nell’ambiente; è una colonizzatrice a tutti gli effetti.
La muffa riesce ad attecchire quando la temperatura superficiale di parete è bassa in concomitanza ad una
percentuale alta di umidità relativa dell’aria; si crea così un intervallo termo-igrometrico critico molto ben
definito che permette alla muffa di proliferare nel caso in cui questa combinazione di temperatura e umidità
persista per lunghi periodi di tempo. Un esempio tipico sono gli inverni piovosi e freddi, ma non freddissimi.
In un clima molto freddo ma secco, la muffa non riesce a sopravvivere. Se la combinazione temperatura-
umidità è favorevole ma si manifesta solo per periodi brevi di tempo la muffa non riesce a prendere campo.
Quando la muffa riesce ad attecchire le sue “radici”, che si chiamano “ife”, penetrano nell’intonaco e la spora
madre si annida in profondità sotto il primo od addirittura il secondo cm intonaco. Ecco perché agire solo
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sulla superficie muraria non risolve il problema ma, spesso, peggiora la situazione: in realtà quelle che
vengono eliminate sono le spore figlie, ma la madre e le radici permangono, reagendo e proliferando con più
veemenza. E, similmente agli umani, ama gli ambienti acidi.
Si può dire che la muffa prediliga i ponti termici? Non proprio, in realtà predilige tutte quelle condizioni che
le permettono di vivere nell’intervallo, a lei favorevole, di temperatura ed umidità; quindi, i ponti termici in
determinate condizioni così come, per esempio, una parete coperta da un armadio a tutta altezza che la fa
rimanere fredda, sono per essa posizioni particolarmente allettanti.
Per debellarla, dunque, bisogna agire su due vie:
1) creare degli ambienti basici: essendo la calce una sostanza tipicamente a ph fortemente basico
utilizzare un intonaco di calce ed una finitura in grassello di calce rende lo strato di muratura,
all’origine potenzialmente interessante per la muffa, non ospitale ed addirittura nocivo.
2) eliminare la possibile esistenza di quella combinazione critica di temperatura e di umidità relativa
idonea al proliferare della muffa; è qui che entra in gioco l’isolamento termico progettato con
determinate caratteristiche.
Ne consegue che la riqualificazione energetica può diventare davvero un valido strumento per combattere
problemi dovuti a muffa e condensa a patto di considerarne tutti gli aspetti peculiari in fase di progettazione
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Figura 2 – Nodo muro a cassa vuota – pilastro stato non isolato - Isoterme
Figura 3 – Nodo muro a cassa vuota – pilastro stato non isolato - Tmin
In prossimità della mezzeria del pilastro si vede come la temperatura minima al nodo sia di poco superiore
alla temperatura critica per la formazione di muffa e condensa: 15,22°C al nodo contro 15,1°C richiesti.
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Ora si analizza lo stesso nodo isolato con fibra di cellulosa insufflata nell’intercapedine:
Le temperature sul lato interno del muro si innalzano notevolmente, arrivando a più di 19°C, permanendo
all’interno dello spessore murario molto più in profondità; l’intercapedine risulta in parte calda ed in parte
fredda e questo comporta che il punto di rugiada cada all’interno dello spessore di isolante.
Il flusso di calore che fuoriesce verso l’esterno scende a 15W.
La trasmittanza lineica PSI è aumentata a 1.
Inoltre come si può vedere dall’immagine sottostante la temperatura minima di parete è leggermente
migliorata essendo pari a 15.3°C. Di certo non è peggiorata.
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Figura 6 – Nodo muro a cassa vuota – pilastro stato isolato - Tmin
Allora perché si dice che il ponte termico peggiora? Qual è l’aspetto critico?
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Figura 7 – Parallelismo: strada = nodo, persone = flusso
Come si può vedere dallo schema, nello stato isolato, ho una strada più stretta ed un numero di persone che
la percorrono molto inferiore; ma il rapporto di densità ossia numero di persone diviso la larghezza della
strada aumenta. Questo rapporto simula lo PSI.
Lo PSI indica uno scarto comportamentale fisico-tecnico tra due diverse situazioni, tipicamente un confine
caldo su un confine freddo, che insistono su una superficie concentrata.
L’aumento di PSI indica che il nodo non è peggiorato ma che la diminuzione del flusso viene costretta nel
passaggio su superfici ridotte.
È questo l’aspetto critico dei nodi perché, nelle fasce climatiche più severe, può portare a problemi
concentrati di condensa interstiziale perché, come messo in evidenza precedentemente, il punto di rugiada
ricade dentro lo strato isolante.
L’approccio più efficace è usare un’isolante igroscopico che, per sua natura, è in grado di gestire l’eventuale
condensa.
L’igroscopicità di un materiale è la sua capacità di assorbire e rilasciare umidità in relazione alle condizioni
del contorno senza perdere di capacità isolante e senza destrutturarsi: un materiale igroscopico è un igro-
regolatore dell’ambiente che agisce per reazione alle condizioni termo-igrometriche dell’ambiente stesso in
tempi molto rapidi.
Quindi, nelle intercapedini, è necessario e fondamentale isolare con materiali igroscopici certificati
sull’igrosocopicità, in modo da poter progettare (o verificare sull’esistente) la capacità igroscopica del nodo.
Per eseguire la verifica è fondamentale che l’isolante sia certificato sulla sua capacità di assorbimento in
acqua in relazione alla densità di posa. Le fibre possono presentare valori molto differenti sotto questo
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aspetto, benché siano abbastanza allineate su altri valori fisico tecnici come, ad esempio, il valore di
conducibilità termica.
Il controllo parte dallo studio della stratigrafia: si verifica il carico igrometrico sostenibile dalla stratigrafia in
regime indisturbato sullo spessore dell’intercapedine; in pratica si calcola quanta umidità riesce ad essere
gestita dalla massa dell’isolante. Questo passaggio permette di fare lavorare in sicurezza sia la stratigrafia
che il nodo dal punto di vista igrometrico: se la massa dell’isolante riesce a gestire quel dato carico di umidità
non si avranno problemi di condensa interstiziale né in stratigrafia, né sui nodi perché la fibra distribuisce il
carico igrometrico diffondendolo al suo interno. Facendo un parallelo con i carichi strutturali è come
confrontare il carico agente esterno (la condensa cumulata) con la resistenza dell’elemento strutturale (la
capacità igroscopica).
Si riconsideri la stratigrafia precedentemente simulata ma posizionata in zona climatica F, anziché D: da
calcolo del programma, è presente una condensa cumulata pari a 255g/mq, valore che rimane entro i limiti
previsti dalla norma (500g/mq evaporati nell’arco della stagione) secondo la FAQ ministeriale 3.11 di
Dicembre 2018.
La condensa cumulata, a parità di stratigrafia, è fortemente dipendente dalla fascia climatica; la stessa
stratigrafia posizionata in zona climatica D non condensa.
Ipotizziamo di considerare una fibra con un valore di assorbimento in acqua certificato pari a 15% del proprio
peso installato e supponiamo che la densità di posa sia pari a 50kg/mc, il calcolo di verifica della capacità
igrometrica è pari a:
50 Kg/mc (densità di posa) *0,15m (spessore intercapedine) +0,15 (% assorbimento) = 1,12 Kg/mq
La capacità di assorbimento della fibra di cellulosa è ampiamente superiore alla condensa cumulata; questo
significa che sia la stratigrafia indisturbata che il nodo sono in grado di gestire l’eventuale formazione di
condensa interstiziale.
Questa verifica è indipendente, ad oggi, dai limiti normativi che pongono il limite di condensa riassorbibile a
500gr/mq; infatti, in regime di lavoro effettivo in situ, se nell’esempio precedente la cumulata fosse stata da
600 g/mq, benché fuori dai limiti di norma, la stratigrafia così isolata, sarebbe stata comunque in grado di
lavorare in modo più che efficace perché il suo carico igrometrico massimo gestibile sarebbe rimasto
invariato: 1120 g/mq di capacità di assorbimento in acqua contro 600g/mq di condensa cumulata. Questo,
per la fibra, significa lavorare ancora in condizioni di medio regime.
Sta a noi progettisti usare questo strumento per massimizzare le prestazioni stratigrafiche nel rispetto della
norma.
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Figura 7 – Importanza del pacchetto stratigrafico
È necessario pensare ad un intervento localizzato che porti la superficie muraria ad uscire dalla condizione
critica; qualsiasi sia la soluzione adottata deve sempre presentare una caratteristica di forte igroscopicità. Se
si opta per un pannello isolante interno, questo deve essere igroscopico in modo da accollarsi la gestione di
eventuale condensa superficiale diffondendola su tutta la sua struttura e rilasciandola quando l’ambiente
interno si presenta più secco. Intonaci di calce e finitura a calce, non lavorano sull’aspetto termico ma creano
un ambiente basico ed igroscopico ostile alla muffa. I termointonaci di calce uniscono l’isolamento termico
al ph basico e quindi agiscono su due fronti.
L’igroscopicità dell’involucro opaco costituisce un grande potenziale che va progettato e verificato all’interno
del pacchetto stratigrafico. Gli strati di finitura interni, ossia intonaco e pittura, sono i primi ad interagire con
le variazioni di umidità relativa dovute alla gestione degli ambienti interni.
Calce ed argilla sono ottimi igro-regolatori oltre ad essere efficaci purificatori dell’aria.
Negli anni passati, negli isolamenti interni, si prediligevano le soluzioni con teli o pannelli isolanti ad alta
impermeabilità, nastrati poi sui giunti, creando un freno o, addirittura, una barriera al vapore interna. Questo
però non permetteva una gestione dell’umidità relativa interna se non attraverso un sistema impiantistico.
Inoltre una cattiva posa poteva creare varchi di passaggio concentrati dell’aria e dell’umidità che, a loro volta,
portavano a creazione di condensa e muffa.
La tendenza, oggi è di scegliere l’approccio igroscopico che permette una gestione più cautelativa della
temperatura critica di rugiada.
Esistono parti dell’edificio che, invece, devono essere obbligatoriamente nastrate e risultare stagne come ad
esempio i serramenti. Oppure, nelle strutture in legno con isolamento igroscopico, può servire una
membrana igrovariabile che regoli la velocità di carico di umidità nell’isolante stesso.
In sintesi il concetto è che non devono esserci passaggi d’aria incontrollati perché questi comportano anche
passaggi di umidità incontrollata e veloci raffreddamenti dell’aria in uscita con conseguente deposito di
condensa.
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Quindi una buona progettazione dovrebbe coniugare igroscopicità e tenuta all’aria, dosando i due aspetti e
integrandoli in modo opportuno in base alle caratteristiche dell’edificio, alla sua ubicazione e alla sua
funzionalità.
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Figura 10 – Incrocio trave-pilastro con parete isolata in intercapedine
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