Sei sulla pagina 1di 21

Alberto Cadioli

Le diverse pagine, il testo letterario tra scrittore, editore,


lettore
Il ruolo dell’editore dalla mediazione all’interpretazione
Editore = mediatore tra chi scrive e chi legge, che deve scegliere un testo e portarlo, sotto forma di
libro, ai lettori. Il ruolo dell’editore di offrire materiali di lettura ai suoi contemporanei è il nucleo
dell’attività editoriale: scegliere e pubblicare.

Un testo non passa direttamente dall’autore al lettore e coloro che hanno esaltato la possibilità di
pubblicare direttamente su internet i propri romanzi e racconti, hanno alimentato un equivoco,
poiché ciò che viene immesso su internet sotto forma di file, solitamente rimane privo di visibilità o
all’insegna dell’autoreferenzialità. Salvo il caso della consegna diretta a un lettore da parte
dell’autore, di pagine manoscritte, la trasmissione di un testo, per essere riconoscibile come tale, ha
bisogno di una qualche forma di mediazione. Questa si manifesta ancora, sotto forma di libro
prodotto da un editore, ma anche un e-book conserva molti dei caratteri editoriali di un’edizione
stampata. Lo stesso self-publishing, fenomeno in espansione dal primo decennio degli anni 2000,
grazie ai servizi offerti in internet da alcune società, o da case editrici dedicate all’autoedizione, pur
permettendo a chiunque di realizzare un libro cartaceo o un e-book, senza passare attraverso un
editore, ricorre poi a supporti di un editore o di un imprenditore del mondo del libro, che lo dota di
un codice ISBN (col quale è a pieno titolo sul mercato) e che lo propone in una rete commerciale,
rendendolo raggiungibile.

Nell’ambito della critica letteraria, il suggerimento di dare importanza all’atto della pubblicazione
in quanto forma di mediazione che garantisce al testo un’esistenza pubblica, era stato avanzato, alla
fine degli anni 50, da Robert Escarpit con “sociologia della letteratura”. Lo studioso francese
riconduceva la funzione dell’editore a tre verbi: scegliere, produrre, distribuire; e sollecitava la
critica letteraria a non trascurare la produzione, la distribuzione e il consumo librario.

Senza introdurre l‘espressione “mediazione editoriale”, Escarpit metteva in risalto il ruolo del
mediatore esercitato dall’editore, paragonato a un “ostetrico”, senza la cui opera concepita non
avrebbe accesso all’esistenza. Nelle pagine del suo libro: esiste un pubblico teorico, in nome del
quale è fatta la scelta fra un campionario di scrittori, per riflettere i bisogni di questo pubblico.

Prestando attenzione al rapporto autore – editore – lettore, la nuova linea critica ha indirizzato gli
studi al rilevamento di dati statistici sulla produzione (numero, genere di opere pubblicate), sulle
vendite (quantità di libri venduti e contenuti nelle classifiche dei best seller), sui lettori (fisionomia,
frequenza delle letture, generi preferiti), piuttosto che a una riflessione teorica sulla trasmissione dei
testi. Alla scuola di Bordeaux, in cui si incontravano gli studiosi che lavoravano con Escarpit, ha
fatto riferimento, anche in Italia, un’area di critica letteraria (figura più emblematica è Gian Carlo
Ferretti con “il mercato di lettere”).
Lo studio dell’attività editoriale portava a interrogarsi sui caratteri di una mediazione che
raccordava le intenzioni degli autori alle richieste del loro contesto sociale, politico, culturale,
letterario. L’attenzione si è presto estesa a considerare le case editrici come industrie.

L’approfondimento teorico sul ruolo dell’editore nella cultura e nella letteratura sarebbe stato
sviluppato sotto altri punti di vista.

“Il potere di cui l’editoria dispone sta tutto nella facoltà di selezionare l’offerta” (Vittorio
Spinazzola nel suo saggio “generi letterari e successo editoriale”). L’uso del termine “offerta”
introduce una considerazione che rimanda quasi immediatamente a un contesto di mercato cui ogni
editore non si può sottrarre. “il ruolo economico dell’editore consiste nell’operare tra una domanda
di informazioni e contenuti da parte dei consumatori e un’offerta proveniente dagli autori”.

Enrico Decleva, in uno scritto dedicato all’editoria italiana di primo 900, aveva definito la
mediazione editoriale come il processo che si determina nel corso del passaggio dal testo dell’autore
alla fruizione da parte del lettore. Il processo presuppone dinamiche complesse, che potrebbero
legittimare l’individuazione di un campo editoriale. In esso si collocano le figure dei singoli
scrittori, già inseriti nel campo letterario, i quali sono in rapporto coi diversi editori. Questi ultimi
sono a loro volta in relazione con i beni simbolici, col capitale, con la produzione e col consumo.

In questo contesto la mediazione editoriale è data dalla capacità e dalla necessità di ogni editore di
collocarsi al posto giusto dentro il campo editoriale. Il fallimento della collocazione è il fallimento
della mediazione.

Altro punto di vista introdotto negli ultimi anni: Gian Carlo Ferretti l’editore mediatore. Ferretti
rileva che la funzione sociale della letteratura converge con la sicura individuazione del prevalente
ruolo di mediatore, che l’editore svolge tra scrittore (autore), e pubblico, nella fase di sviluppo
artigianale del settore librario italiano. Questa nozione individua una precisa condizione storica, una
fase arretrata dell’industria editoriale, in cui è l’editore a realizzare la funzione sociale del lavoro
letterario. Le cose cambieranno in seguito con l’avvento dei manager nell’industria editoriale.

C’è da mettere in rilievo l’indicazione secondo la quale la funzione sociale della letteratura si attua
attraverso la funzione sociale della mediazione editoriale. Vittorio Spinazzola, uno dei critici di
letteratura più impegnati a intrecciare osservazioni teoriche sulla critica letteraria e sulla letteratura,
si sofferma sull’aspetto sociale della scrittura e della lettura: “il punto di complessità della
mediazione sta nel fatto che l’editoria è un’industria singolarissima; si appropria non di una materia
prima, ma di un prodotto finito e lo serializza per offrirlo a un mercato”. L’editore, secondo
Spinazzola, è mediatore in quanto dà spazio a qualcosa che pur esistendo di per sé, non aveva una
vita sociale, e compie il suo intervento consapevole delle necessità di dover tenere unite sia le
istanze economiche sia le esigenze dei lettori. Spinazzola sottolinea l’evidenza dell’interrelazione
tra modi di produttività aziendale e principio di utilità collettiva. Anche Giulio Einaudi sembra
proporre l’idea di Spinazzola di una mediazione che crea l’area mercantile e culturale dei lettori.

Per Spinazzola: autore = produttore. “ogni offerta presuppone una domanda, come ogni produttore
un fruitore. Nel caso specifico, essa rinvia a un bisogno di letterarietà che chiede d’esser
soddisfatto, rispondendo alla diversità di stimoli propostogli.” Sempre secondo S, un oggetto scritto
acquista significato e valore solo in quanto vi sia chi concretamente lo legga. Se senza lettori,
tuttavia, non c’è letteratura, tra lo scrivere e il leggere esiste un vincolo di interdipendenza
infrangibile compito dell’attività editoriale è la creazione dello spazio nel quale avviene
l’incontro tra i testi degli scrittori e i lettori. Il rapporto di scambio fra produttore e fruitore di opere
estetiche non avviene in modo diretto.

Il soddisfacimento consapevole porta a scelte funzionalmente differenti e a continue messe a punto


delle strategie culturali e commerciali. La produzione della casa Mondadori negli anni 30 ne è un
esempio: la moltiplicazione delle collane contribuisce a determinare un nuovo assetto di mercato
che interpreta e sollecita una ristrutturazione del pubblico.

Alla tipologia del lettore si sovrappone quella del cliente, con le sue scelte di acquisto ancora una
volta viene messa in risalto la funzione economica e culturale dell’editore mediatore. Spinazzola
assegna al termine opera letteraria un senso riassuntivo, in quanto sintetizza due dimensioni distinte:
“da un lato il TESTO concepito dall’autore e dall’altro il LIBRO fruito dal lettore. La realizzazione
dell’opera si concreta nell’unità fra i due stadi di un processo dinamico, che determina il passaggio
dall’ambito dei fatti privati a quello degli eventi pubblici. Fra il primo stadio e il secondo interviene
la mediazione economico – organizzativa degli apparati editoriali, indispensabile perché il
manoscritto si moltiplichi in un numero indefinito di volumi.”

Nei primi anni duemila, in Francia, sono state numerose le riflessioni teoriche sulla mediazione
editoriale. Il dibattito sui temi della mediazione ha suggerito nuovi possibili percorsi di
approfondimento e introdotto nuove definizioni del ruolo di editore.

Brigitte Ouvry Vial: Il punto di vista della maggior parte degli interventi, nel dibattito francese è
ricondotto alla mediologia e si pone di indagare la mediazione editoriale che, secondo Brigitte
Ouvry Vial non ha ancora ricevuto le giuste attenzioni. Parla di atto editoriale suggerendo l’uso del
neologismo éditophilologie per definire gli strumenti e i campi disciplinari diversi che se ne
occupano. La studiosa indica nell’atto editoriale il processo di trasformazione del testo in libro del
quale l’editore è responsabile e propone di approfondirne gli aspetti generali, distinguendo gli
elementi che lo compongono: la scrittura editoriale per designare l’organizzazione formale
dell’opera; l’enunciazione editoriale per sottolineare la molteplicità degli elementi che
contribuiscono alla realizzazione del libro stampato; e il gesto editoriale che dovrebbe porre in
risalto la funzione editoriale. “se scrittura e enunciazione rinviano a una dimensione discorsiva
dell’atto editoriale, il gesto permette di esplorare al di là dell’oggetto visivo che ne risulta.”Il gesto
editoriale è dunque l’espressione propria dell’attività di mediazione dell’editore che si manifesta
nella scelta del testo e nella sua trasformazione.

Emmanuel Souchier e l’enunciazione editoriale: Souchier si è soffermato a lungo sull’idea di


un’enunciazione editoriale che può indicare l’insieme di elementi che concorrono a dare l’immagine
del testo portata dall’oggetto libro (elementi che non si limitano ad accompagnare il testo, lo fanno
esistere). La mediazione editoriale è dunque qualcosa che coinvolge il testo stesso e Souchier
precisa che l’enunciazione editoriale non trasmette, nel senso tecnico del termine, ma trans-forma,
partecipando attivamente all’elaborazione dei testi.

Gli studi italici di filologia: hanno ampiamente indagato e valorizzato la tradizione testuale dei
secoli passati, in rapporto sia alla trascrizione a mano sia alle pratiche di stampa dei primi secoli. Se
compito dell’attività editoriale è la trasformazione di un testo in libro, il fine dell’editore è
l’edizione. Il termine edizione, tuttavia, non indica solo il libro stampato, quanto piuttosto la forma
editoriale che deve assumere un testo, perché diventi pubblicamente fruibile. L’edizione è dunque il
risultato visibile. Predisporre un’edizione è un atto di mediazione, nel momento in cui l’editore
prende qualcosa da qualcuno (l’autore) e lo porta a qualcun altro (il lettore), ma è un atto di
interpretazione testuale nel momento in cui l’edizione assume caratteri specifici: nessuna edizione è
mai uguale a un’altra, anche quando trasmette il medesimo testo.

Nel momento in cui si parla di edizione e non di libro, non si può più parlare di scrittori e di
pubblico. Esiste una differenza non trascurabile nella pubblicazione di testi di un autore
contemporaneo e uno del passato, i cui testi sono già stati trasmessi. Proporre il testo
contemporaneo non si presenta con le medesime modalità se l’autore partecipa alla costruzione
dell’edizione con la quale il proprio testo sarà pubblicato, o se se ne disinteressa. E le modalità sono
ancora diverse se lo scrittore è agli esordi oppure se ha un alto potere contrattuale per la visibilità
già acquisita presso i lettori. Allo stesso modo non è possibile parlare di pubblico, nemmeno
muovendo da un punto di vista economico: le diversità tra gruppi di lettori sono troppo rilevanti per
essere unificate sotto un’unica voce. La differenza tra pubblico e lettori era stata segnalata da
Walter Ong: “è fuorviante pensare che uno scrittore abbia a che fare con un pubblico. Pubblico è un
nome collettivo. Non esiste un nome collettivo che indichi i lettori né lettori è plurale.

Possiamo parlare, se vogliamo usare un concetto e renderlo singolare, di numero di lettori


(readership). Ma numero di lettori è un’astrazione, cosa che pubblico non è.”

Genette ha precisato che il pubblico di un libro è un’entità più vasta della somma dei suoi lettori,
che ingloba delle persone che non leggono necessariamente o non interamente, ma che partecipano
alla sua diffusione, e dunque alla sua ricezione. Il pubblico comporta inoltre una categoria molto
vasta: quella dei clienti che non leggono o non interamente il libro che hanno comprato.

Il lettore dello scrittore non coincide con il lettore o i lettori di un editore: parlare di lettori al plurale
e mettere invece in rilievo il rapporto con il LETTORE al singolare, non è solo una questione di
numero. Il riferimento sarà in rapporto ai potenziali acquirenti da un lato, e al soddisfacimento di un
desiderio individuale dall’altro. Ogni singolo lettore può usare il testo a proprio piacimento e la sua
creatività cresce in rapporto alla diminuzione dell’istituzione. L’editore attraverso le scelte che
portano a un’edizione, è uno dei primi agenti dell’istituzione che controlla la lettura. La scelta da
parte dell’editore del testo da pubblicare implica una precedente decisione:

1. guardare a un autore e a quanto ha scritto, e cercare i suoi possibili lettori


2. guardare ai lettori da raggiungere e cercare lo scrittore e il testo che possono rispondere alle loro
richieste

La mancata individuazione dei lettori cui indirizzare il libro stampato comporta per l’editore, prima
di tutto una perdita economica, e per lo scrittore un dialogo limitato se non un’assenza di dialogo
con i lettori cui pensava di rivolgersi.

Pierre Bourdieu rileva che un’impresa letteraria e artistica è tanto più vicina al polo commerciale
quanto più i prodotti che offre sul mercato rispondono a una domanda preesistente e in forme
prestabilite, e a essa contrappone una produzione che non può riconoscere una domanda diversa da
quella che essa stessa può produrre.
Le due tipologie di pubblicazioni sono spesso inserite contemporaneamente nei cataloghi della
medesima industria editoriale e ciò conferma la difficoltà di elaborare schemi capaci di classificare
esaustivamente la produzione complessa di molti editori. Spinazzola definiva autore di successo
colui che ha saputo far coincidere il suo pubblico ipotetico con un pubblico reale, costituito dai
frequentatori delle librerie divenuti acquirenti del libro. Spostando l’attenzione sull’editore,
precisava poi: “un sistema editoriale maturo obbedisce a due spinte operative:
1. Tende a soddisfare ogni singola frazione del mercato, sollecitando le differenziazioni interne
dell’utenza
2. Inclina a potenziale, come fattori traenti della domanda, quelli che consentono di raccogliere il
maggior numero di lettori, fra quanti hanno già qualche abitudine alla lettura e sono suscettibili di
rafforzarla.”

È ancora Spinazzola, con riferimenti esplicitamente economici, a scrivere che la necessità di


cambiare i prodotti, quando questi si sono diffusi sul mercato, vale anche per l’industria del libro:
qualsiasi tipo di prodotto raggiunge, nel diffondersi, una soglia di saturazione oltre la quale è
necessario ricorrere a un mutamento di standard produttivi. Il commercio dei libri offre per un lato
staticità ripetitiva e per l’altro dinamismo convulso.  nel lavoro dell’editore è importante valutare
ciò che gli scrittori propongono, sollecitare gli autori perché diano una risposta alle domande
vecchie e nuove dei lettori. Il doppio movimento permette di introdurre altre
CONSIDERAZIONI

Comunità di lettori: dirigendo il proprio sguardo allo scrittore per la cui opera deve cercare i lettori,
o ai lettori per i quali deve cercare e selezionare i testi, l’attività editoriale si rivolge a una o più
comunità di lettori. L’espressione comunità di lettori ha trovato ampia ospitalità nell’ultimo
decennio del 900, in particolare negli studi di Roger Chartier. Lo storico francese, affermando che
la lettura è sempre una pratica incarnata in gesti, spazi, abitudini, persegue l’individuazione degli
specifici atteggiamenti che contraddistinguono le comunità di lettori e le tradizioni di lettura. Ne
deriva che ogni comunità di lettori ha modi propri di accostarsi ai libri e ai testi che questi
trasmettono. L’idea di comunità di lettori non è introdotta per spiegare in chiave economica il
mercato del libro, ma è suggerita come categoria per lo studio delle diverse tipologie di lettori cui si
rivolge ciascuna edizione. Da un punto di vista storico alcuni editori e alcune collezioni librarie
hanno rappresentato specifiche comunità di lettori. È emblematico il ricordo di Umberto Eco: “la
mia storia è quella di una generazione: che ha visto nella Bompiani non solo l’editrice di una
narrativa nuova, ma anche la proposta di una serie di tempi che in qualche modo aprivano campi
ignoti.” Un individuale interesse comune spinge dunque numerosi lettori a privilegiare certe sigle o
certe collane, che siano di genere o, al polo opposto, di letteratura alta; e a questi lettori stabili se ne
aggiungono spesso di occasionali e casuali.

La stessa riflessione vale per le modalità di lettura: collezioni specialistiche, che richiedono
modalità di lettura sofisticate, si rivolgono a comunità di lettori colti, così come collane di facile
consumo sono costruite in rapporto alle comunità cui sono indirizzare, i lettori delle quali ricercano
narrazioni non impegnative.

La comunità di lettori diventa, nell’ottica aziendale, uno spazio commerciale, un segmento del
mercato. Ogni editore deve individuare la comunità o le comunità cui fare riferimento, in rapporto
alla propria identità, al proprio progetto, al proprio habitus. Prima dell’individuazione di un
mercato, l’editore dovrà conoscere gli usi e i modi di leggere dei lettori cui vuole rivolgersi. La
necessità di delimitare spazi propri può portare a privilegiare una comunità, accantonando quelle cui
già si rivolgono altri editori: ma una volta assunta una comunità di riferimento, occorre sapere quali
sono le sue caratteristiche e come darne rappresentanza nella pubblicazione di un libro.

Coordinate per il sistema letterario: a questo proposito si potrebbero applicare al sistema editoriale
le coordinate individuate da Spinazzola, definite:
LETTERATURA SPERIMENTALE. Vi appartengono testi molto elaborati tecnicamente, che si
discostano dai criteri di gusto più diffusi;
LETERATURA ISTITUZIONALE. Vi appartengono scrittori della cui letterarietà non si è soliti
dubitare, ma che si collocano su una linea di continuità evolutiva rispetto alla tradizione illustre;
LETTERATURA D’INTRATTENIMENTO, occupata da prodotti concepiti ancora con intenzioni
di decoro formale, non estranei ai problemi della tecnica rappresentativa;
LETTERATURA RESIDUALE O MARGINALE, in cui si ascrivono i prodotti meno accreditati
esteticamente agli occhi dei ceti intellettuali, che li escludono senz’altro dalla dimensione letteraria
e li considerano pura volgarità evasiva.

A ciascuna delle grandi aree indicate possono essere ricordate comunità diverse di lettori. L’idea
della comunità di riferimento permette di ripercorrere alcuni passaggi noti dell’attività editoriale.
Induce a esaminare il perseguimento da parte dell’editore della propria identità, che si manifesta
nell’elaborazione dei programmi e nella scelta dei titoli da dare alle stampe. Anche se l’editore non
è personalmente coinvolto nella comunità di riferimento, ogni progetto prefigura il modello di
lettore che egli vuole rappresentare nel momento in cui decide se pubblicare un testo. Ogni progetto
mira a consolidare e ad ampliare la comunità dei lettori cui l’editore si rivolge.

L’interpretazione editoriale: negli anni 90 erano ancora ben presenti, nei dibattiti culturali, gli
interrogativi e le riflessioni della fine degli anni 70 e degli anni 80 sulla figura e sul ruolo del
lettore. Si parlava di lettore implicito e di lettore modello (Eco), di arcilettore, di lettore supposto, di
lettore informato (Stanley Fish). La riflessione di Fish sulla COMUNITÀ INTERPRETATIVA e
sul LETTORE INFORMATO che, in essa, rappresenta l’istanza interpretante., sottolinea la
centralità della nozione di comunità interpretativa, affermando: “le comunità interpretative sono
formate da quanti condividono strategie interpretative non per leggere ma per scrivere testi, per
costruirne le proprietà. Queste strategie preesistono all’atto della lettura e determinano la forma di
ciò che si legge”. L’indicazione della comunità come luogo in cui ha sede la produzione del
significato poteva suggerire un’importante sollecitazione per il discorso sull’attività editoriale.
Prima di approfondire questo aspetto, può essere utile un’ulteriore citazione: “la letteratura continua
ad essere una categoria, ma una categoria aperta. È il lettore che fa la letteratura. Il lettore non è
inteso come un operatore libero, ma come membro di una comunità le cui assunzioni sulla
letteratura determinano il tipo di attenzione che il lettore presta.”

Ne consegue che ciò che viene riconosciuto come letterario deriva da una decisione collettiva su
cosa sarà da prendere come letteratura, una decisione che resterà in vigore solo fin quando una
comunità di lettori continuerà a osservarla. Il lettore informato della comunità interpretante descritta
da Fish può diventare il modello per la figura di un lettore. Riconoscendo le letture del possibile
lettore tipo, l’editore sceglie i testi da pubblicare e le modalità della loro presentazione. L’editore
diventa così PRIMO LETTORE di ogni comunità cui vuole indirizzare i suoi libri: la lettura che lo
porta a scegliere una pubblicazione è condotta per conto e in nome di quella comunità,
rapportandosi alla quale compie le sue scelte.

La lettura dell’editore partecipa necessariamente delle condizioni culturali, ideologiche, letterarie


nelle quali egli si trova e con le quali si confronta la comunità cui si rivolge; e si muove tra le
intenzioni che l’editore vuole affermare e le disponibilità dei lettori a riceverle. In questa dialettica
di offerta e di accoglienza, si misura la capacità di un editore di trasformare i lettori potenziali in
lettori reali.

La funzione dell’editore di indicare a nome di una comunità di lettori quale testo leggere, si esercita
non soltanto nella valutazione mirata dei testi da dare alle stampe, ma, nel consolidamento del
rapporto con quegli autori i cui progetti di scrittura si rivolgono alla stessa comunità o ad essa
possono essere indirizzati.

Conseguenza della lettura dell’editore sono le scelte che presiedono all’individuazione degli
elementi intrecciati al testo all’atto della pubblicazione, che costituiranno la forma della sua
edizione: inserimento in una collana, associazione con una copertina e un frontespizio, costrizione
in una gabbia di pagina, diffusione sul mercato. La funzione di scegliere un testo e quella di
decidere gli elementi materiali che avrà il libro che lo trasmette sono dunque strettamente legate alla
lettura editoriale. In questa interpretazione dell’editore va individuata anche l’origine dei
suggerimenti, sia quelli, portati dall’autore, su come scrivere e su come modificare quanto scritto,
sia quelli, indirizzati ai lettori, su come leggere: se i primi sono affidati al rapporto diretto con lo
scrittore, i secondi sono inscritti nella forma stessa dell’edizione.

Da un lato, dunque, andrà messo in risalto l’apporto dell’editore. Dall’altro andrà evidenziato il
fatto che è la forma dell’edizione, nel suo complesso, a rendere manifesti i caratteri
dell’interpretazione editoriale. La figura dell’editore iperlettore non coincide con quella dell’editore
in quanto imprenditore. Con l’espressione EDITORE IPERLETTORE si intende infatti un ruolo:
quello che si esercita nei diversi passaggi che dal testo di uno scrittore arrivano al libro di un lettore,
e più precisamente al libro di quel lettore potenziale della comunità di riferimento che deve essere
trasformato in lettore reale e in acquirente. Questo ruolo può essere coperto sia da una sola persona,
sia da un’équipe, nella quale si raccolgono il direttore editoriale e quello letterario, i direttori di
collana, il caporedattore e i redattori, i consulenti esterni.

La scelta del testo tra poetiche e mercato


Il lettore di chi scrive e la comunità di lettori di chi pubblica: uno dei compiti fondamentali
dell’editore è l’individuazione di un testo da pubblicare, cioè da inserire in uno spazio pubblico.
Questo compito non può essere separato dal necessario confronto con la comunità di lettura cui
l’editore vuole rivolgersi. L’editore ha in mente proprio una specifica comunità di lettori, quando
pensa a un testo da pubblicare, e lo seleziona tra le proposte arrivategli, o lo commissiona
direttamente all’autore, oppure lo individua tra quelli del passato.

Walter Ong afferma che uno scrittore non può pensare a un pubblico e nemmeno prefigurare
l’insieme dei suoi lettori da un punto di vista pratico. Deve prendere in considerazione la situazione
psicologica, sociale e economica reale dei suoi possibili lettori. Il superamento della possibile
contraddizione dipende dal rapporto che si instaura tra i lettori che un autore ha comunque in mente
quando scrive e quelli che l’editore vuole raggiungere: se appartengono alla stessa comunità
l’accordo è immediato. L’autore inscrive senz’altro nel testo il proprio lettore, ma è compito
dell’editore individuare la comunità di lettori cui portare i diversi testi. Da questa scelta deriva una
delle prime ragioni del successo di un libro. La scelta del testo da pubblicare, dopo l’identificazione
dei lettori da raggiungere, è il momento rilevante di ogni atto editoriale. L’analisi delle scelte
editoriali permette di indicare i primi lettori cui un testo è stato destinato. Nella letteratura italiana
del 900 i diversi editori sono stati spesso collegati a gruppi riconoscibili di lettori, ai quali
indirizzavano la loro produzione. A lungo si è parlato per i primi decenni del secondo 900 di
“pubblico Bompiani”, “pubblico Einaudi”, “pubblico Adelphi”.

Lo studio dei progetti editoriali, realizzati o meno, permette di individuare la comunità di lettori cui
le diverse iniziative, le nuove collane, intendevano rivolgersi. Esempio: è ricorrente nella storia di
Einaudi dei primi due decenni, l’idea di una collezione economica universale che possa rivolgersi a
un “pubblico Einaudi”, ma anche a un pubblico nuovo, meno colto e meno severo.

Le letture dell’editore: nella stessa direzione vanno le letture editoriali per la selezione dei titoli da
pubblicare. Brigitte Ouvry Vial, parlandone da un punto di vista teorico, ha suddiviso la lettura
editoriale in 3 fasi:
1. Fase rivolta a cogliere le caratteristiche estetiche del testo e la maniera globale in cui si offre alla
percezione, per vedere se ha un tono; dove tono sta a indicare un modo della voce rispetto alla
natura del discorso.
2. Fase che richiede una precisa competenza professionale, in cui saper leggere consiste nel
comprendere e interpretare il progetto dell’autore che l’edizione deve attualizzare. L’editore si
prefigura una specie di visione mentale immediata del libro che verrà.
3. Fase in cui la lettura è una lettura-riscrittura che agisce sul testo, correggendolo, per renderlo
conforme all’idea scaturita dalla seconda lettura.

La prima e la seconda fase erano già presenti anche nella descrizione della lettura editoriale
tracciata da Calvino. La relazione che dà conto della lettura editoriale presenta:
A. l’autore (in modo ampio, se non si tratta di scrittore già noto)
B. riassume poi la trama
C. infine riporta una valutazione della scrittura: al giudizio di valore si aggiunge un giudizio sulla
pubblicabilità, cioè sulla possibilità che il testo preso in esame sia riportabile all’identità della casa,
possa trovare collocazione nel catalogo, in una delle collane esistenti o in una collana nuova, e,
dunque, possa essere indirizzato alla comunità di lettori cui l’editore si rivolge.

È ancora Ouvry Vial a osservare che la lettura editoriale non si fonda su una dottrina testuale, ma
che nella pratica mette in opera un insieme di metodi e di teorie della lettura o del testo, ma in modo
spontaneo e non sistematizzato. I diversi lettori editoriali esprimono un giudizio che può avvalersi
di differenti strumentazioni critiche: e tuttavia essi devono conoscere bene la letteratura del proprio
tempo, da un lato, la fisionomia dell’editore e del suo catalogo dall’altro, e quindi essere
consapevoli della tipologia di lettori cui il testo potrebbe essere indirizzato. La contraddizione tra
giudizio di valore e di pubblicabilità risiede proprio nella necessità di dare risposta a esigenze non
assimilabili.
Esempio: è significativa, per dar conto della contraddizione, l’attività editoriale di Vittorio Sereni,
consulente e lettre della Mondadori tra gli anni 40 e 50, e direttore letterario. Sereni doveva tenere i
propri interventi in equilibrio tra una personale visione della letteratura e le caratteristiche della casa
editrice delineate da Arnoldo Mondadori, che cercava il risultato migliore rischiando il meno
possibile un difficile abbinamento tra qualità e il successo commerciale.

Il conflitto tra parere negativo sulla qualità e parere positivo sulla pubblicabilità, o più in generale,
le domande dettate dal confronto tra giudizio di valore e opportunità commerciale sono una costante
delle schede di lettura editoriale: chi esprime il proprio parere deve misurarsi, al di là delle
convinzioni personali, con le caratteristiche della casa editrice, con la comunità cui l’editore si
rivolge, con l’idea di letteratura più diffusa e con l periodo storico e culturale in cui la lettura
avviene. Alla Mondadori l’ultima parola spetta al presidente Arnoldo, e i suoi si o i suoi no in
matita blu, hanno rappresentato per oltre 50 anni l’istanza ultima per ogni scelta. Prima di arrivare
al presidente, tuttavia, i funzionari della casa avevano già stabilito se far proseguire o meno il
cammino di valutazione di un testo, sulla base dei suoi caratteri, della fisionomia dei possibili
destinatari.

Lo stesso iter seguivano i testi proposti nelle altre case editrici dirette da altri editori protagonisti,
dell’editoria novecentesca (Valentino Bompiani, Livio Garzanti, Leo Longanesi, Giulio Einaudi,
Alberto Mondadori).

Nel tempo che intercorre tra la lettura valutativa e la decisione finale occorre argomentare i motivi
delle accettazioni e quelli dei rifiuti: è un momento determinante. I grandi rifiuti di testi
novecenteschi non indicano l’incapacità di chi ha scartato un grande libro, ma l’orizzonte dentro il
quale si collocavano le scelte dei singoli editori in rapporto al proprio tempo, ai lettori cercati e alla
linea privilegiata.
Esempio: con la motivazione di non accettare narrazioni sull’argomento dei campi di sterminio, nel
1947, Einaudi rifiuta “se questo è un uomo” di Primo Levi (che uscirà preso l’editore De Silva).
L’editore torinese è invece pronto a firmare il contratto con Levi nel 1955, quando il clima culturale
e politico è cambiato e impone il ricordo di quanto successo. Paradossalmente più debole è
l’identità di un editore, più possibilità ci sono per la pubblicazione. È esattamente per questa
ragione che, a proposito del “Gattopardo”, ha portato sia la perplessità di casa Mondadori sia al
giudizio negativo di Vittorini per una pubblicazione del romanzo nei Gettoni di Einaudi. Viceversa,
proprio per quanto si è detto sopra, è stato più facile accettare il Gattopardo nella collana
“Biblioteca di letteratura (i contemporanei)” della Feltrinelli, inaugurata da pochi mesi.
paradossale è invece il rifiuto di mettere in vendita un libro già pronto per la distribuzione. È
accaduto con la prima traduzione del “Tamburo di latta” di Gunter Grass, che, stampata da
Bompiani, nel 1962 venne gettata al macero. Con tutta probabilità, Valentino Bompiani, letto il
testo solo dopo la stampa, e giudicatolo blasfemo, decise di espellere il titolo dal proprio catalogo.
Di lì a poco, tuttavia, una nuova edizione sarebbe uscita per l’editore Feltrinelli.

Criteri extratestuali possono invece sollecitare l’accettazione di una pubblicazione: l’opportunità di


non lasciare un testo ai concorrenti, per esempio.

Lo studio delle schede di lettura editoriale di testi di scrittori contemporanei può offrire spunti di
grande rilievo: esaminando i criteri in base ai quali è stabilita la pubblicabilità di un testo da parte
delle diverse case editrici, si possono conoscere meglio le ragioni culturali o commerciali che hanno
portato un editore all’acquisizione di certi titoli. In particolare si possono trarre indicazioni utili per
delineare il gusto letterario e individuare lee tendenze più diffuse in un momento storico preciso. È
soprattutto la ripetuta registrazione da parte dei lettori editoriali della ricorrenza di temi, di modalità
di scrittura e modelli stilistici comuni, a permettere di tracciare significativi panorami culturali e
letterari.

Il letterato editore: la decisione se pubblicare o no un testo è costitutiva del carattere del lavoro
editoriale, e i dibattiti all’interno delle case editrici per la valutazione delle proposte permettono di
ricostruire non tanto l’identità dei singoli editori, quanto il ruolo da essi svolto nella storia culturale
e letteraria d’Italia. Nella ricostruzione storico-critica la documentazione sulle scelte di
pubblicazione deve esser letta anche in rapporto ad alcuni elementi distintivi di ogni casa editrice: la
dimensione, l’autorità acquisita, la fisionomia e il ruolo delle collane.

In alcuni periodi della storia della cultura italiana, il confronto sull’accettazione o meno di romanzi
e racconti offre una preziosa testimonianza di un dibattito più ampio. Lo scambio epistolare tra
Vittorini e Calvino, per la pubblicazione dei racconti di Giovanni Pirelli negli anni 50, si trasforma
in una discussione sul neorealismo e sulla possibile scelta di nuove strade per la narrativa. I dibattiti
all’interno delle redazioni portano dunque in primo piano poetiche diverse.

Il rapporto tra scelte editoriali e scelte letterarie è più stretto quando la collaborazione con l’editore
di scrittori, critici, uomini di lettere è più intensa. Si potrebbe anche formulare l’ipotesi che una casa
editrice contribuisce a determinare l’attività letteraria di un’epoca in rapporto al grado d’intervento
dei letterari che collaborano con essa in veste di editori, perseguendo un progetto e guardando ai
dibattiti letterari (e culturali, politici, filosofici) del proprio tempo.

L’homme de lettre (sia questo un critico letterario, uno scrittore, un professore) che partecipa
direttamente all’attività editoriale, può essere definito LETTERATO EDITORE. L’espressione
indica una categoria critico-letteraria, non una classificazione sociologica. ‘individuazione dei
letterati editori permette di valorizzare l’impegno di molte figure rimaste nell’ombra, alle quali si
possono riferire le parole di Calvino: “partecipare a un lavoro collettivo, avere una propria idea
della situazione della letteratura attuale e di una direzione verso la quale si vuole svilupparla”.

La storia dell’Einaudi dagli anni 30 ai 70, quella del Saggiatore e quella di molte altre case editrici
di cultura di medie e piccole dimensioni, mettono in risalto il ruolo dei letterati editori nel corso del
900. Avvalendosi delle idee proposte e sostenute dai letterati editori, molte case editrici hanno
tracciato e sviluppato il proprio spazio nel campo editoriale, elaborando progetti e programmi. E
dentro queste scelte si può individuare il modello propugnato da movimenti letterari e da gruppi di
intellettuali, dei quali spesso gli editori si sono fatti portavoce. La direzione delle collane di
letteratura è una testimonianza per indagare l’identità e le linee produttive dei singoli editori; per
mostrare il loro rapporto con una o più comunità e con specifici gruppi intellettuali; per mettere in
risalto il ruolo e la fisionomia culturale e letteraria di chi dirige le collezioni.

Da un punto di vista di un studio storico-critico l’indagine su una collana e sulla sua direzione può
permettere un approfondimento delle conoscenze di alcune figure del mondo intellettuale e
letterario, della loro poetica e delle loro posizioni nel tempo. In quanto raccolta di titoli specifici, la
collezione può essere un elemento determinante per decidere se accettare o no di pubblicare un
testo. L’esistenza di una collana può sollecitare l’acquisizione di titoli che non sarebbero altrimenti
entrati nel catalogo di un editore. Calvino sottolinea le caratteristiche diverse di due tipologie di
collane:
1. In una COLLANA SPERIMENTALE si sarà molto più severi anche con un realista, nel senso
dell’invenzione poetica
2. In una COLLANA DI LETTURA un realista può aver scritto un libro debole poeticamente, ma
un buon documento giornalistico, o un libro divertente o commovente.
La distinzione tra collane di lettura e collane sperimentali ricorre ampiamente in Calvino, attento a
valutare la pubblicabilità di un testo di narrativa, ma anche la sua collocazione.

Il successo di un editore può essere individuato nella capacità di imprimere un’identità a una o a più
collane, con le quali riesce a raggiungere i lettori e a entrare nella loro memoria. Anche collane
rimaste ai margini dal punto di vista commerciale possono rivelarsi, nel tempo, di grande prestigio.
Anche attraverso l’attività editoriale degli hommes de lettres si è venuto delineando il territorio
della letteratura: non perché essi abbiano manifestato i criteri in base ai quali considerare un testo
come letterario, bensì perché hanno indicato, con l’inserimento in una collana, l’appartenenza alla
letteratura di quanto di volta in volta pubblicato. La letterarietà viene dunque affermata in sede
editoriale dalla tipologia di testi inseriti nelle collane letterarie. Tuttavia, non sono naturalmente i
letterati editori, da soli, a costruire un catalogo.

Costruire un canone: occorre presentare una distinzione, che individua due grandi aree: da un lato la
scelta di singoli titoli, ripresi in funzione di una lettura ATTUALIZZANTE; dall’altra la definizione
di un programma che suggerisce l’ambito dei CLASSICI e la costruzione di un canone attraverso un
catalogo dall’identità definita, che seleziona autori e testi.
1. I titoli che entrano nella prima area sopra indicata sono indirizzati a comunità di lettori la cui
lettura prescinde dallo spessore storico del testo, che viene collocato nel tempo presente del lettore
come se fosse contemporaneo.ne è un esempio la scelta dei titoli di Corona, la collana curata da
Vittorini per Bompiani dal 1942 al 1946 che si proponeva di dare ad ognuno la possibilità di
conoscere gli autori e le opere che costituiscono i principali punti fermi della cultura d’oggi.
All’obiettivo attualizzante contribuiscono gli interventi sui testi e le presentazioni editoriali, e
tuttavia anche le caratteristiche dei titoli: autori e testi del passato sono presi in considerazione per
la loro potenziale modernità che permette di consegnarli alla lettura come se fossero scritti nel
presente.
2. Prendendo in esame la seconda area andrà messo in evidenza l’intento canonizzante di ogni
collana che ha lo scopo di portare ai lettori i testi della tradizione letteraria. Se il canone, secondo la
definizione di Cesare Segre è un insieme di autori e di opere presi come modello, allora anche
l’attività editoriale contribuisce a determinare lo spazio e a indicarlo pubblicamente.

La storia delle iniziative editoriali dedicate alle collane di classici è temporaneamente la storia di
scelte di poetica, di confronti critici, di linee culturali che influenzano modalità di lettura diverse.
Lo confermano le grandi collezioni dal 700 in poi.

Lo studio delle collane di classici può essere inserito in quello sul canone. Quando nel 1909 Croce
presenta sotto le insegne del giovane Giovanni Laterza una nuova collana di letteratura, a poco più
di cento anni dall’iniziativa editoriale della Società Tipografica de’ Classici Italiani, i criteri in base
ai quali ha impostato il suo programma sono profondamente cambiati. Se i letterati milanesi che
collaborano con la Società tipografica definiscono classico un testo in rapporto alla sua lingua,
secondo quanto sostenuto dal Parini, negli intenti di Benedetto Croce meritano invece spazio quelle
opere che rendono più sicura testimonianza della vita dell’arte, del pensiero italiano nei secoli
scorsi. Occorre dunque pubblicare opere storiche, geografiche, critiche e gli epistolari fin qui di
solito ignorati o negletti. La scelta dei titoli degli Scrittori d’Italia ridefiniva il canone della
letteratura italiana secondo il pensiero crociano.

Una situazione peculiare che merita di essere qui ricordata è la nascita negli ultimi anni del XX
secolo di collane esplicitamente dedicate a classici del 90, cui si affianca l’inserimento di scrittori
italiani contemporanei. La scelta di molti editori di considerare classico uno scrittore morto da
pochissimi anni, di estendere il concetto di classico ai romanzi e ai racconti degli scrittori di
successo ancora viventi (Andrea Camilleri nella collezione dei Meridiani Mondadori è
emblematico) è una decisione edditoriale che diventa determinante nella delineazione del panorama
degli scrittori maggiori della letteratura italiana novecentesca.

La collezione dei Meridiani della Mondadori, alternando classici del passato a scrittori
contemporanei contribuisce a rendere classici i testi del 900, ponendosi di fatto come istituzione
canonizzante più che come raccolta di testi ormai canonizzati. Proprio l’idea di definire classico un
testo in quanto è inserito in una collana di classici permette l’estensione del territorio dei maggiori,
configurandolo in base a ragioni editoriali più che a motivazioni critiche e accademiche.

L’originale tra autore e editore


La costruzione del testo: l’originale dell’autore è molte volte solo un’espressione astratta. Il testo
che arriva al lettore, in particolare nel corso dei secoli XIX XX può essere infatti il risultato di
interventi editoriali di vario grado. Non è raro che all’origine di un testo ci sia una sollecitazione o
uno spunto editoriale: è il caso della narrativa su commissione, per la quale l’editore può spingersi a
indicare modelli di racconto e di stile, in rapporto a una comunità di lettori che ha già individuato. Il
romanzo su commissione è una situazione estrema nel rapporto che si instaura tra editori e scrittori,
mentre invece è frequente l’intervento editoriale per mettere a punto la struttura di un testo e per
definire le caratteristiche del contenuto.

Una seconda tipologia di libri la cui costruzione può essere ricondotta alla volontà dell’editore
riguarda la decisione di allestire un’edizione postuma di scritti rimasti inediti, spesso in uno stato di
scrittura non definito, a volte incompiuti. È evidente la necessità dell’intervento di un curatore con
la responsabilità di stabilire il testo da pubblicare e di costruire l’edizione che lo trasmette. La scelta
e la modalità di pubblicazione di materiali inediti possono essere determinare dall’immagine dello
scrittore che gli studi critici hanno diffuso. Si può parlare di vera e propria costruzione editoriale nel
caso di scritti con i quali viene scoperto un autore che non ha mai pubblicato nulla quando era in
vita.

Esempi: nella storia della letteratura e delle edizioni cono numerosi. Alcuni casi sono noti, come
quello delle edizioni postume delle pagine di Nietzsche. Altri interventi non sempre sono stati
valorizzati dalla critica e portati all’attenzione dei lettori. Le diverse edizioni delle “Illuminations”
di Arthur Rimbaud confermano che di fronte all’assenza di scelte autoriali, è l’editore a dare forma
alla raccolta. Una testimonianza di Félix Fénéon, curatore della pubblicazione, rivela che il
manoscritto si presentava sotto forma di foglietti sparsi di dimensione e inchiostri differenti e che è
stato lui stesso a classificare le poesie nell’ordine che gli sembrava essere quello giusto. A
quell’ordine non stabilito di Rimbaud fa riferimento la maggior parte degli editori contemporanei.

Per quanto riguarda il 900 italiano, uno degli esempi di maggior rilievo per documentare la
ricostruzione editoriale di un testo è forse la pubblicazione di “Atti impuri” di Pier Paolo Pasolini,
uscito per Garzanti nel 1982. È definito dagli scritti editoriali come un romanzo incompiuto.
Garzanti, editore dei romanzi, dei saggi e delle ultime raccolte dello scrittore, aveva desiderio di
offrire, ai tanti lettori fedeli allo scrittore un nuovo romanzo. In realtà la condizione del testo era in
una fase ancora iniziale e sperimentale di elaborazione. Lo scrittore era ancora in dubbio se usare la
prima o la terza persona singolare, non aveva stabilizzato i nomi dei personaggi. La vicenda di “Atti
impuri” è il caso limite di quanto può accadere con materiali che, inediti, vengono riordinati e
trascritti pressoché solo con una finalità editoriale.

Esistono, al contrario, esempi illustri per i quali gli interventi editoriali sono stati fondamentali nel
portare uno scrittore a decidere di dare vita a un libro. È lo scrittore stesso, in questi casi, a
contribuire attivamente, d’accordo don l’0editore alla realizzazione di un’edizione. Un esempio di
rilievo è la pubblicazione della raccolta di Mario Luzi “Nel Magma”, uscita nel 1964 da Vanni
Scheiwiller, editore di piccolo e di nicchia, e tuttavia capace di grandi intuizioni letterarie e
bibliografiche. È lo stesso Scheiwiller a scrivere a Luzi dopo aver letto “Nel Magma”, per proporne
la pubblicazione in un breve volume. La proposta non dispiace a Luzi, che pochi giorni dopo
risponde dichiarando la propria disponibilità a parlarne. “Nel Magma” nasce dunque a stretto
contatto con la volontà editoriale. Non c’è dubbio che la spinta alla costruzione del libro sia stata
dunque esterna all’autore; l’architettura e l’identità di “Nel Magma” si sono andate precisando
durante il processo di lavorazione editoriale.

La scrittura tra autore e editore: Siegfried Unseld nel primo capitolo del suo libro “l’autore e i suoi
editori” dichiara che l’editore è il primo partner dell’autore e , in quanto tale, nel suo lavoro segue il
calendario interiore dei suoi autori. L’editore, tuttavia, non cerca di portare a compimento ciò che si
potrebbe definire l’intenzione dell’autore. A volte persegue ciò che egli stesso pensa sia la
soluzione migliore sul piano testuale, non necessariamente richiamando gli aspetti commerciali.
Giuseppe Pontiggia (a lungo collaboratore Adelphi e Mondadori) ha affermato che spesso, dopo
aver letto un testo in vista della pubblicazione, si è trovato a segnalare al suo autore alcune parti che
lo convincevano meno, ma aggiungendo sempre che faceva riferimento al proprio gusto personale.
L’introduzione della parola GUSTO non è da sottovalutare: espressione di una comunità di lettori
alla quale appartiene e alla quale si rivolge, l’editore porta in primo piano anche la propria
personalità e la propria poetica, che deve fare interagire con altre necessità, poetiche e gusti.

Da parte degli autori richieste di suggerimenti sono frequenti ed è emblematica la domanda che
Verga, indeciso su quale scegliere delle due prefazioni dei “Malavoglia” che aveva redatto, pone a
Emilio Treves: “quale preferireste fra le due prefazioni che vi mando?”

Più ricorrenti nei pareri di lettura e nella corrispondenza tra i consulenti e i redattori della casa
editrice, così come nelle lettere inviate dagli editori ai loro autori, sono invece le richieste di
riscrittura. La storia della letteratura italiana dell’800 e del 900 è costellata di interventi degli editori
che spingono gli autori a modificare i loro testi. Il caso più noto è quello della “Coscienza di Zeno”:
Licinio Cappelli, rispondendo alla proposta di pubblicazione scrive a Svevo che il romanzo è un
poco prolisso e il manoscritto guadagnerebbe da qualche soppressione, poche correzioni sarebbero
anche necessarie per rendere la lettura ancora più interessante. Lo stesso editore si offre per la
correzione. Poiché gli esempi di interventi editoriali sui testi del 900 possono essere molto
numerosi, ci si può limitare a indicare alcuni casi significativi, che si riferiscono a correzioni
testuali di tipologie diverse sul piano della struttura, della lingua, dello stile, o che sono importanti
per l’identità di chi ha suggerito i cambiamenti. Questi può essere lo stesso protagonista
dell’impresa editoriale (agivano in prima persona Alberto Mondadori, Bompiani, Garzanti) o
qualcuno dei suoi collaboratori.
Esempio: appena conclusa la lettura del “Nome della Rosa”, Bompiani scrive a Umberto Eco il suo
apprezzamento suggerendogli, tuttavia, alcune modifiche.

Il richiamo alla coerenza e alla verosimiglianza di un’opera d’arte spesso esprime un modello
romanzesco: quello ritenuto migliore dal lettore della casa editrice, che comunque parla anche a
nome dei lettori che rappresenta. Per questo il modello di un editore può essere diverso da quello
perseguito dallo scrittore: quest’ultimo, decidendo di non modificare il proprio testo e di darlo alle
stampe con qualcun altro, sembra voler sostenere che il problema non è nella scrittura, ma nella
lettura editoriale condotta e nelle modifiche proposte. Il rifiuto di uno scrittore di accettare le
correzioni suggerite mette in risalto il confronto non risolto tra le diverse interpretazioni: il punto di
vista dell’autore e quello dell’editore non trovano un piano di compromesso. A volte, si deve
parlare di presunzione editoriale: in base a questa uno scrittore abbandona la trattativa con un
editore dando il proprio testo a un altro.

I letterati editori esprimono un personale modello anche nei suggerimenti di correzione. Più di tutti
gli altri letterati editori è stato Calvino, svolgendo il lavoro di lettore per Einaudi, a instaurare un
dialogo sia con gli aspiranti scrittori sia con gli autori già previsti nei programmi della casa editrice,
riportando le proprie osservazioni sulla struttura delle narrazioni e sulla loro scrittura.

Non è per altro infrequente, nell’ambito dell’edizione di romanzi e racconti, che sia lo stesso editore
a intervenire su singole porzioni di testo, a volte in modo del tutto arbitrario e senza
l’autorizzazione dell’autore (situazione ricorrente se l’opera è postuma). Riferendosi, in particolare
ai cambiamenti apportati a “Tempo di uccidere” di Ennio Flaiano, Gian Carlo Ferretti scrive che
Leo Longanesi sui testi è di una spregiudicatezza al limite e oltre il limite della correttezza. Altri
editori, invece, assecondano, si potrebbe dire per delega. Non tutti gli autori di fronte a tante
correzioni editoriali del loro scritto o alle richieste di cambiamenti reagiscono positivamente. Se
Michele Prisco, in conseguenza delle obiezioni di Alberto Mondadori per “Gli eredi del vento”,
decide di dare il romanzo a Rizzoli, altri scrittori accettano ogni consiglio, considerandolo un aiuto
prezioso; altri ancora accolgono le correzioni solo per poter pubblicare la loro opera. Una
particolare situazione si viene a determinare quando i cambiamenti sollecitati portano l’autore a
rivedere profondamente quanto ha scritto, spesso con la conseguenza di dar vita a un altro testo. Un
caso di grande significato è rappresentato da “Ragazzi di vita” di Pier Paolo Pasolini, uscito in
prima edizione da Garzanti nel 1955. Fu lo stesso Livio Garzanti, preoccupato per il linguaggio e le
immagini scabrose, a chiedere a Pasolini di modificare il romanzo, sebbene già in bozze, e lo
scrittore lo trasformò profondamente. Il risultato fu un altro testo, rispetto a quello già messo in
lavorazione. Pasolini confessa la sua difficoltà, parlando addirittura di aver vissuto in una specie di
incubo.
La riscrittura editoriale: l’esempio dei “Ragazzi di vita” di Pasolini affianca all’idea di un editore
primo partner dell’autore la constatazione che anche un’imposizione editoriale instaura un legame
inscindibile, nella genesi del testo, tra chi scrive e chi pubblica. Si possono riportare le parole di
Grazia Cerchi, che parlava in modo esplicito di collaboratori dello scrittore che correggono i
romanzi e racconti in pubblicazione. Questi collaboratori dello scrittore non sono ghost writer, né
coautori, ma sono dei lettori competenti e fidati al servizio di chi scrive e non degli editori.
L’editing è un lavoro che richiede una forte dose di masochismo. Bisogna infatti tuffarsi nell’altrui
personalità abdicando alla propria; in secondo luogo è un lavoro che resta rigorosamente anonimo,
di cui si è ringraziati solo verbalmente. Grazia Cerchi scriveva anche che nella narrativa nostrana
sono pochissimi gli autori che non hanno bisogno di editing si rivendica l’importanza di un ruolo
che migliora il testo.

Bisogna però aggiungere che l’editing interviene sul testo di un autore già destinato alla
pubblicazione non tanto con correzioni stilistiche, quanto modifiche dello sviluppo del racconto;
non tanto consigli di ordine generale, ma la riscrittura di intere parti. Il dibattito sulla possibilità e la
necessità di sottoporre a editing la maggior parte dei romanzi italiani in pubblicazione si è
sviluppato in Italia a partire dalla metà degli anni novanta, pochi mesi dopo la morte di Grazia
Cerchi.

La contraddizione tra poetica dello scrittore e mercato dell’editore, tra salvaguardia dell’una e
attenzione dell’altro torna dunque nel momento della revisione editoriale del testo, condotta
secondo criteri che guardano contemporaneamente alla riuscita del testo, secondo i modelli del
lettore editoriale che si fa revisore, e alle caratteristiche del destinatario (in molti casi considerato
solo in quanto acquirente). Nel dibattito degli anni 90 sull’editing, si manifestano le posizioni
ricorrenti in tutte le riflessioni sull’editoria a cavallo tra 900 e gli anni 2000, con la preoccupazione
di raggiungere una coerenza stilistica e una migliore organizzazione narrativa da un lato, con
l’invocazione della necessità di rivolgersi a gruppi di lettori sempre più ampi, dall’altro, rendendo
pubblicabile un testo che per molte ragioni, sarebbe rimasto lontano dalla stampa.

È dunque molto difficile distinguere tra l’intenzione dell’autore e la sua interpretazione da parte
dell’edito. In nome di quello che l’autore avrebbe voluto, e non ha saputo, fare, l’editore, con
l’editing vuole collaborare al conseguimento di un risultato testuale a suo dire migliore. Numerosi e
importanti esempi stranieri accreditano l’affermazione dello scrittore americano Jay McInerney,
secondo il quale alcune tra le più grandi opere di letteratura americana del XX secolo hanno preso
forma attraverso la collaborazione editoriale. È lo stesso McInerney a ricordare che “Terra desolata”
di T. S. Eliot subì un editing radicale da parte di Ezra Pound e che F. Scott Fitzgerald sottopose a
editing la prima stesura di “Fiesta (il sole sorge ancora)” di Hemingway.

Per l’ultima parte del 900, sempre in ambito statunitense, va almeno ricordata la diffusione della
letteratura del minimalismo, sul modello dei racconti di Raymond Carver, ma quei racconti non
sono di Carver. I suoi erano più pieni, non erano scritti tagliando tutto fino al midollo. Erano stati
infatti riscritti dall’editor che aveva fatto saltare più della metà del testo e modificato molti finali.
La scrittura ricondotta al nome di Carver non apparteneva a lui. Quale redazione dei racconti
considerare dunque quella originale o quella edita? Con l’uscita dei racconti nella prima redazione,
il lettore ha ora davanti a sé due libri diversi, ciascuno con la propria autonomia. L’esempio di
Carver è in una zona estrema di correzione editoriale e paradossalmente proprio la radicalità dei
cambiamenti ha favorito il recupero delle versioni originali e della volontà dell’autore.

L’ampia revisione in casa editrice del testo di uno scrittore considerato ormai classico trova un
esempio di assoluto rilievo nella vicenda di “Eros e Priapo” di Carlo Emilio Gadda, pubblicato da
Garzanti nel 1967. L’edizione critica della prima redazione inedita mostra modifiche forzate cui le
pagine gaddiane sono state sottoposte per la pubblicazione. Caso interessante perché l’autore è stato
coinvolto negli ampi interventi correttori condotti sulle prime bozze. Le ragioni per cui Gadda
accoglie la revisione editoriale del suo testo sono da individuare nel suo difficile rapporto con gli
editori. Tradito Garzanti per Einaudi, Gadda si sente quasi obbligato a dare all’editore milanese un
nuovo libro. Sarà appunto “Eros e Priapo”. Il caso dell’edizione di questo volume è paradigmatico,
in negativo: il risultato degli interventi editoriali è un’edizione infida, regressiva, quasi postuma,
condotta con un pragmatismo inadeguato alla complessità dell’impresa.

Il testo pubblicato nella prima edizione rappresenta il riferimento assoluto; su quel testo si è
esercitata e si esercita la critica e a quel testo, qualunque siano state le modalità che hanno portato
alla stampa, verrà associato in modo definitivo il nome dell’autore. Nel assaggio dal 900 al nuovo
secolo, per altro, il termine editing si è imposto in Italia, per ogni tipo di correzione editoriale: dalla
modifica di qualche virgola, al cambiamento della trama, alla riscrittura. La conoscenza delle
correzioni apportate in redazione è dunque di grande interesse: dal punto di vista del lavoro in casa
editrice, per conoscere i diversi processi; in ambito filologico e critico, per approfondire la
riflessione sul testo che viene trasmesso al lettore.

Ermeneutica dell’edizione
Ermeneutica = metodologia dell’interpretazione dei testi scritti

Appunti teorici preliminari: Jose Luis Borges, ricordando nell’”Autobiografia”, di aver incontrato la
storia del “Don Chisciotte”, per la prima volta nell’edizione Garnier dalla rilegatura rossa e i titoli
dorati, aggiungeva che quando lo lesse in un’altra edizione, ebbe la sensazione che non fosse il vero
Don Chisciotte.se per leggere il testo di uno scrittore è necessario un oggetto editoriale, è inevitabile
lo studio di ognuno di questi oggetti in quanto forma di una specifica edizione, per cogliere le
modalità con le quali un testo è stato trasmesso e letto. In questa direzione ha avuto particolare
fortuna in Italia, l’ampio studio di Gérard Genette, “Seuil, Soglie”, che ha introdotto l’idea di
esaminare il paratesto, composto empiricamente da un insieme di pratiche e di discorsi di tutti i tipo
e di tutte le età, riconducibili agli elementi che circondano il testo nello spazio fisico del libro
(peritesto) e a ciò che esterno al volume, dalle recensioni alle interviste all’autore, entra tuttavia
nell’esperienza della lettura (epitesto); è attraverso il paratesto che il testo diventa libro ed è per
questo che non esiste e non è mai esistito un testo senza paratesto. Si possono individuare gli
elementi che vengono decisi dall’editore (peritesto editoriale): titoli, formato, collana, immagine di
copertina, risvolto o quadra di copertina, frontespizio e colofone, carattere di stampa,
impaginazione, tiratura, prefazione, note. Genette affermava che tutti gli elementi che circondano il
testo sono il luogo privilegiato di una pragmatica e di una strategia, di un’azione sul pubblico, con il
compito di far meglio accogliere il testo e di sviluppare una lettura più pertinente, agli occhi
dell’autore. Genette richiamava la possibilità di condurre la lettura di un testo secondo l’intenzione
di chi lo ha scritto (e parlava del paratesto come portatore di un commento autoriale, legittimato
dall’autore), rafforzata dall’intenzione dell’editore. In realtà è vero che l’editore può esaltare la
volontà dell’autore, è altrettanto vero che può allontanarsene, per esprimere modalità di lettura
differenti. Nelle pagine di Genette il paratesto si presenta sotto forma di scritti che accompagnano il
testo, da collocare dentro un contesto preciso, rispettando la storicità dei testi, le modalità, le
condizioni tecniche e sociali in cui i testi dall’antichità ai nostri giorni sono stati e sono prodotti.

Se i testi letterari vivono nel tempo attraverso le edizioni che li tramandano, il senso di ogni singolo
testo si costruisce solo a partire dalle caratteristiche delle edizioni dalle quali è trasmesso: ciascuna
diversa dalle altre, sia che appartenga al tempo dello scrittore sia che nasca in un periodo successivo
di decenni o di secoli. Le scelte di ogni edizione istaureranno dunque una maggiore o una minore
distanza tra un lettore e un testo, E permetteranno di conoscere meglio gli aspetti storici e letterari in
rapporto all’autore, o favoriranno una lettura come occasione di personale esperienza. Proprio
perché il passaggio di un testo nel tempo avviene sulla base di molteplici edizioni, a loro volta
inserite in un quadro storico e culturale, letterario e filologico, produttivo e commerciale, la storia di
ogni edizione offre la possibilità di approfondire le scelte condotte da chi ha curato il testo
stampato, e da chi ne ha stabilito le caratteristiche materiali.

La storia di un’edizione è ormai al centro di numerosi percorsi di studio: di storia del libro e di
bibliografia. Poiché lo studio di un testo non può prescindere dai legami concreti che i suoi supporti
materiali hanno con la cultura che li ha prodotti e non è possibile trascurare le diverse forme con le
quali è presentato a un lettore, è necessario conoscere bene l’obiettivo che si vuole raggiungere.
D’altra parte un testo è esistito anche sul tavolo di chi lo ha scritto, il quale voleva raggiungere un
potenziale lettore; e allo scrittore, e a ciò che voleva dire, deve infatti continuare a guardare la
filologia.

Attraverso lo studio delle forme della sua trasmissione è dunque possibile ricostruire la vita di un
testo nel tempo: quello della sua scrittura, quello della sua prima pubblicazione, quello delle sue
epoche successive. Poiché la storia di un testo passa attraverso la storia delle edizioni che lo hanno
condotto al lettore, occorre portare l’indagine sia sul testo definito di volta in volta dall’editore
curatore, sia sulle caratteristiche materiali del libro, scelte dall’editore imprenditore. Dietro ciascuna
decisione si possono individuare le ragioni, i caratteri, le competenze, la cultura, le intenzioni o le
occasioni dell’editore, e le ragioni, i caratteri, le competenze, la cultura della comunità di lettori cui
l’editore vuole rivolgersi.

L’edizione di un testo, sia la prima o una delle successive, presenta una specifica forma, definita
dall’insieme delle caratteristiche, testuali e materiali, con quali è offerta: questa forma è portatrice
di un’interpretazione.

Forma dell’edizione e opera letteraria: consegnato da un’edizione a un lettore, il testo non è più
isolato nel suo essere scrittura di un autore, ma diventa opera, secondo quanto ha scritto Franco
Brioschi. Brioschi definisce opera il risultato di una costruzione simbolica nata dentro l’esperienza
che si esplica nel corso della lettura di riprodurre nell0immaginazione gli oggetti, le vicende, gli
stati di cose denotati dal testo, così come risultano modellati dalle sue parole. Se il testo conserva
tutto il suo valore nella propria singolarità, non possiamo vedere che cosa c’è nel testo, se non
contro una luce che viene dal di fuori, ed è in rapporto a questa luce esterna che si costituisce
l’opera. Ed è l’opera, non il testo, l’oggetto letterario. Il testo non diventa dunque oggetto letterario
sena la lettura, ma a sua volta la lettura non esiste senza un oggetto editoriale, cioè senza
un’edizione.

L’oggetto editoriale, per sua natura interpretativo, porta con sé il suggerimento di lettura (l’intentio
editionis) che l’editore vorrebbe trasmettere ai lettori della comunità cui si indirizza. Non bisogna
trascurare i singoli elementi che costituiscono la presentazione fisica di un libro (carta, copertina,
impaginazione, spazi bianchi, caratteri), in particolare constatando la loro significativa funzione
nella formazione dell’oggetto letterario e nell’esperienza della lettura. La forma dell’edizione nasce
dal confronto tra due modalità di lettura, quella editoriale e quella autoriale: in caso di discordanza
può prevalere l’una sull’altra secondo il grado di autorevolezza o di potere contrattuale conquistato
dallo scrittore in rapporto all’editore.

Ciascun lettore potrà raccogliere o meno i suggerimenti editoriali di come leggere il testo e di come
interpretarlo. Davanti a edizioni alternative che, pur trasmettendo lo stesso testo, lo interpretano
diversamente, dovrà compiere una scelta: e questa scelta è già un primo atto nella costruzione
dell’oggetto letterario. Il libro nei suoi aspetti materiali esibisce una retorica editoriale, che si
manifesta nei caratteri dell’appartenenza a una collana, nei richiami grafici, nell’impaginazione,
nelle preferenze tipografiche, negli scritti editoriali che accompagnano il libro. Se le figure di quella
retorica sono comuni agli editori e ai lettori in quanto appartenenti alla stessa comunità, la
comunicazione si attua in modo fecondo; viene invece interrotta dalla mancata riconoscibilità. Le
figure di retorica condivisa permettono all’editore di stipulare un patto editoriale con il lettore cui si
rivolge.

Lo spazio dell’edizione: una collana dall’identità ben definita influisce sulle modalità della lettura: i
testi che in essa sono pubblicati appartengono a uno spazio tracciato dalle caratteristiche di genere
proprie della collana. Testi molto diversi tra loro possono dunque essere unificati dalla comune
prospettiva di lettura proposta ai potenziali lettori; attraverso quella prospettiva, che colloca il testo
dentro un orizzonte precostruito, si viene a formare un pregiudizio, cioè un’attesa di lettura
determinata dalle varie indicazioni editoriali.

La collana ha dunque creato un proprio spazio, che in realtà è già uno spazio di lettura. Ogni
elemento del peritesto e in particolare la collana va visto come un’entità inseparabile dalle strategie
interpretative dell’editore, mossa da principi e da categorie destinate a picchettare uno spazio di
lettura e a selezionare un pubblico. Ciascuna collana dunque costruisce anche, attraverso i peritesti,
il pregiudizio del lettore.

Per una lettura che dia soddisfazione occorre sapere individuare la modalità di lettura che il testo
richiede. Un testo che presenta un’ambiguità di genere, una volta collocato in una collana di forte
identità ne assume le caratteristiche; e lo stesso accade quando passa da una collana all’altra. Più
che il nome di una collana, è la riconoscibilità dei titoli in essa pubblicati, e soprattutto le
caratteristiche esibite dagli aspetti fisici dei libri a trasmettere indicazioni al lettore. Questi elementi,
dovranno essere individuati per comprendere i cambiamenti di genere introdotti, nel tempo, dalle
diverse edizioni. Lo stesso nome di una collocazione diventa un’enunciazione editoriale importante
per delineare uno spazio di lettura.
La fisicità dell’edizione: in età moderna uno degli elementi cui maggiormente guardavano gli
scrittori dell’antico regime tipografico, il formato, ha perduto pressoché tutta la sua rilevanza. Nel
1806 proponendo a uno stampatore una nuova edizione delle “Ultime lettere di Jacopo Ortis”, Ugo
Foscolo rivela di avere colto come i lettori possano accostarsi ai testi con modalità di lettura diverse
in rapporto alla percezione che hanno dell’oggetto editoriale. Erano seguite fortunate edizioni
stampate illegalmente, con un testo ampiamente scorretto, quasi sempre nel formato popolare. Per
arrivare ai lettori colti lo scrittore propone dunque una nuova edizione che dovrà essere un’edizione
di lusso, da farsi con amore e gusto. Il formato e l’impostazione grafica avrebbero contribuito a
ricondurre il romanzo a una fruizione colta.

Sono gli aspetti della veste del libro ad assumere nuova importanza, sia dal punto di vista
commerciale sia dal punto di vista della qualità dell’edizione. A volte gli stessi autori si affidano
alla veste come a uno specchio della propria poetica. Nel 900, quando destinato a comunità di lettori
molto diverse tra loro, il medesimo testo è presentato in edizioni con caratteristiche molto differenti,
per dimensione del libro, tipologia della copertina, qualità della carta, dimensione e qualità del
carattere di stampa (e di conseguenza diversità del presso). Anche il passaggio dal libro rilegato al
libro in brossura nelle collezioni tascabili ed economiche può essere letto in questa chiave:
l’eccezione a questa prassi è l’uscita della “Storia” di Elsa Morante direttamente nella collana
economica di Einaudi, per volontà della stessa autrice di parlare a tutti. Carta, inchiostri, caratteri,
immagini di copertina e impaginazione, prima di essere un tema di discussione in redazione sono un
argomento ricorrente in molte corrispondenze tra scrittori e editori.

La scelta della carta può portare in primo piano altre questioni: per esempio quella della dimensione
del volume o della leggibilità. Sono gli aspetti grafici nel loro complesso a trasmettere una prima
dichiarazione dell’intentio editionis. A questo aspetto si può associare quello della mise en page,
dell’impostazione grafica che ogni pagina deve avere, con particolare riferimento ai caratteri da
utilizzare e al rapporto tra parti scritte e spazi bianchi. La veste del libro, nel momento in cui questo
diventa merce, non è più un semplice corredo aggiuntivo al suo contenuto, ma ne risulta una parte
intrinseca.

Lo studio degli aspetti grafici può offrire dunque numerosi spunti, per i singoli titoli nelle diverse
edizioni, per approfondire la conoscenza delle intenzioni dell’autore e delle intenzioni editoriali. La
storia della grafica editoriale e dell’illustrazione di copertina entrano di diritto nella storia delle arti
applicate e nella storia degli illustratori. Lo studio di un testo pubblicato in diverse edizioni
moderne comporta un esame delle sue copertine. Soprattutto dall’illustrazione sotto o sopra il titolo,
trasmessi visivamente, arrivano i primi suggerimenti di lettura, importanti se si possono ricondurre
a una scelta dello stesso scrittore. Se da un lato, infatti, si può individuare la comunità di lettori cui
l’editore si rivolge (e coglierne i gusti, assecondati dai grafici), dall’altro, si può riconoscere
l’interpretazione del testo che l’editore suggerisce.

Chi dirige una collana, quando sceglie personalmente l’immagine da porre in copertina, offre al
lettore una propria interpretazione del testo, spesso completata dagli scritti di presentazione
editoriale. Ne è un esempio rilevante Leonardo Sciascia, che, sia per i propri libri sia per quelli che
fa pubblicare da Sellerio, compie una scelta autoriale dell’illustrazione di copertina. I libri li
pensava vestiti. Non sempre, tuttavia, editore e scrittore si muovono sullo stesso orizzonte di
interpretazione del testo, o si indirizzano agli stessi lettori; ne nasce un conflitto che si manifesta
anche nelle scelte delle copertine.

Analogo meccanismo di formazione del pregiudizio, e attesa, curiosità, desiderio di saperne di più,
suscita il titolo, che campeggia sulla copertina anche quando questa è tipografica, senza quindi
alcuna illustrazione. Di competenza editoriale, e rivolgendosi genericamente, come afferma
Genette, a un pubblico (e non, come il testo, direttamente al lettore), il titolo è certamente il nome
del libro, la definizione sintetica che serve a identificare un’opera, ma soprattutto, secondo le parole
di Umberto Eco, è una chiave interpretativa. Non ci si può sottrarre alle suggestioni generate da “il
roso e il nero” o da “Guerra e pace”. La storia dei titoli è la storia delle potenziali letture, quelle che
l’autore vorrebbe suggerire e quelle che, con la stampa propone l’editore. Eco, parlando dei titoli
che aveva pensato per il suo primo romanzo: “il mio romanzo aveva un altro titolo di lavoro, che
era “l’abbazia del delitto”. L’ho scartato perché fissa l’attenzione del lettore sulla sola trama
poliziesca e poteva indurre sfortunati acquirenti, in caccia di storie tutte d’azione, a buttarsi su un
libro che li avrebbe delusi.” Col titolo inizialmente proposto da Eco sarebbe stata del tutto assente la
misteriosa luce metafisica ed elegiaca diffusa sul romanzo da “il nome della rosa”, titolo metaforico
e simbolico.

La ricerca di un titolo che interpreti lo spirito del libro, e che, nello stesso tempo possa raggiungere i
lettori, è comune a tutti gli editori. È proprio in rapporto alla conquista dei lettori, da un lato,
all’interpretazione del testo dall’altro, che si manifesta spesso lo scontro tra editore e scrittore. Se il
primo, dando una propria lettura del testo, pensa ai lettori che vuole raggiungere per farli diventare
acquirenti, il secondo considera il titolo come espressione della propria scrittura. L’opposizione
scrittore-editore viene meno nel caso specifico dei letterati editori che scelgono i titoli per i propri
testi. L’esempio più significativo è offerto da Italo Calvino, che ha sempre prestato molta attenzione
alla scelta del titolo di ogni suo libro, in quanto elemento strettamente legato alla scrittura. Per i
propri testi, Calvino compila lunghi elenchi di titoli e quello scelto e giudicato definitivo si presenta
come un’anticipazione delle scelte poetiche e linguistiche proprie della scrittura dell’autore. Un
titolo diventa lo spunto per sviluppare una narrazione.

Gli scritti editoriali che accompagnano il testo: quanto detto del ruolo inerente gli aspetti grafici va
riproposto a maggior ragione per gli scritti dell’editore, collocati in luoghi vari del libro: sulla
quarta di copertina, nei risvolti (inglese = blurb) o nelle pagine preliminari che precedono il testo.
Attraverso il tempo mediamente richiesto per la lettura di una quarta di copertina o di un risvolto si
potrebbe individuare il tipo di rapporto che l’editore vuole creare con il lettore che prenderà in
mano il libro. Nei brevi testi editoriali posti sulla copertina o dentro il libro è possibile trovare sia
un invito alla lettura sia un suggerimento delle modalità con le quali leggere il testo, una chiave di
interpretazione offerta dall’editore, primo lettore che si fa garante per gli altri. Lo scritto editoriale
ricorre a uno stile e a un registro linguistico che possa entrare direttamente in contatto con i lettori
cercati: in rapporto alla competenza dei lettori, si muoverà in direzione informativa o sviluppando
un discorso critico. I richiami intertestuali o i rimandi a eventi dell’attualità culturale, politica o
della cronaca giornalistica, rivelano l’esistenza di una retorica editoriale che accomuna chi scrive la
presentazione e chi leggerà, ed è la ragione per la quale lo stesso testo, è accompagnato da quarte di
copertina o da risvolti con differenti suggerimenti di lettura.
Attraverso lo studio degli scritti editoriali, la storia delle edizioni suggerisce lo svolgersi e il
modificarsi nello tempo delle diverse interpretazioni editoriali, con suggerimenti di lettura proposti.
Per i testi degli scrittori del 900 la presentazione editoriale è a volte la prima e unica guida alla
lettura, quella che trovano i lettori della prima edizione. Nel secondo 900, quarta e risvolto si sono
imposti come elementi che appartengono al libro, alla sua fisionomia, come il colore e l’immagine
della copertina (in precedenza per vari editori tra cui Longanesi, Einaudi, Feltrinelli, Sellerio, fino
agli anni 70, la nota editoriale era soprattutto affidata a fogli di piccole dimensioni, inseriti tra le
pagine del libro, o a veri e propri segnalibri). Per questa ragione gli scrittori, quando possono
vigilare sull’edizione, sono attenti alla presentazione editoriale del loro testo e al fatto che l’intentio
editionis corrisponda alla propria intenzione.

Lo scritto di presentazione editoriale è rivelatore di una linea letteraria che l’editore ha espresso con
quel titolo o con il proprio programma. Se il risvolto o la quarta sono firmati da un letterato editore
possono poi rivelare sia la sua personale lettura e interpretazione del testo, sia le sue stesse
riflessioni di poetica: gli scritti editoriali diventano così il luogo privilegiato della militanza
culturale e letteraria perseguita nel lavoro in casa editrice. In questo senso i testi compilati per
ragioni editoriali da Calvino, Sciascia, Vittorini sono di grande rilevanza, oltre che come
testimonianze su una produzione libraria, come documenti per lo studio dei singoli scrittori.
Vittorini affermava a proposito dei suoi risvolti dei Gettoni che a essi affidava, un discorso,
sviluppato volume dopo volume, poiché li considerava un luogo franco, destinato a commenti e alle
discussioni, uno strumento di conversazione con autori e lettori. Vittorini trasforma il risvolto in un
vero e proprio genere critico, una sorta di diario pubblico.

Calvino esprime un suggerimento di lettura: non imponiamo mai un libro, ma lo proponiamo. Allo
stesso modo non giudichiamo mai, ma suggeriamo una delle tante strade per leggerlo. Anche per
Sciascia, direttore di collana per Sellerio, la scelta di un libro da pubblicare è un atto di critica, di
volta in volta esplicitato nel risvolto. L’attività editoriale di Sciascia dispiega un’autobiografia
culturale e autorizzata, che si dà tutta insieme in ogni momento della collana e in sequenza. I
risvolti sono brevi e rapidi lampi critici, pagine critiche. Risvolti o quarte di copertina assumono un
significato particolare quando sono scritti dagli stessi autori: l’interpretazione, questa volta, è quella
dello stesso scrittore, che suggerisce ai suoi potenziali lettori come leggere il testo.

Conclusione finale: lo studio del testo si muove con un doppio movimento, verso il tempo della sua
scrittura e lungo il tempo della sua trasmissione, con il tempo del testo, da un lato, i tempi
dell’edizione dall’altro, occorre che ci si confronti: sia in sede filologica sia in un contesto critico,
tanto più per quest’ultimo, se si presta una particolare attenzione all’interpretazione. Guardando al
tempo della scrittura e al tempo della lettura, non si può evitare l’incontro con chi ha il ruolo di dare
al testo una vita pubblica. Un editore è sempre alle spalle di ogni scelta di stampa, di ogni edizione,
di ogni sua forma.

Potrebbero piacerti anche