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STORIA DEL LIBRO E DELL’EDITORIA

1. 1450-1550: il secolo creativo, gli inizi di tutto quello che possiamo riconoscere anche adesso.
2. 1550-1800: l’era del consolidamento, perfezionamento di quanto raggiunto ma nell’ottica dello spirito
conservatore. Fase molto unita. Non cambia granché dal punto di vista della tecnica di stampa, della
distribuzione, ruolo editore/stampatore. Cambiamenti dal punto di vista del contenuto ma non nella forma.
3. Dal 1800 alla fine del 1900: le prime differenze si notano dalla seconda metà dell’800 grazie all’introduzione
della macchina a vapore, coscienza degli editori che non saranno più anche stampatori (divisioni di ruoli). In
Italia (ci fu l’unità in quel periodo): vengono meno ad esempio i pagamenti dei dazi, eliminando questi dazi
si apre la circolazione del libro. Innovazioni tecniche che mutarono modi di produzione e distribuzione dal
1830 si parla di libro moderno.
4. Fino ad oggi: uso del digitale. Oggi abbiamo questi grandi distributori che non vendono solo libri che sono
trattati come merci, prodotti da industria, da vendere. Questo prodotto ha subito innovazioni (piuttosto
lente). Siamo alla fase del libro digitale (meglio testo digitale). La diversità adesso è lampante. È cambiato
tutto tanto che alcuni non lo definiscono più libro: è cambiato il formato, la promozione, la distribuzione,
anche l’idea di fare un libro. Adesso abbiamo la stampa su richiesta. Siamo in una fase di passaggio (tipo
manoscritto stampa). Il controllo della stampa: il manoscritto nasceva controllato libro stampato è una
possibilità alla società per leggere testi. Che testi? Prima era una lettura estensiva, adesso intensiva. Adesso
un po’ tutti scrivono e pubblicano, gli editori sono un po’ sconcertati, si hanno problemi di distribuzione. Poi
c’è anche la questione della conservazione.

Cambiamenti:
1. Dalla scrittura al codice: 4200 anni
2. Dal codice ai caratteri mobili: 1250 anni
3. Dai caratteri mobili a internet: 524 anni
4. Da internet ai motori di ricerca: 17 anni
5. Dai motori di ricerca al relevance rankin algoritmico di google: 7 anni
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Cambiamenti dalla velocità incredibile: 4000 anni dalla scrittura manoscritta al codice e all’incunabolo. C’è voluto
tempo poi per trovare un supporto adeguato (pergamena), altrettanto tempo per l’introduzione dei caratteri mobili.
Ma i tempi si accorciano sempre di più. Quello che conta è che la fase di adesso è molto veloce, tanto da rischiare di
non rendersene conto. È un’evoluzione del nostro cervello. Il nostro modo di approcciarci ai testi sta cambiando.
Adesso servono più competenze rispetto ad un tempo. Il libro tradizionale avrà ancora il successo di cui ha goduto.
Fisiologicamente il lettore non è pronto a certi supporti, soprattutto per certi tipi di testi.

Libertà di stampa nel XVIII secolo  La Francia è uno dei primi paesi che si preoccupa dell’autore che deve vivere
grazie al suo lavoro, alla sua penna. Gli autori prima vivevano di committenza, mecenatismo, qualcuno che li
assumeva nelle corti, nei principati. All’inizio del ‘700 (1705) in Inghilterra si comincia a porsi l’idea: adesso che
stiamo andando verso il liberalismo (vengono meno le corti), questi autori di cosa vivranno?
La Francia comincia a trovare soluzioni al problema con due personalità centrali: Condorcet (nel 1776) va contro la
teoria di Diderot il quale dice che la produzione, la creazione di un autore va difesa, mentre C. dice che un’idea e la
sua diffusione deve essere libera perché l’editoria non deve essere soggetta al discorso della proprietà e dei privilegi
(discorso sentito molto in Francia in questo periodo in virtù del fatto che essendo uno stato unitario era molto
grande, bisogna difendere privilegi e proprietà). Per C. è illegittimo applicare questo anche al mondo dell’editoria, il
modo di proporre un’idea è solo un mezzo (attraverso un libro, pieghevole, pamphlet) perché l’idea e i principi sono
superiori, quindi non devono essere difese, non devono avere dei privilegi. Diderot sosteneva che in realtà la
proprietà del testo fosse la facoltà di dare il mandato ad un editore non un diritto ma un privilegio, il fatto che un
autore possa rendere pubblico il suo testo è un privilegio. Condorcet pensava che ciò fosse nocivo per l’interesse
pubblico, per il progresso di quei decenni. Quindi, secondo il pensiero di C., un’opera non può essere considerata un
diritto, un privilegio a maggior ragione non può essere considerata proprietà personale. C. è spinto come illuminista,
secondo lui ognuno deve contribuire a migliorare a diffondere e a riprodurre tutte quelle verità utili al progresso, alla
scienza, alla cultura, alla società. Quindi NO proprietà individuale. L’idea appartiene a chi l’ha creata ma nel momento
della sua creazione l’idea diventa pubblica, l’autore non può pretendere di lucrarci.

Nei discorsi di Diderot e Condorcet viene fuori il rapporto, la dicotomia tra testo e libro. Perché il libro (oggetto) e un
testo (ha senso se è interpretabile) sono due cose differenti. Entra in gioco la fisicità del libro e l’idea, la “spiritualità”
del testo. Il testo scritto dà sempre la stessa risposta, fissa l’idea che rimane sempre la stessa, secondo Platone solo
l’oralità, il confronto, il modo diverso di esprimere lo stesso concetto porta al progresso. Non è ancora così perché il
web rende il testo (non legato a supporto) sempre trasformabile. L’idea può diventare proprietà personale quando è
sistemata su supporto perché è atto alla diffusione.
L’idea trova materialità economica, necessità di stare sul piano dell’economia solo se ha la produzione concreta/ idea
di Platone.

Platonismo (un’opera trascende tutte le sue possibili incarnazioni materiali) Platone era un filosofo che lavorava
sull’esercizio della memoria e solo la trasmissione del contenuto attraverso la memoria avrebbe permesso la
dialettica, il confronto/Pragmatismo (nessun testo esiste al di fuori della materialità che gli permette di essere letto
o ascoltato), solo se un testo è trasmesso sotto forma di scrittura, di libro posso trasmettere la conoscenza.
Trasmettere il libro in forma scritta permette il sorgere della figura dell’autore.
Il libro quindi con le sue caratteristiche si fa mezzo, strumento per la trasmissione delle idee. Di queste idee l’autore
può vivere attraverso la sottoscrizione, prima i mecenati, e l’editore può trovare la copertura delle spese materiali
attraverso la vendita. Tutti gli elementi che fanno sì che io possa parlare di libro (librarietà) sono tangibili.

Diritti  Il testo è frutto di una creazione di un autore, quindi i diritti di proprietà intellettuale sono inalienabili e
non possono essere trasferiti. L’autore potrebbe volere rendere pubblico il suo testo, quindi ha bisogno di un editore
che a sua volta ha bisogno del mandato dell’autore. Si profilano due figure nel mondo dell’editoria in relazione. Se
l’editore ha la possibilità di avere un testo da pubblicare, su questa pubblicazione ci deve guadagnare. Nel momento
che l’editore edita questo testo in maniera illegittima, senza mandato compie reato. Con il mandato l’autore concede
il diritto di copyright, la possibilità che l’editore ha di poter presentare il testo, di revisionarlo, con un certo formato,
con una certa introduzione, con una certa copertina. Ha a disposizione delle possibilità.
L’autore potrebbe vivere dei diritti d’autore, nell’accordo si deve stabilire che per copie l’autore ha un certo
guadagno. Dura 70 anni dalla morte dell’autore. Passati questi l’editore non ha più bisogno del mandato dell’autore
(Es. Anna Frank con Einaudi). Proprietà intellettuale è inalienabile. Questo diritto duro 70 dalla morte dell’autore.
Passato questo tempo l’editore non ha più bisogno del mandato. Manzoni, Leopardi sono autori pubblicati
tranquillamente anche sul web. La proprietà intellettuale però rimane: se citiamo Manzoni, dobbiamo nominarlo.

Il testo  Il testo indica un discorso che può essere più o meno lungo o articolato fissato sempre su un supporto.
Quintilianeo parla per la prima volta di testo in Institutio Oratoria, insieme di parole legate sintatticamente,
grammaticalmente una con l’altra che danno luogo a un discorso che trova possibilità di diffusione attraverso un
supporto sufficientemente spazioso per contenere quel testo. Il passaggio di poter mettere un testo su un supporto
è un passaggio culturale. Nel mondo antico si preferiva l’oralità, ci vorranno anni perché il testo possa trovare uno
spazio adeguato su un supporto per poter essere divulgato e conservato. I testi adesso vengono digitalizzati, la
scansione è la riproduzione fotografica del testo. Salto ulteriore consiste nel fatto che non devo più comporre,
preparare il testo.

Il libro per essere tale ha bisogno di un testo e un testo per essere tale ha bisogno di un supporto. L'audio-libro può
essere considerato un testo (registrazione è un supporto), un testo che acquista significato anche se non è scrittura.
La cultura di oggi è inclusiva, per dare accesso a chi non può leggere l’alternativa è di ascoltare. L’editoria cerca
sempre nuove fasce di consumatori.
Se modifico la rappresentazione e il supporto vado a toccare i diritti di edizione, se invece modifico nel contenuto
vado a toccare i diritti d’autore, il testo così assume due accezioni quella di contenuto e di struttura. Un testo (anche
se per sineddoche diventa libro) non è un libro, può essere scritto su qualunque cosa , ma questo non lo rende un
libro, né gli conferisce la librarietà.
Il testo musicale ha trovato un supporto per la riproducibilità solo 150 anni fa.

Libro  Il libro è un oggetto, è un insieme di fogli stampati o manoscritti, di forma e di misura uguale, ordinati,
numerati e cuciti insieme in modo da formare un volume, fornito di copertina o (ri)legato. In tutto ciò l’editore
trasforma il semplice testo in un libro.
Una delle caratteristiche del libro è la librarietà, la qualità tipica di un libro. Il termine indica il confezionamento di
più superfici piane collegate in una sequenza stabilita o modificabile mediante un qualche meccanismo atto a tenere
unite le varie parti, oppure da un qualche tipo di supporto o di contenitore, e associate a un messaggio
visivo/verbale chiamato testo. In poche parole sono gli elementi fisici che lo contraddistinguono, che lo rendono
fisicamente tangibile (pagine, copertina, dorso, legatura). Se non ci fossero questi elementi faremmo fatica a
riconoscere il libro.
Indice, frontespizio, introduzione sono elementi che si chiamano paratesto (anche la copertina. Dal greco “para” con,
quindi sono elementi che stanno con il testo, che ti aiutano a fruire del libro).

Kant per primo si è chiesto cos’è il libro. La definizione che lui dà è Opus Meccanicum, opera/oggetto meccanico
(siamo già nel ‘700, c’è stato Gutenberg): per costruire un libro ho bisogno di macchine (che questa sia il torchio di
Gutenberg, la macchina da scrivere, o il computer poco importa). Dice anche che il libro è un testo che uno scrittore,
un editore, decidono di rendere pubblico. L’editore può fare ciò quando l’autore glielo chiede. Non è una definizione
lontana dal vero: ci voglio degli strumenti.
Editoria deriva dal latino eductus (portare fuori) rendere pubblico, portare a conoscenza. Poter legittimamente
mettere a disposizione. Senza che l’autore del testo dia il suo consenso, senza il mandato è illegittima: si viene meno
ai diritti dell’autore. L’autore ha un diritto inalienabile che non può cedere su quello che ha prodotto, pensato. Può
dare il mandato ad un editore di rendere pubblico ciò che ha pensato, in quel momento l’editore ha il diritto di
pubblicare (traendone guadagno). L’autore per legge non può cedere la paternità intellettuale. I diritti dell’editore
sono alienabili perché possono essere ceduti (ad esempio di traduzione dell’opera). Il libro assume la valenza di
oggetto ma anche di prodotto sul quale gravitano dei diritti. I diritti d’autore cadono a 70 anni dalla morte
dell’autore, finito questo periodo il testo può essere pubblicato, reso in versione cinematografica ecc.

Il termine libro deriva dalla parola liber, nome della corteccia utilizzata per crearlo, il supporto da nome ad un
prodotto, molto frequente. Il libro è contraddistinto da una suddivisione logica, deve esserci una consecuzio del
discorso, la logica è applicabile sia al contenuto che alla strutturazione del libro.
Si può applicare il concetto di librarietà (copia definizione da slide) a tutto ciò che sia precedente o successivo al
codice, questo termine non dovrebbe includere supporti di testo precedenti la forma codex, come il rotolo o le
tavolette d’argilla, e quindi nulla che sia contenuto in una sola pagina o in una singola superficie piana, come uno
schermo televisivo, un manifesto o un volantino. I libri digitali ad oggi non sono altro che un tentativo di trasporre un
libro su un supporto digitale, quindi il concetto di librarietà per estensione si può applicare ai libri digitali, poiché
formati da testi che si possono scorrere (come se mi trovassi di fronte a un testo analogico, evidenziare, mettere un
segnalibro, aggiungere appunti). L’unica cosa che cambia è il contenitore, molto più piccolo e capace di contenere
molto più informazioni. Più contenuti in un unico contenitore. La cosa cambia con l’ipertesto

In inglese book ha un’etimologia che arriva da boko ovvero faggio, come liber, parte della pianta che sta tra la
corteccia e il tronco vero. Il libro nasce con l’idea di qualcosa legato alla natura. I greci lo chiamavano biblion che lo
ritroviamo in tutte le discipline che riguardano il libro (bibliografia, bibliologia) e introduce al termine che noi usiamo
di più.
I primi popoli che hanno usato questo termine nel senso di oggetto materiale, supporto per le idee sono stati i fenici,
grandi esportatori di papiro (Egitto), una delle prime forme che si presentano atte alla scrittura. Un altro termine che
viaggia a braccetto con il libro (più fogli legati insieme) è un lemma che viene applicato nella codicologia, scienza
che si occupa dei codex (libri costituiti da pergamena), testo manoscritto ma la pergamena viene utilizzata anche per
stampare le prime bibbie. Mentre il libro arriva dalla lavorazione degli stracci fino ai giorni nostri che arriva dagli
alberi.
Si può utilizzare il termine codex o atri elementi che ci richiamano il libro quindi è preferibile riferirsi al libro
attraverso una caratteristica che è la librarietà (insieme di tutti gli elementi del libro: pagine, piegatura, presenza di
un testo. Tutti elementi che rendono possibili la conservazione e il trasporto del testo perché danno la possibilità di
prendere una forma). Se questo supporto lo posso muovere e spostare vuol dire che ho a che fare con una
materialità, qualcosa che è tangibile: si deve partire dalla tangibilità del libro, dal momento stesso che viene pensato
deve essere pensato come tangibile (non come autori ma in quanto editori e stampatori). Un altro elemento: il libro
ha comunque una dimensione, è quantificabile. L’unesco ha definito libro tutte quelle pubblicazioni che superano le
49 pagine. Sotto tale soglia è detto pieghevole, opuscolo, pamphlet. La definizione è data dal fatto che quando le
tecniche di stampa si sono adeguate anche per i libretti piccoli erano sostanzialmente in una situazione in cui la
copertina non era ancora ben strutturata, era leggermente più spessa delle pagine quindi il libro doveva avere una
sua dimensione.

Le definizioni si fanno problematiche quando parliamo di libro digitale. Non possiamo applicare quanto detto fino
adesso al libro digitale perché manca la tangibilità, sono cose liquide (manca rilegatura, una forma).Un altro
problema del libro digitale: se si può misurare un libro dal numero di parole, di caratteri, come si misura quella
digitale? I testi digitali nella loro fruibilità sono sostanzialmente modificabili, non sono sempre raggiungibili, infatti
un libro resta mentre un file una volta scaricato è facile perderlo, il problema è la conservazione perché il testo e il
contenuto non sono la stessa cosa. Altro problema sono i diritti, nel libro infatti sono presenti pagine dove sono
stampati i diritti dell’editore (chi è, dove è stato pubblicato il libro). Grazie al libro digitale possiamo muoverci
all’interno del testo.

La stampa a carattere tabellare, primo sistema per poter trasmettere su un supporto un testo, si utilizzava la
xilografia e ad ogni pagina corrispondeva una tavoletta. I primi libri stampati utilizzano le cosiddette stampe
xilografiche/silografiche (silox=legno), quindi si incidevano su una tavoletta di legno delle immagini, una volta
sporcate si premeva un supporto su queste immagini sporche di inchiostro e cosi si trasferivano sul supporto.
Immagine a rilievo che viene inchiostrata con una pressione che lascia il segno. Questi sono i primi tentativi di
stampa, stampa in rilievo. Si stampavano carte da gioco, santini, stoffe, c’era la necessità di riprodurre delle immagini.
Un problema era che questa prova di stampa si poteva fare su un solo lato, perché trapassava sull’altro lato e il legno
si usurava facilmente, prestandosi male a un’incisione precisa.
Grazie all’introduzione dei caratteri mobili la stampa ha la possibilità di creare un prodotto seriale,ciò significa che il
libro diventerà un prodotto alla portata di chiunque e da qui nascerà poi il commercio del libro. Ad alcuni non
piaceva la stampa, veniva considerata una meretrice, a portata di tutti. La stampa offre l’opportunità di cambiare
genere, sorgeranno infatti diversi generi oltre a quello religioso.

La stampa a caratteri mobili non comporta la meccanizzazione della scrittura, essa avverrà con l’avvento della
macchina da scrivere. La stampa a caratteri mobili meccanizza solo la copiatura e non la scrittura, non ho più un
amanuense ma una serie di persone che lavorano al torchio.
Il metodo importato dall’oriente è stato adottato nei paesi islamici da lì durante il medioevo è passato in Europa ma
è stato sempre limitato a stampa di immagini. Questo per il problema delle correzioni: se il testo veniva sbagliato
bisognava reincidere tutto, questo problema ce lo portiamo fino all’800. Si tratta di una matrice che non può essere
modificata se non cambiando tutta la matrice stessa.
Il testo xilografico più antico risale al 757 D.C. testo di carattere buddista. Unico metodo che si conosceva per
stampare qualcosa. Fino alla metà del ‘400 con Gutenberg che scioglie questo vincolo di testo in una sola base,
creando simboli mobili che composti insieme formano un parola. Questo consente alla stampa di produrre prodotti
seriale.
Nonostante il libro a stampa costasse meno rispetto al manoscritto per molti anni dopo l’invenzione di Gutenberg si
preferiva il manoscritto. Le parole e le immagini diventano elementi di trasmissibilità del sapere. Il libro si può
muovere agevolmente, si possono diffondere le idee, nuove prospettive, ecco perché fa paura. I

Perché nasce la scrittura? Perché nasce l’esigenza di scrivere? Le prime cose messe su supporto non sono testi. I primi
a dover inventare altro oltre l’immagine sono i sumeri che hanno bisogno di inventare uno strumento per gestire i
magazzini, i loro prodotti perché fare i conti era più importante di saper leggere e scrivere. Quindi si comincia ad
attribuire all’immagine il significato di una parola. La scrittura era già comparsa in Mesopotamia a mo’ di
ideogrammi, c’era la possibilità di costituire un testo. Il passaggio è stato dall’ideogramma al logogramma. Servono
altri 2.000 anni con i Micenei e la lineare b, usata ancora per fare i conti. Questo però non è una cosa negativa perché
l’oralità (Platone) ha un suo sviluppo, solo ad un certo punto si incrocerà con la scrittura quando questa diventerà
sillabica. Il segno sarà collegato ad un suono non ad una cosa. Con i logogrammi si potevano fare degli elenchi, con
le sillabe dei discorsi. Le scritture sillabiche diventano un mezzo espressivo dal secondo secolo. Il passaggio dalla
scrittura sillabica a quella alfabetica avviene con l’aggiunta delle vocali.
La scrittura sillabica non produce libri, ma testi. Queste civiltà non sono librarie ma testuali, il testo arriva in modo
lineare.

IL PERCORSO DEL LIBRO E GUTENBERG


Nel sec. X, in Cina, ebbe inizio la stampa con caratteri mobili, in legno e in terracotta, il primo libro stampato,
mediante un torchio tipografico, venne realizzato in Corea nel 1409. Contemporaneamente, in Europa, si era
perfezionata la stampa tabellare su lastre metalliche soprattutto a opera di stampatori olandesi e tedeschi, ai quali si
devono anche i primi tentativi per realizzare caratteri tipografici mobili in metallo e l’uso di nuovi inchiostri a rapida
essiccazione.

Chi risolse i problemi della produzione di un elevato numero di caratteri tutti uguali, del perfetto allineamento delle
righe di stampa composte e di un metodo rapido d’impressione su fogli di carta fu Johann Gutenberg. Egli era figlio
di un orafo perciò sapeva fondere il metallo, aveva inoltre lavorato per un certo periodo nel mondo degli specchi, di
fatti grazie all’attività speculare la stampa era resa leggibile. Aveva a disposizione un discreto quantitativo di
denaro, con il quale riuscì ad iniziare i suoi esperimenti. La sua intuizione fu quella di fabbricare le matrici di ogni
singola lettera dell’alfabeto per poter stampare un qualsiasi testo combinandole in tutti i modi, componendo e
scomponendo testi, riutilizzando gli stessi caratteri per altre composizioni, nonché la possibilità di stampare svariate
copie (identiche) in breve tempo rispetto ai libri manoscritti.

Grazie alla stampa a caratteri mobili nascono gli incunaboli, i primi libri a stampa utilizzati nel 400 fino al 1 dicembre
1500. Quello che fece Gutenberg fu un’innovazione e non una rivoluzione poiché il torchio era già noto e i metalli si
sapevano già fondere, il suo merito fu quello di unire queste tecniche ed applicarle al mondo del libro. Gutenberg
con i suoi caratteri mobili mise in crisi il libro manoscritto nel momento del suo massimo splendore, infatti il libro a
stampa era molto più economico.

Dopo l’esilio a Strasburgo nel 1444 G. rientrò a Magonza e chiese un prestito a Fust e grazie a questo l’ars
artificialiter scribendi diventa un’attività industriale, nel 1452 si mette in società con Fust e Schoffer e nel 1455 stampa
la Bibbia a 42 linee, utilizzò in gotico, i capilettera e i motivi decorativi erano fatti a mano e le colonne erano senza
spazi. Prima forse erano stati stampati testi meno impegnativi come i fogli di indulgenza (1454) questo dimostra
come la chiesa sia stata il primo grande committente dei prodotti librai.
Nei primi tempi durante le operazioni di stampa si lasciavano egli spazi bianchi per poter, successivamente, miniare il
libro anche se così aumentavano molto i tempi ed il costo, Gutenberg decise così di applicare la xilografia in modo
da poter stampare anche i disegni.
Un’altra grande novità introdotta grazie all’uso dei caratteri mobili è la possibilità di correggere gli errori, infatti
prima della stampa si poteva sostituire il carattere sbagliato. I componenti del torchio erano intercambiabili quindi si
poteva cambiare la forma di stampa, perciò le due grandi caratteristiche del carattere mobile sono la correggibilità e
l’intercambiabilità. L’invenzione di Gutenberg è diventata una pietra miliare non tanto perché si potesse stampare,
ma perchè si poteva rivedere e correggere il testo identico in ogni esemplare, creando un’edizione uniforme con
revisione delle bozze,il tutto riducendo i tempi.

Nel 1460 viene stampato il Catholicon (enciclopedia medievale, con colophon), questo fu il primo testo non religioso
ad essere stampato, dal punto di vista tecnico si riduce la dimensione del carattere, un’ulteriore passo verso la
diminuzione del costo del libro. Tutto ciò aprirà la stampa alla diffusione della cultura ai ceti alto-borghesi.

I primi incunaboli non avevano il frontespizio (verrà introdotto più tardi), all’epoca il suo compito era svolto dal
colophon che conteneva, generalmente, il nome dello stampatore, il luogo e la data di stampa e, spesso, altre notizie
inerenti alla pubblicazione del libro (nome del correttore, di chi aveva concorso nella spesa, ecc.) Il colophon è quindi
un concentrato di informazioni tipografiche ed editoriali, era sempre posto alla fine del volume, dopo l'explicit (ossia
la formula, il cui uso risale ai manoscritti medievali, che comprendeva le parole finali del testo).

IL PAPIRO
Il papiro è tra i primi supporti che sono stati utilizzati per la stampa, per la preparazione di uno strumento che
potesse essere adeguato a riportare un contenuto scritto. Il papiro è stato quasi certamente il primo mezzo che ha
alleggerito la trascrizione della scrittura, prima infatti si era abituati a lavorare su tavolette cerate o in pietra, supporti
che rendevano fisicamente pesante la trasmissione del sapere e proprio per questo erano utilizzati solo per attività
pratiche e commerciali.

Il papiro è una pianta che nasce sulle sponde del Nilo, è immersa per una buona parte nell’acqua mentre la parte
superiore è fuori dall’acqua; il busto del papiro veniva lavorato tagliando trasversalmente il midollo della pianta
stessa, il taglio era fatto a sezione triangolare, se ne ricavava delle striscioline molto strette ed allungate che venivano
in seguito disposte in maniera longitudinale cosi da poter essere accostate le une alle altre. Utilizzando il collante
della pianta queste striscioline si attaccavano, costruivano un piano che veniva poi unito ponendo
perpendicolarmente delle altre striscioline di papiro, si creava così una sorta di reticolo, erano proprio le parti della
pianta immerse nell’acqua (più scure) che venivano utilizzate per disporre il primo piano di striscioline. Da ciò si
evince che sul foglio di papiro si poteva scrivere solo da un lato (quello fatto con la parte superiore della pianta).

Con lo stesso principio di collante vegetale e leggera sovrapposizioni i fogli venivano incollati gli uni agli altri, le parti
che andavano a comporre i rotoli del papiro venivano chiamate plagule, proprio da questa parola deriva il termine
pagina e la prima pagina del rotulo si chiama protocollo, da qui deriva il termine di documento protocollato, si
chiama cosi perché ha un numero identificativo nella prima pagina, l’ultima pagina si chiama escatocollo. Queste
pagine venivano stirate ed essiccate al sole, in seguito venivano arrotolate intorno ad un bastoncino, dal latino
umbilicus, sostanzialmente un legno abbastanza rigido, esso terminava con una sorta di protuberanza (cornua) che
permetteva di evitare che il rotulo di papiro scivolasse via dal bastoncino e che ci si potesse attaccare delle specie di
etichette che riportavano il titolo e l’autore, queste indicazioni si chiamavano pinax, termine greco dei versi di
Callimaco.

Il rotulo è la prima forma libraria che conosciamo, su questo materiale si poteva scrivere con uno stilo, la scrittura era
continua, l’inchiostro era a basa d’acqua fuliggine e colla. La scrittura era continua perché bisognava risparmiare più
materiale possibile e perché la scrittura ancora non aveva conosciuto una separazione logica formale come nei testi
che leggiamo oggi. Si preferiva fare piccole colonne parallele che correvano lungo le fibre orizzontali della
pergamena, erano molto corte e man mano che venivano lette il lettore svolgeva il papiro, da qui il termine
volumen, dal latino volvere. Questo processo rendeva il libro e la sua lettura solenne, i contenuti venivano enfatizzati
e veniva conferita una certa sacralità alla lettura, da un altro lato consentì alla scrittura di diventare meno
estemporanea ed occasionale.

Tutto ciò lo sappiamo grazie all’opera Naturalis Historia di Plinio il Vecchio nella quale racconta come andava trattato
ed il successo commerciale che ebbe il papiro, grazie alla sua versatilità, sopratutto per quanto riguarda l’estensione.
Il suo uso risale al terzo millennio a.c. e la sua fortuna fu più che millenaria, infatti nell’anno mille era ancora utilizzato
dalla cancelleria papale. Il rotulo di papiro più antico è il papiro Prisse, conservato nella biblioteca nazionale di Parigi
che deve il nome al suo scopritore Émile Prisse d'Avennes, risale al duemila a.c e contiene un’opera morale di un
sovrano egizio che riguarda delle massime.
Ciò che decretò il suo disuso fu un’attività di embargo, il re Tolomeo Epifano d’Egitto fu costretto all’embargo del
papiro perché ne fu vietata l’esportazione verso Pergamo, qui iniziarono le difficoltà perché si ridussero i territori di
commercio. Quando si introdusse la pergamena la forma del rotulo, tipica del papiro, in un primo momento restò
invariata.

LA PERGAMENA
La pergamena aveva il vantaggio che poteva essere prodotta in qualsiasi area proprio perché era ricavata da pelli di
animali, era molto flessibile, ciò consentiva allo strumento non solo di essere arrotolato ma anche di essere piegato,
questo permise di creare dei fascicoli, i fascicoli sono l’unità minime di un libro perché legati assieme lungo il dorso
e hanno dato una nuova forma al libro, quella di codex che poteva essere contenuto in una sola mano (da qui deriva
il termine manuale), esso era maggiormente usufruibile. La presenza della pergamena facilitò quindi l’uso del libro,
questo strumento risale al secondo secolo d.c. quando i monasteri si specializzarono nella produzione della
pergamena e per molto tempo ne mantennero il monopolio, diventarono i centri scrittori per eccellenza, questi
codici venivano realizzati per le chiese e per le corti.

Procedimento di preparazione della pergamena:


1) Uccisione animale (capretto=cartapecora, agnello, montone, asino, puledro, vitello, maiale);
2) Spellatura;
3) Con il rasoio si eliminava il vello e il carniccio;
4) La pelle veniva immersa in acqua di calce per togliere un po’ di grasso (non troppo perché la pergamena si rompe,
non poco perché respinge l’inchiostro). Lavata e dissecata, fissata e tesa al telaio;
5) Si utilizzava polvere di gesso e la pietra pomice ed il foglio diventava chiaro, uniforme, resistente, liscio e
traslucido.

La lettura era più semplice perché il codice poteva rimanere appoggiato ad un piano e stare aperto
contemporaneamente, era inoltre facile da collocare a scaffale, tutto ciò non rese rapidamente obsoleto il rotolo, la
forma a codice ci mise quattro secoli ad imporsi. Non è corretto procedere con la dicotomia papiro-rotolo,
pergamena-codice quando si pensa ad uno non bisogna pensare automaticamente all’altro, per esempio con gli
Exsultet vediamo che i rotoli potevano essere anche di pergamena. L'Exsultet veniva scritto su un lungo rotolo di
pergamena, la caratteristica di questo strumento di divulgazione del culto religioso sta nel fatto che il testo è scritto
nel senso di lettura del cantore, mentre le immagini miniate sono incise (e poi dipinte), sullo stesso lato del rotolo,
ma nel verso opposto a quello della parte scritta, dando così la possibilità così ai fedeli di seguire la veglia. La forma
codice fu universalmente adattata dalla fine del primo secolo d.c.

La progressiva supremazia del codice sul volumen di papiro è da riscontrare nel carattere pratico dei libri in
pergamena, infatti con la pergamena si poteva scrivere su entrambe le facciate risparmiando così sul materiale. La
pergamena ebbe anche il vantaggio di poter registrare piccoli testi di uso quotidiano (ricevute, conti, ..), bisogna
anche considerare che l’impero romano alla perdita della sua unità perse anche la sua unità di scrittura ed il tipo di
scrittura che andava formandosi si presentava consono ad essere rappresentato con la pergamena. Il supporto era di
carattere animale, sulla pelle si scriveva con un calamo, una penna ricavata dagli alberi, una sorta di cannuccia molto
rigida, più avanti si adotterà la penna.

A raccontare come si ricavava la pergamena è sempre stato Plinio il Vecchio, la pelle una volta tolta dall’animale
doveva essere da un lato liberata dallo strato grasso e dall’altro liberata dallo strato peloso, veniva poi immersa in un
bagno di calce, che scioglieva il grasso e disinfettava il materiale. La pelle veniva poi raschiata e ripulita, i maestri
conciatori immergevano poi la pelle nell’acqua e la stendevano su telai, operazione delicata poiché potevano crearsi
dei buchi. A questo punto o si faceva in modo che i buchi andassero a coincidere nella piegatura del foglio così da
scomparire, altrimenti sarebbero rimasti visibili.
La pelle veniva in seguito tagliata e le parti di scarto venivano utilizzate per creare dei fili da inserire nel momento
della legatura oppure per creare delle fibbie per contenere i fascicoli, non si buttava via niente, tutto veniva
riutilizzato. Il massimo delle misure che si poteva ottenere erano fogli che andavano dai 70-80 cm di lunghezza ai 50-
60 di larghezza, ogni tipo di animale conferiva delle misure diverse e caratterizzava il foglio nella consistenza, nella
morbidezza e nel colore. Esisteva la pergamena ricavata da animali o abortiti o che non erano stati svezzati, questo
tipo di pergamena era molto pregiata e veniva chiamata velan poiché la pagina ricavata era estremamente sottile
(da qui deriva il termine carta velina).
Il metodo di preparazione della pergamena restò invariato per un millennio, la città nativa era Pergamo dove c’erano
già delle capacità tecniche per poter conciare la pelle. Una volta pronta la pelle poteva essere abbellita inserendola in
un bagno di porpora così da conferirle un colore rosso, su queste pagine si scriveva con inchiostro oro o argento.

La pelle consentiva l’apertura a 180 gradi del libro, le due facciate a disposizione rendevano il codice estremamente
bello da vedere, le pagine che stavano nel lato pelo potevano combaciare tra di loro cosi come quelle nel lato carne,
questa è la regola del vis a vis o legge di Gregory, in modo che quando si apriva il libro si avevano o due pagine
chiare (lato carne) oppure due pagine scure (lato pelo).
Un alto vantaggio era che la pergamena poteva essere riutilizzata, si parla di raschiatura della scrittura, la scrittura
con elementi appositi veniva grattata via e la pagina tornava bianca, i codici che hanno subito un processo di
riscrittura si chiamano palinsesti; la traccia della scrittura precedente non veniva persa completamente, è infatti
possibile far riemergere la prima stesura di inchiostro grazie alla tecnica della lampada di Wood, una lampada a raggi
ultravioletti. Questa è una tecnica moderna, prima si sottoponeva la pergamena a trattamenti acidi, che con il tempo
hanno deteriorato la pelle stessa.

La diffusione del cristianesimo e del codice crebbero in parallelo, perché il codice fu utilizzato a partire dal quinto
secolo come strumento principale per la formazione del clero. La religione doveva essere facilmente trasmessa e la
pergamena si prestava a questa esigenza poiché facile da trasportare, fisicamente idonea alla consultazione ed
economica. Il concetto di libro era in cambiamento, grazie ad esso poteva avvenire una scambio culturale molto
rapido ed ecco che lentamente cominciava ad avvicinarsi ad una realtà di tutti e cominciò a circolare al di fuori dei
monasteri.

La versatilità della pergamena non si riscontra solamente nell’uso pratico ma anche nella suddivisione del testo, dato
che era formata da fascicoli nulla vietava che ne venissero aggiunti altri, si potevano assemblare più opere, possiamo
quindi affermare che la pergamena diede la possibilità di creare i primi libri miscellanei. Un altro vantaggio era la
possibilità di suddividere il testo in maniera logica, si riesce ad individuare i capitoli, a creare un indice, divenne così
un elemento fondamentale sia di studio che di educazione religiosa.

Su un foglio di pergamena si creava una schema con delle righe che venivano segnate sul foglio attraverso uno
strumento appuntito che lasciava un leggero segno da seguire per mantenere l’andamento dritto della scrittura
mentre nell’undicesimo secolo queste righe erano tracciate con una piccola mina. Nacquero poi le impaginazioni con
bordi molto larghi per consentire al lettore di scrivere appunti nei margini, la pergamena aprì l’area di scrittura
all’impaginazione e all’ornamentazione. Nacquero degli spazi scrittori dedicati ad una serie di elementi che
andranno strutturandosi nel corso dei secoli senza che la lettura nel suo insieme ne venisse disturbata. Nel libro
pergamenaceo alla fine veniva riportato l’autore, il titolo ed il copista, questa pagina si chiamava colophon e
conteneva informazioni funzionali a capire di che libro si trattasse mentre queste informazioni nei libri moderni si
trovano nel frontespizio. Il contenuto del libro era spesso esplicitato nell’incipit del volume. Tutto ciò portò il libro da
un oggetto di carattere monumentale a diventare un po’ alla volta un compagno quotidiano che grazie alla sua
standardizzazione poteva essere raggiunto da un pubblico più vasto.

Vocabolario per i libri pergamenacei:


• Diploma: quattro fogli di pergamena piegati ciascuno in due;
• Quaderno: otto piccoli fogli;
• Pagina: ciascuno degli otto piccoli fogli;
• Codice: più quaderni legati assieme.

LA CARTA
Nel Basso Medioevo si assiste all’introduzione in Europa della carta che consente una maggiore disponibilità di
supporti materiali e apre la strada ad un aumento dei ritmi di produzione del libro. Secondo quanto si può dedurre
arriva dalla Cina, li la carta veniva strutturata grazie alle piante del gelso, questo modo di produrre la carta fece un
salto ulteriore nel secondo secolo a.c. in medio oriente dove la carta cominciò ad essere ricavata dagli stracci.
L’ambasciatore T’sai Lun osservando delle donne che lavavano dei panni, si accorse che questi panni rilasciavano
delle fibre che grazie all’acqua si legavano assieme creando una poltiglia che una volta asciugata e sistemata si rivelò
uno strumento utile per scriverci sopra, egli non scoprì la carta ma perfezionò il sistema per poter far in modo che
queste fibre potessero trattenere l’inchiostro.
La tipologia del tessuto dava una resa diversa della carta, in base al supporto primario si ottenevano fogli di carta
diversi.

Gli arabi dopo la battaglia di Samarcanda (751) costrinsero i cinesi a tramandare il loro segreto, vent’anni anni dopo
apriva la prima cartiera a Baghadad e poi al Cairo (arabi usano stracci mummie), attraverso gli arabi la carta giunse in
Europa. La carta a Samarcanda veniva chiamata bombacina (lino e canapa). Nel 1109 la carta arrivò in Italia, più
precisamente in Sicilia ma la carta araba era priva di filigrana e poi la collatura era vegetale quindi si presentavano
più problemi di conservazione a causa dell’attacco di microrganismi.
Il vero successo si avrà a Fabriano nel 1276 dove si inizierà una nuova caratterizzazione del supporto scrittorio, qui la
carta divenne un oggetto cristiano poiché si sentiva l’esigenza di far diventare la carta un oggetto Europeo, quindi la
prima attività fu quella di caratterizzare la carta con elementi che riconducessero alla cristiana. La seconda novità fu
quella di trattare la carte con una collatura di carattere animale, i fogli di carta non erano infatti adatti ad assorbire
l’inchiostro, bisognava rendere la carta meno assorbente; gli arabi utilizzavano sostanze ricavate dai vegetali mentre
a Fabriano l’attività di collatura utilizzava del grasso animale che rese la carta anche meno attaccabile dagli agenti
patogeni esterni. La carta fatta di stracci è ancora oggi utilizzata per salvaguardare i contenuti, poiché è meno
attaccabile dall’acqua.

L’attività partiva da chi raccoglieva gli stracci, costoro erano denominati cenciaioli, operai che andavano per le case a
raccogliere indumenti di cotone, canapa o lino, gli indumenti venivano poi suddivisi tra chiari e scuri, spezzettati e
lasciati a macerare, la fabbrica dove tutto veniva preparato si chiamava la gualchiera. Le gualchiere erano poste
vicino a delle fonti di acqua perché per far andare i macchinari c’era bisogno della forza motrice dell’acqua, inoltre lo
straccio andava trattato con acqua pulita. Il macchinario che produceva la carta era chiamato pila idraulica a magli
multipli, questa pila era composta da magli, ovvero dei martelli che andavano a battere i pezzettini di stracci
immersi nell’acqua con della calce in modo da sfibrarli e da renderli poltiglia, questi martelli erano attaccati ad un
tronco dal quale sporgevano dei cunei chiamati palmole o camme che girando assieme al tronco mosso dalla forza
idraulica toccando questi martelli che si alzavano e si abbassavano. In ogni pila battevano almeno tre tipologie di
magli:
• La prima tipologia si utilizzava per pestare lo straccio, i martelli erano quindi caratterizzati da chiodi appuntiti che
servivano a disgrossare, ovvero a sfilettare il più possibile;
• La seconda prevedeva dei i magli con chiodi a testa piatta che servivano a raffinare e sfilacciare la stoffa;
• L’ultima tipologia comprendeva dei magli completamente privi di chiodo che servivano ad affiorare, ovvero
rendere più compatta la poltiglia, che da questo punto in poi viene chiamata pisto, risultato finale che usciva dalla
gualchiera.

Il lavoro al tino  Il foglio di carta nasceva grazie ad un telaio che veniva immerso nel pisto, il levatore aveva in
mano una sorta di reticolo che era costituito da una serie di fili intrecciati tra di loro, i fili erano di rame ed avevano la
funzione di trattenere il pisto. Il reticolo aveva questi filamenti denominati filoni (quelli posti lungo il lato lungo) e
vergelle (quelli posti lungo il lato corto). Raccogliendo il pisto il reticolo tratteneva la cresce di pasta e si creava
questo primo quadrato di foglio intriso di acqua, affinché la poltiglia non percolasse all’esterno una volta raccolta
c’era una sorta di cornice di legno che tratteneva nei lati la fuoriuscita. Lo spessore della cornice determinava anche
lo spessore della carta infatti più alta era la cornice più carta riusciva a trattenere.
L'attività del levatore era di inserire la forma, sollevarla e scuoterla in modo che la pasta si distribuisse
uniformemente, passava poi la forma al ponitore che toglieva la cornice e faceva girare il foglio sopra dei feltri, i feltri
avevano la funzione di assorbire l’acqua in eccesso, veniva posto poi un altro feltro e un altro foglio, creando così una
pila che si metteva sotto una pressa che schiacciandola faceva fuoriuscire l’acqua in eccesso. Il foglio non era ancora
asciutto e doveva essere disteso, sopra alle gualchiere c’erano delle grandi terrazze dove si stendevano i fogli, dopo
l’asciugatura il foglio doveva subire un altro passaggio, legato alla collatura, doveva essere reso impermeabile
all’inchiostro, questa procedura è denominata calandratura. Pacchetti di fogli venivano immersi in una sostanza
gelatinosa ricavata dalla bollitura delle ossa degli animali che creava del grasso, il processo era fatto molto
velocemente perché i fogli non potevano ricevere troppo grasso. Il volto andava poi livellato il più possibile, i fogli
venivano poi venduti a balle, ogni balla aveva cinquanta risme.

La filigrana  La carta divenne cristiana anche grazie all’introduzione della filigrana, un disegno creato con dei
filamenti che riproduceva immagini di carattere cristiano, grazie ad essa si identificava la cartiera, ovvero la
provenienza della carta, divennero una sorta di marchi di qualità. La filigrana, le vergelle e i filoni sono elementi utili
per capire il formato dei libri antichi, infatti a seconda delle loro posizioni possiamo capire il formato, il formato
grande che nasceva da una sola piegatura del foglio aveva i filoni verticali e le vergelle orizzontali e la filigrana era
interamente visibile, mentre nel foglio piegato due volte (formato in quarto) la filigrana sarà al centro della piegatura
quindi visibile per metà da una parte e per metà dall’altra con i filoni orizzontali e le vergelle verticali, se il foglio
viene piegato ulteriormente la filigrana finisce nel lato interno della piegatura e quindi visibile per un quarto alla
volta mentre i filoni tornano come nel primo esempio.

La carta nell’800  Bisognerà aspettare l’ottocento affinché la carta conosca nuovi progressi, qui la carta iniziò ad
essere costruita con gli stracci di cellulosa di legno. Il primo passaggio fu l’introduzione di un cilindro dove la carta
veniva contemporaneamente triturata e sfilettata, il risultato era quello di una carta più fine ed omogenea però
meno resistente, perché le fibre erano semplicemente tagliate e non schiacciate. Grazie alla macchina continua o
macchina Fourdrinier la cresce di pasta veniva versata in vasche molto grandi dove era stesa una maglia finissima
sulla quale passava un rullo che appiattiva tutto il materiale, seguito poi da un altro rullo che assorbiva l’acqua in
eccesso schiacciando il composto ulteriormente ed infine un’attività di asciugatura ad aria calda asciugava il foglio
che veniva arrotolato su delle bobine. La filigrana veniva apposta tramite un rullo con delle immagini in rilievo che
permettevano di lasciare un’impronta, questa viene chiamata falsa filigrana.

IL TORCHIO TIPOGRAFICO
Il torchio ebbe fortuna nel momento in cui si misero insieme una serie di competenze già note a livello tecnico e
meccanico, la prima immagine di un torchio risale al 1499 (xilografia) “Dance de la mort”, l’immagine mostra una
certa continuità tra l’attività di produzione libraria e di vendita.
Ad oggi non è pervenuto nessun torchio quattrocentesco poiché erano costruiti in legno e quindi non resistenti nel
tempo, si è pero riusciti a ricostruirne la struttura: il compositore prende i caratteri mobili dalla cassa tipografica e li
allinea nel compositoio, poi le righe che uscivano dal compositoio andavano poste su un piano denominato
vantaggio, più righe venivano legate insieme e poste sulla forma tipografica. La forma tipografica andava posta sopra
al carrello che insieme alla leva costituiscono le due parti mobili del torchio, mentre le due parti fissi sono la
struttura del torchio stesso (di legno) e i due legami che ancoravano il torchio ad una base, il colpo che veniva dato
per pressare il foglio era forte e per questo il torchio veniva ancorato.

Le parte fondamentale legata strettamente al piano è costituita da un appoggio che si chiama timpano e dalla
fraschetta, sul timpano veniva appoggiato il lato del foglio che doveva venire a contatto con la forma inchiostrata
poi su questo timpano veniva piegata sopra la fraschetta, una sorta di telaio che aveva dei buchi che
corrispondevano al numero e alla misura delle composizioni tipografiche poste sopra il carro. Una volta chiusa su se
stessa aveva la funzione di proteggere i bordi del foglio che non andavano stampati. Il foglio andava fissato sul
timpano con dei chiodini che avevano anche la funzione di posizionare esattamente nella stessa posizione quando
bisognava stamparlo dall’altro lato. Il carrello permetteva di spingere sotto l’azione della stampa le pagine.

La stampa avveniva attraverso una pressa chiamata platina che era fatta alzare e abbassare attraverso l’utilizzo di
una leva, avveniva così il contatto tra la forma inchiostrata ed il foglio. Il concetto del torchio era già esistente,
specialmente quello della leva ma non era mai stato utilizzato a questo scopo. Infine la barra una volta alzatasi
liberava il piano con i caratteri, con una leva o manualmente si tirava fuori il piano, si apriva il tutto e si tirava via il
foglio stampato.
Innovazioni  La prima innovazione è relativa alla vite senza fine, venne sostituita da una vita in legno ad una in
metallo che consentiva una maggior velocità nello spostamento della platina, aumentò la precisione e la forza della
platina. l’altro intervento era legata ad allargare le dimensioni della platina, prima per poter stampare un foglio si era
costretti a far passare due volte la forma tipografica sotto alla platina per stampare una prima metà e dopo la
seconda. Quando la platina viene ingrandita si ottiene un risultato migliore perché si velocizza il processo e si riesce
a stampare uniformemente il foglio dovendo passarlo sotto la platina una volta sola. L’ultima innovazione riguarda lo
scorrimento del piano, all’inizio veniva spostato a mano, in seguito venne creata una leva che permetteva di far
scorrere il piano più agevolmente.

L’inchiostro L’inchiostro veniva posizionato da un operaio che utilizzava due mazze, ovvero due semicerchi alle cui
estremità era inserita una sorta di impugnatura che consentiva che l’inchiostro venisse ben distribuito sui semicerchi
che erano di pelle ed assorbivano l’inchiostro, i caratteri erano in rilievo ed era perciò facile sporcarli d’inchiostro.
L’inchiostro era grasso ed oleoso, in questo si distribuiva in maniera uniforme senza percolare poiché veniva subito
rappreso dai disegni in rilievo, ma soprattutto si ossidava molto velocemente; infatti una volta stampato il foglio
doveva essere già asciutto per poter così passare alla stampa successiva.
Le mazze verranno successivamente sostituite da un rullo che agevolerà la distribuzione dell’inchiostro.

I lavoratori  Erano varie le figure che lavoravano al torchio:


• Il compositore preparava la forma tipografica, era colui che aveva il compito di preparare il materiale che doveva
essere inchiostrato;
• Il torcoliere detto anche tiratore era colui che applicava il foglio al timpano, lo chiudeva con la fraschetta, faceva
scorrere il carrello sotto alla platina in modo che fosse sistemato in maniera corretta per quando la platina andava
a contatto con il foglio ed infine doveva azionare la leva del torchio (quella che abbassava la platina);
• Il battitore aveva il compito di inchiostrare, ovvero di distribuire nella maniera più uniforme possibile l’inchiostro
sui caratteri;
• Il correttore di bozze aveva più ruoli all’interno di una bottega, il suo lavoro poteva essere portato avanti da più
figure: la prima era il compositore stesso che con l’occhio allenato a posizionare le lettere nella forma capiva se la
lettera era posizionata nel senso sbagliato oppure se mancava qualche parola, ad accorgersi degli errori potevano
esserci anche il torcoliere oppure l’autore o il committente. Proprio per questo la forma tipografica doveva essere
mantenuta composta. Spesso era anche il tipografo che impersonava questo ruolo.

Nelle ordinanze di un stampatore famoso è scritto ce i torcolieri erano capaci di stampare 1250 fogli recto e verso,
voleva dire che al torchio veniva eseguite 2500 azioni. Vi era poi un garzone che aiutava a sistemare tutti i fogli
stampati.

Costi  Tra i vari costi che bisogna considerare è quello legato all’attrezzatura (a), l’attività di composizione (b), la
correzione delle bozze (c), il lavoro degli stampatori (d) e la carta (e). Il lavoro sincronico dei componenti della
squadra è fondamentale per mantenere i ritmi, la serie di costi andava suddivisa con il numero delle copie:
a+b+c+e/N. I costi su 1000 copie senza la spesa dell’investimento iniziale (acquisto caratteri tipografici e del torchio)
erano così suddivisi:
-20% attrezzatura;
-60% carta, più costosa e quindi non si stampavano copie in più che potessero restare invendute, si cercava e si cerca
tutt’oggi di calcolare alla perfezione la quantità di carta necessaria; -
20% torcolieri.

Organizzazione del lavoro  Per quanto riguarda le copie invendute (oggi c’è un’attività di resa per la quale le
copie invendute tornano agli editori e vengono poi mandate al macero) venivano applicati dei tentativi per poter
rimettere in commercio il libro, veniva effettuata un’attività di rinfrescatura della stampa attraverso la quale si
aggiornavano alcuni dati, come ad esempio la data di stampa, sostituendo il frontespizio con una nuova pagina.
Queste attività sono facilmente visibili sia perché rimangono i segni della rimozione del frontespizio, sia perché si
nota la differenza fra il foglio sostituito e le altre pagine.
Tutto era finalizzato a migliorare il processo di organizzazione del lavoro, si adottavano degli accorgimenti che
potessero migliorare la qualità stessa del prodotto ed ottimizzare il lavoro, l’organizzazione del lavoro è sempre
subordinata allo stampatore e all’editore (prima le due figure coincidevano.

Correzione delle bozze  fra le varie difficoltà che si possono incontrare ci sono le bozze da correggere, gli errori
possono essere:
• Errori di lettura;
• Errori dalla scelta dei caratteri;
• Errori della posizione dei caratteri nel compositoio.
In seguito si procedeva al confronto con l’esemplare, alla visione delle correzioni apposte e si proseguiva con un
ultimo giro di bozze. Alla fine l’autore concede il bene placet alla stampa, ovvero si procede all’esecuzione della
stampa, attraverso la firma per la prosecuzione si sgrava di ogni responsabilità lo stampatore.

Nella correzione delle bozze si interviene in vari modi:


• All’inizio della tiratura si legge di solito uno dei primi fogli e si corregge al torchio;
• Viene aggiunta “errata corrige” se il foglio è già stato tirato;
• Aggiungendo un cancellans (una carta che sostituisce un’altra carta errata o un fascicolo che sostituisce un altro
fascicolo errato).

Tutta questa attività di correzione e di intervento portava a non parlare solamente di edizioni diverse ma teneva in
considerazione una serie di varianti che possono essere volontariamente o involontariamente legate a quell’attività di
stampa. Si parla perciò di:
• Edizione: insieme delle copie che escono dalla medesima composizione tipografica (teoricamente dovrebbero
essere tutte uguali), la parola deriva da edere che significa portare alla luce. Sono tutte le copie di un libro che
hanno in comune la stessa opera, si parla di una nuova edizione quando le varianti, le novità introdotte in alcune
tirature sono rintracciabili almeno al 50% di differenza rispetto all’edizione originaria ovvero quando almeno la
metà dei caratteri delle forme è stata ricomposta.
• Impressione: è l’insieme delle copie di un ’edizione stampate in una volta, ogni edizione ha almeno
un’impressione (una stampa). Definizione legata all’attività di stampa.
• Emissione: concetto legato all’attività editoriale, è riferita allo smercio del libro. Gli esemplari di un’edizione o di
un’impressione offerti al pubblico una sola volta. Insieme di quella parte di un ’edizione che è identificabile in un
insieme pensato volutamente distinto dalla forma base della copia ideale, quindi dagli esemplari di un’edizione o
di un esemplare o di un’impressione offerti al pubblico in una volta.
Se un’edizione corrisponde ha un’impressione, un’impressione può avere più emissioni, un esempio di emissione
sono le ristampe che non hanno nulla di diverso dall’originale. Anche le ristampe anastatiche sono una nuova
emissione, sono uguali non solo nel contenuto (come le ristampe) ma anche nell’impaginazione, nel carattere, nei
titoli, ecc.
• Stati: tutte le differenziazioni della forma della copia ideale. Consistono in:
1) correzioni durante il procedimento di stampa (anche per intervento dell’autore); ricomposizioni a causa di
incidenti o per decisione di aumentare le tiratura;
2)Aggiunta, sottrazione o sostituzione di materiale riguardante l’impaginazione, ma durante la stampa;
3)Alterazioni dopo la messa in vendita (inserzione o eliminazioni di parti, quali preliminari, errata corrige, dopo che
alcuni esemplari sono già stati venduti).

IL FOGLIO DI STAMPA E IL FORMATO


Foglio di stampa e formato vanno a braccetto, il rapporto tra i due viene dato dalla forma del telaio con il quale si è
raccolto il pisto, la stessa cosa vale anche per la macchina continua.
Il foglio è un elemento di grande importanza nella strutturazione del libro antico perché determina di volta in volta:
• Dimensioni
• Fascicolazione
• Consistenza

Dimensioni  L’attività di costruzione della forma tipografica si chiama imposizione, il formato in folio è formato da
due fogli e quattro pagine, si costruisce piegando il foglio una volta sola quando vado ad effettuare l’imposizione la
successione diventa per il foglio recto 1 e 4 e all’interno 2 e 3.
Il formato in quarto è formato da quattro fogli e otto pagine e si costruisce piegando il foglio due volte, questo
formato era utilizzato soprattutto per i testi di letteratura popolare, è il formato più diffuso in Italia almeno fino alla
prima metà del seicento perché è maneggevole e robusto. Il formato in folio invece veniva utilizzato per libri più
grandi che dovevano essere appoggiati e sfogliati come le bibbie e i trattati.
Il formato divenne fotografia della tipologia di libro.
Il formato in ottavo è ancora più maneggevole, è formato da otto fogli e sedici pagine, si forma piegando il foglio
tre volte, la piega può essere fatta per il lato lungo oppure per il lato corto, è un formato pratico veniva utilizzato
sopratutto per gli opuscoli, i libretti devozionali e per i canzonieri. Aldo Manuzio inventò questo formato e Giolito ne
fece un uso massiccio.
Altri due formati molto noti sono in dodicesimo e in sedicesimo, vanno ricordato perché sono un formati molto
diffusi nel cinquecento per gli almanacchi, per quelle opere di consultazioni.

Se piego il foglio una volta sola (in folio) la filigrana resta al centro, i filoni rimangono verticali e le vergelle
rimangono orizzontali, se vado a piegare un’altra volta (in quarto) la filigrana si divide nella piegatura e resta al
centro, i filoni diventano orizzontali e le vergelle verticali. Se piego ulteriormente il foglio (in ottavo) la filigrana resta
in un angolino interno, i filoni tornano verticali e le vergelle orizzontali.
Ogni pagina che va stampata deve assumere una particolare posizione all’interno della forma tipografica.

Fascicolazione  La piegatura dei fogli da origine al fascicolo, un fascio di fogli messi insieme, più fascicoli creano
un libro. I fascicoli sono in qualche modo contraddistinti, ciò serviva al legatore per mettere nella successione
corretta i fascicoli, questa tecnica si chiamava segnatura. Fare il registro dei fascicoli significa metterli nell’ordine
corretto. Questi fascicoli potevano essere messi insieme o legandoli, cioè accostandoli gli uni agli altri oppure
interpolandoli, ovvero infilandoli uno dentro l’altro.
Per posizionare la forma tipografica correttamente vengono utilizzati dei richiami, ovvero dei segni posti in genere
nell’ultima riga della composizione tipografica, sono di solito una parola o la parte di una parola che non è altro che
la stessa parola o parte con la quale inizia la nuova pagina. Questa invenzione fu applicata per la prima volta da
Giovanni da Spira a Venezia.

IL CONTESTO STORICO DELLO SVILUPPO DELLA STAMPA


Il processo della storia della stampa e dell’editoria è stato possibile perché si sono commistionate una serie di
situazioni, tra le quali quella sociale, culturale ed economica. Lo sviluppo dell’arte della stampa trova terreno fertile
nella seconda metà del quattrocento. La Pace di Lodi (9/04/1454) è considerato un evento che portò all’equilibrio
politico che l’Europa non conosceva da tempo, questa pace pose fine alla guerra legata alla successione del ducato
di Milano. Il periodo però è di immobilismo, i mercati perdono il loro predominio di fronte ai concorrenti stranieri,
questa stasi fu però utile allo studio della letteratura e dei classici, di fatti la stampa ne sarà influenzata. Un altro
elemento che favorì lo sviluppo della stampa fu la nascita delle Signorie con gli annessi mecenati contribuirono allo
sviluppo della cultura e portano al conservatorismo.

Le signorie crearono dei veri e propri centri culturali, qui i libri non solo venivano stampati ma erano anche letti e
scambiati, queste signorie innescarono una sorta di competizione per il prestigio, venivano invitati intellettuali nelle
varie corti, i libri servivano a sviluppare l’intelletto di chi aveva voglia di erudirsi. La domanda i nuovi testi cambiò
rapidamente, il cambiamento non fu in direzione di nuovi autori, la richiesta fu di poter avere a disposizione tutti
quei classici che si erano conosciuti solo attraverso la lettura dei manoscritti. Fortunatamente in Italia circolavano
molti testi classici scritti dagli amanuensi, Petrarca fu tra gli autori che aveva pensato ad un modello di biblioteca, di
raccogliere tanti libri e di metterli a disposizione in modo da non trovarli più solamente nei monasteri.
Se fino alla fine del ’300 il modello di biblioteca è quello ecclesiastico, nel 400 si fece strada la tipologia di biblioteca
umanistica (es. Petrarca), ovvero universale e quindi aperta e diacronica, contenente testi di vario genere.

La stampa trovò terreno fertile anche nell’ambiente amministrativo, la chiesa così come gli stati si resero conto che
aver a disposizione una tecnica per far conoscere le proprie decisioni, per stampare moduli e bollettini era un valore
aggiunto perché permetteva una rapida divulgazione. Grazie a queste due grandi novità la stampa si impone, però la
stampa si sviluppò anche nel mondo dell’università, qui la distribuzione dei libri non era sconosciuta, le università si
erano organizzate con il metodo della pecia, il libro veniva suddiviso in varie parti e fatto copiare da dei copisti che
vivevano in città. Queste parti di opere giravano e gli studenti andavano a recuperarle da questi copisti, che si
chiamavano stazionari, ed avevano a disposizione per un tempo ragionevole tutto il libro che veniva tenuto come
base per le lezioni accademiche. Quando arrivò la stampa, che metteva a disposizione un numero elevato di libro, le
università diventarono delle committenti dell’arte tipografica, quindi giravano anche libri legati alle varie professioni.

Ci sono due concetti di biblioteca, biblioteca universale e biblioteca selecta. Si parla di biblioteca universale nel
1545 con Gesner che parlava di una biblioteca che contenesse tutto il sapere, il Possedino auspicava ad una
biblioteca selecta, ovvero una biblioteca specializzata in alcune branchie del sapere.
Lentamente cambia anche la figura dell’autore, nel 400 gli autori vivono a corte, necessario per poter vivere della loro
attività, cominciarono a frequentare le università ed i vari circoli umanistici, dove si tratta un sapere di tipi
enciclopedico.
La carta era molto costosa, bisognava andare ad acquistarla da chi la produceva, ciò significava andare in un altro
stato e dover pagare dei dazi di entrata e di uscita, vari centri italiani cercarono di diventare autonomi anche per la
produzione di materia prima. Venezia ci riuscì e divenne autosufficiente anche nella fornitura della carta e questo fu
uno dei motivi per la quale divenne così famosa in questo campo.

Nel 1462 con la diaspora di Magonza i tipografi scapparono e così la tecnica della stampa cominciò a diffondersi
anche all’estero, il percorso verso l’Italia fu un percorso naturale, infatti nelle università italiane c’erano molto studenti
tedeschi che aiutavano nelle botteghe, quando arrivarono i compaesano con un’arte nuova e questi studenti furono i
primi che si misero a disposizione per aiutarli.
Il primo luogo che ospitò i tipografi fu Subiaco che divenne un centro a partire dal 1464, il cardinale Torquemada
(curioso della novità) aveva invitato i tipografi Konrad Sweynheym e Arnold Pannartz che ac colsero l’invito e si
recarono nel monastero benedettino. Questi tipografi non stamparono inizialmente un testo religioso ma una
grammatica di latino, un Donato, e le opere di Lattanzio, la prima opera datata (29 ottobre 1465) prodotta in 275
esemplari. Questo perché il territorio italiano era già pronto ad altri libri oltre a quelli religiosi, questi libro non furono
stampati in Gotico tedesco ma con i caratteri romani che richiamavano la scrittura Carolina.

Sweynheym e Pannarz dopo Subiaco si trasferirono a Roma e vi stamparono fino al 1473, ma non riuscirono ad avere
successo con la loro arte tipografica sebbene proposero un progetto editoriale che dava spazio agli umanisti di poter
usufruire dell’arte della stampa e contemporaneamente diedero la possibilità anche al mondo religioso di poter
sfruttare quest’arte. Sin dall’inizio esistevano progetti editoriali.
In Italia nel ’400 furono stampati circa 12000 incunaboli, circa il 45% dell’intera produzione, l’arrivo della stampa in
Italia è un piccolo cataclisma, una novità assoluta sotto il punto di vista tecnico e contenutistico.

Centri editoriali  Si tratta di centri legati alla cultura e alla politica della penisola, l’editoria era prima giuridica, poi
filosofica e infine medica e scientifica:
Subiaco (1464);
Roma (1465-1567);
Norimberga (1468);
Venezia (1469);
Foligno, Milano, Bologna e Napoli (1470);
Ferrara con l’Ariosto, Treviso, Padova e Verona (1471);
Foligno, Mantova, Parma e Cremona (1472);
Savigliano, Brescia,Barcellona, Lione, … (1473);
Vicenza, Messina e Santorso dove i committenti erano ancora i religiosi (1474);
Piove di Sacco e Trento prima manifestazione dell’utilizzo dell’arte della stampa come propaganda, il vescovo di
Trento si servì di quest’arte per screditare gli ebrei, accusati dell’uccisione di un bambino (1475);
Poiano e Torino (1476);
Colle val d’Elsa, la stampa arriva in centri minori che diventano famosi (1478);
Pinarolo e Toscolano dove c’era un’importante produzione di carta (1479);
Londra, Cividal del Fiuli, Salamanca e Nonantola (1480);
Saluzzo (1481);
Udine (1484);
Clonì (1492);
Urbino, qui c’erano gli oppositori dell’arte della stampa ma dovettero piegarsi alla realtà (1493).

Roma  La città, oltre a Sweynheym e Pannartz, non conobbe dei grandi stampatori, nonostante questo la
produzione romana ci fa capire quali fossero le direzioni, ovvero che la stampa era sempre di più un mezzo di
comunicazione. Un primo esempio è la stampa della lettera di Colombo ai re di Spagna nella quale informa delle sue
nuove scoperte, quindi grazie alla stampa tutti vennero a sapere che si era scoperta l’America, un altro esempio è la
stampa del Mirabilia Urbis, una guida turistica stilata e preparata per tutti i pellegrini che si dirigevano a Roma, ciò
dimostra che la stampa aveva creato un contesto di domanda e di offerta che fino ad allora era quasi unico. A Roma i
tipografi non furono in grado di fare dell’arte della stampa un punto di partenza per ulteriori fortune, la qualità di
produzione era piuttosto mediocre.
Nonostante tutto ciò bisogna ricordare due stampatori, Ludovico degli Arrighi e Antonio Blado, il primo era un
maestro calligrafo, di fronte al mondo dei caratteri mobili che stava imperversando capì che avrebbe potuto perdere
il lavoro decise così di portare i suoi caratteri calligrafici in piombo e stampò un catalogo per insegnare agli
apprendisti l’uso di un carattere, ovvero della litera cancelleresca, utilizzato obbligatoriamente per i brevi apostolici.
Queste lettere incise da un esperto grafico ebbero un grande successo, tanto che Ludovico fu in grado di fondare
una società di stampatori per la stampa di edizioni in cancelleresca. Gian Giorgio Trissino, famoso umanista,
partecipò a questa società, a lui va il merito della modernizzazione dell’ortografia poiché introdusse la differenza
fra la lettera u e la v, la lettura divenne più facile.

Antonio Blado ha un’attività che inizia nel 1515, fu nominato ufficialmente dalla città di Roma come tipografo
ufficiale per tutte le pubblicazioni che riguardassero la città, tutto il materiale amministrativo. Il suo successo è tale
che divenne anche stampatore apostolico e stampò il primo indice dei libri proibiti nel 1559. Fu uno stampatore
piuttosto eterogeneo, stampa il Principe di Macchiavelli ma anche gli esercizi spirituali di Ignazio di Loiola, utilizzava
il carattere degli Arrighi che nel tempo si è trasformato in quello che oggi chiamiamo in Times new Roman.

Foligno  Giovanni di Neumeister di Magonza a Foligno stampò la Divina Commedia nel 1472, per poi tornare a
Magonza e poi trasferirsi a Lione su richiesta del cardinal D’Amboise per il quale stampò il Missale secundum usum
Lugduni (1487).

Venezia  La stampa arrivò a Venezia nel 1467, quando arrivarono i tipografi Giovanni e Vindelino da Spira poiché
avevano intuito che era una sede prosperosa per il commercio. A Venezia si eseguivano le stampe tabellari,
riservate a due tipologie di libri: ai Salteri e ai Donati, testi di uso quotidiano.
Il 18 settembre 1469 i due fratelli stamparono il primo libro, le Pistole ad familiares di Cicerone un testo di letteratura
classica poiché ormai si era diffuso l’umanesimo. Nel frontespizio i due tipografi dichiarano che l’arte del calamo è
ormai superata e la presa di coscienza di questo superamento è rappresentata dalla loro opera, il successo fu
strepitoso, le 300 copie vennero rapidamente esaurite e anche la ristampa finì in fretta (la ristampa implica una nuova
composizione tipografica, quindi nuovo carattere, impaginazione, ecc).
Nello stesso anno i due tipografi stamparono anche Naturalis Historia di Plino il Vecchio (opera di carattere
scientifico) ed il De civitati dei di Sant’Agostino (opera religiosa). Il loro progetto editoriale era quelli di coprire le
branche di interesse del sapere.

Giovanni chiese alla Repubblica di essere l’unico ad esercitare la nuova arte a Venezia, il privilegio gli fu concesso
per 5 anni, ovvero aveva il monopolio della stampa. La sua morte prematura permise ad altri tipografi di poter
esercitare l’arte della stampa, nel frattempo Venezia decise di non concedere più il monopolio a nessuno ma di
concedere il privilegio a chi stampava nella città, quindi ogni stampatore per poter stampare doveva chiedere alla
Serenissima il permesso. Tutto ciò portò la città nella condizione di sapere quali testi circolavano nel territorio e
quindi in qualche modo controllarne il contenuto, infatti la stampa rappresentava uno strumento per minare lo status
quo di una struttura (della Serenissima) che reggeva da secoli.

Vindelino da Spira continuò l’attività e cominciò ad apportare delle modifiche al libro stampato in Italia, la prima è
che nelle sue edizioni comincia a numerare le pagine. Si prodigò anche per pubblicare classici della letteratura
italiana, nel 1470 stampò il Canzoniere di Petrarca e nel 1471 una traduzione della bibbia. All’epoca i libri venivano
ancora arricchiti con girari e disegni perché c’era ancora l’idea che fosse un oggetto di prestigio.

Nicolas Jenson arriva a Venezia nel 1468 dopo essere stato in Germania ad imparare l’arte della stampa, inviato dal re
di Francia Carlo VII che voleva portare anche nella sua nazione l’arte della stampa. Jenson era un maestro di zecca,
ovvero di metalli e di grafismo, nel tempo in cui vive in Germania il re muore e gli succede Luigi XI, il nuovo re non
era interessato all’arte della stampa quindi Jenson decise di muoversi per l’Europa fino ad approdare a Venezia.

In 10 anni edita 98 edizioni, era un editore eterogeneo, interessato ai Padri della Chiesa e ai classici latini, era anche
molto interessato alla bellezza dei testi infatti creò u nuovo carattere tipografico che prende il suo nome. Le lettere
da lui create testimoniano la sensibilità del tipografo verso la classicità, infatti le maiuscole ricordano la capitale
romana, questi caratteri verranno ripresi da altri disegnatori secoli dopo, la base di costruzione di questi caratteri non
è più legata al mondo del manoscritto bensì al concetto di principio tipografico, ovvero i caratteri venivano
preparati tenendo in conto la nuova modalità di produzione.
Con Jenson si ha un passaggio ulteriore nella storia della stampa legato alla politica societaria, egli fu il primo fra i
contemporanei a creare delle società con altri stampatori, associarsi significava mettere insieme dei capitali,
condividere un progetto editoriale, dividere il rischio d’impresa e sopratutto raggiungere dei mercati sempre più
ampi. Un’altra novità introdotta da Jenson è firmare, attraverso una marca tipografica, le sue edizioni nel colophon,
per la prima volta uno stampatore aveva un logo, ciò portò a garantire la qualità delle sue pubblicazioni e
proteggeva l’opera contro il plagio. Spesso la marca tipografica era stampata in rosso, una delle prime volte in cui
veniva introdotta nell’arte della stampa un colore diverso dal nero, quindi il foglio contenente la marca veniva messo
sotto il torchio due volte, nella prima si inchiostrava il testo nero e nella seconda quello in rosso.

Altre opere  Il Kalendarius del Regiomontano è un prodotto editoriale che segue l’usanza del tempo, ovvero quella
di preparare dei calendari, strumento utile all’attività quotidiana. Questo prodotto aveva molta fortuna e veniva
venduto facilmente, l’autore si chiama Johannes Müller, l’uso del tempo era quello di farsi chiamare in forma
latinizzata e quindi si faceva chiamare Regiomontano. Egli era un matematico, a Vienna entrò nelle simpatie
dell’imperatore grazie a ciò riusci ad ottenere il titolo di Magister Artium nel 1457, questo gli permise di girare nei
circoli degli umanisti e studiare le materie umanistiche. La sua fortuna è legata a Mattia Corvino e alla conoscenza
del cardinale Bessarione, noto per la sua attività apostolica in oriente, portò a Venezia casse di libri che avrebbero
dovuto trovare spazio in una biblioteca che il senato veneto aveva deciso di costruire. Regiomontano visse presso il
Bessarione quando questo cardinale stava a Roma (1460-1465) e li egli si prodigò come scrittore di astrologia e
matematica, scrisse uno dei primi libri sulla trigonometria. Era stato chiamato a Roma dal papa Sisto IV, lo stesso che
aveva sovvenzionato l'attività di Sweynheym e Pannartz, per riformare il calendario ma purtroppo morì. Il Kalendarius
del Regiomantano è una delle prime opere dotata di frontespizio.

Le cronache di Norimberga (Liber Chronicarum) furono stampate a Norimberga nel 1493, in Latino ed in Tedesco, dal
tipografo Anton Koberger, egli ebbe probabilmente l’occasione di imparare l’arte della stampa presso lo stesso
Gutenberg ed era uno di quei tipografi itineranti che dopo il sacco di Magonza cambiarono città in cerca di fortuna.
Va ricordato per essere un vero e proprio imprenditore del mondo del libro, infatti oltre che ad essere un editore ed
uno stampatore era anche un commerciante, la sua bottega era molto grande e aveva molti dipendenti. Il curatore
dell’opera, ovvero colui che ha raccolto i vari testi, è Hartmann Schedel, i testi non sono altro che una narrazione in
forma biblica della storia del mondo; lo Schedel fece delle scelte sui vari testi in modo non oggettivo. Questo è il
libro più illustrato di tutto il 400, tutte le illustrazione sono xilografiche e le immagini si ripetono più di una volta
anche a discapito della veridicità del testo (poche xilografie per più immagini), tutto ciò perché ci furono più torchi e
compositori che si dedicarono alla creazione del libro fu stampato molto velocemente e non c’era tempo di
preparare molte xilografie, in più molte perone non conoscevano quei posti. Anche in quest’opera è presente il
frontespizio, nel quale ci viene fornito subito il tema dell’opera.

A Koberger aveva creato un vero e proprio sistema distributivo per poter far conoscere le sue opere in vari luoghi,
per prima cosa creava un volantino dove promuoveva la sue opera (egli creò la pubblicità) e la faceva conoscere al
pubblico, tutto ciò faceva invidia alle altre corporazioni che lo obbligarono a scegliere solo una professione, lui scelse
il ruolo di editore. Purtroppo gli eredi di Koberger non seppero cogliere la sua eredità ed il sistema da lui creato
cadde velocemente.

I contenuti dell'opera sono divisi in sette età:

•Prima età: Dalla Creazione al Diluvio universale


•Seconda età: Fino alla nascita di Abramo
•Terza età: Fino a Re Davide
•Quarta età: Fino all'esilio babilonese
•Quinta età: Fino alla nascita di Gesù Cristo
•Sesta età: Fino all'età presente
•Settima età: Veduta della fine del mondo e Giudizio Universale.
Il libro si conforma alla credenza, infatti secondo lo stampatore di li a poco si sarebbe verificata la fine del mondo,
nel libro sono infatti lasciate alcune pagine bianche e dopo c’è il racconto della fine. Le pagine bianche
rappresentano una novità, sulle pagine bianche rimane il segno dell’inchiostro della pagina successiva, si stampava
così in fretta che non veniva nemmeno lasciato il tempo all’inchiostro di asciugarsi completamente.

Tra il 400 ed il 500 avviene il sorpasso degli incunaboli sui libri manoscritti, la presenza di libri a stampa comincia a
essere pari ai manoscritti verso il 1470-1471, questo sorpasso è molto importante perché il libro stampato si usa
come un vero e proprio veicolo di contenuti.
ALDO MANUZIO
Gesner parla di Aldo Manuzio come uno stampatore grande tanto quanto Gutenberg, Gesner era stato colui che
aveva pensato alla biblioteca universale che potesse contenere tutto il sapere. Manuzio però è uno stampatore molto
selettivo, più vicino all’idea della biblioteca selecta.
La selezione di Aldo Manuzio è sopratutto basata sui testi per la scuola, sopratutto per chi voleva imparare il latino,
egli si approccia all’arte della stampa tardi (a 40 anni) prima era un pedagogo. Aldo aveva un grande amore per la
classicità, fece proprio l’umanesimo attraverso lo studio dei classici, il suo primo importante contratto di
insegnamento e con la famiglia dei Pico della Mirandola, da Pico imparò le sue conoscenza sulla lingua ed i testi
grechi e latini, divenne poi precettore dei principi Pio da Carpi. Manuzio ha lasciato poca documentazione sulla sua
vita quotidiana e sull’attività di tipografo, abbiamo solo piccole tracce che ci permettono di ricostruire la sua attività
di stampatore e tipografo.

La sua attività di stampatore iniziò a Venezia, arrivò nella città tra il 1489 ed il 1490, qui si conosceva già l’arte della
stampa e anche Aldo aveva già visto dei libri a stampa, appena arrivato a Venezia capisce che per la sua impresa ha
bisogno di soldi, tra i primi soci che trova c’è il Torresani (tipografo di Venezia). Il progetto editoriale di Aldo era
quello di voler stampare i testi classici privi di commento per metterli a disposizioni degli studenti, il fine era
imparare la lingua senza i commenti, questo progetto verrà portato avanti per tutta la sua vita. Il passo successivo fu
quello di trovare un altro socio, Barbarigo, che partecipò al progetto di Aldo, lui a differenza dei suoi soci non aveva
capitali, aveva però un’idea che i suoi soci condividevano.
Manuzio scelse Venezia perché era sicuro di poter trovare dei manoscritti da portare in stampa, perché sapeva che a
Venezia era arrivato il cardinale Bessarione. Il Manuzio non arrivò molto facilmente ai testi del Bessarione che
aspettavano di essere inseriti nella biblioteca, aveva capito che Venezia poteva dare molto all’arte della stampa anche
dal punto di vista materiale, infatti il Torresani aveva lavorato con lo stesso Jenson del quale aveva a disposizioni i
caratteri e recuperò tutta l’attrezzatura nel 1487. Manuzio sposò la figlia di Torresani mettendosi nelle condizioni di
entrare in una famiglia di stampatori e tipografi quando lui non lo era. Probabilmente Manuzio non stampò mai
niente con le proprie mani, però aveva una bottega e ricopriva il ruolo di editore, parte della sua fortuna è dovuta al
fatto che proprio in quel periodo in Italia c’era un grande interesse per i classici, Milano infatti è stato una dei primi
luoghi dove si stampavano libri in Greco.

Venezia si era già concentrata in una produzione di testi classici, infatti dopo il 1473 è possibile osservare nella città
un passaggio lento ma inesorabile verso dei testi che potessero garantire un mercato sicuro, qui spesso capitava
l’overbooking. Un mercato sicuro era l’università che abbandonò il sistema della pecia quando si rese conto della
velocità della stampa. Si abbandona l’uso dei caratteri gotici e la via che si sta tracciando è quella di un’industria a
capitale intensivo con un mercato che, seppur lentamente, poteva generare profitto e Aldo arrivò precisamente in
questa realtà. Giano Lascaris era un insegnante di Greco che possedeva vari libri e varie opere in greco, aveva
progettato una tipografia Greca a Firenze nel 1494 e quindi Manuzio sperava di poter intrattenere rapporti con lui
per poter ottenere degli spunti per il suo progetto; Manuzio si mise in bottega Musuro come curatore principale
delle stampe in Greco, egli era un discepolo di Lascaris.

Il primo testo che Aldo ha avuto l’onore di stampare è il Musarum Panegyris (assemblea delle muse) nel 1491, è un
opuscoletto con una collezione di poesie in latino dedicate ad Alberto Pio, in questo libretto è stampata la lettere a
Caterina Pio dove Aldo Manuzio traccia le linee importanti di un programma per imparare la lingua, probabilmente
questa dedica serviva ad Aldo per far vedere che era un protetto o forse era semplicemente una prova di stampa, per
capire se fosse bravo. La sua attività trova come primo approdo l’Opera Omnia di Aristotele o Aristoteles, gli occupò
tre anni di lavoro (1495-1498), è in cinque volumi ed è l’insieme delle opere di Aristotele. L’opera è tutta in Greco ed
era un azzardo da mettere sul mercato, riuscì nell’opera grazie all’aiuto di un importante incisore di caratteri, il Grifo,
che aveva studiato per Manuzio i caratteri tipografici in Greco. L’opera è in formato in folio ed il carattere è un
carattere che ricorda la calligrafia, molto arioso. L’opera fu molto impegnativa e costosa e in più presentava degli
errori.

Un’altra opera molto importante di Manuzio è l’Hipnerotomachia Poliphili (Battaglia in sogno) del 1499, forse il libro
più studiato della storia ma il meno letto, è scritto con un miscuglio di greco, latino e volgare quindi la lettura è
molto difficile. È un’opera che non c’entra nulla con il suo progetto editoriale, considerata anche volgare mentre Aldo
era un uomo strettamente legato all’ambiente religioso, probabilmente il Polifilo è stato voluto perché dietro c’era un
committente, infatti nello stesso anno muore Barbarigo, uno dei principali finanziatori. Il libro non aveva avuto
successo ed era rimasto sostanzialmente invenduto, questo poteva essere dovuto a causa della situazione
tumultuosa dell’italia dell’epoca, in più il libro non avrebbe potuto avere nemmeno un mercato estero a causa delle
lingua in cui era scritto.
A parte questa serie di sfortune l’opera è forse la più bella del rinascimento, Aldo Manuzio aveva saputo sposare
perfettamente il testo insieme alle immagini. Quest’opera è un romanzo stampato in due volumi che racconta il
simbolico sogno di Polifilo e della sua storia d’amore per Polia, nobildonna di Treviso, per la quale l’interprete
sostiene una lotta d’amore durante il sogno.
In questo libro Aldo Manuzio praticò la tecnica del technopaegnion che rappresentava la possibilità di costruire,
attraverso la composizione tipografica, delle immagini era quindi la tecnica di raffigurare un’immagine attraverso
l’uso dei caratteri tipografici. Ha utilizzato tutto lo spazio tipografico a disposizione.
Le illustrazioni sono particolarmente belle e curate anche se si tratta di xilografie, si è quasi del tutto sicuri che chi ha
inciso i legni conoscesse Mantegna e Bellini, il tratto riporta al loro stile. Dopo questa edizione si registra una
diminuzione sulla produzione in greco di Aldo, il progetto un po' alla volta non trova riscontro, verrà poi quasi del
tutto abbandonato nel 1500 anche se nel tempo riuscirà a completare la presentazione delle opere che voleva
stampare in greco.

Aldo Manuzio adotta come marca tipografica un’ancora attorno alla quale si attorciglia un delfino, il motto che
accompagna la marca è “festina lente” cioè “affrettati ma lentamente.” Sembra che questo motto venisse utilizzato da
Giulio Cesare nel momento di condurre in battaglia le sue legioni.

Pubblicò l’Erotemata di Lascaris nel 1494, una grammatica greca che aveva già avuto una prima edizione a Milano nel
1476, l’edizione di Manuzio era semplificata e venne arricchita di un corredo para-testuale che mancava nell’edizione
milanese, ovvero vennero introdotti alcuni testi affinché gli studenti potessero esercitarsi. Questa grammatica
rappresenta la sua prima dichiarazione pubblica di intenti, dichiarava che l’opera non era mai stata stampata e
afferma di aver utilizzato il testo originale (strategie pubblicitarie).
Il 25 febbraio del 1495 Manuzio fa la domanda di privilegio per poter stampare in territorio veneziano le opere in
greco per almeno vent’anni, grazie a ciò la sua piccola bottega poté diventare una vera e propria impresa.

Nel 1499 stampa l’opera Cornucopia del Perotti, scritta in latino, quest’edizione attesta per la prima volta
l'impaginazione, ovvero le pagine erano numerate , l’opera era uno strumento da consultare e da leggere, una sorta
di enciclopedia della lingua latina. Un altro testo importante sono le lettere di Santa Caterina stampate nel 1500,
queste lettere testimoniano la forte cristianità di Aldo, ma sopratutto rappresentano un primo esempio di carattere
corsivo. Quest’opera fa parte del progetto di Aldo di creare libri di piccolo formato che insieme all’utilizzo del corsivo
proponevano un modello di stampa completamente nuovo. Il corsivo, grazie al suo disegno compatto delle lettere,
permise un risparmio notevole di carta, la prima edizione scritta esclusivamente con caratteri corsivi è il Virgilio del
1501, questi libri piccoli vennero chiamati enchiridion (formato in ottavo) ed erano una grande novità anche perché
erano più economici e alla portata di molti, fu Manuzio ad inventare i libri tascabili.

Bembo era un amico di Manuzio, probabilmente l’ultimo era venuto a conoscenza dei libri del Bessarione grazie a
Bembo a cui deve alcune migliorie introdotte nell’arte della stampa e quindi gli rese omaggio dedicandogli due
opere: il De Aetna del 1496 e Gli Asolani del 1505. Il Bembo è colui che mette a sistema l’uso della punteggiatura,
Manuzio fa tesoro della conoscenza della lingua di Bembo ed introduce per la prima volta nei suoi testi il punto e
virgola (lo introduce nel De Aetna), ciò significa che il Grifo aveva creato anche un punzone con il punto e virgola ed
è così nato il carattere mobile da inserire nel testo.
Gli Asolani è l’unica edizione completamente in volgare del Manuzio, l’opera uscì in due emissioni diverse una con la
dedica a Lucrezia Borgia. È un’opera dedicata alla lettura cortigiana perché tratta di una discussione sull’esistenza
dell’amore platonico.

Aldo Manuzio ebbe molte impressioni contraffatte, a contraffare le opere di Manuzio furono sopratutto i francesi
perché erano bravi a riprodurre i modelli dello stampatore, ma anche perché a causa di una litigata con il Grifo lui si
trasferì a Lione e preparò gli stessi caratteri anche per i francesi.

Il 28 ottobre 1507 grazie alla fama raggiunta da Manuzio gli scrisse Erasmo da Rotterdam per proporgli le sue
traduzioni latine dell’Ecuba e dell’Efigenia in Aulide, due tragedie di Euripide. Erasmo voleva la fama e riteneva che
Manuzio poteva garantirgliela e così contribuì alle spese con l’acquisto delle 200 copie.
Erasmo era affascinato dall’attività di Aldo e nel 1508 gli chiede di stampare i suoi Adagia, un testo già edito che
Erasmo nel peridio veneziano amplia e modifica. Gli Adagia sono una collezione di massime e di proverbi provenienti
dalla classicità che Erasmo commenta.
Erasmo commenterà anche la marca tipografica di Aldo, dicendo che in realtà il disegno che ha ispirato Grifo
(disegnatore della marca) viene da una moneta romana donata da Bembo ad Aldo.

Principali caratteristiche del lavoro di Aldo Manuzio:


• La collana (uso dell’enchiridion, in-8°). Enchiridio, libro che si tiene in mano;
• Il Corsivo, aldino o italico (corsivo) inventato da Francesco Griffo nel 1501 (Virgilio, Eneide, prototipo del libro
moderno);
• Numerazione pagine, Cornucopia del Perotti 1499, è fondamentale per lo studio del latino, ma contro
l’impostazione manuziana;
• L’uso costante della marca tipografica;
• L’introduzione della punteggiatura;
• Caratteri in greco preparati da Zaccaria Calliergi, fonditore.

Altri editori contemporanei a Manuzio a Venezia  Sola tra tutte le città italiane Venezia conservò la sua
tradizione di centro della stampa per tutto il ’500. Mentre Manuzio si dedicava agli autori classici alla letteratura
italiana ci pensava Francesco Marcolini (Forlì) che si stabilì a Venezia nel 1534; fu l’editore di Pietro Aretino e le sue
eleganti produzioni resero popolare il corsivo romano di Arrighi e Blado.
Marcolini era famoso per aver eseguito una serie di raffigurazioni erotiche, va anche ricordato per la prima forma di
stampa della musica, per le edizioni musicali si effettuavano tre passaggi sotto il torchio: prima bisogna stampare il
ritmo musicale, poi la nota sopra ed il testo se si tratta di corali. Stampò alcuni testi di tecnica, dall’architettura alla
matematica, diversificando la sua produzione. Egli trovò protezione in Ercole d’Este, si presentò al mondo del libro
anche come libraio, sua prima professione. Fece stampare dai Nicolini La passione di Cristo composta dall’Aretino.
Egli stampò Le sorti, un suo libro che più volte finì nell’indice dei libri proibiti.

Per la diffusione della letteratura nazionale importante fu anche Giovanni Giolito de’ Ferrari, a Venezia dal 1538. Morì
nel 1578 dopo aver stampato circa 850 libri e la stamperia chiuse nel 1606. I Giolito furono gli stampatori dell’Ariosto
e ristamparono Petrarca e Boccaccio, almeno fino a quando la chiesa non iniziò a disapprovare questi autori.
I Giolito aprirono delle specie di filiali in giro per l’Italia, a Bologna, Ferrara e Napoli per distribuire l’ampia
produzione nella quale furono coinvolti, arrivarono anche in Spagna. Erano anche dei mercanti di sali e stoffe,
materie che viaggiavano per l’Europa, ciò gli facilitò lo spostamento delle opere italiane, decretando un successo di
queste anche all’estero.
Stamparono anche La divina commedia sotto un marchio riconoscibile ovunque, il simbolo era quello della fenice che
risorge dalle sue ceneri, esso divenne testimone della qualità di queste opere. I Giolito stamparono 1000 edizioni a
catalogo di quasi 300 autori, ma solo il 5% dei testi sono in latino.

I Giunta operarono a Venezia tra il 1489 ed il 1601, erano imprenditori che suddividevano i rischi finanziari
occupandosi anche dello smercio dei libri grazie a magazzini dove si vendeva anche la seta, il pepe, lo zucchero.
Grazie a queste due importanti famiglie si delineano quelle che sono le caratteristiche di un imprenditore moderno.

Elementi del libro  Gli elementi che si sono sviluppati o che sono stati aggiunti all’interno del libro sono vari. Il
colophon è il mezzo che gli stampatori/editori hanno per farsi conoscere, nei primi tempi fungeva da parte
informativa di tutti quei dati che poi sono stati trasferiti nel frontespizio. In greco vuol dire estremità e per questo era
posto alla fine del libro, Gutenberg utilizzò per la prima volta il colophon nel Catholicon del 1460 nel quale veniva
dichiarato che il libro era stato stampato e non manoscritto. Il colophon che comprende anche il titolo, solo nel
Salmorum codex stampato da Schoffer e da Fust comparve per la prima volta il titolo dell’opera e aggiunsero anche il
loro nome. Questo strumento prese spunto dai manoscritti, dove veniva apposte le stesse informazioni per indicare
la fine della stesura del manoscritto.

Il primo frontespizio appare nella Divina commedia, anche se non è un vero e proprio frontespizio, è solo il titolo
dell’opera posto su un foglio bianco. Ci volle più di mezzo secolo affinché il frontespizio assumesse il significato che
ancora oggi gli attribuiamo, il primo vero esempio è costituito dal calendario del Regiomontano, ma anche qui non è
ancora completo, è solo un sonetto che brevemente racconta quale sia il contenuto. La sua prima funzione era quella
protettiva, era una sorta di cartella nella quale venivano inseriti i fascicoli che dovevano essere legati insieme, i
frontespizi erano spesso arricchiti da disegni, cornici o fregi xilografici.
Nei secoli venne arricchito e venne creata un’antiporta, un’altra facciata che precedeva il frontespizio dove veniva
riportata l’effige di colui che quell’opera l’aveva voluta o a cui era stata dedicata. La marca tipografica è quella sorta
di comunicazione che si pensava affinché potesse conoscersi facilmente l’appartenenza ad una determinata bottega.
L’illustrazione è parte integrante del libro, spesso le illustrazioni venivano usate con poca attenzione, venivano usate
per organizzare il testo tipograficamente oppure per illustrarlo migliorandone la lettura. Le immagini si dividono in
due tipi: immagini che traducono il testo e immagini che servono ad introdurlo.

BEST SELLERS
I best sellers sono sempre esistiti, da Gutenberg per valutare il successo di un libro si deve tenere conto del numero
delle edizioni e della tiratura di ciascuna di esse. Il successo deve essere visibile ed istantaneo, in poche parole
imponderabile. Un best seller può essere un libro anche se con limitata tiratura, ma con grande influenza come per
esempio il Capitale di Marx. Grazie ai best seller si può capire quali fossero i gusti dell’epoca, da questi possiamo
escludere i testi scolastici e i libri di carattere informativo. Verso il ‘400 i best seller spesso erano classici della
letteratura greca e latina oppure testi di carattere religioso.

Il best seller può essere definito come un libro che appena uscito superi di gran lunga la richiesta considerata in quel
tempo buona o ottima e ricada nell’oblio (meravigliando la gente che si chiederà che fine ha fatto) pur avendo
goduto per un certo tempo la posizione di steady seller.

Il primo best seller che divenne anche stady sellers è De imitatione Christi di Tommaso da Kempis (99 edizioni),
stampato da Augusta in prima edizione nel 1471 e rimase il libro più letto al mondo dopo la Bibbia, ma anche il più
venduto. A seguire Gli Adagia di Erasmo con 34 edizioni per 1000 copie, ciascuna vendute tra il 1500 e il 1520.
La bibbia è uno stady sellers, ovvero uno di quei libri sempre venduti anche se lontani dalla loro prima pubblicazione.

Si può parlare di best sellers anche per libri non molto venduti ma che sono stati significativi nella trasformazione
storico, in questo caso bisogna ricordare Martin Lutero con le 95 tesi del 1517, questo opuscolo rappresenta la
spiegazione di come egli abbia capito la potenza della stampa, infatti lasciarono il segno nella storia. Il nuovo
Testamento del 1522, il costo era elevato (1 fiorino e mezzo), ma ne furono vendute in poche settimane 5000 copie
ed in due anni furono create14 edizioni autorizzate e 66 plagiate. Infatti nei best sellers il prezzo non influisce
sempre. L’Orando Furioso di Ariosto (1532) fu ristampato 36 volte e nella storia è il libro italiano che ha avuto più
edizioni.

Nel 1800 il volume di vendita, affinché un libro potesse essere considerato un best sellers, doveva superare le 10.000
copie nel momento di emissione sul mercato, successivamente sempre nello stesso secolo si passò alle 50.000 copie.
Nella seconda metà del novecento i best sellers erano quei libri di cui si vendevano 500.000 copie in un anno.

L’ERA DEL CONSOLIDAMENTO


Tra il 1550 e il 1800 il libro in quanto oggetto non subisce particolari modificazioni, si evolve però la filiera, il primo
passaggio fondamentale è legato al fatto che si delinea una separazione fra il ruolo dell’editore e dello stampatore.
Il primo libro nel quale compare solo il nome dell’editore è il Don Chisciotte, si delinea la figura dell’editore colui che
si fa carico solo del progetto editoriale. Cambia anche la figura dell’autore che passa da una figura al soldo di
qualcuno che lo patrocina ad una figura autonoma, sarà lui a proporre i propri testi all’editore e in base al successo
può vivere del lavoro della propria penna. Nasce però la necessità di tutelare l’autore, precedentemente non si era
avvertita questa necessità poiché l’autore era tutelato dalla persona a cui stava a servizio. I diritti dell’autore iniziano
a riconoscersi all’inizio del 700, la paternità intellettuale è un diritto inalienabile, i diritti patrimoniali sono alienabili
e sono i diritti di stampa, diritti di rappresentazione, diritti di traduzione, … (Copyright).

Con il delinearsi della figura dell’autore è sufficiente indicare il suo nome nel libro non era più necessario utilizzare le
dediche o le sottoscrizioni, vennero perciò creati gli abbonamenti, un sistema di sottoscrizione fatto dai lettori per
poter garantire un numero congruo di copie che gli permetta di poter vivere. Venne creato il deposito legale di
stampa per le contraffazioni, l’editore si impegnava a depositare presso delle istituzioni i suoi libri, il prezzo dei libri
venne fissato per raggiungere un ragionevole profitto da dividere con l’autore. Si svilupperà anche la pubblicità, si
comincerà ad ascoltare le esigenze del pubblico per poter raggiungere più lettori, le copie stampate non erano più
centinaia ma migliaia.

Il passaggio da centinaia a migliaia di copie fu reso possibile dall’introduzione nel XIV di alcune macchine come la
linotype e la monotype che accelerarono il processo di produzione, la linotype compone e fonde in un’unica linea il
testo, invece la monotype fonde ogni singolo carattere e lo allinea per la fase di stampa. Sempre nello stesso periodo
si affermeranno delle edizioni più economiche e si verificherà un calo della produzione religiosa, mentre
aumenteranno i testi scientifici e legati al lavoro. Il vero arbitro del consumo è ora il ceto medio, un pubblico vario
composito e quindi vario e composito deve essere il prodotto, questo non significa che tutte le case editrici si
affannino in una produzione indiscriminata, anzi si specializzano e alcune imprese si sviluppano su basi industriali.

Passaggi salienti  Nei primi decenni dell’Ottocento l’editore pubblicava testi dei contemporanei in funzione delle
preferenze dei gruppi dei lettori, mentre dalla seconda metà l’editore soddisfa le esigenze del pubblico che richiede
nuovi prodotti (il romanzo), ma che riconosce nel lavoro intellettuale una professione.
L’editore commissiona direttamente un certo testo agli autori, in funzione di quello che ritiene possa avere successo,
interviene nella logica della mediatizzazione. L’autore famoso viene sfruttato e un titolo di successo viene offerto in
varie forme, nasce la scrittura di carattere industriale (800). Si comincia a concepire sempre nuovi progetti editoriali di
respiro nei quali coinvolgere letterati e scrittori all’interno di una redazione che non sia un’impresa occasionale;
chiaramente i confini tra il tradizionale libraio-stampatore e gli editori sono labili.

I mercati  Circolazione rapida delle merci. Essere pagati entro limiti accettabili. Da una logica della domanda (il
cliente dal libraio) e una logica dell’offerta (il libraio propone). Nascita delle librerie. Il prezzo del libro costituisce
ancora un problema, ma si applicano gli sconti. Le biblioteche: concorrenti.

I PRIMI EDITORI OTTOCENTESCHI


L’ottocento è un momento particolare per l’editoria, a metà del secolo si vede l’unità d’Italia, ci sono questi tipografi
che fanno scelte editoriali che porteranno ad un cambiamento nel mondo dell’editoria, sarà infatti l’editore a cogliere
che cosa poteva interessare al pubblico. È il secolo dell’editoria scolastica, dell’editoria dello svago (romanzi), il secolo
in cui l’editore lavora in un ambiente che si sta aprendo alla cultura. La distinzione fra editore e stampatore si
delineerà nettamente.

Nel 1802 nasce la società tipografica de’ i classici italiani, questa società nacque sotto la spinta di Vincenzo Ferrario
che era un bibliotecario, in seguito diventerà editore e pubblicherà i Promessi sposi (1827). L’idea era che questa
società pubblicasse tutte le opere classiche legate all’Italia, le pubblicazioni dovevano essere senza quelle che sono le
impalcature di carattere scolastico (commenti, rimandi).
Nel 1808 l’editore Ricordi tracciò la strada dell’editoria musicale pubblicando i maggiori autori come Rossini, Verdi e
Puccini. Anton Fortunato Stella e Sonzonio tracciarono la storia dell’editoria a Milano, il primo pubblicò molte opere
del giovani Leopardi (1810), Milano divenne infatti un centro propulsore in grado di stampare tantissime copie.
Gli editori ottocenteschi cominciarono a conoscere la distribuzione libraria, non si poteva più rimanere solamente
in un mercato locale.
Pomba, un tipografo/editore, introdusse la meccanizzazione del torchio all’interno del sistema produttivo librario, ciò
portò alla produzione di molte copie in un tempo sempre minore. Proponeva piccoli volumi a cadenza settimanale
estremamente economici; aveva poi pensato di creare uno spazio dove potessero essere conservati tutti i volumi che
venivano stampati in modo da poter costituire un luogo di raccolta nel quale poter prendere coscienza di cosa
venisse stampato. Nel 1828 cominciò a promuovere la biblioteca popolare, ossia raccolte di opere classiche greche
e latine tradotte in italiano.
L’editore diventa l’artefice della sua fortuna, deve essere lui a mettersi in campo per poter far girare gli affari, l’ideale
sono quegli editori come Gobetti che sono dei piccoli imprenditori, hanno sia un occhio sull’attività tipografica ma
anche sulla cartiera, dovevano infatti calmierare i prezzi con i costi; un altro vantaggio era rappresentato dall’avere
dei giornali attraverso i quali poter promuovere il proprio lavoro, in poche parole dovevano diversificare. A questi
nuovi editori non serve essere ricchi per poter emergere.

Nell’ottocento si svilupparono tre filoni: libri di carattere storico, letterario e narrativo, il tutto era finalizzato a
raggiungere quella media e piccola borghesia che poteva permettersi di comprare e leggere un libro al solo fine di
svago, c’è un clima di forte crescita nel quale trovò uno spazio anche l’editoria scolastica. I maggiori limiti con i quali
dovettero confrontarsi gli editori furono l’analfabetismo, l’assenza di capitali, la diffusione lenta dei giornali promossi
dai singoli intellettuali e la mancanza di un sistema industriale; un altro grande limite era l’assenza di leggi che
salvaguardassero i diritti d’autore in Italia, la prima convenzione sui diritti d’autore venne stipulata nel 1840 ma questi
problemi cominceranno ad essere affrontati dopo l’unità. Un altro limite era costituito dal fatto che erano pochi gli
autori che potevano permettersi di vivere del loro lavoro, avevano pochi mezzi a disposizione.
In questo secolo i numeri sono ancora bassi, l’editoria di cultura non aveva ancora una grande diffusione.

Centri editoriali dell’800: Milano  Milano è il centro vincente, dove la maggior parte delle case editrici si
concentra, nel 1816 si contano 35 stampatori e librai. Qui cresce un ceto diverso, ovvero nuovi tipi di lettori, si
stampò Il Conciliatore un giornale che promuoveva idee che venivano poi tramutate in opuscoli o libri, con questo
giornale l’aspetto commerciale si incontra con quello della diffusione della cultura, sono presenti editori come
Vallardi (noti dal 1750, prima erano librai).
Nel 1854 nasce la UTET (unione tipografica editore torinesi) e va ricordata proprio perché rappresenta un’unione di
vari editori, divenne una base per la diffusione della cultura su larga scala, pubblicò la collana dei classici e la collana
di letteratura moderna, queste raccoglievano tutta la produzione italiana.

Centri editoriale dell’800: centro Italia  Nel centro Italia l’unica città degna di nota come punto di sviluppo
editoriale è Firenze che si distinguerà a lungo nel panorama italiana per un’editoria di cultura, leggermente diverse a
quella d’impresa che si respira a Milano. Qui nascono e si sviluppano dei nuovi centri culturali che cercano di
diffondere la cultura ad un pubblico nuovo, rinnovato. Le Monnier è un editore che trovò origine nel 1837, attento ai
profitti si inserì nel piano politico e culturale diffondendo gli ideali nazionali di un’Italia ancora divisa, approdò poi ad
un’editoria scolastica.

LA MECCANIZZAZIONE DEL TORCHIO


L’invenzione di Gutenberg rimase invariata per 360 anni, nell’800 si vede una prima progressione sul torchio, veniva
costruito tutto in metallo e permetteva di stampare tutte e due le forme con un colpo solo: prima per ogni lato di
pagina servivano due tirature, con io nuoco torchio con soli due colpi si riesci a passare tutte e due le forme, si
riusciva a stampare sia la bianca che la volta. Questo torchio consentiva di velocizzare il lavoro, anche la stereotipia
permise di velocizzare il tutto, essa è una matrice che contiene già tutto il testo che viene inchiostrato e poi,
passandoci sopra il foglio, l’inchiostro lascia la stampa. Quest’ultima venne abbandonata in fretta perché queste
lastre erano davvero pesanti, poteva essere utile solo nel caso della ristampa perché c’era la matrice già composta e
non c’era bisogno di ricomporre i caratteri.

Vennero poi sviluppate le macchine di linotype e monotype, strumenti che servivano a comporre e a fondere
contemporaneamente il carattere tipografico. Il processo era uguale per entrambe, un operatore digitava il testo su
una macchina da scrivere, attraverso un sistema meccanico si apriva una specie di canale che andava a prelevare la
matrice di quella lettera, queste matrici una volta prelevate formavano le parole e poi i vari pezzettini del testo
andavano ad essere fusi, andava fusa una riga alla volta. La monotype permetteva lo scorporo dei caratteri, ovvero
veniva fuso un grafismo alla volta, ciò portava il vantaggio della correzione.
Migliorano anche le macchine che producono la carta, nel 1830 la carta non è più prodotta al tino ma è prodotta da
una ruota continua, sostanzialmente in un’unica vasca veniva versata la pasta che era stata macerata e triturata ed
attraverso un sistema di rulla veniva schiacciata, pigiata, pressata, fatta percolare dall’acqua e sempre grazie ai rulli
venne introdotto anche un sistema di falsa filigrana. Questa permetteva di raccogliere la carta in bobine.

La piano-cilindrica  Nel 1812 Koenig inventa copia slide … da qui la rotativa è molto vicina.

La rotativa e la stampa offset  Nel 1843 venne inventata la rotativa, è una macchina da stampa nella quale
l’alimentazione del supporto da stampare avviene da bobina, è un termine generico che non identifica un
procedimento di stampa ma solo la contrapposizione alla macchina da stampa alimentata da foglio, si avrà quindi la
rotativa rotocalco, la rotoffset, ecc. La rotativa arriva dalla tecnica calcografica (di incisione), si può stampare sia in
bianca che in volta, questo metodo è destinato ai giornali perché la velocità di stampa è elevata; il difetto maggiore è
che le singole lettere non sono mai perfettamente a registro, hanno come una sorta di ombra.
La stampa offset differisce in vari punti, durante la stampa il rullo inchiostratore scorre sulla matrice (la novità è che
la matrice che inchiostra è a forma di rullo), ma l’inchiostro è trattenuto solo dalle parti stampanti; un rullo con
l’acqua lava le parti non stampanti. Il tutto viene riportato su un rullo di caucciù che lo trasmette per pressione alla
carta. I caratteri, quindi, non sono più in rilievo, viene preparata una lastra con i caratteri incisi in maniera litografica
(stampa in piano). Ancora oggi si utilizza questa tecnica.
Ci si accorge se la stampa è a offset oppure rotativa dalle fibre della carta, se il foglio è stato prodotto in rotocalco
strappandolo si produrrà uno strappo netto e abbastanza regolare, poiché le fibre dei fogli utilizzati per questo tipo
di stampa sono ben allineate, mentre accade il contrario per la stampa offset.

EDITORIA DEL VENTESIMO SECOLO


Il ventesimo secolo è il secolo propizio per l’editoria, ormai la figura dell’editore si è ben delineata, tutto ciò che
riguarda lo stampatore rimane viene posizionato nel colophon, in modo che sia poco visibile poiché un po’ alla volta
lo spazio del frontespizio e della copertina lo prende l’editore. La produzione, oltre a quella di cultura, è rivolta al
grande consumo con l’intento di raggiungere un vasto pubblico, gli editori hanno grandi liquidità e possono pagare
adeguatamente gli scrittori. Nel 1901 nasce De Agostini e la Nuova Italia nel 1905, case editrici destinate alla scuola.
Alcune case editrici strutturarono la produzione in collane, molte di queste sono state volute e seguiti dagli
intellettuali del primo novecento e hanno scandito dei momenti culturali ben precisi. Uno di questi intellettuali è
Benedetto Croce che per circa cinquant’anni ha lavorato con Laterza, progettando collane, scegliendo i titoli che
dovevano essere pubblicati in quelle collane e facendo una serie di scelte grafiche e para-testuali che hanno dato
un’impronta a quella casa editrice; in poche parole Benedetto Croce ha aiutato la terza a costruire un catalogo che
potesse diventare uno strumento di diffusione di un modello culturale. In poche parole Croce ha indicato agli italiani
che cosa dovessero leggere in temi di storia, filosofia e critica. Questa casa editrice vivrà molto lo scontro del
ventennio fascista, Croce entrò direttamente in contrasto con Gentile, poiché era contrario all’entrata in guerra ne
verrà influenzata l’intera produzione.
Nel novecento l’editoria era influenzata da quello che accadeva in Italia più che mai, le case editrici sono
condizionate politicamente e dal contesto storico, a livello di regionalismi.

Il movimento futurista  Il movimento futurista è composto da intellettuali a favore della guerra, pensavano che
potesse essere un motivo di riscatto. Questi intellettuali sostennero attivamente l’entrata in guerra, erano fortemente
nazionalisti, fra tutte le avanguardie artistiche e letterarie del novecento europeo il futurismo è quel movimento che
si è maggiormente confrontato con i prodotti tipografici ed editoriali.
I loro ideali vennero definiti macchinisti, poiché sostenevano che la macchina era la vera protagonista dello sviluppo
della cultura, con loro verrà coinvolto tutto l’aspetto materiale del libro (Depero) o il testo (Le parole in libertà di
Marinetti) e i loro ideali trovarono concreta applicazione proprio nell’oggetto libro, i loro ideali vennero tradotti
materialmente attraverso il libro. Costruiranno dei libri con supporti diversi dalla carta per dare sfogo alla loro
creatività, non destruttureranno completamente il libro, destruttureranno più il testo ed il contenuto, la forma del
libro rimane quasi uguale, rimane l’idea delle pagine e di uno spazio fisico ben delineato dove le parole sono in
libertà. Il supporto principale del libro diventa la latta o l’alluminio. Una delle principali idee futuriste era quella di
creare dei libri che potessero coinvolgere tutti e cinque i sensi, come ad esempio Parole in Libertà Futuriste Olfattive
Tattili Termiche, attraverso il libro e l’editoria volevano raccontare e coinvolgere tutte le sensazioni.

LA PROPAGANDA DURANTE LA GRANDE GUERRA ATTRAVERSO LE COPERTINE E GLI OPUSCOLI


La propaganda è un concetto che risale all’epoca romana, l’attività di propaganda in epoca classica era affidata ad
elementi quali la scultura, alle iscrizioni e alle monete (oggetti con caratteristiche atte a trasmettere dei contenuti). La
novità durante la prima guerra mondiale è il concetto di massa, in quegli anni viene anche introdotta la pubblicità
nata negli Stati Uniti alla fine dell’800. Grazie all’unione del concetto di massa e della pubblicità si riuscì a
raggiungere una quantità enorme di persone, in più c’erano dei mezzi pronti per realizzare tutto ciò nell’ambito della
stampa.
Se nell’epoca romana a raccontarsi era il potere, l’esaltazione delle azioni dei potenti, con la prima guerra mondiale si
fa propaganda raccontando la vita sociale per informare le persone riguardo cosa stesse accadendo, questa
propaganda puntava sui sentimenti, che dovevano colpire i soldati al fronte, lo spirito popolare di chi era a casa e gli
alti ranghi dello stato.

La stampa e l’editoria del tempo prepararono prodotti finalizzati ad informare velocemente, quando ci si chiedeva se
l’Italia dovesse entrare in guerra o dovesse rimanere neutrale gli opuscoli svolsero una loro funzione, infatti vennero
creati tantissimi opuscoli che incitavano all’entrata in guerra. Grazie al buon uso della comunicazione editoriale il
bando che voleva entrare in guerra riuscì ad avere la meglio anche se in realtà la maggior parte della popolazione
voleva rimanere neutrale. Le copertine e gli opuscoli in generale hanno avuto come punto di riferimento i
finanziamenti, i primi opuscoli erano poveri anche materialmente, grazie all’investimento nell’attività di propaganda
(1916) gli editori cominciarono a creare prodotti di miglior qualità, più efficienti ed efficaci. Tutti gli editori puntavano
sulla forza dell’immagine sulla mente delle persone, l’immagine si converte in un vero e proprio strumento,
bisognava esaltare il sentimento nazionale di difesa dei territori contro un nemico comune. La funzione para-testuale
è davvero importante, la copertina è considerata parte del para-testo quindi le immagini dovevano essere facilmente
evincibili, il messaggio doveva essere facilmente trasmesso.

Gli opuscoli erano facili da reperire ed erano molto più economici (costavano pochi centesimi) rispetto ai libri,
Bemporad fu una delle case editrici maggiormente impegnate nelle pubblicazioni patriottiche, siccome stampava
libri per la scuola si occupò della diffusione di questi opuscoli nelle scuole. Gli opuscoli erano molto sottili e non
superavano le cento pagine ed erano anche facili da leggere. Vennero utilizzati anche i fumetti, i disegni a
carboncino.
Il prodotto della propaganda trovò in quegli anni un nuovo canale di trasmissione, ovvero quello degli opuscoli.
Tutto era sempre frutto di tecniche e strategie mirate ad ottenere determinati obbiettivi.
Prima fase degli opuscoli  Nella prima fase gli opuscoli incitavano ad entrare in guerra per proteggere ed
allargare i propri confini, venivano quindi messi in copertina le carte geografiche indicando i vari territori. La
conquista dei territori rimasti fuori dallo stato italiano.
Un po’ tutte le copertine hanno un richiamo alla classicità, nel primo opuscolo il richiamo è presentato dal
verticalismo e dai colori, viene infatti usato il rosso che rimane impresso nella mente delle persone. Bisognava
infatti convincere una popolazione ancora da troppo poco unita, estranea al concetto di nazione e patriottismo,
quindi il governo doveva trovare un sistema per creare una sorta di unità nazionale e decise di trasformare la
propaganda in uno strumento di persuasione.
In un altro opuscolo vediamo due dee (richiamo alla scultura greca) che calpestano l’aquila austriaca e in alto è posta
la bandiera dei Savoia come simbolo di rinascita e richiamo alla verticalità. In un altro opuscolo troviamo la scritta
evviva la guerra, questo opuscolo era a colori e veniva introdotta l’idea dell’arma fisica, infatti c’è una spada che
trafigge l’elmo tedesco. Anche l’ironia si convertirà in uno degli strumenti di propaganda più utilizzati.

Seconda fase degli opuscoli  La seconda fase vede l’esigenza di spronare a supportare la guerra, veniva chiesto di
andare avanti con la battaglia, tutti dovevano contribuire allo sforzo bellico. Molti opuscoli rappresentavano i morti
in guerra e spronavano ad andare avanti in modo che quelle morti non fossero vane. Un altro elemento comune è la
divulgazione nel modo più capillare possibile della ferocia del nemico, la demonizzazione del nemico si trasforma in
un nuovo modo di fare propaganda, bisognava combattere la guerra per evitare che il nemico invadesse le case dei
cittadini. In questo opuscolo viene raffigurato un bambino a cui i tedeschi hanno mozzato le mani, proprio per
rafforzare l’idea della brutalità del nemico, così violento da distruggere i fondamenti morali e sociali, infatti in un
altro opuscolo il tedesco viene raffigurato come un maiale.

Altri opuscoli mostrano le donne ed i bambini che rimangono a casa, venivano spronati a lavorare e a fare il loro
dovere fino al ritorno dei soldati, infatti comparivano scritte dove si incitava a lavorare per i soldati. La donna rimane
però ancora a casa, a differenza della seconda guerra mondiale dove andava a lavorare in fabbrica al posto degli
uomini impegnati nella guerra. Altre scritte dicevano “guerra senza sangue”, ovvero la guerra di chi rimaneva a casa.

Terza fase degli opuscoli  Nella terza fase, dopo Caporetto, gli opuscoli persero importanza, non erano più un
prodotto di massa ma erano indirizzati solo agli ufficiali che avrebbero dovuto spronare i soldati a non cedere e a
non disertare. Altri poi erano gli opuscoli dedicati alla guerra economica, che invitavano a non utilizzare prodotti
tedeschi ma a sostenere l’economia nazionale, altri opuscoli invece sollecitavano a finanziare la guerra per poter
ottenere la vittoria. Alcuni opuscoli erano dedicati alle condizioni di prigionia degli italiani.

EDITORIA DEGLI ANNI VENTI


Il contesto storico vede operare il mondo dell’editoria in un contesto di regime, questo fece sentire gli editori o
responsabili e legati rispetto al fascismo oppure contro. Il regime ha condizionato molti editori, alcuni titoli non
sarebbero mai apparsi se l’editore non fosse stato in qualche modo allineato con il regime, gli anni venti sono gli
anni segnati dalla fine della prima guerra mondiale, se prima gli editori lavoravano anche a fine propagandistici e per
altre esigenze legate alla guerra ora questi ultimi si devono trovare nuovi sbocchi. Un altro fattore che condiziona il
mondo dell’editoria è la consapevolezza che i lavoratori prendono coscienza dei loro diritti e cominciano ad fare
degli scioperi, in più l’Italia del tempo era segnata da movimenti nazionalisti.
Tutti coloro che erano insoddisfatti della situazione trovarono appoggia nel partito nazionale fascista:
• 1922: alleanza con il mondo dell’industria e delle banche; il fascismo aveva in programma di allinearsi con il
mondo dell’industria e delle banche, due settori che dovevano essere controllati, bisognava controllare la filiera
industriale ed economica.
• 1924: guida dello stato; presto il regime si rese conto che per affermare la sua dittatura doveva far riferimento
sugli intellettuali, fare affidamento su chi aveva il potere di stampare e di scrivere assecondando gli ideali del
regime.
• 1926: affermazione della dittatura nelle istituzioni politico-sociali; per fare ciò bisognava entrare nel tessuto
sociale, esso poteva essere raggiunto attraverso la produzione di libri e giornali. Venne applicata la censura anche
a contenuti di tipo politico ed economico.
• 1926-1929: diffusione del regime in tutti i centri della vita sociale;
• 1930-1939: conquista del consenso popolare;
• 1940-1943: inseguire l’idea di una guerra di dominio.
Le difficoltà che gli editori incontrarono in questo ventennio furono varie, prima di tutto era difficile reperire la carta,
l’elemento chiave della produzione editoriale. Gli editori necessitavano di finanziamenti, man mano che l’industria
dell’editoria si sviluppava i capitali diventavano sempre più importanti, finita la guerra si pose il problema della
riorganizzazione della distribuzione dei libri. Le pubblicazioni scientifiche si trovavano in un momento di crisi, infatti
con lo scoppio della prima guerra mondiale si era fermata l’importazione di questo genere di libri dalla Germania.

Editoria: conquista del consenso  Per l’ennesima volta l’editoria cominciò ad essere utilizzata come uno strumento
per il consenso, lo stato fornisce aiuti di carattere economico tramite sussidi e contributi. Il sistema editoriale è
ancora legato alle piccole attività produttive, piano piano l’editoria divenne industria e cominciarono a crearsi dei
grandi gruppi. Accettare le condizioni che il regime fascista poneva agli editori era l’unico modo per poter continuare
a lavorare, chi non era gradito al regime fascista era costretto a scappare. l’editore ideale deve essere un editore
fortemente nazionalista, ecco perché ci si allontana dalla produzione oltre confine e in Italia non si potevano
stampare libri stranieri. Essere allineati consisteva in una garanzia di lavoro.
La censura di carattere politico venne fortemente regolamentata, durante il regime fascista venne istituita una
commissione per la bonifica libraria (1938), ogni libro era sottoposto a rigidi controlli.

Generi letterari  La narrativa era il genere predominante, la saggistica avrebbe dato spazio a pensieri, ragionamenti
e ricerche, ad analisi della realtà che non era il caso di consentire alla popolazione che andava istruita facendola
leggere qualcosa che potesse condizionare il loro pensiero. Solitamente chi non condivideva gli ideali fascisti
pubblicava libri di storia o di filosofia, la saggistica aumentò solo con un paio di editori (Ricciardi e la Nuova Italia).
Formigini diede vita all’istituto per la propaganda italiana per diffondere il libro, il suo progetto editoriale per
contrastare il dilagare del condizionamento era quello di mettere a disposizione una letteratura che seppur spiccia
facesse riflettere, Gobetti era un liberale ed un valente critico letterario che venne perseguitato dai fascisti, pubblicò
ossi di seppia di Montale.

EDITORIA DEGLI ANNI TRENTA


In questi anni l’Italia si sta risollevando dai problemi causati dalla prima guerra mondiale, ci fu un incremento dei
titoli che venivano pubblicati annualmente, circa 11.000 rispetto ai 7.000 pubblicati negli anni venti. Ci sono editori
che chiudono le loro attività, oppure altre editoria che iniziano a consorziarsi con altri editori, come Treves che nel
1939 chiude e va a confluire nella casa editrice Garzanti, molto simile nel progetto editoriale. Bemporad viene aiutato
dai finanziamenti del regime fascista ma non riesce a superare il 1938, l’anno delle leggi razziali, ciò porterà alla
chiusura della casa editrice. Bompiani aveva un’impostazione diversa, è stato insieme a Mondadori uno dei
rappresentanti maggiori del dopo guerra perché fu in grado di imprimere una forte personalizzazione alla sua case
editrice, che riguardava sia la scelta dei titoli, sia il modo di veicolare i prodotti. Bompiani dà un’impronta fortemente
letteraria ed editoriale, negli anni trenta fa crescere le collane di narrativa e valorizza il romanzo italiano, vennero fatti
conoscere al pubblico vari autori fra i quali Moravia pubblicato per la prima volta nel 1929 da Ciarlantini, che
pubblicava sia testi nazionalisti ed anche autori stranieri molto diversi tra loro. Bompiani pubblicò l’imbroglio di
Moravia. Bompiani scriveva spesso agli autori dandogli numerosi consigli, il suo era quasi il lavoro di un letterato.
Rizzoli inizia la sua attività nel 1929, coglieva le richieste del mercato ed era molto forte sulle pubblicazioni
periodiche, trovò ragione di investimento nelle produzioni cinematografiche. Einaudi nasce come editore nel 1933
con una serie di collaboratori fidati (Leone Ginsburg e Cesare Pavese), intellettuali interessati ad una nuova
produzione di saggistica, saggi che dovevano riguardare la storia, la filosofia e l’economia.

Principali caratteristiche  Molti editori si devono ripensare per adeguarsi all’ideologia fascista, ma anche per i
nuovi modelli dell’industria culturale, infatti gli editori che riescono ad avere successo sono quelli che si allineano al
regime fascista. Gli autori di stampo liberali si troveranno in difficoltà a causa del regime. I modelli fondati sulla
dimensione familiare e artigianale di carattere ottocentesco sono ormai superati.

Arnoldo Mondadori  La Mondadori è stata la casa editrice che più ha segnato il ventesimo secolo, al nome di
Arnoldo Mondadori va legata la trasformazione di un’attività aziendale ad un attività imprenditoriale. A partire dai
primi anni del novecento inizia la sua attività ed un po’ alla volta introduce varie innovazioni, negli anni capì che il
pubblico al quale ci si doveva rivolgere era quello delle massa. Nel 1907-1908 inizia la sua attività che si espanderà
pubblicando giornali di propaganda per il fronte. Il suo obbiettivo era quello di raggiungere il mercato proprio per
questo decise di puntare ad un mercato sicuro introducendo le linee programmatiche che useranno anche le future
case editrici, le programmazioni delle stampe venivano messe in atto e sistematizzato periodicamente. Il senatore
Borletti entrò nella società finanziando la casa editrice.
Nel 1919 struttura la sua casa editrice a Verona, la prima scelta che mise in atto fu quella di costruire delle collane, la
prima collana è rappresentata dalle Scie che ospita una biografia piuttosto scottante per l’epoca ma finanziata dallo
stesso regime, la biografia si intitola Dux e parla della storia di Mussolini. Questa collana ospiterà sempre biografie e
memorie. Nel 1932 Mondadori rileva da Nerbini il fumetto di Topolino e ha un notevole successo. Un’altra collana
importante è la Medusa destinata agli scrittori novecenteschi stranieri.

A Verona introdusse le rotative litografiche, dal regime fascista gli arrivavano molti finanziamenti, molti dei quali
applicò nel 1929 alla collana dei gialli, questo nuovo prodotto si caratterizzò fin da subito sul mercato e qui per la
prima volta Mondadori introdusse la copertina con un ruolo fortemente identificativo, gli autori della collana erano
pressoché sconosciuti e l’ambientazione era straniera e i libri di questa collana venivano venduti nelle edicole. Il
grande punto di forza di Mondadori era quello della distribuzione, superò brillantemente i problemi di distribuzione
anche grazie all’appoggio del regime che sovvenzionò le aziende affinché modernizzassero i propri impianti, in
cambio il regima voleva che fossero recuperati quegli autori che portavano avanti idee di carattere nazionalista.
Una distribuzione che a Mondadori tornò molto utile fu quella del libro unico, un sussidiaro richiesto dal regime a
Mondadori perché potesse essere distribuito nelle scuole ed istruisse i bambini che dovevano imparare a leggere,
questo libro era adottato da tutte le scuole e Mondadori ne ottenne l’appalto, grazie a questo il suo fatturato triplicò.

Durante la prima guerra mondiale il problema principale era quello di riuscire ad approvvigionarsi della carta, altri
erano rappresentati dalla censura e dal sequestro dei libri, dai bombardamenti sulle strutture ed il prezzo imposto
dal regime sui libi per le scuole, è un prezzo vincolato che non permette agli editori di coprire i costi, il risultato di
questa situazione fu il calo della produzione libraria.

Nel dopoguerra aprì delle nuove collane:


• i classici contemporanei italiani (1946);
• i classici contemporanei stranieri (1947);
• la medusa degli italiani (1947);
• la biblioteca moderna Mondadori (1948).
Secondo Mondadori il mondo della lettura era un mondo eterogeneo, adatto a tutti.

EDITORIA DEGLI ANNI QUARANTA


Una casa editrice che mantenne un certo stile editoriale non solo nella scelta dei titoli e degli autori ma anche nello
stile di preparazione e strutturazione dell’oggetto libro è la Rizzoli, nel 1949 nasce la collana BUR (biblioteca
universale Rizzoli) la prima collana che diede vita ad un progetto articolato di letteratura universale dall’antichità
classica fino ai giorni nostri. La caratterizzazione era sicuramente il formato e il prezzo era più contenuto, l’iniziativa è
quella di tentare di ampliare i ristretti margini di un pubblico medio e per i testi classici veniva fornito il testo
originale a fronte. Le opere proposte erano di carattere capitale, autori di vaglia, sia antiche che moderne, ma anche
opere di cultura e di divulgazione particolarmente significative, con la BUR venne introdotto il formato tascabile in
Italia. La collana si apre con un testo classico, I promessi sposi, anche se appariranno ben presto anche autori stranieri
(i generi sono molto eterogenei, dal romanzo, alla poesia, al teatro storico e il teatro inglese), un difetto di questa
collana è da rintracciare in un’impostazione molto scolastica (le note, il testo a fronte, le traduzioni curate) e quindi
rimasero tagliati fuori tutti i movimenti filosofici e politici, tutti quei testi che necessitavano un confronto con il
lettore.
Einaudi avviò con la collana I millenni del 1947 la stampa dei classici, era un editore molto attento alla narrativa e alla
saggistica, si sapeva muovere in un panorama molto variegato, era anche molto attento ai giovani e alle figure
femminili. Einaudi aveva ancora un’impostazione da editore di cultura e soffrì molto il periodo storico, il mondo
andava verso la massificazione della lettura, con letture meno impegnate e che prestavano meno attenzione al
mondo della saggistica che Einaudi voleva mantenere alto.
In questi anni migliora il livello qualitativo della produzione, la grafica è più chiara e moderna e diminuisce il dazio
sulle imposte sulla carta, la carta stampata si impegna molto per promuovere la cultura e recensire i libri, una sorta di
pubblicità. l’altra trasformazione che avvicina l’editoria ad un carattere imprenditoriale è la divisione in settori
autonomi della struttura delle case editrici.

Produzione di carattere religiosa  Dagli anni quaranta si stava sviluppando un’editoria molto legata alla cultura
religiosa, il principale contributo veniva dalla Francia, le principali case editrici italiane raccolsero lo stimolo e gli
autori stranieri proponendoli al pubblico. I testi erano testi di riflessione sulla storia religiosa e sulla crescita spirituale,
alcuni raggiunsero il titolo di best seller all’interno della produzione di carattere religioso.
Nel 2018 si sono vendute tantissime copie del testo di papa Francesco, ancora oggi la produzione religiosa ha ancora
un discreto successo sul mercato.

Saggistica  Vi è un grande fermento dalla storia, alla filosofia, all’economia, alla politica, alla critica letteraria che
induce editori fino ad allora collocati nella sfera narrativa a costruire nuove collane. La politica comincia ad avere
sempre più spazio nella produzione editoriale.

EDITORIA DELLA SECONDA METÀ DEL NOVECENTO


I protagonisti principali di questo periodo sono Mondadori e Rizzoli, sono quegli editori che dimostrano più spirito
d’iniziativa anche con la ricerca di nuove collane, lo stesso fa Einaudi, l’editoria era curata e seguita da personalità di
rilievo. Questo è il momento storico di altri media, la radio, la televisione e il cinema che spostano l’attenzione del
pubblico e orientano il consumo di tempo libero. Si affermano piccole case editrici che di per sé non hanno un
programma, ma attività spontanee rivolte a pochi intimi e a un pubblico esiguo, senza supporti informativi e
promozionali, il libro assume quindi carattere divulgativo. Dagli anni sessanta il libro divenne oggetto di pellicole
cinematografiche e questo fece aumentare i lettori.

Feltrinelli nasce nel 1954 per dare una voce al movimento operaio, alimentare la cultura democratica e dare spazio ai
fermenti politici, l’edizione del Gattopardo del 1958 è una delle migliori, nel romanzo vengono narrate le
trasformazioni della vita sociale e il confronto tra la classe benestante e quella povera. Feltrinelli è tra i primi editori
che mette insieme una catena distributiva di librerie a marchio Feltrinelli che trovò spazio in molte aree geografiche.
Nel 1958 Alberto Mondadori si stacca dall’attività di famiglia rendendosi autonomo e costruisce un proprio marchio,
Il Saggiatore, egli avvicinò a sé vari intellettuali.

EDITORIA DEGLI ANNI SESSANTA


Gli anni sessanta sono anni topici del novecento, perché sono gli anni nella quale la produzione non è più
esclusivamente aziendale ma è diventata industriale, ciò significa che all’interno del mondo editoriale vengono
investiti dei capitali, non solo per l’aggiornamento delle macchine ma anche nel personale. Questo significa che dagli
anni sessanta la filiera editoriale, grazie all’aumento di capitale, permette l’assunzione di persone per integrare i
processi di produzione. Vi è una crescita esponenziale del mercato editoriale perché c’è potere d’acquisto, il libro
quindi trova maggiore spazio sul mercato, vengono sperimentati nuovi sistemi di lancio editoriale, vengono
recuperati autori che erano stati dimenticati (tra cui Nietzsche, recuperato dall’Adelphi). Si crea la scuola media
unificata con la quale viene consolidata l’editoria scolastica e si sviluppano le dispense sulle quali poter studiare.
Nel 1965 si apre la collana degli Oscar Mondadori, commercializzata nelle edicole, questo rappresentava una
rivoluzione nella distribuzione del libro. L’aumento dei titoli portò alla saturazione del mercato, l’offerta era troppo
ampia, settimanalmente c’erano molti resi, perciò le librerei si impegnarono per vendere i libri che erano già a
catalogo.
Verso la fine degli anni sessanta vennero create nuove collane per orientare meglio i propri lettori, si sviluppa
l’editoria legata al Concilio vaticano II che fornisce l’input necessario al rinnovamento della chiesa, questo è anche il
momento dei piccoli editori spinti dalla passione ideologica che scendevano in campo per occupare spazi politici,
questo infatti era il momento delle lotte di classe che favoriscono l’editoria di dibattito, un’editoria che si confrontava
sui grandi temi, destinata una volta conclusa ad essere dimenticata (non rientra nella storiografia). La causa della
sovrabbondanza nella produzione porta ad una diminuzione delle tirature.

EDITORIA DEGLI ANNI SETTANTA, OTTANTA E NOVANTA


L’editoria diventa la fotografia dei nuovi assetti politici che si sono formati, riflette per tanto il carattere di una società
in conflitto (anni della legge sull’aborto e sul divorzio, argomenti utilizzati nell’editoria). Viene offerta la saggistica e
degli strumenti per le militanze politiche, gli editori di cultura svaniscono definitivamente, l’emissione di nuovi titoli è
ancora alta anche se molti di questi rimangono invenduti. Nel 1974 Elsa Morante pubblica con Einaudi La Storia, una
pietra miliare della letteratura italiana, molti editori cominciano a pubblicare romanzi rosa. Emerge chi offre massiccia
pubblicità e forme diversificate di produzione, il libro in questi anni diventa terra di conquista, nascono tanti editori
che si cimentano in tanti nuovi ambiti (sport, giardinaggio). In questi anni il mercato è dominato da Mondadori,
Rizzoli, Bompiani ed Einaudi. Nascono i fotoromanzi in questi anni. Anni del dinamismo societario: fusioni e holding,
vi è un regime capitalistico quindi bisogna unirsi per dividere costi e benefici. I piccoli editori (da 1 a 10 titoli all’anno)
sopravvivono grazie ai rapporti con i propri autori, che hanno fidelizzato i propri lettori, e accordi con i distributori.
Non esiste più l’editore protagonista, molti editori scompaiono completamente con la fine del novecento perché non
hanno capitali per rinnovarsi oppure perché il mercato non è pronto a leggere i loro titoli. Aumentano i tascabili, si
riducono le spese tagliando ulteriormente le tirature ed i costi di produzione (si riduce il numero di pagine stampate),
la politica editoriale è sempre più orientata al marketing, ci sono altre discipline, rispetto agli anni precedenti, che
vanno a coordinare il progetto editoriale.

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