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Edizioni Willoworld
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UN MONDO A GAMBE APERTE
Un libro di Gano
per
La Giostra di Dante
Seconda Edizione
www.lagiostradidante.co.nr
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GM Willo – Seconda Edizione, 2010
All work and no play makes Jack a dull boy – di Jack Torrance – 2008
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Secoli di poesia e siamo sempre al punto di partenza.
Charles Bukowski
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UNA PREFAZIONE
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I RACCONTI DI GANO
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LE POESIE DI GANO
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INTERVISTA A GANO
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IDENTITÁ DI GANO
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INTRODUZIONE
ALLA SECONDA EDIZIONE
GM Willo
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UNA PREFAZIONE
di GM Willo
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Perle grezze di saggezza, fermi immagine del quotidiano
dipinti di fosforescenze, parole al vento e sussurrate piano,
col fiato alcolico, ovviamente. Gano non è un ricercatore
del bello. Gano non è uno che vuole stupire, colpire,
infrangere o barricarsi. Gano è semplicemente Gano, un
uomo che, nonostante il mito che già lo sovrasta, dimostra
di essere più vero di molti comuni randagi.
5 Marzo 2009
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GANO
Profilo d’autore
Padre boia
Elargisci dolore
Credendoti dio…
Che tu muoia
Io non prego
Ma son certo
Così sarà.
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I RACCONTI DI GANO
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EHI, RAGAZZO!
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Io guardo il Pingue e il Pingue guarda me. Rimaniamo
così, un fotogramma alcolico da cinquecento lire. Ah, le
vecchie care lire… Intanto Greggio incomincia a sparare
cazzate!
Il tipo col telecomando in mano non è piccolino. Forse
trent’anni, tirato di lucido, almeno un’ora di palestra al
giorno, svalvolato il giusto da quella robaccia che si rimedia
da Dado, lo stronzo che fa finta di giocare a biliardo. Io non
lo sopporto. L’ho visto un paio di volte avvicinarsi ai
ragazzini del calcio balilla. Quelli c’hanno si o no
quattordici anni. Menomale che sanno il fatto loro. Non
hanno perso tempo a mandarlo a cagare.
Non conosco bene il tipo, ma l’ho visto un paio di volte
bazzicare il banco del bar. Camparino corretto a gin, se non
ricordo male. Gli occhi lucidi cercavano il culo della figlia
di Aldo, il proprietario. Non vi mentirò. La Giorgia ha
proprio un bel didietro. Comunque il suo nome non mi
viene proprio, perciò mi rivolgo a lui in questo modo:
«Ehi, ragazzo! Ci rimetti il TG per piacere?»
Lui non mi guarda neanche, preso com’è dal balletto delle
veline.
Il Pingue a questo punto si alza e va a prendersi un altro
fernet. Appoggia il bicchiere vuoto sul tavolino davanti a
me. Mi guarda. Ci siamo intesi. Anch’io voglio un’altra
china. Ne avrò bisogno.
Lo sapete vero dove si serve il fernet? Li conoscete quei
bicchieri, no? Sono quelli col fondale spesso. Tre o quattro
centimetri di vetro smussato. Io a casa ci schiaccio le noci.
«Ehi, ragazzo! Guarda che tra poco c’è lo sport…”
Ma lui fa finta di niente. Ride all’ennesima battuta di
Iacchetti. A me quello lì non mi ha mai fatto ridere. Però si
tromba la bionda, perciò tanto di cappello. Davanti alla fica
siamo tutti fratelli.
«Su ragazzo, passami quel telecomando!» Il tono della mia
voce rimane calmo. La mucca indiana, avete presente?
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Ciononostante, da che mondo è mondo, più di tre
avvertimenti non si danno. Ho ragione o no?
Lui intanto rimane immobile. Il sorriso ebete stampato in
faccia e gli occhi sempre più lucidi. Si prende anche il
tempo di accendersi una sigaretta.
Poi parte il bicchiere.
Il resto della storia? Una bellezza. Urla, imprecazioni,
l’ambulanza, la polizia, che però mi conosce e conosce
anche il ragazzo che non sporge denuncia, e poi la gente del
circolino che è tutta dalla mia parte. Insomma, meno di
un’ora dopo io e il Pingue siamo nuovamente sprofondati
nelle sedie di plastica a vederci il commissario Montalbano.
Accanto c’è la Giorgia, che passa il cencio sulle macchie di
sangue. Il vero spettacolo della serata è sbirciarle la
scollatura mentre si china in avanti.
Queste si che sono emozioni!
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IL RE DI FIORI
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inchiodato alla sedia, il Nanni continua a ridere. E via così,
alla grande…
Il Cossu perde anche il pokerone e s’incazza di brutto.
Decide di smetterla, s’infila la giacchetta di flanella a
scacchi, guanti, berretto, e senza salutare si dilegua. Meglio
così, siamo giusti giusti per una briscola in quattro. La
meravigliosa briscola a quattro.
Mi ritrovo in coppia con Fantomas, ed è una bella storia.
Fantomas gioca quieto, fa i segni giusti senza mai esagerare.
Ma bisogna stare attenti al Nanni, che a briscola ci sa
proprio fare. E poi ha un culo che non vi dico!
Si è fatto tardi, sono quasi le due. La Giorgia se ne è
andata. È rimasto solo Aldo, suo padre. Sprofondato sulla
sedia si guarda un vecchio film di Alberto Sordi, la senza
filtro stretta con forza tra le dita. Il Circolo è quasi vuoto. Ci
siamo solo noi e un paio di stronzi al videopoker. Ma Aldo
tiene comunque aperto fino alle due, a volte anche fino alle
due e mezzo, perché è sabato e tra poco arrivano le signore.
Le signore sono vecchie amiche bisognose di conforto. Un
caffè, a volte un cognac, tanto per continuare la nottata, che,
neanche a dirlo, è molto lunga. Le signore sono la Petra, la
Vanna, la Simona. Brave donne, dico io, ma è solo il mio
piccolo punto di vista…
Quella sera ce n’è una nuova. Si chiama Elisa, o
Elisabetta, non ricordo, ed è davvero qualcosa di speciale.
Non giovanissima, ma neanche tardona come le altre. È
arrivata da poco, ma questo non vuol dire che sia nuova alle
arti dell’amore.
Elisa se ne sta in disparte, mentre le altre ordinano da bere.
Si guarda attorno ed io le cerco lo sguardo, distraendomi dal
gioco. Non capisco ancora se è preda o cacciatrice,
comunque sembra notarmi. L’avessi mai fatto… Un attimo
dopo la vedo avvicinarsi al tavolo da gioco.
«Buonasera signori…» l’approccio è di sicuro quello di
una cacciatrice. Noi ricambiamo il saluto, cortesemente,
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timidamente, nervosamente. Le donne sono troppo più
avanti di noi uomini!
Il Tibia è un rinomato puttaniere. Negli occhi gli leggo
l’interesse, la voglia di scoprire il nuovo. Si sporge subito
verso la dama, se ne esce con un paio di battute stupide, lei
gli da confidenza, lo lusinga, ci gioca.
«Lo conoscete il gioco del re e della regina?» ci domanda
ad un tratto. Lei non aspetta neanche la nostra risposta e
afferra il mazzo di carte.
«Mai sentito…» borbotta Nello, che secondo me è gay.
«Ce lo spieghi tu?» le chiede di rimando il Tibia.
«Certo caro. Io faccio la regina, va bene? Tu sarai il mio
re…» una gatta in calore non avrebbe saputo fare fusa
migliori.
«Allora, io mischio le carte, poi tu ne peschi una. Se trovi
un re, andiamo di là e ti faccio da regina» e indica il bagno
delle signore.
Noi ci guardiamo sorpresi. Il Tibia trasuda euforia.
«E se pesco un’altra carta?» domanda lui.
«Allora mi paghi il caffè. Siamo d’accordo?»
E così la roulette ebbe inizio.
Lei mischiava le carte come un biscazziere. La cosa
m’impressionò molto. Il Tibia non sembrò farci caso. Le
guardava le cosce e il corsetto. Poi spezzò il mazzo, delineò
un arco con una metà, e la ripose sopra quell’altra, davanti
alla faccia inebetita del mio amico.
«Pesca!» gli ordinò.
E lui pescò un re di fiori. Che culo, pensammo, e
continuammo a pensarlo per un bel po’, mentre si alzava dal
tavolo insieme alla tipa, mentre ne se andavano di pedina
verso il bagno delle signore, mentre si facevano nei nostri
cervelli una megacavalcata sopra il lavandino.
Ma poi accadde qualcosa. Passavano i minuti e non usciva
nessuno. Le altre donne se ne erano già andate, i videopoker
erano spenti e spenta era anche la televisione. Aldo aveva
già abbassato per metà il bandone.
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«Che cavolo succede?» chiede Fantomas.
«Andiamo a dare un’occhiata…» propone Nello, che è gay
o forse guardone..
«Vedrai che si stanno divertendo» dico io, ma qualcosa
non mi torna. È mezz’ora che sono chiusi là dentro, e il
Tibia non dura mai più di dieci minuti.
Spieghiamo la situazione ad Aldo. Aldo, placido come un
bonomo, se ne rimane sul marciapiede a fumarsi la sua
ennesima senza filtro.
A questo punto mi avvicino alla porta del bagno. Busso
leggermente. Poi dico: «Oh, avete finito?»
Niente. Nessuno risponde.
Allora busso più forte, macché. Silenzio. Ma se restano
zitti vuol dire che non stanno nemmeno trombando, mi dico.
Vuoi vedere che è successo qualcosa. Provo ad aprire la
porta ma è chiusa dall’interno. Cavolo, penso. Allora
chiamo i due stronzi dietro di me, due facce da culo che non
vi dico. Li spiego la situazione e vanno a chiamare Aldo,
che sopraggiunge con un piede di porco. Un minuto dopo
siamo dentro il bagno delle donne, ma del nostro amico e
della fantomatica Elisa neanche l’ombra. Spariti!
«Per me siete tutti e tre ubriachi!» conclude Aldo tirandosi
dietro il bandone. Poteva anche aver ragione, perché di
bicchierini ne erano passati quella sera, ma nessuno di noi
tre aveva perso di vista per un secondo la porta del bagno, e
quei due non potevano avercela fatta sotto il naso.
Comunque ce ne andiamo tutti quanti a casa, perplessi e
anche un po’ preoccupati.
La conferma l’avemmo il giorno seguente. Nessuno
sapeva più dove si trovasse il povero Tibia. A casa non era
tornato, e sua sorella, la Marcella, non aveva idea di dove
fosse. Io andai a cercare le signore per chiedere qualche
informazione su questa Elisa, ma loro non se la ricordavano
neanche. Mai vista!
La sera dopo noi ci ritrovammo al solito tavolo.
Raccontammo la storia al Cossu che ci prese per pazzi. Poi
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qualcuno propose una briscola, che tanto eravamo solo in
quattro. Iniziammo, ma c’era qualcosa che non andava con
le carte. Erano proprio quelle della sera prima. Dopo averle
smistate, ne rimaneva una fuori. Così mi misi a contarle.
Una, due, tre, trent’otto, trentanove, quaranta, quarantuno…
«Che cazzo vuol dire!» esclamai.
Le ricontai altre due volte, ma erano sempre una in più.
«Puttana!» mormorai io a denti stretti. E cercai il re di fiori
nel mazzo. Ne trovai due. Due maledetti re di fiori.
Povero Tibia!
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IL PRETE
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è come un paese. Ci si conosce tutti, e tutti sanno tutto di
tutti, ma fanno tutti finta di non sapere una cavolo!
Ciononostante i segreti esistono, perché vedete ci sono due
tipi di segreti, quelli che tutti sanno e quelli che nessuno
conosce.
Il prete veniva al bar, di solito la domenica dopo la messa.
Chissà se il vinello gli serviva per la gola secca del dopo
sermone, o per convincersi di non aver appena proferito un
sacco di stupidaggini. A me piace pensare che il vino abbia
molti perché, e non è necessario che il bevitore li conosca
tutti quanti!
Quel giorno era agitato e l’ora stava diventando tarda.
C’era stato un funerale al mattino, la povera signora Clara,
una bella donna sulla cinquantina con due figli grandi e un
marito impiegato alle poste. Se l’era portata via quello
stramaledetto cancro…
«Padre, tutto a posto?» gli chiesi avvicinandomi al banco.
Ordinai un corretto a stravecchio.
«Si, grazie…» ma i suoi occhi erano lucidi, le mani gli
tremavano e dalla bocca fuoriuscivano zaffate di vino.
«Perché non viene al tavolo, facciamo due chiacchiere?»
Lui non provò neanche a rifiutare per cortesia. Si aggrappò
alla mia offerta come un naufrago al salvagente.
«Che le succede Padre? Qualcosa che non va?» Ai tavolini
di plastica del bar eravamo solo noi due. Un confessionale
non poteva essere più riservato.
«Gano, quant’è che ci conosciamo?»
«Non saprei… mi ha visto nascere, Padre.»
«Perché non sei mai venuto in chiesa?»
«Cos’è, una paternale?»
«No, ma che dici… sono solo curioso….»
«Beh Padre, Gesù ha il suo stile, non ne dubito, ma il resto
sono solo… come dire…»
«Stronzate?»
Fa uno strano effetto vedere quella parola in bocca ad un
prete! Ma io annuii, perché aveva centrato il punto.
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«Non ti stupire Gano, povero diavolo… Anch’io troppo
spesso dubito di quello di cui non dovrei mai dubitare…»
«Crisi di fede?»
«Sempre Gano! Sempre. È ciò che mi fa andare avanti. Il
dubbio… ma non è questo il motivo dei miei cinque
cicchetti…»
« E allora?»
«Clara….»
«No!»
«Eh già…»
«Non vorrà dirmi…?»
«Io non ho detto niente, figliolo…»
Ecco, questi sono i segreti-segreti, quelli che non si
possono neanche raccontare. Bisogna intuirli, bisogna fare
finta di averli capiti, per poi riuscire con naturalezza ad
ammettere di averli fraintesi. Sono i segreti non detti, mai
svelati, verità fantasma che aleggiano sopra i bar di
periferia.
«Ne prende un altro, Padre?»
«Solo se mi fai compagnia, Gano…»
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LA MOGLIE DEL TRIPPA
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sua pandina verde pisello. Il cruscotto è un campo da
battaglia disseminato di pacchetti di sigarette accartocciati,
tagliandi di parcheggi e contravvenzioni. Il portacenere è
così pieno di filtri di muratti che sembra sul punto di
esplodere. Tenero vecchio Fantomas, chissà qual’è il tuo
vero nome, penso.
La scatoletta sfreccia nel traffico cittadino di un balordo
venerdì di pioggia. Le sospensioni sono un mero optional
del gioiello Fiat. Ci vogliono almeno venti minuti e un
centinaio di moccoli per raggiungere casa del Trippa. Anche
di lui non mi ricordo il vero nome.
Avrete già capito che il Trippa non è un tipo molto agile. I
centoventi chili li ha superati da un bel po’, e m’immagino
il macello che potrebbe causare sull’asfalto, nel caso
decidesse di farla davvero finita. Aggrappato alla grondaia
all’altezza del quinto piano, in un palazzo decadente della
periferia cittadina, il Trippa piange ed è uno spettacolo per
stomaci forti. Ecco perché io sono lì.
Sotto i pompieri fumano e discutono la strategia. Ma che
strategia e strategia, penso io.
«Portatemi da lui, lo conosco. Fatemi parlare cinque
minuti» li dico. Loro continuano a fumare, incominciano a
parlare di regole, ma alla fine si convincono da soli che
l’idea è buona, specialmente per loro che non devono
sporcarsi le mani.
Monto nella gabbia del braccio meccanico e incomincio a
salire. Le vertigini sono un nemico di vecchia data, che
all’imbrunire si dissipa come molte altre paure, grazie a
numerosi corretti cognac e grappini vari. Il Trippa mi
guarda e incomincia a gridare come un matto. «Gano,
lasciami stare! Voglio farla finita…. Quella troia!»
“Trippa, se volevi farla davvero finita ti eri già buttato”
penso io, ma non glielo dico perché se qualcuno mi sente e
poi il fesso si butta, danno la colpa a me.
La gabbia si ferma ad un paio di metri dal vecchio
grassone. Ci sono cose nella vita che non si possono
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spiegare; le donne, ad esempio, oppure il senso dei quiz
televisivi, o la differenza tra un cappuccino senza schiuma e
un caffellatte. Ma che quella vecchia grondaia arrugginita
potesse reggere il peso del Trippa superava ogni regola
dell’universo.
« Dai, falla finita e vieni giù!»
«Ci vengo giù, stai sicuro Gano…»
«Ma no, non intendevo quello. Dai, parliamone…»
«Che cacchio vuoi parlare… quella troia! Lo sapevi che
c’aveva un altro?» Boia, le vertigini! Mi aggrappo alla
gabbia smaniando un goccetto.
«Ma chi, tua moglie?»
«E chi sennò?»
«Boh… la tua ganza, che cazzo ne so io…»
«Ganza? Ma vai in culo, Gano. Guarda che mi butto per
davvero!»
«No, fermo… insomma, ma non è stata lei a lasciarti?
Spiegami.» Le vertigini passano. Respiro e cerco di fare il
punto della situazione. Molto meglio….
«È andata da lui.» Il Trippa che piange è quasi peggio
delle vertigini.
«Lui chi?»
«Un ingegnere di Pavia, che cacchio ne so io…»
«Guarda che culo che hai avuto!»
«Come?»
«S’è portata dietro il figliolo?»
«Si…»
«E allora posto. Stasera veniamo io e il Fantomas a casa
tua e ti portiamo anche la Petra. La conosci la Petra, no?»
«Si…» L’omo va distratto con le sue cose. Appena
nominata la Petra, il Trippa smette di piangere…
«Si porta un po’ di vinello, ci guardiamo un film e poi vi
lasciamo soli, che ne dici?»
«Ma io…» la coscienza è una brutta bestia, mentre
l’amore è una favola raccontata male.
«Ma cosa ti credevi, che eri l’unico uomo per lei?»
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«Ma veramente…»
«Guarda, con tutta sincerità, tua moglie è una brava donna,
belloccia, e poi a letto ci sa fare, però…»
«Che cazzo stai dicendo? Ci sei stato anche te?»
«Appunto, proprio quello che ti stavo per dire… un brava
donna, ma un po’ troia…»
«Ma io t’ammaz…» mi urla, e si sgancia dalla grondaia,
ed io mi sporgo come un matto dalla gabbia, lo spingo
indietro sul cornicione, lui si riaggrappa come una scimmia
al tubo di ferro e ci guardiamo un po’ negli occhi. Come ci
starebbe bene un grappino, penso.
«Hai finito di fare il cretino?» gli domando.
Ha il volto stravolto. Per un momento ha visto la morte in
faccia, un prezzo troppo caro da pagare per qualsiasi
sgualdrina, e soprattutto per una moglie.
«Va bene Gano. Vengo giù!»
La vita non è stronza. Sei stronzo tu se ti fai fregare!
Quella sera fu una bellezza. Il Trippa sembrava
ringiovanito di dieci anni, tirato a lucido con la brillantina e
le bretelle rosse. La Petra ci costò il doppio ma ne valse la
pena. Quella notte, almeno per una volta nella sua vita, il
Trippa era diventato il Tromba.
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LA LEGGENDA DEL BRISCOLONE
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plastica, il Don Perignon, la barca in Sardegna. Li ho
conosciuti io sai, al casinò. Vanno tutti alla roulette a
puntare due fiches, per farsi notare e basta. A San Remo nel
’98 io ci lasciai mezzo miliardo al tavolo del poker, capito
Nini? -
- Oh, ancora con la storia di San Remo? Basta, dai. -
Il traffico era quello del venerdì, che malgrado fosse
ancora primo pomeriggio c’erano già le code dei rientri.
L’ignoranza del popolino si manifesta in tutto il suo
splendore tra gli scarichi delle marmitte e i semafori rossi.
L’omicidio diventa un’ottima soluzione ai problemi
dell’uomo medio. Ma i nostri due eroi erano in largo
anticipo per l’appuntamento che li aspettava, così
procedevano a singhiozzo su una vecchia uno verde, calmi
come due oranghi sedati, marlboro light per Pelo e
toscanello per Rocco.
- Menomale abbiamo fissato per le quattro, con questo
traffico c’è da diventar matti! -
- Poi non ti credere, di sicuro Panfilo si farà aspettare… -
Panfilo era il terzo in comodo, compagno di avventure ma
defilato, perché lui c’aveva l’azienda e la ganza, e quindi
non c’era praticamente mai. Ma quando c’era ai due era
permesso di fare un salto dal greco, che imbastiva il
briscolone con puntate più che dignitose. Panfilo assicurava
Pelo, che dopo il fattaccio di un pagherò saltato era stato
bandito dalla bisca, e prendeva un buon venti percento delle
vincite, se c’erano. Ma con Rocco e Pelo al tavolo della
briscola non c’era scampo per nessuno.
Arrivarono davanti alla casa del popolo alle quattro meno
dieci, e dovettero aspettare quasi mezz’ora prima di vedere
sopraggiungere un omone col piumino e il berretto.
- Guardalo come sta con quel giubbotto, come se fosse
freddo… -
- È sempre stato così Panfilo. Anche d’agosto con 40 gradi
indossa camicia e gilet. -
- Oh ragazzi, che siete già qui? -
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- No, ora s’arriva… -
- Non fare lo spiritoso te, che se non fosse per quel
bischero del sottoscritto col cavolo sederesti al tavolo del
greco. -
- Boni ragazzi, boni… -
Entrarono insieme al circolino e ordinarono tre sambuche
con quattro mosche. Quattro era il numero che apriva la
porta della stanza del greco, quella dietro la dispensa,
allestita con tre tavoli professionali da gioco. Non avevano
ancora finito il caffè che una ragazza bionda molto fuori
luogo apparve dietro il banco accanto al vecchio barman, e
li invitò a seguirla. Passarono per uno stretto corridoio
illuminato da una trappola per zanzare, scavalcarono alcuni
fusti di vino e cocacola, attraversarono una tenda di ciniglia
verde vomito, e giunsero infine davanti a una porta chiusa.
La ragazza aveva la chiave e fece scattare la serratura.
- Belle cosce! -
- Eh già! -
Ma la ragazza non si girò neanche a guardare i due
commentatori, ovviamente Rocco e Pelo. Aprì la porta e una
zaffata di fumo li investì.
- Aria di casa mia… -
- Parla per te, Pelo. -
- Ah, perdonami Panfilo, dimenticavo che hai smesso di
fumare da… quanti giorni? Tre? -
- Boniiiii… -
Il tavolo era già imbandito. La luce puntava il mazzo di
carte Del Negro e il portacenere mezzo pieno, sopra una
pratino verde con qualche bruciatura di cicca. Il greco
sedeva defilato al tavolo di destra, con una vecchia romagna
in mano e una senza filtro in bocca. Lui riscuoteva subito.
La bionda era la sua compagna ma fungeva anche da
soubrette e da cameriera. Il costo delle consumazioni subiva
un leggero rialzo ai tavoli del greco, qualcosa tipo un caffè
quattro euro e dieci pezzo per i superalcolici. Ma questo era
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accettato da tutti i frequentatori. D’altra parte se volevi
puntare grosso non c’era che lui in città.
Ma adesso parliamo degli avversari dei nostri due eroi,
una coppia di tutto rispetto. In piazza erano conosciuti coi
nomi di Checco e Occhiolino, il primo perché sicuramente
faceva di nome Francesco, il secondo per la sua reputazione
di grande segnalatore di briscola. L’occhio più veloce
dell’Appennino, alcuni dicevano. Non c’era verso di
sorprenderlo da quanto era veloce, ma Pelo quella storia
l’aveva sempre snobbata; “ma quali segni… non penserete
che usino i segni classici, non lo fa nessuno ormai. Ti fanno
solo credere di stare al gioco, ma in realtà sono due figli di
buona donna, ecco tutto!”
Rocco invece era più umile e riconosceva il valore dei due
avversari. Li aspettava una grande sfida, ma il piatto era un
signor piatto, e poi c’era il discorso del prestigio, al quale
Rocco e Pelo tenevano senz’altro di più. Quella sarebbe
stata la giocata che avrebbe proclamato la coppia campione.
- Siete pronti per un bella risolata? -
- Che canti già vittoria Pelo? -
- Beh, con due morti come voi, anche a occhi chiusi… -
- Non incominciare a offendere, eh! -
- E chi offende… -
- Bono Pelo, dai. Tu ci tiri addosso il malaugurio… -
E così incominciò, e le carte girarono per ore su quel
tavolo verde. Panfilo rimase a bere e chiacchierare con il
greco, la bionda fece un paio di su e giù coi bicchieri, e il
fumo divenne più denso che mai. Non venne nessun altro
quel giorno. La sala da gioco era tutta per loro. Diecimila
euro di piatto e una tirata assicurata fino al mattino. Alle
otto il greco se ne andò a cena con la sua bionda e un
giovane tunisino gli dette il cambio. Anche Panfilo se ne
tornò a casa, ma i giocatori si accorsero appena di questi
eventi.
Le carte giravano, perché come girano loro girano solo i
coglioni in quelle giornate no, specialmente d’inverno
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quando lo scaldabagno non ti funziona e ti è finita la scorta
di Lavazza. Fino a mezzanotte i nostri due eroi potevano
dirsi in vantaggio, ma insieme alla stanchezza subentrò
anche quella bastarda della signora sfortuna. Le carte
avevano smesso di girare ed erano solo dalla parte di
Checco e Occhiolino. Pelo schiumava, e non solo per colpa
della decima sambuca. Rocco si puntellava sui gomiti, col
toscanello che gli penzolava dalle labbra.
- Ragazzi, ma non provate un po’ di vergogna per il culo
che vi ritrovate? -
- Le carte girano, Pelo… -
- Girano un paio di palle Checco! Son cinque mani che
non ci entra una briscola decente! -
- Ma smettetela di lamentarvi! Fino a due ore fa c’avevate
le carte migliori voi! -
Ma quando si sfora una certa ora, tipo le tre o le quattro di
notte (o per alcuni del mattino) la realtà incomincia a
perdere consistenza, e se la storia diventa mito nessuno se
ne accorge. Dovete sapere infatti che al bar questo grande
briscolone è diventato col tempo una specie di cantata epica,
e ognuno c’ha il suo modo di raccontarla. Perché, prima di
tutto, e ve lo dico subito così vi metto l’anima in pace,
nessuno ne uscì vincitore. Poi dei nostri quattro giocatori
solamente il povero Rocco, pace all’anima sua se ne andato
tre mesi fa, cancro bastardo, ha avuto il coraggio di
raccontare qualcosa. Gli altri si sono tutti chiusi in un
silenzio imbarazzato, tipico da dopo sbornia, e hanno
smesso di giocare a briscola e di frequentare il locale del
greco.
Per quello che ci è dato di sapere sembrerebbe che verso
l’alba le due coppie si trovavano nuovamente in parità, e
mentre si avvicinava l’ora che avrebbe decretato la fine
delle ostilità, ovvero le sette del mattino, i punti che
separavano le due squadre continuavano ad assottigliarsi.
Allo scoccare delle sette precise, mentre il tunisino se la
dormiva della grossa e le bottiglie di vecchia romagna e di
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sambuca sul tavolo verde erano più morte del mio povero
nonno, i punti di Rocco e Pepe erano esattamente gli stessi
di quelli di Checco e Occhiolino. Cioè, per spiegarmi in
parole spicce, soprattutto per i meno esperti di briscola, si
era verificata una situazione di parità assoluta che neanche
nella peggiore casistica ci si poteva aspettare.
- E adesso cosa si fa? -
- Come cosa si fa? La bella si fa! -
- Vuoi dire una secca? -
- Per forza! -
E così tornarono a girare le carte sul tavolo. Una partita
meravigliosa, trascinata dagli ultimi residui alcolici nei
corpi dei quattro eroi. Ma che burla del destino quando
andarono a contare le carte e si accorsero di un’altra
incredibile parità: sessanta a sessanta.
- Maremma impestata! -
- Questo tavolo dev’essere stregato! -
A quel punto la storia si fa confusa, o almeno è quello che
ci è dato di sapere. C’erano delle voci nella stanza, e le luci
sui tavoli sembravano si fossero smorzate da sole. Entrò la
donna del greco vestita da regina di picche, con dietro il
greco in persona, ma non era proprio lui. Era il re di picche,
ovviamente, vestito col mantello pellicciato e la corona
pacchiana. Insomma, lei si avviò al tavolo di gioco e si
distese supina con la testa indietro rivolta a Pelo.
- Come va la partita, ragazzi? -
Subito dietro di lei c’era il re, cioè il greco, che con gli
occhi lucidi come fondi di bottiglia dichiarò: – Signori, è
arrivata l’ora di levarsi dai coglioni! -
Poi tirò su la gonna della regina e incominciò a fare i suoi
comodi davanti a tutti, con un ghigno spaventoso sotto due
baffi da greco. Il greco c’aveva i baffi, mi ero dimenticato di
dirvelo…
Col vecchio su e giù la bionda di picche iniziò a cantare
l’Aida, salendo di ottave insieme al movimento del re. I
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quattro giocatori restarono immobili con le sigarette in
bocca e le carte in mano (toscanello per Rocco, s’intende.)
- Vai, vai, vai… -
- E vadoooooooooo! -
Più stralunati che imbarazzati per quell’assurda situazione,
i quattro si guardarono negli occhi e insieme proposero la
patta.
- Che si finisce qui? -
E così sembra infatti che sia finita. Ognuno riprese la sua
parte della posta in gioco e ritornò a casa, rimuginando bene
sull’accaduto. Sogno o realtà? Verità o delirio?
Beh, vedete, quando alcuni personaggi di grossa caratura
come quelli di cui vi ho appena narrato le vicissitudini
vengono coinvolti in situazioni estreme, la realtà
automaticamente viene alterata, distorta e amplificata.
Colpa dell’alcol, del fumo e della stanchezza? Ma certo,
siete liberissimi di pensarla così. D’altronde è più facile
accettare una spiegazione razionale. Ma il mito e la
leggenda si reggono sempre su delle solide fondamenta di
verità.
Il re e la regina di picche cavalcarono il tavolo verde,
decretando la fine del gioco, suggellando una parità fuori
dalla norma. Da quel giorno tutti e quattro smisero di
giocare a briscola, ma li potevi vedere insieme alla casa del
popolo al tavolo del ramino, a ridere, scherzare e bere
sambuca.
Ma se qualcuno tirava fuori in loro presenza la leggenda
del briscolone, quelli lo guardavano storto e se ne andavano.
Perché le leggende, specialmente quelle da bar, bisogna
saperle tramandare in segreto, farle aleggiare sopra il banco
delle paste e i tavolini di plastica. Bisogna prendersi cura di
loro.
Io, nel mio piccolo, spero di esserci riuscito con questo
breve racconto.
37
MASTRO LINDO
38
Esistono le forze della natura e le forze da bar. Mastro
Lindo era una forza da bar, uno tsunami di buoni propositi e
sorrisi gentili. Ti prendeva il braccio e a volte ti stringeva un
po’ forte, ma anche quando ti faceva male era un piacere,
perché ti sentivi al sicuro vicino a lui. Era più alto di quanto
sembrasse, perché se ne stava un po’ gobbo. Di sicuro
toccava il metro e novantacinque. Teneva la zucca pelata in
bella mostra e i neon del bar vi si riflettevano sopra come
sulle palle da biliardo. Sulla pelle tirata spiccavano un paio
di fitte, reminiscenze di alcune ferite da curva. Il calcio era
una delle sue fisse.
«Insomma Ciccio, che cosa c’hai? Non ti ho mai visto
così…»
Perché non mi faccio mai vedere così, pensai io. Gano al
bar ci va quando è di buon umore. Le “giornate no” le passo
sotto le coperte ad osservare il soffitto e a stringermi le
trippe. Ma oggi è successo tutto così d’improvviso, tutto
così dannatamente di botto…
«Che ti devo dire Mastro, è la vita. A volte fa proprio
schifo…»
«Ma no dai! Là fuori forse, ma qui dentro si sta d’incanto.
Guarda che vestitino si è messa la Giorgia oggi…»
Si, la Giorgia stava divinamente con quel vestitino a fiori e
i capelli tirati su. E fuori effettivamente era tutto una merda,
e starsene ai tavolini di plastica, cullato dal brusio del bar e
dall’ennesimo aperitivo, era come sedere alla corte di Giove
circondato dalle ninfette. Però…
«Si, c’hai ragione, ma oggi è una di quelle giornate, sai…»
«Dai Ciccio, che te ne frega! Pensi davvero che potrebbe
andare meglio di così? Pensi che una moglie, dei figli, una
casa col giardino possano farti sentire meglio di come ti
senti adesso, su queste seggiole da quattro soldi? Pensi che
il grano ti possa risolvere tutto? O le Mauritius? O che ne
so… No, Ciccio, non farti fregare. Se le cose andassero
meglio non te accorgeresti neanche, ma lo avvertiresti
39
subito se andassero peggio. Perché le cose possono sempre
andare peggio, non pensi?»
Aveva centrato il punto, e lo sapevo perché erano
esattamente le frasi che dispensavo io alla gente del bar.
Grande Mastro Lindo, ce l’hai fatta, pensai. Hai detto
proprio quello che volevo sentire. Beviamoci su…
E così rimanemmo a bere fino all’ora del TG.
È passato mezz’anno da quando la cirrosi si è portata via il
vecchio Mastro. A volte gli occhi mi diventano umidi senza
che me ne accorga. Ripenso alla sua testa pelata, al suo
sorriso e a quegli occhi celesti e giusti. Alla sua anima, che
adesso vaga solitaria nell’etere del bar, sopra le fettine di
limone adagiate dentro i bicchieri del campari soda. Al suo
“Ciccio”, che metteva allegria. Alla sua postura, piegata
dall’altezza ma non dalla vita…
Penso a tutto ciò ed è come se fosse ancora qui…
…e forse è qui per davvero.
40
NATALE AL BAR
41
corretto e incomincio il giro. Fantomas col cappuccino e la
Gazzetta, il Lalli spaparanzato con la Repubblica,
Giulianino appoggiato al frigo dei gelati con gli occhi persi
su una foto della Ventura in mezzo al Venerdì (sempre
quello della Repubblica, il giornale dei finti comunisti), e
poi c’è il Mignozzi col telefonino in mano a messaggiare
alla ganza, tutti in posizione come se fosse un giorno
normale, ignari delle palline colorate e delle lucine
disseminate per il bar.
«Buon Natale , ragazzi…» saluto io. Nessuno si muove.
Tutti fanno finta di nulla, ma è ordinaria amministrazione.
Bisogna aspettare perché la gente del bar c’ha i suoi tempi.
In ritardo, ma una reazione arriva sempre.
«Oh Gano, anche oggi qui a rompere i coglioni?»
domanda il Lalli da dietro il giornale. Avrete già capito che
personaggio è questo Lalli. Parlarne in maniera più
dettagliata sarebbe come sparare alla croce rossa. Il Lalli è
semplicemente il Lalli, una grande faccia di culo….
«Che fanno i tuoi amici DS quest’anno? Tortellini in
brodo e lenticchie a fine anno?» rispondo io, graffiando il
suo cuoricino rosso bandiera.
«L’ho sempre saputo io che il Gano è un fascistone» dice
lui di rimando. Ma in verità a me la politica non ha mai
detto niente. Destra e sinistra, alla fine mi sembrano tutti
uguali, specialmente in quest’ultimi tempi. A me
interessano concetti più semplici, diciamo pure basilari, che
alla fine son solo due; il bel mangiare e lo stare in
compagnia, cose che tra l’altro si fanno bene insieme, ed è
proprio per questo motivo che propongo un bel pranzo dal
Freddy…
«Quando, domani?» chiede Fantomas, ripiegando la
Gazzetta.
«Si fa il pranzo di Natale; bollito misto, tortelli e vinello…
Che ne dite?» rilancio io.
42
Il Mignozzi se ne esce fuori con una “’sta stronza!”, e
rimette in tasca il cellulare. «Io ci sono» aggiunge, poi
guadagna l’uscita per accendersi una sigaretta.
«Vai, ci sono anch’io» conferma Giuliano, sfogliando le
cosce della Simona.
«E tu Lalli, cosa ne dici?» lo provoco, perché so che
vorrebbe dirmi di no per farmi uno spregio, ma questo
significherebbe passare il Natale da solo.
«Ma, ora ci penso…» risponde lui, ed io so già che dovrò
chiamare il Freddy e prenotare per cinque.
«Bene, a posto allora» dico io, poi me ne vado a farmi il
primo cicchetto.
È incominciata la vigilia. I santi zampettano un cha-cha-
cha nei cieli, il vecchio Santa ritira l’assegno dalla
Cocacola, gli elfetti se lo menano tra di loro, Gesù fa finta
di rinascere anche se non è il suo giorno, i bimbi aprono
milioni di regali inutili e l’economia continua a macinare
carne umana.
Però le palline colorate e le lucine mettono tanta gioia, non
trovate anche voi?
«Giorgia, fammene uno…»
«Arrivo Gano!»
43
LA FACCENDA DELLA STIRERIA
44
quello che dicano le malelingue. La ragazza (o ragazzo,
chiamatela come volete) mi fece lo sconto perché tra tutti
ero quello belloccio, e qui c’è testimone il Testa (si potrebbe
fare anche la battuta, Testa il Testimone). La stireria
appartiene al cugino della tipa, brasiliano pure lui. Lei (o
lui) ha il doppione delle chiavi e quando c’ha più di un
cliente per volta ne approfitta, butta un paio di cenci per
terra e fa i suoi comodi. Quella sera eravamo in quattro,
come di certo saprete ormai tutti; il Testa, Pelo, il Conte e
quel bischero del Gano. Alla ragazza va benissimo, però ne
vuole solo uno alla volta e senza interferenze, ma a una
sbirciatina è difficile resistere. Il primo è il Pelo che dura tre
cacate. Il tempo di farsi un giretto ed è già tutto finito,
avanti il prossimo. Il Testa è quello più imbarazzato, ma la
tipa ci sa fare e lo mette subito a suo agio. Anche per lui è
questione di cinque minuti, non di più. Poi tocca al Conte, il
Signor Pisello, come gli piace farsi chiamare. E vi giuro che
se non la smette di rivangare con questa storia finisce
male…
Insomma, si diceva del Conte, tutto impettito si avvicina al
brasiliano, che a quell’ora tarda e con tutta la roba che si era
bevuto non era davvero male, e incomincia il vecchio su e
giù. Passano i minuti ma è sempre lì. Noi lo osserviamo
dall’uscio senza farci vedere. Dopo un po’ si va fuori a
fumarci una sigaretta, perché comunque lo spettacolo non è
un granché.
Finita la cicca eccolo che appare. “Vai, è il tuo turno
Gano! Sistemalo per feste!” Ma io rimango un signore
anche coi travestiti, perché tutti c’hanno un anima, troppo
spesso rinchiusa contro il suo volere dentro dei maledetti
gusci di carne.
In parole spicce mi avvicino al tipo con dolcezza e inizio a
fare quello per cui l’ho pagato, tutto regolare, il vecchio
spingi-spingi. Ma proprio sul più bello, STAC! la maledetta
schiena. Perché io da quando ero ragazzo c’ho un problema
grosso alla giuntura tra quarta e la quinta vertebra lombare,
45
che son cascato male quando giocavo in porta… Da quel
giorno ogni volta che mi piego o faccio un sforzo in una
posizione sbagliata, devo stare attento altrimenti rimango
bloccato.
Insomma, lo STAC di cui vi dicevo precede questa mia
mezza paralisi che mi lascia piegato in due come un uscio, a
smadonnare contro il cielo e tutti i suoi angiolacci. Il
ragazzo, con quel suo fare effeminato, si mostra subito
preoccupato, mi dice di stare tranquillo che in Brasile lui
faceva i massaggi e ne sa qualcosa. Incomincia a toccarmi
laggiù sotto la vertebra e devo ammettere che ci sapeva fare.
“Bisogna scaldare un po’ il punto…”sussurra, ed io
continuo a smoccolare sottovoce. Un dolore che non vi sto a
descrivere…
“Adesso fermo, ok?” E chi si move, penso io… Lui si
mette dietro. Ovviamente siamo ancora tutti e due ignudi,
mica ci si poteva rivestire nel frattempo. Mi prende da sotto
le ascelle e con un colpo deciso mi risolleva dritto. In quel
mentre sento le risate venire dalla porta della stireria.
Maremma budella, vuoi vedere che quelli imbecilli hanno
frainteso tutto, penso. E per tutta la notte non c’è stato verso
di convincerli del contrario.
Ecco, questa è la storia. Se ci credete, amici come prima.
Faccio finta che le cattiverie sul mio conto non siano mai
esistite e si va avanti così. Ma se qualcuno dovesse
continuare a pensare che al Gano gli piace prenderlo in culo,
incominci a dormire con la luce accesa, perché quando
arrivo, arrivo di sorpresa e non ce n’è per nessuno.
Intesi?
46
LA FILOSOFIA DEL CALCIO
SECONDO IL CARRAI
47
caffè o il grappino, oppure erano fuori a fumarsi la sigaretta
o a chiamare la moglie o la ganza o che so io… Così presi
posto accanto a lui e gli chiesi subito com’era la partita, non
perché m’importasse qualcosa ma per capire un po’ che tipo
era questo misterioso Carrai, che a parte il buongiorno e
buonasera non parlava mai con nessuno. Lui continuò a
fissare la TV, mentre passavano la reclame di un auto che
prometteva miracoli e prestigi di un mondo schiavo del
consumo, e per un attimo mi chiesi se non fosse un po’
sordo.
- Non c’è male – disse di colpo, e mi sorrise, o così mi
pareva perché ancora rimaneva girato.
- Chi vince? – replicai io.
- Pareggiano, uno a uno. Tutte e due le squadre stanno
facendo un buon gioco, e non hanno paura di rischiare.
Potrebbe venir fuori un bel secondo tempo – rispose lui,
continuando a guardare lo schermo, e poteva averci le sue
ragioni dato che in quel momento una bella figliola, dopo
essersi spruzzata di deodorante, se ne sculettava via lontano
dalla cinepresa.
- Sai, io non ci capisco molto di calcio… – cercai di
giustificarmi.
- Il calcio è l’unica cosa vera che ci è rimasto.
- Che vuoi dire?
- Il calcio, per dire lo sport in generale, è l’unico
spettacolo di cui ti puoi ancora un po’ fidare. Il resto invece
è tutto deciso a tavolino… – ripeté con convinzione il mio
amico, e questa volta si era girato per guardarmi in faccia.
- Vabbé, ma il mondo dello sport, specialmente quello del
calcio, è marcio fino al midollo – imputai io, sicuro della
mia posizione. Rimasi invece sorpreso da quello che quel
vecchiuccio tirò fuori.
- È vero, il mondo del calcio è pieno di gente orribile, ma
una volta che quei ventidue decerebrati incominciano a
correre come forsennati dietro un pallone, tutto ritorna in
mano al fato. E poi si sa, la palla è rotonda…
48
- Scusami sai, ma non credo di aver capito – ammisi io,
pensando che avrei avuto bisogno di un’altra sambuca.
- Il meccanismo del mondo del calcio fa schifo,
ovviamente. Il più ricco si costruisce la squadra migliore e,
molto spesso, vince i titoli. I tifosi sono dei debosciati che
arrivano ad ammazzarsi per uno sbaglio arbitrale. I giocatori
sono dei busti con le gambe ma privi di testa. I giornalisti
che commentano le partite sono assolutamente patetici.
Insomma, ce n’è per tutti i gusti. Ma c’è una cosa che è
irremovibile e cristallina, il risultato finale della partita.
Quello è e rimane. Nessuna televisione o testata
giornalistica potrà mai confutarlo. È quella la cosa bella del
calcio e dello sport in generale. Non tanto le classifiche, ma
il risultato dello scontro singolo. Perché può capitare a volte
che i campioni, ricchi e privilegiati, vengano strapazzati da
una squadretta da due soldi, e allora è lì che godo!
L’aveva vista lunga il mio amico Carrai. In effetti
oggigiorno quando prendi un giornale in mano non sai più a
chi credere. Politica, cronaca, arte, spettacolo, economia…
Apparentemente tutti sembrano dire una cosa diversa, ma se
poi scavi un po’ più in profondità ti accorgi che stanno tutti
dalla stessa parte, e alla fine non ci capisci più niente di
quello che davvero succede nel mondo. Poi arrivi alla
pagina dello sport, e finalmente puoi rifarti gli occhi. Non
con gli articoli, bada bene, ma coi i risultati. I risultati non
mentono. Son come la matematica, o la sambuca con la
mosca.
“Giorgia, versane un’altra vai!”
49
LA MANTIDE RELIGIOSA
50
portento della natura. Ecco, proprio quello arrivò sulla
strada di Romolo. Un portento.
Si chiamava Gigliola, trentadue anni, lo superava di tutta
testa, ma ci voleva poco. Bella si, ma non l’avrei toccata
neanche con una canna da pesca. Per quanto mi ritenga un
grande amatore e non faccia distinzione tra belle, brutte,
grasse e magre, ci sono delle donne alle quali non mi
avvicinerei neanche se me l’ordinasse il dottore. È una
questione di pelle, non so come dire… o forse è una
questione di aurea, come dicono quelli della new age.
Gigliola, bionda platinata con la zazzera sbarazzina, gli
occhioni verdi e la bocca piena di rossetto, un culo da
brividi e due gambe che non finivano più… ma le vibrazioni
cosmiche che emanava riuscivano a rattrappirti l’uccello.
Tant’è che appena la vidi glielo dissi al Cossu, che leggeva
la Gazzetta appoggiato al frigo dei gelati Algida: – Questa
non è una donna… è una mantide religiosa!
Ma il povero Romoletto le andava dietro come un
cagnolino in calore, un bassotto s’intende. La prima
settimana la collana di perle, la seconda la pelliccina, poi
l’anello col diamante… Ma a lei non bastava, voleva di più.
Voleva il trono.
C’erano tutti al bar la sera in cui Romoletto alzò la voce
contro la Simona. – Basta, non ne posso più. O firmi quelle
carte, o ti giuro che prendo l’avvocato più tosto della città e
ti faccio levare ogni cosa, anche la casa!
- Povero Romoletto, e pensare che ti ho voluto bene… –
rispose lei con un mezzo sorriso. Gli strappò le carte del
divorzio dalle mani e gliele firmò davanti a tutti. – Addio
nanetto! – e uscì di scena insieme a sui novantacinque chili
abbondanti.
Due mesi dopo ci ritrovammo tutti al matrimonio dei due
piccioncini, la festa più kitsch che abbia mai visto. Chissà
perché le donne senza stile son sempre quelle delle brutte
vibrazioni. C’è un senso che accomuna il tutto, fili invisibili
che uniscono le strade di certe persone allontanandole da
51
certe altre. Persone come la Gigliola è bene si tengano alla
larga da me…
Passò un anno e di Romoletto non si seppe più nulla. Al
bar non ci veniva più e per noi habitué se non venivi al bar
era come se tu non esistessi. Le voci però arrivarono, perché
quelle arrivano sempre…
- Hai sentito che è successo al Bertani? – La domanda
retorica era dell’ingegner Franceschini, che veniva tutte le
mattine a prendersi il caffè col budino di riso.
- No, è da una vita che non si vede… – risposi io, col mio
cicchetto delle nove meno un quarto.
- Quella lurida della sua moglie… non le bastava tutto
quello che aveva…
- In che senso? – chiesi io, sempre più curioso.
- Per accontentarla s’era messo a lavorare anche nel
weekend, tutte le sere fino alle dieci. Lo vidi un mese fa,
sembrava un fantasma. Ci credo che gli è venuto l’infarto,
pace all’anima sua!
- Ma cosa mi dice ingegnere? Romoletto… – ma non
riuscii a terminare la frase.
- I funerali sono domani, alle cappelle… -
Finì il suo caffè e se ne andò.
52
LE 101 PAROLE DI GANO
53
EMORROIDI
54
FULMINE
55
ALVARO
56
IL CAFFÈ
57
MARIA
58
LA PETRA
59
NICCO
60
LA PARTITA
61
L’AMICO
62
RANDAGIO
63
VAMPIRO UBRIACONE
64
PRIMAVERA
65
IL BOSCHETTO
66
I CAPEZZOLI DELLA VANDA
67
DAL FREDDY
68
LE POLITICHE
69
PROVACI ANCORA GANO
70
IL MARE
71
72
POESIE DI GANO
73
POMPINO
Rachele masticava
Arlengo, non sparare!
74
ODE AL VINO
75
GOTTO
Gotto e rigotto
M’imbratto, son cotto
Giammai come un fatto
Il vino mi sbatto
Aringhe da gatto
Formaggio da ratto
Gano è tranquillo
Versali un gotto
Al banco sto ritto
M’appoggio, l’ammetto
Puntello di petto
Dai piedi sorretto
Sorriso un po’ stretto
Ordino un gotto
Né Dante, né Giotto
Poeta bigotto
Ho il culo un po’ rotto
Ribevi! È il mio motto
Son Gano, son matto
Cantore distratto
Scrivo di getto
È solo un poemetto
Ho detto tutto
Finisco co’ un rutto
Alticcio di brutto
Sul letto mi butto
Son proprio distrutto.
Vi lascio ‘sto frutto
Parole di fiotto
Poema del gotto.
76
BAR
Neon polverosi
Piastrelle demodé
Il banco frigo
Le paste del giorno prima
Ravvivate un po’
Tramezzini con maionese antica
Biscottini di Prato
Lecca lecca
La TV è accesa
Ma nessuno la guarda
Stride il macinino del caffè
Sbuffa la lavabicchieri
Al banco c’è Bruno
Lo sguardo assente
L’ennesimo corretto a sambuca
Videogiochi
Ragazzini ai gelati
Sammontana Algida
Ghiaccioli senza marca
I migliori…
Gratta e vinci
Ma non si vince mai
Tabacchi
Nonostante i divieti
Entra la Robertina
Matta come la luna
Cianfrusaglie
Profetizza la fine del mondo
Tanto matta non è
Si beve il gotto di bianco
Urla un saluto e se ne va
Scatole di cioccolatini
Scadute
77
Hanno finito le pizzette
Vanno a ruba
Il Tommy ordina un camparino
Lo segue Guido con una Ceres
Poi arriva Dado
Negroni senza ghiaccio
Una zavorra sulla testa
Biglietti dell’autobus
Biglietti della lotteria
Schedine
Bruno è sempre lì
E chi lo muove!
Potrei scrivere fino a domani
Seduto a un tavolino
In disparte ma presente
Osservo
Sorrido
Ma lo stravecchio è già finito
Andrò a prenderne un altro
Poi si vedrà!
78
OH BIRRA… ORO CHE MI ANNEGHI
Gelida e schiumante
Volgare ed elegante
Mi faccio un’altra pinta
Son brillo, o faccio finta?
Salute!
79
SOLITARIO
L’ascesa è incominciata
Adesso chiudo gli occhi
Susanna, mia adorata
Solo per me ti tocchi
80
CULO
Panorama campestre
Sottana a frange
Il sole penzola rosso
Odore di rosmarino
Strada acciottolata
Gano sotto l’ulivo
Oggi la passo così
Lontano dalla città
Via da solito bar
“Signora, ha bisogno?”
La sottana si volta
Un sorriso assolato
Ha le mani impegnate
Buste della spesa
“No, si figuri…
…ma grazie lo stesso.”
Riprende il cammino
Lei e il suo didietro
La guardo avviarsi
È una poesia
Un fine quadretto
“Culo perfetto…
…portami via!”
81
ESTATE AL BAR
Asfalto rovente
Sole raggiante
Ventre pesante
Al mare la gente
Arietta leggera
Aperta è la porta
TV resta morta
E attendo la sera
La radio trasmette
Canzoni d’estate
E dalle vetrate
Sfilan du’ tette
Priscilla si chiama
La credevo in vacanza
Oh brutta stronza
Chissà chi ti chiava!
Rimango distante
Fó finta di niente
In pace la mente
82
Del tenero amante
È un caldo briccone
Conviene star fermo
Placido e calmo
Col solleone
Mi bevo un birrozzo
Distendo le gambe
Il calore incombe
Ma m’importa un cazzo!
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GIORNATA NO
Mattina di pioggia
Umida e fredda
Neanche le cosce di Lola
Fan passare la tristezza
Oggi mi sento così
Sotto scacco alla vita
Succede a volte
E menomale
Se fosse sempre rose e fiori
Chissà che palle!
Strascico in cucina
Un bicchiere d’acqua
Per spegnere i fuochi residui
Anche ieri era festa
Come l’altro ieri
E pure il giorno prima
Ma la festa di chi?
Scosto la tenda
Il bicchiere in mano
Uno sguardo sul grigiore
Formicolio di ombre
Auto in sosta
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Una sirena lontana
Una pozza d’acqua
Un cane che piscia…
85
UN MONDO A GAMBE APERTE
86
Dai su, beviti un goccio!
87
PIACERE SON GANO
Torno ad ascoltare
Le parole del cuore
Il gusto e l’odore
Dell’arte d’amare
Il vento carezza
Sbatte un cancello
Cinguetta l’uccello
L’orecchio mio apprezza
Bicchiere di vino
Lontano il casino
Mi metto supino
Son come un bambino
Allungo la mano
Si gira e sorride
Mi guarda e mi uccide
“Piacere, son Gano”.
88
TRISTEZZA
Mi prende così
Non so neanch’io
Tristezza, mio dio…
La sento qui.
Vicino al cuore
È come un sasso
Respirar non posso
Non sento calore.
Tutto si offusca
Diventa bigio
Io, Gano mogio
Attendo burrasca.
La calma precede
La stronza tempesta
I tuoni e la frusta
La vita che chiede.
Si paga il prezzo
Ti avvii alla cassa
Lo sai che poi passa
Ma fa male, che cazzo!
Rimorsi e rimpianti
Ti sputi allo specchio
Ti senti più vecchio
Hai gli anni pesanti.
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ESTATE AL BAR 2
È un caldo d’asfalto
E mutande appiccicose
Di mattine vogliose
E notti di malto
Al banco Giuliano
Col suo shakerato
Dalla vita trombato
Sebbene abbia il grano
Al tavolo Franco
Montenegro ghiacciato
Dalla vita inculato
Si trascina stanco
Simo al videopoker
Impreca e bestemmia
È in preda alla scimmia
Speranze ne ha poche
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Carlino al cellulare
Messaggi alla ganza
Che è solo una stronza
Fa coppia esemplare
Al bar in estate
Convergono i pazzi
Gli antichi ragazzi
E bambine d’annate
Né amori e né affetti
Rimango appartato
Per niente sudato
Con una moretti.
91
COSTANZA
Ti svesto e ti risvesto
Al bordo del letto mi appresto
Mi getto in mezzo alle sete
Son come un matto che ha sete
Mi abbevero alla tua fonte
Alla maniera di un bisonte
Quando scende al fiume
Io invece ti do il seme
Lo vuoi adesso, Costanza?
Mentre son sulla patonza
Ripenso alla proposta
Marito, giammai…
Meglio schiavo, semmai!
Ma quanto mi costa
Questa notte d’amore
Ci si mette anche il core
Fa pum, pum, pum
Stai a vedere che
Mi vien l’infarto su di te!
Sei proprio una stronza
Mia bella Costanza
Ma che te lo dico a fare
Tanto fai finta di niente
Dovrei levar le tende
Ma torno a stantuffare…
92
ASSO PIGLIA TUTTO
Mettetevi a sedere
Non fate quelle facce
Aprite un par di bocce
Ovvia, s’inizia a bere.
L’affitto da pagare
E tutte le bollette
E’ appena il diciassette
Non so più cosa fare.
Galletto saltellante
Amante ad ogni ora
Puttana oppure suora
Di qualità ne ho tante.
93
Suvvia versami un gotto
Che c’ho la gola secca
Deliziami la bocca
Ribevi! E’ il mio motto.
94
LA MIA DECADENZA
95
CARLOTTA
Conobbi Carlotta
Candida come cocco
Cicala campestre
Cantava con clamore
Chiedendo cazzo,
Che cavalcandola
Cercai con cura clito.
Coito costretto
Cantai colmandola
Caddi così contento
Contro culo
Clarinetto contro contrabbasso.
96
INTERVISTE A GANO
- 27 febbraio 2009 -
97
diventate carta straccio, foglietti lasciati nelle camere
d’albergo insieme ad un paio di bottiglie vuote. Nessun
rammarico. Scrivere è una medicina, e una volta presa non
c’è bisogno di conservare la confezione, non so se mi
spiego…
98
I VOSTRI PROGETTI FUTURI?
- 10 Maggio 2010 -
99
Mi fanno i complimenti, a volte mi dicono di voler leggere
qualcosa ma la maggior di loro parte dura fatica a capire gli
articoli della Gazzetta dello Sport, figuriamoci uno dei miei
racconti, che comunque sono sempre molto semplici e
brevi.
100
IDENTITÁ DI GANO
www.lagiostradidante.co.nr
101
Edizioni Willoworld
www.willoworld.net
www.edizioniwilloworld.co.nr
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