Sei sulla pagina 1di 8

Il protagonista del romanzo è dunque Don Chisciotte, ovvero Alonso Quijano,

nobile (hidalgo) della regione della Mancia appassionato a tal punto di libri di
cavalleria da intravedere solo in essi i valori e il senso autentico della vita.

Persa quindi la nozione della realtà a causa della lettura di questi testi, decide di
trasformarsi anche lui in cavaliere «errante» e di andare alla ricerca di avventure
eroiche. Lascia allora il villaggio d’origine e la sua condizione di modesto nobile,
annoiato ormai dai «momenti che stava senza far nulla (che erano i più
dell’anno)» [p.29].

La sua armatura è in parte di cartone e le armi, appartenute ai suoi bisavoli, sono


«prese dalla ruggine e coperte di muffa […] da lunghi secoli accantonate e
dimenticate in un angolo» [p.32]; il suo acciaccato ronzino,
ribattezzato Ronzinante, è ai suoi occhi paragonabile ai cavalli dei
celebri cavalieri medievali; dà a se stesso il nome di Don Chisciotte della Mancia
e sceglie come sua dama una contadina, cui attribuisce il nome di Dulcinea del
Toboso. Riceve l’investitura di cavaliere da un oste, in un’osteria che egli crede
un castello.

All’alba Don Chisciotte riparte per andare, su consiglio dell’oste, a provvedersi di


denaro e di uno scudiero. Strada facendo, compie il suo primo atto di giustizia:
obbliga un contadino a smettere di picchiare il suo garzone. Ma, allontanatosi Don
Chisciotte, il garzone vedrà raddoppiata la dose di frustate.

Don Chisciotte prende poi un sacco di botte da alcuni mercanti toledani che egli
vorrebbe costringere a rendere omaggio all’impareggiabile bellezza di Dulcinea.

Infine, stremato e fuori di sé, è raccolto da un contadino del suo paese che lo
riporta a casa dove la nipote e la governante lo stavano aspettando con ansia.

Durante la notte, il curato e il barbiere fanno un rogo di libri trovati nella sua
biblioteca, responsabili della follia dell’amico, salvandone ben pochi. Ma questo
non basta a far cambiare idea al cavaliere della Mancia.

Il secondo viaggio vede quindi protagonisti Don Chisciotte e il suo scudiero,


Sancho Panza, convinto ad accompagnarlo dietro la promessa di ricchezze e la
possibilità di diventare, in futuro, governatore di un’isola.

È in questo secondo viaggio che si susseguono le più note avventure: il cavaliere


combatte contro i mulini a vento, ingaggia una lotta con un gregge di pecore
trasformatosi, a suo dire, in un esercito di guerrieri; libera alcuni galeotti
incatenati per combattere contro le ingiustizie della società; s’impossessa di una
bacinella di un barbiere credendola un famoso elmo da cavaliere; si finge pazzo
d’amore per emulare le gesta di Orlando. Sempre tramite uno stratagemma, il
curato e il barbiere riescono a riportare a casa il cavaliere, e qui termina la prima
parte del romanzo.
Cervantes apre il primo libro con il pretesto di aver ritrovato un
manoscritto 1 in arabo dello storico Cide Hamete Benengeli, in cui
è narrata tutta la vicenda.  

Prima parte (1605)

Fate anche in modo che leggendo la vostra storia, il malinconico


s’inclini al riso, il gaio lo sia ancor di più, l’ignorante non s’arrabbi, la
persona colta ne ammiri l’immaginazione, quella grave non la
disprezzi, e la persona di spirito non manchi di lodarla. Puntate la
vostra mira a rovesciare la traballante macchina di questi romanzi
cavallereschi, aborriti da molti e lodati da moltissimi; e se vi
riuscirete, avrete fatto non poco.

Don Alonso Quijano


Viene quindi presentato il protagonista, don Alonso Quijano,
nobile della Mancia, una regione centrale della Spagna: don Alonso è
un appassionato lettore di romanzi cavallereschi, che divora al punto
da non saper più distinguere la realtà dalla finzione. Egli si
convince così di essere un cavaliere errante con il compito di
proteggere i deboli e gli oppressi e di tener fede ai valori dell’onore e
della cortesia tipici di un cavaliere. Don Alonso diventa così don
Chisciotte e, immaginando di poter ottenere, grazie alle sue imprese,
la corona di Imperatore di Trebisonda, muove all’avventura con il suo
malconcio cavallo, ribattezzato Ronzinante. Secondo i canoni della
cavalleria, che, pur pazzo, don Alonso segue meticolosamente, egli
necessita di una dama da servire e del cui amore essere degno: don
Chisciotte crea così la principessa Dulcinea del Toboso,
corrispondente in realtà alla contadinotta Aldonza Lorenzo. Più avanti
nel primo libro, gli si affiancherà pure un semplice
contadino, Sancho Panza, che don Chisciotte nominerà suo
scudiero. Prima di partire per compiere nobili imprese, Don
Chisciotte va in cerca di un signore che lo nomini cavaliere. Si reca
quindi in un’osteria, che ai suoi occhi sembra un gran castello, e si fa
nominare cavaliere dall’oste, che lo asseconda nella sua follia.
Al sorgere del sole, Don Chisciotte è finalmente libero di perseguire
il suo ideale cavalleresco, non prima di aver scambiato un
mulattiere per ladro e aver provocato una zuffa conclusasi grazie a due
sberle ben assestate dall’oste). Durante il tragitto, don Chisciotte
compie la sua prima impresa: libera un giovane da un contadino
che, per punirlo, lo stava percuotendo. Tuttavia, anche  se egli si è
rivolto con autorità all’uomo, non appena don Chisciotte riprende il
cammino, egli ricomincia con le botte. Il cavaliere incontra quindi
dei mercanti di Toledo, diretti comprare della sete e gli intima di
fermarsi e ammettere che Dulcinea del Toboso è la dama più bella che
si sia mai vista sulla faccia della Terra: questi si fanno beffe di don
Chisciotte e poi lo bastonano sonoramente. Il protagonista, delirante,
è riconosciuto da un contadino, che lo riporta a casa dove il nipote e la
governante, col sostegno del curato e del barbiere del paese, decidono
di bruciare tutti i suoi romanzi cavallereschi, nella speranza
che Don Chisciotte torni in sé.

Ma ciò non avviene. Don Chisciotte, promettendogli il governatorato


di un’isola, convince il contadino Sancho Panza a fargli da scudiero.
I due, con Ronzinante ed un asinello, partono all’avventura.
Subito don Chisciotte si lancia contro i mulini a vento, che
nella sua distorsione della realtà sono terribili giganti da sconfiggere:
l’impresa finisce ingloriosamente quando don Chisciotte si schianta
contro un mulino e frana a terra insieme con il suo cavallo. Il viaggio
di Don Chisciotte e Sancho Panza riprende, e quando incontrano una
brigata che accompagna una dama a Siviglia, Don Chisciotte,
credendo che la nobildonna sia stata rapita dal suo seguito, cerca di
liberarla. Don Chisciotte e Sancho si fermano poi in una modesta
osteria, che il protagonista scambia ancora una volta per un castello,
conversando con le cameriere, che per lui sono nobili e leggiadre
figure femminili. Il protagonista attacca poi un gregge di
pecore,che ai suoi occhi assume le dimensioni di un pericoloso
esercito, finendo per essere picchiato dai pastori e col perdere due
denti. Quando invece incrociano sul loro cammino un funerale, Don
Chisciotte scambia il feretro per un cavaliere suo pari ferito e attacca i
partecipanti al funerale che, terrorizzati, scappano. Sancho Panza,
dopo tutte queste peripezie, assegna al suo padrone il soprannome di
“Cavaliere dalla triste figura” e Don Chisciotte apprezzando
l’epiteto disegna un personaggio triste come simbolo per il proprio
scudo.
Don Chisciotte decide di recuperare il celebre elmo di Mambrino:
conquisterà invece gli utensili di un barbiere, liberando poco dopo
alcuni carcerati incatenati. Infine, stanco dopo tante imprese, don
Chisciotte decide di ritirarsi nei boschi in solitudine e penitenza e
manda Sancho da Dulcinea con una missiva d’amore. Sancho, per
tranquillizzare don Chisciotte, si inventa che la missione sia andata a
buon fine, mentre il curato e il barbiere del paese partono alla
ricerca del protagonista, per riportarlo nuovamente a casa. I
personaggi si fermano così in una locanda, in cui si
susseguono racconti e ragionamenti sulle virtù e i romanzi
cavallereschi. Chiudono la prima parte, oltre al ritorno a casa del
cavaliere errante e ad un’allusione ad una sua terza uscita,
alcuni sonetti in memoria di Ronzinante, Sancho Panza, Dulcinea e
don Chisciotte.

Seconda parte (1615)

Anche la seconda parte di Don Chisciotte comincia con un prologo,


in questo caso apertamente polemico contro Alonso Fernandez de
Avellaneda. Cervantes si ripropone dunque di scrivere la vera storia
del cavaliere errante fino al giorno della sua morte: ciò che
implicitamente l’autore auspica è che, con la morte del suo
protagonista, a nessuno venga voglia di divulgare ulteriori versioni
apocrife. Comincia quindi la seconda parte del romanzo, caratterizzata
da una novità sostanziale: i protagonisti, avendo letto la prima
parte dell’opera, sono consapevoli dell’identità e della follia di don
Chisciotte, che quindi diventa spesso oggetto di un esplicito inganno
architettato dagli altri personaggi. La parodia non è più rivolta alla
sola tradizione cavalleresca ma al Don Chisciotte stesso, quasi che
Cervantes voglia mettersi a confronto con gli imitatori della sua stessa
opera e dare una sfumatura tragica al proprio personaggio, vittima
inconsapevole delle trame degli altri personaggi.

La storia si apre con il protagonista che, pur assistito da una


governante e dalla nipote, riesce a fuggire di casa e a ripartire
all’avventura con Sancho. Per prima cosa i due si recano al
Toboso, per incontrare l’amata Dulcinea. Ma in paese
naturalmente non c’è nessun castello, così Sancho architetta
un inganno per accontentare il suo signore, conducendo Don
Chisciotte in un bosco e dicendogli che di lì a poco arriverà la sua
Dulcinea. Don Chisciotte vede in realtà solo tre semplici contadine,
ma Sancho, semplice ma arguto, risponde che ad uno sguardo più
attento il cavaliere potrà notare che quella è la sua elegantissima
principessa. Fidandosi della parola di Sancho Panza, don Chisciotte si
convince di essere sotto l’incantesimo di quegli incantatori che nella
sua immaginazione sempre lo perseguitano mistificando la realtà di
fronte ai suoi. Nel frattempo Sansone Carrasco, studente e amico di
Don Chisciotte, escogita uno stratagemma per far tornare a casa
l’amico. Sansone si presenta infatti come il Cavaliere degli
Specchi e sfida don Chisciotte a duello, ponendo la clausula che il
vinto avrebbe dovuto obbedire al vincitore. Don Chisciotte, che ha
sempre perduto ogni incontro, per un caso fortuito vince:
nonostante le buone intenzioni di Carrasco la sua avventura è quindi
destinata a continuare. Quando allora incontro due leoni al seguito di
un corteo di carri, don Chisciotte vuole sfidare i due animali feroci;
tuttavia, nonostante il panico suscitato nella folle, i due leoni non
vogliono battersi, rimanendo pacifici nella gabbia. Don Chisciotte, in
memoria dell’impresa, muta tuttavia il suo nome da “Cavaliere dalla
triste figura” a “Cavaliere dei leoni”. In questo contesto don Chisciotte
e Sancho Panza fanno la conoscenza del Cavaliere dal verde Gabbano,
ovvero di tal don Diego de Miranda, presso il quale vengono
ospitati e dove assistono alla celebrazione di un matrimonio. In
seguito,Don Chisciotte discende nella grotta di Montesinos.

Don Chisciotte e Sancho Panza riprendono quindi il cammino e


incrociano un nobiluomo e sua moglie che, conoscendo la prima parte
della sua storia, lo riconoscono e li invitano presso il loro castello.
Duca e duchessa, in realtà, vogliono prendersi gioco di don Chisciotte
e allestiscono a loro danno una messinscena con personaggi
mascherati e incantamenti. Tra i vari inganni, inventano la storia di
un mago, Malabruno, che avrebbe resobarbute la contessa Trifaldi e
le sue dodici dame di compagnia. Don Chisciotte viene così convinto a
sconfiggere Malabruno in sella al cavallo alato Clavilegno, che,
come suggerisce il nome, è un destriero di legno al quale sono stati
collegati dei petardi. Don Chisciotte e Sancho Panza vi salgono
bendati ma poco dopo i mortaretti esplodono e i due finiscono stesi
per terra. Don Chisciotte ha comunque portato a termine la missione,
dato che il fantomatico mago è sconfitto. Il duca assegna in
ricompensa il governatorato dell’isola di Baratteria a Sancho
Panza, il quale, però, preferisce restare con Don Chisciotte. Don
Chisciotte e Sancho Panza si dirigono allora verso Barcellona, ma
sulla strada di nuovo vengono raggiunti da Sansone Carrasco, questa
volta nei panni del Cavaliere della Bianca Luna, determinato a
riportare a casa l’amico. Lo sfidacosì a dire che vi è una donna più
bella di Dulcinea e costei è la sua dama. I due si trovano nuovamente a
duellare con la medesima clausula: il vinto si dovrà sottomettere al
volere del vincitore. Simone Carrasco questa volta vince e riesce così
a riportare a casa Don Chisciotte.

Una volta a casa Don Chisciotte cade preda di una forte febbre:
dopo sei giorni a letto il cavaliere errante si sveglia da un sonno di sei
ore invocando la propria morte e sostenendo di aver ritrovato il senno.
Don Chisciotte quindi si confessa e, poco dopo, muore.
::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::

Un po’ di tempo fa viveva nell’entroterra caldo e arido della Spagna un piccolo proprietario
terriero di quelli così affezionati ai vecchi tempi dei cavalieri che continuava a conservare
lance ed elmi, scudi e insegne da cavaliere. Il suo nome era Chischiada o Chesada o
qualcosa del genere…

Con lui vivevano la devota nipote, una cameriera che provvedeva a tutto quel che era
necessario in casa, e un contadino che gli faceva anche da stalliere badando a quell’unico
ronzino – più che un cavallo – che era rimasto.

Nella sua enorme biblioteca passava intere giornate leggendo e rileggendo i suoi libri di
cavalieri, d’arme e d’eroi. Tanto che un giorno finì per confondere la realtà con la finzione
delle storie di cui si era nutrito.

In preda al delirio decise che dal quel giorno sarebbe stato un cavaliere, si diede nome di
Don Chisciotte della Mancia, che a gli sembrava suonasse molto bene.
Al suo cavallo, magro e indebolito dall’inattività diede il nome di Ronzinante che, gli parve,
elevasse il suo stato di ronzino a il più abile ronzino del mondo.
Viveva in paese una giovane contadinotta di cui si era da tempo invaghito, a lei diede il
nome di Dulcinea del Toboso, deciso a difenderla e onorarla, come fa ogni buon cavaliere con la
sua dama.

Senza dunque far parola a nessuno, una mattina prima del giorno, indossò una delle sue
misere armature, rattoppata con cartone, mise in testa l’elmo a cui aveva fatto una visiera
con uno scolapasta, acchiappò un’asta e salì in groppa a ronzinante.

Andò in giro per tutto il giorno e alla sera, stanco e spossato giunse nei pressi di un’osteria
che a lui parve essere un castello. Lì davanti vi era una carrozza con una giovane donna e la
sua dama di compagnia, che vedendo questo strano tipo con elmo e visiera, su un cavallo
mal concio entrarono a proteggersi nell’osteria. Proprio in quel momento un porcaro
suonò un corno per radunare i maiali. A Don Chisciotte sembrò che davanti al castello si
adunassero le guardie per dargli il ben venuto.

Sperando di poter essere investito ufficialmente come cavaliere, Don Chisciotte decide di
passare la notte vegliando davanti alla chiesetta del castello, che in verità non è altro che
un pozzo. Così finisce per cacciare via a colpi di lancia i pastori che si avvicinano al pozzo
per abbeverare le bestie. L’oste che don Chisciotte crede il castellano, ha capito che il tipo
non ci sta con la testa e lo convince a tornare a casa per procurarsi del denaro e uno
scudiero senza il quale non sarebbe stato riconosciuto come un vero cavaliere.

Tornato a casa stanco e ferito per una caduta da cavallo, la nipote, il prete e il barbiere lo
assistono e decidono di far murare la biblioteca, dicendogli che un mago per fargli dispetto
ha trasportato via l’intera stanza con dentro i libri. Allor quando si è ristabilito a Don
Chisciotte ritorna la fissazione di riprendere il suo viaggio eroico. Gli affiancano allora un
contadino, Sancho Panza con il suo asino. A lui Don Chisciotte promette che alla fine delle
loro avventure gli avrebbe donato un’intera isola.

Dopo una giornata di cammino, quando si fa viva la stanchezza, i due vedono in lontananza
dei mulini a vento. Don Chisciotte si convince che siano dei giganti e brandendo la sua
lancia si dirige contro di loro al galoppo. Si scaglia allora contro uno dei bracci del mulino
ne rompe la tela convinto di averlo così ferito, ma si incastra tra le pale e il turbinio
dell’ingranaggio lo disarciona e lo scaglia lontano a terra.
Sancho Panza lo soccorre e lo tranquillizza facendogli vedere che i giganti sono in realtà dei
mulini. Ma Don Chisciotte nella sua follia dice: «Le cose della guerra più di ogni altra sono
soggette a mutamenti in effetti io penso e sono sicuro che quel tal mago che mi rubò la stanza
dei libri ha cambiato questi giganti in mulino per farmi dispetto».

I due trascorrono la notte in un bosco e Don Chisciotte avverte Sancho che mai dovrà intervenire negli
scontri con altri cavalieri, ma solo se dovranno affrontare una banda di briganti o gente vile.
Il giorno dopo vedono in lontananza due frati a dorso di muli e subito dietro una carrozza con dentro
una donna. Don Chisciotte so convince che essi hanno rapito la donna e si scaglia contro di loro facendo
cadere uno dal mulo e mettendo in fuga l’altro. Si rivolge allora alla donna dicendole di averla salvata e
che deve andare dalla sua amata Dulcinea per raccontarle le gesta di Don Chisciotte. Le guardie che
erano con lei non intendendo cambiare il loro percorso.

Inizia una lotta con le guardie e Don Chisciotte ferito ad un orecchio inizia a combattere come un
forsennato sino a disarcionare una delle guardie per dargli il colpo di grazia, tutti allora lo fermano
implorando di salvare la vita della guardia. Don Chisciotte allora gli risparmia la vita facendogli
promettere che andranno da Dulcinea del Toboso per raccontare del suo eroismo…

Sancho, nella sua creduloneria, chiede a Don Chisciotte se con questa eroica battaglia abbia conquistato
qualche terra che possa dargli da governare. Ma Don Chisciotte lo ammonisce dicendogli che era stato
un gesto di lealtà verso la dama e contemporaneamente un’occasione per allenarsi.
Don Chisciotte si fa medicare la ferita all’orecchio con un balsamo composto di erbe dicendo a Sancho
che bastano due gocce per curarlo. Sancho si convince allora che potrà vendere il balsamo e diventare
ricco.

Sulla strada dei due si fanno incontro due greggi di pecore per separare le quali i pastori girano intorno
agitando i loro bastoni. Don Chisciotte è convinto che siano due eserciti in guerra ed è deciso a prendere
le difese del più debole. Ancora una volta si scaglia nella mischia finendo per essere travolto
dall’irruenza degli animali.
Alllontanate le greggi Don Chisciotte si rimette in piedi, sporco e malconcio: «Quel maligno
incantatore che mi perseguita ha mutato questo esercito in gregge. Ho bisogno del tuo
aiuto, Sancho, ho paura che mi manchino i denti…»

Vedi, Sancho, un uomo vale più di un altro solo se fa più di un altro. Le burrasche che
abbiamo passato stanno per finire e presto verrà il sereno. Il male e il bene non sono mai
duraturi, e siccome il male dura da molto tempo… il bene deve essere vicino. Perciò non
angustiarti per le disgrazie che mi capitano, visto che non capitano a te.»
Sancho allora lo rincuora «Adesso sì che potete dirvi di chiamarvi Don Chisciotte della
Mancha» e gli dà il soprannome de “il cavaliere dalla triste figura”.

ASSALTO DEL GREGGE


«Quel maligno incantatore che mi perseguita ha mutato questo esercito in gregge. Ho
bisogno del tuo aiuto, Sancho, ho paura che mi manchino i denti…
Vedi, Sancho, un uomo vale più di un altro solo se fa più di un altro. Le burrasche che
abbiamo passato stanno per finire e presto verrà il sereno. Il male e il bene non sono mai
duraturi, e siccome il male dura da molto tempo… il bene deve essere vicino. Perciò non
angustiarti per le disgrazie che mi capitano, visto che non capitano a te.»
Adesso potete dirvi di chiamarvi Don Chisciotte della Manca, detto il cavaliere dalla triste
figura.

DOPO I MULINI

«Viveva, non ha molto, in una terra della Mancia, che non voglio ricordare come si chiami, un idalgo di
quelli che tengono lance nella rastrelliera, targhe antiche, magro ronzino e cane da caccia.»
Di nome Chisciada o Chesada, viveva al modo dei grandi signori tanto da
consumare gran parte delle sue rendite. Insieme a lui la devota nipote,
una serva e un servitore che sapeva così bene sellare il cavallo come potare le viti.

Passava gran parte del suo tempo leggendo e rileggendo i suoi libri di
cavalieri, d’arme e d’eroi. Tanto un giorno finì per confondere la realtà
con la finzione delle storie di cui si era nutrito.

Potrebbero piacerti anche