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DI ALLENAMENTO CALCISTICO
La necessità di perseguire come obiettivo primario il successo agonistico, ha portato molti
tecnici a spingere in maniera rilevante nella preparazione delle squadre, curando
prevalentemente aspetti tecnico tattici e delle scienze bio-mediche.
Nel calcio questo fenomeno ha assunto ancor più rilevanza, proprio perché la conoscenza dei
suddetti elementi è stata ritenuta da sola sufficiente a garantire prestazioni elevate ad atleti e
squadre.
Da qualche tempo, proprio perché è ormai in atto una fase di maturazione di certe conoscenze,
si nota una maggiore attenzione verso aree del sapere che valorizzano, nell'ambito del sistema
formativo, le dimensioni sociale e pedagogica. Le tecnologie moderne, i mass-media e
soprattutto una maggiore maturità dei tecnici hanno permesso scambi culturali una volta
impensabili. Considerando che è sempre più facile accedere a conoscenze di carattere tecnicotattico,
assume sempre maggior importanza la consapevolezza dei fenomeni di natura sociale che
condizionano l'insegnamento, lo sviluppo e l'utilizzazione delle suddette abilità.
Il concetto stesso di allenamento assume una trasformazione radicale; infatti, dal significato
originario ed etimologico del termine "acquistar lena", cioè fiato, valore meramente fisiologico, si
arriva a quello attuale di "processo pedagogico", in cui si esalta una valenza globale,
che è presupposto di ogni prestazione umana.
L’allenamento sportivo è definito infatti, un processo pedagogico complesso che attraverso
l’azione, tende allo sviluppo di un determinato stato di prestazione sportiva secondo un piano
prestabilito.
Mettendo l’atleta e l’allenamento al centro dell’attività di un allenatore, possiamo delimitare 4
aspetti fondamentali interdipendenti tra loro:
1. PSICOLOGICO: dove risulta importante la conoscenza dell’allievo tramite l’utilizzo della
Psicologia (sociale, generale, dell’apprendimento) e della Psicometria dell’età evolutiva
2. SOCIOLOGICO: sapere in che contesto sociale porre la società sportiva e chi la compone
(sociologia generale, sociologia dei piccoli gruppi)
3. DIDATTICO: conoscere la metodologia didattica, saper valutare ed educare
4. DEI CONTENUTI: si deve conoscere la materia sotto i suoi aspetti tattici, tecnici,
organico-motori
Se per molto tempo si è badato soprattutto ai contenuti, per quanto attiene la prassi operativa, si
nota sempre più, attualmente, una maggiore attenzione alla maniera in cui tali
contenuti vengono proposti, al punto tale che proprio nei giochi sportivi si sente l'esigenza di
riconsiderare le metodologie di allenamento in termini di metodologie di insegnamento. In
questa prospettiva tutti i comportamenti che in precedenza venivano attribuiti al comune buon
senso o all'esperienza del tecnico vengono sostituiti da modelli che prefigurano sempre
quest'ultimo come un esperto di apprendimento motorio che opera in un contesto motivante e
socializzante.
La concezione moderna dell’insegnamento è di tipo sistemica (secondo Titone) ovvero un
insieme di elementi fortemente integrati e tra loro interdipendenti. (a differenza di quella
tradizionale che prevedeva un insegnamento unilaterale, l’allenatore parla l’allievo esegue,
senza preoccuparsi dell’interlocutore né del contesto in cui si allena)
Sottolineando il ruolo delle funzioni pedagogiche che volutamente o inconsapevolmente
l’allenatore svolge, appaiono già evidenti in netta divaricazione requisiti di varia natura che
delineano profili professionali molto diversi, a seconda dei campi di attività: allenatore di
settore giovanile o di squadra formata da atleti adulti.
E' bene precisare che le competenze diverse tra le due categorie di allenatori non derivano da
una valutazione di conoscenze su basi quantitative, ma soprattutto da caratteristiche di
personalità che evidenzino nei primi la predisposizione alla "formazione", intesa nell'accezione
più ampia, mentre nei secondi una predisposizione alle pubbliche relazioni, per gli importanti
risvolti che si riflettono nella gestione del gruppo-squadra, nel contesto sociale in cui è inserito
il club, nel rapporto con i mass-media ecc.
La riflessione che scaturisce dall'analisi del profilo professionale del tecnico ci dice che,
l'efficacia dell'attività dell'allenatore è determinata dalle caratteristiche della sua personalità,
non si può pretendere di svolgere con successo questa attività, se vi è incompatibilità tra le
personalità e l'assolvimento di determinate funzioni.
Questa considerazione, che appare fin troppo semplicistica, trova invece notevoli difficoltà ad
essere accettata, soprattutto per un retaggio tradizionale, che ha visto l'allenatore, come il
depositario del sapere, di conseguenza, del potere, in virtù del quale è possibile l'imposizione,
la punizione, la coercizione e, in definitiva, l'autoritarismo.
PROFILO PROFESSIONEALE DI UN ALLENATORE
Un allenatore deve essere in grado di esprimere le seguenti abilità…….
1. COMPETENZA PEDAGOCICA (educazione della personalità dell’individuo)
2. COMPETENZA DI RELAZIONE E COMUNICAZIONE
3. COMPETENZA DI ANALIZZARE I BISOGNI DEGLI ALLIEVI
4. COMPETENZA DI COSTRUIRE, REALIZZARE E VERIFICARE (organizzare un
allenamento)
5. COMPETENZA DI PROPORSI COME RIFERIMENTO EDUCATIVO
….. e deve possedere i seguenti requisiti
1. PERSONALITA’ : più difficile perché difficilmente modificabile
2. PROFESSIONALITA’: un allenatore cerca sempre di migliorare i propri atleti ma difficilmente
cerca di migliorare se stesso. Esiste una tecnica a tal fine chiamata Micro- Teaching che consiste nel
filmarsi (come accade per gli atleti) e successivamente verificare quanto il comportamento reale si
avvicina a quello presunto.
REQUISITI DI MATURITA’ INDISPENSABILI ALL’INSEGNANTE/ALLENATORE
• Armonia tra le caratteristiche della personalità;
• Capacità di controllo dell’ansia, come tratto della personalità e come status contingente;
• Accettazione completa di sé;
• Adattamento all’ambiente;
• Senso di responsabilità;
• Autocontrollo;
• Autonomia intesa come capacità di risolvere i problemi che si presentano senza trovare alibi;
• Ragionevolezza;
• Empatia – capacità di osservare la realtà con gli occhi dell’altro;
• Cordiale rapporto con gli altri – clima collaborativi – riunioni.
Espressioni come "sergente di ferro" hanno in genere gratificato l'allenatore al quale venivano
riferite, perché significavano capacità di imporre disciplina, ordine, rispetto. Tutti elementi però
che, se caratterizzano una visione della situazione didattica per fortuna ormai superata,
mostrano un evidente contrasto con i presupposti dell'apprendimento, che è invece facilitato
dalle motivazioni, dai bisogni e dagli interessi dell'allievo.
L'insegnante deve avere autorità, ma non deve essere autoritario. L'autorità gli deriva dal
sapere, dal carisma, dall'esperienza, dalla maniera di proporsi ai suoi allievi, che deve riflettere
soprattutto sicurezza e chiarezza di intenti. L'autoritarismo, viceversa, è sintomo di debolezza,
di insicurezza, di inconsistenza di contenuti, e la minaccia è la sua arma più ricorrente.
L'autoritarismo di un allenatore si concretizza in uno stile comportamentale che prevede, per
gli atleti: l'assegnazione di compiti precisi, ma indipendenti dalle loro opinioni; ordini
riguardanti norme di vita e modalità di allenamento, che però escludono l'iniziativa individuale;
ubbidienza, rispetto, fedeltà incondizionata e allo stesso tempo impossibilità di esprimere
opinioni personali e critiche; la possibilità di subire punizioni, talvolta gravi, anche senza che
siano motivate. Da questo quadro di riferimento scaturisce una figura di atleta succube
dell'allenatore, incapace di agire autonomamente, perché abituato ad obbedire, non
interessato a se stesso, perché ad altri è affidata questa incombenza, sollecitato ad eseguire
ordini e, di conseguenza, a subire l'allenamento. Come si concilia questo con il calcio, gioco
prettamente di adattamento in cui si è continuamente chiamati ad operare delle scelte tattiche
e tecniche durante tutta la partita?
E' in definitiva, questa, la definizione di un clima pedagogicamente del tutto superato, che
poneva al centro della situazione didattica l'insegnante e che considerava l'allievo il classico
“vaso da riempire" di nozioni più o meno esatte.
Nell'insegnamento sportivo questa situazione è in molti casi ancora vigente e spesso
privilegiata per due motivi fondamentali, che per certi versi appaiono anacronistici: sono,
infatti, atleti e dirigenti che da prospettive diverse sollecitano l'allenatore a comportarsi
secondo schemi deprecabili. I dirigenti, non avendo in genere gli strumenti per valutare
l'efficienza di un allenatore, finiscono sempre per basarsi su criteri sicuramente più concreti,
ma che possono essere fuorvianti: la classifica e l'ordine formale.
Gli atleti (soprattutto gli adulti), abituati da sempre ad eseguire ordini, considerano l'allenatore
che li stimola a partecipare più attivamente o ad esprimere le loro opinioni, un debole o
addirittura un impreparato. Alla collaborazione si preferisce una comoda dipendenza, che
deresponsabilizza totalmente, ma che fa decadere l'allenatore ad una prassi ripetitiva,
meccanica e quindi scarsamente efficace.